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A PROPOSITO DI UN RECENTE SAGGIO SU WEBER E KAHLER


Author(s): Edoardo Massimilla
Source: Rivista di Storia della Filosofia (1984-) , Vol. 68, No. 3 (2013), pp. 553-564
Published by: FrancoAngeli srl

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A PROPOSITO DI UN RECENTE SAGGIO SU WEBER E KAHLER

di Edoardo Massimilla*

1. In un articolo dedicato alla polemica antiweberiana di Erich von Kahler, An-


dreas Greiert afferma giustamente che l’«attenzione» e il «rispetto» riservati dai con-
temporanei a Der Beruf der Wissenschaft (1920) consigliano un attento riesame di
questo testo per decenni pressoché dimenticato1. Proprio tale convinzione mi spinse,
nel 1996, a procurare una traduzione italiana dello scritto di Kahler2 e a proseguire poi
le ricerche su questo autore nel quadro di una più generale ricostruzione del dibattito
che fece seguito alla pubblicazione di Wissenschaft als Beruf3.
Non posso invece consentire con l’altra premessa del saggio di Greiert, secondo la
quale un’indagine che non si contenti di analizzare lo scritto di Kahler «come com-
mento critico di Wissenschaft als Beruf», ma cerchi di evidenziare i presupposti e i li-
miti delle sue argomentazioni commisurandole «alla concezione della scienza di We-
ber, da Kahler stesso chiamata in gioco», rappresenterebbe un «capovolgimento delle
prospettive di ricerca finora invalse»4. Nella monografia del 2000 Intorno a Weber ho
infatti cercato di elaborare un’interpretazione dello scritto di Kahler, ma anche degli
interventi di Curtius e di Scheler, di Salz e di Troeltsch, di Krieck, di Cohn e di Rickert
nella polemica su Wissenschaft als Beruf, muovendo dall’ipotesi che «proprio l’oppo-
sizione a Weber» fosse in grado di far «emergere con chiarezza l’intenzionalità ultima
che accomuna fra loro le posizioni di questi autori, che sono sì per tanti versi contra-
stanti, ma che si configurano tutte come tentativi di ricomporre – in maniera più o
meno tradizionale – un orizzonte ontologico unitario entro cui l’individualità sia dav-
vero in grado di vivere e prosperare. In ciò esse consentono con posizioni di poco suc-
cessive, e di ben altra levatura teorica [...] (penso ad esempio ad Heidegger), e dissen-
tono invece da Weber in consonanza col quale si potrebbe quasi affermare l’inverso, e
cioè che l’individualità può sì soccombere in un mondo razionalizzato e disincantato,
“in un tempo estraneo a Dio e senza profeti”, ma può anche vivere e prosperare come
mai è stato possibile fino ad ora»5. Peraltro – sebbene da un diverso punto di vista – la

* massimil@unina.it; professore di Storia della filosofia nell’Università «Federico II» di


Napoli.
1. Massimilla 2000, p. XXII.
2. Cfr. Kahler 1920, tr. it.
3. Cfr. Massimilla, 2000.
4. Greiert 2012, p. 1.
5. Massimilla 2000, p. XXII. Su questo aspetto delle mie ricerche cfr. Conte 2009.

Rivista di storia della filosofia, n. 3, 2013

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554 Edoardo Massimilla

medesima idea di assumere la concezione weberiana della scienza non solo come og-
getto di discussione ma in primo luogo come punto di riferimento per un’adeguata col-
locazione teorica e storico-culturale delle tesi dei suoi interlocutori è anche al centro
della più recente monografia di Richard Pohle Max Weber und die Krise der Wissen-
schaft6.
Naturalmente, perché l’operazione riesca, è necessario sottrarre, «almeno per un
momento, le pagine straordinarie di Wissenschaft als Beruf a quella esistenza iconica e
intemporale che pure esse, per molti aspetti, meritano», e farsi più in generale consa-
pevoli che non è dato cogliere la posizione filosofica di Weber in tutta la sua radicalità
senza fare i conti con «il Weber uomo e interprete del proprio tempo» che «è poi l’u-
nico Weber realmente esistito»7. Da questo punto di vista la prima parte del saggio di
Greiert (dedicata specificamente a Weber) presenta, a mio parere, qualche limite.
Certo, quando tratta delle riflessioni weberiane sulla logica delle scienze della cul-
tura e del convincimento di Weber che la scienza «non può mai insegnare a nessuno
ciò che egli deve, ma può insegnargli soltanto ciò che egli può e, in determinate circo-
stanze, ciò che egli vuole»,8 Greiert mostra di intendere che le indagini sulla scienza di
Weber non vanno lette come il torso di un’incompiuta (ancorché grandiosa) Wissen-
schaftslehre poiché non possono essere capite separandole dalla sua «diagnosi pratica
circa il presente».9. Separandole cioè: dal tema complicato dell’evenienza del «disin-
cantamento del mondo» e del «politeismo dei valori» di cui la scienza è insieme un
momento e una causa motrice; dall’enorme «problema della mancanza di guida» (a
tutti i livelli) che tale evenienza comporta; e dall’«avvio di risoluzione»,10 suggerito da
Weber, del suddetto «problema di vita», facente perno sulla Gesinnung del singolo che
«deve decidere quale sia per lui il dio e quale il diavolo»11 e che, grazie all’apporto
dell’uomo di scienza, può farlo (se vuole) in maniera più chiara, informata e responsa-
bile12.
Ma l’immagine di un Weber storicamente restituito all’effettivo spessore dei suoi
problemi risulta sfocata quando Greiert si propone di delineare la concezione weberia-
na della conoscenza scientifica in rapporto a quella dei suoi interlocutori ideali e reali.
Quando ad esempio si legge che «Weber ha modificato la comprensione dell’oggetti-
vità storica trasferendo la svolta copernicana di Kant alla conoscenza storica», oppure
che «Weber ha trasformato l’attributo “oggettivo” da una categoria ontologica ad una
categoria soggettivo-trascendentale»,13 il kantismo di Weber appare assimilato a quel-
lo delle coeve posizioni neokantiane, le quali peraltro non vengono mai esplicitamente
richiamate dal saggio (il nome di Rickert non ricorre nemmeno una volta), tranne che
in una nota, ma al fine, appunto, di attribuirle a Weber senza ulteriori distinguo14.

6. Cfr. Pohle 2009.


7. Tuccari 2009, p. 237.
8. Weber 1988b, p. 151; tr. it., p. 153.
9. Greiert 2012, p. 2.
10. Ibidem.
11. Weber 1992, pp. 100-101; tr. it., p. 30. Cfr. Greiert 2012, p. 8.
12. Cfr. Weber 1992, pp. 103-104 (tr. it., pp. 33-34) e Greiert 2012, p. 7.
13. Greiert 2012, pp. 4-5. Ma cfr. anche ivi, p. 5, ove si legge che in base al «nuovo con-
cetto di oggettività storica» propugnato da Weber «le forme e le strutture logiche di collega-
mento restano gli unici vincoli possibili» di fronte al variare storico-culturale dei contenuti.
14. «Sul fondamento del suo rifiuto (neokantiano) di riconoscere una dignità conosciti-
va all’Erleben immediato, Weber ha [...] espressamente ricusato posizioni ascrivibili alla
Lebensphilosophie» (ivi, p. 10, n. 57).

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A proposito di un recente saggio su Weber e Kahler 555

Per converso Greiert contrappone frontalmente la posizione di Weber – per il qua-


le «la nozione di oggettività non designa più la verità della realtà ma la correttezza di
un’affermazione sulla realtà» – all’«ingenuo realismo» proprio della «tradizione dello
Historismus»15: «La rottura radicale di Weber con il pensiero metafisico della storia
proprio dello Historismus diviene persuasivamente chiara laddove egli respinge come
“ingenuo” il postulato sostenuto da Ranke d’una immedesimazione in una realtà pree-
sistente la quale, nella sua fattualità, dovrebbe essere restituita “così come è effettiva-
mente accaduta”»16. A tale riguardo voglio appena far cenno alla circostanza che sono
da tempo disponibili interpretazioni diverse e molto accreditate del celebre wie es ei-
gentlich gewesen ist di Ranke, la cui opera di storico può essere letta, dal punto di vi-
sta filosofico, come un momento importante dello sviluppo dello Historismus e della
sua specifica forma di kantismo, di matrice antropologica e humboldtiana, alla quale
Weber stesso era tutt’altro che estraneo17. Desidero invece sottolineare che nel passo al
quale Greiert si riferisce, tratto dalla prima parte delle Kritische Studien18, Weber evi-
denzia senz’altro «quanto poco sia corretta [...] la popolare e ingenua concezione che
la storia rappresenti una “mera” descrizione di realtà preesistenti, o una semplice ripro-
duzione di “fatti”»19, ma non fa alcun riferimento a Ranke. Né mi sembra plausibile
sostenere che egli lo abbia implicitamente in mente, giacché nei cosiddetti “saggi me-
todologici” dei primi anni del Novecento i riferimenti espliciti a Ranke non mancano,
ma sono di natura ben diversa. Basti pensare alla pagina finale del saggio sull’“ogget-
tività” conoscitiva ove Weber afferma che tra gli storici Ranke possedeva in massimo
grado quella «genuina capacità artistica» che «si manifesta di solito proprio come ca-
pacità di creare qualcosa di nuovo mettendo in relazione fatti noti con punti di vista an-
ch’essi noti»20. Oppure alla seconda sezione del saggio su Roscher e Knies ove Weber,
discutendo le teorie di Gottl, scrive dapprima che «il ruolo che la [...] fantasia storica
(o, più in generale, interpretativa) svolge nell’“inferenza” di processi storici è identico
a quello che spetta all’“immaginazione matematica” sul terreno della conoscenza fisi-
ca», asserisce poi che «la verifica delle ipotesi così ottenute – poiché di esse si tratta in
entrambi i casi – costituisce un processo [...] non diverso in linea di principio», ed infi-
ne aggiunge: «Ranke “decifrava” le connessioni storiche nello stesso modo in cui
l’“arte dell’esperimento” di Robert W. Bunsen veniva di solito ammirata come il fon-
damento dei suoi specifici successi».21 Affermazioni, queste, che sono ben poco com-
patibili con l’immagine di un Ranke vessillifero dell’ingenua concezione della cono-
scenza storica come mera descrizione di realtà preesistenti22, di un Ranke che – per
dirla con Croce – «sarebbe dovuto passare attraverso quella filosofia moderna dalla

15. Ivi, p. 3 e p. 5.
16. Ivi, pp. 3-4.
17. Mi limito qui a rimandare alle decennali indagini sulla storia e sulla teoria dello sto-
ricismo di Fulvio Tessitore.
18. Cfr. Greiert 2012, p. 4, n. 16.
19. Weber 1988c, p. 237; tr. it., p. 231.
20. Weber 1988b, p. 214; tr. it., pp. 207-208.
21. Weber 1988a, p. 98; tr. it., p. 94. Ma cfr. anche Weber 1988c, p. 278; tr. it., p. 268.
22. Ranke è anche richiamato nella prima sezione del saggio su Roscher e Knies
(1903). In tale contesto il «maestro» di Roscher gioca il ruolo del grande oppositore del
«panlogismo hegeliano», convinto che «i problemi metafisici» non possano «essere risolti
sul terreno della storia empirica». Cfr. Weber 1988a, pp. 16-22; tr. it., pp. 20-25. Nello stes-
so senso cfr. anche Weber 1988c, p. 225; tr. it., p. 220.

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556 Edoardo Massimilla

quale si ritraeva schivandola»23. E d’altra parte, la centralità della nozione di Zusam-


menhang nella concezione weberiana delle “scienze di realtà” – centralità sulla quale
(sebbene con qualche incertezza) insiste anche Greiert24 – non porta forse a piena con-
sapevolezza logica l’idea rankiana della «scienza storica» che, «nel suo sviluppo auto-
nomo, è chiamata ed idonea a sollevarsi dalla ricerca e considerazione dell’elemento
singolo [...] alla conoscenza della connessione che esiste oggettivamente negli even-
ti»25?

2. La seconda parte del saggio di Greiert, dedicata nello specifico a Kahler, è inte-
ramente dominata da una condivisibile preoccupazione ribadita anche nelle pagine
conclusive del lavoro: posta a confronto con la concezione weberiana della scienza che
risulta «ancora oggi attuale»26, con «l’appello di Weber in favore dello scienziato inte-
so come partner e non come guida»27 nel quadro della già richiamata idea che il singo-
lo debba decidere in autonomia assumendosi la responsabilità delle proprie convinzio-
ni, la “nuova scienza”, che – in conformità a uno stile argomentativo proprio del Geor-
ge-Kreis – Kahler contrappone alla “vecchia scienza” di Weber e alla sua confessata
inadeguatezza a dirci come dobbiamo vivere, è essa stessa veramente “vecchia” e
«anti-moderna»28, e come tale «has to be clearly repudiated»29. E deve esserlo insieme
al suo programmatico antikantismo, ai suoi non indagati presupposti ontologici e reali-
stici, alle sue oscure argomentazioni lebensphilosophisch e naturphilosophisch, ro-
mantiche e neo-gnostiche; insieme al suo rifiuto del politeismo dei valori weberiano in
nome del politeismo antico nel quale «non erano i diversi atteggiamenti fondamentali e
di principio a dettar legge, ma la vita univoca di quel luogo e di quell’ora, e ci si reca-
va dal sapiente per apprendere la sola e unica possibilità, la legge che è l’unico desti-
no, il dio di quella particolare ora e di quel particolare luogo»30; insieme alla sua con-
figurazione esoterica ed elitaria in ragione della quale l’autonomia non è una possibi-
lità aperta a tutti ma soltanto al Wissenschaftler als Führer; e – da ultimo, ma non per
ultimo – insieme alle sue perniciose derive politiche in cui modi di sentire appartenen-
ti al «“vecchio conservatorismo del diciannovesimo secolo”» e alla sua «“angoscia di
fronte alla modernità”»31 si fondono con motivi propri della «rivoluzione conservatri-
ce»32 dei primi decenni del ventesimo secolo, quali la decisa contrarietà alla democra-
zia parlamentare in cui i partiti «conducono una sterile e inutile battaglia sul corpo vi-
vente del popolo»33 o la convinzione che il nuovo essere umano di cui la Jugend tede-

23. Croce 2007, vol. I, p. 271.


24. Cfr. Greiert 2012, p. 4: «Per Weber la conoscenza storica è non già riproduzione di
fatti ma costruzione della connessione, e la realtà storica nel suo complesso è un “cosmo, in
sé privo di contraddizioni, di costruzioni pensate”». Tuttavia nel passo del saggio sull’“og-
gettività” conoscitiva richiamato da Greiert Weber non attribuisce tale definizione alla
realtà storica, bensì alla «teoria economica astratta» e, in genere, a ogni «quadro concettua-
le» tipico-ideale (Weber 1988b, p. 190; tr. it., p. 187).
25. Ranke 1985, p. 288.
26. Greiert 2012, p. 17.
27. Ivi, p. 15.
28. Ivi, p. 14.
29. Ivi, p. 1 (Abstract).
30. Kahler 1920, p. 27; tr. it., p. 88.
31. Greiert 2012, pp. 14-15.
32. Ivi, p. 17.
33. Kahler, 1920, p. 38; tr. it., p. 101.

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A proposito di un recente saggio su Weber e Kahler 557

sca del dopoguerra rappresenterebbe l’aurora potrà venire alla luce solo se la Germania
saprà affidarsi a una dirigenza pensata sul modello dei filosofi-reggitori della politeia
platonica.
Ancora una volta però, mosso dall’urgenza di prendere partito in favore di Weber e
contro Kahler, Greiert mostra qualche insofferenza nei confronti della necessità di uti-
lizzare e mettere alla prova le proprie ipotesi interpretative in vista di una più detta-
gliata determinazione storiografica del suo oggetto di studio. E così, poiché l’assoluta
dipendenza di Kahler dagli «assiomi fondamentali del George-Kreis»34 appare a
Greiert indispensabile per sostenere la propria tesi, egli considera «inquietante e
confondente» (irritierend) la divergenza tra l’opinione dei contemporanei di Kahler
(come Troeltsch o Scheler), per i quali era ovvio che questi portasse sic et simpliciter
ad espressione le posizioni del “sacro circolo”, e il risultato delle indagini più recenti
che tendono (erroneamente!) a rimarcare l’esistenza di «differenze decisive tra l’argo-
mentazione di Kahler e quella del George-Kreis»35. Poiché Greiert mi ritiene il princi-
pale sostenitore di quest’ultima tesi36, debbo subito sottolineare che non ho mai consi-
derato “decisive” le differenze, che pure esistono, tra le posizioni di Kahler e quelle ti-
piche del circolo di George37. E tuttavia mi sembra difficile asserire che le attestate
perplessità di George nei confronti di Der Beruf der Wissenschaft non fossero per nul-
la connesse a quanto Gundolf dice in una lettera a Kahler dell’ottobre 1920 (e cioè alla
convinzione che Kahler esponesse la neue Wissenschaft al rischio di divenire anch’es-
sa “sterile” sottovalutando il contributo delle singole personalità “poietiche” alla crea-
zione della nuova umanità tedesca ed europea prossima ventura e del suo nuovo sape-
re), ma soltanto, come pensa Greiert, al dispetto del Maestro per il fatto che «Kahler
non sostiene mai in modo esplicito il punto di vista secondo cui con George sarebbe
già vivo e presente un Uomo Nuovo»38. E ciò non certo a causa di un’affermazione
epistolare di Kahler circa la non coincidenza tra il suo modo di pensare e quello del
George-Kreis39 che va effettivamente presa con molta cautela nella misura in cui più di
quarant’anni (e quali anni!) la separano dalla pubblicazione di Der Beruf der Wissen-
schaft40.
Occorre piuttosto considerare ciò che Kahler stesso dichiara nel saggio del 1920.
«Il nuovo sapere [...] – egli scrive – può essere soltanto scienza in un senso insieme
vecchio e nuovo, in un senso in grado di rifondere la materia e l’estensione di quella
che finora veniva denominata scienza nella forma antichissima ed eterna che è la sola e

34. Greiert 2012, p. 1 (Abstract).


35. Ivi, p. 9.
36. Cfr. ivi, p. 10. Ma si veda anche ivi, p. 9, n. 53, ove Greiert rimanda a Massimilla
2010, pp. 52 ss. e a Fried 2004, pp. 269 ss.
37. «Non c’è dubbio che Der Beruf der Wissenschaft rappresenti – come subito si ac-
corse Troeltsch – uno dei documenti più significativi e insieme più espliciti del modo in cui
la “nuova scienza” era generalmente concepita nel George-Kreis» (Massimilla 2010, p. 51).
Ma cfr. anche ivi, pp. 43-50. Greiert stesso rimanda a queste pagine a sostegno delle proprie
tesi (cfr. Greiert 2012, p. 12, n. 74).
38. Ivi, p. 12.
39. In una lettera a Michael Landmann del gennaio 1963 Kahler scrive: «Né il mio pro-
cedere oltre le configurazioni dei grandi uomini in direzione degli organismi sovraindivi-
duali e collettivi, e neanche le mie concezioni e i miei piani per una radicale trasformazione
della scienza furono sostenuti dal modo di pensare di fondo del George-Kreis» (cit. in Kiel
1989, p. 40).
40. Cfr. Greiert 2012, p. 10.

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558 Edoardo Massimilla

unica a poter essere chiamata sapere»41. Ciò significa che Kahler non riteneva possibi-
le un ritorno puro e semplice a forme di sapienza artistica o religiosa che pretendano di
aggirare il lavoro demolitorio ma insieme preparatorio della scienza razionale moder-
na. Certo, con tali forme di sapienza il nuovo sapere avrà «la più intima parentela»,
nella misura in cui la vera arte e la vera religiosità si sviluppano sempre «dal centro di
una formazione organica» e si esprimono «in opere plastiche e organiche viste, visibili
e conchiuse, e non già in frammenti di fatti e di calcolabilità»42. E tuttavia, per l’enor-
me estensione e pluralità di «ciò che deve essere saputo» (ossia della nuova formazio-
ne organica), il nuovo sapere «non potrà più consistere di verità di pura fede»43 confi-
gurandosi in maniera mitico-personale. Per lo stesso motivo esso «non può neanche as-
sumere una configurazione simbolica»44 e presentarsi come poesia. Infatti il «dichten»
[poetare], qualsiasi sia il suo effettivo valore, non riesce più a «ver-dichten» [conden-
sare] efficacemente «spazi» ormai divenuti «troppo grandi», ed è perciò inevitabilmen-
te destinato ad essere visto come qualcosa di meramente «soggettivo», incapace di «far
leva [...] sul perimetro complessivo della nostra vita odierna»45. Nel processo di deter-
minazione del nuovo sapere perde quindi ogni valore risolutivo il riferimento all’uomo
grande, all’eroe, al poeta, e dunque anche a George stesso che pure Kahler celebra in
Der Beruf der Wissenschaft come «quell’alta figura dal cui mutamento vivente traiamo
ai nostri giorni conforto e rinvigorimento per questa nostra impresa»46. Al pari della
vecchia scienza, la nuova scienza dovrà piuttosto «porre alla propria base una comu-
nità sovrapersonale improntata alla cooperazione nonché una rigorosa disciplina sovra-
personale. Bisognerà che ci siano molti spiriti che dovranno assumere su di loro e divi-
dere fra loro, in un unico senso, questo gigantesco lavoro; bisognerà che ci sia un
modo di procedere e di verificare pianificato in maniera molto determinata, vale a dire
un metodo stabilito che guida questo lavoro, il quale non deve essere più compiuto in
nessun altro modo e [...] deve essere salvaguardato dall’arbitrio dilettantistico»47.
Mi sembra che questi riferimenti testuali mostrino come le differenze percepite da
George (e da Gundolf) tra le idee di Kahler e quelle del Kreis non siano del tutto ri-
conducibili a una “questione personale”. Che il sereno riconoscimento di questo dato
di fatto non implichi per forza (come paventa Greiert) una rivalutazione di Kahler con-
tro Weber, lo mostra, meglio di ogni altro, proprio Arthur Salz48, l’amicus di Kahler
(ma magis amica veritas!) che, dopo la pubblicazione di Der Beruf der Wissenschaft,
prese prontamente le difese di Weber49. Salz stigmatizza con forza la natura aristocra-

41. Kahler 1920, p. 60; tr. it., p. 126 (il secondo corsivo è mio).
42. Ivi, p. 65; tr. it., p. 132.
43. Ivi, p. 60; tr. it., p. 126.
44. Ivi, p. 65; tr. it., p. 132.
45. Ivi, p. 65; tr. it., pp. 132-133.
46. Ivi, p. 65; tr. it., p. 132.
47. Ivi, p. 66; tr. it., p. 133.
48. Questa poliedrica figura di economista, che incrocia trasversalmente tanto il circolo
di George che quello di Weber, è una testimonianza di quanto sappia essere irritierend la
storia della cultura, con la sua congenita insofferenza verso le classificazioni troppo rigide.
49. Nell’“Avvertenza preliminare” alla propria «discussione critica» del saggio di Kah-
ler Salz scrive: «Fa parte delle delusioni di cui la vita abbonda che un’amicizia pluriennale
e molto provata non sia di tutela contro la diversità delle opinioni su questioni fondamenta-
li. Ma ci sono questioni concernenti il sapere che sono questioni di coscienza e il loro oc-
cultamento non giova ad un’amicizia. Amicus Plato, magis amica veritas» (Salz 1921, p. 5;
tr. it., p. 65).

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A proposito di un recente saggio su Weber e Kahler 559

tica, esoterica, romantica, antimoderna e, in ultima istanza, “magica” della neue Wis-
senschaft di Kahler50. Tuttavia ciò non gli impedisce di riconoscere «i tentativi di Kah-
ler di riconciliare questo suo sapere fondato sulla visione [...] con la scienza levitica e
universale del pensiero comune»51. Anzi, proprio il preciso riconoscimento di tali ten-
tativi di riconciliazione suscita in lui una posizione di diniego ancora più radicale. Salz
ritiene infatti che essi vadano decisamente respinti non solo perché «incomprensibi-
li»52, ma anche perché in palese contrasto con l’autodeterminazione stessa della nuova
scienza. «È un’asserzione intellettualistica indice di un crasso razionalismo e tale da
travalicare tutta la tendenza moderna all’intellettualismo quella secondo la quale que-
sto sapere, che pone la grazia al posto della ricerca, la consacrazione al posto dell’ap-
prendimento, la vocazione al posto della professione [...], debba poi essere pensato
come insegnabile e trasmissibile in base a disposizioni metodiche, ossia come oggetto
di una formazione scolastica. Nell’ultima parte del suo scritto Kahler offre perfino in-
dicazioni pedagogiche circa il modo e le categorie con le quali la nuova scienza deve
lavorare, indicazioni che, giusta la caratterizzazione della nuova scienza, non possono
coerentemente essere null’altro che disposizioni o prescrizioni circa il modo di diveni-
re un genio o di imparare a compiere incantesimi»53.

3. Greiert sostiene anche che «la vicinanza di Kahler al romanticismo anti-moder-


no» risulta evidente se si prendono in considerazione i «suoi positivi riferimenti alla
Naturphilosophie» che sono in contrasto con alcune argomentazioni sviluppate da We-
ber in Wissenschaft als Beruf54. Egli richiama a tale proposito il brano della conferen-
za nel quale Weber misura la distanza che intercorre tra l’odierna percezione della co-
noscenza scientifica e l’idea seicentesca di adoperare le scienze della natura al fine di
provare l’azione efficace della provvidenza divina e di gettar luce, per questo tramite,
sul senso del mondo. Allora, «nelle scienze esatte della natura, dove si poteva cogliere
fisicamente l’opera di Dio, là si sperava di rintracciare le sue intenzioni riguardo al
mondo. E oggi? Chi crede oggi ancora – all’infuori di alcuni grandi fanciulli, quali si
possono trovare proprio nelle scienze della natura – che le conoscenze dell’astronomia
o della biologia o della fisica o della chimica possano insegnarci qualcosa sul senso del
mondo, o anche soltanto sulla via per la quale si possa rintracciare un tale “senso”,
dato che ce ne sia uno? Esse sono semmai adatte a soffocare alla radice la fede che vi
sia qualcosa come un “senso” del mondo».55 Ebbene, secondo Greiert è proprio a “fan-
ciulli” di questo genere che Kahler fa riferimento quando asserisce che «biologi» come
Oscar Hertwig e Jacob von Uexküll «si sono spinti fino a un grado di conoscenza del
vivente che purtroppo, quasi senza alcuna eccezione, non troviamo ancora in coloro
che trattano i cosiddetti ambiti “culturali”»56.
Si aprirebbe qui il problema di stabilire in quale misura le importanti indagini spe-
rimentali dell’embriologo Oscar Hertwig o la nozione di Umwelt elaborata da Jacob
von Uexküll (uno dei padri dell’etologia novecentesca) possano essere ricondotte alla
Naturphilosophie romantica o addirittura rubricate come esemplificazioni del modo di

50. Cfr. Greiert 2000, p. 13.


51. Troeltsch 1925, pp. 674-675; tr. it., p. 43.
52. Ivi, p. 675; tr. it., p. 43.
53. Salz 1921, p. 29; tr. it., p. 90.
54. Greiert 2000, p. 14.
55. Weber 1992, p. 92; tr. it., pp. 21-22.
56. Kahler 1920, p. 79; tr. it., p. 148.

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560 Edoardo Massimilla

pensare dei «grandi fanciulli» menzionati da Weber57. Tuttavia, a prescindere da ciò,


Greiert ritiene – a ragion veduta – che la «valutazione» di questi autori operata da Kah-
ler si fondi in ultima istanza su di un «realismo metaforico molto problematico» che
tende ad applicare categorie di matrice biologica al mondo storico-culturale58. E però
egli sottolinea anche «la vicinanza» di questo realismo metaforico, che contraddistin-
gue le argomentazioni lebensphilosophisch di Kahler e del circolo di George, al «reali-
smo ingenuo dello Historismus classico»59 (al quale, come ricordiamo, il “neokantia-
no” Weber si sarebbe strenuamente opposto). In Der Beruf der Wissenschaft un simile
rapporto di vicinanza, e in fondo di filiazione, tra la prima e la seconda forma di reali-
smo sarebbe attestato dal fatto che, subito dopo essersi riferito a Hertwig ed a von
Uexküll, Kahler menziona Burckhardt e Dilthey come precursori della neue Wissen-
schaft nell’ambito delle cosiddette “scienze della cultura”60.
Di fronte a queste ultime considerazioni – che sembrano rinnovare lo schema se-
condo cui lo storicismo ottocentesco sarebbe il diretto progenitore dell’“irrazionalismo
vitalistico” del novecento e dei mostri che quest’ultimo ha generato – mi limito a nota-
re tre cose. In primo luogo che Dilthey si presta ancor meno di Ranke ad essere assun-
to come rappresentante di una concezione ingenuamente realistica del divenire storico.
In secondo luogo che, chi volesse davvero far perno sulla «lista piuttosto variopinta»61
degli «autori di riferimento»62 menzionati da Kahler, sarebbe costretto a rilevare che di
questa lista fa parte anche Cassirer63, un nome in grado di porre non pochi problemi
alle tesi interpretative di Greiert. In terzo luogo che, con sottile malizia, Salz utilizza
proprio le grandi indagini di Burckhardt e specie di Dilthey sull’Europa del Cinque e
del Seicento quando traccia una storia della genesi e dello sviluppo della scienza mo-
derna in relazione al suo contesto sociale e culturale di insorgenza che è alternativa ri-
spetto a quella schizzata da Kahler, secondo il quale la scienza moderna sarebbe sol-
tanto l’espressione (sul piano del sapere) di una lunga e dolorosa fase di trapasso tra
una formazione organica che non è più (l’umanità ellenica e le sue modificazioni nel-
l’ecumene romano e cristiano) e una formazione organica che non è ancora (l’umanità
tedesco-europea prossima ventura)64.

4. Come ho accennato in precedenza, Greiert sottolinea con forza l’inquietante rica-


duta politica delle posizioni teoriche di Kahler. L’idea del «popolo tedesco come model-
lo per l’intera umanità»65, idea della quale sono intrise le pagine di Der Beruf der Wis-
senschaft, porta infatti ad espressione «un topos generalmente proprio delle forze politi-
che di destra degli anni Venti legate all’ideale di una rivoluzione conservatrice»66. Que-
sto fatto è talmente palese che perfino chi scrive «deve per forza riconoscerlo»67.

57. Greiert rimanda a tale proposito a Lauer 1995, pp. 240-246 ove però la questione
viene affrontata in modo più prudente ed articolato.
58. Greiert 2000, p. 14.
59. Ibidem.
60. Cfr. Kahler 1920, p. 79; tr. it., p. 148. Kahler non aveva alcuna simpatia per il «con-
cetto collettivo di “cultura”», che considerava «vecchio, vago e indeterminato» (ibidem).
61. Troeltsch 1920, p. 59; tr. it., p. 38.
62. Greiert 2000, p. 14.
63. Cfr. Kahler 1920, p. 79; tr. it., p. 148.
64. Su questo aspetto della replica di Salz a Kahler rimando a Massimilla 2000, pp. 112 ss.
65. Greiert 2000, p. 12.
66. Ivi, p. 12, n. 71.
67. Ibidem.

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A proposito di un recente saggio su Weber e Kahler 561

In realtà, lungi dal riconoscere di malavoglia tale circostanza, ho addirittura cerca-


to di approfondirla mettendo in rilievo che «negli anni del primo dopoguerra» erano
davvero «molti» i «punti di convergenza»68 tra le posizioni dell’ebreo Kahler (costret-
to a riparare prima in Austria, in Cecoslovacchia e in Svizzera e poi negli Stati Uniti
per sfuggire al nazismo) e quelle di un altro dei critici di Weber, Ernst Krieck, il peda-
gogo autodidatta che, nel semestre estivo del 1933, divenne il primo rettore nazional-
socialista di un’università tedesca. «Basti pensare alla scelta di un comune obiettivo
polemico (Weber), all’enfasi che entrambi pongono sulla Jugend tedesca come antesi-
gnana di una nuova e più compiuta umanità, al modello dell’organismo e delle sue fun-
zioni al quale entrambi fanno ricorso per illustrare quale sia la relazione adeguata fra il
sapere e colui che lo detiene, alla diagnosi condivisa da entrambi di una crisi irreversi-
bile della scienza razionale moderna nella sua attuale configurazione, all’esigenza con-
divisa da entrambi di una “nuova scienza” adeguata alla nuova forma del vivente che è
in procinto di venire alla luce, e così via».69 Certo, non ho potuto non constatare come
negli scritti di Krieck il discorso di Kahler subisca un’«immediata ed esclusiva tradu-
zione politica»,70 fondata sull’identificazione della nozione di “formazione organica
vivente” con quella di “comunità popolare”. E tuttavia ho rimarcato anche come Der
Beruf der Wissenschaft offra senza alcun dubbio una pluralità di appigli ad un’opera-
zione di questo tipo, non solo a causa della sua polemica anti-parlamentare cui fa ri-
scontro il convincimento che il popolo tedesco debba affidarsi ad una Führerschaft che
detenga il monopolio della decisione autonoma e responsabile, ma anche e principal-
mente a causa della tesi secondo cui, a differenza dell’umanità greca, l’umanità tede-
sco-europea in procinto di sorgere «avrà il suo baricentro non nella persona singola,
ma piuttosto nella comunità», configurandosi dunque come «intima comunità di anime
e di sangue» che «si troverà di fronte [...] grandi comunità dello stesso tipo».71
Per tali ragioni, se ci si limita a considerare Der Beruf der Wissenschaft e gli scrit-
ti che lo precedono, ritengo che sia possibile concordare con l’opinione di Greiert se-
condo cui «anche per Kahler, come per il georgeano Ernst Kantorowicz, che fu un mi-
litante dei Freikorps della prima ora, è senz’altro valido un bilancio che Walter Benja-
min aveva già stilato nel 1928: “Nella cerchia che si formò attorno a George nel corso
degli anni Novanta si offrì per la prima volta agli ebrei la possibilità di porre le loro
tendenze conservatrici in una feconda relazione con il germanesimo”».72 Altro discor-
so, certamente più complesso, è quello circa la via che conduce lentamente Kahler dal-
le posizioni del 1920 (le quali sono senz’altro ascrivibili al variegato arcipelago della
“rivoluzione conservatrice”) alla chiara adesione alla tradizione democratica della sua
nuova patria americana (che diviene del tutto esplicita nello scritto Man, the Measure
del 1943)73. Chi voglia davvero ricostruire questa vicenda, deve tenere nel debito con-
to due cose. In primo luogo i tredici anni di quasi assoluto silenzio che, nella biblio-
grafia di un autore prolifico come Kahler, dividono il saggio anti-weberiano del 1920
dallo scritto successivo di un qualche rilievo. In secondo luogo i frutti di questo lungo
periodo di ripensamento, che sono visibili in maniera chiara nell’Israel unter den
Völkern (1933). Difatti in questo libro Kahler propone, fra l’altro, una raffinata critica

68. Massimilla 2000, p. 134.


69. Ibidem.
70. Ibidem.
71. Kahler 1920, p. 51, p. 35 e p. 60; tr. it., p. 116, p. 98 e p. 127. Su tutto ciò cfr. Mas-
similla 2000, pp. 134-136.
72. Greiert 2000, p. 17. Il passo citato è tratto da Benjamin 1977, p. 812.
73. Cfr. Greiert 2000, pp. 17-18.

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562 Edoardo Massimilla

alla consistenza scientifica e filosofica della nozione di razza (il nucleo portante dell’i-
deologia e dell’esecranda prassi del nazionalsocialismo), ma lo fa entro un orizzonte
categoriale diverso da quello che fungeva da sfondo a Der Beruf der Wissenschaft. Un
orizzonte categoriale che rimane certo molto distante dall’opzione radicalmente anti-
ontologica di Weber, ma che rivela, per così dire, la transizione dall’“ontologia della
vita” degli anni del primo dopoguerra ad una forma più rassicurante di “ontologia del-
lo spirito”74.

Riferimenti bibliografici

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schaften. 2. In der Dichtung (1929), in Id, Gesammelte Schriften, vol II/2, a cura di Rolf Tiede-
mann e Hermann Schweppenhäuser, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1977, pp. 807-813.
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- Ranke 1985 – Leopold von Ranke, Le epoche della storia moderna, a cura di Francesco Pugliese
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nel dibattito tedesco degli anni Dieci, Venti e Trenta, in «Archivio di storia della cultura», XXII
(2009), pp. 225-239.

74. Cfr. Massimilla 2008. Ma cfr. anche Lauer 1995, p. 257.

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A proposito di un recente saggio su Weber e Kahler 563

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Schluchter in collaborazione con Birgitt Morgenbrod, Mohr, Tübingen 1992, pp. 49-111; tr. it.
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