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Nicolo Machiavelli

Vita
Niccolò Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio 1469. La sua famiglia appartiene al ceto fiorentino ed è da
generazioni coinvolta nella politica cittadina. Niccolò inizia gli studi di grammatica nel 1476: studierà
successivamente pure abaco (matematica).
Il giovane machiavelli cresce in un ambiente colto. Dopo la cacciata di Piero de Medici (1594) e l’ascesa del
frate domenicano Girolamo Savonarola, machiavelli si avvicina a quella parte dell’aristocrazia fiorentina che
contribuì alla caduta del governo “popolare” guidato dal frate.
Probabilmente per il suo sostegno all’aristocrazia contraria al frate Machiavelli riceve un prestigioso
incarico politico: è nominato segretario della seconda cancelleria fiorentina. Inizia così un periodo di fitti
impegni diplomatici di partecipazione politica. Va in missione in Francia e nel 1501 tornato a Firenze sposa
Marietta Corsini. Nel 1502 viene inviato in missione a Pistoia, partecipa all’ambasciata presso Cesare
Borgia, duca di Romagna, di cui traccerà un profilo memorabile nel Principe.
Nel gennaio del 1503 è in una nuova missione presso Cesare Borgia, sarà prima inviato a Roma poi in
Francia., con cui consoliderà l’amicizia con Soderini.
Inizia la sua attività diplomatica al seguito di Papa Giulio II nella campagna contro Perugia e Bologna. Nel
1507 viene inviato in Tirolo presso l’imperatore Massimiliano I . Tornato a Firenze continua a occuparsi
delle milizie, proprio nel periodo in cui la repubblica fiorentina si trova in una situazione difficile.
Nell’agosto 1512 dopo il cardinale Giovanni de Medici, entra in Toscana, sbaraglia le fanterie fiorentine e i
Medici riprendono il potere. Machiavelli viene licenziato dalla cancelleria e condannato al confino per
un anno. Verrà poi arrestato come sospetto di congiura contro il cardinale Giovanni de Medici.
Viene liberato un paio di settimane dopo e viene confinato nella sua villa fuori Firenze. Si dedica nel
fraattempo alla scrittura, e mette mano al Principe. L’anno successivo torna a Firenze con la speranza di
entrare al servizio del fratello del papa: il tentativo non va a buon fine e Machiavelli viene espressamente
allontanato.
La morte nel 1519 di Lorenzo de Medici, dedicatario del Principe dovette contribuire ad attenuare l’ostilità
nei confronti di Machiavelli. Viene inviato a Lucca in Romagna dove stringe amicizia con Francesco
Guicciardini. Nel frattempo, a Firenze viene stroncata una congiura contro Giulio de Medici, che verrà poi
rieletto due anni dopo papa come il nome di Clemente VII. A lui nel 1525 Machiavelli presenterà le Istorie
Fiorentine. Seguono una serie di incarichi, è inviato in Romagna, ancora presso Guicciardini, per
organizzare le milizie papali, è poi nominato preveditore e cancelliere dei Procuratore delle Mura di Firenze.
Gli eventi, in seguito, precipitano: nel 1527 Roma viene saccheggiata e il 17 maggio cadono i Medici a
Firenze. Niccolò si ammala e il 21 giugno muore.
Pensiero
Machiavelli è uno dei maggiori pensatori politici dell’età moderna.
Tra il 1498 e il 1512 Niccolò entra contatto con le dinamiche del potere. Contemporaneamente egli fonda
anche la propria esperienza politica, frequentando i principali personaggi dell’epoca.
Machiavelli ha sempre articolato il proprio ragionamento intrecciando gli esempi offerti dalla tradizione
storiografica classica con l’esperienza politica contemporanea. Machiavelli introduce una significativa
novità: egli non separa il piano della narrazione dei singoli eventi da quello del giudizio storico, ma intreccia
i due livelli facendo sì che l’esposizione dei casi particolari sia costantemente collegata a una riflessione
teorica sull’agire umano nella storia. Il principio ispiratore di questo originale approccio si fonda sul
presupposto del valore propedeutico della storia: essa è allo stesso tempo una miniera di “prove” utili al
ragionamento e un deposito di saggezza dal quale ricavare indicazioni.
Nel pensiero di machiavelli l’idea che gli esempi passati costituiscano utili modelli di riferimento per il
presente si fonda sul presupposto che il comportamento umano è governato da immutabili passioni e che
si possano registrare delle costanti che attraversano la storia e riaffiorano. (historia magistra vitae est)>
questa concezione Ciceroniana viene aggiornata alla luce di una concezione naturalistica dell’uomo,
secondo la quale le azioni sono originate da impulsi istintivi. Lo Stato stesso è sentito come un organismo
naturale fondato su leggi e principi “biologici” governati dalla natura.
Da questo ragionamento discende in primo luogo l’idea che dallo studio dei casi particolari sia possibile
dedurre regole generali su cui fondare la moderna “scienza della politica”. In secondo luogo, di rendere
autonoma la politica da considerazioni di ordine etico-religioso: colui che si appresa a fondare un’innovata
teorica politica deve avere uno sguardo disincantato sulla realtà e attenersi fedelmente al piano
dell’esperienza. Per la prima volta l’agire politico è analizzato e descritto non per come dovrebbe essere ma
per come è realmente secondo il principio della “verità effettuale”.
Proprio alle leggi lo scrittore attribuisce un ruolo fondamentale nel garantire il benessere di un popolo. Per
Machiavelli non esiste una forma di governo che in sé possa dirsi perfetta, ma esistono buone leggi che
costituiscono il fondamento positivo di uno Stato.
L’importanza assegnata alle leggi si spiega anche alla luce di una visione pessimistica dell’uomo, il quale è
responsabile di una progressiva e inevitabile corruzione dei costumi. Il ruolo dello Stato, e delle leggi stesse,
è proprio quello di contrastare il declino dei costumi, adattandosi continuamente alle mutate condizioni civili
e orientando la società verso i propri principi fondanti.
L’approccio
Nella novità del suo stile si fondono rigore dimostrativo e approccio pragmatico alle questioni trattate.
Proprio l’oscillazione costante tra questi due poli innerva in modo problematico la scrittura machiavelliana:
in un’opera come il Principe, al confine tra trattato e saggio, l’impegno intellettuale di definire i caratteri, il
metodo e il linguaggio della “scienza della politica” si legano strettamente ad un fine pratico. In altri termini,
Machiavelli non è asettico osservatore e specialista “puro”, ma inserisce gli esiti del suo lavoro intellettuale
nell’orizzonta contemporaneo con l’ambizione di offrire prospettive e soluzioni innovative. La
valorizzazione dell’esperienza sembrerebbe infatti implicare l’assunzione del metodo induttivo, che da un
insieme di casi particolari e definiti perviene a conclusioni di carattere generale. Di qui la centralità che
assume nel suo metodo il ricorso all’esempio, da cui la validità della tesi non può in alcun modo
prescindere. L’analisi degli esempi consente infatti allo scrittore di mostrare come la regola non si
sovrapponga dall’esterno alla realtà, ma sia interna e tutt’uno con essa.

Metodo e Stile
Sul piano dello stile e del linguaggio questa tensione continua fra intento teorico e sfida pragmatica si
traduce in un’argomentazione serrata, svolta seguendo la rigida concatenazione del procedere logico. La
precisione dell’analisi è garantita anche dall’esattezza del linguaggio, che ricorre spesso a termini attinti
dall’ambito scientifico anche se non mancano scelte linguistiche di tipo “popolare”
Machiavelli è autore anche di molti componimenti di tipo letterario. Compone infatti sia i due Decennali,
cronache in terzine dedicate alla riflessione politica sugli eventi contemporanei, sia i Capitoli, pagine di
ispirazione moralistica. Intorno al 1517 scrive il poemetto autobiografico-allegorico. L’asino, mentre dal
1518 è la novella di Belfagor arcidiavolo. Più avanti si dedica alla scrittura teatrale, scrive uno dei
capolavori del teatro italiano: La Mandragola. L’aspetto comico-satirico, fortemente presente, non è mai
del tutto separato dall’intento morale. Dopo la mandragola scrive Cinzia, ispirata alla Casina di Plauto, e
successivamente un posto particolare tocca alle Rime, a lungo accompagnate da un giudizio critica
indistintamente negativo.
Il Principe
In una delle prime testimonianze di lettura del testo machiavelliano contenuta in una lettera di Niccolò
Guicciardini ci dà un’indicazione sul titolo con il quale l’opera fu conosciuta dai primi lettori: il De
Principatibus. Oggi l’opera è nota con il titolo della prima stampa, ossia il Principe.
SAGGIO O TRATTATO?
All’interno del principe è possibile riscontrare allo stesso tempo caratteristiche peculiari del saggio e del
trattato.
La tensione argomentativa di tipo scientifico, razionale, fondata sull’analisi del dato oggettivo, è
caratteristica del saggio, accompagnata quindi dall’ intento di persuasione del lettore. Nel trattato prevale
invece l’intento espositivo, centrato sul complesso di una dottrina e organicamente strutturato.
IL CONTENUTO
Le strategie politiche e militari per raggiungere, consolidare ed estendere il potere nella realtà politica
contemporanea, di cui i nuclei più significativi sono:
L’autonomia della politica: il cuore metodologico del Principe è quello di guardare alla realtà politica e
concreta e non a quella ideale. Questa impostazione porta Machiavelli a ragionare in un modo del tutto
nuovo rispetto ai suoi predecessori. Per la prima volta la politica diviene una categoria a sé. In questa
visione laica della politica risiedono la vera originalità di Machiavelli e l’aspetto di maggiore modernità del
suo pensiero, libero dall’influenza della teologia cristiana e tutto rivolto alla vicenda terrena.
Le forme del potere e la critica alla politica contemporanea: Nel Principe è presente quella riflessione
sulle forme del potere che caratterizza molti altri scritti di Machiavelli, essendo anche uno dei temi politici
più trattati del periodo. La forma politica del principato viene analizzata in tutte le sue componenti e
ideologie: ereditario, misto, ecclesiastico, fondato in modo nuovo. Sfruttando esempi antichi e recenti
Machiavelli fornisce una sorta di mappa politica dell’Italia del tempo. Alla base del Principe vi è infatti
anche una forte critica proprio ai principi italiani contemporanei, che, nella loro litigiosità e inettitudine,
avevano favorito il dominio estero in Italia.
Le armi mercenarie: Tra le debolezze individuate da Machiavelli quella militare è la più evidente. Non a
caso egli colloca la trattazione delle tipologie degli eserciti al centro del Principe. Machiavelli accusa i
principi italiani di essersi affidati alle armi mercenarie e di non aver sviluppato eserciti propri. Poiché
l’autonomia delle armi e un buon esercito sono il presupposto per una buona gestione del potere, si
capisce come la critica al sistema difensivo riveli una più profonda crisi del sistema politico. Non va
dimenticato che il Principe viene scritto in un momento in cui l’arte della guerra ha appena avuto un balzo
tecnologico, con l’utilizzo delle armi da fuoco, che verrà sottovalutata da Machiavelli.
Il principe nuovo: i Gran parte del Principe è dedicata a individuare e descrivere le caratteristiche che deve
avere il principe nuovo, ossia colui che da privato cittadino diviene principe. Si ricordi che il libro era
pensato per un destinatario, come il dignitario di casa Medici (Giuliano o Lorenzino) per cui si andava
prospettando un futuro principe. Il profilo tracciato da Machiavelli ha costituito per secoli il principale atto
d’accusa alle idee del Segretario fiorentino, perché nell’opera il principe viene sottratto a qualsiasi obbligo
morale e indirizzato ad agire in vista dell’efficacia politica dei comportamenti di volta in volta adottati e
della stabilità dello Stato. Machiavelli imposta una nuova gerarchia dei comportamenti non più in
relazione alla morale ama alla riuscita del progetto. (“il fine giustifica i mezzi) . La percezione del male e la
sua distinzione dal bene non vengono affatto messe in discussione, e un comportamento riprovevole e
condannabile sotto il profilo etico resta tale se, appunto, lo si valuta secondo il metro dell’etica. Se però
questo comportamento si cala sul terreno politico e risulta la scelta più idonea a garantire l’efficacia
dell’azione del principe, esso andrà rivalutato secondo i parametri della politica, diversi da quelli della
morale.
Nel suo sforzo di delineare il nuovo modello di governante, Machiavelli non manca di indicare in Cesare
Borgia, l’esempio ideale di principe.
Virtù e fortuna: Il tema del rapporto tra virtù e fortuna, di lunga tradizione, è centrale nel Principe. La
fortuna è, per Machiavelli, quella componente esterna, indeterminata, enigmatica e imprvedibile che
interviene nelle vicende umane. Di ogni azione, dunque, il principe può determinare almeno una parte per
dominare al massimo gli eventi. Per questo deve sviluppare la virtù, che l’autore intende non come qualità
morale ma come capacità di esercizio del poetere, politico e militare. Solo così potrà sfruttare le occasioni
che la fortuna determina, e contrastarle se sono negative.
FONTI E MODELLI
Questa fusione tra politica antica e storia recente emerge con chiarezza nell’opera: politici contemporanei
si affiancano ai loro predecessori. Osservando il testo più da vicino si vede però come il baricentro
dell’opera non sia il passato ma il presente. Anche numericamente gli esempi ricavati dalla storia
contemporanea sono più numerosi di quelli attinti dai classici. Ciò non toglie che il tessuto di riferimenti
storici sia qualcosa di determinante nella fisionomia dell’opera.
Alle spalle, inoltre, Il principe ha una ricca trattatistica medioevale e umanistica, relativa all’arte del
governare: si tratta di un genere che designato sotto l’etichetta di speculum principis “specchio del
principe” mira a fornire un modello di comportamento ideale per chi è al governo, facendolo discendere da
presupposti etici e religiosi.

TESTI
T.1 La composizione del Principe: la lettera a Francesco Vettori del 10 Dicembre 1513: La lettera che
Niccolò Machiavelli scrive i 10 Dicembre è una delle più note della letteratura italiana. La lettera è
indirizzata all’amico Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino a Roma presso il Papa. L’amico aveva
invitato Machiavelli a raggiungerlo a Roma, ma nella risposta l’autore declina l’invito e si dilunga per
rendere “pari grazie” a descrivere la sua giornata. Chiuso nel suo studio, rivela all’amico, ha scritto un
opuscolo riguardo ai principati, è la testimonianza della composizione del Principe. Il testo si chiude in
modo amaro: nelle ultime righe affiora infatti quel disagio per l’allontanamento dalla vita politica che
Machiavelli aveva tenuto nascosto sotto la superficie ironica di gran parte della lettera.
T.2 I tipi di principato e come acquisirli: Dopo la dedica a Lorenzo de Medici il giovane, Il Principe si
apre con un capitolo di poche righe. Si tratta di un testo fondamentale perché in esso sono impostati i temi
portanti del libro: la natura dei Principati e i modi per conquistarli.
Lingua: Il primo capitolo del Principe può offrire anche un’occasione per mostrare alcune caratteristiche
grammaticali del fiorentino utilizzato da Machiavelli. Una lingua che è in gran parte quella parlata nella
Firenze del tempo, con particolare accentuazione per le forme di quello che viene chiamato dagli studiosi
fiorentino “argenteo”, ossia un tipo di fiorentino in buona parte diverso da quello “aureo” di Dante,
Petrarca e Boccaccio. (esempi: utilizzo articolo el, e invece di il,i, desinenze plurali in -e “le arme”, verbi in
-ono anziché in -ano)
T.3 Il rapporto tra il principato nuovo e le istituzioni precedenti
Introducendo Il Principe abbiamo sottolineato come il richiamo a modelli storici passati non sia un
elemento ornamentale, ma sia profondamente radicato nella struttura stessa dell’opera. Lo si piò osservare
analizzando la struttura di questo capitolo che si apre con una domanda: come è possibile che l’impero di
Alessandro dopo la sua morte non si sia disgregato? Machiavelli sfrutta questo quesito per riflettere su due
tipologie possibili di principato:
1) Il principato in cui il principe regna in modo assoluto usando i ministri come semplici estensioni del
suo potere
2) Il principato in cui i ministri collaborano alla gestione del potere.
Queste due tipologie vengono esemplificate rispettivamente con due riferimenti contemporanei: l’impero
ottomano e il regno di Francia. A questo punto Machiavelli costruisce un nuovo parallelo tra l’impero
ottomano e quello di Alessandro cui segue subito un altro paragone tra il regno di Francia e l’Impero
Romano. In questo modo la riflessione sui due tipi di principato viene proiettata su scala più ampia: alla
contrapposizione geografica (oriente/occidente) corrisponde una continuità storica (regno di
Alessandro/impero ottomano/ regno di Francia) Come si vede la riflessione sulle forme antiche di
governo è un elemento strutturante della stessa forma di ragionamento del Principe, contenente a sua
volta due elementi centrali del pensiero machiavelliano:
1) L’importanza degli esempi storici intesi come fatti o istituzioni che possono funzionare da modelli
per comprendere il presente
2) Il ruolo della memoria dei popoli in relazione alle forme di governo
T.4 Il principe nuovo: Cesare Borgia
Machiavelli torna in questo capitolo sulla questione dell’acquisizione e del mantenimento del principato,
opponendo i due schemi del governo conquistato con la fortuna, facile da ottenere e difficile da conservare, e
quello ottenuto con la virtù, difficile da conquistare ma facile da mantenere. La vicenda politica di Cesare
Borgia, nell’economia generale del trattato, viene quindi assunta come modello da imitare per chiunque
divenga principe non per vincoli ereditari. Borgia sale al potere sfruttando la fortuna e godendo
dell’appoggio di armi altrui. La sua valentìa politica si manifesta però nell’abile lavoro volto a rafforzare il
suo potere. La minuziosa ricostruzione delle tappe attraverso cui quest’opera si sviluppa dimostra come
Machiavelli voglia dare massimo risalto all’abilità di Valentino, capace di gestire con ingegno e
determinazione ogni passaggio politico.
T.5 Le armi mercenarie: Dopo una breve sintesi selle argomentazioni precedenti Machiavelli mette a fuoco
l’argomento che sta per essere introdotto, quello dell’utilizzo delle forze mercenarie all’interno dell’esercito.
Quello legato alla dimensione militare è uno dei temi dominanti della riflessione politica machiavelliana.
Machiavelli si era impegnato in prima persona perché Firenze si dotasse di armi proprie. Lo sforzi per dotare
Firenze di armi proprie andava di pari passo con la critica l’abitudine diffusa di appoggiarsi a forze
mercenarie, che semplicemente erano inutili e pericolose, avendo come unico interesse il denaro, non
rendendole ben disposte a morire per la difesa per lo Stato. L’urgenza del tema delle armi si spiega da un lato
per il fatto che la politica cinquecentesca era per sua natura una politica di alleanze, di cui la forza militare
era garanzia
T.7 Morale e politica in Machiavelli: L’interesse di Machiavelli sarà incentrato sulle norme di
comportamento di cui il principe deve conformarsi nelle relazioni con i propri sudditi. Il capitolo utilizza in
apertura l’apparato retorico tipico dei proemi, dal tòpos di modestia, alla rivendicazione della propria
originalità. Il ricorso al tòpos di uso comune però non deve nascondere l’effettiva coscienza in Machiavelli
dell’originalità della sua affermazione, sostenuta con puntualizzazioni esatte, relative al metodo per cui egli
“nel disputare” la sua materia si distingue “dalli ordini degli altri”.
Anche in questo capitolo, com’è norma nel Principe, il segretario fiorentino intende quindi fornire concrete
norme di comportamento, necessarie al fine, ovvero a mantenere il principato. Notevole è in questo senso è
la puntualizzazione metodologica con cui Machiavelli ancora una volta rivendica l’opportunità di mantenersi
legati alla “verità effettuale” al “come si vive”. L’astratta definizione di un ordinamento politico fondato su
“come si dovrebbe vivere”, produrrebbe invece il risultato opposto a quello desiderato, conducendo il
principe troppo “discosto da come si vive”, portandolo quindi alla rovina.
L’alternanza dei modi verbali è il più evidente riflesso stilistico di questa contrapposizione fra come
“come si dovrebbe” e “come si vive”, dunque fra realtà ipotetiche e concreta “verità effettuale”: il
condizionale da una parte e l’indicativo dall’altra.
T.8 I comportamenti del Principe: Allo scopo di dimostrare come il principe nuovo debba rimettere in
discussione certe teorie consolidate Machiavelli non esista a ribaltare affermazioni che sembrano
ampiamente acquisite. È quanto accade con la tesi secondo la quale esercitare il potere nel rispetto delle leggi
della morale sarebbe tipico degli uomini, mentre farlo servendosi della forza sarebbe proprio delle bestie.
L’esempio del centauro Chirone viene utilizzato proprio a tale scopo: questo essere ibrido metà uomo e
metà cavallo, cui la tradizione mitologica assegna il compito di saggio educatore di insigni eroi e principi
dell’antichità fra cui Achille, è la dimostrazione che queste due modalità di comportamento politico possono
e debbono coesistere e che esse sono proprie della stessa natura dell’uomo.
In questo capitolo Machiavelli utilizza anche un’altra immagine di grande efficacia: quella della volpe e del
leone, a indicare le due qualità che deve avere il principe. In particolare, nel capitolo acquista rilievo la
legittimazione dell’arte del simulare come uno dei requisiti che il principe deve possedere per poter ben
governare. La simulazione non va qui degradata a semplice furbizia ma considerata il frutto di una capacità
razionale che s’innalza fino a controllare ogni circostanza ai fini della riuscita e del consenso.
T.9 il ruolo della Fortuna: In questo capitolo cardinale Machiavelli affronta in modo sistematico la
questione del rapporto fra virtù e Fortuna, già presente in diversi luoghi dell’opera. L’autore indaga i
rispettivi confini delle due forze, che orientano le azioni degli uomini e che sono in conflitto fra loro. Se ogni
cosa, se ogni evento è determinato dalla Fortuna, a nulla vale l’impiego della virtù: sarebbe allora più logico
per gli uomini “lasciarsi governare alla sorte”. Ma così non è, non è spento dunque, “il nostro libero arbitrio
perché lei lascia governare a noi l’altra metà”. Machiavelli riconosce quindi il ruolo della fortuna e la sua
capacità di agire influenzando gli eventi umani, ma fa salvo al tempo stesso il valore della virtù, che dagli
uomini dipende e che costituisce un argine possibile alla “potenza” della Fortuna. In sostanza, non
essendo possibile frenare i rivolgimenti e i mutamenti che la Fortuna impone ai “tempi”, quindi agli eventi, è
prova di capacità saper conformare le proprie azioni alle diverse necessità imposte, di volta in volta, da
quei rivolgimenti.
T.10 L’Esortazione a liberare l’Italia: Quest’ultimo capitolo in cui l’argomentazione serrata e razionale
lascia il posto al tono esortativo, può sembrare per questo un corpo a sé nell’organismo dell’opera. La
sintassi stringente e lo stile incisivo lasciano il posto a uno stile che fa leva sul piano emozionale con la
personificazione dell’Italia, le anafore, i parallelismi, l’accumulo di aggetti, la climax e così via. La pagina
che chiude il Principe si proietta al di là della realistica analisi politica fin qui condotta, per abbracciare un
intento persuasivo, nella fattispecie rivolto ai Medici e giocato sui toni della passione e forse anche
dell’utopia.
Verso questo verso finale che pure presenta toni “anomali”, converge in realtà l’intera opera: lo dimostra
immediatamente l’ennesimo richiamo alla necessità di “provedersi d’armi proprie”. Da qui l’Italia, la
condizione e la prospettiva italiana, divengono il fuoco del discorso di Machiavelli: “la virtù italica che deve
potersi defendere da li esterni”.

Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio sono una delle massime riflessioni politiche del Cinquecento.
Essi nascono come un commento a uno dei capolavori della storiografia latina, l’Ab urbe condita di Tito
Livio (59 d.C-17 d.C.) Sulla base del testo di Livio, Machiavelli riflette sulle forme antiche e moderne del
potere: i modi in cui gli Stati nascono e declinano, le tensioni interne nella società, il ruolo del popolo, le
necessità della difesa interna e dell’espansione territoriale. Pur se nati in margine a un testo antico i Discorsi
sono un’opera fortemente legata alla contemporaneità politica.
Come altre opere del tempo anche i Discorsi ci sono giunti privi del titolo deciso dall’autore. Machiavelli si
riferisce all’opera come declarationi. Già nella prima circolazione manoscritta del testo è registrabile però
l’uso del termine discorsi.
il contenuto: Nei Discorsi Machiavelli commenta i primi dieci libri dell’Ab urbe condita di Livio, mentre
quest’ultimo ha un andamento annalistico, Machiavelli procede per nuclei tematici. I primi due libri sono
dedicati a riflettere su questioni nate “per publico consiglio”. Il terzo libro, meno compatto tematicamente, è
dedicato sia a fatti di politica interna sia a temi bellici, con particolare attenzione alle “azioni degli uomini
particulari”.
Di là da questa tripartizione tematica i Discorsi sono una riflessione complessiva sulle dinamiche dello
Stato condotta in un quadro che comprende sia la dimensione del principato sia quella della repubblica:
quest’ultima è vista anzi come una soluzione privilegiata per quanto riguarda la gestione del potere, in
quanto sintesi di esigenze e “umori” differenti.
Molti temi di quel trattato vengono qui ripresi e spesso approfonditi: così, ad esempio, quello della religione
vista come strumento di governo che i governanti devono mantenere il più possibile integra e in buono
stato. Una riflessione a cui si lega anche una forte critica al ruolo della Chiesa, responsabile, secondo
Machiavelli di gran parte del degrado dell’Italia.
Le fonti: Tra le fonti, oltre a Livio, risultano particolarmente importanti gli scritti di Plutarco e Polibio,
anche se si può dire che convergono nel testo molti altri scrittori sia latini che greci. Oltre che nella
mediazione delle opere classiche, l’apporto alla letteratura volgare è evidente anche in altri aspetti. I
Discorsi si riallacciano infatti alla tradizione del commento umanistico di cui la cultura fiorentina aveva
prodotto esempi importanti, tra i quali il celebre commento alla Commedia.

Le Istorie Fiorentine

Nel novembre del 1520 Machiavelli riceve l’incarico, da parte dello studio fiorentino, di redigere una storia
di Firenze. L’incarico gli giunge su diretta indicazione di papa Leone X ed è di fatto, affidato dal cardinale
Giulio de Medici, in qualità di capo dello studio. A lui, divenuto a sua volta papa con il nome di Clemente
VII, Machiavelli presenterà gli otto libri delle Istorie nel maggio del 1525 a Roma.
Nel contratto di accettazione dell’incarico Machiavelli si riserva la libertà di scegliere sia l’estensione
cronologica da trattare sia la lingua da usare. Nonostante in vari punti dell’opera affermi di voler giungere
sino al 1494, dunque alla fine del primo principato mediceo, di fatto la narrazione dei fatti storici si arresta
con la morte di Lorenzo il Magnifico, nel 1492. In questo modo Machiavelli evita di entrare nel campo
minato della più recente politica medicea. Non va dimenticato infatti che le Istorie sono un’opera scritta su
committenza: l’autore si muove pertanto con grande cautela nel valutare gli eventi politici legati alla famiglia
dei Medici.
Metodo storiografico: Sebbene sia certamente vivissimo in Machiavelli l’interesse storiografico, è
comunque necessario precisare che la sua concezione della storia non coincide del tutto con quella moderna:
nello scrittore fiorentino, infatti, l’attenzione si focalizza preferibilmente sulle “storie individuali” e questo
gli consente di seguire la vicenda di un determinato soggetto valorizzando al massimo il piano
dell’esperienza.
Se il punto di arrivo delle Istorie è suggerito da cautele politiche, l’avvio risponde invece a un disegno
interno, non solo perché Machiavelli pone le discordie cittadine come centrali nella valutazione delle
vicende storiche fiorentine, ma anche perché insistere su questo aspetto gli permette di evidenziare, per
contrasto, l’esigenza di un ordinatore che possa rifondare la repubblica fiorentina mettendo fine alle
discordie che minano la città da secoli. In linea generale si può dire, anzi, che nelle Istorie l’urgenza politica
sia preponderante sulle esigenze della storia. Egli non attinge a documenti d’archivio, compie infatti una
scarsa verifica delle informazioni utilizzate e si affida, a seconda degli eventi da narrare, a uno o due testi
principali, di tanto in tanto integrandoli con fonti secondarie. Siamo dunque ben lontani dalla cura scrupolosa
dei fatti.
La Mandragola

La Mandragola è una delle commedie più importanti e divertenti del Cinquecento. È la storia di una beffa a
fini sessuali, costruita con un meccanismo drammaturgico di grande efficacia. L’essenzialità dell’intreccio,
l’immediatezza linguistica e la raffinata costruzione dei dialoghi ne fanno un capolavoro del teatro italiani,
ancora oggi molto rappresentato.
La scrittura: Machiavelli compone la Mandragola con ogni probabilità all’inizio del 1518, durante
quell’ozio forzato che lo porta a frequentare gli Orti Oricellari, e da cui nascono anche i Discorsi. Il titolo
pone dunque al centro l’oggetto della beffa (la pianta di mandragola) e relega con sapienza i personaggi a
puri ingranaggi dell’inganno. Machiavelli non è d’altronde inesperto di teatro: quando scrive la Mandragola
ha già alle spalle una commedia, oggi andata perduta: Le maschere.
La Mandragola è una commedia in prosa, divisa in cinque atti, inframmezzati da quattro canzoni e
preceduti da un prologo. Il modello è quello dei grandi esempi di Plauto e Terenzio, ma anche delle
commedie contemporanee come quelle di Ariosto.
Il contenuto: il giovane Callimaco è innamorato della bella Lucrezia, moglie di Nicia, un anziano ingenuo
e credulone. Non sapendo come fare per passare una notte con lei, Callimaco ne parla con il mezzano
Ligurio il quale escogita una beffa ai danni dell’ingenuo Nicia: conoscendo il suo desiderio di avere figli,
propone a Callimaco di fingersi medico e consigliare una pozione a base di un’erba miracolosa (la
mandragola) da somministrare alla moglie. La pozione, miracolosa contro la sterilità, ha però una contro
indicazione: il primo uomo che avrà rapporti con la donna cui è stata somministrata è destinato a morte certa
entro pochi giorni. È necessario dunque trovare un garzoncello ingenuo che si presti ad unirsi per primo con
Lucrezia, e si deve inoltre convincere quest’ultima a giacere con uno sconosciuto. Per questo Callimaco e
Ligurio corrompono frate Timoteo affinché persuada l’onesta Lucrezia dell’opportunità della cosa. Con
l’aiuto inconsapevole dello stesso Nicia, sarà ovviamente Callimaco a farsi rapire, così da unirsi all’amata.
L’originalità dell’intreccio: L’opera risente visibilmente del modello boccacciano del racconto di beffa.
Lo si può vedere osservando l’abile sistema di finzioni e inganni che anima l’intera commedia, in cui
Machiavelli mette in pratica la lezione sul doppio e il travestimento propria della tradizione classica. La
trama si svolge infatti fra i due poli dell’amore di Callimaco e della natura onestissima di Lucrezia, che
costituisce l’impedimento da aggirare, intorno al quale ruota tutta la vicenda.
La legge dell’utile: Nonostante l’assenza di espliciti riferimenti politici, la commedia svela una dimensione
che va oltre il meccanismo comico: gli uomini sono per natura “ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori”
ed è su questo assunto che il principe moderno è chiamato a regolare le sue scelte e i suoi comportamenti
politici. Il mondo della Mandragola non segue regole diverse: i personaggi perseguono tutti, anche se con
sfumature e a livelli diversi, l’unica legge che veramente conti nella società, cioè l’utile. (Ligurio, vero
protagonista dell’inganno, riproduce la figura tipica del parassita, agendo in funzione dei propri interessi e
mettendo la propria intelligenza al servizio di Callimaco) l’arte della politica diventa qui pura tecnica.
La lingua della Mandragola: L’identità di ogni personaggio è costruita nella Mandragola attraverso uno
specifico linguaggio. Lo si vede bene mettendo a confronto due personaggi opposti come Nicia e Ligurio. A
messer Nicia, personaggio borioso e pieno di sé, vengono attribuite frasi idiomatiche che testimoniano il suo
orizzonte culturale; Ligurio invece, probabile portavoce delle idee dell’autore, si caratterizza invece per i
doppi sensi con cui si prende gioco dell’ingenuo marito di Lucrezia.
Questa caratterizzazione linguistica dei personaggi si unisce a una notevole capacità di riprodurre sulla
pagina scritta il fiorentino parlato, attraverso un attento uso della sintassi oltre che di specifiche marche
lessicali, tipiche della parlata vernacolare, che contribuisce ad accentuare l’illusione di realtà dialogica
nell’opera.

Le opere minori
Gli scritti politici, diplomatici, storici e militari: Il primo intervento a noi noto è il breve Discorso sopra
Pisa, in cui il giovane segretario della cancelleria fiorentina riflette sui modi per conquistare Pisa da parte di
Firenze. Di pochi anni dopo è il resoconto noto con il titolo Del modo di trattare i popoli della Valdichiana
ribellati. Proprio le relazioni diplomatiche costituiscono il materiale di buona parte degli scritti politici del
periodo in cui Machiavelli collabora con Pier Soderini: gli incontri con il fronte imperiale sono oggetto
dell’ampia trattazione del Ritratto delle cose della Magna. I rapporti con la Francia sono alla base del
Ritratto delle cose di Francia, quelli di Pisa dei Provedimenti per la riconquista di Pisa.
Tra gli scritti legati alla storia e alla politica composti dopo il licenziamento dalla cancelleria fiorentina è
da segnalare in particolare la Vita di Castruccio Castracani.
Gli scritti letterari: Durante tutta la sua vita Machiavelli compone anche numerosi testi letterari, in
numero tale da poter affermare che, con l’eccezione dell’Asino, la produzione poetica machiavelliana sia
precedente al 1512 e in buona parte contemporanea allo svolgimento degli incarichi politici.
Opere in versi: tra gli scritti in versi di Machiavelli meritano particolare attenzione i due Decennali in
terzine dantesche, che costituiscono un primo tentativo storiografico in versi. Il primo decennale narra i fatti
del decennio 1494-1504, il secondo dal 1504 al 1514 in un contesto del tutto mutato, all’indomani della
caduta del gonfaloniere. I Decennali non sono gli unici testi in versi che abbiano una contingenza con i temi
politici, lo stesso si può dire infatti dei cosiddetti Capitoli in terza rima, tre poemetti di argomento
politico-moraleggiante (Di fortuna, Dell’ingratitudine, Dell’ambizione). Tra essi quello di maggiore
interesse è il primo, dedicato alla fortuna, che presenta aspetti vicini al Principe e ai Discorsi.
Opere in prosa e teatro : Negli anni di ozio in cui nascono i Discorsi, Machiavelli si dedica alla scrittura
teatrale e novellistica: a questo periodo risalgono le due versioni del volgarizzamento dell’Andria di
Terenzio, la Mandragola, e la scrittura della “favola” Belfagor arcidiavolo, in cui si narrano le vicende di un
diavolo che viene mandato sulla Terra per prendere moglie. Di poco successiva è la stesura della commedia
intitolata Clizia, una rielaborazione della Casina di Plauto.

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