UN MITO SOLARE
Otto Rahn dai catari alle SS
In copertina: illustrazione di Gérard Goffaux
(su gentile concessione dell’autore).
ISBN 978-88-7814-888-8
e-ISBN 978-88-7814-889-5
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Firenze, dicembre 2018
Stampa, Tecnografica Rossi
PAOLO LOMBARDI
UN MITO SOLARE
Otto Rahn dai catari alle SS
1. Interludio 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2. L’inizio (1904-1931) . . . . . . . . . . . . . . 15
3. Alla ricerca del Graal (1930-32) . . . . . . . . . . 23
4. Le grotte (1930-1933) . . . . . . . . . . . . . . 35
5. Crociata contro il Graal (1933-34) . . . . . . . . . 49
6. Al servizio del Reichsführer-SS (1935-1937) . . . . . . 61
7. Al servizio del Reichsführer-SS II (1936-1937) . . . . . 73
8. La corte di Lucifero (1937) . . . . . . . . . . . . 81
9. Il cerchio si stringe (1937-38) . . . . . . . . . . . 101
10. La fine (1939) . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
11. Interludio 2. . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
12. Epilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
Postfazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . 123
7
Premessa
Non è facile per uno storico cimentarsi con un personaggio come Otto
Rahn. Non è facile, soprattutto, tentare di ricostruire una biografia del perso-
naggio aderente al vero e in grado di aggiungere qualcosa a quelle firmate da
Hans-Jürgen Lange e (in seconda istanza) da Mauro Baudino. Paolo Lombardi
era consapevole di tutto ciò sin dall’inizio e aveva ben presenti i problemi che
avrebbe incontrato lungo il cammino, a cominciare dalle lacune difficilmente
colmabili nell’ambito delle fonti primarie. I materiali biografici su Rahn sono
scarsi e Lombardi si è così sentito costretto a ricorrere a invenzioni letterarie, ri-
portando dialoghi probabilmente mai avvenuti ma senz’altro attinenti a quanto
i protagonisti devono essersi detti negli incontri fra loro intercorsi: costruendo
il testo come un ibrido fra un lavoro di storia e una biografia romanzata; dando
vita a una storia finzionale il più possibile aderente allo svolgimento dei fatti.
Il terreno non è privo di insidie. Con Rahn, infatti, c’è da affrontare per
prima cosa l’alone di mistero esoterico che ha accompagnato il personaggio
nel corso della sua vita e, ancor più, dopo la sua morte, avvenuta essa stessa in
circostanze mai sufficientemente chiarite.
Le stesse tesi di Rahn (la sua sintesi fra catarismo, antichi riti pagani e po-
esia occitana; le sue convinzioni sul Graal come pietra appartenuta all’angelo
decaduto Lucifero e sul ruolo «oscurantista» giocato continuativamente dalla
Chiesa di Roma) furono peraltro solo in parte fondate su documenti attendibili
e, per il resto, affidate a un intreccio di casualità avvertite come fatalità e segni
del destino.
Insomma un compito delicato per uno storico scrupoloso e poco incline
a indulgere al sensazionalismo ma costretto qui a far luce sul passaggio fra il
neocatarismo della Crociata contro il Graal e l’adesione dell’autore alle SS di
Himmler che sottostà alla stesura de La corte di Lucifero.
La biografia di Rahn può essere sinteticamente suddivisa in tre periodi. Il
primo è quello precedente alla pubblicazione della Crociata contro il Graal, in
cui il nostro si dedica appassionatamente alla ricerca delle connessioni fra il ca-
tarismo e il Graal, e in cui rielabora la propria tesi di laurea su von Eschenbach
alla luce delle visite a Montségur e delle spedizioni nelle grotte del Sabarthez;
il secondo è quello compreso a grandi linee fra il 1934 e il 1936 con l’ascesa
sociale di Rahn che, in seguito alla pubblicazione del suo primo libro, si ri-
trova ad essere «uno degli scrittori più celebri d’Europa», a vantare il sostegno
8 Un mito solare
scomparsa delle rock star più famose. Come nel caso di molte star della cultura
popolare, anche su Rahn esistono molteplici leggende sulla sua seconda vita.
In una di esse (dovuta a Christian Bernadac e fondata su somiglianze im-
probabili e sull’‘incredibile’ coincidenza secondo la quale i due uomini avreb-
bero avuto la medesima segretaria in tempi diversi) Otto Rahn riapparve qual-
che anno dopo il 1939 nelle vesti di Rudolf Rahn come collaboratore di Karl
Wolff, plenipotenziario delle SS a Salò. In un’altra versione (suffragata dalla
giornalista televisiva Yura Nonvoselov) Rahn si è reincarnato in un cittadino
russo. Secondo un libro di recentissima pubblicazione – Der Weg in die innere
Welt: Die Heimkehr des Otto Rahn di Ariane Beyer – il redivivo Rahn ha parte-
cipato invece nel 1943 alla costruzione dei V7 (i fantomatici dischi volanti del
Terzo Reich) per poi dedicarsi in incognito alla conquista del mondo attraverso
l’ascesa del misterioso Ordine di Thule.
Come se non bastasse, a incoraggiare chi ama speculare e infiorettare sulla
figura di Rahn ci sono poi tutti gli aspetti esoterici e misteriosi collegati al neo-
paganesimo nazista; aspetti che, a partire quantomeno dalla pubblicazione de Il
mattino dei maghi di Bergier e Pauwels nei primi anni Sessanta, hanno generato
un vero e proprio genere letterario nel quale è labile il confine fra ricostruzione
fantasiosa di eventi con un loro fondamento di autenticità e deliranti invenzioni
che fondono (e confondono) miti, storia e le più strampalate assurdità.
Questo genere di speculazioni ha attinto a man bassa dalla cosmogonia vi-
sionaria di Hörbiger, dall’ariosofia di Guido von List o dai testi di Rudolf von
Sebottendorf, ma anche dalla vita reale di personaggi come Wiligut o lo stesso
Himmler: basti pensare al ruolo decisivo avuto dal Reichsführer delle SS nella
fondazione e nella gestione della Ahnenerbe (le cui attività, inclusa la celebre
spedizione in Tibet del 1938/39, sono storicamente ben documentate). E si po-
trebbe continuare con ulteriori esempi chiamando in causa il Graal stesso, visto
che ancora oggi c’è chi continua a sostenere che, nel ’44, il massacro nazista
della popolazione di Oradur-sur-Glane fu dovuto proprio alla ricerca di tale
reliquia (un tema questo divenuto di grande attualità dopo la pubblicazione de
Il mattino dei maghi e di Nouveaux Cathares pour Montségur di Marc Augier alias
Saint-Loup nel 1965; riportato quindi in auge nel ’91 da Howard Buechner che,
nel suo Emerald Cup-Ark of Gold, traccia un fil rouge fra le ricerche di Rahn e le
presunte missioni di Otto Skorzeny nei Pirenei francesi).
Molti autori si sono spinti ben oltre la rielaborazione sensazionalistica di
temi come quelli appena rammentati o di altri analoghi. Hanno tracciato linee
di contatto fra il catarismo o le varie ipotesi sugli iperborei e i temi più disparati:
i già citati dischi volanti di fabbricazione nazista, Neu Berlin e le altre presunte
basi segrete del Terzo Reich in Antartide, la società segreta del Vril che attinge
energia da un punto invisibile della Galassia noto come “Sole Nero” (che si dice
essere stato profetizzato dai Maya ma che non è mai nominato da Sir Edward
10 Un mito solare
Bulwer-Lytton in The Coming Race del 1871, dove il concetto di Vril è introdotto
e descritto come una sorta di peculiare fluido elettrico), la profezia del terzo
Sargon e la magia nera segreta dei Lama Tibetani.
Fiumi d’inchiostro! Versati da autori come i citati Saint Loup, Beyer e Ber-
nadac, o come Jean-Michel Angebert, Wilhelm Landig, Erich Halik, Rudolf
J. Mund, Miguel Serrano e Rudiger Sünner (quest’ultimo anche regista del do-
cumentario Schwarze Sonne). Scrittori accomunati in genere da una presenta-
zione decontestualizzata del nazismo, improntata a idee millenaristiche e del
tutto silente (se non accondiscendente) sulla realtà brutale di un regime volto
all’assassinio e alla violenza gratuita.
Nei testi di questi scrittori (e, talvolta, persino in quelli di autori più accredi-
tati quali Giorgio Galli, Nicholas Goodrick-Clarke, René Alleau o James Webb)
la figura di Rahn appare quasi sempre come quella di un personaggio fascinoso
votato all’esoterismo e all’occultismo e in qualche modo fondamentale sia come
ricercatore che come agente attivo nella diffusione di una pseudo-spiritualità
eroica di stampo ariano.
In effetti la contraffazione del passato di cui parla Lombardi a proposito
di Rahn è servita da esempio a molte opere successive, mentre è indubbio che
svariate pagine de La corte di Lucifero anticipino temi cari al realismo magico
(primo fra tutti quello di Thule che ha una sua centralità nel testo di Rahn). È
arduo però voler vedere nelle rielaborazioni di testi classici assemblate da Rahn
una qualche vocazione occultista.
Lombardi è stato bravo a mantenere la lucidità intellettuale, a non indulgere
verso le innumerevoli suggestioni costruite sul personaggio Rahn. Nel presen-
te libro viene fuori così un Rahn meno personaggio e più persona; un Rahn
umano, forse troppo umano, incapace di mascherare adeguatamente la propria
personalità e le proprie debolezze e pertanto inevitabilmente destinato a una fine
ingloriosa nell’ambito dei giochi di potere interni alle Schutzstaffel.
Stefano Bettini
11
1.
Interludio 1
La nevicata era cessata, così come il vento, e ora una luna gialla e
rotonda sembrava attaccata al cielo con una puntina da disegno tanto
spiccava nel buio.
La morte per ipotermia non è una morte dolorosa. Quando la tem-
peratura scende oltre un certo limite, iniziano i brividi, la parlata diventa
lenta e difficoltosa, il polso rallenta, il respiro diventa pigro e superficiale.
La coscienza sembra annegare nel buio, e la confusione diventa massima;
in alcuni casi, è capitato che chi fosse stato colpito da ipotermia grave av-
vertisse caldo, e tentasse di strapparsi i vestiti di dosso. Il più delle volte,
però, prevale la sonnolenza e una strana forma di letargia.
Otto Rahn aveva già superato da molto tempo quei primi stadi.
I brividi erano cessati da parecchio, anche grazie a una bottiglia di
cognac che ora giaceva vuota accanto a lui. Da quante ore era lì, disteso
nella neve e appoggiato al tronco di un albero? Aveva perduto la co-
gnizione del passare delle ore, e persino aprire gli occhi e fissare la luna
richiedeva uno sforzo insostenibile. No, meglio tenere gli occhi chiusi e
lasciare che le immagini fluttuassero liberamente. Ormai aveva smesso
anche di cercare la seconda bottiglia di cognac, che doveva essere ancora
mezza piena. Per un po’ aveva allungato il braccio, cercando a tentoni nel
buio l’involucro di vetro. Anche quell’impegno scoordinato, ora, sembra-
va impossibile e comunque non necessario. Il cognac aveva già compiuto
il proprio lavoro, e tutto quello che restava era solo il fatto di lasciarsi an-
dare, di farsi sommergere da quella spossatezza estrema che gli fiaccava le
membra e che gli rendeva difficile il filo dei pensieri. Tanto valeva lasciarli
andare liberamente, senza tentare di dirigerli, in una rapsodia che, come
un treno in corsa, andava a cento chilometri l’ora.
Rahn riusciva tuttavia a mantenere ancora una qualche forma di ordi-
ne nei pensieri, segno forse che la fine non era così imminente, che non
12 Un mito solare
fervore, fosse per antica abitudine o per trovare un significato finale, ver-
so se stesso.
La luna immobile in cielo era ignara di quest’attività segreta, clande-
stina. Forse si trattava di un’attività ignota persino alla coscienza dello
stesso Rahn. Finché questa era stata vigile e guardinga, non tutto ciò che
era accaduto poteva diventare ricordo; contenuti minacciosi e pericolo-
si non potevano venire ammessi, neppure di fronte a se stessi. Era una
funzione difensiva che permetteva di ignorare su di sé cose che non si
volevano sapere, e che venivano respinte nell’indistinto e nell’ombra. Ma
non erano indistinte. Ora quelle rammemorazioni eludevano la severa
guardia della coscienza indebolita e potevano liberamente fluttuare, una
storia che in altre circostanze non sarebbe emersa.
C’era dell’ironia in fondo; Rahn aveva sempre fatto vanto della sua
capacità di restituire storie che qualcuno aveva tentato di cancellare. Ora
toccava a lui, in quei momenti decisivi, su quella montagna innevata che
forse stimolava anch’essa quei ricordi; tutti i passaggi che erano stati un
passo avanti verso la conclusione che ora affrontava.
C’era una luce gialla, fosca. Le immagini apparivano come lampi.
Con gli occhi della mente, Rahn riviveva ogni scena…
15
2.
L’inizio
(1904-1931)
Certo è che la vita universitaria gli aveva rivelato molto su se stesso. Rahn
era un uomo assai riservato, schivo per certi versi, eppure desideroso di
attenzione e accettazione. Le relazioni non venivano facili, a meno che
non potesse essere certo di fare bella figura (il che, grazie alla parola lesta
e alla appassionata presentazione che non mancava mai di fare delle pro-
prie idee, capitava spesso). Desiderio e ritrosia combattevano in lui come
due anime in dissidio, come forse era naturale nel rampollo della severa
fede evangelica. Malgrado ciò, la natura di quel desiderio gli fu rivelata
appieno durante i primi anni universitari, quando incontrò due persone
che ebbero importanza nella sua vita. La prima persona era uno studente
come lui. La seconda persona era l’artista e poeta Albert Rausch.
Rahn aveva incontrato Rausch a Giessen, ed era rimasto subito col-
pito dall’anticonformismo di quest’ultimo. Rausch era audace come
scrittore, anche se sotto lo pseudonimo Henry Benrath, e come uomo;
non aveva timore nel riconoscere apertamente le proprie tendenze
omosessuali e amava circondarsi di ragazzi giovani. Rahn trovò in lui
un mentore e osò andare oltre la propria abituale riservatezza, anche
quando Rausch si era trasferito a Parigi a lavorare per la Croce Rossa.
Aveva avidamente letto il romanzo di Rausch Eros anadyomenos che lo
aveva entusiasmato e trovava nell’artista più anziano (nel 1924, Rausch
aveva cinquantadue anni) una figura cui appoggiarsi e a cui chiedere
consiglio e aprire il proprio cuore dilaniato. Fu l’inizio di un’amicizia e
di un rapporto epistolare che, iniziato nel 1927, sarebbe proseguito per
sette anni. Rausch fu anche un sostegno per Rahn quando, nel 1925,
dovette interrompere gli studi a causa di serie difficoltà economiche, un
problema che lo avrebbe tormentato a lungo nella sua vita. Abitò pres-
so camere affittate, pensioncine, insomma dove capitava e sbarcava il
lunario come poteva, lavorando come commesso viaggiatore per alcune
case editrici, come la Deutsche Verlagsanstalt, il che lo esponeva a una
vita vagabonda, in continuo viaggio per tutta la Germania, Bremerha-
ven, Oldenburg, Hannover, Berlino, Aachen. Si trattava di un’esistenza
raminga, faticosa. Lo stesso Rahn scrisse a Rausch, il 27 febbraio 1928,
«Si è così stanchi di viaggiare e di correre avanti e indietro, che si è con-
tenti di mettersi a letto». Finalmente, nell’agosto di quello stesso anno,
la casa editrice Sieben-Stäbe di Norden fece balenare la possibilità di
fornire a Rahn, a partire dall’autunno successivo, un automobile per i
suoi viaggi. Piccoli passi e piccoli avanzamenti. Per il momento non era
possibile fare altro.
L’inizio 17
poi, dopo una nuova interruzione degli studi cui andò incontro Rahn,
a Ginevra. Furono ancora mesi beati, prima che la crisi economica
dell’ottobre del 1929, annunciata dal venerdì nero della borsa di New
York, compromettesse quella beatitudine. Nel novembre 1929 Rahn
e Perrier erano a Berlino e la crisi si faceva sentire. Rahn cercava di
mettere insieme il pranzo e la cena con una serie di lavoretti estem-
poranei: supplente in una scuola elementare, traduttore, correttore di
bozze, commesso di negozio, comparsa in un film, maschera nei cine-
ma… Più spesso, disoccupato. Per fortuna poteva pur sempre contare
sull’aiuto e sul sostegno di Rausch. E la relazione con Perrier procedeva
ancora nel migliore dei modi, e ormai Rahn si sentiva abbastanza sicuro
da scrivere apertamente a Rausch che «conviviamo insieme ormai da un
anno e ci amiamo più che mai», e da inserire biglietti scritti da Perrier
stesso nelle sue lettere a Rausch. In un biglietto inserito nella lettera del
25 novembre 1929, Perrier aveva scritto (in francese): «Il periodo del
mio amore per Otto è il più felice della mia breve esistenza; egli mi dice
sempre che non avrebbe potuto costruire la nostra amicizia senza la sua
influenza e i suoi consigli, che hanno ispirato la sua anima confusa».
Pure, la felicità del cuore da sola non bastava nelle durezze dell’esisten-
za; a settembre 1930 Rahn e Perrier dovettero lasciare Berlino e recarsi
dapprima a Nyon, abitando dai genitori di Raymond, poi di nuovo a
Ginevra, dove Rahn riuscì a trovare un impiego come insegnante in
una scuola privata cattolica, un liceo linguistico. Questo lavoro non
entusiasmava Rahn, che approfittò per concedersi una vacanza di sei
settimane a Parigi a fine 1930, periodo nel quale, avendo sviluppato
«una certa routine nell’insegnare agli idioti» (come scrisse di suo pugno
nel febbraio 1931 a Albert Rausch), progettò di cambiare vita e attività
aprendo a Ginevra una casa editrice specializzata nella pubblicazione di
letteratura tedesca e francese. «Il mio programma si sta concretizzando,
e un amico avvocato sta per fondare a questo scopo una società di capi-
tali», scriveva ancora Rahn. Si trattava di un’altra chimera, come ce ne
sarebbero stato tante nella vita di Rahn. I capitali non c’erano proprio,
anche se Rahn si diceva convinto che «il denaro c’è». Forse il denaro
c’era, ma la casa editrice non ci fu mai, ennesima svolta decisiva nella
vita di Rahn che non riuscì mai ad attuarsi.
C’era tuttavia una passione inesausta, che neppure Rahn poteva per-
mettersi di abbandonare: quella della leggenda del Graal. Questa passio-
ne era condivisa con un altro giovane uomo che Rahn aveva conosciuto
20 Un mito solare
nel 1929, durante il periodo berlinese: Paul Ladame. Paul Alexis Ladame,
anch’egli svizzero, era allora studente a Berlino. Aveva una forte incli-
nazione per il mito del Graal e una altrettanto grande fascinazione per
un’oscura eresia francese del XIII secolo: il catarismo. Un intero nuovo
mondo si apriva dinanzi agli occhi di Rahn: quale rapporto ci poteva
essere tra il Graal e gli eretici catari? I catari, sempre i catari. Rahn, che li
aveva già incontrati come vittime dell’inquisitore Konrad di Marburgo,
quasi un conterraneo di Rahn (dopotutto, Michaelstadt non distava mol-
to da Marburgo), ne parlava continuamente, anche con Perrier, anche
lui avviato a diventare un esperto di catarismo, come più tardi sarebbe
diventato un esperto in genealogica.
Si trattava di una credenza dualistica. Due principi, il bene e il male,
la luce e le tenebre, esistevano da sempre, o così credevano i catari.
Ciascuno di questi principi aveva creato il suo mondo. Del resto, il
Vangelo di Giovanni non aveva avvertito chiaramente che il regno di
Cristo non è di questa Terra? Lo stato materiale è malvagio, corrotto,
e chi appartiene al mondo spirituale sta nel primo come in una prigio-
ne. Da questo punto di vista, i catari non credevano alla Trinità. Non
c’era dubbio che la salvezza dal giogo del mondo della materia passasse
attraverso Cristo; ma non c’era neanche dubbio che Cristo, creatura di
puro spirito, non avesse potuto rivestire davvero fattezze terrene, facen-
dosi carico della corruzione della carne. Era evidente che Cristo aveva
assunto sembianza umana, ma non nella realtà, bensì nell’apparenza.
Allo stesso modo, i catari leggevano la Bibbia in maniera particolare,
ritenendo che la storia della creazione del mondo materiale esposta in
Genesi fosse stata grossolanamente fraintesa dalla Chiesa di Roma. Ciò
che era narrato in Genesi non era la cronistoria della creazione del-
le cose contenute nell’universo, ma un racconto simbolico. Per i figli
dello spirito, costretti a esistere in un mondo perverso e inquinato, la
speranza era diventare perfetti nello spirito (o perfecti, come dicevano i
catari), vivendo secondo l’etica insegnata dal Nuovo Testamento e dal
Vangelo di Giovanni in particolare: il rifiuto dell’adulterio, dell’omici-
dio, del furto, della menzogna e dei giuramenti. Il rifiuto di nutrirsi di
carne, di uova e di formaggio. E soprattutto il rifiuto dei modi di vita
e degli insegnamenti tratti dalla Chiesa di Roma, che sprofondavano
sempre più chi li seguiva nella miseria del mondo materiale. Chi tra i
catari non riusciva ad attuare del tutto questa vita austera e rigorosa,
rimaneva nel rango di semplice fedele. Gli altri, i più fortunati, i più
L’inizio 21
chiarire punti, per focalizzare fatti, per scoprire legami tra quelle oscure
vicende medievali?
Qui Rausch poteva essere d’aiuto. Poiché viveva a Parigi, conosceva
bene un romanziere di Tolosa, Maurice Magre, che si era occupato di
molte cose in vita sua, e in particolar modo del catarismo e della leggenda
del Graal. E conosceva ancora Antonin Gadal, uno storico delle religioni
che lavorava su quei medesimi temi, e che aveva fama di essere una robu-
sta autorità in materia. Rausch non avrebbe avuto difficoltà nel mettere
in rapporto Magre e Gadal con Rahn, se quest’ultimo lo desiderava, e
anche Ladame. Certo sarebbe stato necessario compiere un viaggio in
Francia. A quanto pare, tuttavia, Rahn non aveva nessun problema a
spostarsi e anche Ladame non sembrava avanzare contrarietà. La pista
del Graal, se Rahn era deciso a percorrerla, passava necessariamente per
un soggiorno francese.
23
3.
Alla ricerca del Graal
(1930-32)
Closerie, l’altro fatto era l’identità stessa del quarto interlocutore, un bo-
che, un tedesco, un rappresentante di quella nazione che era la nemica
giurata della Francia. Eppure i quattro, se discutevano animatamente, lo
facevano però senza alcuna animosità. Forse cose del genere erano possi-
bili soltanto in luoghi come la Closerie, con la sua atmosfera cosmopoli-
ta. Il quarto interlocutore era Otto Rahn.
Rahn aveva conosciuto Magre tramite Rausch, che aveva molti con-
tatti a Parigi, e ora era lì, in quel maggio glorioso, a colazione con due
dei maggiori esponenti di quella che avrebbe potuto definire la corrente
neo-catara. Era sinceramente ed enormemente interessato, e l’amico Paul
Ladame, che l’aveva seguito a Parigi, lo osservava pensoso. Rahn pendeva
sinceramente dalle labbra di Gadal e Magre, sembrava, pensava Ladame,
un bambino che ascolta le gesta di re e imperatori, credendo tutto e tutto
seguendo. Era senza dubbio nel suo elemento, mentre seguiva i racconti
di Magre e Gadal sui catari, sul loro tesoro, sul Graal. Era al vertice dei
suoi interessi e dei desideri, e l’impasto di storie, di miti e di leggende era
in fin dei conti ciò che lo interessava di più.
«Fu il vescovo Niceta» – stava dicendo Magre – «a improntare il
catarismo in Occitania, portando un documento scritto della sua dot-
trina. Questo documento fu mostrato al concilio cataro che si tenne a
ALLA RICERCA DEL GRAAL 25
Saint Félix nel 1167, ma entrò poi a far parte del tesoro dei catari cu-
stodito nella rocca di Montségur. Era lì che i catari custodivano il loro
tesoro, nella fortezza costruita da Simon de Péreille come loro rifugio».
Anche Ladame ascoltava affascinato. Sapeva che Magre e Gadal si sfor-
zavano, cortesemente, di rivangare nomi, date, fatti, per permettere
a lui, che pur appassionato alla materia era il meno a conoscenza di
quegli eventi lontani nel tempo, di seguire la conversazione e pren-
dervi parte, da pari a pari. Certamente Magre, Gadal, e anche Rahn,
erano sufficientemente addentro alla materia per non avere bisogno
di rimarcare passaggi che invece erano ignoti a Ladame. Era garbato
da parte loro. Era però affascinante anche solo ascoltare la passione
testimoniata da quei distinti signori; sembrava incredibile, quasi surre-
ale, credere che la via di uscita dalla crisi dell’Europa, di quell’Europa
frantumata dalla depressione economica, dai risorgenti nazionalismi,
piegata dalle masse affamate dei disoccupati, dall’estremismo politico,
dalla dilagante violenza nelle strade, giacesse così lontana nel passato;
sembrava impossibile credere che la via di uscita da quella crisi si tro-
vasse nel ritorno ai principi che avevano mosso l’Occitania francese
ad abbracciare, nel tredicesimo secolo, l’oscura eresia catara. Sembrava
incredibile. Eppure Ladame percepiva l’energia nelle parole di Magre e
di Gadal; percepiva, come una dinamo nascosta e potente, la saldezza
delle loro convinzioni che si irradiava come una corrente intesa ad
abbracciare tutta Europa. La società della Linguadoca del tredicesimo
secolo ispirata alle credenze catare, una società aperta, democratica,
inclusiva, che aveva spaventato una Chiesa romana oscurantista che
aveva tentato, con successo, di cancellare l’origine di quello spavento
istituendo una crociata, la crociata contro gli albigesi, era davvero il
modello che avrebbe tratto l’Europa fuori dalle secche della crisi sociale
e spirituale che la attanagliava? Ladame non lo sapeva, e tuttavia era
affascinante ascoltare la certezza morale profonda e irremovibile con
cui Gadal e Magre argomentavano per il sì. A quel tavolo sembrava che
una cosa del genere fosse possibile, e quasi Ladame giungeva a crederlo.
Senza dubbio, pensava, lo credeva Rahn.
«Nonostante la crociata» – continuava Magre – «il cuore degli eretici
è inconquistabile. Con la crociata si è voluto cancellare la civiltà catara
e sostituirvi quella oppressiva della Chiesa romana. Eppure la civiltà
catara non è morta; solo, si trova come in un sonno, ma alla fine risor-
gerà. Soprattutto se ritornerà alla luce il tesoro che i catari custodivano
26 Un mito solare
4.
Le grotte
(1930-1933)
Sulla via delle grotte che un tempo erano state il rifugio dei catari, e
forse il luogo di conservazione del loro tesoro, un’altra tappa si impo-
neva: il castello di Lavanet, il cui signore, un industriale a nome Arthur
Caussou, si diceva possedesse una ricca collezione di oggetti appartenuti
ai catari e provenienti da Montségur. Caussou si interessava anche dei
trovatori francesi, e anche questo attraeva Rahn, che attraverso il libro di
Péladan prestatogli da Magre, intravedeva ormai un legame stretto tra i
poeti dell’amor cortese e la diffusione delle idee catare. Caussou forse ne
sapeva qualcosa di più. Una visita, preannunciata dal solito intervento
degli amici Magre e Gadal, era necessaria.
Caussou apparve a Ladame, che aveva accompagnato Rahn, una sorta
di vecchio saggio carico di anni, o così amava presentarsi. Stranamente,
Rahn lo presentò come Monsieur Rives (più tardi Ladame scoprì che
Rahn aveva conosciuto Antoinette Rives, figlia di Caussou, a Parigi; che
la Rives lo aveva messo a sua volta in contatto con Isabelle Sandy, una
scrittrice che viveva a Foix, e che entrambe erano state vittime dello stra-
no fascino che Rahn sembrava esercitare sulle donne, pur nella diversità
delle sue inclinazioni. Come la contessa Pujol-Murat, sia la Rives che la
Sandy avevano concepito un forte affetto per Rahn, lo avevano sostenu-
to economicamente. La Sandy scrisse persino un articolo elogiativo di
Rahn). Ladame era tuttavia uno scettico in tema di esoterismo. La col-
lezione di cimeli catari di Caussou, che subito fu disposto a mostrare ai
due ospiti, non lo impressionò, mentre Rahn si entusiasmò rapidamente,
in particolare di fronte a una colomba di argilla che senza dubbio doveva
ricordargli la storia di Esclarmonde narratagli da Myrianne Pujol-Murat,
e a una seconda colomba scolpita in pietra. C’era poi il legame dei catari
con i poeti trovatori, che ammaliava ancora di più Rahn.
«I poeti dell’Occitania», ragionava Caussou di fronte a un Rahn af-
fascinato e a un Ladame più freddo, «cantavano dell’amore verso una
36 Un mito solare
divisa e oppressa dal peso delle guerre; solo il sapere dei catari avreb-
be permesso di superare quelle divisioni, riunendo tutte le regioni del
continente sotto un’unica bandiera europea e sotto un unico credo,
una fede tollerante e talmente aperta che tutti in essa avrebbero potuto
ritrovarsi. Questa fede era quella catara, o, per meglio dire, l’antica
credenza originaria del primo cristianesimo. Rahn parlava e parlava,
sempre più infervorato.
Ladame ascoltava, e forse pensava che era l’assenzio a parlare in
Rahn. E tuttavia, non si trattava di una magnifica avventura, sotto un
cielo glorioso, alla ricerca di un tesoro che forse non c’era, ma che
valeva comunque la pena di cercare? Forse si trattava di un desiderio
infantile, quello di restituire al mondo ciò che era stato perduto, e così
conquistare fama e gloria; forse il desiderio di Rahn era infantile. Ma
dopotutto che cosa importava sotto quel sole glorioso e quel paesaggio
maestoso? Quando Rahn, accaldato dalla foga del discorso e dal liquo-
re, si fu ripresero, si alzarono e si avviarono alla grotta e ai suoi misteri.
L’apertura della grotta di Ornolac dava su una corte circolare. Al
centro della corte si trovava un blocco di granito, che Rahn identificò
con il cerchio druidico di cui aveva parlato Gadal. La pelle gli si ten-
deva per l’eccitazione e gli occhi gli si erano fatti brillanti. La grotta
prometteva subito di ammaliarlo con le sue meraviglie. La presenza dei
catari era avvertita come ossessiva e assillante.
La volta era immensa.
Oltre il blocco di granito si trovava una grande porta, in lieve pen-
denza, che a sua volta dava su molte altre aperture. Il brivido dell’ec-
citazione si accompagnava alla caduta della temperatura via via che si
inoltravano nel vasto complesso. Rivoli d’acqua sgorgavano dalle pareti
e l’umidità segnava l’ambiente mentre le lampade a carburo illuminava-
no il percorso. Alla fine giunsero in una grande galleria naturale, dove
l’acqua gocciolava, in un catino naturale, da un gruppo di stalattiti e
dove, attraverso una diaclasi, una fenditura nella roccia, la luce sola-
re pioveva morbida nell’ambiente. Rahn conosceva il nome di questa
galleria, rivelatogli da Gadal: si chiamava La Chapelle, ove prendeva le
mosse il viaggio iniziatico dei nuovi adepti catari verso la perfezione. Al
centro della galleria, di fronte al catino naturale, si trovava una grande
pietra piatta, volta verso Oriente. Da un lato, avvolta nella morbida
luce del pomeriggio, si trovava una vasca semicircolare: la Fount Santa.
Tutto combaciava. I catari erano stati qui.
40 Un mito solare
rapido di speranza. La caccia non era che all’inizio e molte altre grotte
attendevano solo di essere esplorate.
Era una limpida giornata d’inverno, come ce ne sono in montagna,
e accompagnato da un uomo di colore a nome Habdu (che talora pre-
sentava come un domestico, ma che in realtà era il barista senegalese
dell’hotel Les Marroniers), Rahn stava percorrendo il pendio scosceso
da cui si accedeva alla grotta di Fontanet. Era la prima volta che visitava
quella grotta, la cui entrata era gigantesca, ma che dopo pochi metri
si riduceva a un corridoio dell’altezza di un uomo, largo però almeno
due metri. Prima di entrare, Rahn e il suo domestico avevano attinto
l’acqua per le lampade a carburo da una sorgente lì presso, e le avevano
accese. Per due chilometri si avventurarono all’interno, cercando atten-
tamente nelle pareti e nel soffitto iscrizioni o oggetti. Alla fine il corri-
doio sfociò in una sala piuttosto alta, dove una grande forma animale
era stata scolpita nella pietra: un cane gigantesco. Un nuovo mistero.
Il cuore di Rahn accelerò per l’eccitazione. Spostando le pietre attorno
alla figura del cane si rivelò una stretta apertura, strisciando dentro la
quale Rahn sbucò in una sala molto alta, almeno una decina di metri,
e larga trenta. Le pareti erano annerite dall’umidità, nella luce tremula
delle lampade a carburo, si udiva un grosso rombo, come di tuono.
Occorse un po’ per capire che si trattava del rumore emesso da un fiu-
me sotterraneo che scorreva attraverso una forra dentro la pietra. Rahn
toccò con curiosità le pareti della grotta e ritrasse le dita annerite. Non
era umidità! Le pareti della grotta erano state annerite dalla fuliggine!
Qui c’era stato un grosso incendio. E infatti, a ben vedere, anche sul
pavimento si ritrovavano tracce di fuoco.
Al centro della sala si trovava un grande tumulo di terra. Rahn si
avvicinò per esaminarlo. Poteva essere una sepoltura? Rahn estrasse la
vanghetta dallo zaino e cominciò a scavare. Sì, era una sepoltura. Comin-
ciarono ad apparire ossa e teschi, molti di cane, e subito dopo vasi e armi
e oggetti, evidentemente parte del corredo funerario. Rahn, con il fiato
mozzato dallo scavo e dall’emozione, riteneva che si trattasse di un luogo
sepolcrale dei Celtiberi, una camera funeraria, dedicata al loro dio della
morte, Dispater. Questo gli richiamò la statua del cane che si trovava
nella sala precedente. Gli antichi greci ritenevano che il regno dei morti
fosse custodito da un cane, Cerbero. Anche i Celtiberi potevano credere
una cosa simile. Una prova ulteriore della traslazione delle credenze da
Oriente a Occidente. Il mito di Cerbero era giunto fino ai Pirenei. La
42 Un mito solare
statua nella sala precedente della grotta lo provava. Che altro ancora po-
teva essere giunto?
Per proseguire, occorreva raggiungere un’apertura a due metri di al-
tezza. Habdu era molto alto; Rahn gli salì sulle spalle, si tirò su per
l’apertura, poi aiutò Habdu a salire a sua volta. Proseguirono, spingen-
dosi sempre più nelle viscere della montagna, sempre accompagnati dal
rombo dell’acqua, così forte che a volte faceva tremare le pareti. Tutta-
via, nulla di tutto ciò sembrava minaccioso, fino a che Rahn notò che
il rumore si spostava e che un rigagnolo cominciava a filtrare attraverso
la roccia porosa. Ben presto il rigagnolo si fece un getto d’acqua, quin-
di un torrente. Che cosa stava succedendo? La forra aveva ceduto e il
fiume sotterraneo aveva iniziato a invadere la grotta? Occorreva tornare
indietro al più presto. Rahn e Habdu si affrettarono indietro bagnati
dai getti di acqua che ormai zampillavano con violenza dalle pareti e dal
soffitto, sussultando per l’urto dell’acqua gelida nel tentativo di rigua-
dagnare la sala funeraria da cui avevano proceduto. Quando vi arrivaro-
no, però, tra sospiri e brividi per il contatto gelido dell’acqua, la sala era
già piena di liquido fino alle ginocchia. Avanzare costava fatica perché
il livello saliva rapido. In un batter d’occhio salì alle ascelle e Rahn era
costretto a levarsi in punta di piedi per poter respirare. La sconvolgente
rapidità con cui tutto era accaduto rendeva il terrore ancora più oppri-
mente. La felicità della scoperta del sito funerario si era rovesciata, nel
volgere di pochi minuti, nell’incubo di diventare un elemento perma-
nente di quel sito, senza capire né perché né come ciò fosse divenuto
possibile. E l’acqua saliva ancora. Habdu prese allora Rahn e lo fece
salire sulle proprie spalle mentre stoicamente affrontava l’acqua ancora
in salita, mentre lottava per avanzare con pena verso l’altra sala da cui
erano giunti. Rahn teneva la lampada levata in alto, ormai unica fon-
te di luce. Poi l’acqua si fermò quando ormai era arrivata alla gola di
Habdu. Per il momento erano salvi, ma dovettero aspettare ancora tre
ore, finché l’acqua iniziò a defluire. Per quel momento, la lampada si
era ormai spenta e tutto ciò che restavano erano alcuni fiammiferi che
Rahn aveva salvato tenendoli nell’altra mano. Seguirono penose ore di
attraversamento di pozzanghere e strati di fango, alla luce debole dei
fiammiferi rimasti, fino a che giunsero all’entrata della grotta. Allora
capirono che un violento temporale si era abbattuto sulla montagna e
che la pioggia era percolata attraverso la roccia porosa raccogliendosi
nei recessi e formando violenti ruscelli. Quando infine il temporale era
Le grotte 43
cessato, l’acqua era defluita via, così come si era raccolta. Questo era
il motivo per cui gli abitanti del luogo ritenevano tanto pericolosa la
grotta di Fontanet. E di questa strana avventura e del pericolo corso
da Rahn e dal suo accompagnatore, non c’era nessuna prova, e l’unico
testimone era stato la statua del cane infernale che tanto entusiasmo
aveva acceso in Rahn solo poche ore prima.
Joseph Mandement, presidente del sindacato di iniziativa turistica di
Ussat-les-Bains, il piccolo comune situato nel dipartimento dell’Ariège,
nel dicembre 1932 aveva ricevuto una lettera da Déodat Roché. Déodat
era incline a essere un seguace delle teorie del signor Rudolf Steiner; ma
anche così, aveva poca pazienza per i peggiori deliri delle sette esoteriche
44 Un mito solare
e in particolare per quella dei Polaires. Nella lettera citava uno scritto di
Monsieur Luc, presidente della Corte d’Appello di Pau, grande comune
dell’Occitania, che nel discorso inaugurale dell’anno giudiziario aveva
citato le teorie di un certo Otto Rahn sulla presenza del Graal nei Pi-
renei, e in particolare il racconto di come Esclarmonde aveva salvato il
Graal dalle grinfie dei crociati. Rahn aveva attribuito il racconto a un
ottuagenario pastore incontrato sul monte Tabor. Eppure io so per certo,
osservava Roché, che è stata Myrianne Pujol-Murat a raccontare questa
storia a Rahn. Che ne è, allora, del misterioso pastore ottuagenario? Sen-
za contare altre stranezze di Rahn…
La lettera aveva fatto pensare Mandement. Che ci faceva un tedesco,
all’inizio degli anni Trenta, in Occitania? Poteva essere una spia? Certo
il signor Hitler, a quanto dicevano, non aveva nessuna simpatia per i
francesi. Che ci faceva un tedesco lì? E che rapporti aveva con l’occul-
tista Myrianne Pujol-Murat e con la setta dei Polaires, ossessionati dalla
presenza del tesoro dei catari nelle grotte del Sabarthez? Nel numero del
3 marzo 1932, il giornale di Tolosa, La Dépêche, aveva pubblicato un arti-
colo in cui si citava esplicitamente un tedesco, un certo signor Rams, che
guidava un gruppo di Polaires ad attuare alcuni lavori di scavo nella zona
di Ussat. A che cosa mirano queste ricerche, si chiedeva il giornale? Che
cosa cerca il misterioso signor Rams o, fuori dall’equivoco linguistico,
Otto Rahn? Era un cercatore di tesori, il signor Rahn… oppure una spia?
Antonin Gadal rispose al giornale, protestando che nella zona non c’era
proprio nessun scavo in atto, e sicuramente non vi erano Polaires, e difen-
dendo l’onorabilità di Rahn. Poi fu Rahn stesso a rispondere, negando di
essere una spia e affermando di essere un semplice scrittore.
Tuttavia, erano cose che facevano pensare. E Mandement, che con-
divideva i dubbi di Roché, voleva vederci chiaro. Meglio dunque tenere
d’occhio le grotte, cosa facile per il presidente del sindacato di iniziativa
turistica, e cercare di capire quale fossero gli intendimenti dello stra-
no signor Rahn. Per questo Mandement stava effettuando un giro di
ispezione nelle grotte della zona. Fosse un caso, o fosse un sesto senso,
si imbatté in uno stravagante personaggio nella grotta di Lombrives, la
più grande. Lo colse di schiena, così che l’altro non poté vederlo men-
tre avanzava a passi felpati e si disponeva dietro un rientro nella roccia
per poterlo osservare senza essere scoperto. Lo strano personaggio, che,
senza dubbio, era Otto Rahn in persona, aveva preso in mano una serie
di gessetti. A quanto pare stava disegnando la forma di un albero sulla
Le grotte 45
miseria dovrà ben finire, mio Dio!, si sfogava. A causa del mandato di
arresto, poteva tornare a Foix soltanto con il favore delle tenebre. Ormai
Rahn si paragonava apertamente ai catari, perseguitati e martirizzati. Il
20 dicembre 1932 Rahn tornò a Ussat; gli era necessario far convalidare il
proprio passaporto dal sindaco della città di residenza. Ne approfittò per
prendere parte a una seduta del processo, che era ancora in corso. Il giu-
dice gli domandò un acconto per risarcire il personale dell’albergo. Rahn
offrì come garanzia il contratto del suo libro. Questa garanzia sembrò
misera al giudice, che la ritenne insufficiente. Rahn fece allora riferimen-
to a un articolo che avrebbe in breve pubblicato, e che gli sarebbe stato
pagato. Il giudice domandò quando sarebbe uscito. Rahn si disse certo
che sarebbe uscito molto presto. Il giudice si mise a ridere: «Qua conta
solo la liquidità», disse.
Eppure Rahn, persino in queste circostanze spiacevoli, non perse di
vista i suoi obiettivi. La deviazione a Ussat e a Foix gli era costata, ed egli
se ne lamentava in una lettera a Gadal, principalmente perché questo
gli impediva di restare a Parigi e approfondire la questione del culto di
Apollo a Delfi. Rahn riteneva che il tesoro di Delfi fosse stato portato via
dai Celtiberi durante la loro invasione della Grecia, e che fosse finito a
Carcassonne assieme al tesoro di Salomone che i Goti avevano portato
via da Roma quando la saccheggiarono. Era per questa via che il tesoro
dei catari si era formato.
All’inizio del 1933, Rahn lasciò la Francia per tornare in Germania.
49
5.
Crociata contro il Graal
(1933-34)
Von Eschenbach aveva velato i luoghi occitani in cui si era svolta la vi-
cenda del Graal sotto nomi falsi ma allusivi: Montségur era diventata
Montsalvat, Esclarmonde il personaggio di Répanse de Schoye, la zia di
Parsifal. Tutto indiceva a credere che von Eschenbach avesse modificato i
nomi, ma che si fosse ispirato alle vere vicende dei catari occitani. Rahn
vedeva ormai, con gli occhi della mente, il gigantesco ponte che aveva
unito Oriente e Occidente nell’unità delle credenze elaborate al tempo
del primo cristianesimo, e che poi erano approdate in Occitania. Per
recuperare appieno questa traslazione culturale, per coglierne il pieno
significato, occorrevano competenze le più diverse; linguistiche, certo,
ma anche letterarie, anche teologiche, storiche, artistiche, e persino spele-
ologiche. Occorreva dominare molti linguaggi, ed era così che gli antichi
poeti acquisivano la nobiltà diventando cavalieri… Più che ai trovatori,
Rahn pensava a se stesso, e si vedeva ormai come un artigiano-poeta che
attraverso la padronanza del verbo si era avviato alla conquista della vera
nobiltà e all’ascesa nell’empireo della fama… La storia inseguiva la verità
da Oriente a Occidente, proseguendo dalla città francese di Olmes fino
alle grotte del Sabarthez, quello che Rahn, e Gadal prima di lui, chiama-
va il sentiero dei catari, fino alla grotta di Lombrives, nell’antichità tempio
al dio sole adorato dai Celtiberi. Lavorare febbrilmente bastava forse ad
allontanare il ricordo spiacevole degli ultimi mesi in Francia, ma a Rahn
occorrevano anche stimoli, occasionalmente un pubblico. Di fronte ad
ascoltatori attenti e interessati, i suoi spiriti si elevavano, ed egli si in-
fervorava e dava forse il meglio di sé. In mancanza di altro, si rivolgeva
anche alle segretarie della casa editrice Urban, che stravedevano per lui,
e a cui Rahn leggeva i suoi dattiloscritti. Compite, attente, le redattrici
lo seguivano nelle sue letture, così prese da osare avanzare persino alcune
domande. Il quieto ufficio di Friburgo era diventato una palestra intel-
lettuale, dove il giocoliere Rahn si esibiva nei suoi salti mortali attraverso
la storia di fronte a spettatori frementi. Le domande gli permettevano
di concentrarsi su alcuni punti (Rahn aveva la tendenza a divagare) e lo
spronavano.
Alcune domande furono poste più volte, ad esempio quella relativa
alla grotta di Lombrives, la più nota. Rahn sorrideva, e non si adontava
mai. Questa grotta, per la sua vastità, era detta La Cattedrale, spiegava
senza tensione. Un vero regno sotterraneo, in cui storie e leggende si era-
no rifugiate per scampare a un mondo vuoto e ordinario. I catari avevano
appunto dipinto un sole e una luna sulle pareti della grotta, al cui centro
Crociata contro il Graal 51
dove si era conservata tanta parte delle antiche dottrine religiose. Così
i catari avevano costruito i propri templi nelle caverne del Sabarthez.
Quanto al castello di Montségur, un tempo era il tempio della dea
Bellissena, l’equivalente celtibero della divinità greca Astarte/Diana,
compagna del dio solare Abellio. Si trattava di un tempo sacro ai dru-
idi, come quelli che esistevano a Mirepoix, o a Lavelanet. Molti dei
simboli con cui Astarte era raffigurata, l’alloro, o una colomba, erano
infatti presenti nei graffiti che i catari avevano inciso sulle pareti delle
caverne. Quanto al Graal, Rahn aveva concluso che non si trattasse del-
la coppa usata durante l’Ultima Cena (riteneva invece che questa fosse
una «romanizzazione» dell’originaria simbologia del Graal e una sua
sterilizzazione, un modo per renderla innocua), né tanto meno di una
reliquia cristiana, quanto piuttosto di un simbolo ereticale della fede
catara, fondata su principi di tolleranza religiosa e di libertà spirituale:
i fondamenti stessi dalla cavalleria, che infatti in nessun altra parte di
Europa era fiorita come in Occitania.
Ma già la vendetta di Roma si preparava. Dal concilio di Tours del
1163 iniziava la reazione cattolica, che poi prese corpo dopo il concilio
Lateranense del 1179 con l’indizione della crociata. Il 24 giugno 1209 le
file crociate lasciarono Lione per spingersi in direzione di Tolosa, allo
scopo di distruggere l’unica civiltà – Rahn quasi si commosse mentre
vergava queste parole – degna erede della semplicità e della grandezza
degli antichi, estinguendo al contempo il fiore costituito dalla tradizione
poetica occitanica, che era il cuore della fede catara. Le armate di Luci-
fero muovevano guerra ai catari, per riprendere al loro capo il Graal, il
simbolo stesso della religione catara.
Non si trattava tuttavia solo di quello che era accaduto in un lonta-
no passato, pensava Rahn chino sulle sue carte, anche se quel racconto
gonfiava il petto del lettore e riempiva il suo animo di stupefazione e di
rimpianto per quello che avrebbe potuto essere e non era stato. No, il
passato riemergeva e prefigurava un futuro diverso. Era quella speranza
per il futuro la cosa importante. Il futuro era più importante del passa-
to. Questo pensiero piacque a Rahn, ed egli lo annotò per utilizzarlo in
qualche testo. Per uno studioso ben dotato di immaginazione e ricco di
spirito artistico, abbeverarsi a quelle lontane fonti significava dispiegare
un futuro luminoso, in cui tutti i popoli di Europa sarebbero stati uniti
in un unico credo, tollerante e inclusivo. E allora il Graal sarebbe risor-
to dalle tenebre delle grotte del Sabarthez. Questa certezza lo spronò di
54 Un mito solare
patita, sembrava a portata di mano. E anche questo era evidente sul volto
di Rahn. Ciò che sfuggiva a Frisé, e che non traspariva sotto il lieve ros-
sore che imporporava la faccia dell’esaltato Rahn, era il fatto che costui
era di nuovo in difficoltà economiche. Gli anticipi dell’editore erano valsi
a pagare i debiti contratti in Francia, ma non a sostenere lo stile di vita
bohémien di Rahn e il suo incallito vizio del fumo, ed egli di lì a poco
avrebbe dovuto lasciare Berlino e riparare a Heidelberg e avrebbe lamen-
tato: «Ero senza il becco di un quattrino, avevo debiti, non mi spedivano
gli onorari e avevo perduto un sacco di tempo inutilmente per prepara-
re collaborazioni radiofoniche». Non era raro che lasciasse al tabaccaio
parecchie copie del suo libro in compenso delle stecche di sigarette che
avrebbe avidamente consumato in pochi giorni. Ancora una volta si sa-
rebbe dovuto appoggiare ai prestiti degli amici, come Joachim Kohlhaas,
che Rahn andò a trovare a Bressanone a novembre del 1934 e che gli pre-
stò 200 marchi, metà dello stipendio mensile di un operaio del tempo.
L’unico sfogo era scrivere all’amico francese che gli era rimasto fede-
le, Antonin Gadal, rievocando i bei momenti passati in Occitania, ma
anche quelli brutti. «Mi ricordo ancora con orrore della terribile musica
che dovevo sopportare giorno e notte ai «Marronniers». Mi figuro già le
espressioni dei miei visitatori suggestionati dallo spirito del mio libro e
costretti poi ad ascoltare questa «musica da negri», indegna finanche di
un moderno stabilimento balneare. Se si pensa che questa musica morti-
fica un luogo che un tempo era la sede del Graal!». Che era un modo per
segnare una cesura, una presa di distanza. Forse il periodo passato in Oc-
citania era stato davvero il periodo più bello della vita di Rahn, il periodo
in cui tutte le possibilità erano aperte, i tesori tutti a portata di mano.
Eppure, dopo il ritorno in Germania, sempre più emergevano anche i
punti oscuri di quel soggiorno, le ostilità incontrate persino tra coloro
che si consideravano i seguaci degli antichi catari: Roché, Mandement. O
forse era il clima tedesco in cui Rahn ripensava a quella strana esperien-
za, e che lo esponeva a valutazioni diverse. Quello che allora sembrava
entusiasmante senza alcuna riserva, ora appariva distante e problematico.
Se un tempo Rahn aveva deciso di stabilirsi definitivamente in Francia
e di intraprendere la carriera di albergatore a Ussat, ora, nelle lettere a
Gadal, oscillava con rapidità tra il desiderio di riprendere la vita francese
e la coscienza del fatto che il centro della sua nuova esistenza e della sua
nuova notorietà era in Germania. «Il mio libro è atteso in Germania con
grande impazienza», scriveva ancora a Gadal, salvo subito dopo tornare a
Crociata contro il Graal 59
6.
Al servizio del Reichsführer-SS
(1935-1937)
Karl Maria Wiligut era un austriaco, nato nel 1886, che dopo una bril-
lante carriera militare (aveva raggiunto il grado di colonnello durante la
Grande Guerra) si era convertito all’esoterismo ed era entrato a far parte
di vari circoli segreti dediti a dottrine mistiche e misteriosofiche. Di quel-
le sette pullulava il mondo austro-germanico negli anni Dieci e Venti.
Però, secondo Theodor Czepl, che era andato a trovare Wiligut e che ave-
va trascorso con lui tre settimane, era un esoterista sui generis; era davvero
convinto di essere il Re Segreto della Germania e che la Bibbia fosse stata
originariamente scritta in tedesco, e che solo maliziose traduzioni volte
a snaturarla l’avevano ridotta nelle attuali condizioni. Da questi segreti
convincimenti, Wiligut era stato spinto all’impegno politico: nel 1920
aveva fondato un giornale antisemita e anticattolico, Der Eiserne Besen.
Quest’impegno era durato fino al 1924, quando la moglie Leuts von Teu-
ringen, lo fece internare in manicomio fino al 1927. Nel 1932 Wiligut era
emigrato a Monaco di Baviera grazie all’amicizia con Frieda Dorenberg,
membro del partito nazista, che gli trovò un posto da docente presso un
circolo esoterico. Fu tramite un comune amico, il giornalista Richard
Anders, che nel gennaio del 1933 Wiligut conobbe Heinrich Himmler.
Himmler fu subito affascinato dal personaggio; dal novembre 1933 aprì
per lui un’apposita ripartizione dell’Ufficio Razza e Insediamento delle
SS. Quest’ufficio aveva il compito di vagliare la purezza razziale di coloro
che richiedevano di iscriversi alle SS, all’interno delle quali non erano
permessi sangue corrotto e macchie nella propria ascendenza. La sezio-
ne affidata a Wiligut, denominata Dipartimento di Preistoria e Storia
Primitiva, aveva in particolare l’incombenza di studiare i prodromi della
razza ariana e del suo insediamento nei territori tedeschi. Fino all’inizio
del 1935 Wiligut diresse la propria sezione da Monaco; poi si trasferì a
Berlino, in un appartamento fornitogli da Himmler, che gli trovò anche
una dama di compagnia (ma forse sarebbe stato più giusto definirla una
badante), Gabriele Winckler-Dechend. Fu allora che Wiligut divenne
anche membro dello Staff personale di Himmler.
Fin dai sui primi contatti con le SS, Rahn fu assegnato al Diparti-
mento di Preistoria di Wiligut, che quindi era il suo diretto superiore.
Frequenti erano quindi i contatti con Wiligut, che Rahn andava a tro-
vare quasi tutte le sere. Wiligut si interessava molto delle ricerche sul
Graal e sui catari, e ne riferiva a Himmler, che a sua volta mostrava
molto interesse. Inoltre Wiligut credeva che l’originaria religione tede-
sca fosse una forma particolare di cristianesimo detta Irminismo, molto
68 Un mito solare
per alcune ricerche relative al nuovo libro, di cui svelava il titolo prov-
visorio: Montsalvat e il Golgotha; intendeva visitare le rovine del castello
di Wildenberg, dove riteneva che von Eschenbach avesse dimorato per
un certo periodo di tempo, e che veniva chiamato «il castello del Graal
nell’Odenwald» perché sarebbe servito a von Eschenbach come modello
per la descrizione del castello di Montsalvage. Inoltre intendeva vedere la
grotta di Lichtweis, vicino a Wiesbaden, e infine il castello di Sporken,
luogo di nascita, secondo la leggenda, dell’imperatore Nerone. La cosa
curiosa era che, mentre chiedeva il permesso, Rahn raccomandava a Wi-
ligut la massima segretezza (che ovviamente non si estendeva a Himmler)
su questi progetti. Il permesso giunse, Rahn compì questo viaggio e il 19
ottobre 1935 inviò una dettagliata relazione a Himmler. Ligio alle sue
ricerche, che tanto interessavano Himmler, Rahn tuttavia non scordava
i suoi doveri verso il Reichsführer, in particolare l’incarico relativo alla
compilazione dell’albero genealogico di quest’ultimo. Himmler era in-
teressato in modo specifico ai rapporti della sua famiglia con quella Pas-
saquai, una casata della Savoia di cui riteneva che una esponente, Maria
Magdalena Passaquai, nata nel dicembre del 1775, fosse stata sposata al
suo bisnonno. Himmler aveva già scoperto che i genitori di Maria Mag-
dalena erano Johann Michael e Maria Katharina Passaquai. Tuttavia, vi
era traccia anche di un altro Passaquai, un certo Sebastian Albert. Chi era
costui? Era in relazione con il ramo della famiglia cui apparteneva Maria
Magdalena? Per le SS le questioni genealogiche non erano una questione
di poco conto, ma un fatto della massima importanza. Rahn nel marzo
del 1936 si recò nella Svizzera francese per approfondire questi temi e
riuscì a farsi autorizzare la presenza di Raymond Perrier quale aiutante.
Grazie a questi suoi pronti servigi, Rahn era nelle benevolenze del
Reichsführer; alla fine del 1936, Himmler lo invitò al ristorante assieme
ad alcuni dei più potenti uomini della Germania. Il pranzo si svolse al
locale gestito da Otto Horcher sulla Lutherstraße, il locale preferito an-
che da Hermann Göring. Al tavolo, oltre Himmler e Rahn, sedevano
Reinhard Heydrich, il capo del servizio segreto delle SS e braccio destro
di Himmler; Werner Best, che allora lavorava all’Ufficio Centrale dei
Servizi di Sicurezza del Reich e che era destinato a una splendida carriera;
Karl Wolff, il capo dello Staff personale di Himmler, forse uno dei pochi
uomini cui il Reichsführer era davvero affezionato; Jean Marie Musy,
il politico svizzero che in quell’anno aveva fondato l’Azione Naziona-
le Svizzera contro il comunismo e che aveva stabilito un solido legame
70 Un mito solare
7.
Al servizio del Reichsführer-SS II
(1936-1937)
8.
La corte di Lucifero
(1937)
Resistere alle richieste del Reichsführer-SS non era facile per nes-
suno, e per Rahn meno di tutti. Egli sapeva di dovere la sua attuale
posizione e il suo benessere alla benevolenza di Himmler, che ora era
ansioso di proseguire la sua campagna anticristiana seppure con mezzi
non eccessivamente cruenti. Occorrevano idee; ed era proprio ciò che
Himmler si aspettava da Rahn. Occorreva una seconda opera di Rahn,
che ampliasse e approfondisse il percorso iniziato nella Crociata contro
il Graal. Ma dove cominciare?
Per un periodo, Rahn era stato irresoluto. Aveva pensato di dedicarsi
all’inquisitore Konrad di Marburgo. In fondo, era stato un cacciato-
re di catari, quindi in un certo senso un crociato egli stesso contro
l’antico credo che era rivissuto nel catarismo. Poi aveva pensato a un
altro approccio, e a un titolo: Montsalvat e il Golgotha. Erano idee
che sembravano brillanti, ma che poi si smorzavano come lumi privati
del combustibile, languendo lentamente e poi sparendo. Rahn girava a
vuoto. Lo soccorse un ricordo: Konrad di Marburgo era stato il primo
a trovare il legame tra i catari e l’adorazione di Lucifero. Se come aveva
sospettato l’inquisitore di Marburgo i catari adoravano segretamente
Lucifero, allora la prospettiva della Crociata contro il Graal poteva ve-
nire rovesciata. Le armate crociate non rappresentavano le truppe di
Lucifero, decise a riconquistare il tesoro dei catari (il Graal, innanzi-
tutto) al loro capo. Al contrario: Lucifero militava dalla parte dei catari.
Era Lucifero, il dio della luce, a essere oggetto del culto dei catari; i
crociati adoravano piuttosto il dio che aveva creato il mondo materiale,
il dio inferiore degli Gnostici. L’estromissione di Lucifero dal cielo era
stata ingiusta, e velava appena un altro fatto: che il nascente cristiane-
simo romano, in combutta con gli ebrei, aveva snaturato il dio della
luce, facendone un demone, un angelo caduto. La caduta di Lucifero
era l’arma con la quale l’antica religione originaria era stata sovvertita,
82 Un mito solare
nuove aperture. Allora Rahn comprese che era possibile narrare ciò che
aveva appreso e vissuto durante le sue ricerche in Occitania e nelle bi-
blioteche francesi, persino le ricerche durante lo sfortunatissimo viag-
gio in Islanda, come una sorta di pellegrinaggio, un viaggio iniziatico,
in cui passando attraverso la riscoperta del passato si dischiudeva, pas-
sando per il contatto con il Graal, un futuro diverso. L’apprendimento
del vero retaggio del passato trasformava il viaggiatore, e lo rendeva
disponibile a plasmare un futuro diverso per l’Europa. Ora Rahn com-
prendeva esattamente la natura del proprio cammino, una quest che
lo aveva condotto sino al punto in cui stava adesso, consapevole delle
proprie radici eretiche e disposto a contemplare un futuro che a questo
punto, ai seguaci del dio creatore dell’universo materiale, non poteva
che apparire ereticale. Ciò suggerì più tardi anche un titolo: La corte di
Lucifero. Da un lato Lucifero, primitivo dio della luce, e i suoi segua-
ci, decisi e orgogliosi tenutari delle credenze di un tempo; dall’altra la
nuova corte del Reichsführer, l’élite di coloro che si interessavano a quel
passato per riviverlo e riscattarlo.
Pensò poi alle conversazioni che aveva avuto con Wiligut, in quel-
le sere in cui andava a trovare il suo superiore. Rammentò quando
Wiligut aveva sostenuto che vi era un antenato di tutti i Germani,
Teut, un esperto di rune che aveva conosciuto la verità circa la divinità
ancestrale, Gotos, e le sue leggi divine iscritte nel sangue teutonico.
Rammentò ancora quando Wiligut si era scagliato contro il «sangue
nero del sud», i romani, che avevano cancellato gli insegnamenti di
Teut. I romani, estranei a questa tradizione, avevano imposto i loro dei
e avevano soppresso il Gotos teutonico, e considerato la vera tradizione
germanica come una forma di paganesimo e stregoneria, privando così
i Teutoni della loro eredità ancestrale che era però sopravvissuta come
un sapere segreto per coloro che erano rimasti fedeli al sangue e alla
verità dei loro antenati, e in particolar modo nei poeti, nei vati, che
avevano velato quella verità nei loro problemi per tramandarla sotto il
naso dei romani. Rahn rammentò tutto questo e sorrise compiaciuto.
La direzione cui doveva rivolgere lo sguardo gli era ora chiara. Un tap-
peto di frammenti sparsi prendeva forma e si univa a formare un’unica
immagine, passando dal composito a una configurazione unitaria, più
grazie all’intuizione artistica che all’opera del freddo intelletto. Una
verità che riscaldava il cuore e appagava l’immaginazione, più che una
sterile falsariga astratta. Una verità di cui aveva bisogno.
84 Un mito solare
Rahn sorrise compiaciuto. Era pronto per scrivere il suo nuovo libro.
La scrittura del libro esigeva che Rahn presentasse la vicenda come
una sorta di diario di viaggio, iniziato in Germania, proseguito in Fran-
cia e terminato in Islanda, esperienza che aveva portato a compimento
la sfera perfetta del pellegrinaggio spirituale di Rahn in una convergen-
za finale che avrebbe completato il racconto come l’ultima tessera di un
mosaico, rivelando compiutamente la figura fino a allora incompleta.
Rahn rievocava gli studi in Germania, dove si era appassionato a Wol-
fram von Eschenbach, e poi i soggiorni francesi, così significativi. Era
stato incontrando il signor Rives (Rahn continuava a chiamare così Ar-
thur Caussou) che aveva appreso il legame tra i poeti occitani e i catari
e che aveva compreso che la poesia occitana faceva parte dell’eredità
culturale germanica; era stato incontrando la contessa Pujol-Murat che
aveva riflettuto sulla guerra della croce romana contro il Graal, la pietra
caduta dalla corona di Lucifero che invano i cattolici romani avevano
tentato di cristianizzare trasformandola nel calice dell’ultima cena di
Gesù. Da tutte queste tappe del suo viaggio, Rahn riteneva di aver
imparato un fatto importante: che Parsifal significa “trafitto nel cuore”.
In occitano, lo stesso concetto si esprimeva con la parola “Trencavel”.
Dunque il visconte di Carcassonne, Raymond Roger Trencavel, una
delle vittime della crociata contro i catari, era Parsifal. Von Eschenbach,
raccontando la sua storia del Graal, aveva alluso ad avvenimenti re-
almente accaduti, senza dubbio attingendo dal misterioso poeta pro-
venzale Guyot. Il poema di von Eschenbach era dunque apertamente
ispirato agli avvenimenti dei catari, allora investiti da quella che ormai
a Rahn pareva una violenta e intollerante affermazione della religiosità
vetero-testamentaria volta alla cancellazione degli scritti e dei canti po-
etici con cui gli eretici mantenevano viva una religiosità diversa e più
antica. La leggenda del Graal era appunto uno di questi canti.
La tappa successiva di questo viaggio era stata il Sabarthez, nel cui
complesso speleologico Rahn sperava di trovare traccia della Corte di
Lucifero, la lega di tutti coloro che ritenevano che la divinità del Vec-
chio Testamento non potesse essere il proprio dio. Fu in quelle grot-
te che Rahn trovò le iscrizioni e i graffiti dei catari: la nave orientata
verso il sole, da intendersi come la nave dei morti; l’albero della vita,
la colomba scolpita nella roccia. Di qui una seconda rielaborazione, l’i-
dentificazione della mitologia greca con quella nordica, cosa che dimo-
strava che, originariamente, gli antichi greci erano una razza nordica.
La corte di Lucifero 85
vicende vissute dai catari. Persino i singoli personaggi dei loro poemi,
sotto un nome appena velato (ma chi fosse in grado di dipanare il sot-
tile velo della metafora, percepiva immediatamente la solida realtà cui i
poeti trovatori avevano voluto accennare) rinviavano agli avvenimenti
occorsi durante la crociata contro gli albigesi e l’assedio della rocca di
Montségur. Le allusioni erano troppe e puntavano tutte in un’unica
direzione.
Pehmoller però non era persuaso. «Si tratta, appunto, di allusioni, di
ipotesi», ribatteva. «Si tratta di ipotesi fondate su somiglianza linguisti-
che, su coincidenze, come il fatto che nel poema di von Eschenbach si
parli di un altare cui venne condotto Parsifal, e l’altro fatto che in una
grotta dei Pirenei si trovi una stalagmite chiamata l’Altare. Ma che cosa
prova che le due cose coincidano? Ciò può essere vero solo per ipotesi;
ma, dopotutto, un’ipotesi non è una prova».
Insinuazioni maligne di questo tipo irritavano Rahn, che ricorre-
va alle idee di Péladan, di Magre, secondo cui i poeti trovatori erano
appunto gli agenti, i portavoce dell’eresia catara. Come si poteva non
ritenere che la loro materia fosse appunto la vicenda subita dai catari,
e il possesso del loro tesoro? Anche questo però suscitava le perplessità
di Pehmoller, con grande disappunto di Rahn. Pehmoller non si ca-
pacitava come fosse possibile pervenire a risultati certi con un simile
materiale. La leggenda di Ercole e della sua innamorata Pirene; il tesoro
di Salomone saccheggiato a Roma dai Visigoti e poi portato in Francia
(e dopo ancora gettato in un lago); i poemi sul Graal; una congerie di
materiali diversi, provenienti dalle fonti più disparate, veniva rifuso as-
sieme a creare una storia unitaria e consistente. La consistenza di questa
storia si fondava però solo sulla giustapposizione di eventi, notizie sto-
riche, racconti la cui unità spesso era garantita solo da una somiglianza
superficiale. Così si finiva più dalle parti del racconto che della storia,
del mythos piuttosto che del logos. Non esisteva nemmeno una prova
che i catari avessero anche solo conoscenza del termine Graal.
Era, in fondo, la stessa critica che gli era stata mossa dalle colonne
della Revue du Tarn, che nel numero del 15 marzo 1935 aveva pubblica-
to una recensione, a firma L. Charles-Bellet, della traduzione francese
della Crociata contro il Graal, traduzione che tanto Rahn aveva sperato
che gli portasse onori e ricchezze. Pure, il recensore sembrava avere
parole blandamente derisorie verso l’uomo «che era andato a ricercare
nelle valli e nelle caverne dei Pirenei dell’Ariége la nascita dei miti che
92 Un mito solare
9.
Il cerchio si stringe
(1937-38)
Gli articoli e le recensioni per la sua nuova opera, l’essere entrato nella
cerchia delle benemerenze del Reichsführer-SS, erano cose che pur con-
tavano. Eppure c’era in Rahn una sorta di inquietudine, di insofferenza,
che gli impediva di godersi pienamente l’appartenenza al mondo dorato
dell’élite (i fagiani dorati, come li chiamavano gli ironici berlinesi) e che
lo rendeva uno spostato, un pesce fuor d’acqua. Questo curioso stato
d’animo non era sfuggito all’acuto Frisé, che aveva continuato a frequen-
tare Rahn e che aveva notato la strana ossessione di quest’ultimo, che lo
spingeva, ogni qual volta incontrava in un locale qualche pezzo grosso o
del partito o del suo stesso corpo ubriaco e avvinto a donnacce di ogni
tipo, pitturate come bagasce, a sentirsi in dovere di rampognare il suo
interlocutore anzi la coppia, senza ritegno, richiamandola all’ordine e al
contegno in nome del proprio capo, Himmler, ammonendo contro ogni
tentativo di insozzare l’uniforme e insomma richiamandosi al decoro,
alla dignità, a un comportamento serio.
Di solito il richiamo a Himmler scatenava la peggiore ilarità o la mag-
giore derisione.
Era già accaduto durante lo sfortunato viaggio in Islanda che Rahn si
fosse dimostrato incapace di relazionarsi con i suoi camerati delle SS, per
essere oggetto di scherno e di dileggio. Tutto ciò si ripeteva adesso a Ber-
lino senza che Rahn riuscisse a frenare i suoi comportamenti, che certo
non gli procuravano molti amici. O forse Rahn avvertiva oscuramente
di essere fuori posto, un outsider che grazie alla protezione di Himmler
era riuscito a scalare la gerarchia delle SS fino a giungere in alto, in un
luogo dove l’aria era molto rarefatta e dove c’erano molte mani pronte
a ricacciarlo in basso per prenderne il posto… Occorreva molta cautela,
come aveva suggerito a Bad Tölz lo stesso Reichsführer-SS nel febbraio
del 1937. Forse Rahn, stranamente ipersensibile e sempre sopra le righe,
non era capace di essere cauto.
102 Un mito solare
fuori. Si era separata dal marito assieme al suo bambino, che allora aveva
cinque anni. Il motivo del fallimento del matrimonio della Baeschlin era
dovuto ai rovesci finanziari, e ai successivi debiti. Questa canzone Rahn
la conosceva bene. Si trattò di un corteggiamento, per quanto ambiguo?
In fondo Rahn sapeva essere affascinante, con le sue storie di cavalieri
e poeti vagabondi. Asta Baeschlin tuttavia non sembrava convinta. Era
coinvolta in un divorzio, e Rahn comunque, per quanto galante, teneva
le distanze da lei. Della cosa lei era molto grata, viste le sue condizioni del
momento. Inoltre Rahn le aveva fatto una curiosa impressione, quando si
era presentato da lei con quello che l’aveva introdotto come il suo amico
Raymond Perrier. I due erano poi spariti per giorni, eppure Asta, che non
era un’ingenua, aveva visto qualcosa nell’intimità tra i due, qualcosa che
andava oltre l’amicizia. Del resto, anche Rahn non aveva fatto mistero
della sua appartenenza alle SS, forse nel tentativo di far pesare la propria
importanza e la propria posizione nel regime tedesco. Asta era nel pieno
di un divorzio, con la susseguente battaglia per l’affidamento del figlio, e
certo non aveva il desiderio di inasprire l’ex marito legandosi a un mem-
bro delle SS. Lo stesso Rahn, poi, viveva a Muggenbrunn in condizioni
di ristrettezza, e non nuotava certo nell’oro. Era appena il caso di ripete-
re una situazione, quella del precedente matrimonio, che era naufragata
così dolorosamente?
Si trattava di una situazione ambigua, come spesso accadeva quando
c’era di mezzo Rahn. Quando, qualche giorno dopo, Asta rivide Rahn e
Perrier, quest’ultimo stava per lasciare Muggenbrunn, e Rahn piangeva
a dirotto. Sebbene Rahn non le facesse alcuna proposta di matrimonio
(o così Asta ricordava anni dopo), le era diventato chiaro che egli vo-
leva soltanto un matrimonio di facciata, che egli non era interessato a
lei come donna. Rahn voleva un matrimonio schermo, come quello di
Riedweg o di des Coudres? Era quella la soluzione escogitata da costui
per trarsi d’impaccio dalle sue difficoltà e mettersi a posto con le SS?
Era difficile muoversi tra tutte quelle ambiguità, tra quei non detti,
tra i ricordi successivi contrastanti tra loro. Quello che c’era di certo,
è che il 4 dicembre 1938 Rahn aveva scritto all’Aiutante di campo del
Reichsführer-SS, Ludolf von Alvensleben, facendo riferimento a una
precedente missiva, in cui esponeva i suoi progetti di matrimonio con
Asta Baeschlin. A quanto pareva Himmler, informato della cosa, aveva
approvato senz’altro la cosa e anzi aveva invitato Rahn ad affrettare
il più possibile lo sposalizio. L’esca aveva avuto fin troppo successo e
106 Un mito solare
ora Rahn doveva spiegare come mai non era stato possibile un «matri-
monio rapido come un fulmine», come si era espresso Himmler. Asta
Baeschlin alla fine della vacanza era ritornata in Svizzera. Rahn si trin-
cerava dietro il servizio attivo che aveva dovuto svolgere; dietro alcuni
lavori improrogabili, come la preparazione della nuova edizione della
Corte di Lucifero; del ritardo nel divorzio di Asta Baeschlin, che non
si era ancora legalmente concluso. Tuttavia, Rahn si allargava ancora
sul suo futuro matrimonio, e annunciava a von Alvensleben (che, era
sicuro, avrebbe poi riferito tutto a Himmler) che la Baeschlin, contro il
volere dei suoi stessi genitori, aveva preferito lui, Rahn, benché spian-
tato, a un ricco principe dal nome illustre; e che quella che chiamava
apertamente «la mia fidanzata» l’avrebbe raggiunto il prossimo Natale
per discutere di tutto. Si trattava di aspettare ancora un poco. La be-
nevolenza di Himmler era ancora disponibile. Il 12 dicembre 1938 a
Rahn era stato concesso un congedo da ulteriori turni di servizio attivo
per permettergli la revisione della Corte di Lucifero. Ed effettivamente
nel febbraio 1939 Rahn aveva trasmesso a Himmler un manoscritto
riveduto del suo libro. Questa parte della lettera di Rahn non era una
menzogna. Ma che dire del resto? Rahn era stato sempre incline alle
Il cerchio si stringe 107
bugie, alle quali credeva lui stesso prima degli altri; questa volta però
il suo involucro difensivo, con il quale difendersi dalle difficoltà che
cominciavano ad affiorare verso di lui all’interno delle SS, rischiava di
disfarsi nelle sue mani. Se le SS erano un’élite, un ordine simile a quello
dei Templari, come Rahn si era convinto che fossero, erano straordina-
riamente intolleranti e inflessibili. Circuito nella rete delle sue fantasie
e delle sue bugie, ora Rahn era in trappola. Non aveva l’ipocrisia e il
cinismo di des Coudres o di Riedweg, che riuscivano a recitare più ruoli
contemporaneamente e a salvare le apparenze. No, Rahn, nevrasteni-
co e pasticcione, non possedeva quella qualità che rendeva possibile
alle SS credere di essere un’élite mentre, nel loro vero essere, erano
individui del tutto diversi da quello che professavano. Per mantenere
vera quest’apparenza, di fronte agli altri ma soprattutto di fronte a se
stessi, occorrevano doti che Rahn dimostrava di non avere. Si difende-
va con le armi del debole, la doppiezza e il sotterfugio. Adesso quelle
armi avevano perso l’affilatura ed egli si trovava a dipendere totalmen-
te dall’aiuto del Reichsführer-SS, aiuto che, nel caso di uno scandalo,
non sarebbe durato troppo. Per il momento, poteva ancora contare
sull’appoggio di Himmler, visto che l’11 settembre 1938 era stato ancora
promosso, salendo fino al grado di Obersturmführer (comandante di
compagnia) delle SS. Ma di lì, era un’incognita. Tutto si trasformava
e perdeva forma. La stessa idea dell’eresia catara, pegno di una civiltà
universale e pacifica, si era trasformata nei sogni di dominio razziale di
Himmler, dal quale erano esclusi gli appartenenti a razze inferiori. La
rinata civiltà nordica, che inutilmente ebrei e cattolici romani avevano
cercato di obliterare, si affermava con vigore e relegava nei campi di
concentramento oppositori e nemici della razza. Rahn ne sapeva qual-
cosa. Nel novembre del 1938 si trovava al campo di Buchenwald dove
poté osservare gli ebrei internati dopo la Notte dei Cristalli. Eppure la
cosa non sembrava avergli fatto un particolare effetto, o almeno non
ne aveva fatto parola con nessuno. Come si accordava tutto questo con
l’originario ideale di tolleranza dei catari? Labirinti dentro labirinti, che
si perdevano l’uno dentro l’altro e da cui non sembrava più possibile
uscire.
Il cerchio si stringeva, e non solo attorno a Rahn. Le SS avevano preso
a regolare i conti interni, e a eliminare coloro che non si confacevano al
nuovo ideale imposto da Himmler di contadini-guerrieri ben affondati
nel loro passato ancestrale e razziale. Nel novembre del 1938 toccò anche
108 Un mito solare
a Wiligut. Wolff, che non lo aveva mai amato, aveva scoperto il passato
manicomiale tra il 1924 e il 1927 dell’ex protetto del Reichsführer-SS.
La rivalità tra Wiligut e l’Ahnenerbe finiva con il trionfo di quest’ulti-
ma, ora che il punto debole nell’armatura di Wiligut era stato trovato.
Dì lì a meno di un anno, l’ufficio di Wiligut sarebbe stato sciolto e lui
stesso posto in congedo forzato. Himmler gli risparmiò il campo di con-
centramento e lo affidò alle cure di una fidata badante, a Aufkirchen
prima, e a Goslar poi, in una sorta di esilio. Se questo era accaduto al
potente Wiligut, al fidato consigliere di Himmler che aveva costituito
per quest’ultimo l’intero rituale delle SS, che cosa poteva accadere a
Rahn? Al nevrastenico, ipersensibile Rahn, così lontano dall’immagine
dell’SS-Mann tutto durezza e onorabilità? Come giustificare i contatti
con Alfred Schmid, di cui si diceva che la casa di Berlino-Dahlem avesse
un’apertura celata che conduceva alla sua camera, così che quando Rahn
veniva a visitarlo, potesse segretamente accedere a lui? Come giustificare
i rapporti con Raymond Perrier, che Rahn aveva persino arruolato come
suo aiutante nelle ricerche relative all’albero genealogico di Himmler, e
che il 26 agosto 1938 aveva personalmente scritto al Reichsführer-SS un
biglietto di ringraziamento? Come giustificare tutto ciò, ora che la storia
di copertura con Asta Baeschlin era saltata, e che la verità veniva a galla?
Come avrebbe preso Himmler tutto ciò, quell’Himmler che si diceva
avesse fatto fucilare il proprio stesso nipote, omosessuale, dopo averlo
ammonito più volte a emendarsi senza che lo sventurato giovane avesse
potuto o voluto accontentare il potente zio? Pure, già più volte in passato
Rahn si era tolto di impaccio da situazioni scabrose. Occorreva un’alzata
di ingegno, che gli consentisse ancora una volta una via d’uscita.
109
10.
La fine
(1939)
La via d’uscita alla fine non si era trovata, o almeno quella trovata era
alquanto tortuosa e stretta. Il 28 febbraio 1939 Rahn scrisse un biglietto
a Karl Wolff da Tegernsee, in cui scriveva di essere «costretto a pregarla
di appoggiare presso il Reichsführer-SS il mio immediato congedo dalle
SS. I motivi di questa mia richiesta sono di natura così grave che potrò
esporli a Lei soltanto a voce. A tale scopo verrò a Berlino nei prossimi
giorni e mi presenterò a Lei». Il biglietto si concludeva con il solito salu-
to: Heil Hitler.
Si trattava dell’unica strada possibile rimasta. Se le SS dovevano dare
il buon esempio, se in quanto aristocrazia razziale dovevano essere di
ammaestramento per tutto il resto del popolo tedesco, non restava che
separarsi da loro. L’ipocrisia di Himmler, che aveva decretato che le SS
colpevoli di omosessualità dovevano essere degradate, allontanate e poi
consegnate alla giustizia, e poi ancora, dopo avere scontato la pena inflit-
ta loro dal tribunale, dovevano essere internate in campo di concentra-
mento e poi fucilate in caso di fuga, ma che poi era disposto a tollerare
i vari Riedweg e i vari des Coudres, purché la loro macchia rimanesse
celata, non bastava più in caso di emersione pubblica di fatti riprovevoli.
Il partito aveva ormai fatto della lotta all’omosessualità un mezzo per
regolare i conti al proprio interno. Non c’era nulla di meglio, per dan-
neggiare un avversario politico, che far trapelare sul suo conto accuse di
essere un invertito. Nel febbraio del 1938, le SS avevano saputo fare buon
uso di calunnie del genere per spezzare la carriera del generale Werner
von Fritsch, il comandante della Wermacht. Le accuse erano poi cadute
ma von Fritsch era ormai compromesso, e non venne mai reintegrato nel
suo ruolo, nel quale era stato sostituito da Walther von Brauchitsch, più
malleabile verso le politiche di Hitler che prevedevano, non appena la
Germania fosse stata pronta, una guerra a Est.
110 Un mito solare
11.
Interludio 2
12.
Epilogo
Postfazione
Il presente lavoro non costituisce una vera biografia di Otto Rahn, per
quanto attinga materiale da coloro che invece meritano molto di più il
titolo di biografi, come Hans-Jürgen Lange o come Mario Baudino. Tut-
tavia, una biografia soddisfacente di Rahn al momento non esiste, e forse
non esisterà mai, data l’incompletezza delle fonti e la contraddittorietà
dei materiali esistenti, oltre che per altri motivi di cui dirò. Nonostante
ciò, gli eventi narrati sono accaduti realmente, anche se talora non nella
maniera in cui sono raccontati in quest’opera. Ad esempio, è quasi certo
che Antonin Gadal non abbia preso parte all’incontro alla Closerie des
Lilas, anche se le idee che gli vengono fatte esprimere sono realmente sue.
Analogamente, per quanto sia vero che Adolf Frisé sia stato invitato da
Rahn al suo appartamento in Tiergarten, le reazioni che gli ho attribuito
non furono le sue né avvennero in quell’occasione. È tuttavia vero che
molti dei giudizi espressi circa gli atteggiamenti di Otto Rahn sono stati
veramente formulati da suoi conoscenti anche intimi, benché non sem-
pre siano stati ascritti a coloro che li hanno realmente espressi – per moti-
vi di economia narrativa, e anche per rendere i vari passaggi più gradevoli
al lettore. Da questo punto di vista, i protagonisti di questa storia sono
appunto personaggi di un racconto, e non coincidono esattamente con
le persone reali di cui portano i nomi. Chi volesse tuttavia documentarsi
sulle vere reazioni di Frisé può compulsare il suo romanzo autobiografico
Der Beginn der Vergangenheit (uno dei personaggi è Otto Rahn), mentre
le idee di Magre sono state riprese dai suoi romanzi Le sang de Toulouse e
Le trésor des Albigeois. Quanto al libro di Péladan citato da Magre e da lui
prestato a Rahn, si tratta di J. Péladan, Le secret des Troubadors: de Parsifal
à Don Quichotte.
Per il resto, tuttavia, non vi sono state manipolazioni narrative. L’i-
dea che il ritorno al catarismo sarebbe stato la salvezza dell’Europa fu
realmente una corrente importante di pensiero degli anni Trenta del XX
secolo, e ispirò intellettuali del calibro di Simone Weil, che giunse a in-
travvedervi l’ultima propaggine del mondo spirituale più alto mai esi-
stito, quello della cultura greca al tempo di Platone, in qualche modo
120 Un mito solare
MONSTORIA-10
Seicento (2011), Un segreto ricomporsi.
Albert Speer dalla memoria individuale alla
storia (2013) e, con Gianluca Nesi, Sangue e
Suolo. Le radici esoteriche del Nuovo Ordine
Europeo nazista (2016)
Nell’Europa della fine degli anni Venti, attanagliata dalla crisi economica e sociale,
dalla dilagante violenza nelle strade, dall’avvento del fascismo, un pugno di
intellettuali francesi identificò la via di uscita nel ritorno ai princìpi di un’oscura
setta ereticale francese del XIII secolo: i catari. Quel ritorno avrebbe assicurato
la nascita di un’Europa unita, tollerante, pacifica. Fu un sogno che attrasse
molti, persino figure del calibro di Simone Weil, fino alla venuta di Otto Rahn,
un mitografo tedesco che riunì il racconto dei catari alla leggenda del Graal.