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di Storia della Filosofia (1984-)
di Edoardo Massimilla*
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medesima idea di assumere la concezione weberiana della scienza non solo come og-
getto di discussione ma in primo luogo come punto di riferimento per un’adeguata col-
locazione teorica e storico-culturale delle tesi dei suoi interlocutori è anche al centro
della più recente monografia di Richard Pohle Max Weber und die Krise der Wissen-
schaft6.
Naturalmente, perché l’operazione riesca, è necessario sottrarre, «almeno per un
momento, le pagine straordinarie di Wissenschaft als Beruf a quella esistenza iconica e
intemporale che pure esse, per molti aspetti, meritano», e farsi più in generale consa-
pevoli che non è dato cogliere la posizione filosofica di Weber in tutta la sua radicalità
senza fare i conti con «il Weber uomo e interprete del proprio tempo» che «è poi l’u-
nico Weber realmente esistito»7. Da questo punto di vista la prima parte del saggio di
Greiert (dedicata specificamente a Weber) presenta, a mio parere, qualche limite.
Certo, quando tratta delle riflessioni weberiane sulla logica delle scienze della cul-
tura e del convincimento di Weber che la scienza «non può mai insegnare a nessuno
ciò che egli deve, ma può insegnargli soltanto ciò che egli può e, in determinate circo-
stanze, ciò che egli vuole»,8 Greiert mostra di intendere che le indagini sulla scienza di
Weber non vanno lette come il torso di un’incompiuta (ancorché grandiosa) Wissen-
schaftslehre poiché non possono essere capite separandole dalla sua «diagnosi pratica
circa il presente».9. Separandole cioè: dal tema complicato dell’evenienza del «disin-
cantamento del mondo» e del «politeismo dei valori» di cui la scienza è insieme un
momento e una causa motrice; dall’enorme «problema della mancanza di guida» (a
tutti i livelli) che tale evenienza comporta; e dall’«avvio di risoluzione»,10 suggerito da
Weber, del suddetto «problema di vita», facente perno sulla Gesinnung del singolo che
«deve decidere quale sia per lui il dio e quale il diavolo»11 e che, grazie all’apporto
dell’uomo di scienza, può farlo (se vuole) in maniera più chiara, informata e responsa-
bile12.
Ma l’immagine di un Weber storicamente restituito all’effettivo spessore dei suoi
problemi risulta sfocata quando Greiert si propone di delineare la concezione weberia-
na della conoscenza scientifica in rapporto a quella dei suoi interlocutori ideali e reali.
Quando ad esempio si legge che «Weber ha modificato la comprensione dell’oggetti-
vità storica trasferendo la svolta copernicana di Kant alla conoscenza storica», oppure
che «Weber ha trasformato l’attributo “oggettivo” da una categoria ontologica ad una
categoria soggettivo-trascendentale»,13 il kantismo di Weber appare assimilato a quel-
lo delle coeve posizioni neokantiane, le quali peraltro non vengono mai esplicitamente
richiamate dal saggio (il nome di Rickert non ricorre nemmeno una volta), tranne che
in una nota, ma al fine, appunto, di attribuirle a Weber senza ulteriori distinguo14.
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A proposito di un recente saggio su Weber e Kahler 555
15. Ivi, p. 3 e p. 5.
16. Ivi, pp. 3-4.
17. Mi limito qui a rimandare alle decennali indagini sulla storia e sulla teoria dello sto-
ricismo di Fulvio Tessitore.
18. Cfr. Greiert 2012, p. 4, n. 16.
19. Weber 1988c, p. 237; tr. it., p. 231.
20. Weber 1988b, p. 214; tr. it., pp. 207-208.
21. Weber 1988a, p. 98; tr. it., p. 94. Ma cfr. anche Weber 1988c, p. 278; tr. it., p. 268.
22. Ranke è anche richiamato nella prima sezione del saggio su Roscher e Knies
(1903). In tale contesto il «maestro» di Roscher gioca il ruolo del grande oppositore del
«panlogismo hegeliano», convinto che «i problemi metafisici» non possano «essere risolti
sul terreno della storia empirica». Cfr. Weber 1988a, pp. 16-22; tr. it., pp. 20-25. Nello stes-
so senso cfr. anche Weber 1988c, p. 225; tr. it., p. 220.
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2. La seconda parte del saggio di Greiert, dedicata nello specifico a Kahler, è inte-
ramente dominata da una condivisibile preoccupazione ribadita anche nelle pagine
conclusive del lavoro: posta a confronto con la concezione weberiana della scienza che
risulta «ancora oggi attuale»26, con «l’appello di Weber in favore dello scienziato inte-
so come partner e non come guida»27 nel quadro della già richiamata idea che il singo-
lo debba decidere in autonomia assumendosi la responsabilità delle proprie convinzio-
ni, la “nuova scienza”, che – in conformità a uno stile argomentativo proprio del Geor-
ge-Kreis – Kahler contrappone alla “vecchia scienza” di Weber e alla sua confessata
inadeguatezza a dirci come dobbiamo vivere, è essa stessa veramente “vecchia” e
«anti-moderna»28, e come tale «has to be clearly repudiated»29. E deve esserlo insieme
al suo programmatico antikantismo, ai suoi non indagati presupposti ontologici e reali-
stici, alle sue oscure argomentazioni lebensphilosophisch e naturphilosophisch, ro-
mantiche e neo-gnostiche; insieme al suo rifiuto del politeismo dei valori weberiano in
nome del politeismo antico nel quale «non erano i diversi atteggiamenti fondamentali e
di principio a dettar legge, ma la vita univoca di quel luogo e di quell’ora, e ci si reca-
va dal sapiente per apprendere la sola e unica possibilità, la legge che è l’unico desti-
no, il dio di quella particolare ora e di quel particolare luogo»30; insieme alla sua con-
figurazione esoterica ed elitaria in ragione della quale l’autonomia non è una possibi-
lità aperta a tutti ma soltanto al Wissenschaftler als Führer; e – da ultimo, ma non per
ultimo – insieme alle sue perniciose derive politiche in cui modi di sentire appartenen-
ti al «“vecchio conservatorismo del diciannovesimo secolo”» e alla sua «“angoscia di
fronte alla modernità”»31 si fondono con motivi propri della «rivoluzione conservatri-
ce»32 dei primi decenni del ventesimo secolo, quali la decisa contrarietà alla democra-
zia parlamentare in cui i partiti «conducono una sterile e inutile battaglia sul corpo vi-
vente del popolo»33 o la convinzione che il nuovo essere umano di cui la Jugend tede-
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A proposito di un recente saggio su Weber e Kahler 557
sca del dopoguerra rappresenterebbe l’aurora potrà venire alla luce solo se la Germania
saprà affidarsi a una dirigenza pensata sul modello dei filosofi-reggitori della politeia
platonica.
Ancora una volta però, mosso dall’urgenza di prendere partito in favore di Weber e
contro Kahler, Greiert mostra qualche insofferenza nei confronti della necessità di uti-
lizzare e mettere alla prova le proprie ipotesi interpretative in vista di una più detta-
gliata determinazione storiografica del suo oggetto di studio. E così, poiché l’assoluta
dipendenza di Kahler dagli «assiomi fondamentali del George-Kreis»34 appare a
Greiert indispensabile per sostenere la propria tesi, egli considera «inquietante e
confondente» (irritierend) la divergenza tra l’opinione dei contemporanei di Kahler
(come Troeltsch o Scheler), per i quali era ovvio che questi portasse sic et simpliciter
ad espressione le posizioni del “sacro circolo”, e il risultato delle indagini più recenti
che tendono (erroneamente!) a rimarcare l’esistenza di «differenze decisive tra l’argo-
mentazione di Kahler e quella del George-Kreis»35. Poiché Greiert mi ritiene il princi-
pale sostenitore di quest’ultima tesi36, debbo subito sottolineare che non ho mai consi-
derato “decisive” le differenze, che pure esistono, tra le posizioni di Kahler e quelle ti-
piche del circolo di George37. E tuttavia mi sembra difficile asserire che le attestate
perplessità di George nei confronti di Der Beruf der Wissenschaft non fossero per nul-
la connesse a quanto Gundolf dice in una lettera a Kahler dell’ottobre 1920 (e cioè alla
convinzione che Kahler esponesse la neue Wissenschaft al rischio di divenire anch’es-
sa “sterile” sottovalutando il contributo delle singole personalità “poietiche” alla crea-
zione della nuova umanità tedesca ed europea prossima ventura e del suo nuovo sape-
re), ma soltanto, come pensa Greiert, al dispetto del Maestro per il fatto che «Kahler
non sostiene mai in modo esplicito il punto di vista secondo cui con George sarebbe
già vivo e presente un Uomo Nuovo»38. E ciò non certo a causa di un’affermazione
epistolare di Kahler circa la non coincidenza tra il suo modo di pensare e quello del
George-Kreis39 che va effettivamente presa con molta cautela nella misura in cui più di
quarant’anni (e quali anni!) la separano dalla pubblicazione di Der Beruf der Wissen-
schaft40.
Occorre piuttosto considerare ciò che Kahler stesso dichiara nel saggio del 1920.
«Il nuovo sapere [...] – egli scrive – può essere soltanto scienza in un senso insieme
vecchio e nuovo, in un senso in grado di rifondere la materia e l’estensione di quella
che finora veniva denominata scienza nella forma antichissima ed eterna che è la sola e
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unica a poter essere chiamata sapere»41. Ciò significa che Kahler non riteneva possibi-
le un ritorno puro e semplice a forme di sapienza artistica o religiosa che pretendano di
aggirare il lavoro demolitorio ma insieme preparatorio della scienza razionale moder-
na. Certo, con tali forme di sapienza il nuovo sapere avrà «la più intima parentela»,
nella misura in cui la vera arte e la vera religiosità si sviluppano sempre «dal centro di
una formazione organica» e si esprimono «in opere plastiche e organiche viste, visibili
e conchiuse, e non già in frammenti di fatti e di calcolabilità»42. E tuttavia, per l’enor-
me estensione e pluralità di «ciò che deve essere saputo» (ossia della nuova formazio-
ne organica), il nuovo sapere «non potrà più consistere di verità di pura fede»43 confi-
gurandosi in maniera mitico-personale. Per lo stesso motivo esso «non può neanche as-
sumere una configurazione simbolica»44 e presentarsi come poesia. Infatti il «dichten»
[poetare], qualsiasi sia il suo effettivo valore, non riesce più a «ver-dichten» [conden-
sare] efficacemente «spazi» ormai divenuti «troppo grandi», ed è perciò inevitabilmen-
te destinato ad essere visto come qualcosa di meramente «soggettivo», incapace di «far
leva [...] sul perimetro complessivo della nostra vita odierna»45. Nel processo di deter-
minazione del nuovo sapere perde quindi ogni valore risolutivo il riferimento all’uomo
grande, all’eroe, al poeta, e dunque anche a George stesso che pure Kahler celebra in
Der Beruf der Wissenschaft come «quell’alta figura dal cui mutamento vivente traiamo
ai nostri giorni conforto e rinvigorimento per questa nostra impresa»46. Al pari della
vecchia scienza, la nuova scienza dovrà piuttosto «porre alla propria base una comu-
nità sovrapersonale improntata alla cooperazione nonché una rigorosa disciplina sovra-
personale. Bisognerà che ci siano molti spiriti che dovranno assumere su di loro e divi-
dere fra loro, in un unico senso, questo gigantesco lavoro; bisognerà che ci sia un
modo di procedere e di verificare pianificato in maniera molto determinata, vale a dire
un metodo stabilito che guida questo lavoro, il quale non deve essere più compiuto in
nessun altro modo e [...] deve essere salvaguardato dall’arbitrio dilettantistico»47.
Mi sembra che questi riferimenti testuali mostrino come le differenze percepite da
George (e da Gundolf) tra le idee di Kahler e quelle del Kreis non siano del tutto ri-
conducibili a una “questione personale”. Che il sereno riconoscimento di questo dato
di fatto non implichi per forza (come paventa Greiert) una rivalutazione di Kahler con-
tro Weber, lo mostra, meglio di ogni altro, proprio Arthur Salz48, l’amicus di Kahler
(ma magis amica veritas!) che, dopo la pubblicazione di Der Beruf der Wissenschaft,
prese prontamente le difese di Weber49. Salz stigmatizza con forza la natura aristocra-
41. Kahler 1920, p. 60; tr. it., p. 126 (il secondo corsivo è mio).
42. Ivi, p. 65; tr. it., p. 132.
43. Ivi, p. 60; tr. it., p. 126.
44. Ivi, p. 65; tr. it., p. 132.
45. Ivi, p. 65; tr. it., pp. 132-133.
46. Ivi, p. 65; tr. it., p. 132.
47. Ivi, p. 66; tr. it., p. 133.
48. Questa poliedrica figura di economista, che incrocia trasversalmente tanto il circolo
di George che quello di Weber, è una testimonianza di quanto sappia essere irritierend la
storia della cultura, con la sua congenita insofferenza verso le classificazioni troppo rigide.
49. Nell’“Avvertenza preliminare” alla propria «discussione critica» del saggio di Kah-
ler Salz scrive: «Fa parte delle delusioni di cui la vita abbonda che un’amicizia pluriennale
e molto provata non sia di tutela contro la diversità delle opinioni su questioni fondamenta-
li. Ma ci sono questioni concernenti il sapere che sono questioni di coscienza e il loro oc-
cultamento non giova ad un’amicizia. Amicus Plato, magis amica veritas» (Salz 1921, p. 5;
tr. it., p. 65).
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A proposito di un recente saggio su Weber e Kahler 559
tica, esoterica, romantica, antimoderna e, in ultima istanza, “magica” della neue Wis-
senschaft di Kahler50. Tuttavia ciò non gli impedisce di riconoscere «i tentativi di Kah-
ler di riconciliare questo suo sapere fondato sulla visione [...] con la scienza levitica e
universale del pensiero comune»51. Anzi, proprio il preciso riconoscimento di tali ten-
tativi di riconciliazione suscita in lui una posizione di diniego ancora più radicale. Salz
ritiene infatti che essi vadano decisamente respinti non solo perché «incomprensibi-
li»52, ma anche perché in palese contrasto con l’autodeterminazione stessa della nuova
scienza. «È un’asserzione intellettualistica indice di un crasso razionalismo e tale da
travalicare tutta la tendenza moderna all’intellettualismo quella secondo la quale que-
sto sapere, che pone la grazia al posto della ricerca, la consacrazione al posto dell’ap-
prendimento, la vocazione al posto della professione [...], debba poi essere pensato
come insegnabile e trasmissibile in base a disposizioni metodiche, ossia come oggetto
di una formazione scolastica. Nell’ultima parte del suo scritto Kahler offre perfino in-
dicazioni pedagogiche circa il modo e le categorie con le quali la nuova scienza deve
lavorare, indicazioni che, giusta la caratterizzazione della nuova scienza, non possono
coerentemente essere null’altro che disposizioni o prescrizioni circa il modo di diveni-
re un genio o di imparare a compiere incantesimi»53.
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560 Edoardo Massimilla
57. Greiert rimanda a tale proposito a Lauer 1995, pp. 240-246 ove però la questione
viene affrontata in modo più prudente ed articolato.
58. Greiert 2000, p. 14.
59. Ibidem.
60. Cfr. Kahler 1920, p. 79; tr. it., p. 148. Kahler non aveva alcuna simpatia per il «con-
cetto collettivo di “cultura”», che considerava «vecchio, vago e indeterminato» (ibidem).
61. Troeltsch 1920, p. 59; tr. it., p. 38.
62. Greiert 2000, p. 14.
63. Cfr. Kahler 1920, p. 79; tr. it., p. 148.
64. Su questo aspetto della replica di Salz a Kahler rimando a Massimilla 2000, pp. 112 ss.
65. Greiert 2000, p. 12.
66. Ivi, p. 12, n. 71.
67. Ibidem.
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562 Edoardo Massimilla
alla consistenza scientifica e filosofica della nozione di razza (il nucleo portante dell’i-
deologia e dell’esecranda prassi del nazionalsocialismo), ma lo fa entro un orizzonte
categoriale diverso da quello che fungeva da sfondo a Der Beruf der Wissenschaft. Un
orizzonte categoriale che rimane certo molto distante dall’opzione radicalmente anti-
ontologica di Weber, ma che rivela, per così dire, la transizione dall’“ontologia della
vita” degli anni del primo dopoguerra ad una forma più rassicurante di “ontologia del-
lo spirito”74.
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