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- Scelta: il caregiver formale sceglie l’attività a cui si sta dedicando, ma non è altrettanto per il familiare che
abbia il desiderio di farsi carico di un altro soggetto, curandolo e assistendolo.
- Motivazione: il professionista ha una sua motivazione che lo spinge ad effettuare quel determinato lavoro;
in molti casi, invece, i familiari affiancano all’attività di caregiver l’affetto e il sentimento, dovuti al
precedente legame con la persona (può però anche non essere sempre così).
Sussiste un’ulteriore differenza che si verifica quando si distinguono “primary caregiver” ed il “caregiver
unico”: a volte ci sono delle situazioni che vengono gestite da più caregiver, ed è solo uno tra questi a
rappresentare un punto di rifermento, a cui si possono rivolgere i professionisti sanitari nel momento in cui
vogliano raccogliere delle informazioni o quando devono dare delle indicazioni. Potrebbero essere presenti
anche più di un “primary caregiver”, nel caso in cui questi si dividano allo stesso modo le attività; altre volte,
invece, è presente il “caregiver unico”, ovvero quella persona che si deve prendere carico totalmente di tutte
le attività legate all’assistenza e alla cura (es. igiene, mobilizzazione, alimentazione, trasporto, attività di tipo
amministrativo come la gestione della pensione, dichiarazione dei redditi), attività numerose ed
estremamente diversificate che la persona non è in grado di svolgere e va aiutata.
Quando si parla di caregiving si verificano spesso differenze legate al genere; nel nostro paese ci sono molte
differenze legate al genere rispetto all’attività del caregiver, che di per sé viene svolta soprattutto da soggetti
femminili. In genere si ritiene che sia la donna a dover assumere questo ruolo quando si presenta la necessità.
I soggetti maschili tendono a svolgere attività di tipo prettamente pratico, come l’accompagnamento
(spostamenti, visite fuori città) e il reperimento di risorse.
Queste differenze riguardano quindi:
- Numerosità: la maggior parte dei caregiver è donna.
- Volontarietà: in Italia ci si aspetta che le donne ricoprano questo ruolo.
- Attività: al caregiver di genere femminile vengono affidate attività che si riferiscono all’ambito materno
(igiene, alimentazione, …) a differenza di quelle svolte dall’uomo (gestione di aspetti economici e
amministrativi).
Da ciò ne deriva anche che non tutti i caregiver vogliano davvero farlo.
Nell’ambito delle attività del caregiver si distinguono due componenti:
Caring Componente affettiva dell’impegno e per il benessere di un’altra persona (sentimento)
Caregiving Componente effettiva dell’impegno e per il benessere di un’altra persona (azioni concrete)
Il lavoro di caregiving si articola in 3 fasi:
1. Fase iniziale fase complessa, si ha l’esigenza di dare assistenza, reazioni del caregiver uguali a
quelle del malato (devo elaborare allo stesso modo la malattia). Il caregiver assorbe e cerca di
contenere la reazione emotiva della persona cara mettendo dentro di sé un carico affettivo ulteriore.
Si trova a dover sviluppare una serie di competenze e deve riorganizzarsi perché, quasi sempre, oltre
a svolgere il ruolo di caregiver ne ricopre ulteriori in famiglia e in società (lavora e ha una famiglia).
2. Fase intermedia Familiare caregiver cerca di trovare un adattamento al suo nuovo ruolo. LA
durata è variabile: nella malattia cronica, soprattutto quando colpisce un soggetto giovane, la
funzione di caregiver può durare moltissimi anni.
3. Fase finale Impatto Emotivo (Malattia del caregiver o lutto).
Il termine caregiver è un termine che va applicato in senso lato perché anche un genitore è un caregiver.
Anch’esso, quindi, attraversa queste fasi di apprendimento e di riorganizzazione. La fase finale, in questo
caso, può essere identificata con lo sviluppo dell’autonomia del figlio/a e dovrebbe essere vissuta in modo
positivo.
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Questo concetto è collegato al concetto di benessere (well-being) sia della persona che del caregiver.
Quando il caregiver si prende cura di un soggetto affetto da una patologia cronica non possiamo pensare di
avere come obiettivo la salute intesa come assenza di malattia.
Studiare questo fenomeno ci permette di mantenere il più alto livello di benessere, sia della persona che del
suo caregiver. Se l’obiettivo è quello di lavorare sul potenziale di miglioramento e di sviluppo del benessere,
la funzione svolta, dal punto di vista infermieristico è la promozione della salute.
Evitando la tensione nel ruolo di caregiver non viene garantita la salute al malato cronico, ma viene garantito
il benessere del caregiver e del malato stesso, garantendo la promozione della salute di entrambi.
Rispetto al concetto di Burden (livello di tensione del caregiver), sono state definite una dimensione
oggettiva (fatti, attività, comportamenti) e una soggettiva (sentimenti). Questo ci riporta alla differenza tra il
caring (componente affettiva) e il caregiving (espressione comportamentale).
Quando si effettua l’analisi del concetto di Burden, questo viene studiato secondo tre macrocategorie:
- Attributi: caratteristiche del concetto;
- Antecedenti: rappresentano i presupposti. Sono le situazioni e le condizioni che possono favorire la
comparsa del caregiver burden, ovvero, di questa tensione multidimensionale;
- Conseguenze: ciò che accede o che viene dopo quel determinato elemento;
Attributi:
- Auto-percezione (self-perception): sentimenti e percezioni del caregiver, positive e negative, associate alla
funzione svolta. Questa situazione si connota rispetto a elementi affettivi (sentimenti) e a elementi percettivi,
i quali sono associati alla funzione, e possono essere sia positivi che negativi.
Il caregiver, quindi, può sperimentare emozioni e percezioni sia negative che positive.
- Tensione multidimensionale (multifaceted strain): la tensione si manifesta con una serie di elementi tra cui:
- perdita di peso, fatigue, disturbi del sonno (sia come effetto dell’assistenza, sia per l’erogazione di
assistenza notturna);
- distress emotivo e psicologico, alienazione, deterioramento delle relazioni familiari;
- modificazioni nell’organizzazione della giornata e nello stile di vita (dato che risente della funzione
di caregiving);
- riduzione delle attività sociali e isolamento;
- problemi economici (es. il caregiver non può mantenere l’attività professionale precedenti/ ha molte
spese).
- Dimensione di sviluppo temporale (over time): la tensione non è “qui e ora”, ma cambia nel tempo, non è
statica. Ci sono strumenti che ci consentono di misurare la tensione e alla luce di ciò, è bene rivalutare il
livello di tensione nel corso del tempo.
Facendo un confronto tra gli attributi (caratteristiche della tensione) e gli indicatori diagnostici di una
Diagnosi Infermieristica (caratteristiche definenti, fattori di rischio, fattori correlati), vediamo che gli
attributi della tensione, rispetto a tali indicatori, possono essere riconducibili alle caratteristiche definenti.
Antecedenti:
- Insufficienti risorse finanziarie: se la persona non ha le risorse per coprire i costi dell’assistenza oppure
l’assistenza comporta la perdita/riduzione del lavoro, si ha alta probabilità di sviluppare tensione.
- Conflitto fra diverse responsabilità:
Il caregiver svolge vari ruoli nella società e deve riuscire a mantenerli in equilibrio con quello di caregiver.
All’interno del ruolo di caregiver ci sono tante responsabilità, tra cui:
- assistenza diretta
- assistenza nello svolgimento delle attività di vita quotidiana
- supporto emotivo alla persona assistita
- monitoraggio dei trattamenti: relativo soprattutto all’ assunzione dei farmaci
- visite
- igiene personale e uso del gabinetto
- abbigliamento
- trasporti
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- acquisti
Il caregiver, soprattutto se unico, fa molta fatica a mantenere in equilibrio tutte le attività che deve ricoprire.
La difficoltà sta nel portarle avanti tutte e in modo efficace, mantenendosi al contempo in una situazione di
benessere, è da qui che scaturisce la tensione.
- Mancanza di attività di socializzazione (rete sociale povera): se in partenza il caregiver ha una rete sociale
povera, è più semplice che con il tempo si sviluppi una tensione.
Gli antecedenti, rispetto alle diagnosi infermieristiche, possono ricondursi ai fattori correlati.
Se vediamo certi attributi, pensiamo che c’è una tensione e se ci sono degli antecedenti, vi è un rischio di
sviluppare la tensione; infatti, abbiamo sia la diagnosi reale che quella di rischio (i fattori correlati e i
fattori di rischio sono gli stessi).
Conseguenze
- Peggioramento delle attività di cura: se c’è una situazione di tensione, il caregiving peggiora
- Peggioramento della qualità di vita (per entrambi i soggetti)
- Peggioramento della salute fisica (problemi cardiaci, ipertensione) e psicologica/affettiva
(depressione, rabbia, preoccupazione, senso di colpa, ansia)
- Peggioramento dello stato di benessere
Queste conseguenze, riguardano sia il caregiver che la persona assistita.
All’interno di una Diagnosi Infermieristica, i fattori appena elencati, possono essere delle caratteristiche
definenti, ovvero, possono essere degli elementi che ci fanno capire che è presente la tensione, dato che ne
vediamo le conseguenze.
Da un lato, possiamo vedere le caratteristiche della tensione, e dall’altro ne vediamo le conseguenze; infatti,
leggendo le caratteristiche definenti della diagnosi Tensione nel ruolo di caregiver, vediamo che queste
rispecchiano sia gli attributi, sia le conseguenze.
Pensando agli interventi assistenziali che vengono fatti sul caregiver burden, agiamo a diversi livelli e
dobbiamo occuparci di:
- Gestione degli antecedenti
- Gestione degli attributi (tramite l’educazione, che è l’intervento)
- Gestione delle conseguenze
Quando si ha compreso il fenomeno nelle sue manifestazioni (attributi), nelle sue basi (antecedenti) e nei
suoi esiti (conseguenze), si può pensare agli interventi, i quali possono essere ipotizzati anche senza la
presenza di un testo.
Scale Zarit e CRA (Caregiver reaction assessment scale): sono due scale usate per misurare il livello di
tensione del caregiver. In Italia, in Assistenza Domiciliare Infermieristica, è molto utilizzata la scala Zarit,
che consente di misurare la condizione del caregiver nel corso del tempo.
Graziano G, Manfredi D, Scalorbi S.: L'uso di Scale nell'accertamento delle Diagnosi Infermieristiche per
l'assistenza ai Caregiver L'Infermiere 2017 (4:21-23)
È un articolo che deriva dalla sintesi di una Tesi, nella quale due studentesse hanno analizzate le due scale.
Le due studentesse hanno valutato se, utilizzando le due scale contemporaneamente, si riuscivano ad
identificare le diagnosi relative al caregiver.
Sono scale che ci permettono di fare l’accertamento di tutti gli indicatori diagnostici della Tensione nel ruolo
di caregiver? Si (abbastanza).
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Modello/mappa concettuale del Caregiver Burden (utile nell’identificazione delle Diagnosi)
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Caregiver Empowerment (Sakanashi e Fujita, 2017)
Definizione: “Il controllo positivo della propria mente e del corpo, coltivando un atteggiamento positivo,
tentando in modo proattivo (senza subirlo) di comprendere il proprio ruolo di caregiver per migliorare le
capacità di caregiving, concentrandosi sugli altri oltre che su sé stessi, sostenendo l'indipendenza
dell'assistito e conducendo relazioni costruttive con altre persone che li circondano”.
Rispetto al Caregiver burden, il Caregiver empowerment indica la versione del ruolo in positivo.
Il Caregiver empowerment descrive un ruolo di caregiver che sta andando “bene”, quindi, dal caregiver
burden ci dobbiamo spostare verso il caregiver empowerment.
È presente un aiuto, rispetto a ciò che è stato definito, nella costruzione dell’obiettivo assistenziale?
Questa definizione di caregiver empowerment aiuta nella definizione dell’obiettivo, che potrebbe essere “il
caregiver non presenterà una situazione di tensione”, tuttavia, sarebbe meglio costruirlo partendo dalla
definizione stessa di caregiver empowerment.
Esempio:
- “il caregiver migliorerà la sua capacità di caregiving (riuscirà a svolgere determinate attività,
specificate)”
- “miglioreranno le relazioni del caregiver con gli altri membri della famiglia”
Nell’obiettivo, si può parlare di:
- Caregiver
- Della relazione tra il caregiver e la persona assistita (due soggetti)
- Della relazione tra il caregiver, la persona assistita e la restante parte della famiglia
Attributi:
- Controllo positivo della mente e del corpo
- Coltivare sentimenti positivi
- Caregiving proattivo: fa riferimento alla risoluzione dei problemi, ovvero, al prendere delle
decisioni che siano proattive.
- Sviluppo progressivo delle capacità/competenze
- Sostegno all’indipendenza del care recipient
- Relazioni costruttive con le persone della rete sociale
Questi attributi, all’interno di un piano assistenziale, possono essere degli indicatori dell’obiettivo.
Antecedenti:
- Caratteristiche individuali del caregiver: è più probabile che i soggetti di genere femminile
vadano incontro alla tensione, perché svantaggiate sotto certi profili
- Condizione di autocontrollo mentale e fisico da parte del caregiver
- Relazione positiva ed efficace con il care recipient
- Caratteristiche personali del care recipient: se la persona assistita ha un carattere ombroso o ha
degli elementi comportamentali difficili (legati alla malattia), il caregiver non è favorito
Gli antecedenti, all’interno di un piano educativo, possono essere i fattori correlati.
Conseguenze:
- Stabilità fisica e mentale;
- Livello di confidenza nello svolgere le attività di caregiving: il livello di confidenza, nel campo
gestuale, è il livello di destrezza/padronanza;
- Crescita personale (decesso): anche le situazioni negative, come il decesso, comportano una
crescita e un cambiamento;
- Miglioramento della qualità delle relazioni fra il care recipient e gli altri membri della famiglia;
- Acquisizione di supporto sociale continuativo;
Le conseguenze, all’interno di un piano educativo, possono essere caratteristiche definenti di una Diagnosi di
promozione della salute oppure gli indicatori di un obiettivo assistenziale.
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Questi concetti relativi al caregiver hanno una grande valenza pratica poiché se non si riesce a mantenere il
benessere del caregiver ciò si ripercuote sull’assistenza, come si vede esaminando le conseguenze della
tensione (esempio: peggioramento della salute).
Se il caregiver non raggiunge una condizione positiva (caregiver empowerment), l’assistito non può essere
mantenuto al domicilio o comunque, se viene mantenuto al domicilio, né lui né il caregiver si trovano in una
situazione di salute.
Riuscire ad intercettare la tensione (possibilmente in maniera preventiva) e riuscire ad intervenire,
spostandoci da questa all’empowerment, ha dei risvolti positivi in ambito assistenziale, dato che dà modo al
caregiver e di conseguenza al care recipient di mantenere la salute, il benessere, e riduce le ospedalizzazioni
e i servizi sanitari (di conseguenza, i costi).
Servizi di respite-care:
I servizi che si occupano di offrire un po’ di “sollievo” al caregiver quando ha un impegno continuativo nel
tempo e nell’arco della giornata sono i servizi di respite-care.
Uno dei ruoli più importanti dell’infermiere (sia nella situazione del ricovero, che in assistenza domiciliare
ed extra-ospedaliera), è individuare il giusto caregiver e coinvolgerlo nell’assistenza, dato che egli mette in
atto, in modo non professionale, molte delle competenze infermieristiche.
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
00061 TENSIONE NEL RUOLO DI CAREGIVER
Dominio 7: Ruoli e relazioni
“Difficoltà nell’adempiere alle responsabilità, alle attese e/o ai comportamenti relativi alla cura di un
familiare o di altre persone significative.”
Sia le caratteristiche definenti che i fattori correlati sono divisi in più parti.
Caratteristiche definenti:
Stato di salute del caregiver: fisica
- Cefalea
- Fatigue (è anche un attributo)
- Variazioni del peso corporeo
- Disturbi gastrointestinali
- Ipertensione (è anche una conseguenza)
Stato di salute del caregiver: emozionale
- Depressione
- Rabbia
- Preoccupazione
- Collera
- Alterazioni del modello di sonno
- Fattori di stress
- Frustrazione
- Impazienza
Stato di salute del caregiver: socioeconomica
- Isolamento sociale
Fattori correlati:
Caregiver: impegno in ruoli in competizione tra loro
Relazione caregiver-persona assistita
Persona assistita
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Il self-management indica l’autogestione della vita con la malattia, anche se le autrici di questa Teoria dicono
che potrebbe essere utilizzata anche per la promozione della salute, e non solo per la prevenzione terziaria
(gestione della vita con la malattia).
Ci sono 3 contenitori:
1.Contesto: i fattori di contesto sono rappresentati dai fattori di rischio e dai fattori protettivi per il self-
management. I fattori racchiusi nella prima riga, sono quelli che condizionano negativamente o
positivamente il self-management e quindi la gestione della malattia cronica, da parte dell’individuo o della
famiglia.
2.Processo: i fattori di processo del self-management rappresentano i processi, ovvero, le modalità con cui si
esprime l’autogestione.
3.Risultati a breve termine e a lungo termine: i fattori di risultato, a breve o a lungo termine, sono gli esiti
determinati dal self-management. Se la persona e la famiglia riescono a gestire la vita con la malattia, le
conseguenze sono:
un comportamento di autogestione specifico per la condizione (breve termine)
una regolazione o una riduzione dei costi dei servizi sanitari (breve termine)
lo stato di salute, la qualità di vita o benessere e il costo della salute (a lungo termine): se la persona
con una malattia cronica è in buona salute, dato che gestisce efficacemente la vita con la malattia, ad
esempio, può svolgere la sua attività lavorativa (ciò diminuisce i costi).
Il sostegno al self-management rappresenta una delle 6 componenti essenziali del Chronic Care Model.
SELF-MANAGEMENT: è una responsabilità della persona e delle famiglie, riferita sia alle malattie
croniche che alla promozione della salute. È un fenomeno complesso e multidimensionale, che riguarda
individui, sottosistemi della famiglia o famiglie in tutte le fasi di sviluppo.
Comprende fattori di contesto, fattori di processo e risultati.
Che cosa significa autogestione?
Significa inserire nel comportamento quotidiano anche i comportamenti per la gestione della vita con la
malattia. Con questo, si intende che è necessario ripetere dei processi attraverso un impiego di tempo e
attraverso la riflessione, assumendosi delle responsabilità, collaborando (eventualmente) con i professionisti
e considerando i propri valori e le proprie convinzioni (individuali e familiari).
Questa definizione è simile alla definizione della diagnosi.
Fattori di contesto
Fattori specifici per la condizione: essi influenzano la quantità, il tipo e la natura dei comportamenti
necessari al self-management. Dipendono dalla complessità della condizione, del trattamento e della
traiettoria (come si evolve, con un miglioramento, un peggioramento, la stabilità o la morte).
I fattori di contesto dipendono anche dai fattori dell’ambiente fisico e sociale e dalle caratteristiche
individuali e familiari.
Esempio: Paziente con scompenso cardiaco.
Fattori specifici per la condizione: come si sta manifestando, in questo specifico paziente, lo scompenso
cardiaco.
A seconda del modo in cui si sta manifestando, ci saranno certi tipi di comportamenti da attuare come, ad
esempio, assumere il diuretico e/o il beta-bloccante. Inoltre, dovranno essere messi in atto alcuni interventi di
regolazione o di prevenzione, come ad esempio, la prevenzione degli edemi o il loro trattamento. Dobbiamo
anche considerare la quantità degli interventi, perché, se la situazione peggiora e compaiono delle
complicanze, la gestione della vita con la malattia diventa difficoltosa.
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A seconda di come si esprime e di come si manifesta lo scompenso cardiaco, in quella determinata persona,
cambia il comportamento di autogestione.
Fattori dell'ambiente fisico e sociale: possono rappresentare delle barriere al self-management (si trovano
nella mappa concettuale). Tra questi abbiamo:
- l’accesso all’assistenza: può essere ostacolato o ridotto;
- il cambio di setting e/o di professionista;
- il trasporto;
- il capitale sociale: tutte quelle risorse che sono presenti nell’ambiente sociale;
Fattori individuali e familiari: ogni persona e ogni famiglia sviluppa l’autogestione secondo le proprie
modalità.
Fattori della dimensione di processo
Influenzano l'impegno e l'impatto sui risultati.
Sono rappresentati dalle conoscenze e dalle convinzioni, dalle capacità di autoregolazione e dalle esperienze
di facilitazione sociale.
Le conoscenze e le convinzioni devono essere coerenti con il comportamento da agire (ovvero, devono
consentire di gestire la vita con la malattia nel modo più appropriato). Inoltre, la persona deve sviluppare
delle capacità di autoregolazione e deve vivere delle esperienze sociali che facilitano l’autogestione.
Tutto ciò sviluppa l’impegno, da parte della persona, relativamente all’attuazione del comportamento di
salute.
All’interno della categoria “conoscenze e convinzioni”, abbiamo:
- Autoefficacia: rappresenta la fiducia che la persona ha nella sua capacità di realizzare il
comportamento (es. sono convinto di poter studiare 3 ore al giorno);
- Attesa di esito/aspettativa sul risultato: pensare che a un certo comportamento corrisponda un certo
risultato (es. se studio 3 ore al giorno, supererò l’esame);
- Congruenza con l’obiettivo
Il paziente deve essere convinto che, ad un certo comportamento, corrisponda un certo risultato e deve essere
convinto di poter realizzare quel comportamento.
Capacità di autoregolazione:
I malati cronici, per gestire la vita con la malattia, devono attuare dei comportamenti di autoregolazione.
Questi sono:
- Riuscire a definire i propri obiettivi di salute;
- Fare automonitoraggio: si tratta del monitoraggio dei vari parametri (raccolta, analisi e
interpretazione del dato). A questo segue lo sviluppo di un pensiero riflessivo;
- Prendere decisioni;
- Pianificare le attività da svolgere;
- Realizzare le attività da svolgere;
- Autovalutarsi;
- Controllarsi emotivamente;
Non considerando il monitoraggio e il controllo emotivo, gli altri elementi ci rimandano al processo di
assistenza infermieristica (definizione degli obiettivi, pianificazione, attuazione e valutazione).
Il processo di assistenza infermieristica ha come soggetto la persona: allora, quando la persona sviluppa le
proprie abilità e le proprie competenze, non è solo soggetto della diagnosi e dell’obiettivo, ma diventa anche
agente degli interventi.
Soprattutto a domicilio, nella categoria degli interventi, avremo quasi esclusivamente degli interventi di
sostegno, di educazione e di counseling, in modo che la persona possa mettere in atto tutti quei
comportamenti, necessari per gestire la vita con la malattia.
Quando si effettua la pianificazione a domicilio, la maggior parte delle cose che fa l’infermiere vengono
svolte dal paziente o dal caregiver, quindi, l’infermiere deve mette il paziente o il caregiver nelle condizioni
di poter svolgere tutte quelle azioni necessarie per l’autogestione.
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Esperienze di facilitazione sociale: si intende che le persone che stanno intorno al paziente/al caregiver/alla
famiglia, realizzano delle influenze sul comportamento di tali soggetti. Queste persone possono fornire
supporto (affettivo, materiale) e possono collaborare.
Quando si parla di influenza, non si intende ciò che effettivamente è nella mente della persona -> è difficile
comprendere esattamente cosa c’è nella mente degli altri e, a volte, facciamo/non facciamo delle cose o
abbiamo delle reazioni rispetto a ciò che pensiamo sia nella mente degli altri, che in realtà non è presente.
A volte, le abilità di self-management vengono gestite in un modo più efficace o meno efficace, perché
alcune cose vengono fatte come risposta alla percezione che si ha, rispetto al punto di vista dell’altro (è una
percezione ma non è la realtà, può essere una percezione corretta o meno).
Quando si parla di collaborazione, si intende la collaborazione tra la persona-famiglia e i professionisti
sanitari. La persona che ha il diritto e il dovere di gestire l’autogestione della vita con la malattia è il paziente
con il suo caregiver e la sua famiglia. Gli altri soggetti entrano in gioco su chiamata della persona/del
caregiver/ della famiglia, quindi, collaborano con essi per la risoluzione di un problema di salute.
Interventi suggeriti nell’ambito della teoria
Come possiamo agire sulla dimensione di contesto e di processo?
Rispetto alla dimensione di contesto, gli interventi sono:
- ridurre il rischio **
- favorire le condizioni che supportano il self-management.
Rispetto alla dimensione di processo, gli interventi sono:
- migliorare le conoscenze e le convinzioni
- sviluppare i comportamenti di auto-regolazione
- favorire le esperienze di facilitazione sociale
In realtà questi non sono interventi, ma sono delle macrocategorie di interventi.
Per migliorare le conoscenze e le convinzioni, tra gli interventi, possiamo avere:
- Informazione (migliora le conoscenze);
- Educazione terapeutica (aiuta la persona a sviluppare i comportamenti di autoregolazione);
- Gruppi di sostegno e gruppi di auto-mutuo-aiuto (per favorire delle esperienze di facilitazione sociale):
la persona, infatti, gestisce meglio la malattia se c’è un sostegno sociale;
Tra gli interventi, abbiamo anche ridurre il rischio **. I rischi sono rappresentati da:
- Complessità del trattamento, della condizione e della traiettoria;
- Accesso all’assistenza
- Trasferimento/dimissione
- Trasporti
- Capitale sociale
- Health Literacy
- Stato di sviluppo
Per ridurre le condizioni di rischio, nella dimensione di contesto, possiamo:
- Educare la persona;
- Metterla in contatto con chi ha già incontrato le stesse problematiche: questo mostra alla persona che
c’è la possibilità di arrivare ad una situazione in cui ciò che sta affrontando sembra meno complesso;
- Sostenere la persona;
- Cercare trattamenti alternativi e più facili per la persona: se l’assistito ci dice che è troppo difficile
svolgere quel tipo di trattamento, questo potrebbe essere modificato. Si potrebbe ridurre il numero di
somministrazioni e/o di compresse oppure si potrebbero fornire degli schemi più dettagliati (tutto ciò
riduce la difficoltà del trattamento).
Lo stesso trattamento, per due persone, può essere diverso (più semplice o più difficile), quindi, se la
persona ci dice che è troppo difficile, sarebbe opportuno attivare un’opera di revisione del trattamento.
Approfondimento
Self-management (Van de Velde et al, 2019), concetto cardine della DI inefficace autogestione della salute.
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Definizione: il self-management è la capacità intrinsecamente controllata (concetto di controllo visto con
Empowerment) di un individuo attivo, responsabile, informato e autonomo (differenza fra autonomia e
indipendenza) di convivere con le conseguenze sanitarie, di ruolo ed emotive della/e sua/e condizione/i
cronica/che in partnership con la sua rete sociale e il/i professionista/i sanitario/i.
Attributi:
La persona deve prendere parte attivamente al processo assistenziale (engagement: coinvolgimento attivo,
persona come protagonista). La persona assistita è il soggetto delle diagnosi infermieristiche, raccoglie i dati
ed effettua gli interventi. L’infermiere aiuta il pz. a svolgere il suo ruolo.
- La persona deve assumersi responsabilità nel processo assistenziale come dovere e diritto: chi gli sta
intorno lo deve mettere in condizione di potersi assumere questa responsabilità
- La persona ha un modo positivo di affrontare le avversità (si riferisce sia alla fase di processo di
adattamento alla malattia che al senso di controllo). Fa molto riferimento molto anche al senso di
controllo [senso di impotenza]. Self-management e empowerment sono collegati: quando non so
gestire la situazione aumenta il senso di impotenza poiché non ho il controllo di ciò che sta
succedendo.
- La persona deve essere informata sulla condizione, la malattia e il trattamento (conoscenze, attributo
cognitivo)
- Il self-management è definito individualmente e implica l'espressione di bisogni, valori e priorità
(importante l’aspetto della percezione, personalizzazione massima, motivazione, che va ripresa,
recuperata e mantenuta alta)
- Il self-management implica la disponibilità a garantire una partnership reciproca con i professionisti
sanitari (i professionisti sono esperti della malattia ma, la persona è esperta della propria vita; equità
di posizione nella relazione). L’infermiere non può capire nulla della persona senza il self
management. Nella partnership siamo in una situazione di equità.
- Il self-management implica apertura al sostegno sociale, disponibilità a farsi aiutare (famiglia, pari,
amici, volontari). Gestire la vita con la malattia è molto impegnative ma se abbiamo le risorse è
giusto utilizzarle.
- Il self-management è un compito che dura tutta la vita
- Il self-management presuppone abilità personali che somigliano molto ai processi di autoregolazione
della teoria (abilità di autoregolazione): problem-solving, decision-making, uso delle risorse,
partnership con i sanitari, definizione degli obiettivi, azione e valutazione del raggiungimento degli
obiettivi
- Il self-management comprende aspetti sanitari (tra i quali auto-monitoraggio, gestione dei sintomi,
uso di apparecchiature), di ruolo ed emotivi.
Antecedenti (o fondamenta):
- Auto efficacia
- Health literacy (capacità di reperire le informazioni sanitarie, comprenderle ed utilizzarle per la
salute)
- Stato di salute percepito, supporto sociale, convinzioni sulla salute, motivazione e coping
Conseguenze:
- Miglioramento dei risultati di salute (non solo dati oggettivi, ma anche come condizione percepita;
ascoltare il proprio sesto senso conoscendo la malattia e il paziente),
- Riduzione della mortalità
- Miglioramento delle capacità funzionali
- Miglioramento della qualità della vita
- Riduzione dei costi sanitari
- Miglioramento dell'esperienza personale
- Migliore partecipazione sociale
- Miglioramento dei risultati funzionali
- Miglioramento dei comportamenti sanitari
- Miglioramento dell'autoefficacia
- Aderenza al trattamento
- Riduzione nell’uso delle risorse sanitarie
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Diagnosi Infermieristiche
Indicatori e risultati:
- Autogestione della malattia: indicare la
cosa specifica che riguarda la gestione
della malattia (es. somministrazione del
beta bloccante, pianificazione dieta
iposodica, pianificazione dell’attività
fisica)
- Controllo sintomi
- Aderenza (come indicatore): assume i
farmaci secondo prescrizione, segue in
maniera adeguata la dieta prescritta,
sostituisce medicazione secondo la
procedura
- Partecipazione alle decisioni o capacità
decisionale del pz
- Conoscenze
- Convinzioni
Interventi:
- Condivisione degli obbiettivi (ha come protagonista il malato cronico)
- Educazione
- Follow-up telefonico
- Guida al sistema sanitario (in modo che si orienti nel sistema)
- Sostegno in relazione alle risorse economiche
- Sostegno emozionale
- Minimal advice (primo semestre)
• 00080 Gestione della salute inefficace della famiglia (riguarda il malato cronico visto nel contesto della
sua famiglia)
• 00162 Disponibilità a migliorare la gestione della salute (diagnosi di promozione della salute, lavoriamo
sul potenziale di miglioramento)
Riconoscere le situazioni che riguardano il caregiver e l’inefficacia dell’attuazione del self management e la
capacità di pianificare avendo indicatori e interventi da scegliere —> per esame scritto
Laddove ci fosse come intervento educazione, tra gli indicatori avrò gli obiettivi specifici di apprendimento:
cognitivi, gestuali, affettivi.
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Nell’educazione terapeutica: contenuti specifici, il metodo specifico (colloquio, casi addestramento),
strumenti, modalità di valutazione (teach-back, casi e micro-casi, e osservazione per addestramento)
• 00193 Auto-negligenza
Diagnosi collegata alla non aderenza. Persona che si prende cura di sé stessa in un modo che per gli altri non
risulta accettabile (es. cambia le lenzuola due volte all’anno)
Obiettivi e indicatori
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- Stato della cura di sé
- Benessere
- Stato di salute
- Aderenza
- Benessere e sicurezza
ambientale (igiene ambientale)
- Senso di controllo (collegato ai
fattori correlati)
- Paura (collegamento ai fattori
correlati)
Interventi
- Assistenza nella cura di sé
- Miglioramento
dell’autoefficacia (a volte le
persone non fanno le cose
perché pensano di non farcela,
pazienti con dipendenze e con
salute mentale compromessa:
situazioni che si rinforzano
reciprocamente)
- Gestione dell’ambiente
- Riduzione dell’ansia
Transitional care
O “cure di transizione” è il processo attraverso cui la persona assistita passa da un setting assistenziale ad un
altro (e da un’equipe assistenziale ad un'altra; qualunque passaggio nel suo percorso di salute e malattia
definiscono le sue cure di transizione). Va garantita la continuità assistenziale e minimizzati gli effetti
negativi che potrebbero riversarsi sulla persona.
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Attributi (elementi che definiscono il concetto)
Legati al pz/assistenza centrata sulla persona
- Educazione sanitaria/terapeutica/alla salute: formazione ed educazione garantita al pz. e alla sua famiglia
- Engagement/coinvolgimento: sia della persona, che della famiglia
- Empowerment: sviluppo della capacità di controllare il percorso di vita nella malattia (legato a
educazione e coinvolgimento)
- Comunicazione con persona e famiglia
- Identificazione precoce dei problemi (sia della persona, che del contesto familiare)
- Completezza e accettabilità del programma assistenziale (da parte del pz. e della famiglia)
Riferiti al contesto di ricovero
- Care management: gestione della cura, presenza di un soggetto che “tenga sott’occhio” il percorso del
pz. all’interno del servizio sanitario
- Coordinamento e collaborazione tra i membri del team (se gli operatori sono presenti è probabile che il
Passaggio avvenga secondo modalità efficaci)
- Approccio multidisciplinare basato sull’assistenza per team/gruppo
- Obiettivi realistici espressi e condivisi: tutti li conoscono, sono trasparenti
- Personalizzazione e individualizzazione del programma assistenziale
Legati all’assistenza comunitaria/extra-ospedaliera
- Assistenza domiciliare
- Follow up telefonico
- Formazione e addestramento e interventi dei pz al di fuori dell’ospedale (domicilio e casa della salute)
- Controllo e gestione dei sintomi
- Attività di supporto: counseling, percorso riabilitativo e farmaci
Conseguenze (outcome/risultati)
Conseguenze legate al pz
- Promozione self-management
- Promozione self-care
- Indipendenza e autonomia
- Miglioramento e aumento delle abilità funzionali, qualità di vita, stato di salute e soddisfazione del pz
Quando il passaggio da un setting è efficace si migliora la qualità di vita, si mantiene lo stato di salute,
migliora la cura di sé, il pz è soddisfatto, migliora l’autonomia, migliora il self management e il self care.
Conseguenze legate alla famiglia /care giver
- Continuità ed efficienza della cura (efficacia= legata al raggiungimento obbiettivo, efficienza =uso
appropriato delle risorse)
- Gestione e continuità
- Informazioni corrette e aggiornate (importante il passaggio delle informazioni, garantisce la continuità
assistenziale)
Conseguenze ospedaliere
- Riduzione delle ri-ospedalizzazioni
- Riduzione dei tempi di permanenza (utilizzata per preparare il pz alla dimissione)
- Rapporto costo/efficacia
- Garanzia di un’assistenza integrata, sicura (non provocare danni al pz) e efficace (che raggiunga gli
obbiettivi)
Attributi
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- Assistenza che si sviluppa nel tempo, senza interruzioni
- Relazione tra un pz. e un team assistenziale
- Passaggio di informazioni
- Coordinamento
- Tenere conto del fatto che i bisogni del pz. cambiano (dinamismo dell’assistenza nelle fasi diversi
della vita
Antecedenti
- Essere affetti da una malattia cronica
- Esperienza con la gestione della malattia
- Coordinamento scarso nel sistema sanitario
- Assistenza medica non sufficiente a garantire determinati aspetti
Conseguenze
- Riduzione delle ammissioni in ospedale
- Riduzione dei costi
- Riduzione degli accesi al PS
- Aumento della qualità di vita
- Aumento della soddisfazione
- Vivere la vita in buona salute (anche in condizione di malattia)
Dimissione
Passaggio da due setting assistenziali (non solo dall’ospedale al territorio!), coinvolge anche il trasferimento.
Esistono cinque tipi di dimissione:
Tempestiva: Fatta nel momento corretto in base a criteri specifici, misurata sulla degenza media
per quel problema di salute (es. colectomia senza stomia: durata media 5 gg se il pz. dopo 5 gg
viene dimesso è tempestiva, non è affidabile perché standardizza i pz.)
Precoce: avviene prima della durata media della degenza, prima di quando dovrebbe avvenire (può
in larga misura provocare vantaggi: riduzione di un ambiente di rischio infettivo, ritorno al
domicilio; può causare svantaggio se i problemi non si sono risolti)
Del fine settimana o in giornate atipiche (es. Festività): pericolosa, periodo in cui potenzialmente
la persona non trova sistemi di supporto all’esterno
Ritardata: supera la degenza media e la necessità del pz., può essere causa di delirium in anziani e
bambini, ed è possibile che si sviluppino infezioni correlata all’assistenza (circa 30% per motivi
non clinici, setting successivo non pronto, assenza di caregiver disponibile)
Difficile (2 – 3%, soprattutto nei pz con ictus e frattura di femore): il pz. torna a casa con una
situazione diversa da quella precedente il ricovero e non tornerà più come prima (ad esempio
potrebbe non recuperare più le abilità); spesso vi è bisogno di cure intermedie (servizi a ponte che
permettono agli ambienti di prepararsi), va affidata a personale competente, non necessariamente è
protetta (quando non ci sono servizi, quando non si riconosce in tempo una dimissione difficile,
quando il personale non è stato in grado di…)
Protetta: prevede l’accompagnamento
Criteri di dimissibilità:
- La tipologia di cure erogate non è più necessaria/adeguata ai bisogni della persona (es. Non vi è più
necessità di terapia intensiva, o in questo momento ho bisogno di una cura riabilitativa dopo la TI)
- La decisione è stata assunta in modo multidisciplinare (per chiunque ruoti attorno al pz., presa da
ciascun componente a secondo del proprio specifico professionale, che sia medico, infermiere,
fisioterapista, ecc..) e sono state valutate le necessità della persona dopo la dimissione (non pianifico
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la situazione attuale, ma ipotizzo che vi saranno determinati bisogni e necessità una volta cambiato il
setting assistenziale)
- Esiste un servizio/domicilio verso cui la persona possa essere dimessa in modo sicuro e tale servizio
è informato/disponibile alla presa in carico (deve sentirsi pronto, non è un fattore che si può imporre,
ma è bene consigliarlo)
- La persona/famiglia è stata informata (informazione precisa, ora, gg, destinazione, modalità, …) e
possiede le competenze necessarie per far fronte alla dimissione
- La persona/famiglia si sente pronta ad affrontare il passaggio (RHDS), possiamo misurarlo ma
potrebbe non essere veritiero, l’essere pronti è una dimensione soggettiva, anche un caregiver
educato e che risponde bene al teach-back, show-me e micro-caso non è detto che si senta pronto
(potremmo poi sviluppare una tensione nel ruolo di caregiver)
Dimissione pianificata:
1. Comincia prima che il pz arrivi nel setting, quando possibile è bene essere a conoscenza della
situazione del pz. pre-ammissione (com’era la sua situazione prima, il setting, chi si occupa di lui,
come veniva fatto.
Es. Anziano con polmonite con letto articolato: legge 104, caregiver formato, …
Devo ricostruire ciò che vi era prima
2. Identificazione del motivo del ricovero (devo sapere esattamente cosa ha portato il pz ad essere
accolto al fine di poter valutare quando verranno risolti i bisogni di quel setting)
3. Accertamento delle persone per individuare i soggetti a rischio: non viene fatta per tutti, una volta
selezionati i soggetti a rischio effettuerò la dimissione pianificata, per gli altri non c’è bisogno, per
saperlo deve esserci una fase valutativa per identificarla
4. Le prime 3 fasi sono per tutti, si procede poi a renderla
5. Personalizzata: deve coinvolgere la persona e la famiglia
6. Realizzazione del piano non appena le condizioni della persona lo consentono
7. Monitoraggio, anche per aumentare la sicurezza percepita: una volta che un pz. viene dimesso deve
esserci un monitoraggio da parte di chi dimette di ciò che succederà successivamente, anche
telefonicamente, la persona/famiglia deve sapere che vi è comunicazione tra i due setting
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Indice di BRASS (Blaylock Risk Assessment Screening Score Index): valutazione degli anziani (da più di 65
anni), non è sempre sensibile per le persone con meno di 65 anni, suddivide le persone in tre classi di rischio
(immagine)
Per ogni item viene attribuito il punteggio che permette di suddividere le persone in
- Basso rischio: soggetti che probabilmente non avranno problemi dopo la dimissione, non richiedono una
dimissione pianificata
- Medio rischio: è possibile che si siano problemi, la dimissione deve essere pianificata e deve sussistere
l’elaborazione di un piano
- Alto rischio: possibili soggetti che non possono tornare al domicilio ma devono recarsi presso una struttura
di cure intermedie, riabilitative o una struttura dove verranno accolti permanentemente
La scala non è precisissima: dovrebbe misurare gli indicatori del pz con il caregiver, sottosistema familiare
(non c’è necessità di metterlo nel piano di dimissione)
Operatori
dedicati:
- Discharge planner (DPN: discharge planner nurse) pianificatore della dimissione non
necessariamente è un infermiere, può far riferimento a tutti i membri dell’equipe. Il DPN (discharge
planner nurse) opera sviluppando il processo assistenziale in modo dettagliato definendo uno
scenario con i possibili bisogni assistenziali del nuovo setting: pianificazione assistenziale del setting
che deve raggiungere un accordo con il pz. e la famiglia e solo insieme viene poi realizzato il piano
di dimissione (che solitamente prevede la dimissione al domicilio)
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- Liaison nurse: infermiere/a del territorio che prende il pz. in ospedale, ha competenze extra-
ospedaliere ma è legittimato ad andare in ospedale per conoscere la persona
- Case manager: colui che gestisce il caso a prescindere che il pz si sposti in più setting
- Coordinating nurse
- Continuity manager: non è solo infermieristico, è appoggiato più verso chi dimette che chi
accoglie, non esiste un'unica figura nei setting.
Soprattutto Dove il SSN non è pubblico la presenza di Discharge planner è indice di “eccellenza” in
quanto migliora la qualità dell’assistenza
Lettera di dimissione
È uno strumento importante, garantisce la continuità delle informazioni (la lettera di dimissione
infermieristica viene integrata a quella medica, o almeno dovrebbe), deve essere caratterizzata da:
- Linguaggio condiviso: la lettera deve essere utile a chi la deve utilizzare, serve e deve essere letta dai
colleghi del nuovo setting e dai pz con i caregiver (si può scegliere di fare due lettere)
Il linguaggio deve essere condiviso: i setting hanno spesso un linguaggio “autoctono”, non sempre vi sono
termini scientifici, soprattutto quando i modelli didattici non sono gli stessi e si esprime il fenomeno in
termini diversi
- Situazione precedente: la descrizione della situazione all’ingresso (anche da domicilio a RSA)
- Situazione attuale: si descrive la situazione in cui si trova il paziente al momento della dimissione
- Situazione futura: individuazione di quelli che probabilmente saranno i bisogni assistenziali della persona
nel nuovo setting
- Interventi educativi, obbiettivi raggiunti, competenze sviluppate e quelle non ancora sviluppate (problema
del transfert: non è detto che ciò che è stato appresso sia applicabile al nuovo setting): è importante per non
perdere tempo e “disaffezionare” il pz. che non si vede applicati interventi che gli sarebbero utili
Esercitazione caso
Uomo di 70 anni, entra il 17 ottobre 2021 per scompenso cardiaco, diabete ed insufficienza renale cronica.
Orientato, continente a feci e urine, deambula con l'ausilio del rollator e l'aiuto dell'Operatore di supporto.
Necessita inoltre di aiuto per igiene, eliminazione, alimentazione. Presenta un deficit uditivo bilaterale; vive
con la moglie. In trattamento con acido acetilsalicilico, metoprololo (βbloccante), ramipril (antiipertensivo).
Il 29 ottobre viene compilata la BRASS. Punteggio… .
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Obbiettivi
- Identificare il tipo di dimissione:
- identificare il rischio compilando la scala BRASS
- identificare gli aspetti da migliorare/scoprire gli errori
Il 31 ottobre la moglie viene informata che nel pomeriggio il marito sarà dimesso, non appena la lettera di
dimissione sarà pronta; è necessario che la moglie provveda ad attivare il servizio Infermieristico per la
medicazione delle lesioni ai piedi (piede diabetico). Per sicurezza l'infermiere mostra alla moglie come si
effettua la medicazione, nel caso in cui sia sporca. Viene confermata la terapia precedente ed introdotta
insulina secondo schema fornito in base ai valori della glicemia. Viene fornito un opuscolo con immagini
fotografiche sulla rilevazione della glicemia e l'effettuazione dell'iniezione.
Scompenso cardiaco
L’insufficienza cardiaca è l’esito di alcune condizioni tra cui, ad esempio, l’ipertensione, se non sviluppo le
patologie che mi conducono alla patologia o la gestisco nel migliore dei modi riduco l’evenienza che si
manifesta. Se l’insufficienza viene gestita male e non si è aderenti, questa può evolvere in scompenso
cardiaco congestizio che a sua volta, se non si è aderenti, può dare complicanze (es. edema polmonare acuto)
Dobbiamo focalizzare la traiettoria della malattia: a che punto siamo e dove stiamo andando - le complicanze
e le cose che il pz deve sapere sono diverse in base alla traiettoria (* teoria del self-management)
I PC sono uno un problema dell’altro: insufficienza cardiaca scompenso cardiaco congestizio edema
polmonare acuto
Vanno osservati:
- Dolore toracico: quando compare e se è in relazione a qualche attività/sforzo
- Palpitazioni (verificare la presenza di aritmie)
- Astenia: devo indagare se peggiora durante le attività quotidiane e quali sono le attività che la peggiorano,
è importante determinarne le caratteristiche
- Edemi, periferici (piedi, caviglie, tutta la gamba, sacro se mantiene un decubito supino) fino all’anasarca
(aumento di peso, presenza di edema diffuso): il monitoraggio del peso è un indicatore per capire se il pz. sta
trattenendo liquidi, a volte non riesco ad individuare gli edemi se distribuiti
- Dispnea: da sforzo, ortopnea (compare da seduti, si risolve da supino), respiro di Cheyne-Stokes (apnee di
lunga durata-respirazione profonda poi sempre più superficiale- apnea), parossistica notturna (avviene in
modo improvviso e intenso durante la notte); è necessario valutare la dispnea, se insorge a riposo (è più
preoccupante) o per uno sforzo lieve come per le attività di vita quotidiana, va chiesto al pz. quale tipo di
attività/sforzo gli provoca dispnea
- Edema Polmonare Acuto
- Tosse: individuare l’origine della tosse; se è il pz. è un ex-fumatore può essere causata da uno stato di
irritazione cronica delle vie aeree
- Oliguria (riduzione della quantità di urine), va valutato il bilancio idrico: la stabilisco in base a quanto
introduco
- Nicturia: i liquidi trattenuti vengono portati in circolo e vi è un aumento della produzione di urina e
maggior necessità di urinare, ostacola il risposo notturno
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- Confusione fasi avanzate
- Disorientamento
- Disturbi del sonno (legati principalmente a nicturia e dispnea parossistica notturna)
- Anoressia, nausea, sazietà, dolore addominale (Scompenso dx)
- Turgore giugulari
- Cianosi
- Ascite
- Cachessia cardiaca
Negli stadi più avanzati il lavoro del caregiver diventa più impegnativo, il pz. cardiopatico è un pz. con
decorso imprevedibile e i caregiver spesso ne sono a conoscenza, sanno che c’è un momento di apparente
benessere che può essere seguito da un possibile “crollo”.
Va inserita l’assistenza al caregiver in pianificazione.
I farmaci che un pz. affetto da scompenso cardiaco assumerà potrebbero essere: (importante monitorare
effetti terapeutici e non terapeutici)
- ACE inibitori
- Sartani
- Diuretici Tiazidici
- Metolazone
- Diuretici dell’ansa
- Diuretici risparmiatori di potassio
- Betabloccanti
- Digitale
- Farmaci inotropi
- Vasodilatatori
- Warfarin (coumadin)
- Aspirina a basso dosaggio (acido acetil salicilico)
Nella categoria dei Problemi Collaborativi, potrebbero svilupparsi complicanze a causa dell’assunzione:
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- Diuretici dell’ansa – furosemide: può provocare disidratazione, ipovolemia, iposodiemia, ipocloremia,
ipopotassiemia, aumento del colesterolo, dei trigliceridi, della creatinina nel sangue, ipotensione
Ricorda: cosa succede quando si abbassa il potassio, il sodio ecc?
- Digitale: molto utilizzato nei cardiopatici, può dare vertigini, disturbi visivi, aritmie, nausea, vomito,
diarrea; è un farmaco che deve essere dosato, se in quantità eccessive può dare complicanze fatali (come le
aritmie) e gastrointestinali, se un pz ha la nausea o vomita non mi preoccupo tanto di cosa ha mangiato,
piuttosto del dosaggio che ha assunto in quanto potrebbe essere una manifestazione precoce di intossicazione
- Nitroprussiato (va maneggiato con cura)
Non è sicuro che le manifestazioni siano tutte presenti, che ci siano tutti gli indicatori e che siano necessari
tutti gli interventi, dipende dal singolo pz.
00092 (00298) Intolleranza all’attività (eliminata dalla tassonomia attuale e reinserita con un altro
codice)
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- Caratteristiche definenti: si manifesta con astenia, dispnea, fatigue, anomalie della frequenza cardiaca,
malessere, modificazioni elettrocardiografiche, anomalie della pressione arteriosa (in risposta all’attività)
In risposta ad una attività più o meno intensa (meno è intensa più è grave) compaiono queste cose
- Fattori correlati: si può manifestare quando vi è decondizionamento fisico, immobilità, inesperienza con
l’attività, squilibrio fra apporto e richiesta di ossigeno, stile di vita sedentario
- Popolazioni ad altro rischio: storia di intolleranza all’attività
- Condizioni associate: condizione respiratoria, problemi circolatori
Risultati NOC
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