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di Edoardo Massimilla
1
A. Greiert, Der Wissenschaftler als Führer aus der deutschen Krise. Zu Erich von Kahlers Polemik gegen
Max Weber, in «Zeitschrift für Religions- und Geistesgeschichte», 64 (1912), Number 1, pp. 1-18
(d’ora in poi: Greiert, 2012), p. 1.
2
E. von Kahler, La professione della scienza, a cura di E. Massimilla, presentazione di F. Tessitore,
Napoli, 1996. Ma cfr. anche E. von Kahler, La crisi della scienza, a cura di E. Massimilla, Soveria
Mannelli, 1997: il volumetto contiene la traduzione italiana di due brevi articoli di Kahler pubblicati
nel 1919 su «Der Neue Merkur» (Die Krisis in der Wissenschaft e Die menschliche Wirkung der Wissenschaft)
che sono l’uno la prosecuzione dell’altro e che anticipano entrambi alcuni contenuti fondamentali
del più ampio scritto antiweberiano del 1920.
3
Cfr. E. Massimilla, Intorno a Weber. Scienza, vita e valori nella polemica su “Wissenschaft als Beruf”,
Napoli, 2000 (d’ora in poi: Massimilla, 2000); tr. tedesca Ansichten zu Weber. Wissenschaft, Leben und
Werte in der Auseinandersetzung um “Wissenschaft als Beruf”, a cura di C. Voermanek, Leipzig, 2008.
322 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013
4
Greiert, 2012, p. 1.
5
Massimilla, 2000, p. XXII; tr. ted. cit., p. 20. Questa impostazione di fondo delle mie ricerche
intorno a Weber è stato perfettamente colta da Domenico Conte (Circumnavigazioni weberiane, partendo
da Napoli. Qualche osservazione sugli studi weberiani di Edoardo Massimilla, in «Archivio di storia della cul-
tura», XXII, 2009, pp. 215-224). La sua valutazione positiva dei risultati storiografici ottenuti riveste
per me una grande importanza, non già nonostante che ma proprio perché tra noi esiste un certo
tasso di divergenza teorica circa l’interdetto weberiano alla riproposizione di orizzonti ontologici
stabili e circa gli esiti di tale interdetto sul piano etico e su quello politico.
6
L’agile volume di Pohle, che estende il discorso ad altri autori (Friedrich Gundolf, Edgard
Salin, Albert Dietrich, Theodor Litt, Eduard Spranger), condivide con la mia monografia del 2000
perfino il titolo di un capitolo, il quarto: Revolution der Wissenschaft und “konservative Revolution”. Cfr.
Massimilla, 2000, p. 125 (tr. ted. cit., p. 145) e R. Pohle, Max Weber und die Krise der Wissenschaft.
Eine Debatte in Weimar, Göttingen, 2009, p. 63. – Di taglio nettamente diverso sono le pagine su
Kahler e sulla sua polemica con Weber di Francesco Rossi (Gesamterkennen. Zur Wissenschaftskritik
und Gestalttheorie im George-Kreis, Würzburg, 2011, pp. 251-292 e passim) che trattano di Der Beruf der
Wissenschaft nel quadro di una ricerca la quale mostra in maniera ampiamente documentata e ben
argomentata come il «nocciolo paradigmatico» della concezione georgeana della scienza risieda «nella
teoria della Gestalt» (ivi, p. 30). Nella ricca bibliografia secondaria che correda il volume desta non
poca sorpresa la quasi totale assenza di contributi italiani attinenti al tema trattato. Cfr. ad esempio: E.
Massimilla, Vita e storia nella “nuova scienza” del George-Kreis, in G. Cacciatore – G. Cantillo – G. Lissa
(a cura di), Lo storicismo e la sua storia: temi, problemi, prospettive, Milano, 1997, pp. 435-442; D. Conte,
Fondamento e stabilità tra catastrofi: su di uno scritto giovanile di Erich von Kahler, in «Giornale critico della
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 323
filosofia italiana», LXXVII, fasc. I (gennaio-aprile 1998), pp. 44-52; R. Delle Donne, “Historisches
Bild” e signoria del presente. Il “Federico II” di Ernst Kantorowicz, in A. Zorzi – R. Delle Donne (a cura
di), Le storie e la memoria. In onore di Arnold Esch, Firenze, 2002, pp. 295-352; E. Massimilla, L’immagine
di Kant nel George-Kreis, in «Giornale critico della filosofia italiana», LXXXIV, fasc. II (maggio-agosto
2005), pp. 328-346, ora in Id., Scienza, professione, gioventù: rifrazioni weberiane, Soveria Mannelli, 2008,
pp. 109-131; G. Lacchin, Stefan George e l’antichità: lineamenti di una filosofia dell’arte, Lugano, 2006. Ora
si veda anche P. Favuzzi, Simbolo, mito e verità storica. Albert Brackmann contro Ernst Kantorowicz, in
«Archivio di storia della cultura», XXIV (2011), pp. 217-236.
7
F. Tuccari, Tra «vecchia» e «nuova» scienza. Wissenschaft als Beruf nel dibattito tedesco degli anni Dieci,
Venti e Trenta, in «Archivio di storia della cultura», XXII (2009), pp. 225-239, p. 237.
8
M. Weber, Die “Objektivität” sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis (1904), in Id.,
Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, Tübingen, 1988, pp. 146-214 (d’ora in poi: OssE), p. 151;
tr. it. L’“oggettività” conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, in Id., Saggi sul metodo delle scienze
storico-sociali, a cura di P. Rossi, Torino, 2001, pp. 147-208, p. 153. In questo saggio Weber si riferisce
esclusivamente alla «scienza empirica». Ma il prudente distinguo tende a venire meno negli scritti
più tardi e scompare del tutto nella conferenza sulla scienza come professione.
9
Greiert, 2012, p. 2.
10
Greiert, 2012, p. 2.
11
M. Weber, Wissenschaft als Beruf, in Max Weber Gesamtausgabe, I/17: Wissenschaft als Beruf
1917/1919 – Politik als Beruf, 1919, a cura di W. J. Mommsen e W. Schluchter in collaborazione con
B. Morgenbrod, Tübingen, 1992 (d’ora in poi: WaB), pp. 49-111, pp. 100-101; tr. it. La scienza come
professione, in Id., La scienza come professione. La politica come professione, a cura di P. Rossi e F. Tuccari,
Torino, 2001, pp. 1-40, p. 30. Cfr. Greiert, 2012, p. 8.
12
Cfr. WaB, pp. 103-104 (tr. it. cit., pp. 33-34) e Greiert, 2012, p. 7.
324 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013
13
Greiert, 2012, pp. 4-5. Ma cfr. anche ivi, p. 5, ove si legge che in base al «nuovo concetto
di oggettività storica» propugnato da Weber «le forme e le strutture logiche di collegamento resta-
no gli unici vincoli possibili» di fronte al variare storico-culturale dei contenuti. Per adoperare la
terminologia di Rickert, ritengo che Greiert non operi una sufficiente distinzione tra il problema
weberiano dell’“oggettività empirica” dei concetti storici e il problema, tipicamente neokantiano,
della loro assoluta “oggettività critica”.
14
Cfr. Greiert, 2012, p. 10, nota 57: «Sul fondamento del suo rifiuto (neokantiano) di ricono-
scere una dignità conoscitiva all’Erleben immediato, Weber ha (...) espressamente ricusato posizioni
ascrivibili alla Lebensphilosophie».
15
Greiert, 2012, p. 3 e p. 5.
16
Greiert, 2012, pp. 3-4. Greiert si richiama qui alle tesi di Uwe Barrelmeyer (Geschichtliche
Wirklichkeit als Problem. Untersuchungen zu geschichtstheoretischen Begründungen historischen Wissens bei Johann
Gustav Droysen, Georg Simmel und Max Weber, Münster, 1997).
17
Mi limito qui a rimandare alle decennali indagini sulla storia e sulla teoria dello storicismo
di Fulvio Tessitore.
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 325
tratto della prima parte delle Kritische Studien18, Weber evidenzia senz’altro «quanto
poco sia corretta (...) la popolare e ingenua concezione che la storia rappresenti
una “mera” descrizione di realtà preesistenti, o una semplice riproduzione di
“fatti”»19, ma non fa alcun esplicito riferimento a Ranke. Né mi sembra plausibile
sostenere che egli abbia implicitamente in mente Ranke, giacché nei cosiddetti
“saggi metodologici” dei primi anni del Novecento i riferimenti espliciti a Ran-
ke non mancano, ma sono di natura del tutto diversa. Basti pensare alla pagina
finale del saggio sull’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica
sociale (1904) ove Weber afferma che tra gli storici Leopold von Ranke possedeva
in massimo grado quella «genuina capacità artistica» che «si manifesta di solito
proprio come capacità di creare qualcosa di nuovo mettendo in relazioni fatti
noti con punti di vista anch’essi noti»20. Oppure alla seconda sezione del saggio
su Roscher e Knies (1905) ove Weber, discutendo le teorie di Gottl, scrive dap-
prima che «il ruolo che la (...) fantasia storica (o, più in generale, interpretativa)
svolge nell’“inferenza” di processi storici è identico a quello che spetta all’“im-
maginazione matematica” sul terreno della conoscenza fisica», asserisce poi che
«la verifica delle ipotesi così ottenute – poiché di esse si tratta in entrambi i casi
– costituisce un processo, considerato dal punto di vista logico, non diverso in
linea di principio», ed infine aggiunge: «Ranke “decifrava” le connessioni storiche
nello stesso modo in cui l’“arte dell’esperimento” di Robert W. Bunsen veniva
di solito ammirata come il fondamento dei suoi specifici successi»21. Afferma-
zioni, queste, che sono a dire il vero ben poco compatibili con l’immagine di un
Ranke vessillifero della popolare e ingenua concezione della conoscenza storica
come mera descrizione di realtà preesistenti22, di un Ranke che – per dirla con
18
Cfr. Greiert, 2012, p. 4, nota 16.
19
M. Weber, Kritische Studien auf dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik (1906), in Id., Gesam-
melte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, cit., pp. 215-290 (d’ora in poi: KS), I. Zur Auseinandersetzung mit
Eduard Meyer, p. 237; tr. it. Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura, in Id., Saggi sul metodo
delle scienze storico-sociali, cit., pp. 209-278, I. In polemica con Eduard Meyer, p. 231.
20
OssE, p. 214; tr. it. cit., pp. 207-208.
21
M. Weber, Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalökonomie (1903-
1906), in Id., Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, cit., pp. 1-145 (d’ora in poi: RuK), p. 98; tr. it.
Roscher e Knies e i problemi logici dell’economia politica di indirizzo storico, in Id., Saggi sul metodo delle scienze
storico-sociali, cit., pp. 5-136, p. 94. Ma cfr. anche KS, II. Obiektive Möglichkeit und adäquate Verursachung
in der historischen Kausalbetrachtung, p. 278; tr. it. cit, II. Possibilità oggettiva e causazione adeguata nella
considerazione causale della storia, p. 268.
22
Ranke è anche richiamato da Weber nella prima sezione del saggio su Roscher e Knies
(1903). In tale contesto il «maestro» di Roscher gioca il ruolo del grande oppositore del «panlogi-
smo hegeliano», convinto che «i problemi metafisici» non possano «essere risolti sul terreno della
storia empirica» e sorretto in tale convinzione dalla sua profonda fede luterana. «Se è consentito il
paragone – Weber scrive –, si può forse chiarire il ruolo che la fede in Dio ha assolto nel lavoro
scientifico di Ranke e di Roscher facendo ricorso all’analogia con il ruolo del monarca in uno stato
rigorosamente parlamentare. All’enorme economia di energia politica, che deriva dal fatto che la
più alta carica dello stato è occupata stabilmente, anche se da un detentore personalmente privo di
qualsiasi influenza sugli affari concreti dello stato, cosicché le forze politiche esistenti sono scorag-
giate dall’impegnarsi in una lotta per il potere (quanto meno relativo) e sono invece indotte a un
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2. La seconda parte del saggio di Greiert, quella dedicata nello specifico a Kahler, è
interamente dominata da una preoccupazione perfino condivisibile che viene riba-
dita anche nelle pagine conclusive del lavoro: posta a confronto con la concezione
weberiana della scienza che risulta «ancora oggi attuale»26, posta a confronto con
«l’appello di Weber in favore dello scienziato inteso come partner e non già come
guida»27 nel quadro della già richiamata idea che il singolo debba decidere in auto-
lavoro positivo al servizio dello stato, corrisponde qui l’esclusione, fin dall’inizio, di quei problemi
metafisici che non possono essere risolti sul terreno della storia empirica, e il loro affidamento alla
fede religiosa, col risultato di proteggere l’imparzialità del lavoro storico dalla speculazione». Weber
aggiunge anche che, per «il peso schiacciante del sistema hegeliano», Roscher non fu in grado di
recidere così a fondo come Ranke «il cordone ombelicale che unisce la sua concezione della storia
alla dottrina delle idee (in senso metafisico)». Cfr. RuK, pp. 16-22; tr. it. cit., pp. 20-25. Nello stesso
senso si veda anche il riferimento a Ranke in KS, I, p. 225; tr. it. cit., p. 220.
23
B. Croce, Teoria e storia della storiografia, 2 voll., a cura di E. Massimilla e T. Tagliaferri, con
una nota di F. Tessitore, Napoli, 2007, vol. I, p. 271.
24
«Per Weber – Greiert scrive – «la conoscenza storica è non già riproduzione di fatti ma
costruzione della connessione, e la realtà storica nel suo complesso è un “cosmo, in sé privo di
contraddizioni, di costruzioni pensate”» (Greiert, 2012, p. 4). Tuttavia nel passo del saggio sull’og-
gettività conoscitiva richiamato da Greiert Weber non attribuisce affatto tale definizione alla realtà
storica nel suo complesso, bensì alla «teoria economica astratta» assunta come esempio «di quelle
sintesi che si designano di solito come “idee” di fenomeni storici» (OssE, p. 190; tr. it. cit., p. 187).
Ad unire determinati processi della vita storica in un cosmo, in sé privo di contraddizioni, di con-
nessioni pensate è dunque, per Weber, «il concetto tipico-ideale» che «serve a orientare il giudizio
di imputazione nel corso della ricerca», che «non costituisce un’“ipotesi”, ma intende orientare la
costruzione di ipotesi», e che «non è una rappresentazione [Darstellung] del reale, ma intende fornire alla
rappresentazione strumenti precisi di espressione» (ibid.). Ciò non toglie che per Weber la nozione
di Zusammenhang svolga effettivamente un ruolo centrale nella definizione della conoscenza storica
e del suo correlato oggettivo. Basti pensare che nel saggio su Roscher e Knies il carattere proprio
delle «scienze di realtà» è la «selezione di ciò che è individualmente significativo e il suo inserimento
entro connessioni universali, ma di carattere individuale» (RuK, p. 3 e p. 15.; p. 9 e p. 19). Cfr. anche
RuK, pp. 5-6; tr. it. cit.; pp. 11-12. Weber fa qui, anche terminologicamente, riferimento, a particolari
aspetti della riflessione di Rickert sulla logica delle scienze storiche e, in primo luogo, al terzo dei
quattro “modi” del generale in storia individuati dal filosofo neokantiano. Su questi temi rimando
a E. Massimilla, Tre studi su Weber tra Rickert e von Kries, Napoli, 2010; tr. tedesca Max Weber zwischen
Heinrich Rickert und Johannes von Kries, a cura di C. Voermanek, Köln-Weimar-Wien, 2012.
25
L. von Ranke, Le epoche della storia moderna, a cura di F. Tessitore, tr. it. di G. Valera e F.
Pugliese Carratelli, Napoli, 1985, p. 288.
26
Greiert, 2012, p. 17.
27
Greiert, 2012, p. 15.
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 327
28
Greiert, 2012, p. 14.
29
Greiert, 2012, p. 1 (Abstract).
30
E. von Kahler, Der Beruf der Wissenschaft, Berlin, 1920 (d’ora in poi: BdW), p. 27; tr. it. cit.,
p. 88.
31
Greiert, 2012, pp. 14-15. Greiert fa prima riferimento a un’affermazione di Gerhard Lauer
(Die verspätete Revolution. Erich von Kahler Wissenschaftsgeschichte zwischen konservativer Revolution und Exil,
Berlin-New York, 1995, p. 235) e richiama poi l’efficace espressione adoperata da Peter Gay in
Weimar Culture. The Outsider as Insider (1968).
32
Greiert, 2012, p. 17.
33
BdW, p. 38; tr. it. cit., p. 101.
34
Greiert, 2012, p. 1 (Abstract).
328 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013
ranei di Kahler (come Troeltsch o Scheler), per i quali era del tutto ovvio che questi
portasse sic et simpliciter ad espressione le posizioni del “sacro circolo”, e il risultato
delle indagini più recenti che tendono (erroneamente!) a rimarcare l’esistenza di
«differenze decisive tra l’argomentazione di Kahler e quella del George-Kreis»35 .
Nella misura in cui Greiert mi ritiene il principale sostenitore di quest’ultima tesi36
debbo subito sottolineare che non ho mai considerato “decisive” le differenze, che
pure esistono, tra le posizioni di Kahler e quelle tipiche del circolo di George37. E
tuttavia mi sembra davvero difficile asserire che le attestate perplessità di George
nei confronti di Der Beruf der Wissenschaft non fossero per nulla connesse a quanto
Gundolf dice in una lettera a Kahler dell’ottobre 1920 (e cioè alla convinzione
che Kahler esponesse la neue Wissenschaft al rischio di divenire anch’essa “sterile”
sottovalutando il contributo delle singole personalità “poietiche” alla creazione
della nuova umanità tedesca ed europea prossima ventura e del suo nuovo sapere),
ma soltanto, come in buona sostanza pensa Greiert, al dispetto del Maestro per
il fatto che «Kahler non sostiene mai in modo esplicito il punto di vista secondo
cui con George sarebbe già vivo e presente un Uomo Nuovo»38. E ciò non certo
per un’esplicita affermazione epistolare di Kahler circa la non coincidenza tra il
suo modo di pensare e quello del George-Kreis39 che va effettivamente presa con
molta cautela nella misura in cui più di quarant’anni (e quali anni!) la separano
dalla pubblicazione di Der Beruf der Wissenschaft40.
Occorre piuttosto considerare con attenzione ciò che Kahler stesso dichiara
nel suo saggio antiweberiano del 1920. «Il nuovo sapere (...) – egli scrive – può
essere soltanto scienza in un senso insieme vecchio e nuovo, in un senso in grado di
rifondere la materia e l’estensione di quella che finora veniva denominata scienza
nella forma antichissima ed eterna che è la sola e unica a poter essere chiamata
sapere»41. Ciò significa che Kahler non riteneva possibile un ritorno puro e sem-
35
Greiert, 2012, p. 9.
36
Cfr. Greiert, 2012, p. 10. Ma si veda anche p. 9, nota 53, in cui Greiert rimanda a Massimilla,
2010, pp. 52 sgg. (tr. ted. cit., pp. 73 sgg.) e a J. Fried, Zwischen “Geheimem Deutschland” und “geheimer
Akademie der Arbeit”. Der Wirtschaftswissenschaftler Arthur Salz, in B. Schlieben – O. Schneider – K.
Schulmeyer (a cura di), Geschichtsbilder im George-Kreis: Wege zur Wissenschaft, Göttingen, 2004, pp.
249-302, pp. 269 sgg.
37
«Ora, non c’è dubbio che Der Beruf der Wissenschaft rappresenti – come subito si accorse
Troeltsch – uno dei documenti più significativi e insieme più espliciti del modo in cui la “nuova
scienza” era generalmente concepita nel George-Kreis» (Massimilla, 2010, p. 51; tr. ted. cit., p. 72). Ma
cfr. anche ivi, pp. 43-50 (tr. ted. cit., pp. 64-71). Greiert stesso rimanda ad un certo punto a queste
pagine a sostegno delle proprie tesi (Greiert, 2012, p. 12, nota 74).
38
Greiert, 2012, p. 12.
39
In una lettera a Michael Landmann del gennaio 1963 Kahler scrive: «Né il mio procedere
oltre le configurazioni dei grandi uomini in direzione degli organismi sovraindividuali e collettivi, e
neanche le mie concezioni e i miei piani per una radicale trasformazione della scienza furono soste-
nuti dal modo di pensare di fondo del George-Kreis» (cit. in A. Kiel, Erich Kahler. Ein «uomo universale»
des zwanzigsten Jahrhunderts, Bern-Frankfurt am Main-New York-Paris, 1989, p. 40).
40
Cfr. Greiert, 2012, p. 10.
41
BdW, p. 60; tr. it. cit., p. 126 (il secondo corsivo è mio).
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 329
plice a forme di sapienza artistica o religiosa che pretendano di aggirare del tutto
il lavoro demolitorio ma insieme preparatorio della scienza razionale moderna.
Certo, con tali forme di sapienza il nuovo sapere avrà «la più intima parentela»,
nella misura in cui la vera arte e la vera religiosità si sviluppano sempre «dal centro
di una formazione organica» e si esprimono «in opere plastiche organiche viste,
visibili e conchiuse, e non già in frammenti di fatti e di calcolabilità»42. E tuttavia
il nuovo sapere «non potrà più consistere di verità di pura fede»43 poiché l’enorme
estensione e l’interna pluralità e motilità di «ciò che deve essere saputo» – ossia
della nuova formazione organica – non gli consentono più di fondarsi «sull’unità
univoca e ferma del Demiurgo»44, vale a dire di configurarsi in maniera mitico-persona-
le. Ma Kahler va ancora oltre, allorché afferma che per gli stessi motivi il nuovo
sapere «non può neanche assumere una configurazione simbolica»45 e quindi non
può presentarsi come poesia. Infatti il «dichten» [poetare], qualsiasi sia il suo effet-
tivo valore, non riesce più a «ver-dichten» [condensare] efficacemente «spazi» ormai
divenuti «troppo grandi», ed è perciò inevitabilmente destinato ad essere visto
come qualcosa di meramente «soggettivo» che è incapace di «far leva (...) sul peri-
metro complessivo della nostra vita odierna»46. Nel processo di determinazione del
nuovo sapere perde quindi ogni valore risolutivo il riferimento all’uomo grande,
all’eroe, al poeta, e dunque anche a George stesso che pure Kahler celebra in Der
Beruf der Wissenschaft come «quell’alta figura dal cui mutamento vivente traiamo
ai nostri giorni conforto e rinvigorimento per questa nostra impresa»47. Al pari
della vecchia scienza, la nuova scienza dovrà piuttosto «porre alla propria base
una comunità sovrapersonale improntata alla cooperazione nonché una rigorosa
disciplina sovrapersonale. Bisognerà che ci siano molti spiriti che dovranno as-
sumere su di loro e dividere fra loro, in un unico senso, questo gigantesco lavoro;
bisognerà che ci sia un modo di procedere e di verificare pianificato in maniera
molto determinata, vale a dire un metodo stabilito che guida questo lavoro, il quale
non deve essere più compiuto in nessun altro modo e – nel mondo in cui viviamo
– deve essere salvaguardato dall’arbitrio dilettantistico»48.
Mi sembra che questi riferimenti testuali mostrino in maniera convincente
come le differenze percepite da George (e da Gundolf) tra le idee di Kahler e
quelle del Kreis non siano del tutto riconducibili a una “questione personale”. Che
il sereno riconoscimento di questo dato di fatto – in qualche modo segnalato a
parte obiecti anche da Troeltsch49 – non implichi per forza (come paventa Greiert)
42
BdW, p. 65; tr. it. cit., p. 132.
43
BdW, p. 60; tr. it. cit., p. 126.
44
BdW, pp. 45-46; tr. it. cit., p. 109.
45
BdW, p. 65; tr. it. cit., p. 132.
46
BdW, p. 65; tr. it. cit., pp. 132-133.
47
BdW, p. 65; tr. it. cit, p. 132.
48
BdW, p. 66; tr. it. cit., p. 133.
49
Troeltsch pone in rilievo come per Kahler l’unico limite delle opere biografiche scritte da
Gundolf e dagli altri georgeani sia quello di occuparsi soltanto di «figure individuali», laddove «il
330 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013
una rivalutazione di Kahler contro Weber, lo mostra, meglio di ogni altro, proprio
Arthur Salz50, l’amicus di Kahler (ma magis amica veritas!) che, dopo la pubblicazione
di Der Beruf der Wissenschaft, prese prontamente le difese di Weber con lo scritto Für
di Wissenschaft gegen die Gebildeten unter ihren Verächtern (1921)51. Salz infatti stigmatiz-
za con estrema decisione la natura aristocratica, esoterica, romantica, antimoderna,
e in ultima istanza “magica”, della neue Wissenschaft di Kahler52. Tuttavia ciò non
gli impedisce di riconoscere «i tentativi di Kahler di riconciliare questo suo sapere
fondato sulla visione (...) con la scienza levitica e universale del pensiero comu-
ne»53. Anzi, proprio il preciso riconoscimento di tali tentativi di riconciliazione
suscita in lui una posizione di diniego ancora più radicale. Salz ritiene infatti che
essi vadano decisamente respinti non solo perché sono «incomprensibili»54, ma
anche e principalmente perché sono in palese contrasto con l’autodeterminazione
stessa della nuova scienza. «È un’asserzione intellettualistica indice di un crasso
razionalismo e tale da travalicare tutta la tendenza moderna all’intellettualismo
quella secondo la quale questo sapere, che pone la grazia al posto della ricerca, la
consacrazione al posto dell’apprendimento, la vocazione [Berufung] al posto della
professione [Beruf] (...), debba poi essere pensato come insegnabile e trasmissibile
in base a disposizioni metodiche, ossia come oggetto di una formazione scolastica.
Nell’ultima parte del suo scritto Kahler offre perfino indicazioni pedagogiche circa
il modo e le categorie con le quali la nuova scienza deve lavorare, indicazioni che,
giusta la caratterizzazione della nuova scienza, non possono coerentemente essere
vero ideale» sarebbe piuttosto quello di riuscire a cogliere mediante il medesimo sguardo Völker,
Kulturkreise e biologische Artkreise. Cfr. E. Troeltsch, Die Revolution in der Wissenschaft (1921), in Id.,
Gesammelte Schriften, vol. IV, a cura di H. Baron, Tübingen, 1925, pp. 653-677 (d’ora in poi: RiW),
p. 672; tr. it. La rivoluzione nella scienza, a cura di V. Pinto, Napoli, 2001, p. 39.
50
Questa poliedrica figura di economista, che incrocia trasversalmente tanto il circolo di Geor-
ge che quello di Weber, è una testimonianza di quanto sappia essere talvolta irritierende la storia della
cultura, con la sua congenita insofferenza nei confronti degli steccati divisori e delle classificazioni
troppo rigide. Su Salz, oltre a Massimilla, 2000, pp. 77-124 (tr. ted. cit., pp. 97-143) e al saggio di
J. Fried prima citato, si veda anche: E. Massimilla, Alla scuola di Weber: Arthur Salz e il progetto di una
storia dell’idea di professione, in «Archivio di storia della cultura», XV (2002), pp. 397-446, ora in Id.,
Scienza, professione, gioventù: rifrazioni weberiane, cit., pp. 13-60; K. Schönhärl, Wissen und Visionen. Theorie
und Politik der Ökonomen im Stefan George-Kreis, Berlin, 2009, in part. pp. 58-70 e pp. 318-344; e B.
Schefold, Political Economy as Geisteswissenschaft: Edgard Salin and Other Economists around George, in M.
S. Lane e M. A. Ruehl (a cura di), A Poet’s Reich. Politics and Culture in the George Circle, Rochester
(New York), 2011, pp. 164-204, in part. pp. 180-187.
51
Nell’“Avvertenza preliminare” alla propria «discussione critica» del saggio di Kahler Salz
scrive: «Fa parte delle delusioni di cui la vita abbonda che un’amicizia pluriennale e molto provata
non sia di tutela contro la diversità delle opinioni su questioni fondamentali. Ma ci sono questioni
concernenti il sapere che sono questioni di coscienza e il loro occultamento non giova ad un’amicizia.
Amicus Plato, magis amica veritas» (A Salz, Für die Wissenschaft gegen die Gebildeten unter ihren Verächtern,
München, 1921, d’ora in poi: FW, p. 5; tr. it. Per la scienza contro i suoi colti detrattori, a cura di E.
Massimilla, Napoli, 1999, p. 65).
52
Anche Greiert richiama queste critiche di Salz a Kahler (cfr. Greiert, 2000, p. 13).
53
RiW, pp. 674-675; tr. it. cit., p. 43.
54
RiW, p. 675; tr. it. cit., p. 43.
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 331
55
FW, p. 29; tr. it. cit., p. 90.
56
Greiert, 2000, p. 14.
57
WaB, p. 92; tr. it. cit., pp. 21-22.
58
BdW, p. 79; tr. it. cit., p. 148.
59
Greiert rimanda a tale proposito ad alcune pagine dell’ampia monografia di Gerhard Lauer
su Kahler. Ma a ben vedere anche Lauer affronta la questione in modo più prudente ed articolato.
Cfr. G. Lauer, Die verspätete Revolution, cit., pp. 240-246.
60
Greiert, 2000, p. 14.
332 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013
61
Greiert, 2000, p. 14.
62
Cfr. BdW, p. 79; tr. it. cit., p. 148. Kahler non aveva alcuna simpatia per il «concetto col-
lettivo di “cultura”», che considerava «vecchio, vago e indeterminato» (ibid.).
63
RiW, p. 59; tr. it. cit., p. 38.
64
Greiert, 2000, p. 14.
65
Cfr. BdW, p. 79; tr. it. cit., p. 148.
66
Su questo aspetto della replica di Salz a Kahler rimando a Massimilla, 2000, pp. 112 sgg. ;
tr. ted. cit., pp. 131 sgg.
67
Greiert, 2000, p. 12.
68
Greiert, 2000, p. 12, nota 71.
Il diavolo è nei dettagli: ancora su Weber e Kahler 333
scrive, con tutto il suo restare attardato in questioni di dettaglio che rischiano ad
ogni momento di fare perdere di vista il nocciolo del problema, «deve per forza
riconoscerlo»69.
In realtà, lungi dal riconoscere di malavoglia tale circostanza, ho addirittura
cercato di approfondirla mettendo in rilievo che «negli anni del primo dopoguerra»
erano davvero «molti» i «punti di convergenza»70 tra le posizioni dell’ebreo Kahler
(costretto a riparare prima in Austria, in Cecoslovacchia e in Svizzera e poi negli
Stati Uniti per sfuggire al nazismo) e quelle di un altro dei critici di Weber, Ernst
Krieck, il pedagogo autodidatta che, nel semestre estivo del 1933, divenne il primo
rettore nazionalsocialista di un’università tedesca. «Basti pensare alla scelta di un
comune obiettivo polemico (Weber), all’enfasi che entrambi pongono sulla Jugend
tedesca come antesignana di una nuova e più compiuta umanità, al modello dell’or-
ganismo e delle sue funzioni al quale entrambi fanno ricorso per illustrare quale
sia la relazione adeguata fra il sapere e colui che lo detiene, alla diagnosi condivisa
da entrambi di una crisi irreversibile della scienza razionale moderna nella sua
attuale configurazione, all’esigenza condivisa da entrambi di una “nuova scienza“
adeguata alla nuova forma del vivente che è in procinto di venire alla luce, e così
via»71. Certo, non ho potuto non constatare come negli scritti di Krieck il discorso
di Kahler subisca un’«immediata ed esclusiva traduzione politica»72, fondata sull’i-
dentificazione della nozione di “formazione organica vivente”, cui Kahler tende
ad attribuire una generale portata ontologica, con quella di “comunità popolare”.
E tuttavia ho rimarcato anche come Der Beruf der Wissenschaft offra senza alcun
dubbio una pluralità di appigli ad un’operazione di questo tipo, non solo a causa
della sua aspra polemica anti-parlamentare cui fa riscontro il convincimento che il
popolo tedesco debba affidarsi ad una Führerschaft che detenga il monopolio della
decisione autonoma e responsabile, ma anche e principalmente a causa della tesi
secondo cui, a differenza dell’umanità greca, l’umanità tedesco-europea in procinto
di sorgere «avrà il suo baricentro non nella persona singola, ma piuttosto nella
comunità», configurandosi dunque come «intima comunità di anime e di sangue»
che «si troverà di fronte (...) grandi comunità dello stesso tipo»73.
Per tali ragioni, se ci si limita a considerare Der Beruf der Wissenschaft e gli scritti
che lo precedono, ritengo che sia possibile concordare con l’opinione di Greiert
secondo cui «anche per Kahler, come per il georgeano Ernst Kantorowicz, che
fu un militante dei Freikorps della prima ora, è senz’altro valido un bilancio che
Walter Benjamin aveva già stilato nel 1928: “Nella cerchia che si formò attorno
a George nel corso degli anni Novanta si offrì per la prima volta agli ebrei la
69
Greiert, 2000, p. 12, nota 71.
70
Massimilla, 2000, p. 134; tr. ted. cit., p. 153.
71
Massimilla, 2000, p. 134; tr. ted. cit., pp. 153-154.
72
Massimilla, 2000, p. 134; tr. ted. cit., p. 154.
73
BdW, p. 51, p. 35 e p. 60; tr. it. cit., p. 116, p. 98 e p. 127. Su tutto ciò cfr. Massimilla, 2000,
pp. 134-136; tr. ted. cit., pp. 154-156.
334 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXVI-2013
THE DEVIL IS IN THE DETAILS: AGAIN ON WEBER AND KAHLER, DISCUSSING ABOUT AN
ESSAY BY ANDREAS GREIERT. The author dissents from some of the thesis borne in Andreas
Greiert’s essay Der Wissenschaftler als Führer aus der deutschen Krise. Zu Erich
von Kahlers Polemik gegen Max Weber (2002), which he thinks to be not grounded
from a historiographical perspective. Greiert puts Weber close to Neo-kantism excessively, and
distances him too much from the tradition of Historismus and of its supposed “naïve realism”.
Furthermore, moved by the fair worry of opposing Weber’s and Kahler’s positions (also the
political ones), Greiert risks to fail to appreciate some aspects of Kahler’s ideas on the neue
Wissenschaft which does not coincide completely with that ones which were mainly in vogue
in the George-Kreis.
74
Greiert, 2000, p. 17. Il passo citato è tratto dallo scritto di Benjamin Juden in der deutschen
Kultur. 1. In den Geisteswissenschaften. 2. In der Dichtung, ora in W. Benjamin, Gesammelte Schriften, vol
II/2, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Frankfurt a.M., 1977, pp. 807-813, p. 812.
75
Cfr. Greiert, 2000, pp. 17-18.
76
Rimanda a tale proposito a E. Massimilla, La critica della nozione di razza nell’Israel unter den
Völkern di Erich von Kahler (1999), ora in Id., Scienza, professione, gioventù: rifrazioni weberiane, cit., pp.
217-230. Ma cfr. anche G. Lauer, Die verspätete Revolution, cit., p. 257.