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1) Plotino (che rappresenta un altro punto di vista condiviso dallo stesso Leopardi) non contesta le ragioni
dell’amico, ma rilancia la discussione richiamandosi a Platone (i due non a caso sono filosofi neoplatonici).
Cosa sostiene? 2) Qual è la risposta di Porfirio? Cosa possiamo leggerci in controluce?
1) Plotino, pur concordando con la tesi dell’allievo, gli ricorda il principio platonico secondo il quale non è
concesso all’uomo togliersi la vita, che è un dono degli dei. 2) Porfirio ribatte polemicamente evidenziando
il profondo divario tra le teorie filosofiche (per es. la teoria dell’immortalità dell’anima sostenuta proprio
nel Fedone) e la vita pratica, come se Leopardi rinnegasse attraverso Porfirio la valenza e l’importanza della
speculazione pura, cioè della filosofia in senso stretto, della logica, del ragionamento. In realtà tale
apparente presa di distanza dall’astrazione filosofica si spiega alla luce della conclusione.
Il dialogo prosegue con Plotino che adduce un altro argomento a sostegno della sua tesi (condanna e rifiuto
del suicidio): il suicidio sarebbe un atto contro natura, perché se le creature si uccidessero di propria
volontà, l’ordine delle cose risulterebbe sovvertito. Porfirio contesta nuovamente tale giustificazione,
dimostrando che è la condizione stessa dell’uomo ad essere contro natura (la natura ci ha dato l’istinto di
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conservazione, ma ci ha dato allo stesso modo il desiderio di felicità; e quest’ultimo è più forte dello stesso
istinto di conservazione). A questo punto Plotino abbandona la via della confutazione razionale, della
logica (propria del filosofo), per fare appello a istanze di diversa natura. Vediamo quali.
Dal punto di vista razionale e logico, la vita è male e l’uomo vive «contro natura», perché aspira
naturalmente a una felicità assoluta e illimitata (il piacere autentico), che è la stessa natura a negargli.
Quindi, l’unico rimedio alla noia, al sentimento del nulla che ne deriva è togliersi la vita. Alla logica
stringente di Porfirio (che Leopardi condivide) Plotino contrappone «una lezione di moralità pragmatica». In
cosa consiste?
Gli argomenti di Porfirio non vengono in nulla sconfessati da Plotino, il quale, per convincere l’amico non fa
leva su un diverso giudizio sulla condizione umana (per es. alla convinzione, propria dell’idealismo, che
l’uomo fosse il vertice della natura e che tutto ciò che esiste, la realtà e l’essenza del mondo coincida con
l’io), né tantomeno ricorre alle consuete giustificazioni spiritualistiche e teologiche, che prospettano una
felicità ultraterrena come consolazione ai mali e ai dolori patiti sulla terra; egli fa invece appello
all’affettività e all’etica, cioè a «quel senso dell’animo», che va al di là e a volte contro la ragione, un senso
grazie a cui l’uomo si riconosce legato agli altri da legami di amore e di compassione che non può
infrangere o disattendere. La vita va dunque tollerata per amore degli altri, anche contro la ragione che
mostra invece inequivocabilmente come essa meriti di essere infranta. Di qui deriva anche il potente
messaggio solidaristico della conclusione, un’esortazione a consolarsi e a soccorrersi che anticipa il tema
civile della Ginestra.
Let’s recap
Nel dialogo Porfirio e Plotino rappresentano due voci di pari livello, tant’è che il loro, più che un dibattito, è
un vero colloquio. Essi rappresentano due punti di vista equivalenti, ma diversi.
Porfirio rappresenta il punto di vista del filosofo che riflette sulla vita, sul senso dell’esistenza utilizzando
lo strumento della logica e della razionalità. Se la natura ha dato all’uomo l’amore della conservazione e
della propria felicità, non può allora essere contrario alla natura fuggire l’infelicità con l’unico mezzo a
disposizione: la fine dello stato di sofferenza che è la vita. Il ragionamento di Porfirio, condotto con l’arma
stringente e potente della logica, non «fa una piega», è inoppugnabile.
Plotino rappresenta il punto di vista della morale pragmatica: l’uomo saggio, pur non nascondendo a se
stesso e agli altri i dolori connaturati alla condizione umana, ma anzi accettandoli con coraggio eroico (=
titanismo romantico), sa sopportare «una vita contro natura», costellata di sofferenze e priva di senso, per
amore nei confronti degli altri.
L’importanza del dialogo
«[..] L’importanza di questo dialogo risiede proprio nel messaggio finale, che lo distingue dalle conclusioni
aperte e indefinite di altre operette e che si distacca da un pensiero volto maggiormente al senso della fine,
quale è quello espresso nel 1824. Nel ’27 Leopardi sembra affiancare a questa concezione una visione delle
cose diversa, poiché la figura di Plotino, che è una parte di Leopardi come lo è Porfirio, recupera il pensiero
maturo del poeta: non la disperazione di fronte al nulla e all’indifferenza della natura, o peggio, lo stupore
di fronte all’ordine che è nelle cose e che conduce all’annientamento, ma una forza morale che proviene
dalla completa accettazione dell’umano. Echi di questa impostazione si ritroveranno di lì a poco nella
Ginestra, nei cui versi si racchiude il senso ultimo dell’esperienza vitale e poetica di Leopardi. Ma i temi
trattati, la felicità, il piacere, la noia, la civiltà, la natura e la ragione sono i temi propri del pensiero e del
continuo interrogarsi leopardiani». (F. Cacciapuoti, La “disperazione della felicità”. Note in margine al
Dialogo di Plotino e di Porfirio)