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Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 321

IL DIAVOLO È NEI DETTAGLI: ANCORA SU WEBER E KAHLER,


DISCORRENDO DI UN SAGGIO DI ANDREAS GREIERT

di Edoardo Massimilla

1. In un saggio dedicato alla polemica antiweberiana di Erich von Kahler ap-


parso nel 2012 sulla «Zeitschrift für Religions- und Geistesgeschichte» Andreas
Greiert afferma giustamente che l’«attenzione», il «rispetto» e la «valutazione» che
i contemporanei riservarono a Der Beruf der Wissenschaft (1920) consigliano una
dettagliata disamina teorica e storico-culturale di questo testo per decenni presso-
ché dimenticato1. Proprio tale convinzione mi spinse, nel 1996, a procurare una
traduzione italiana dello scritto di Kahler2 e a proseguire poi, in vario modo, le
ricerche su questo autore nel quadro più generale di una ricostruzione dell’ampia
e complessa discussione sulla scienza, la vita e i valori che fece immediatamente
seguito alla pubblicazione, nel 1919, di Wissenschaft als Beruf3.
Non posso invece consentire con l’altra premessa del saggio di Greiert, quel-
la secondo la quale un’indagine che non si contenti di analizzare lo scritto di
Kahler «come commento critico di Wissenschaft als Beruf», ma cerchi piuttosto di

1
A. Greiert, Der Wissenschaftler als Führer aus der deutschen Krise. Zu Erich von Kahlers Polemik gegen
Max Weber, in «Zeitschrift für Religions- und Geistesgeschichte», 64 (1912), Number 1, pp. 1-18
(d’ora in poi: Greiert, 2012), p. 1.
2
E. von Kahler, La professione della scienza, a cura di E. Massimilla, presentazione di F. Tessitore,
Napoli, 1996. Ma cfr. anche E. von Kahler, La crisi della scienza, a cura di E. Massimilla, Soveria
Mannelli, 1997: il volumetto contiene la traduzione italiana di due brevi articoli di Kahler pubblicati
nel 1919 su «Der Neue Merkur» (Die Krisis in der Wissenschaft e Die menschliche Wirkung der Wissenschaft)
che sono l’uno la prosecuzione dell’altro e che anticipano entrambi alcuni contenuti fondamentali
del più ampio scritto antiweberiano del 1920.
3
Cfr. E. Massimilla, Intorno a Weber. Scienza, vita e valori nella polemica su “Wissenschaft als Beruf”,
Napoli, 2000 (d’ora in poi: Massimilla, 2000); tr. tedesca Ansichten zu Weber. Wissenschaft, Leben und
Werte in der Auseinandersetzung um “Wissenschaft als Beruf”, a cura di C. Voermanek, Leipzig, 2008.
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evidenziare i presupposti e i limiti delle sue argomentazioni commisurandole «alla


concezione della scienza di Weber da Kahler stesso chiamata in gioco» rappresen-
terebbe «un coerente capovolgimento delle prospettive di ricerca finora invalse»4.
Nella monografia del 2000 Intorno a Weber ho infatti cercato di elaborare un’in-
terpretazione dello scritto antiweberiano di Kahler, ma anche degli interventi di
Curtius e di Scheler, di Salz e di Troeltsch, di Krieck, di Cohn e di Rickert nella
polemica su Wissenschaft als Beruf, muovendo in maniera esplicita dall’ipotesi che
«proprio l’opposizione a Weber» fosse in grado di fare «emergere con chiarezza
l’intenzionalità ultima che accomuna fra loro le posizioni di questi autori, che
sono sì per tanti versi contrastanti, ma che si configurano tutte come tentativi
di ricomporre – in maniera più o meno tradizionale – un orizzonte ontologico
unitario entro cui l’individualità sia davvero in grado di vivere e prosperare. In ciò
esse consentono con posizioni di poco successive, e di ben altra levatura teorica,
che già allora erano in incubazione nel panorama filosofico tedesco (penso ad
esempio ad Heidegger), e dissentono invece da Weber in consonanza col quale
si potrebbe quasi affermare l’inverso, e cioè che l’individualità può sì soccombere
in un mondo razionalizzato e disincantato, “in un tempo estraneo a Dio e senza
profeti”, ma può anche vivere e prosperare come mai è stato possibile fino ad
ora»5 . Peraltro – sebbene da un diverso punto di vista – la medesima idea di
assumere la concezione weberiana della scienza non soltanto come oggetto di
discussione ma in primo luogo come punto di riferimento per un’adeguata collo-
cazione teorica e storico-culturale delle tesi dei suoi critici e dei suoi interlocutori
è anche al centro della più recente monografia di Richard Pohle Max Weber und
die Krise der Wissenschaft (2009)6.

4
Greiert, 2012, p. 1.
5
Massimilla, 2000, p. XXII; tr. ted. cit., p. 20. Questa impostazione di fondo delle mie ricerche
intorno a Weber è stato perfettamente colta da Domenico Conte (Circumnavigazioni weberiane, partendo
da Napoli. Qualche osservazione sugli studi weberiani di Edoardo Massimilla, in «Archivio di storia della cul-
tura», XXII, 2009, pp. 215-224). La sua valutazione positiva dei risultati storiografici ottenuti riveste
per me una grande importanza, non già nonostante che ma proprio perché tra noi esiste un certo
tasso di divergenza teorica circa l’interdetto weberiano alla riproposizione di orizzonti ontologici
stabili e circa gli esiti di tale interdetto sul piano etico e su quello politico.
6
L’agile volume di Pohle, che estende il discorso ad altri autori (Friedrich Gundolf, Edgard
Salin, Albert Dietrich, Theodor Litt, Eduard Spranger), condivide con la mia monografia del 2000
perfino il titolo di un capitolo, il quarto: Revolution der Wissenschaft und “konservative Revolution”. Cfr.
Massimilla, 2000, p. 125 (tr. ted. cit., p. 145) e R. Pohle, Max Weber und die Krise der Wissenschaft.
Eine Debatte in Weimar, Göttingen, 2009, p. 63. – Di taglio nettamente diverso sono le pagine su
Kahler e sulla sua polemica con Weber di Francesco Rossi (Gesamterkennen. Zur Wissenschaftskritik
und Gestalttheorie im George-Kreis, Würzburg, 2011, pp. 251-292 e passim) che trattano di Der Beruf der
Wissenschaft nel quadro di una ricerca la quale mostra in maniera ampiamente documentata e ben
argomentata come il «nocciolo paradigmatico» della concezione georgeana della scienza risieda «nella
teoria della Gestalt» (ivi, p. 30). Nella ricca bibliografia secondaria che correda il volume desta non
poca sorpresa la quasi totale assenza di contributi italiani attinenti al tema trattato. Cfr. ad esempio: E.
Massimilla, Vita e storia nella “nuova scienza” del George-Kreis, in G. Cacciatore – G. Cantillo – G. Lissa
(a cura di), Lo storicismo e la sua storia: temi, problemi, prospettive, Milano, 1997, pp. 435-442; D. Conte,
Fondamento e stabilità tra catastrofi: su di uno scritto giovanile di Erich von Kahler, in «Giornale critico della
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Naturalmente, perché l’operazione riesca, è necessario sottrarre, «almeno per


un momento, le pagine straordinarie di Wissenschaft als Beruf a quella esistenza
iconica e intemporale che pure esse, per molti aspetti, meritano», e farsi più in
generale consapevoli che non è dato cogliere la posizione filosofica di Weber in
tutta la sua radicalità senza fare i conti con «il Weber uomo e interprete del proprio
tempo» che «è poi l’unico Weber realmente esistito»7. Da questo punto di vista
la prima parte del saggio di Greiert (dedicata specificamente a Weber) presenta,
a mio parere, qualche limite.
Certo – quando tratta delle riflessioni weberiane sulla logica delle scienze
della cultura e del convincimento di Weber secondo cui la scienza «non può mai
insegnare a nessuno ciò che egli deve, ma può insegnargli soltanto ciò che egli può
e, in determinate circostanze, ciò che egli vuole»8 – Greiert mostra nel complesso di
intendere che le indagini sulla scienza di Weber non vanno lette come il torso di
un’incompiuta (ancorché grandiosa) Wissenschaftslehre poiché non possono essere
davvero capite separandole dalla sua «diagnosi pratica circa il presente»9. Separan-
dole cioè: dal tema complicato dell’evenienza del «disincantamento del mondo» e
del «politeismo del mondo» di cui la scienza è insieme un momento e una causa
motrice; dall’enorme «problema della mancanza di guida» (a tutti i livelli) che tale
evenienza comporta; e dall’«avvio di risoluzione»10, suggerito da Weber, del sud-
detto «problema di vita», facente perno sulla Gesinnung del singolo che «deve deci-
dere quale sia per lui il dio e quale il diavolo»11 e che, grazie all’apporto dell’uomo
di scienza, può farlo (se vuole) in maniera più chiara, informata e responsabile12.

filosofia italiana», LXXVII, fasc. I (gennaio-aprile 1998), pp. 44-52; R. Delle Donne, “Historisches
Bild” e signoria del presente. Il “Federico II” di Ernst Kantorowicz, in A. Zorzi – R. Delle Donne (a cura
di), Le storie e la memoria. In onore di Arnold Esch, Firenze, 2002, pp. 295-352; E. Massimilla, L’immagine
di Kant nel George-Kreis, in «Giornale critico della filosofia italiana», LXXXIV, fasc. II (maggio-agosto
2005), pp. 328-346, ora in Id., Scienza, professione, gioventù: rifrazioni weberiane, Soveria Mannelli, 2008,
pp. 109-131; G. Lacchin, Stefan George e l’antichità: lineamenti di una filosofia dell’arte, Lugano, 2006. Ora
si veda anche P. Favuzzi, Simbolo, mito e verità storica. Albert Brackmann contro Ernst Kantorowicz, in
«Archivio di storia della cultura», XXIV (2011), pp. 217-236.
7
F. Tuccari, Tra «vecchia» e «nuova» scienza. Wissenschaft als Beruf nel dibattito tedesco degli anni Dieci,
Venti e Trenta, in «Archivio di storia della cultura», XXII (2009), pp. 225-239, p. 237.
8
M. Weber, Die “Objektivität” sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis (1904), in Id.,
Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, Tübingen, 1988, pp. 146-214 (d’ora in poi: OssE), p. 151;
tr. it. L’“oggettività” conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, in Id., Saggi sul metodo delle scienze
storico-sociali, a cura di P. Rossi, Torino, 2001, pp. 147-208, p. 153. In questo saggio Weber si riferisce
esclusivamente alla «scienza empirica». Ma il prudente distinguo tende a venire meno negli scritti
più tardi e scompare del tutto nella conferenza sulla scienza come professione.
9
Greiert, 2012, p. 2.
10
Greiert, 2012, p. 2.
11
M. Weber, Wissenschaft als Beruf, in Max Weber Gesamtausgabe, I/17: Wissenschaft als Beruf
1917/1919 – Politik als Beruf, 1919, a cura di W. J. Mommsen e W. Schluchter in collaborazione con
B. Morgenbrod, Tübingen, 1992 (d’ora in poi: WaB), pp. 49-111, pp. 100-101; tr. it. La scienza come
professione, in Id., La scienza come professione. La politica come professione, a cura di P. Rossi e F. Tuccari,
Torino, 2001, pp. 1-40, p. 30. Cfr. Greiert, 2012, p. 8.
12
Cfr. WaB, pp. 103-104 (tr. it. cit., pp. 33-34) e Greiert, 2012, p. 7.
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Ma il diavolo, come è noto, si nasconde nei dettagli. Così l’immagine di un We-


ber storicamente restituito all’effettivo spessore dei suoi problemi – che è anche il
Weber filosoficamente più interessante – risulta un poco sfocata quando Greiert
si propone di delineare la concezione weberiana della conoscenza scientifica in
rapporto a quella dei suoi interlocutori ideali e reali. Quando ad esempio si legge
che «Weber ha modificato la comprensione dell’oggettività storica trasferendo
la svolta copernicana di Kant alla conoscenza storica» oppure che «Weber ha
trasformato l’attributo “oggettivo” da una categoria ontologica ad una categoria
soggettivo-trascendentale»13, il kantismo di Weber appare del tutto assimilato a
quello delle coeve posizioni neokantiane, le quali peraltro non vengono mai espli-
citamente richiamate dal saggio (il nome di Rickert non ricorre nemmeno una
volta) tranne che in una nota, ma al fine, appunto, di attribuirle a Weber senza
ulteriori distinguo14.
Per converso Greiert contrappone frontalmente e a più riprese la posizione
di Weber – per il quale «la nozione di oggettività non designa più la verità della
realtà ma la correttezza di un’affermazione sulla realtà» – all’«ingenuo realismo»
proprio della «tradizione dello Historismus»15, termine che egli impiega non sol-
tanto in riferimento alla scuola storica tedesca dell’economia. «La rottura radicale
di Weber – Greiert infatti scrive – con il pensiero metafisico della storia proprio
dello Historismus diviene persuasivamente chiara laddove egli respinge come “in-
genuo” il postulato sostenuto da Ranke d’una immedesimazione in una realtà
preesistente la quale, nella sua fattualità, dovrebbe essere restituita “così come è
effettivamente accaduta”»16. A tale riguardo voglio appena far cenno alla circo-
stanza che sono da tempo disponibili interpretazioni diverse e molto accreditate
del celebre wie es eigentlich gewesen ist di Ranke, la cui straordinaria opera di storico
può essere letta, dal punto di vista filosofico, come un momento importante
dello sviluppo dello Historismus e della sua specifica forma di kantismo, di matrice
antropologica e humboldtiana, alla quale Weber stesso era tutt’altro che estra-
neo17. Desidero invece sottolineare che nel passo al quale Greiert si riferisce,

13
Greiert, 2012, pp. 4-5. Ma cfr. anche ivi, p. 5, ove si legge che in base al «nuovo concetto
di oggettività storica» propugnato da Weber «le forme e le strutture logiche di collegamento resta-
no gli unici vincoli possibili» di fronte al variare storico-culturale dei contenuti. Per adoperare la
terminologia di Rickert, ritengo che Greiert non operi una sufficiente distinzione tra il problema
weberiano dell’“oggettività empirica” dei concetti storici e il problema, tipicamente neokantiano,
della loro assoluta “oggettività critica”.
14
Cfr. Greiert, 2012, p. 10, nota 57: «Sul fondamento del suo rifiuto (neokantiano) di ricono-
scere una dignità conoscitiva all’Erleben immediato, Weber ha (...) espressamente ricusato posizioni
ascrivibili alla Lebensphilosophie».
15
Greiert, 2012, p. 3 e p. 5.
16
Greiert, 2012, pp. 3-4. Greiert si richiama qui alle tesi di Uwe Barrelmeyer (Geschichtliche
Wirklichkeit als Problem. Untersuchungen zu geschichtstheoretischen Begründungen historischen Wissens bei Johann
Gustav Droysen, Georg Simmel und Max Weber, Münster, 1997).
17
Mi limito qui a rimandare alle decennali indagini sulla storia e sulla teoria dello storicismo
di Fulvio Tessitore.
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tratto della prima parte delle Kritische Studien18, Weber evidenzia senz’altro «quanto
poco sia corretta (...) la popolare e ingenua concezione che la storia rappresenti
una “mera” descrizione di realtà preesistenti, o una semplice riproduzione di
“fatti”»19, ma non fa alcun esplicito riferimento a Ranke. Né mi sembra plausibile
sostenere che egli abbia implicitamente in mente Ranke, giacché nei cosiddetti
“saggi metodologici” dei primi anni del Novecento i riferimenti espliciti a Ran-
ke non mancano, ma sono di natura del tutto diversa. Basti pensare alla pagina
finale del saggio sull’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica
sociale (1904) ove Weber afferma che tra gli storici Leopold von Ranke possedeva
in massimo grado quella «genuina capacità artistica» che «si manifesta di solito
proprio come capacità di creare qualcosa di nuovo mettendo in relazioni fatti
noti con punti di vista anch’essi noti»20. Oppure alla seconda sezione del saggio
su Roscher e Knies (1905) ove Weber, discutendo le teorie di Gottl, scrive dap-
prima che «il ruolo che la (...) fantasia storica (o, più in generale, interpretativa)
svolge nell’“inferenza” di processi storici è identico a quello che spetta all’“im-
maginazione matematica” sul terreno della conoscenza fisica», asserisce poi che
«la verifica delle ipotesi così ottenute – poiché di esse si tratta in entrambi i casi
– costituisce un processo, considerato dal punto di vista logico, non diverso in
linea di principio», ed infine aggiunge: «Ranke “decifrava” le connessioni storiche
nello stesso modo in cui l’“arte dell’esperimento” di Robert W. Bunsen veniva
di solito ammirata come il fondamento dei suoi specifici successi»21. Afferma-
zioni, queste, che sono a dire il vero ben poco compatibili con l’immagine di un
Ranke vessillifero della popolare e ingenua concezione della conoscenza storica
come mera descrizione di realtà preesistenti22, di un Ranke che – per dirla con

18
Cfr. Greiert, 2012, p. 4, nota 16.
19
M. Weber, Kritische Studien auf dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik (1906), in Id., Gesam-
melte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, cit., pp. 215-290 (d’ora in poi: KS), I. Zur Auseinandersetzung mit
Eduard Meyer, p. 237; tr. it. Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura, in Id., Saggi sul metodo
delle scienze storico-sociali, cit., pp. 209-278, I. In polemica con Eduard Meyer, p. 231.
20
OssE, p. 214; tr. it. cit., pp. 207-208.
21
M. Weber, Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalökonomie (1903-
1906), in Id., Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, cit., pp. 1-145 (d’ora in poi: RuK), p. 98; tr. it.
Roscher e Knies e i problemi logici dell’economia politica di indirizzo storico, in Id., Saggi sul metodo delle scienze
storico-sociali, cit., pp. 5-136, p. 94. Ma cfr. anche KS, II. Obiektive Möglichkeit und adäquate Verursachung
in der historischen Kausalbetrachtung, p. 278; tr. it. cit, II. Possibilità oggettiva e causazione adeguata nella
considerazione causale della storia, p. 268.
22
Ranke è anche richiamato da Weber nella prima sezione del saggio su Roscher e Knies
(1903). In tale contesto il «maestro» di Roscher gioca il ruolo del grande oppositore del «panlogi-
smo hegeliano», convinto che «i problemi metafisici» non possano «essere risolti sul terreno della
storia empirica» e sorretto in tale convinzione dalla sua profonda fede luterana. «Se è consentito il
paragone – Weber scrive –, si può forse chiarire il ruolo che la fede in Dio ha assolto nel lavoro
scientifico di Ranke e di Roscher facendo ricorso all’analogia con il ruolo del monarca in uno stato
rigorosamente parlamentare. All’enorme economia di energia politica, che deriva dal fatto che la
più alta carica dello stato è occupata stabilmente, anche se da un detentore personalmente privo di
qualsiasi influenza sugli affari concreti dello stato, cosicché le forze politiche esistenti sono scorag-
giate dall’impegnarsi in una lotta per il potere (quanto meno relativo) e sono invece indotte a un
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Benedetto Croce – «sarebbe dovuto passare attraverso quella filosofia moderna


dalla quale si ritraeva schivandola»23. E d’altra parte, la centralità della nozione
di Zusammenhang nella concezione weberiana delle “scienze di realtà” – centralità
sulla quale (sebbene con qualche incertezza) insiste anche Greiert24 – non porta
forse a piena consapevolezza logica l’idea rankiana della «scienza storica» che,
«nel suo sviluppo autonomo, è chiamata ed idonea a sollevarsi dalla ricerca e
considerazione dell’elemento singolo (...) alla conoscenza della connessione che
esiste oggettivamente negli eventi»25?

2. La seconda parte del saggio di Greiert, quella dedicata nello specifico a Kahler, è
interamente dominata da una preoccupazione perfino condivisibile che viene riba-
dita anche nelle pagine conclusive del lavoro: posta a confronto con la concezione
weberiana della scienza che risulta «ancora oggi attuale»26, posta a confronto con
«l’appello di Weber in favore dello scienziato inteso come partner e non già come
guida»27 nel quadro della già richiamata idea che il singolo debba decidere in auto-

lavoro positivo al servizio dello stato, corrisponde qui l’esclusione, fin dall’inizio, di quei problemi
metafisici che non possono essere risolti sul terreno della storia empirica, e il loro affidamento alla
fede religiosa, col risultato di proteggere l’imparzialità del lavoro storico dalla speculazione». Weber
aggiunge anche che, per «il peso schiacciante del sistema hegeliano», Roscher non fu in grado di
recidere così a fondo come Ranke «il cordone ombelicale che unisce la sua concezione della storia
alla dottrina delle idee (in senso metafisico)». Cfr. RuK, pp. 16-22; tr. it. cit., pp. 20-25. Nello stesso
senso si veda anche il riferimento a Ranke in KS, I, p. 225; tr. it. cit., p. 220.
23
B. Croce, Teoria e storia della storiografia, 2 voll., a cura di E. Massimilla e T. Tagliaferri, con
una nota di F. Tessitore, Napoli, 2007, vol. I, p. 271.
24
«Per Weber – Greiert scrive – «la conoscenza storica è non già riproduzione di fatti ma
costruzione della connessione, e la realtà storica nel suo complesso è un “cosmo, in sé privo di
contraddizioni, di costruzioni pensate”» (Greiert, 2012, p. 4). Tuttavia nel passo del saggio sull’og-
gettività conoscitiva richiamato da Greiert Weber non attribuisce affatto tale definizione alla realtà
storica nel suo complesso, bensì alla «teoria economica astratta» assunta come esempio «di quelle
sintesi che si designano di solito come “idee” di fenomeni storici» (OssE, p. 190; tr. it. cit., p. 187).
Ad unire determinati processi della vita storica in un cosmo, in sé privo di contraddizioni, di con-
nessioni pensate è dunque, per Weber, «il concetto tipico-ideale» che «serve a orientare il giudizio
di imputazione nel corso della ricerca», che «non costituisce un’“ipotesi”, ma intende orientare la
costruzione di ipotesi», e che «non è una rappresentazione [Darstellung] del reale, ma intende fornire alla
rappresentazione strumenti precisi di espressione» (ibid.). Ciò non toglie che per Weber la nozione
di Zusammenhang svolga effettivamente un ruolo centrale nella definizione della conoscenza storica
e del suo correlato oggettivo. Basti pensare che nel saggio su Roscher e Knies il carattere proprio
delle «scienze di realtà» è la «selezione di ciò che è individualmente significativo e il suo inserimento
entro connessioni universali, ma di carattere individuale» (RuK, p. 3 e p. 15.; p. 9 e p. 19). Cfr. anche
RuK, pp. 5-6; tr. it. cit.; pp. 11-12. Weber fa qui, anche terminologicamente, riferimento, a particolari
aspetti della riflessione di Rickert sulla logica delle scienze storiche e, in primo luogo, al terzo dei
quattro “modi” del generale in storia individuati dal filosofo neokantiano. Su questi temi rimando
a E. Massimilla, Tre studi su Weber tra Rickert e von Kries, Napoli, 2010; tr. tedesca Max Weber zwischen
Heinrich Rickert und Johannes von Kries, a cura di C. Voermanek, Köln-Weimar-Wien, 2012.
25
L. von Ranke, Le epoche della storia moderna, a cura di F. Tessitore, tr. it. di G. Valera e F.
Pugliese Carratelli, Napoli, 1985, p. 288.
26
Greiert, 2012, p. 17.
27
Greiert, 2012, p. 15.
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 327

nomia assumendosi la responsabilità delle proprie convinzioni, la “nuova scienza”,


che – in conformità a uno stile argomentativo proprio del George-Kreis – Kahler
contrappone alla “vecchia scienza” di Weber e alla sua confessata inadeguatezza
a dirci cosa dobbiamo fare e come dobbiamo vivere, è essa stessa veramente
“vecchia” e «anti-moderna»28, e come tale «has to be clearly repudiated»29. E deve
essere respinta insieme al suo programmatico antikantismo, ai suoi non indagati
presupposti ontologici e realistici, alle sue oscure argomentazioni lebensphilosophisch
e naturphilosophisch, romantiche e neo-gnostiche; deve essere respinta insieme al suo
netto rifiuto del politeismo dei valori weberiano in nome del politeismo antico
nel quale «non erano i diversi atteggiamenti fondamentali e di principio a dettar
legge, ma la vita univoca di quel luogo e di quell’ora, e ci si recava dal sapiente
per apprendere la sola e unica possibilità, la legge che è l’unico destino, il dio di
quella particolare ora e di quel particolare luogo»30; deve essere respinta insieme
alla sua configurazione esoterica ed elitaria in ragione della quale l’autonomia non
è una possibilità aperta a tutti ma soltanto al Wissenschaftler als Führer; e – da ulti-
mo, ma non per ultimo – deve essere respinta insieme alle sue perniciose derive
politiche in cui modi di sentire appartenenti al «“vecchio conservatorismo del
diciannovesimo secolo”» e alla sua «“angoscia di fronte alla modernità”»31 si fon-
dono con motivi propri della «rivoluzione conservatrice»32 dei primi decenni del
ventesimo secolo, quali la decisa contrarietà alla democrazia parlamentare in cui i
partiti «conducono una sterile e inutile battaglia sul corpo vivente del popolo»33 o
la convinzione che il nuovo essere umano di cui la Jugend tedesca del dopoguerra
rappresenterebbe l’aurora potrà venire alla luce dalle profondità che lo hanno in
gestazione solo se la Germania saprà affidarsi a una dirigenza pensata sul modello
dei filosofi-reggitori della Politeia platonica.
Ancora una volta però, mosso dall’urgenza di prendere partito in favore di
Weber e contro Kahler, Greiert mostra qualche insofferenza nei confronti della
necessità di utilizzare e mettere alla prova le proprie ipotesi interpretative in vista di
una più dettagliata determinazione storiografica del suo oggetto di studio. E così,
poiché l’assoluta dipendenza di Kahler dagli «assiomi fondamentali del George-Krei-
s»34 appare a Greiert indispensabile per sostenere la propria tesi, egli considera
«inquietante e confondente» [irritierende] la divergenza tra l’opinione dei contempo-

28
Greiert, 2012, p. 14.
29
Greiert, 2012, p. 1 (Abstract).
30
E. von Kahler, Der Beruf der Wissenschaft, Berlin, 1920 (d’ora in poi: BdW), p. 27; tr. it. cit.,
p. 88.
31
Greiert, 2012, pp. 14-15. Greiert fa prima riferimento a un’affermazione di Gerhard Lauer
(Die verspätete Revolution. Erich von Kahler Wissenschaftsgeschichte zwischen konservativer Revolution und Exil,
Berlin-New York, 1995, p. 235) e richiama poi l’efficace espressione adoperata da Peter Gay in
Weimar Culture. The Outsider as Insider (1968).
32
Greiert, 2012, p. 17.
33
BdW, p. 38; tr. it. cit., p. 101.
34
Greiert, 2012, p. 1 (Abstract).
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ranei di Kahler (come Troeltsch o Scheler), per i quali era del tutto ovvio che questi
portasse sic et simpliciter ad espressione le posizioni del “sacro circolo”, e il risultato
delle indagini più recenti che tendono (erroneamente!) a rimarcare l’esistenza di
«differenze decisive tra l’argomentazione di Kahler e quella del George-Kreis»35 .
Nella misura in cui Greiert mi ritiene il principale sostenitore di quest’ultima tesi36
debbo subito sottolineare che non ho mai considerato “decisive” le differenze, che
pure esistono, tra le posizioni di Kahler e quelle tipiche del circolo di George37. E
tuttavia mi sembra davvero difficile asserire che le attestate perplessità di George
nei confronti di Der Beruf der Wissenschaft non fossero per nulla connesse a quanto
Gundolf dice in una lettera a Kahler dell’ottobre 1920 (e cioè alla convinzione
che Kahler esponesse la neue Wissenschaft al rischio di divenire anch’essa “sterile”
sottovalutando il contributo delle singole personalità “poietiche” alla creazione
della nuova umanità tedesca ed europea prossima ventura e del suo nuovo sapere),
ma soltanto, come in buona sostanza pensa Greiert, al dispetto del Maestro per
il fatto che «Kahler non sostiene mai in modo esplicito il punto di vista secondo
cui con George sarebbe già vivo e presente un Uomo Nuovo»38. E ciò non certo
per un’esplicita affermazione epistolare di Kahler circa la non coincidenza tra il
suo modo di pensare e quello del George-Kreis39 che va effettivamente presa con
molta cautela nella misura in cui più di quarant’anni (e quali anni!) la separano
dalla pubblicazione di Der Beruf der Wissenschaft40.
Occorre piuttosto considerare con attenzione ciò che Kahler stesso dichiara
nel suo saggio antiweberiano del 1920. «Il nuovo sapere (...) – egli scrive – può
essere soltanto scienza in un senso insieme vecchio e nuovo, in un senso in grado di
rifondere la materia e l’estensione di quella che finora veniva denominata scienza
nella forma antichissima ed eterna che è la sola e unica a poter essere chiamata
sapere»41. Ciò significa che Kahler non riteneva possibile un ritorno puro e sem-

35
Greiert, 2012, p. 9.
36
Cfr. Greiert, 2012, p. 10. Ma si veda anche p. 9, nota 53, in cui Greiert rimanda a Massimilla,
2010, pp. 52 sgg. (tr. ted. cit., pp. 73 sgg.) e a J. Fried, Zwischen “Geheimem Deutschland” und “geheimer
Akademie der Arbeit”. Der Wirtschaftswissenschaftler Arthur Salz, in B. Schlieben – O. Schneider – K.
Schulmeyer (a cura di), Geschichtsbilder im George-Kreis: Wege zur Wissenschaft, Göttingen, 2004, pp.
249-302, pp. 269 sgg.
37
«Ora, non c’è dubbio che Der Beruf der Wissenschaft rappresenti – come subito si accorse
Troeltsch – uno dei documenti più significativi e insieme più espliciti del modo in cui la “nuova
scienza” era generalmente concepita nel George-Kreis» (Massimilla, 2010, p. 51; tr. ted. cit., p. 72). Ma
cfr. anche ivi, pp. 43-50 (tr. ted. cit., pp. 64-71). Greiert stesso rimanda ad un certo punto a queste
pagine a sostegno delle proprie tesi (Greiert, 2012, p. 12, nota 74).
38
Greiert, 2012, p. 12.
39
In una lettera a Michael Landmann del gennaio 1963 Kahler scrive: «Né il mio procedere
oltre le configurazioni dei grandi uomini in direzione degli organismi sovraindividuali e collettivi, e
neanche le mie concezioni e i miei piani per una radicale trasformazione della scienza furono soste-
nuti dal modo di pensare di fondo del George-Kreis» (cit. in A. Kiel, Erich Kahler. Ein «uomo universale»
des zwanzigsten Jahrhunderts, Bern-Frankfurt am Main-New York-Paris, 1989, p. 40).
40
Cfr. Greiert, 2012, p. 10.
41
BdW, p. 60; tr. it. cit., p. 126 (il secondo corsivo è mio).
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 329

plice a forme di sapienza artistica o religiosa che pretendano di aggirare del tutto
il lavoro demolitorio ma insieme preparatorio della scienza razionale moderna.
Certo, con tali forme di sapienza il nuovo sapere avrà «la più intima parentela»,
nella misura in cui la vera arte e la vera religiosità si sviluppano sempre «dal centro
di una formazione organica» e si esprimono «in opere plastiche organiche viste,
visibili e conchiuse, e non già in frammenti di fatti e di calcolabilità»42. E tuttavia
il nuovo sapere «non potrà più consistere di verità di pura fede»43 poiché l’enorme
estensione e l’interna pluralità e motilità di «ciò che deve essere saputo» – ossia
della nuova formazione organica – non gli consentono più di fondarsi «sull’unità
univoca e ferma del Demiurgo»44, vale a dire di configurarsi in maniera mitico-persona-
le. Ma Kahler va ancora oltre, allorché afferma che per gli stessi motivi il nuovo
sapere «non può neanche assumere una configurazione simbolica»45 e quindi non
può presentarsi come poesia. Infatti il «dichten» [poetare], qualsiasi sia il suo effet-
tivo valore, non riesce più a «ver-dichten» [condensare] efficacemente «spazi» ormai
divenuti «troppo grandi», ed è perciò inevitabilmente destinato ad essere visto
come qualcosa di meramente «soggettivo» che è incapace di «far leva (...) sul peri-
metro complessivo della nostra vita odierna»46. Nel processo di determinazione del
nuovo sapere perde quindi ogni valore risolutivo il riferimento all’uomo grande,
all’eroe, al poeta, e dunque anche a George stesso che pure Kahler celebra in Der
Beruf der Wissenschaft come «quell’alta figura dal cui mutamento vivente traiamo
ai nostri giorni conforto e rinvigorimento per questa nostra impresa»47. Al pari
della vecchia scienza, la nuova scienza dovrà piuttosto «porre alla propria base
una comunità sovrapersonale improntata alla cooperazione nonché una rigorosa
disciplina sovrapersonale. Bisognerà che ci siano molti spiriti che dovranno as-
sumere su di loro e dividere fra loro, in un unico senso, questo gigantesco lavoro;
bisognerà che ci sia un modo di procedere e di verificare pianificato in maniera
molto determinata, vale a dire un metodo stabilito che guida questo lavoro, il quale
non deve essere più compiuto in nessun altro modo e – nel mondo in cui viviamo
– deve essere salvaguardato dall’arbitrio dilettantistico»48.
Mi sembra che questi riferimenti testuali mostrino in maniera convincente
come le differenze percepite da George (e da Gundolf) tra le idee di Kahler e
quelle del Kreis non siano del tutto riconducibili a una “questione personale”. Che
il sereno riconoscimento di questo dato di fatto – in qualche modo segnalato a
parte obiecti anche da Troeltsch49 – non implichi per forza (come paventa Greiert)

42
BdW, p. 65; tr. it. cit., p. 132.
43
BdW, p. 60; tr. it. cit., p. 126.
44
BdW, pp. 45-46; tr. it. cit., p. 109.
45
BdW, p. 65; tr. it. cit., p. 132.
46
BdW, p. 65; tr. it. cit., pp. 132-133.
47
BdW, p. 65; tr. it. cit, p. 132.
48
BdW, p. 66; tr. it. cit., p. 133.
49
Troeltsch pone in rilievo come per Kahler l’unico limite delle opere biografiche scritte da
Gundolf e dagli altri georgeani sia quello di occuparsi soltanto di «figure individuali», laddove «il
330 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013

una rivalutazione di Kahler contro Weber, lo mostra, meglio di ogni altro, proprio
Arthur Salz50, l’amicus di Kahler (ma magis amica veritas!) che, dopo la pubblicazione
di Der Beruf der Wissenschaft, prese prontamente le difese di Weber con lo scritto Für
di Wissenschaft gegen die Gebildeten unter ihren Verächtern (1921)51. Salz infatti stigmatiz-
za con estrema decisione la natura aristocratica, esoterica, romantica, antimoderna,
e in ultima istanza “magica”, della neue Wissenschaft di Kahler52. Tuttavia ciò non
gli impedisce di riconoscere «i tentativi di Kahler di riconciliare questo suo sapere
fondato sulla visione (...) con la scienza levitica e universale del pensiero comu-
ne»53. Anzi, proprio il preciso riconoscimento di tali tentativi di riconciliazione
suscita in lui una posizione di diniego ancora più radicale. Salz ritiene infatti che
essi vadano decisamente respinti non solo perché sono «incomprensibili»54, ma
anche e principalmente perché sono in palese contrasto con l’autodeterminazione
stessa della nuova scienza. «È un’asserzione intellettualistica indice di un crasso
razionalismo e tale da travalicare tutta la tendenza moderna all’intellettualismo
quella secondo la quale questo sapere, che pone la grazia al posto della ricerca, la
consacrazione al posto dell’apprendimento, la vocazione [Berufung] al posto della
professione [Beruf] (...), debba poi essere pensato come insegnabile e trasmissibile
in base a disposizioni metodiche, ossia come oggetto di una formazione scolastica.
Nell’ultima parte del suo scritto Kahler offre perfino indicazioni pedagogiche circa
il modo e le categorie con le quali la nuova scienza deve lavorare, indicazioni che,
giusta la caratterizzazione della nuova scienza, non possono coerentemente essere

vero ideale» sarebbe piuttosto quello di riuscire a cogliere mediante il medesimo sguardo Völker,
Kulturkreise e biologische Artkreise. Cfr. E. Troeltsch, Die Revolution in der Wissenschaft (1921), in Id.,
Gesammelte Schriften, vol. IV, a cura di H. Baron, Tübingen, 1925, pp. 653-677 (d’ora in poi: RiW),
p. 672; tr. it. La rivoluzione nella scienza, a cura di V. Pinto, Napoli, 2001, p. 39.
50
Questa poliedrica figura di economista, che incrocia trasversalmente tanto il circolo di Geor-
ge che quello di Weber, è una testimonianza di quanto sappia essere talvolta irritierende la storia della
cultura, con la sua congenita insofferenza nei confronti degli steccati divisori e delle classificazioni
troppo rigide. Su Salz, oltre a Massimilla, 2000, pp. 77-124 (tr. ted. cit., pp. 97-143) e al saggio di
J. Fried prima citato, si veda anche: E. Massimilla, Alla scuola di Weber: Arthur Salz e il progetto di una
storia dell’idea di professione, in «Archivio di storia della cultura», XV (2002), pp. 397-446, ora in Id.,
Scienza, professione, gioventù: rifrazioni weberiane, cit., pp. 13-60; K. Schönhärl, Wissen und Visionen. Theorie
und Politik der Ökonomen im Stefan George-Kreis, Berlin, 2009, in part. pp. 58-70 e pp. 318-344; e B.
Schefold, Political Economy as Geisteswissenschaft: Edgard Salin and Other Economists around George, in M.
S. Lane e M. A. Ruehl (a cura di), A Poet’s Reich. Politics and Culture in the George Circle, Rochester
(New York), 2011, pp. 164-204, in part. pp. 180-187.
51
Nell’“Avvertenza preliminare” alla propria «discussione critica» del saggio di Kahler Salz
scrive: «Fa parte delle delusioni di cui la vita abbonda che un’amicizia pluriennale e molto provata
non sia di tutela contro la diversità delle opinioni su questioni fondamentali. Ma ci sono questioni
concernenti il sapere che sono questioni di coscienza e il loro occultamento non giova ad un’amicizia.
Amicus Plato, magis amica veritas» (A Salz, Für die Wissenschaft gegen die Gebildeten unter ihren Verächtern,
München, 1921, d’ora in poi: FW, p. 5; tr. it. Per la scienza contro i suoi colti detrattori, a cura di E.
Massimilla, Napoli, 1999, p. 65).
52
Anche Greiert richiama queste critiche di Salz a Kahler (cfr. Greiert, 2000, p. 13).
53
RiW, pp. 674-675; tr. it. cit., p. 43.
54
RiW, p. 675; tr. it. cit., p. 43.
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 331

null’altro che disposizioni o prescrizioni circa il modo di divenire un genio o di


imparare a compiere incantesimi»55.

3. Greiert sostiene anche che «la vicinanza di Kahler al romanticismo anti-mo-


derno» risulta del tutto evidente se si prendono in considerazione i «suoi positivi
riferimenti alla Naturphilosophie» che sono in aperto contrasto con alcune argomen-
tazioni sviluppate da Weber in Wissenschaft als Beruf56. Egli richiama a tale proposito
il brano della conferenza sulla scienza come professione nel quale Weber misura
tutta la distanza che intercorre tra l’odierna percezione della conoscenza scien-
tifica e l’idea seicentesca di adoperare le scienze della natura al fine di provare
l’azione efficace della provvidenza divina e di gettar luce, per questo tramite, sul
senso del mondo. Allora «nelle scienze esatte della natura, dove si poteva cogliere
fisicamente l’opera di Dio, là si sperava di rintracciare le sue intenzioni riguardo
al mondo. E oggi? Chi crede oggi ancora – all’infuori di alcuni grandi fanciulli,
quali si possono trovare proprio nelle scienze della natura – che le conoscenze
dell’astronomia o della biologia o della fisica o della chimica possano insegnarci
qualcosa sul senso del mondo, o anche soltanto sulla via per la quale si possa
rintracciare un tale “senso“, dato che ce ne sia uno? Esse sono semmai adatte a
soffocare alla radice la fede che vi sia qualcosa come un “senso” del mondo»57.
Ebbene, secondo Greiert è proprio a “fanciulli” di questo genere che Kahler fa
a ben vedere riferimento quando asserisce che «biologi» come Oscar Hertwig
e Jacob von Uexküll «si sono spinti fino a un grado di conoscenza del vivente
che purtroppo, quasi senza alcuna eccezione, non troviamo ancora in coloro che
trattano i cosiddetti ambiti “culturali”»58.
Si aprirebbe qui il problema piuttosto complesso di stabilire in quale misura
le importanti indagini sperimentali dell’embriologo Oscar Hertwig o la nozione di
Umwelt elaborata da Jacob von Uexküll (uno dei padri dell’etologia novecentesca)
possano essere ricondotte alla Naturphilosophie romantica o addirittura rubricate
come esemplificazioni del modo di pensare dei «grandi fanciulli» menzionati da
Weber59. Tuttavia, a prescindere da ciò, Greiert ritiene – per un certo verso a
ragion veduta – che la «valutazione» di questi autori operata da Kahler si fondi
in ultima istanza su di un «realismo metaforico molto problematico» che tende
ad applicare categorie di matrice biologica al mondo storico-culturale60. E però
egli sottolinea anche l’impossibilità di negare «la vicinanza» di questo realismo

55
FW, p. 29; tr. it. cit., p. 90.
56
Greiert, 2000, p. 14.
57
WaB, p. 92; tr. it. cit., pp. 21-22.
58
BdW, p. 79; tr. it. cit., p. 148.
59
Greiert rimanda a tale proposito ad alcune pagine dell’ampia monografia di Gerhard Lauer
su Kahler. Ma a ben vedere anche Lauer affronta la questione in modo più prudente ed articolato.
Cfr. G. Lauer, Die verspätete Revolution, cit., pp. 240-246.
60
Greiert, 2000, p. 14.
332 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013

metaforico, che contraddistingue le argomentazioni lebensphilosophisch di Kahler e


del circolo di George, al «realismo ingenuo dello Historismus classico»61 (al quale,
come ricordiamo, il “neokantiano” Weber si sarebbe strenuamente opposto). In
Der Beruf der Wissenschaft un simile rapporto di vicinanza, e in fondo di filiazione,
tra la prima e la seconda forma di realismo sarebbe chiaramente attestato dal fatto
che, subito dopo essersi richiamato a Hertwig ed a von Uexküll, Kahler menzio-
na Burckhardt e Dilthey come precursori della neue Wissenschaft nell’ambito delle
cosiddette “scienze della cultura”62.
Di fronte a queste ultime considerazioni – che sembrano per certi versi
rinnovare il vetusto schema secondo cui lo storicismo ottocentesco sarebbe il
diretto progenitore dell’“irrazionalismo vitalistico” del novecento e dei mostri
che quest’ultimo ha generato – mi limito a notare tre cose. In primo luogo che
Dilthey si presta ancor meno di Ranke ad essere assunto come rappresentante
di una concezione ingenuamente realistica del divenire storico. In secondo luogo
che, chi volesse davvero far perno sulla «lista piuttosto variopinta»63 degli «autori
di riferimento»64 menzionati da Kahler, sarebbe costretto a rilevare che di questa
lista fa parte anche Ernst Cassirer65, un nome palesemente in grado di porre da
solo non pochi problemi alle tesi interpretative di Greiert. In terzo luogo che,
con sottile malizia, Arthur Salz utilizza proprio le grandi indagini di Burckhardt e
specie di Dilthey sull’Europa del Cinque e del Seicento quando, nell’ultima par-
te di Für die Wissenschaft, traccia una storia della genesi e dello sviluppo della
scienza moderna in relazione al suo contesto sociale e culturale di insorgenza che
è del tutto alternativa rispetto a quella schizzata da Kahler, secondo il quale la
scienza moderna sarebbe soltanto l’espressione (sul piano del sapere) di una lunga
e dolorosa fase di trapasso tra una formazione organica che non è più (l’umanità
ellenica e le sue modificazioni nell’ecumene romano e cristiano) e una formazione
organica che non è ancora (l’umanità tedesco-europea prossima ventura)66.
4. Come ho già accennato in precedenza, Greiert sottolinea con forza l’in-
quietante ricaduta politica delle posizioni teoriche di Kahler. L’idea del «popolo
tedesco come modello per l’intera umanità»67, idea della quale sono intrise le
pagine di Der Beruf der Wissenschaft, porta infatti ad espressione «un topos general-
mente proprio delle forze politiche di destra degli anni Venti legate all’ideale di
una rivoluzione conservatrice»68. Questo fatto è talmente palese che perfino chi

61
Greiert, 2000, p. 14.
62
Cfr. BdW, p. 79; tr. it. cit., p. 148. Kahler non aveva alcuna simpatia per il «concetto col-
lettivo di “cultura”», che considerava «vecchio, vago e indeterminato» (ibid.).
63
RiW, p. 59; tr. it. cit., p. 38.
64
Greiert, 2000, p. 14.
65
Cfr. BdW, p. 79; tr. it. cit., p. 148.
66
Su questo aspetto della replica di Salz a Kahler rimando a Massimilla, 2000, pp. 112 sgg. ;
tr. ted. cit., pp. 131 sgg.
67
Greiert, 2000, p. 12.
68
Greiert, 2000, p. 12, nota 71.
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 333

scrive, con tutto il suo restare attardato in questioni di dettaglio che rischiano ad
ogni momento di fare perdere di vista il nocciolo del problema, «deve per forza
riconoscerlo»69.
In realtà, lungi dal riconoscere di malavoglia tale circostanza, ho addirittura
cercato di approfondirla mettendo in rilievo che «negli anni del primo dopoguerra»
erano davvero «molti» i «punti di convergenza»70 tra le posizioni dell’ebreo Kahler
(costretto a riparare prima in Austria, in Cecoslovacchia e in Svizzera e poi negli
Stati Uniti per sfuggire al nazismo) e quelle di un altro dei critici di Weber, Ernst
Krieck, il pedagogo autodidatta che, nel semestre estivo del 1933, divenne il primo
rettore nazionalsocialista di un’università tedesca. «Basti pensare alla scelta di un
comune obiettivo polemico (Weber), all’enfasi che entrambi pongono sulla Jugend
tedesca come antesignana di una nuova e più compiuta umanità, al modello dell’or-
ganismo e delle sue funzioni al quale entrambi fanno ricorso per illustrare quale
sia la relazione adeguata fra il sapere e colui che lo detiene, alla diagnosi condivisa
da entrambi di una crisi irreversibile della scienza razionale moderna nella sua
attuale configurazione, all’esigenza condivisa da entrambi di una “nuova scienza“
adeguata alla nuova forma del vivente che è in procinto di venire alla luce, e così
via»71. Certo, non ho potuto non constatare come negli scritti di Krieck il discorso
di Kahler subisca un’«immediata ed esclusiva traduzione politica»72, fondata sull’i-
dentificazione della nozione di “formazione organica vivente”, cui Kahler tende
ad attribuire una generale portata ontologica, con quella di “comunità popolare”.
E tuttavia ho rimarcato anche come Der Beruf der Wissenschaft offra senza alcun
dubbio una pluralità di appigli ad un’operazione di questo tipo, non solo a causa
della sua aspra polemica anti-parlamentare cui fa riscontro il convincimento che il
popolo tedesco debba affidarsi ad una Führerschaft che detenga il monopolio della
decisione autonoma e responsabile, ma anche e principalmente a causa della tesi
secondo cui, a differenza dell’umanità greca, l’umanità tedesco-europea in procinto
di sorgere «avrà il suo baricentro non nella persona singola, ma piuttosto nella
comunità», configurandosi dunque come «intima comunità di anime e di sangue»
che «si troverà di fronte (...) grandi comunità dello stesso tipo»73.
Per tali ragioni, se ci si limita a considerare Der Beruf der Wissenschaft e gli scritti
che lo precedono, ritengo che sia possibile concordare con l’opinione di Greiert
secondo cui «anche per Kahler, come per il georgeano Ernst Kantorowicz, che
fu un militante dei Freikorps della prima ora, è senz’altro valido un bilancio che
Walter Benjamin aveva già stilato nel 1928: “Nella cerchia che si formò attorno
a George nel corso degli anni Novanta si offrì per la prima volta agli ebrei la

69
Greiert, 2000, p. 12, nota 71.
70
Massimilla, 2000, p. 134; tr. ted. cit., p. 153.
71
Massimilla, 2000, p. 134; tr. ted. cit., pp. 153-154.
72
Massimilla, 2000, p. 134; tr. ted. cit., p. 154.
73
BdW, p. 51, p. 35 e p. 60; tr. it. cit., p. 116, p. 98 e p. 127. Su tutto ciò cfr. Massimilla, 2000,
pp. 134-136; tr. ted. cit., pp. 154-156.
334 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013

possibilità di porre le loro tendenze conservatrici in una feconda relazione con il


germanesimo”»74. Altro discorso, certamente più complesso, è quello concernen-
te la via che conduce lentamente Kahler dalle posizioni del 1920 (le quali sono
senz’altro ascrivibili al variegato arcipelago della “rivoluzione conservatrice”) alla
chiara adesione alla tradizione democratica della sua nuova patria americana (che
diviene del tutto esplicita nello scritto Man, the Measure del 1943)75. Personalmente
sono convinto che, chi voglia davvero ricostruire questa vicenda, debba tenere
nel debito conto due cose. In primo luogo i tredici anni di quasi assoluto silen-
zio che, nella bibliografia di un autore prolifico come Kahler, dividono il saggio
anti-weberiano del 1920 dallo scritto successivo di un qualche rilievo. In secondo
luogo i frutti di questo lungo periodo di ripensamento, che sono visibili in ma-
niera chiara nell’Israel unter den Völkern (1933). Difatti in questo libro veramente
“inattuale” – pubblicato nell’anno della salita al potere di Hitler, esso argomenta
in favore dell’esistenza di un’affinità elettiva tra il popolo ebraico e quello tedesco
– Kahler propone, fra le altre cose, una raffinata critica alla consistenza scientifica
e filosofica della nozione di razza (il nucleo portante dell’ideologia e dell’esecranda
prassi del nazionalsocialismo), ma lo fa entro un orizzonte categoriale diverso da
quello che fungeva da sfondo a Der Beruf der Wissenschaft. Un orizzonte categoriale
che rimane senza dubbio molto distante dall’opzione radicalmente anti-ontologica
di Weber, ma che rivela, per così dire, la transizione dall’“ontologia della vita”
degli anni del primo dopoguerra ad una forma più rassicurante di “ontologia
dello spirito”76.

THE DEVIL IS IN THE DETAILS: AGAIN ON WEBER AND KAHLER, DISCUSSING ABOUT AN
ESSAY BY ANDREAS GREIERT. The author dissents from some of the thesis borne in Andreas
Greiert’s essay Der Wissenschaftler als Führer aus der deutschen Krise. Zu Erich
von Kahlers Polemik gegen Max Weber (2002), which he thinks to be not grounded
from a historiographical perspective. Greiert puts Weber close to Neo-kantism excessively, and
distances him too much from the tradition of Historismus and of its supposed “naïve realism”.
Furthermore, moved by the fair worry of opposing Weber’s and Kahler’s positions (also the
political ones), Greiert risks to fail to appreciate some aspects of Kahler’s ideas on the neue
Wissenschaft which does not coincide completely with that ones which were mainly in vogue
in the George-Kreis.

74
Greiert, 2000, p. 17. Il passo citato è tratto dallo scritto di Benjamin Juden in der deutschen
Kultur. 1. In den Geisteswissenschaften. 2. In der Dichtung, ora in W. Benjamin, Gesammelte Schriften, vol
II/2, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Frankfurt a.M., 1977, pp. 807-813, p. 812.
75
Cfr. Greiert, 2000, pp. 17-18.
76
Rimanda a tale proposito a E. Massimilla, La critica della nozione di razza nell’Israel unter den
Völkern di Erich von Kahler (1999), ora in Id., Scienza, professione, gioventù: rifrazioni weberiane, cit., pp.
217-230. Ma cfr. anche G. Lauer, Die verspätete Revolution, cit., p. 257.

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