Nel nostro ordinamento, l’organo posto a tutela della Costituzione è la Corte costituzionale e la sua
esistenza è connessa alla rigidità della Costituzione. Per “giustizia costituzionale” s’intende un sistema di
controllo giurisdizionale del rispetto della Costituzione, essa è la principale garanzia della rigidità della
Costituzione. Per capire come la Costituzione è guardiana delle leggi dobbiamo fare il confronto tra quei
sistemi in cui il controllo è diffuso e quelli, come il nostro, in cui il controllo è accentrato.
In realtà, il controllo costituzionale, prima dell’Europa, si affermò negli Stati Uniti d'America, nei primi
dell'Ottocento, con una sentenza della Corte Suprema. Marshall, giudice che presiedeva la Corte Suprema
in quel determinato caso, diede il via alla cosiddetta Judicial Review of Legislation.
Egli partiva dal presupposto che una costituzione rigida non consentisse al giudice l'applicazione di una
legge contraria alla Costituzione stessa.
Quindi nella famosa sentenza Marbury contro Madison si stabilì che in America ogni giudice è abilitato a
valutare la difformità di una legge della Costituzione, per questo sarà anche abilitato a disapplicare la
norma giustificando che questa è contraria alla Costituzione.
Questo modello tracciato dagli Stati Uniti è un modello diffuso poiché questo controllo di legittimità
costituzionale lo possono effettuare tutti i giudici di qualsiasi grado e in qualsiasi contea. A questo modello
si affianca il modello accentrato dove il controllo di costituzionalità non è affidato ad ogni giudice ma è
affidato ad un organo ad hoc strutturato come un tribunale.
Un precedente storico della Corte costituzionale in Italia, era l'alta Corte della Regione Siciliana che è stata
il precursore della Corte Costituzionale poiché è stata istituita dallo statuto della Regione Siciliana che è un
organo antecedente alla Costituzione. L’alta corte godeva di funzioni di giustizia politica e di legittimità
Costituzionale, essa ha smesso di operare nella metà degli anni 50 in quanto non si è riusciti a sostituire i
componenti da parte del Parlamento in seduta comune. Nel frattempo, subentrò la Corte Costituzionale la
quale dichiarò l’illegittimità di quelle parti dello statuto siciliano che prevedevano questo organo di
giustizia.
Qual è stato il dibattito in assemblea costituente sulla nascita della Corte Costituzionale?
All’indomani del referendum del 2 giugno 1946, bisognava capire a quale modello rifarsi: il primo dibattito
sul sistema di giustizia costituzionale si ebbe in sede di assemblea costituente quando si dovette decidere
se optare per un modello di tipo diffuso come quello americano o un modello di tipo accentrato previsto
dalla Costituzione Austriaca. Alcuni erano favorevoli al sistema americano mentre altri sfavorevoli, infine vi
era chi propendeva sia per l’uno che per l’altro proponendo un sistema misto, cioè con elementi sia del
sindacato diffuso che di quello accentrato.
Alla fine si scelse il modello del sindacato accentrato con elementi del sindacato diffuso e quindi una Corte
costituzionale a composizione mista con parte dei giudici nominati dal Parlamento in seduta comune, dal
presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative.
La Corte costituzionale però non iniziò subito ad operare in quanto ci vollero circa 10 anni dal referendum:
essa si insediò dal 23 gennaio del 1956, ebbe la prima assemblea ad aprile e la prima sentenza a giugno.
Quando parliamo di Corte costituzionale ci riferiamo al titolo sesto della parte seconda della
Costituzione, ma per avere un quadro completo di quelle che sono le strutture e le funzioni della Corte
costituzionale dobbiamo rifarci ad altre due leggi Costituzionali: la n.1 del 48 e la n.1 del 53.
Nel dettaglio, la composizione della Corte costituzionale la troviamo nell’art.135 il quale fissa in 15 il
numero di giudici che la compongono disponendo che essi siano nominati per 1/3 dal presidente della
Repubblica, per 1/3 dal Parlamento in seduta comune e per 1/3 dalle supreme magistrature ordinarie e
amministrative.
Per quanto riguarda le nomine presidenziali esse sono atti formalmente e sostanzialmente presidenziali e
devono essere contro-firmate dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Per quanto riguarda le nomine parlamentari vi è un problema di maggioranza perché i giudici eletti dal
Parlamento in seduta comune devono raggiungere un quorum molto alto. È una votazione a scrutinio
segreto per la quale è richiesta la maggioranza dei 2/3 per i primi tre scrutini, e dal terzo in poi la
maggioranza è di 3/5.
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Per quanto riguarda la formazione della magistratura ordinaria, i magistrati sono tre e vengono eletti tra le
proprie categorie, quindi 3 vengono eletti dai magistrati della Cassazione, uno dai magistrati del Consiglio di
Stato ed uno dalla Corte dei Conti. Questa composizione è la cosiddetta composizione ordinaria in quanto
viene integrata da altri 16 giudici cosiddetti aggregati e tratti a sorte da un elenco di 45 soggetti che il
Parlamento in seduta comune provvede a stilare ogni 9 anni.
La Corte essendo un organo costituzionale gode di alcune garanzie che riguardano non soltanto la Corte in
sé come organo ma che riguardano anche i suoi giudici. Dopo che i giudici vengono nominati, si passa alla
cosiddetta verifica dei poteri ovvero la verifica della sussistenza dei requisiti per la nomina che effettua la
stessa Corte. Subito dopo la verifica dei poteri, il giudice giura nelle mani del Presidente della Repubblica e
da quel momento in poi inizia a decorrere il mandato che dura 9 anni. Il giudice costituzionale non è
rieleggibile e non sono consentite ipotesi di prorogazione tranne nel caso in cui la Corte stia esaminando un
giudizio di accusa nei confronti del Presidente.
Quindi i giudici costituzionali alla scadenza del mandato ritornano alla loro posizione professionale,
ovviamente durante il mandato possono dimettersi o possono essere sospesi se sopravviene un'incapacità
fisica.
Lo status di giudice costituzionale comprende tutta una serie di incompatibilità, alcune sono previste dalla
Costituzione stessa nell'art.135 il quale afferma che “l'ufficio di giudice della Corte è incompatibile con
quello di membro del Parlamento, di un Consiglio regionale, con l'esercizio della professione di avvocato e
con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge”.
Poi ci sono tutta una serie di altre incompatibilità che sono previste dalla legge ordinaria, questo perché i
giudici della Corte costituzionale non possono fare tutto ciò che può andare ledere la loro posizione di
terzietà nel momento in cui si trovano ad affrontare un giudizio.
A queste preclusioni si affiancano delle prerogative dei giudici che infatti godono di inamovibilità,
insindacabilità e immunità penale. Per quanto riguarda l’inamovibilità, questa comporta che i giudici non
possono essere rimossi dal loro ufficio di giudice costituzionale se non per decisione della Corte, sia per
sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell'esercizio delle loro funzioni, questo
soltanto se viene deciso dalla corte costituzionale. Mentre per quanto riguarda l'insindacabilità, i giudici
non possono essere perseguiti né sindacati per l’opinione espressa e i voti dati nell’esercizio delle loro
funzioni. Infine, per l’Immunità penale abbiamo la legge costituzionale n.1 del 48 che prevede che i giudici
della Corte costituzionale, fin quando durano in carica, godono delle immunità accordate ai membri delle
due camere specificando che l'autorizzazione in questo caso è data dalla Corte Costituzionale.
Inoltre possiamo dire che la Corte gode di immunità della sede, ovvero è il Presidente che può proteggere
la propria sede a livello fisico con le forze dell'ordine a tutela della stessa, quindi se viene lesa, sarà il
Presidente ad avere il potere di difenderla.
Infine la Corte costituzionale gode anche di autodichia come il Parlamento, cioè decide sulle controversie
che riguardano i propri lavoratori.
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La Corte costituzionale è un collegio e per operare nei giudizi di legittimità è necessaria la presenza di
almeno 11 giudici su 15, mentre nei giudizi d’accusa devono essere almeno 21 di 31.
Le ordinanze e le sentenze sono deliberate tutte in Camera di Consiglio, ovvero in una riunione dove
possono partecipare soltanto i giudici.
Il cuore della Corte sono gli assistenti di studio che vengono scelti tra magistrati ordinari e amministrativi e
docenti universitari e il loro ruolo è quello di aiutare il giudice ad approfondire e a studiare una causa. Essi
sono quelli che compiono i cosiddetti dossier che contengono tutti i precedenti giurisprudenziali, gli
orientamenti dottrinali, ma anche le comparazioni con altri ordinamenti.
Quando arriva una questione in Corte viene nominato un relatore che all'udienza espone i termini della
questione restando asettico, quindi senza esprimere alcuna posizione, in seguito vengono ascoltati i
procuratori delle parti qualora siano presenti, e la decisione finale viene assunta in Camera di Consiglio.
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tripartizione dei poteri ma che svolge un'attribuzione costituzionalmente garantita, ad esempio il
Presidente della Repubblica.
A dar origine al conflitto di attribuzioni può essere qualsiasi atto, comportamento o omissione che leda
un’attribuzione costituzionale. Inoltre, affinché la Corte possa conoscere e dirimere i conflitti, questi devono
essere reali: quindi nel presupposto che esista un qualcosa che abbia dato origine al conflitto, questo può
sorgere sia da un atto che ha usurpato il potere, ovvero nel momento in cui un organo emana un atto non
di sua competenza, ed in questo caso si parla di vindicatio potestatis, oppure il conflitto può nascere da un
comportamento che quell’organo adotta e che va ad intralciare il corretto esercizio delle competenze degli
altri organi, questo è il cosiddetto conflitto per menomazione.
Il procedimento viene introdotto con un ricorso alla Corte di Cassazione o un’ordinanza presso la cancelleria
della Corte costituzionale. Una volta arrivato il ricorso, la Corte Costituzionale si riunisce in Camera di
Consiglio poiché per prima cosa valuta l’ammissibilità di tale ricorso. Qualora vi sia una valutazione positiva,
e quindi la Corte ritiene che vi sia un conflitto di attribuzione, dichiara con ordinanza l’ammissibilità del
ricorso e dispone la notifica agli interessati. Una volta che il ricorso viene depositato nella cancellaria della
Corte Costituzionale, le parti possono costituirsi davanti alla Corte.
Nel conflitto di attribuzione le parti possono provare le loro ragioni con tutti i mezzi consentiti e la Corte
può richiedere qualsiasi cosa serva per accertare la situazione.
Inoltre, è negato l’intervento di terzi, ed il giudizio non sempre arriva a sentenza perché può essere che nel
corso del giudizio l’organo che aveva dato inizio al conflitto si renda conto che non c’è alcuna violazione
della sua sfera di attribuzione, così come l’organo chiamato può rendersi conto invece di essere nel torto.
Una volta che c’è la rinunzia al giudizio allora si procede all’estinzione del giudizio senza che la Corte arrivi a
sentenza. Invece, si arriva a sentenza quando la Corte, ascoltate le parti, stabilisce e individua chi ha
ragione e chi ha torto.
Con la sentenza relativa al conflitto di attribuzione, la Corte individua il titolare di quella attribuzione e, nel
caso siano stati emanati degli atti, è la Corte stessa ad annullare questi atti emanati dall’organo non
competente. La pronunzia non ha valore erga omnes ma ha valore inter partes poiché riguarda diretti
organi e determinate situazioni reali.
I conflitti intersoggettivi sono finalizzati a risolvere le controversie tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni.
L’art.39 della legge 87 del 53 afferma che “se la Regione invade con un suo atto la sfera di competenza
assegnata dalla Costituzione allo Stato ovvero ad altra Regione, lo Stato o la Regione rispettivamente
interessati possono proporre ricorso alla Corte Costituzionale per il regolamento di competenza”, e
viceversa. Innanzitutto, da questo articolo traiamo chi sono le parti del giudizio ovvero Stato e Regione,
successivamente abbiamo la causa petendi cioè l’invasione della sfera di competenza assegnata dalla
Costituzione a chi inizia il giudizio, e soprattutto il petitum, ovvero ciò che viene richiesto alla Corte
Costituzionale, che in questo caso sarebbe la richiesta di stabilire a chi spetta la competenza.
Il conflitto deve sorgere a seguito dell'esercizio di una competenza che abbia portato il ricorrente a sentirsi
leso nelle sue attribuzioni. La ragione della domanda giudiziale coincide con una invasione della sfera di
competenza assegnata dalla Costituzione alla parte ricorrente.
Nell’art.39 sembrerebbe che i conflitti ammessi siano soltanto quelli da vindicatio potestatis, quindi
sembrano non ammissibili i conflitti per menomazione, in realtà però nel nostro ordinamento si è affermato
il regionalismo cooperativo ed il principio della leale collaborazione, per cui la Corte Costituzionale, nelle
sue sentenze, ha ammesso anche che il ricorrente possa lamentare un cattivo uso del potere da parte
dell'altro soggetto che va a ledere la sua sfera di competenza.
Anche qui il giudizio viene attivato tramite ricorso, per lo Stato sarà il presidente del Consiglio dei ministri a
proporlo, oppure un ministro da lui delegato, mentre per la Regione sarà il presidente della Giunta
Regionale a proporlo ma in questo caso ci dovrà essere una deliberazione della Giunta stessa che autorizza
il Presidente a presentare ricorso nei confronti dello Stato o dell'altra Regione.
Questo ricorso introduttivo deve indicare tutte le circostanze che hanno creato il conflitto di attribuzione e
specificare qual è l'atto che ha determinato l'invasione della competenza, e anche le disposizioni
costituzionali o di legge costituzionale che si ritengono violate.
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Inoltre, ci sono dei tempi ben precisi entro cui proporre il ricorso, dei termini tassativi che corrispondono a
60 giorni dalla notificazione o dalla pubblicazione dell'atto, ovvero dall'avvenuta conoscenza dell'atto
stesso.
Nei conflitti intersoggettivi, la fase di riunione della Corte in Camera di Consiglio per controllare
l’ammissibilità del ricorso non è presente poiché, ricevuto il ricorso, si procede direttamente a fissare
l'udienza pubblica, salvo il caso in cui il Presidente, dopo aver letto il ricorso, procede in Camera di Consiglio
a dichiarare la sua inammissibilità o infondatezza.
Anche in questo procedimento le parti possono presentare delle memorie prima dell'udienza e a questo
punto il giudizio potrà concludersi o per rinunzia, accettata dall'altra parte del conflitto, oppure, se si arriva
alla sentenza di merito, la Corte Costituzionale dichiarerà a chi spetta la competenza con successivo
annullamento dell’emanazione dell’atto sbagliato.
Dopo la riforma del titolo quinto, questo genere di ricorsi sono aumentati poiché con il problema delle
materie trasversali non erano molto chiare le competenze dei vari settori.
2. GIUDIZIO DI ACCUSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: il Presidente della Repubblica può essere
messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri per i
reati di alto tradimento ed attentato alla Costituzione.
Una volta messo in stato d'accusa si procede al giudizio di fronte alla Corte Costituzionale che avrà una
composizione integrata (15 più 16) e nel momento in cui inizia il giudizio di accusa nei confronti del PdR, la
Corte potrà valutare anche di sospendere cautelarmente il Presidente nell'adempimento delle sue funzioni.
In questo caso si tratta di un impedimento temporaneo e al posto del Presidente della Repubblica
subentrerà il Presidente del Senato.
La Corte si pronunzia con una sentenza che non sarà soggetta a responsabilità e potrà combinare delle
sanzioni penali nel limite massimo della pena prevista per quel fatto criminoso, o anche tutte quelle
sanzioni costituzionali, civili, amministrative che derivano dal caso.
La pronunzia è irrevocabile e non può essere soggetta a revisione, a meno che non subentrino delle nuove
prove, a quel punto la Corte stessa può riesaminare il caso e quindi rivedere la sentenza pronunziata.
3. GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM ABROGATIVI: nel momento successivo in cui vengono
depositate le firme alla Corte di Cassazione, che opera un giudizio di legittimità del referendum abrogativo,
il quesito passa all'esame della Corte Costituzionale che dovrà valutarne l’ammissibilità. Questo perché
l'art.75 esclude che il referendum possa chiedersi in determinate materie.
Inoltre, la pronunzia della Corte riguarderà anche le caratteristiche del quesito referendario poiché esso
deve essere chiaro al votante, ovvero la Corte potrebbe trovarsi ad esaminare la richiesta di una materia
consona ma rendersi conto che il quesito in merito non è stato posto in maniera tanto chiara da consentire
al votante di poter rispondere sì o no.
Le tempistiche sono molto stringenti per la presentazione del referendum, infatti sono a scadenza fissa.
La Corte, una volta ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'ufficio centrale, fissa il giorno della
deliberazione in Camera di Consiglio senza contraddittorio, si riunisce e dichiara se il referendum è
ammissibile o no.
4. IL SINDACATO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE: ha ad oggetto leggi e atti aventi forza di legge dello
Stato e delle Regioni. Quindi sappiamo che neppure le leggi di revisione costituzionale si sottraggono al
giudizio di legittimità costituzionale.
Sono invece esclusi dai sindacati di legittimità:
i regolamenti dell'esecutivo e gli altri regolamenti amministrativi, il giudice della loro legittimità è
infatti il giudice amministrativo.
le fonti- fatto, quindi sono escluse non solo le consuetudini, ma anche le norme Ue.
regolamenti parlamentari
La Corte può essere chiamata a giudicare una questione di legittimità:
Formale, consiste nell’esame del procedimento che ha portato all’emanazione dell’atto, per cui
qualora questo procedimento di formazione dell’atto sottoposta all’attenzione della Corte non
abbia rispettato la procedura prevista dalla Costituzione allora la Corte stessa potrebbe sancirne
l’illegittimità;
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Sostanziale, riguarda il contenuto dell’atto che è sottoposto all’attenzione della Corte, se questo
contenuto contrasta con i principi e le norme contenute in Costituzione, la Corte Costituzionale
interverrà con una sentenza di accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
Per parametro del giudizio di costituzionalità si intende il termine di raffronto tra la norma impugnata e i
principi che si ritengono che la norma stia violando.
Differente è il parametro interposto, che avviene tra la norma che si ritiene viziata di legittimità
costituzionale e la Costituzione; questo è un'espressione che designa quelle norme che non hanno rango
costituzionale, ma la cui violazione comporta un'indiretta violazione di norme costituzionale.
La Corte può essere adita in via incidentale o in via principale, il primo caso sorge nel corso di un
procedimento giudiziario (che viene detto giudizio principale o giudizio a quo), il secondo può essere
proposto con ricorso da parte dello Stato contro leggi regionali o da parte della Regione contro leggi statali
o di altre Regioni.
IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE:
È definito come “incidente processuale” che comporta la sospensione del giudizio e la remissione della
questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale. È un giudizio successivo e concreto, perché
la legge viene in rilievo al momento della sua applicazione, è indisponibile, in quanto il giudice, se
sussistono i presupposti, è tenuto a sollevare la questione dinanzi alla Corte costituzionale, né le parti
possono opporsi.
Questo giudizio mette in evidenzia due concetti fondamentali: il concetto di giudice e di giudizio.
Il giudice a quo: è quel giudice che può sollevare la questione alla Corte costituzionale e non è
necessario che appartenga all’ordine giudiziario, ma si tratta di un soggetto che dà luogo
all’applicazione obbiettiva della legge e che ha caratteristiche di imparzialità rispetto verso le parti.
Il giudizio: la legge ci dice espressamente che “la questione deve essere sollevata nel corso di un
giudizio” cioè per poter sollevare la questione di legittimità il giudice a quo deve trovarsi nello
svolgimento dell’attività di tipo giurisdizionale.
Il giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione: significa che, se l’esito di
questo giudizio è positivo, cioè se la questione è rilevante e se non è manifestamente infondata, il
giudice trasmetterà gli atti alla Corte costituzionale tramite un’ordinanza, chiamata ordinanza di
rinvio o ordinanza di rimessione, con la quale contestualmente sospende il giudizio di fronte a sé,
aspettando che si pronunci la Corte.
Infatti, spetta al giudice formulare l’atto introduttivo e verificare la sussistenza dei due requisiti di:
- Rilevanza: ovvero, il giudice non può procedere oltre senza che venga risolta la questione di
legittimità costituzionale.
- Non manifesta infondatezza: mira a verificare che la questione di legittimità a prima vista abbia un
fondamento giuridico sufficientemente motivato, e dunque, per poter rimettere la questione alla
Corte, sarà sufficiente avere un dubbio sulla costituzionalità della legge o dell’atto avente forza di
legge da applicare al giudizio in corso e che questo dubbio sia motivato adeguatamente.
Qualora il giudice ritenga che questi requisiti sussistano, emette, appunto, un’ordinanza di rinvio
necessariamente motivata, con la quale sospende il giudizio principale fino alla pronuncia della Corte
costituzionale. Tale ordinanza di rinvio deve contenere:
- Un’intestazione, per fa capire alla Corte costituzionale che si trova di fronte ad un giudice a quo.
- Il numero di ruolo del procedimento, che serve per spiegare che il dubbio è nato nel corso di un
procedimento.
- La norma che si presume violi la Costituzione.
- Il parametro, quindi la norma costituzionale che si ritiene violata.
- Il giudizio di non rilevanza e di non manifesta infondatezza .
È importante dire che nel giudizio di costituzionalità vige il principio di corrispondenza tra chiesto e
pronunciato: cioè la Corte si pronunzierà esclusivamente su quello che le è stato comunicato e non su un
altro parametro poiché è un giudizio a parametro vincolato.
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IL GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE:
Il giudizio in via principale può essere proposto con ricorso da parte dello Stato contro leggi regionali o da
parte della Regione contro leggi statali o di altre Regioni. La legge statale o regionale deve essere
impugnata entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore. Questo tipo di procedimento è denominato in via
principale in quanto la questione di legittimità viene proposta direttamente con una procedura ad hoc e
non nel corso di un giudizio.
Il cittadino non può ricorrere direttamente alla Corte costituzionale in quanto gli unici organi che sono
abilitati ad adire la Corte costituzionale sono gli esecutivi di Stato, Regioni e Province autonome di Trento e
Bolzano (per le Regioni gli esecutivi sono le Giunte mentre per lo Stato l’esecutivo è il Governo).
Infatti, lo Stato può impugnare una legge regionale denunciandone qualsiasi violazione della Costituzione,
mentre le regioni e le province autonome possono soltanto fare valere un’invasione della propria sfera
della potestà legislativa, cioè possono impugnare una legge statale o un’altra legge regionale facendo
presente che quella legge ha invaso la propria competenza. Questo tipo di giudizio è volto a garantire la
ripartizione dalle competenze tra Stato e Regioni.
SENTENZE INTERPRETATIVE
Per quanto riguarda le sentenze interpretative, sappiamo che la norma affinché venga applicata ha
necessità di essere prima interpretata dall’operatore del diritto. L'attività dell'interprete è quella di
trasformare la sequenza di parole, quindi la disposizione, in una norma giuridica, quindi in un precetto.
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Innanzitutto, le sentenze interpretative hanno effetto solo inter partes. La Corte tramite queste sentenze
non va a valutare la norma in astratto, ma valuta la norma in concreto, cioè come è stata interpretata dal
giudice nell'ambito di quel determinato giudizio. Può succedere che non è tanto la disposizione in sé che è
contraria alla Costituzione, ma che è errata l’interpretazione che viene data dal giudice a quo: a questo
punto la Corte potrà rigettare la questione indicando al giudice quale sia l’interpretazione giusta, e quindi in
questo caso emetterà una sentenza interpretativa di rigetto. Se invece la giurisprudenza continua ad
avvalersi di un’interpretazione che la Corte, dopo una serie di sentenze interpretative di rigetto, continua
ad escludere, allora la Corte costituzionale pronuncerà una sentenza interpretativa di accoglimento, detta
anche sentenza adeguatrice, cosicché la Corte stessa potrà andare a colpire la norma ma non la
disposizione. La sentenza di accoglimento assume la funzione di vietare erga omnes la possibilità di ricavare
quella norma dalla disposizione impugnata.
Alla macro categoria delle decisioni di accoglimento sono poi riconducibili le cosiddette pronunce
manipolative, con cui la Corte effettua una modificazione o integrazione delle disposizioni oggetto del
sindacato (manipola il testo, appunto) e nell’ambito delle quali è ulteriormente possibile distinguere le
sentenze di accoglimento parziale, additive e sostitutive.
Sentenze di accoglimento parziale: il giudice elimina quelle parti della disposizione che la rendono
incostituzionale, lasciando in vita il resto della disposizione e dunque la Corte la dichiara illegittima
per una sola parte del suo testo.
Sentenze additive: sono quelle in cui la Corte dichiara l'illegittimità nella parte in cui la norma non
prevede qualcosa che invece era tenuta a prevedere e aggiunge la disposizione che manca per
renderla compatibile a costituzione.
Le sentenze additive a loro volta possono essere sentenze additive di principio o additive di
prestazione, le prime sono una guida per l’interprete in merito all’interpretazione che deve essere
data nell’applicazione della legge, alle seconde la Corte Costituzionale aggiunge una prestazione
quando si parla di diritti sociali, introducendo, nel tessuto normativo, una nuova prestazione o una
nuova categoria di beneficiari.
Sentenze sostitutive: sono quelle dove la Corte costituzionale sostituisce la parte della
disposizione, incompatibile con la Costituzione, con un’altra costituzionalmente corretta.
Per non invadere il campo delle scelte legislative la Corte può anche trattare le:
- Sentenze monito: sono quelle che la Corte costituzionale rivolge direttamente al legislatore al fine
di persuaderlo a compiere modifiche legislative che si muovano però all'interno dei criteri
individuati dalla stessa Corte. Un esempio è quello dell’ergastolo ostativo.
- Sentenze delega: sono quelle dove i giudici costituzionali stessi indicano al Legislatore qual è il
necessario contenuto che l'intervento deve avere poiché sia conforme a Costituzione.
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I PRINCIPI FONDAMENTALI – artt.1-12
I principi fondamentali vanno a conferire i diritti inviolabili della Repubblica nata con il referendum del
1946. Tutte le costituzioni hanno un nucleo di principi fondamentali perché la loro elencazione assolve una
duplice funzione: da un lato delinea le carte costituzionali e mette, chiunque la legge, a conoscenza di
com’è strutturato lo Stato, dall’altro invece è anche la cd. norma fondamentale di un ordinamento perché è
riconosciuta come il testo normativo che contiene tutti quelli che sono i principi basilari di quel patto
sociale che ha portato a quel determinato Stato.
La Corte costituzionale ha riconosciuto la sussistenza di veri e propri “principi supremi dell'ordinamento
costituzionale” desumibili non solo dagli artt. 1-12 ma dall'intera Parte I della Costituzione, cioè tutta la
parte che riguarda i diritti della persona.
ART. 1 – FORMA REPUBBLICANA E PRINCIPIO DEMOCRATICO
All'art.1 la disposizione delinea i due principi cardine che concorrono a determinare la nostra forma di Stato
e sono:
Il principio repubblicano, richiamato anche nell’art.139.
Il principio democratico-costituzionale: espresso in tutti e due i commi dell'art.1, poiché prima
afferma che l’Italia è una Repubblica democratica e poi ribadisce che la sovranità appartiene al
popolo.
Il popolo esercita la sua sovranità in due modi:
o In forma immediata: che sono tutti i diritti politici che vengono riconosciuti ai cittadini aggiunti agli
istituti di democrazia diretta.
o In forma mediata: ovvero quella a seguito delle elezioni, quindi nella rappresentanza politica
attraverso l'esercizio del diritto di voto.
Inoltre possiamo dire che l’esercizio della sovranità è vincolato, “alle forme e limiti della Costituzione”, e
questo vuol dire che in Costituzione vi sono una serie di norme la cui funzione è quella di garantire che il
principio democratico non degeneri nella tirannia della maggioranza. Infine, di primaria importanza è il
lavoro, come mezzo per garantire l'uguaglianza dei cittadini e permetterne lo sviluppo personale.
Art. 2 - DIRITTI INVIOLABILI E DOVERI INDEROGABILI
Dall’art.2 ricaviamo i caratteri supremi del nostro ordinamento che sono:
I. Il principio personalista: che riconosce il primato della persona umana e considera non soltanto la
dimensione individuale del singolo, ma il singolo come parte di un contesto e di una dimensione
sociale.
II. L'intangibilità dei diritti inviolabili: invece si divide in senso negativo dove lo stato ha l’obbligo di
astenersi da intromissioni arbitrarie sui limiti dei diritti umani, e in senso positivo dove lo Stato ha
l'obbligo di garantire un'adeguata tutela e promozione dei diritti inviolabili.
I diritti inviolabili sono infatti quelle posizioni giuridiche essenziali per qualsiasi forma di convivenza
associata e sono imprescindibili, per cui ogni modifica atta a limitarli non rappresenterebbe una semplice
revisione costituzionale ma una vera e propria rivoluzione dello Stato repubblicano.
Poi abbiamo:
III. Il principio pluralista: poiché l’art.2 riconosce i diritti inviolabili non solo all’individuo considerato
isolatamente ma anche “nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità”.
IV. Il principio di solidarietà e i doveri di solidarietà : che rientra nella seconda parte dell’art.2 e che
abilita il legislatore a porre dei limiti ragionevoli ai diritti individuali, in funzione di potere garantire
i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Quindi da un lato si ha il
riconoscimento dei diritti, dall’altro anche l'autorizzazione del legislatore a limitarli nel momento in
cui bisogna attuare il principio di solidarietà.
Infine, all’art.2 viene richiesto l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale che sono una categoria di obblighi previsti dalla Costituzione a cui nessun soggetto può sottrarsi
dall’adempimento e sono:
La difesa della Patria
Il dovere di contribuire, in rapporto alla propria capacità contributiva, alle spese dello Stato;
La fedeltà allo Stato;
Concorrere al progresso materiale e spirituale della società
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ART. 3 – PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA
L’art.3 sancisce il principio di uguaglianza che è la cosiddetta super norma ed è un principio generale che
condiziona tutto l'ordinamento. Dobbiamo distinguere tra:
principio di uguaglianza formale al comma 1: che dispone che tutti i cittadini sono uguali di fronte
alla legge e non possono essere riconosciuti pregiudizi o privilegi in base al sesso, alla razza, alla
lingua, alla religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali.
principio di uguaglianza sostanziale al comma 2: che si aggiunge all'uguaglianza formale ed è una
norma che non è destinata al singolo ma allo Stato e sancisce che è compito dello Stato rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l'uguaglianza dei
consociati.
ART.4 – PRINCIPIO LAVORISTA
L’art.4 sancisce il principio lavorista secondo il quale il lavoro rappresenta un valore centrale
dell'ordinamento, indirizzato verso la massima occupazione. Infatti è il primo diritto sociale dato che
costituisce la fonte privilegiata di sostentamento della persona e lo strumento irrinunciabile per la sua
affermazione sociale e per poter ambire ad una effettiva indipendenza ed autonomia. Il diritto al lavoro è
qualificato nella nostra Costituzione come diritto-dovere e si configura come diritto di libertà ovvero la
libertà di scegliere quale attività svolgere e come diritto civico in quanto il cittadino ha diritto ad esigere
dallo Stato la promozione delle condizioni che lo rendano effettivo, infine anche come dovere di solidarietà
che ciascun cittadino è tenuto ad adempiere per contribuire al progresso economico e sociale dello Stato e
della collettività.
ART. 5 – PRINCIPIO UNITARIO E PRINCIPIO AUTONOMISTA
L’art.5 pone in essere diversi principi:
-il principio unitario secondo cui “La Repubblica è una e indivisibile”, ed è la garanzia dell'inviolabilità
territoriale e politica della nazione da qualsiasi tipo di pericolo o di disgregazione che possa essere a livello
interno ed esterno. Pertanto va inteso come: preservazione dell’indirizzo politico generale del paese e
indivisibilità della Repubblica come limite assoluto a qualsiasi ipotesi di scorporazione.
-il principio autonomista invece comporta il riconoscimento e la garanzia delle Regioni e degli altri enti
territoriali minori.
Infine abbiamo il principio di sussidiarietà per cui le funzioni devono essere affidati alle autorità
territorialmente più vicine ai cittadini, poiché agli organi di grado superiore devono essere lasciate quelle
competenze che per loro natura non possono essere svolte localmente.
ART. 6 - TUTELA DELLE MINORANZE
L’art.6 riguarda il principio pluralista, ovvero quello del riconoscimento delle minoranze linguistiche che
viene visto come vero e proprio vincolo costituzionale dato dalla presenza di gruppi etnico-linguistici
all’interno del nostro paese. L'articolo quindi, oltre ad impedire qualsiasi forma di discriminazione basata
sull'appartenenza a minoranze linguistiche, dispone anche una tutela positiva con lo scopo di conservare il
patrimonio linguistico e culturale di queste minoranze.
ARTT. 7 E 8 – LA LAICITA’ INCLUSIVA
Nell'art.7 sono disciplinati i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica attraverso i patti lateranensi. Mentre,
nell'art.8 vi sono i rapporti tra lo Stato e le altre confessioni religiose che sono disciplinati dalle cosiddette
intese.
La laicità recepita dal nostro ordinamento è da intendersi in termini di inclusione e di cooperazione che lo
Stato ricerca attraverso il concordato per quanto riguarda la chiesa cattolica e il sistema delle intese per le
altre confessioni. Questo per realizzare al meglio il fine della valorizzazione di tutte le formazioni sociali.
I rapporti tra l'ordinamento statale e clericale sono regolati dai Patti Lateranensi, stipulati nel 1929. Essi
possono essere modificati solamente previo accordo tra i due ordinamenti oppure, in alternative, qualora
manchi un accordo, possono essere modificati mediante procedimento di revisione costituzionale.
L'art.8 sancisce innanzitutto l'uguaglianza di tutte le confessioni religiose di fronte alla legge. Il nostro
ordinamento permette dunque il pluralismo delle confessioni religiose offrendone pari tutela e per questo
motivo si parla di laicità inclusiva entro i limiti del rispetto dell'ordinamento giuridico.
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ART.9 – TUTELA DELLA CULTURA E DELL’AMBIENTE
L’art.9 riguarda la tutela della cultura e dell’ambiente. Nell'ordinamento costituzionale la cultura viene
intesa sia come bene giuridico materiale sia come libero insegnamento. Quindi la promozione del nostro
patrimonio culturale e artistico è un dovere costituzionale imposto alla Repubblica.
ARTT. 10 E 11 – LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO E I RAPPORTI INTERNAZIONALI
L’art.10 riguarda la condizione giuridica dello straniero mentre l’art.11 riguarda il ripudio della guerra.
I due articoli sono strettamente connessi perché da un lato vi è la condizione giuridica del non cittadino e
dall’altro lato vi è il rapporto dell’Italia con gli altri Stati esteri e con le altre organizzazioni internazionali.
Nell’art.10 viene introdotta una riserva di legge assoluta, poiché afferma che la condizione dello straniero è
regolata dalla legge in conformità alle norme dei trattati internazionali. Il comma 2 infatti delega la
legislazione ordinaria a regolare tale condizione in conformità alle norme e ai trattati internazionali.
Il comma 3 stabilisce invece che lo straniero al quale sia impedito, nel suo Paese d'origine, l’esercizio
delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiane, ha diritto d'asilo nel territorio italiano
secondo le condizioni prescritte dalla legge.
Infine, per quanto concerne il comma 4, viene vietata l'estradizione per motivi politici. Possiamo quindi
distinguere tra:
rifugiato politico, vale a dire chi vive nel fondato timore di venir perseguitato per motivi di razza,
religione, cittadinanza o appartenenza ad un determinato gruppo.
richiedente asilo, ovvero colui che non chiede solamente il soggiorno ma anche la protezione per
essersi sottratto agli organi di giustizia del Paese d'origine.
profugo, fuggito per motivi legati alla guerra, alla persecuzione o a calamità naturali.
La condizione giuridica dello straniero residente in Italia è protetta dalla previsione di una riserva rafforzata
di legge, quindi il trattamento giuridico può essere fissato soltanto dalla legge e non può essere meno
favorevole di quanto previsto nelle norme di diritto internazionale, sia consuetudinarie, sia pattizie.
Nell’art.11, come già detto, viene trattato il ripudio della guerra che viene accolto dal costituente come
reazione alle esperienze belliche della prima e seconda guerra mondiale.
La norma costituzionalizza il principio secondo cui l'Italia ripudia la guerra in tutte le sue forme, riferendosi
principalmente alla guerra offensiva, ammettendo quindi implicitamente la guerra difensiva in caso di
attacco militare da parte di una Forza straniera.
Infine l'articolo dispone che l'Italia accetta limitazioni di sovranità all'interno del proprio territorio solo se
necessarie al perseguimento della pace tra le Nazioni.
PLUS: spetta alle Camere il potere di deliberare lo stato di guerra e tale dichiarazione spetta al Presidente
della Repubblica.
ART. 12 – I “SIMBOLI” DELLA REPUBBLICA
L’art.12 espone i simboli della Repubblica. La collocazione della disposizione sulla bandiera nazionale
all'interno dei principi fondamentali va vista come particolarmente significativa in quanto si è inteso
sottrarla alla revisione di legge ordinaria.
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Ispezione: è un’attività che è volta a requisire le tracce di reato e durante questo genere di atto
deve essere salvaguardata la dignità ed il pudore del sottoposto, poiché necessita un accertamento
fisico.
Perquisizione Personale: che è un mezzo di ricerca di prove che Giudice e Pubblico Ministero
utilizzano per tentare di andare a ricostruire la verità di un determinato fatto. A differenza
dell’ispezione, è finalizzata a cercare il corpo del reato.
In questo caso si parla di una clausola aperta poiché il comma dice “né qualsiasi altra restrizione della
libertà personale”, quindi la Costituzione lascia libera la possibilità di introdurre altre forme di restrizione
della libertà.
Questo articolo inoltre contiene degli strumenti di garanzia della tutela della libertà personale e sono 3:
1. La riserva di legge: quando al comma 2 troviamo scritto “nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
La riserva di legge è quello strumento attraverso cui la Costituzione regola il concorso tra le fonti nella
disciplina di una determinata materia. Quindi, in questo caso la Costituzione ci dice che per limitare la
libertà è necessaria prima di tutto una legge.
2. La riserva di giurisdizione: che la troviamo al “se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria”
dato che solo l'autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi.
Quindi, non solo ci deve essere una legge che prevede quell’atto, ma ci deve essere un atto dell’autorità
giudiziaria che deve essere motivato.
3. L'obbligo di motivazione: che deve necessariamente accompagnare ogni provvedimento restrittivo
della libertà personale. Ma la Costituzione ha espressamente previsto che questa restrizione potrà
avvenire: “soltanto in casi eccezionali di necessità e di urgenza indicati tassativamente dalla legge”.
Queste tre condizioni devono essere presenti contemporaneamente.
Questi provvedimenti non hanno carattere definitivo ma provvisorio perché, una volta che l’autorità
giudiziaria li adotta, la Polizia dovrà darne comunicazione entro 48h e l’autorità giudiziaria dovrà poi
valutare se convalidare o meno il fermo nelle successive 48h. Se il Giudice (o il Magistrato) non convalida il
provvedimento, le misure si intenderanno revocate e prive di ogni effetto.
Tra i casi eccezionali citati dall’articolo possiamo includere le misure pre-cautelari, che sono:
1. L’arresto in flagranza: dove si procede nei confronti di colui che viene sorpreso nell’atto di
commettere un reato o che abbia commesso il reato e stia scappando.
2. Il fermo dell’indiziato: che può essere eseguito su un soggetto gravemente indiziato e si
presuppone che ci sia il pericolo di fuga.
Al comma 3 vengono citati i provvedimenti provvisori e dobbiamo fare riferimento all’art.25 Costituzione
perché parla di misure di restrizione della libertà personale che vengono giustificate da esigenze di
prevenzione. Si parla quindi di misure di sicurezza a cui nessuno può essere sottoposto se non nei casi e nei
modi previsti dalla legge. L’obiettivo di queste forme di prevenzione è quello di neutralizzare la pericolosità
del soggetto. Le misure di sicurezza si distinguono in:
Personali: che possono essere detentive come il carcere, o non detentive come la libertà vigilata.
Patrimoniali: ad es. la confisca di beni immobili ecc.
Queste differiscono dalle misure di prevenzione, perché non richiedono la condizione di commissione del
reato da parte del soggetto ma solo la sussistenza di specifici indizi di pericolosità individuati dalla legge.
Anche queste si distinguono in personali (ad es. divieto o obbligo di dimora in un determinato posto) e
patrimoniali.
Poi abbiamo le misure cautelari che sono ulteriori forme di restrizione della libertà personale e l’autorità
giudiziaria se ne può servire nel corso di indagini preliminari o durante la fase processuale per evitare che
possano essere occultate delle prove. Le misure cautelari possono essere anche reali e si ripercuotono sulla
facoltà di disporre liberamente dei propri beni, con la confisca o il sequestro.
Al comma 4 abbiamo il “trattato del detenuto e la funzione della pena”, il comma afferma che: “è punita
ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Questa previsione
si va a collegare con l’art.27 che afferma che: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità” perché la funzione delle pene è quella di tendere alla rieducazione del condannato.
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Infine, nell’ultimo comma troviamo la carcerazione preventiva secondo cui “la legge ne stabilisce i limiti
massimi”. Questo significa che il Costituente si è preoccupato della durata e della misura e attribuisce al
legislatore di prescrivere il limite massimo della carcerazione preventiva.
ART.14 – LIBERTÀ DI DOMICILIO
L’art.14 tratta la libertà di domicilio. Il domicilio è visto come il luogo più importante in cui il singolo
conduce la propria vita, anche all'interno del nucleo familiare. Questo articolo sancisce l’inviolabilità del
domicilio, infatti inizia dicendo: “il domicilio è inviolabile”. La libertà all'interno del proprio domicilio
costituisce una forma di espressione della libertà personale, è per questo che non possono essere eseguiti
sequestri, perquisizioni ed ispezioni se non nei modi e nei casi stabiliti dalle leggi. Quindi, le garanzie a
tutela dell’art.14 sono le stesse della libertà personale ovvero: la riserva di legge, la riserva di giurisdizione e
l’obbligo di motivazione.
Nel nostro ordinamento abbiamo diverse nozioni di domicilio:
La nozione civilistica implica, secondo il Codice Civile, che il domicilio di una persona sia “nel luogo
in cui ha stabilito la sede principale dei suoi interessi”, distinguendolo dalla residenza che è il luogo
dove la persona ha dimora abituale. Quindi domicilio e residenza possono non coincidere ma
entrambi hanno la caratteristica dell’unicità. Distinguiamo infine la dimora che indica il luogo dove
una persona soggiorna occasionalmente.
La nozione tributaria sarebbe il domicilio fiscale che è il luogo dove il soggetto svolge in modo
continuativo la sua principale attività.
La nozione penalistica fa riferimento all’abitazione o a qualsiasi altro luogo di privata dimora, cioè
tutto ciò che non fa parte del concetto civilistico.
La nozione costituzionale invece è più ampia e comprende non solo l’abitazione o i luoghi a questa
paragonabili, ma a qualunque luogo di cui legittimamente si dispone a titolo privato, anche se non
si tratta di una propria dimora (quindi un esempio potrebbe essere la stanza d’albergo).
La libertà domiciliare non spetta solo alle persone fisiche ma anche alle persone giuridiche o agli enti di
fatto e anche a tutte quelle formazioni sociali che vengono riconosciute dalla Costituzione.
ART. 15 - LA LIBERTÀ E SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA E DELLA COMUNICAZIONE
L’art.15 sancisce la libertà e segretezza della corrispondenza e della comunicazione. La loro tutela si
giustifica in quanto esse costituiscono forme di espressione della libertà personale. Quindi gli strumenti di
garanzia posti a tutela di questi diritti personali sono la riserva di legge, la riserva di giurisdizione e l’obbligo
di motivazione.
La libertà di corrispondenza offre la medesima tutela sia al mittente che al destinatario e quindi viene
assicurata la libertà del singolo di entrare in contatto con altri soggetti determinati, destinatari della
comunicazione. Nel concetto di forme di corrispondenza rientrano sia la comunicazione epistolare, che
telegrafica o telefonica, quindi si tratta di una clausola aperta che trova applicazione nei confronti di tutte le
innovazioni tecnologiche che permettano l'interazione tra due o più soggetti. Da qui parte il tema delle
restrizioni e, quindi, il sequestro della corrispondenza e delle intercettazioni. Inoltre in questo articolo
trova fondamento non esplicito anche il diritto alla riservatezza. In merito, nel 2OO3 è stato istituito con il
Codice della Privacy che contiene tutto ciò che soggetti che trattano dati sensibili devono sapere e fare.
ART.16 – LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO
L’art.16 tratta la libertà di circolazione e soggiorno che il costituente tutela come articolazione della libertà
personale. In particolare, si preoccupa di preservare i singoli dalla possibilità che tale libertà sia limitata per
motivi politici. L'articolo afferma che il cittadino può circolare e soggiornare liberamente nel territorio della
Repubblica salvo limitazioni della legge per motivi di sanità e sicurezza.
Inoltre, è riconosciuta la libertà di circolazione anche tutti i cittadini dell'Unione europea e non solo a quelli
italiani, dunque l’art.16 consente anche la libertà di espatrio cioè la libertà di entrare ed uscire dal
territorio della Repubblica senza nessun tipo di limitazione se non gli “obblighi di legge” come ad esempio
quello di munirsi di carta d’identità valida per l’espatrio o di passaporto.
Quella prevista in questo articolo non è una semplice riserva di legge ma è una riserva rinforzata per
contenuto poiché ha un determinato contenuto.
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ART.17 - LA LIBERTÀ DI RIUNIONE
L’art.17 disciplina la libertà di riunione che rappresenta una manifestazione della libertà personale dei
singoli attraverso la quale essi realizzano la propria personalità nel rispetto della sicurezza ed incolumità
altrui. La libertà di riunione, insieme alla libertà di associazione prevista dall’art.18, di associazione
sindacale prevista dall’art.39 e dalla libertà di associazione politica di cui all’art.49, costituisce il cosiddetto
sistema delle garanzie predisposte dalla Costituzione a tutela delle libertà collettive. Si tratta di quelle
libertà il cui esercizio presuppone il concorso di più soggetti che sono accumunati da un unico fine.
La dottrina, per riunione, ha definito “qualunque raggruppamento di una pluralità di persone che non abbia
il carattere della stabilità”, altrimenti sarebbe libertà di associazione. Quindi la riunione è estemporanea
mentre l'associazione presenta una stabile e duratura organizzazione.
Tecnicamente questa libertà è riconosciuta solo ai cittadini, ma se leggiamo l’art.17 in combinato disposto
con l’art.2 (principio di uguaglianza) e l’art.10 (condizione dello straniero), si capisce che è una libertà
estesa anche agli stranieri.
Come possiamo leggere abbiamo delle limitazioni alla libertà di riunione, ovvero, la riunione per potersi
svolgere deve farlo pacificamente e senza armi, e la violazione di uno di questi limiti comporta lo
scioglimento della riunione nel caso si tratti di una riunione pubblica o aperta al pubblico.
Infatti possiamo dire che la riunione può svolgersi in:
A. Luoghi privati: si intende tutti quegli incontri che si svolgono in luoghi dove hanno accesso solo i
soggetti col consenso del proprietario.
B. Luoghi aperti al pubblico: sono quelle riunioni in cui l’ammissione è consentita a determinate
condizioni, si svolgono in luoghi privati ma l'accesso può essere consentito con il possesso di
determinati requisiti.
C. Luoghi pubblici: ovvero il luogo in cui tutti possono liberamente accedere senza restrizioni di
numero. Per le riunioni in luogo pubblico è necessario il preavviso all’autorità di pubblica sicurezza.
Si tratta di preavviso e non di autorizzazione, perché serve all’autorità per gestire l’ordine pubblico.
ART. 18 – LA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE
L’art.18 sancisce la libertà di associazione, questo diritto è tutelato dal costituente in quanto espressione
della libertà personale e del diritto fondamentale che i singoli hanno di esternare la propria personalità
nelle formazioni sociali. Questa libertà si traduce nella garanzia offerta al singolo di organizzarsi
volontariamente con altri soggetti, nella forma di stabile collaborazione, allo scopo di perseguire interessi
comuni e dunque nella libertà di costituire un'associazione, di aderirvi o meno o di recedere da essa.
Quindi possiamo dire che gli elementi costitutivi dell’associazione, sulla base di questa definizione, sono:
La pluralità dei soggetti che la compongono.
Insieme di regole che disciplinano i comportamenti dei membri dell’organizzazione e che possono
essere scritte ma non necessariamente.
Organizzazione idonea a raggiungere il fine.
Un altro elemento che distingue la libertà di associazione da quella di riunione è:
Il vincolo giuridicamente rilevante: ovvero il fatto che i soggetti si associno per raggiungere un
determinato fine o scopo.
L’unico limite di carattere generale previsto dalla Costituzione si attiene al perseguimento di “fini che sono
vietati ai singoli dalle leggi penali”. Ovvero, la legge non può vietare all’associazione condotte che non siano
proibite anche ai singoli, quindi questa è una riserva di legge rinforzata. L’intento del costituente è quello di
assicurare all’organizzazione associativa una sfera di azione uguale all’attività dei singoli, quindi tutto quello
che è vietato all’individuo lo sarà anche per l’associazione.
Accanto alla libertà positiva di inserirsi in una associazione, l’art.18 riconosce altri aspetti di questa libertà
di associazione, ovvero la libertà negativa, cioè quella libertà di non aderire ad una determinata
associazione oppure di uscire da essa.
L’art.18 inoltre vieta espressamente anche le cd. associazioni segrete e paramilitari poiché è chiaro che
quelle segrete perseguano scopi illeciti, mentre per quanto riguarda quelle paramilitari il divieto scaturisce
dalla considerazione che in un regime democratico i fini politici vanno necessariamente perseguiti
attraverso un libero e pacifico dibattito.
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ARTT. 19 E 20 COST. - LA LIBERTÀ DI RELIGIONE E DI COSCIENZA
L’art.19 sancisce, insieme all’art.20, la liberà di regione a cui è accordata ampia tutela in quanto è
espressione della generale libertà personale. Le norme affermano implicitamente il principio di laicità
secondo cui lo Stato garantisce a tutti, cittadini e stranieri, di professare la propria fede qualunque essa sia,
senza che una religione sia privilegiata rispetto alle altre. Inoltre sancisce anche di propagandare la propria
fede, ovvero, ciascuno può portare a conoscenza di altri i propri ideali e le proprie informazioni per cercare
di convertire altre persone al proprio credo. Un limite in merito è stato introdotto dalla Corte di Cassazione
che ha affermato il divieto di coinvolgere i figli minori nel credo religioso al quale il genitore ha aderito.
È possibile professare il culto in modo privato o pubblico purché non contrasti il buon costume.
Infine, questi articoli si possono leggere in combinato disposto soprattutto con l’art.3 che vieta la
discriminazione per razza, lingue e religioni, e anche con l’art.2 che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo.
Inoltre il testo costituzionale, pur non menzionandolo esplicitamente, riconosce la libertà di coscienza,
ossia la libertà di credere o meno in un ente trascendente e di coltivare profonde convinzioni interiori e di
agire di conseguenza. Nello specifico l’art.20 riguarda le associazioni ecclesiastiche e afferma che nel nostro
ordinamento nessuno può sottrarsi al compimento dei propri doveri nei confronti dello Stato, quindi non è
possibile venir meno ai propri doveri costituzionali per colpa della religione.
ART. 21 - LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO
L’art.21 tratta la libertà di pensiero la cui tutela viene riconosciuta come un diritto il cui esercizio può
avvenire con ogni mezzo di diffusione. Però qui da un lato viene riconosciuto il diritto alla manifestazione
del pensiero mentre dall’altro viene riconosciuto il diritto al silenzio, ossia il diritto a mantenere la
riservatezza delle proprie opinioni, salvo sempre quanto previsto dalla legge in merito agli obblighi di
riferire notizie.
Infatti uno dei limiti è quello del buon costume, mentre altri limiti sono logici e impliciti, e quindi frutto di
interpretazione giurisprudenziale e dottrinale e prendono in considerazione beni e valori
costituzionalmente garantiti nel tempo.
Per quanto riguarda i limiti impliciti, questi derivano dalla necessità di tutelare altre libertà
costituzionalmente garantite che godono di pari dignità e tutela.
Dobbiamo attenzionare anche il lato attivo quanto il lato passivo: il lato attivo che fa riferimento alla
libertà di informare, il lato passivo che tutela tanto la libertà di essere informato quanto la libertà di
accedere alle informazioni.
Innanzitutto, possiamo vedere come al comma 2 prevede che: “La stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure”. Quindi viene escluso qualsiasi forma di consenso preventivo alla pubblicazione
degli stampati e, al fine di prevenire degli abusi, la Costituzione stessa prevede di procedere al sequestro
preventivo degli stampati, impendendone la diffusione.
Qui interviene non solo la riserva di legge, ma anche la doppia riserva, ovvero quella di giurisdizione, poiché
il sequestro è circondato da garanzie molto rigide:
I. Riserva di legge assoluta. Secondo cui il sequestro è possibile solo in due ipotesi:
“Nel caso di delitti per i quali la elegge sulla stampa lo autorizzi espressamente”
“Nel caso di violazione delle norme che la legge (sulla stampa) stessa prescriva per
l’indicazione dei responsabili” la stampa è infatti libera ma non può essere anonima perché
altrimenti si impedirebbe al danneggiato di far valere la responsabilità sull’autore.
II. Riserva di giurisdizione. Secondo cui il sequestro può essere disposto dal giudice, ma nel caso in cui
“vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria” può
anche provvedere la polizia.
ART. 22- IL DIRITTO ALLA CAPACITA’ GIURIDICA, ALLA CITTADINANZA E AL NOME
L’art.22 sancisce il diritto alla capacità giuridica, alla cittadinanza e al nome.
L’articolo afferma che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della
cittadinanza e del nome.” Quindi la Costituzione non soltanto riconosce e garantisce i diritti inviolabili della
persona ma si preoccupa anche di andare a tutelare alcuni aspetti che riguardano lo status del cittadino.
Per quanto riguarda il diritto al nome, esso è stato definito dalla Corte costituzionale come il segno
distintivo e identificativo della persona.
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ARTT. 23 E 53 - I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL DIRITTO TRIBUTARIO
L’art.23 sancisce i principi costituzionali del diritto tributario secondo cui le prestazioni costituiscono delle
limitazioni alla libertà personale, perciò il costituente stabilisce che solo la legge, per le garanzie che offre,
può imporle. Il nostro sistema tributario ha delle caratteristiche delineate in Costituzione e ci sono dei
principi fondamentali che nessuna legge del Parlamento può andare a modificare a meno che non si decida
di andare a modificare la Costituzione stessa. Questi principi fondamentali sono:
Dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale : questo principio si fonda
sull’obbligo di tutti i consociati di pagare le imposte e le tasse perché lo si fa sulla base di un dovere
di solidarietà di tipo economico per concedere a chi non ha la possibilità di lavorare i cosiddetti
servizi essenziali.
Principio di uguaglianza: per cui i cittadini essendo uguali di fronte alla legge sono tenuti al
pagamento delle tasse.
Principio della capacità contributiva: che richiede il concorso di tutti soggetti dell'ordinamento alle
spese pubbliche sulla base della loro capacità contributiva.
Principio della progressività: secondo il quale l'aliquota dei tributi aumenta in maniera più che
proporzionale rispetto all'aumentare della base imponibile.
Principio della legalità tributaria: che dice che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può
essere imposta se non in base alla legge”, quindi questo principio immette una riserva di legge e
sancisce che nessun tributo può venire introdotto con decreto legge del Parlamento, esso piuttosto
dovrà rifarsi ad una legge di delega e dunque sarà il Governo, in quanto organo tecnico, a legiferare
in materia e dunque ad introdurre delle nuove tasse o a modificare il sistema tributario.
Dall’art.23 si ricava inoltre la funzione di garanzia che avrà la norma a difesa della persona perché è la
norma che si pone come scudo di difesa della persona davanti ad eventuali attacchi della Pubblica
Amministrazione che richiede una tassa. Bisogna quindi distinguere tra due tipi di prestazione:
la prima considera prestazione personale l'imposizione al soggetto privato di un'attività che si traduce
nel dispendio di energie fisiche o intellettuali.
Invece le prestazioni patrimoniali consistono in prestazioni obbligatorie a carico del soggetto privato
che subisce una diminuzione del patrimonio.
Un’ulteriore distinzione che bisogna fare è quella tra:
Imposta: ha origine dal concetto di prestazione imposta, infatti è una prestazione patrimoniale
pecuniaria che viene imposta ad un soggetto che abbia una determinata capacità contributiva. Le
imposte si distinguono in: imposte dirette e indirette. Le imposte dirette vanno a colpire la ricchezza
del soggetto nel momento in cui viene prodotta (IRPEF), mentre le imposte indirette sono quelle che
incidono sul contribuente nel momento in cui spende (IVA).
Tassa: è il corrispettivo in denaro che è dovuto all'ente pubblico per uno specifico servizio che viene
richiesto dal privato, il quale ne usufruisce, e quindi deve pagare la tassa che è indipendente dal
principio della capacità contributiva.
Contributo: è un'entità tributaria che viene percepita dall'ente che impone il contributo ed è a carico
soltanto di determinati soggetti che ricevono dei vantaggi direttamente da quel determinato servizio
pubblico.
L’art. 53 stabilisce il limite delle prestazioni patrimoniali e afferma che “tutti sono tenuti a concorrere alle
spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Quindi l'onere fiscale deve essere distribuito fra
tutti i soggetti, cittadini e non, che producono reddito nel territorio italiano in base alla loro capacità
contributiva, che altro non è che l’esplicazione del principio di uguaglianza connesso all'onere tributario.
La Corte costituzionale ha definito il criterio della capacità contributiva come “l’idoneità economica del
contribuente a corrispondere la prestazione obbligatoria imposta”, quindi è l’attitudine economica del
singolo soggetto a concorrere alle spese pubbliche.
Un altro aspetto fondamentale è il criterio della progressività, il quale prevede un sistema tributario in cui
il carico fiscale cresce all'aumentare del reddito in maniera non proporzionale ma progressiva, quindi
l'aliquota dell'imposta aumenta in maniera più che proporzionale all'aumentare della base imponibile.
Inoltre, nel 2OOO è stato introdotto lo Statuto del contribuente che è diretto a garantire la correttezza
dell'applicazione delle norme tributarie e disciplina anche i rapporti tra contribuente e amministrazione.
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Mentre il Garante del contribuente è quel soggetto che ha il compito, sulla base di una richiesta del
contribuente, di fare da tramite con la pubblica amministrazione.
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ARTT. 41 A 47
Gli artt. 41-47 vanno ad individuare i principi fondamentali in materia economica, riguardano l’iniziativa
economica privata riconoscendola libera. Queste sono le norme dove maggiormente viene evidenziato il
compromesso di valori realizzato in materia economica dai costituenti.
La libertà di iniziativa, che è il reale motore dello sviluppo economico, è oggetto di espressa tutela e l’art.41
individua nel metodo della programmazione il principale strumento per una corretta armonizzazione
economica del Paese.
ART. 42 – PROPRIETA’ PRIVATA
L’art.42 invece riguarda la proprietà privata e afferma che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita
dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione
sociale e di renderla accessibile a tutti”. Al comma 3 troviamo i principi dell’espropriazione per cui “la
proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi
d'interesse generale”.
I DIRITTI POLITICI
diritto di voto;
diritto di elettorato attivo e passivo;
diritto di accesso agli uffici pubblici ed alle carche elettive;
i partiti politici; possibilità di associarsi ai partiti politici
il referendum;
La petizione;
L’iniziativa legislativa popolare;
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