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BIOLOGIA MOLECOLARE DELLA CELLULA

È la scienza che studia gli organismi viventi:

- la loro complessità e diversità


- la loro classificazione
- l’interazione tra di essi con l’ambiente.

I biologi studiano la vita a molteplici livelli:

 Livello molecolare: biologia molecolare, biochimica e genetica, la


struttura delle molecole, le loro proprietà e le loro interazioni;
 Livello cellulare: citologia e biologia cellulare;
 Livello multicellulare: istologia (tessuto), anatomia e fisiologia
(organo);
 Livello dello sviluppo: biologia dello sviluppo;
 Livello di popolazione di organismi: genetica delle popolazioni e le
interazioni fra di esse;
 Livello multi-specie: sistematica, paragone e classificazione di
organismi viventi ed estinti.

Tutti gli organismi viventi sono fondamentalmente simili dentro:

o Sono dotati di un’organizzazione cellulare, e possono essere


organismi unicellulari o pluricellulari;
o Hanno un metabolismo cellulare (complesso di funzioni chimiche,
che gli permettono di rinnovare la propria struttura, crescere e
moltiplicarsi);
NB. La cellula è la più piccola unità biologica strutturale e
funzionale.
o Sono caratterizzati da un processo di crescita e di sviluppo,
subendo una serie di cambiamenti programmati e dettati dal DNA;
o Sono dotati di eccitabilità e adattamento: percepiscono gli stimoli
dall’esterno e di adattano o rispondono ad essi.
o Sono dotati di DNA, un acido nucleico in grado di veicolare
l’informazione.

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o Sono caratterizzati da regolazione ed omeostasi, ovvero la capacità
di mantenere stabili le loro condizioni interne.
o Riproduzione: è la capacità di riprodursi in una discendenza con la
stessa complessità ma al tempo stesso anche grande variabilità nelle
caratteristiche.

LA CELLULA

La cellula è l’unità fondamentale degli


organismi viventi e fu scoperta da Hooke nel
1665, in quanto, mentre osservava il sughero,
notò delle strutture a celletta.
Venne poi definita con la teoria cellulare nel
1838-1839 da Schleiden e Schwann: gli
organismi originano da altri preesistenti delle
cellule da cui ereditano le caratteristiche.
Le cellule, anche se differenti, possiedono caratteristiche comuni:

 Hanno gli stessi tipi o categorie di molecole, proteine, DNA, RNA,


carboidrati e lipidi;
 Sono dotate di aspetti strutturali simili: hanno una membrana
plasmatica (che separa l’esterno dall’interno e permette la
comunicazione e il trasporto di molecole), un citoplasma (una
matrice semifluida costituita da una parte acquosa detta citosol e da
organelli) e il nucleo (è la sede del DNA);
 In media hanno una dimensione tra 20micron e 200micron.

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I PROCARIOTI

 I procarioti hanno di solito forma sferica, a


bastoncello o elicoidale;
 Sono organismi unicellulari che non sono
dotati di nucleo, con dimensioni di 0,25 x
1,2 o 1,5 x 4 micronm;
 Hanno forme diverse e sono dotati di
un’estrema capacità adattiva all’ambiente,
di una rapida riproduzione (circa 20
minuti), di un metabolismo aerobico (cioè usano l’ossigeno per
ossidare le molecole degli alimenti) o anaerobico (cioè muoiono alla
prima esposizione all’ossigeno);
 Hanno un citoplasma (che è la sede di tutte le reazioni enzimatiche,
nonché del DNA genomico, molecola circolare, e dei plasmidi, che
portano alla resistenza agli antibiotici e hanno la capacità di passare
da un batterio ad un altro) con una membrana plasmatica (rivestita
da un involucro protettivo all’esterno);
 Sono privi di un’organizzazione interna;
 Alcuni procarioti sono in grado di vivere interamente a spese di
sostanze inorganiche.

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GLI EUCARIOTI

Sono sia pluricellulari (animali e vegetali) sia


unicellulari (alghe, funghi e protisti);
Essi sono dotati di:
- membrana plasmatica
- nucleo, delimitato da membrana o involucro
nucleare
- compartimentalizzazione di diverse funzioni in altre strutture o organelli
delimitati da membrane
- hanno una membrana plasmatica ed endo-membrana che sono molto
simili.
- le strutture cellulari sono sempre in comunicazione e non sono statiche,
tranne il nucleo.

Gli eucarioti di distinguono anche per specifiche caratteristiche molecolari:

 Sequenze genomiche regolatrici;


 Geni organizzati in introni ed esoni con meccanismo di splicing;
 Trascrizione (passaggio da DNA a RNA) e traduzione (passaggio
dall’RNA alla proteina) separate nello spazio e tempo;
 Trascritti mRNA mai policistronici (una molecola di RNA codifica
per una proteina), quindi possiedono una sola ORF (open reading
frame);
 Hanno una percentuale di DNA non codificante;
 DNA associato ad istoni;
 Presenza di colesterolo nelle membrane;

Le cellule eucariotiche possono riprodursi sia per mitosi che per meiosi,
attraverso una riproduzione sessuata.

Esempio di cellule in un essere umano:


- numero di celulle pari a 1014;
- diametro di 20 micron;
- vita media di circa un mese;
- numero approssimativo di proteine attive in una cellula pari a 100
milioni;
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- tipi diversi di proteine in una cellula: >50.000 (indica i geni codificanti);
- Le proteine si muovono 1 miliardo di volte al secondo.

Nelle cellule eucariote il nucleo, che è rivestito dall’involucro nucleare, è


interrotto da pori nucleari del diametro di 100nanometri che permettono il
passaggio dell’RNA (che esce) e delle proteine (che entrano). Vi troviamo
inoltre il reticolo endoplasmatico rugoso (o liscio), l’apparato di Golgi, i
mitocondri, il perossisoma, il lisosoma e le vescicole (esse sono strutture
transitorie per fare comunicare gli organelli tra di loro, non sono definite e
stabili, dunque non vengono considerate organelli).

LA MEMBRANA CELLULARE (separa gli organelli o le vescicole) O


PLASMATICA (membrana che separa la cellula dall’esterno)

 È costituita da un doppio strato di


fosfolipidi (7-9nm di spessore), molecole
amfipatiche (porzione polare e porzione
idrofobica);
 Quella plasmatica in particolare è dotata
di colesterolo, fluido in cui sono immerse
proteine integrali di membrana che
possono essere complessate con gruppi glucidici extracellulari ed è
asimmetrica;
 Viene assemblata nel REL (reticolo endoplasmatico liscio);
 Deve separare la cellula, ed è anche ancoraggio del citoscheletro;
 Permette il trasporto attraverso la membrana: permeabile solo a NO,
ormoni e O2. Non è permeabile a molecole polari, ioni ecc. Il
trasporto può essere di tre tipologie:
1. Trasporto passivo (semplice o facilitato) secondo gradiente;
2. Trasporto attivo (richiede energia);
3. Scambio con l’esterno, con l’ambiente extracellulare e con la
matrice;
 Comunicazione cellulare e adesione;
 Separazione intra-extra cellulare;

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 È sede di reazioni enzimatiche a causa della sua superficie
catalitica (presenta enzimi e numerose reazioni chimiche);

IL NUCLEO

Esiste solo nelle cellule eucariotiche (in quelle


procariotiche il DNA è immerso nel citosol);
 È rivestito da una membrana che presenta
pori nucleari, ovvero delle interruzioni di
100nm;
 La membrana interna è costituita da una
lamina nucleare che da rigidità al nucleo
(intreccio di filamenti);
 Il DNA è spiralizzato e condensato grazie
alla presenza di proteine dette istoni;
 È il luogo in cui avviene la sintesi di RNA
da DNA: una volta formato, l’RNA passa
attraverso i pori nucleari per andare nel
citosol ed essere tradotto in proteine.

RICORDA:

 SINTESI = REPLICAZIONE (permette alle cellule figlie di ereditare


le caratteristiche della cellula madre);
Il DNA si copia nel nucleo.
 DA DNA A RNA = TRASCRIZIONE, avviene nel nucleo (in
particolare gli mRNA vengono codificati in proteine);
 SINTESI DELLA PROTEINA = TRADUZIONE, avviene nel
citosol o nel reticolo endoplasmatico rugoso.

Per osservare la cellula si utilizza il microscopio elettronico: le sostanze


che catturano molti elettroni diventano scure.

NUCLEOLO (sta dentro il nucleo)

È una struttura ricca di proteine e responsabile della sintesi


dell’rRNA; inoltre è un grosso aggregato di
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macromolecole comprendenti gli stessi geni che codificano per gli rRNA
(distribuiti in 10 gruppi ciascuno vicino alla punta di 5 coppie di
cromosomi diversi), i precursori degli rRNA e le molecole mature. È
situato nel nucleo ma non è separato da membrane.
Quando la cellula entra in mitosi, i cromosomi si condensano ed il
nucleolo si distrugge. Dopo la mitosi, invece, si riforma.

CITOPLASMA CELLULARE

Il citoplasma cellulare è una sostanza gelatinosa al cui interno vi sono vari


elementi:
- RER
- REL
- ribosomi
- mitocondri
- apparato di Golgi
- lisosomi
- vacuoli
- nucleo
- vescicole

RETICOLO ENDOPLASMATICO

 E’ una struttura costituita da sacche e


invaginazioni (dentro sono cave,
questo spazio è detto lumen ed è sede
di enzimi);
 Se ci sono i ribosomi è rugoso, sennò
è liscio;
 REL e RER, mentre quello delle
cellule muscolari si chiama
sarcoplasmatico;
 È un organello di modificazione di
molecole sintetizzate in altri
compartimenti.
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RIBOSOMI

 Sono agglomerati di proteine e


mRNA liberi nel citosol o
presenti sulla membrana nucleare
o sul reticolo endoplasmatico
rugoso o nei mitocondri;
 Servono per tradurre e
sintetizzare proteine;
 Sono costituiti da due subunità;

RETICOLO ENDOPLASMATICO LISCIO

È un sistema di sacche tubolari responsabile della sintesi di lipidi, ormoni


steroidei e del metabolismo del glicogeno.
 Detossifica sostanze dannose come l’etanolo, che è molto importante
nelle cellule epatiche;
 È la sede primaria del metabolismo dei fosfolipidi, degli acidi grassi
e degli steroidi; sintetizza i lipidi per costruire e riparare le
membrane.

APPARATO DI GOLGI (scoperto da Golgi nel 1889)

 È formato da sacche membranose (denominate


“dittiosomi”, ovvero dei sacculi appiattiti e
vescicole cave) impilate in cui si modificano
proteine e lipidi, si sintetizzano i carboidrati e si
assemblano le molecole, prodotte nel reticolo
endoplasmatico che devono essere trasportate
all’esterno della cellula;
 È un organello orientato cis e trans (prossimale
(vicina al nucleo) e distale (lontana dal nucleo) rispetto al nucleo);
 Ha la funzione di elaborare, selezionare ed esportare prodotti
cellulari.

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MITOCONDRI

 Sono la centrale energetica della cellula:


convertono le molecole derivanti da
alimenti in ATP (adenosina trifosfato)
attraverso la fosforilazione ossidativa,
ovvero la respirazione cellulare;
 C’è un consumo di O2 per le reazioni di
ossidazione di piruvato e NADH che
derivano dalla glicolisi e vanno nel citosol,
con eliminazione di CO2 e H2O;
 Una cellula eucariotica ne possiede 2000 o più (dipende dal
fabbisogno energetico);
 Il mitocondrio ha un proprio DNA circolare (genoma circolare che
contiene 37 geni che codificano le proteine) diverso quindi da quello
del nucleo: i mitocondri deriverebbero da cellule procariote, che è
entrato in simbiosi con un eucariota;
 Sono circondati da una doppia membrana (esterna ed interna):
quella interna è caratterizzata da introflessioni per aumentare la
superficie della membrana in modo tale da avere più enzimi e
proteine.

I LISOSOMI

 Furono scoperti nel 1949 dal citologo belga


De Duve.
 Sono organelli responsabili della
degradazione/distruzione di molecole
endocitate o internalizzate dalla cellula via
endocitosi oppure di macromolecole
endogene cellulari (digestione
intracellulare).

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 Sono cellule specializzate (es. i macrofagi, dei globuli bianchi) che
sono in grado di eliminare microrganismi patogeni o cellule morte
internalizzati nella cellula, mediante fagocitosi.
I microfagi inglobano il batterio nel fagosoma, che si scinde poi con
il lisosoma, che a sua volta attiva la degradazione cellulare (sia per
eliminare materiale, sia per ricavare energia dalla scissione
(catabolismo), in quanto questa non viene prodotta in quantità
necessaria dai mitocondri).
 Ricevono il materiale da degradare e lo fanno grazie alla presenza di
enzimi, ma questo materiale può fare percorsi diversi:

 Si formano dall’apparato di Golgi, che provvede anche al


processamento degli enzimi litici sintetizzati (prodotti dall’apparato
di Golgi).
Gli enzimi sono attivi a basso pH (>5) e quindi non funzionano se
rilasciati nel citosol a pH7 (questo è un sistema di prevenzione). Il
pH basso è garantito da pompe a idrogeno protoniche H + che
pompano ioni all’interno dell’organello.
 La propria membrana e le proteine inserite in essa sono protette dalla
degradazione mediante:
a) particolare conformazione che le rende resistenti;

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b) complessamento con gruppi glucidici (che si espongono
all’interno dell’organello, e sono coniugati con le proteine. Si
forma un glicocalice che, quindi, protegge la membrana stessa).

 Un macrofago, attraverso processo di fagocitosi, internalizza un


batterio/un materiale esogeno andando a creare il fagosoma, che a
sua volta si fonde con il lisosoma, rilasciando il materiale al suo
interno e degradandosi.

 Per internalizzare il materiale tramite vescicole (endocitosi), questo


deve fondersi con un organello creando così l’endosoma precoce,
che, dopo una serie di passaggi, diviene tardivo. L’endosoma ha una
funzione cellulare, ma quando questa deve essere limitata
l’endosoma tardivo va a fondersi dinamicamente con il lisosoma che
provvederà alla degradazione.

 Vi sono delle membrane che vanno a circondare un mitocondrio (al


posto del mitocondrio potrebbe anche esserci un agglomerato di
proteine, una vescicola etc): questo prende il nome di autofagosoma.
Esso, si fonde con il lisosoma che è deputato alla degradazione.

LSD: lysosomal storage disorders = difetti o mancanza di enzimi litici


lisosomiali (a causa di mutazioni e perdita di funzione in geni che
codificano per queste proteine).
Almeno 40 diverse malattie genetiche e metaboliche: sistema nervoso,
osso, sangue ecc.
Terapia: enzima mancante come farmaco o terapia genica ex vivo.

I PEROSSISOMI

 Organelli vescicolari (1 micron di diametro)


racchiusi da una membrana che contiene almeno
50 enzimi ossidativi e furono scoperti negli anni
’60 da De Duve;

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 Si occupano dell’ossidazione degli acidi grassi a lunga catena, della
sintesi del colesterolo e dello smaltimento di sostanze tossiche;
 Producono al loro interno H2O2, che è molto reattivo e quindi viene
trasformato da un enzima che si chiama catalasi in H2O e O2, a
seguito di processi di ossidazione che per svolgersi necessitano di O2;
 Hanno una funzione catabolica, cioè producono energia e, dal
catabolismo degli acidi grassi oltre a H2O si forma anche acetilCoA
che è utile per il metabolismo (mitocondrio).
I CENTRIOLI

 Sono strutture cilindriche (non sono organelli in


quanto non sono circondati da membrana)
presenti nel citoplasma, vicino al nucleo di
cellule animali o vegetali;
 Sono costituiti ciascuno da 9 triplette di
microtuboli (filamenti del citoscheletro
cellulare);
 Si trovano in coppia e orientati a 90 gradi l’uno
dall’altro;
 Sono strutture da cui si formano i microtuboli importanti per il
cicloscheletro cellulare (poiché lo espandono) e per altre funzioni,
quali la formazione del fuso mitotico durante la mitosi e la meiosi
(per la nucleazione).

<< LA CHIMICA ’ ALLA BASE DELLA VITA>>

La cellula funziona perché è fatta di strutture


chimiche che interagiscono tra di loro, si
modificano l’una con l’altra più o meno a
catena, e questo determina l’unicità e
l’unidirezionalità delle reazioni chimiche.

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I mitocondri producono energia chimica e ciò avviene in “vettori carichi”
(riserve) di energia chimica che viene così ceduta. Ad esempio: l’ATP
(adenosina 5’-trifosfato), un nucleotide in grado di acquisire energia, il
NADH e il FADH.
Questa energia è necessaria per formare un legame covalente (si tratta di
una reazione di condensazione, che è sfavorita energicamente).
Si formano legame ed acqua, che a sua volta è utilizzata per l’idrolisi, che
invece è favorita energicamente.

L’ATP è una molecola formata


dall’adenina (base azotata), uno zucchero
a atomi di carbonio, il 5C è legato a tre
molecole di fosfato. I suoi tre fosfati sono
legati in serie mediante due legami
fosfoanidridici, la cui rottura libera grandi
quantità di energia utilizzabile.

Aggiungendo all’ATP una molecola di


acqua (idrolisi) si ottiene ADP e fosfato
organico.

R eaz
io ni
di
condensazione: possono portare alla formazione di macromolecole (si
ottengono legando molecole organiche più piccole, dette monomeri, con
dei legami covalenti; tuttavia esse presentano molte caratteristiche inattese,
non prevedibili in base agli elementi più semplici di partenza).
 Più monomeri di zucchero= polisaccaride.
 Amminoacido = costituente delle proteine.
 Nucleotide = costituente degli acidi nucleici  Le catene di acido
nucleico vengono sintetizzate a partire da nucleosidi trifosfato ricchi

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di energia, tramite una reazione di condensazione che libera
pirofosfato inorganico, mentre si forma il legame fosfodiesterico.
Sono fondamentali in quanto immagazzinano e rendono disponibile
l’informazione biologica. Si conoscono due tipi di acidi nucleici: il
DNA e l’RNA (catena polinucleotidica singola che fa da vettore
temporaneo di istruzioni molecolari).

IL DNA
Il DNA è una macromolecola (con una struttura
tridimensionale, la cui struttura più stabile è quella a
doppia elica, composta da due catene complementari
tenute insieme da legami a idrogeno) e veicola
l’informazione genetica.
Esso è costituito da una sequenza lineare di
nucleotidi (10 coppie di basi a ogni giro), che si
diversifica per la base azotata che li compone.
Il suo diametro è di 2 nanometri.
Risoluzione della struttura del DNA:
 Nel 1953 Watson e Crick proposero la struttura
a doppia elica del DNA; utilizzarono il metodo di Pauling di
identificazione di strutture proteiche usando semplici modelli a sfere
e bastoni;
 In realtà, l’esperimento più cruciale fu quello della diffrazione di
raggi X di Rosalind Franklin: venne isolato un campione di DNA a
cui venne scattata una fotografia dall’alto e si capì la struttura della
molecola.

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È possibile immaginare ogni catena di DNA come una collana: un’ossatura
di zucchero-fosfato (all’esterno) su cui sono infilati quattro tipi di perle (A,
C, T e G).
Gli organismi differiscono tra loro perché le loro molecole di DNA hanno
sequenze nucleotidiche diverse e quindi portano messaggi biologici
diversi.

Nucleotide = zucchero (ribosio per l’RNA e


deossiribosio per il DNA, ovvero zuccheri a
cinque atomi da carbonio che si numerano in
senso orario) + base azotata (possono essere 4:
guanina, citosina, adenina e timina;
appaiamento delle basi: A e T (due legami a
idrogeno), G e C (3legami a idrogeno) +
fosfato (gruppo carico negativamente che
conferisce una carica negativa al DNA).
NB C e T sono pirimidine, A e G sono purine,
inoltre la somma delle purine è sempre uguale a quella delle pirimidine.

L’uracile rimpiazza la timina nell’RNA (che quindi è molto simile al


DNA), e anch’essa si appaia con l’adenina.
Tra due nucleotidi si forma un legame fosfodiesterico (covalente): si
instaura tra il gruppo OH di un fosfato e un H del carbonio 3’ del
nucleotide dopo.

NB I legami a idrogeno sono meno stabili di quelli covalenti, e questo è


utile per la replicazione del DNA.
Il DNA è spiralizzato (minor ingombro, maggiore stabilità) ed è costituito
da due catene che hanno un orientamento:
3’5’
5’ 3’
Dunque: sono antiparallele (e complementari)
poiché hanno una polarità chimica opposta (si
riferisce al gruppo fosfato presente in 5’ e assente
in 3’, dove invece è presente il gruppo ossidrile
dell’ultimo nucleotide della catena).

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Il DNA è il depositario delle informazioni di una cellula, ed è una sorta di
codice che viene letto in un determinato modo e tradotto in qualcosa che
deve funzionare in un determinato modo: le proteine (espressione genica=
processo che porta alla sintesi di una proteina partendo dal DNA).
L’mRNA (trascritto nel nucleo) codifica per le proteine, ed esce dal nucleo
per essere tradotto nelle proteine (ciò avviene nei ribosomi del RER, del
citosol o dei mitocondri).

Esistono dei macchinari, utilizzati dai genetisti molecolari, che permettono


di leggere in ogni posizione la sequenza del DNA, permettendo di
comprendere le basi azotate che lo compongono, che sono diverse.
Questo è importante poiché è utile per la decodificazione del DNA, che
permette di comprenderne il significato.
NB Non tutto il DNA codifica,
sono presenti delle sequenze
che non corrispondono a geni
(non codificano per una
proteina).
Esoni corrispondono agli
amminoacidi, parti codificanti;
Introni  sono le parti che
verranno rimosse dopo la
trascrizione, sono le parti non
codificanti che vengono espulse durante il processo di splicing.

Nell’uomo sono presenti 3,2x109 coppie di nucleotidi (distribuite in 23 o 24


cromosomi) di cui il 95% non è codificante.
(Il genoma umano è 30 volte minore di quello di alcune piante, pertanto il
numero di nucleotidi non dipende dalla complessità!).

La molecola di DNA è lunga 2


metri, eppure il suo nucleo ha un
diametro di appena 5
micrometri, pertanto il DNA

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deve essere compresso circa 5000 volte per stare nella cellula, e ciò è
possibile grazie
a proteine, dette istoni, cariche positivamente in quanto contengono
amminoacidi basici, quindi si associano con il DNA che è carico
negativamente a livello dei fosfati, formando i nucleosomi.
Nucleosoma= 147 paia di basi arrotolate su un complesso formato da otto
proteine istoniche (H2A, H2B, H3 e H4, due per tipo), 60 paia di basi
separano due nucleosomi. Sul tratto di 60 basi è localizzato l’istone H1
(linker) su cui si avvolgono ulteriormente due nucleosomi adiacenti: si
forma una fibra di 60nm, queste fibre a loro volta formano delle strutture
ad ansa grazie ad una impalcatura geometrica. Le anse interagiscono tra di
loro per formare cromatina condensata, composta da DNA e proteine.
Cromosoma= struttura condensata di DNA (cromatina ipercondensata).

Regolazione dello stato di condensazione della cromatina

Nella cromatina sono presenti due stati:

Eterocromatina (è tutto il resto del DNA che non è trascrizionalmente


attivo, circa il 95%*) ed eucromatina (cromatina che deve
necessariamente de condensarsi, attraverso delle reazioni di
compattazione, per essere accessibile a proteine ed enzimi delle reazioni
metaboliche a cui il DNA va incontro).
NB la de condensazione avviene grazie a delle
proteine rimodellatrici della cromatina che
svolgono il nucleosoma con consumo di ATP,
oppure possono esserci delle modificazioni
chimiche introdotte o rimosse (metilazione,
fosforilazione o acetilazione) in modo
reversibile, pertanto aggiungo delle cariche
che deformano la struttura (più modificazioni introduco, più l’elica è
aperta).

*i geni che accidentalmente si condensano in eterocromatina difficilmente


riescono a essere espressi, e questo potrebbe anche causare alcune
malattie, come ad esempio l’anemia.

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L’esempio più sorprendente di come funziona l’eterocromatina nel
mantenere i geni inattivi, o silenziati, lo abbiamo nel cromosoma X.
Cromosoma X (detto anche fenomeno di Lyon) = per evitare uno
scompenso di geni tra maschio e femmina, uno dei due cromosomi X della
donna è trascrizionalmente disattivato, dunque è sempre condensato al
massimo. Questo è detto corpo di Barre.

Perché devo de condensarlo?


Per la replicazione e per la trascrizione!

Ogni cellula ha un ciclo cellulare, diviso in quattro


fasi (le prime 3 costituiscono l’interfase):
G1= fase di accrescimento (es trascrizione e
traduzione);
S= fase di replicazione del DNA;
G2= fase di preparazione alla divisione cellulare;
M= MITOSI (divisione cellulare: ottengo due
cellule figlie, ciascuna con un nucleo).

La duplicazione del DNA è semi-


conservativa:
- Ciascun filamento vecchio viene copiato
per mezzo di complementarietà delle basi;
- Affinché il riconoscimento avvenga i due
filamenti della doppia elica devono
separarsi;
- I nucleotidi appropriati vengono inseriti
nella catena nascente dalla DNA polimerasi
secondo la complementarietà delle basi.

Nelle cellule eucariote sono presenti centinaia di migliaia di siti d’inizio,


ovvero bolle di replicazione cioè zone in cui i due filamenti genitori si
aprono in senso opposto.

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Il nuovo DNA è polimerizzato sempre
secondo una direzione: da 5’-PO4 a 3’-
OH (ciò segue sempre la direzione della
forcella replicativa!), mentre la lettura
avviene nella direzione opposta: 3’-5’.
Dunque, il legame fosfodiesterico si
forma tra il 3’OH della catena nascente
e un fosfato 5’ del nucleotide da
incorporare (vengono incorporati
nucleotidi trifosfati e quindi si ha
liberazione di due gruppi fosfato:
l’energia è utilizzata per la reazione di
idrolisi).

Indipendentemente dal senso della forcella, la DNA elicasi si occupa di


spezzare i legami a idrogeno, mediando lo svolgimento della catena in
modo tale da aprire i due filamenti, che si aprirebbero creando delle
torsioni e degli avvolgimenti, se non ci fossero altri enzimi, detti
topoisomerasi, che diminuiscono lo stress torsionale a monte dell’elicasi.
Qui interverrà poi la ligasi per saldare il filamento.

Il processo di replicazione è molto veloce:

La DNA polimerasi capisce la base azotata del


nucleotide e cerca nel nucleo quello che si
appaia adeguatamente, in seguito polimerizza il
nuovo filamento.
Accade che la DNA polimerasi, in un filamento
(ritardato, opposto rispetto a quello guida
continuo), dovrebbe agire in senso opposto
rispetto alla direzione della forcella replicativa,
ma ciò comporterebbe una serie di errori,
pertanto procede a gambero, ovvero per
pezzetti chiamati frammenti di Okazaki:
ognuno di questi frammenti viene sintetizzato a
partire da filamenti di DNA grazie alla
presenza della RNA primasi, che forma una
sorta di innesco a doppia elica. Qui si lega la
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DNA polimerasi che aggiunge nucleotidi all’innesco. Di seguito un’altra
DNA polimerasi sostituisce l’RNA, che viene eliminato, con il DNA, in
modo tale da completare il filamento figlio, detto appunto frammento di
Okazaki.

Riasumendo:

Di seguito la ligasi lega i frammenti tra di loro attraverso un legame


fosfodiesterico, che richiede energia per la sua formazione e ciò è possibile
grazie alla presenza dell’ATP (un vettore energetico che fa da riserva di
energia e viene scisso in pirofosfato, che è utile, e adenosina, che invece
viene rilasciata).

La natura tenta di essere sempre conservativa, cioè ci sono più meccanismi


di riparo in atto in modo tale da evitare al massimo gli errori.
Ma ogni 107 nucleotidi incorporati, può esserci un errore e questo è il
preludio alle mutazioni del DNA.
La famiglia delle DNA polimerasi è quindi caratterizzata da tre fattori
importanti: velocità, fedeltà e completezza.
Essa, infatti, compie un’attività esonucleasica, in quanto è in grado di
rimuovere, in direzione 3’-5’, il nucleotide che ha erroneamente
incorporato.
Gli esseri umani hanno 12 o più DNA polimerasi, che possono essere di
tipo diverso:
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- Alfa, ha una sua subunità che funziona da primasi per sintetizzare il
filamento ritardato;
- Delta, si occupa di sintetizzare il filamento guida e segue la
direzione di apertura della forcella di replicazione;
- Gamma duplica il DNA mitocondriale;
- Epsilon e beta, utili per il riparo.

Il filamento ritardato di DNA (come quello guida) è


lineare, cioè ha un inizio e una fine; quest’ultima,
però, in questo caso non può essere copiata dalla
DNA polimerasi e pertanto si crea uno spazio vuoto
all’estremità del filamento.
A questo punto intervengono i telomeri, che sono
una serie di sequenze ripetute all’interno di DNA,
ovvero speciali proteine che non specificano per alcun gene e che vanno a
legarsi al filamento stampo per colmare lo spazio vuoto.
La telomerasi aggiunge le ripetizioni
telomeriche poiché essa all’interno contiene
un primer che è complementare alla sequenza
dei telomeri che devono essere aggiunti. A
questo punto, avviene un completamento del
filamento lento da parte della DNA
polimerasi, per duplicare la parte del
cromosoma che mancava.
Se questo problema di replicazione non si
risolvesse, i cromosomi lineari diventerebbero
progressivamente più piccoli.

Riassumendo:
- La telomerasi impedisce l’accorciamento di cromosomi;
- Attacca molte copie di sequenze ripetute di DNA alle estremità dei
cromosomi;
- Fornisce un sito a monte per il primer di RNA;
- La funzione della telomerasi si riduce con l’età, tanto più una cellula
è programmata a dividersi;
- La telomerasi è presente in cellule della linea germinale e nelle
cellule somatiche;
21
- L’inserimento di un gene di telomerasi altamente attivo nelle cellule
in un laboratorio determina che esse si dividano continuamente.

L’accorciamento progressivo dei telomeri correla con la senescenza


cellulare.

Approfondimento:
Una cellula tumorale è come se diventasse giovane, acquisisce infatti una
capacità di proliferazione cellulare indefinita. Nel 90% di tutti i tipi di
cancro umano, si trovano alti livelli di telomerasi. Ciò impedisce
l’accorciamento dei telomeri e può giocare un ruolo nella crescita continua
delle cellule cancerose.

Il DNA delle cellule somatiche specifica per le proteine (caratterizzate da


variabilità e da una struttura tridimensionali), che sono le effettrici delle
funzioni cellulari.

Caratteristiche dell’RNA:

- Presenta uno zucchero ribosio (in


posizione 2 ho l’ossidrile);
- A singolo filamento: non veicola
solo l’informazione genetica come
il DNA ma ha tante altre funzioni
grazie al fatto che può assumere
molte conformazioni differenti a
seconda dei legami intramolecolari
che si possono formare (quindi può
capitare che delle basi del
filamento si appaiano tra di loro).
- Ha struttura complessa anche se
non è a doppia elica;
- Uracile al posto della timina;
- Presenta anch’esso l’appaiamento
delle basi.

22
Il primo passaggio avviene nel nucleo e consiste nella trascrizione del
DNA per la sintesi dell’RNA, che è caratterizzato da un singolo filamento
in direzione 5’-3’, pertanto verrà letto in direzione opposta.

Al posto della DNA polimerasi, viene


utilizzata l’RNA polimerasi, che non
utilizza un innesco-primer e ha un tasso di
errore molto più alto,104, poiché non deve
essere ereditato da nessuno. Inoltre, il
trascritto di RNA a singolo filamento si
stacca dalla doppia elica quasi subito e
quindi è possibile sintetizzare nuove
molecole.

L’RNA può essere di diversi tipi (e non necessariamente deve


corrispondere a un gene):

1. RNA messaggeri (mRNA) che codificano per le proteine e possono


essere trascritti in copie multiple, espressione genica, o in copie
meno numerose;
2. RNA ribosomiali (rRNA) che formano il nucleo centrale del
ribosoma e catalizzano la sintesi proteica;
3. microRNA (miRNA) che regolano l’espressione genica legandosi
per complementarietà all’mRNA e impediscono che quest’ultimo
venga tradotto in proteine;
4. RNA transfer (tRNA) che fungono da adattatori tra l’mRNA e gli
aminoacidi nella sintesi delle proteine;
5. Altri RNA non codificanti (catalizzatori) che sono attivi nello
splicing, nella relazione dei geni, nel mantenimento dei telomeri e in
molti altri processi.

Per un gene esiste una solo un filamento


che codifica, e la scelta del filamento
stampo per ciascun gene è determinata
dalla posizione e dall’orientamento del
promotore (sequenza di DNA detta

23
consenso che non specifica per un gene, alla quale si lega l’RNA
polimerasi per iniziare la trascrizione).
Le sequenze consenso numerate (a partire dal sito di inizio) sono
importanti perché corrispondono a dei promotori (TATA box).
Ci sono poi delle sequenze di terminazioni in cui la RNA polimerasi si
stacca.
Negli eucarioti le RNA polimerasi sono più di una (differenza sostanziale
tra i batteri e le cellule eucariotiche):
- Le RNA polimerasi I e III trascrivono geni che codificano tRNA,
rRNA e miRNA;
- La RNA polimerasi II trascrive la maggioranza dei geni che
codificano per le proteine.

NB I procarioti hanno una sola RNA polimerasi, che è molto simile alla
polimerasi II degli eucarioti, ma ci sono due differenze sostanziali:

1. Mentre quella batterica più il fattore sigma possono iniziare la


trascrizione su uno stampo di DNA anche in vitro e senza altre
proteine, quella eucariotica richiede l’aiuto di diverse proteine
accessorie per iniziare a trascrivere (fattori trascrizionali generali*);
2. Negli eucarioti l’inizio della trascrizione deve tenere in conto lo stato
di compattamento della cromatina.

*questi fattori servono per piazzare la polimerasi sul promotore, iniziare la


trascrizione e rilasciare la polimerasi dal promotore quando inizia la
trascrizione. TFIID serve per iniziare l’attacco del complesso di
trascrizione ad una sequenza di DNA ricca di T e di A (TATA BOX)
piazzata a 25 basi dall’inizio della trascrizione. La trascrizione degli
eucarioti richiede la presenza di proteine regolatrici, dette attivatori
trascrizionali, che legandosi a specifiche sequenze di DNA aiutano la
polimerasi II a posizionarsi sul punto iniziale della trascrizione. Per
iniziare la trascrizione deve esistere un
complesso poli proteico detto mediatore
necessario a regolare le diverse proteine
attivatrici richieste per questo processo.

24
Dopo che il filamento di RNA è stato trascritto viene sottoposto a
modificazioni covalenti ad entrambe le estremità e alla rimozione di
sequenze introtiche: maturazione e splicing dell’mRNA. Queste
modificazioni consistono nell’aggiunta di un cappuccio al 5’ della
molecola, definito Cap (legame 5’5’) e di una coda poli A all’estremità
3’.

Cosa si intende per mRNA alternativo


(ISOFORME DI mRNA che da
luogo a ISOFORME di proteine)?
Lo splicing è il meccanismo di
maturazione dell’mRNA precoce,
mediante il quale si rimuovono gli
introni, ovvero le parti non
codificanti.
Ma per alcuni geni è possibile che gli esoni, in seguito allo splicing (di uno
stesso gene), non vengano incollati in modo consecutivo, questo perché lo
splicing salta delle porzioni. Questo porta ad un aumento della variabilità
funzionale, in quanto, essendo formate da amminoacidi diversi tra loro,
verranno tradotte in proteine leggermente differenti, dunque ogni isoforma
ha una determinata funzione.

Solo gli mRNA elaborati correttamente vengono processati e questo


processo selettivo è mediato dal complesso del poro nucleare che controlla
se le l’mRNA è maturo o meno, grazie alla presenza di determinate
25
proteine che si legano al cappuccio 5’, alla coda di poli-A oppure ai punti
di ricucitura dello splicing (giunzioni tra un esone e l’altro).
Solo l’mRNA maturo può essere tradotto in proteine, in quanto questo
contiene solamente gli esoni, che specificano per gli amminoacidi.
Le molecole di mRNA vengono poi degradate nel citosol.
(In generale, le proteine da produrre in grandi quantità vengono tradotte da
messaggeri a vita lunga).

Approfondimento:
Secondo una scuola di pensiero, le cellule primitive contenevano introni,
che sono andati perdendosi nell’evoluzione dei procarioti, che hanno
guadagnato rapidità ed efficienza produttiva.

LA TRADUZIONE

Per convertire l’informazione dall’RNA


alle proteine bisogna tradurre
l’informazione in un altro linguaggio
espresso in simboli diversi. Le regole per la
traduzione sono note come codice genetico.
Nel 1961 si scoprì che la sequenza dei
nucleotidi di un mRNA viene letta per
gruppi consecutivi di 3 nucleotidi (codone,
rappresenta o un amminoacido o un segnale
di stop di traduzione), pertanto le
combinazioni possibili sono 64; tuttavia gli
amminoacidi delle proteine sono 20, e ciò è
possibile in quanto il codice è ridondante (a
più amminoacidi corrisponde più di una
tripletta).

26
La traduzione dell’RNA è possibile grazie alla
presenza di adattatori, detti tRNA, sintetizzati dalla
polimerasi III e costituiti da poco più di 80 nucleotidi,
che riconoscono e si legano al codone.
Queste molecole sono ripiegate a doppia elica e la
molecola risultante prende la forma di un trifoglio, che
si ripiega ulteriormente in una struttura compatta a L,
stabilizzata da legami a idrogeno.
Due sono le regioni importanti nel tRNA, occupate da
nucleotidi non appaiati e situate ai poli opposti della
molecola:

1. Una di queste regioni forma l’anticodone, una serie di tre nucleotidi


consecutivi, capaci di appaiarsi al codone complementare in una
molecola di mRNA;
2. Breve tratto a singolo filamento posto all’estremità 3’ della molecola
ed è il sito in cui il tRNA si lega all’amminoacido che corrisponde al
codone.

Il riconoscimento e l’attacco del tRNA all’amminoacido corretto è resa


possibile da un enzima chiamato amminoacil-tRNA-sintetasi (diversa per
ogni amminoacido), capace di unire con un legame covalente ciascun
amminoacido al gruppo tRNA che gli corrisponde.
Per evitare errori il sistema possiede dei meccanismi di sicurezza che
fanno si che ci sia meno di un errore ogni 40.000 accoppiamenti.
Questa reazione porta alla liberazione di energia, che verrà consumata
nello stadio successivo della sintesi proteica (reazione di condensazione)
per stabilire un legame covalente tra il gruppo amminico
dell’amminoacido in arrivo e un gruppo carbossilico all’estremità della
catena polipeptidica in crescita.

Il ribosoma (due terzi rRNA, che non codifica per


dei geni ed è sintetizzato dalla polimerasi I nel
nucleolo,e un terzo proteine), non è un organello,
ma è fondamentale in questo processo, in quanto è

27
il macchinario necessario per la produzione di proteine, grazie alla
presenza degli rRNA.
Lo Svedberg (S) è un’unità di misura del tasso di sedimentazione
(calcolato dividendo la velocità di sedimentazione per l’accelerazione) che
non fa parte del Sistema Internazionale, e 1S è pari a 10-13 secondi.
Negli eucarioti sono presenti 4 diverse tipologie di rRNA, definiti dalla
loro velocità di sedimentazione: 18S, 5.8S, 28S (questi tre sono prodotti
dalla modificazione di un rRNA precursore di grosse dimensioni) e 5S
(tradotto dalla polimerasi III trascrivendo un gene localizzato in una
regione diversa dal genoma).
La subunità minore accoppia i tRNA ai codoni dell’mRNA, mentre la
subunità maggiore catalizza (velocizza) la formazione dei legami
peptidici. Le due subunità si associano su una molecola mRNA per
cominciare la proteinosintasi.
Il messaggero viene poi tirato e fatto scorrere in direzione 5’3’, come un
lungo nastro attraverso il ribosoma, che ne traduce la sequenza
nucleotidica in sequenza amminoacido, un codone alla volta.
Il ribosoma presenta tre siti:
 Il tRNA carico con l’amminoacido appropriato si lega nel sito A
(accettore);
 Esso viene unito alla catena peptidica attaccata al tRNA nel sito P
(peptide);
 Il tRNA, ormai scarico, passa poi al sito E (espulsore) per essere
rimosso.

28
Open reading frame: è un codice di punteggiatura che permette solo uno
dei tre quadri di lettura (+3, +2, +1) della molecola di RNA.
Nella cellula è necessario un segnale di inizio specifico per la traduzione:
AUG, che si associa a un tRNA
iniziatore, che reca sempre
l’amminoacido metionina (si diversifica
dalle altre non iniziali poiché presenta
una sequenza consenso, cioè sequenze
specifiche molto conservate), la prima
sintetizzata in tutte le molecole proteiche.
Questo complesso si associa al sito P grazie alla presenza di fattori di
inizio della traduzione: il tRNA iniziatore, carico, è in grado di legarsi al
sito P; in seguito, la subunità ribosomiale minore caricata con il tRNA
iniziatore si lega all’estremità 5’ di una molecola di mRNA, riconoscibile
dal cappuccio.
La presenza di uno dei codoni di terminazione (UAA, UAG, UGA), che si
lega a dei fattori di rilascio, segnala la fine del messaggio che codifica la
proteina.
Questi codoni non specificano alcun amminoacido, ma segnalano al
ribosoma di terminare la traduzione.

29
Al posto di una molecola di amminoacido, viene aggiunta una molecola di
acqua; questa reazione libera il carbossiterminale della catena peptidica dal
suo legame con una molecola di tRNA (dato che questo è l’unico legame
che mantiene il polipeptide in allungamento sul ribosoma, la catena
completa viene rilasciata immediatamente).
Le proteine richiedono poi la presenza di chaperoni molecolari per
ripiegarsi correttamente.
NB la sintesi di una proteina richiede solitamente da 20 secondi a diversi
minuti, ed esse vengono sintetizzate sui poliribosomi (= grossi aggregati
citoplasmatici costituiti da molti ribosomi su una molecola di mRNA,
distanziati tra loro di circa 80 nucleotidi).
Da 1 mRNA si possono tradurre tantissime copie di una proteina (massimo
50.000 diverse, ma ognuna può essere espressa in numerose copie).

Importante: la traduzione può avvenire nel citosol, in particolare nei


ribosomi liberi, oppure sulla membrana esterna del RER, o nei mitocondri
(in piccole quantità).

LE PROTEINE

Il risultato della traduzione consiste nella sintesi


delle proteine, come polimeri.
Il massimo numero possibile di differenti proteine
sono quelle codificate da 50.000 geni, alcuni
30
possono essere trascritti in geni alternativi e tradurre proteine lievemente
differenti tra loro.

 Le cellule dei viventi contengono un corredo estremamente


diversificato di molecole proteiche, ciascuna costituita da una catena
lineare di amminoacidi uniti da legami covalenti;
 Ogni tipo di proteina ha una sequenza amminoacidica unica che
determina sia la sua forma tridimensionale, un’architettura
stabilizzata da interazioni non covalenti tra diverse parti della
molecola (esistono proteine dette chaperoni molecolari che assistono
le proteine nel loro folding o ripiegamento), che la sua attività;
 Esse vengono classificate a seconda della funzione in: enzimi
(catalizzano la rottura e la formazione di legami covalenti), proteine
strutturali (forniscono supporto meccanico a cellule e tessuti), di
trasporto (rendono possibile dei movimenti da una parte all’altra di
molecole e ioni), motrici ( generano movimento nelle cellule e nei
tessuti), di accumulo (legano amminoacidi e ioni per essere
conservati), di segnale cellulare (modificano altre proteine in cascate
molecolari e che veicolano un altro tipo di informazione da una
cellula all’altra), recettori (rivelano segnali e li trasmettono ai
dispositivi di risposta delle cellule) e regolatrici di geni (si legano al
DNA per attivare o disattivare i geni);
 La lunghezza varia da 30 a 10000 amminoacidi, ma per lo più sta tra
50 e 2000;
 Una molecola di proteina è composta da una lunga catena di questi
amminoacidi uniti da un legame peptidico, formando cosi dei
polipeptidi. L’ordine degli amminoacidi, detto sequenza
amminoacidica, è unico per ogni tipo di proteina.
 Ogni molecola ha un’ossatura polipeptidica, costituita da una
sequenza ripetuta di atomi base (-N-C-C) e una direzionalità:
dominio N-terminale o dominio C-terminale. Dall’ossatura si
dipartono le catene laterali, che possono essere di diverse tipologie.
ES: un fattore importante che regola il ripiegamento di una proteina è
la distribuzione dei suoi amminoacidi polari e non polari. Le catene
laterali non polari tendono a raggrupparsi all’interno della proteina
ripiegata, in modo tale da riuscire a sfuggire al contatto con il citosol
acquoso in cui sono immerse. Invece le catene polari tendono a

31
collocarsi verso l’esterno, dove stabiliscono legami a idrogeno con
l’acqua e con altre molecole polari (con altri amminoacidi polari).
 Le proteine si dispongono nella loro conformazione stabile, che
comporta il minor dispendio di energia, dunque il ripiegamento è
positivo dal punto di vista energetico; esse si possono anche
denaturare, eliminando le interazioni non covalenti, ma, in
condizioni standard, eliminando il solvente
denaturatore, spesso la proteina si rinatura.
Ma ci sono delle eccezioni: le proteine
misfolded-aggreganti, la cui conformazione è
indotta a cambiare da altre proteine (proteina
prionica, alfa sinucleina e APP) che causano
degli stress al neurone e lo portano alla morte,
quindi stanno alla base di patologie
neurodegenerative;
Es: la proteina prionica, che, a seguito di un cambiamento
amminoacidico, cambia conformazione e quindi cambia anche
funzione; essa induce poi altre proteine normali ad assumere questa
conformazione aberrante che tende a consolidare più proteine in
aggregati mutati dello stesso tipo, formano una sorta di blocchi che
impediscono alla cellula il corretto funzionamento, fino ad un
disordine protestantico che porta alla morte del neurone.
 Il ripiegamento è assistito da altre proteine dette chaperoni
molecolari, che rendono il processo più sicuro ed efficace.
NB la forma tridimensionale delle proteine rimane specificata dalla
sequenza amminoacidica.

LA STRUTTURA DELLE PROTEINE

Le proteine possono avere una sequenza primaria (sequenza


amminoacidica), secondaria (elica alfa e piano beta), terziaria (elica alfa,
piano beta, avvolgimenti caotici, anse o pieghe tra l’N- e il C- terminale,
fino alla formazione di domini) oppure quaternaria (costituita da più
catene polipeptidiche e ciò avviene grazie ad una reazione di
condensazione mediata dalla cessione dell’energia dall’ATP, prodotta
dall’idrolisi di nucleosidi trifosfati.). L’unità organizzativa è il dominio
proteico, definibile come una qualunque parte di catena polipeptidica che
può ripiegarsi indipendentemente in una struttura compatta e stabile
32
(comprende dai 40 ai 350 amminoacidi) ed è l’unità modulare di cui sono
costituite molte proteine di grandi dimensioni.
Esistono regioni di catene senza una struttura definita (sequenze
intrinsecamente disordinate), che vengono rivelate tramite cristallografia
a raggi X, e che svolgono delle funzioni importanti: hanno la capacità di
piegarsi, flettersi e pertanto sono in grado di avvolgersi introno a una o più
proteine bersaglio, facilitando le interazioni. Inoltre, sono il substrato
ideale per l’aggiunta di gruppi chimici.
Per un polipeptide lungo n amminoacidi sono possibili 20 n combinazioni
diverse, ma solo una piccola frazione di questo numero è presente nelle
cellule, a causa di una selezione naturale.

STRUTTURA PRIMARIA:

1. Il nucleoside è una molecola formata da due elementi, un composto


con anello azotato (base) ed uno zucchero a cinque atomi di carbonio
(ribosio o deossiribosio);
2. Un nucleoside dotato di uno più gruppi fosfato legati allo zucchero si
chiama nucleotide;
3. ATP è un nucleotide la cui reattività dipende dai gruppi fosfato
laterali e partecipa al trasferimento di energia di centinaia di reazioni
cellulari; è sintetizzato per mezzo di reazioni alimentari dall’energia
che si libera nella degradazione ossidativa delle sostanze nutritive e i
suoi 3 fosfati sono legati mediante due legami fosfoanidride la cui
rottura libera grandi quantità di energia utilizzabile.

33
A seconda del tipo di catena laterale, le proteine possono avere delle
conformazioni completamente diverse.

Le strutture secondarie, terziarie e quaternarie si realizzano mediante una


specifica conformazione che le proteine possono assumere attraverso
legami deboli non covalenti (van der Waals, ponti idrogeno, attrazioni
elettrostatiche, legami ionici ecc.)

STRUTTURA PRIMARIASECONDARIA

 La struttura di una proteina ripiegata su sé stessa


si stabilizza tramite interazioni non covalenti che
si instaurano tra parti diverse della catena
polipeptidica.

 Legami a idrogeno tra i gruppi N-H e C=O dell’ossatura


polipeptidica possono dare origine a disposizioni regolari e ripetitive,
note come elica alfa (genera un avvolgimento regolare destroso con
un giro completo ogni 3,6 amminoacidi) e piano beta (può essere
34
parallelo o antiparallelo a seconda della polarità; questo formano la
parte più interna di molte proteine e permettono la formazione di
fibre amiloidi, aggregati proteici non solubili che possono essere utili
per portare a termine nuovi compiti) .

NB la spirale è una forma diffusa nelle catene biologiche.

Esempio: proteine trasmembrana = la parte


idrofobica è esterna.
Il lato idrofobico delle catene amminoacidiche esterno
apolare che formano l’elica alfa va a contatto con le
molecole fosfolipidiche, mentre le parti idrofiliche
della molecola formano legami a idrogeno all’interno
della spirale.
Esempio numero due:
proteine citoplasma= la
parte idrofilica è esterna.

35
La spirale è ritorta: amminoacidi non polari in a e d; le due eliche possono
avvolgersi in un’elica caratterizzata da una struttura superavvolta (coiled-
coil). Dunque, le catene apolari che interagiscono lasciano le catene
laterali idrolifiche esterne per reagire con l’acqua, mentre le catene
idrofobe si trovano all’interno.
Il foglietto beta può essere parallelo o antiparallelo:

  Nella struttura di molte proteine sono individuabili regioni


limitate di forma globulare compatta, note come domini proteici.

STRUTTURA SECONDARIA  TERZIARIA

Ciò avviene quando elementi di struttura


secondaria come le eliche alfa e i piani beta si
compattano in strutture terziarie di forma
globulare stabili ed indipendenti denominate
domini (le proteine solitamente hanno uno o più
domini).
Due domini sono tenuti insieme da parti non
strutturate della catena, flessibili.

NB Per un peptide lungo n amminoacidi sono possibili 20 n combinazioni


diverse, ma solo una parte assume una conformazione stabile.

STRUTTURA TERZIARIA QUATERNARIA

36
Molte proteine attuali sono raggruppabili in famiglie di proteine, in cui
ogni membro presenta una sequenza amminoacidica e una conformazione
tridimensionale molto simile a quella degli altri membri.

Le proteine possono legarsi fra loro formando degli aggregati più grandi:
ogni zona della superficie proteica che entra in rapporto con un’altra
molecola attraverso delle interazioni non covalenti si chiama sito di
legame. Ogni catena polipeptidica che faccia parte di una proteina così
strutturata si chiama subunità proteica e ciascuna può comprendere più
domini.
Nel caso in cui due catene polipeptidiche si uniscono, si forma un dimero.

ES: l’emoglobina,
costituita da due
coppie di globulina
alfa edue coppie di
globulina beta.

Le proteine possono aggregarsi in filamenti, strati o globuli:


Nel caso più semplice, molecole identiche formano una catena con un
andamento a elica; una disposizione di questo tipo può dare luogo a un
filamento proteico lunghissimo.
Ad esempio, un filamento di actina è costituito da subunità proteiche
identiche.

Alt
ri

insiemi di proteine identiche si aggregano


formando tubi.
Le proteine possono essere globulari, in cui la
catena polipeptidica si ripiega formando un
aggregato sferico con all’esterno una superficie

37
irregolare, oppure fibrose, caratterizzate da una forma tridimensionale
allungata (es. collagene ed elastina).
Molte proteine sono attaccate all’esterno della membrana plasmatica o
vengono secrete come parte della matrice extracellulare.
Per mantenere al meglio la loro struttura le catene polipeptidiche di queste
proteine spesso si stabilizzano attraverso legami covalenti crociati: i più
comuni sono i ponti disolfuro (legami covalenti S-S che non si formano
nel citosol, in quanto verrebbero idrolizzati in gruppi SH della cisteina
dagli agenti riducenti), che fanno da “graffetta atomica”, un dispositivo di
fissaggio.

IL FUNZIONAMENTO DELLE PROTEINE

Nelle proteine forma e funzione sono inestricabilmente connesse.


Tutte le proteine legano altre
molecole (ligando) e molti
legami determinano la
specificità (il ligando deve
combaciare bene con la
proteina legante, così
aumentano i legami). La
capacità di una proteina di
attaccarsi al suo ligando è dovuta alla formazione di una serie di
interazioni non covalenti sommate a forze idrofobe favorevoli e ciò

38
diventa possibile solo se i contorni di superficie del ligando sono
perfettamente complementari alla proteina.

La regione di una proteina che interagisce con il ligando, nota come sito di
legame, consta solitamente di una cavità superficiale su cui gli
amminoacidi (appartenenti a tratti della catena polipeptidica distanti) si
affacciano in una conformazione particolare.

Esempio: gli anticorpi.


Essi sono delle immunoglobuline prodotte dal sistema immunitario in
risposta a molecole estranee. Ogni anticorpo lega la sua molecola bersaglio
in modo molto forte, inattivandola direttamente o segnalandola.
L’anticorpo riconosce il suo bersaglio (detto antigene) con specificità
notevole, pertanto dobbiamo essere capaci di produrre miliardi di anticorpi
diversi.
Gli anticorpi sono molecole a forma di Y con due siti di legame identici
(formati da varie anse di catena polipeptidica sporgenti all’estremità di due

39
domini proteici prossimi e giustapposti), ognuno dei quali è
complementare a una piccola parte della superficie antigenica.

STRUTTURA E FUNZIONE DELLE PROTEINE

 La funzione biologica di una proteina dipende dalle proprietà


chimiche di zone particolari della sua superficie e dalle modalità di
interazione con molecole specifiche dette ligandi (es. gli enzimi).
 Gli enzimi sono proteine che, dopo aver legato strettamente molecole
specifiche, dette substrati, catalizzano in esse la formazione e la
rottura di legami covalenti senza alterare la propria struttura. Classi
funzionali di enzimi:

Ogni tipo di enzima è


altamente specifico e catalizza solo un tipo di reazione. Gli enzimi
lavorano spesso in batteria, in modo che il prodotto di uno diventi il
substrato del successivo; ne deriva una rete complicata di vie metaboliche
che fornisce alla cellula l’energia e le molecole grandi e piccole di cui ha
bisogno.

40
 Quasi
tutti gli
enzimi
sono

proteine allosteriche che esistono in due conformazioni diverse


quanto ad attività catalitica.
 L’enzima può essere acceso o spento da ligandi che gli si associano a
un sito di regolazione distinto, stabilizzandone la conformazione
attiva o inattiva.
 L’attività di quasi tutti gli enzimi cellulari è rigorosamente
controllata, grazie alla presenza di diversi livelli di controllo:
i) Espressione genica;
ii) Regolazione della degradazione: posso distruggerla per far sì che
non funzioni più;
iii) compartimentalizzazione in membrane o
organelli;
iv)Regolazione più rapida data da modifica della
proteina stessa: feedback negativi (impedisce
all’enzima di funzionare) e positivi (l’attività
enzimatica viene stimolata anziché repressa) o modificazioni
chimiche (Fosforilazione, acetilazione, ubiquitilazione, che
provoca la degradazione,e legame con molecola di GTP).

41
Fosforilazione: consiste nella formazione di
un legame covalente tra un gruppo fosfato e
una o più catene laterali amminoacidiche.
L’aggiunta o la rimozione di gruppi fosfato da
proteine specifiche avviene in risposta a
segnali volti a indurre un cambiamento dello
stato cellulare. Tale reazione ha come
catalizzatore una proteina chinasi, mentre la
defosforilazione ha come catalizzatore la
proteina fosfatasi. Questo processo può
stimolare l’attività di una proteina, oppure
inibirla. Tuttavia, è un processo costoso in
termini energetici poiché viene idrolizzata una
molecola di ATP per ogni ciclo compiuto.

Le proteine associate al GTP (guanina trifosfato) si trovano in


conformazione attiva quando hanno il GTP legato. Per passare alla
conformazione inattiva deve idrolizzare il GTP in GDP, liberando un
fosfato.

v) L’inibizione retroattiva regola il flusso della via biosintetica.

IL

CITOSCHELETRO
42
È una fitta rete di filamenti di natura proteica che attraversa il citoplasma
ed è l’ossatura e la muscolatura della cellula. Inoltre, è una struttura non
statica ma altamente dinamica che conferisce alla cellula:
 La capacità di muovere materiale/vescicole ecc.
 Un’organizzazione interna agli organelli;
 La resistenza alla pressione, sennò la cellula collasserebbe;
 Una morfologia definita: ogni cellula ha una forma ben definita;
 La divisione cellulare;
 Il movimento cellulare.

Il citoscheletro è organizzato in tre sottoclassi:

I FILAMENTI INTERMEDI

Sono distribuiti in tutto il volume della celulla e


formano un reticolato che abbraccia il nucleo e
attraversa tutto il citoplasma raggiungendo la
periferia delle cellule, dove si attaccano alla
membrana plasmatica in corrispondenza di
giunzioni tra cellule chiamate desmosomi
(unione giunzionale tra membrane plasmatiche
sul lato esterno di cellule adiacenti).
I filamenti intermedi si trovano anche all’interno del nucleo delle cellule
eucariotiche, dove formano la lamina nucleare, un reticolo che sostiene e
rafforza l’involucro nucleare.
43
Sono i più robusti in quanto sono in grado di sopportare tensioni
meccaniche da stiramento.

Le subunità dei filamenti intermedi sono proteine filamentose, composte


ciascuna di una testa globulare all’estremità amminica, di una coda
globulare all’estremità carbossilica e di un dominio centrale a forma di
bastoncello allungato. Questo dominio consiste di una regione distesa a
elica alfa ì, mediante la quale le proteine dei filamenti formano dei dimeri
stabili, avvolgendosi l’una attorno all’altra in una conformazione a elica
superavvolta. Due di questi dimeri che corrono in direzioni opposte si
associano in un tetramero. Due di questi tetrameri si uniscono poi sia testa-
coda, sia lateralmente generando il filamento intermedio finale. Tutte le
interazioni tra le proteine del filamento intermedio dipendono da legami
non covalenti.

Pertanto, costituiscono un classico esempio di struttura quaternaria.

Alle estremità (testa e coda globulare) ha delle cariche idrofiliche in grado


di stabilire dei legami ad idrogeno con l’acqua.

44
Epidermolisi bollosa semplice: malattia genetica, mutazioni dei geni delle
cheratine interferiscono con la formazione dei filamenti nell’epidermide.
La pelle risulta estremamente vulnerabile ai danni meccanici.

Filamenti intermedi della làmina nucleare

o Sono costituiti da lamìne (proteine);


o Serve a conferire rigidità al nucleo;
o Il nucleo si disgrega nella divisione cellulare insieme alla làmina che
viene fosforilata, mentre al termine della divisione avviene la
defosfrilazione che la fa riassociare;
o Fosfo e defosforilazione avvengono nelle teste globulari dei filamenti
intermedi,
o Se le lamìne non sono presenti, ci sono delle mutazioni genetiche
associate:
 Progeria invecchiamento preococe da danno al nucleo, apoptosi
generalizzata (Sam Burns);
 Neuropatie;
 Cardiomiopatie.

45
La plectina (verde) lega i filamenti intermedi (azzurri) a microfilamenti di
actina e ai microtuboli (rossi).
Ha una funzione indispensabile per conferire alle cellule la robustezza
necessaria per resistere alle sollecitazioni meccaniche.

I MICROTUBOLI

NB Non esistono microtuboli nel nucleo, ma solo nel


citoplasma.

Sono dei polimeri che si originano come strutture


quaternarie complesse, il cui monomero è la tubulina,
a partire da un centro organizzatore di microtuboli, il
centrosoma (struttura di proteine con una coppia di
centrioli). Quando la cellula entra in mitosi, i
microtuboli si disassemblano e poi si riassemblano in
una struttura complessa detta fuso mitotico. Essi
possono anche formare strutture permanenti, come
nel caso di ciglia e flagelli.

Le ciglia servono, ad esempio, per muovere fluidi o eliminare corpi


estranei. Sono quindi dei sensori di movimento.

46
 Sono cilindri cavi (con un lumen) e rigidi,
formati per polimerizzazione di subunità
dimeriche di tubulina (alfa e beta)
saldamente unite da legami non covalenti.
Ognuno di questi microtuboli è costituito da
13 protofilamenti paralleli, ciascuno dei
quali è una catena di subunità di tubulina
alfa e beta alternate nel senso della
lunghezza.
Sono strutture dotate di polarità, avendo una estremità meno
(tubulina alfa) a crescita relativamente lenta e una estremità più
(tubulina beta) a crescita relativamente rapida;
 Essi trovano come punto di nucleazione appositi centri organizzatori,
come il centrosoma, da cui crescono verso l’esterno. Le estremità
meno dei microtuboli sono immerse in questo centro organizzatore.
 Molti microtuboli cellulari si
trovano in uno stato labile e
dinamico, in cui si alternano fasi di
allungamento a fasi di
accorciamento. Queste transizioni,
chiamate nel complesso instabilità
dinamica, dipendono dall’idrolisi
del GTP legato ai dimeri di tubulina.
 Ogni dimero di tubulina porta legata strettamente una molecola di
GTP che si idrolizza a GDP dopo che la tubulina ha polimerizzato
nel microtubulo. L’idrolisi di GTP riduce l’affinità tra dimeri
adiacenti e quindi la stabilità del polimero, facendolo dissociare a
una estremità e ne causa quindi l’accorciamento rapido.
Le molecole di tubulina GDP liberate vanno ad accrescere la riserva
di subunità libere nel citosol (scorta per la formazione di nuovi
microtuboli, in quanto scambiano la GDP con la GTP).

47
I centrosomi sono fatti di una
matrice di proteine su cui sono
adagiate strutture ad anello
composte da tubulina gamma
(ciascuno di questi fa da sito di
nucleazione per la crescita di un
microtubulo) Al centrosoma è
attaccata l’estremità meno (alpha
tubulina), mentre la più in
accrescimento è diretta e
polimerizza verso la periferia. Nei
centrosomi ci sono anche due
centrioli composti da un cilindretto
di microtuboli più corti, orientati
perpendicolarmente tra loro e
circondati da matrice proteica.

Come già detto, i microtuboli accrescono o si accorciano rapidamente


secondo un’instabilità dinamica: solo se un’estremità più è ancorata ad un
organello o coniugata con una proteina che ne impedisce la
depolimerizzazione, il microtubulo è stabile, accorciare (capping
proteins).

Questa capacità è sfruttata dai farmaci antitumorali, che ne impediscono la


polimerizzazione poiché legano dimeri di tubulina. Es Colchicina,
Vincristina e Vinblastina.
Sono tossici perché si legano alle cellule di tutti i tessuti, e non solo di
quelli tumorali. Pertanto, causano anemia, poiché depletano le cellule del
sangue, causando l’immunodepressione.

48
Il Taxolo invece impedisce la depolimerizzazione, saldandosi ai
microtuboli polimeri e impedisce a loro di accorciarsi. Ma anche esso
arresta la mitosi. Pertanto, il funzionamento del fuso richiede che i
microtuboli possano disassemblarsi, oltre che assemblarsi.

(Cellula neuronale: i microtuboli servono per il trasporto veloce di materia


sia in senso centrifugo che centripeto).

Le cellule contengono molte proteine che


si associano ai microtuboli, li
stabilizzano, li legano ad altri
componenti cellulari e li adattano a
funzioni specifiche (ad esempio le
chinesine, centrifughe, e le dineine,
centripete, sono proteine motrici che
utilizzano l’energia di idrolisi dell’ATP per spostarsi unidirezionalmente
lungo i microtuboli).

Il tutto avviene grazie alla presenza di teste globulari (enzimi che


catalizzano l’idrolisi di ATP) che interagiscono per affinità di legame con
alfa e beta della tubulina. Hanno inoltre delle strutture secondarie che
49
hanno un’affinità di legame conformazionale con la materia che deve
essere trasportata.

NB Le ciglia e i flagelli contengono un fascio di microtuboli stabili. Il loro


battito si deve al piegamento dei microtuboli, prodotto da una proteina
motrice detta dinenina ciliare, alla quale si deve la flessione del fusto
centrale.

LE CIGLIA (estroflessioni della membrana plasmatica che al loro interno


hanno i microtuboli, pertanto sono rigide e dotate di movimento).

FLAGELLI (struttura a coda


formata da microtuboli ed è
circondato da membrana
plasmatica). Essi compiono un
movimento ondulatorio che fa
avanzare la cellula nel liquido.
Alcuni difetti delle dineina
ciliare sono la causa della
sindrome di Kartanger: gli
uomini con questo difetto sono
sterili.

MICROFILAMENTI

 Sono più infilabili in strutture più piccole e hanno una dinamica


elevatissima e permettono le deformazioni della membrana
plasmatica, poiché si trovano al di sotto.

50
 Tutta una serie di proteine che legano
l’actina globulare è necessaria per fare
procedere il margine guida di una cellula
margine, per farla aderire al substrato e
farle spostare la sua massa dal margine
posteriore in avanti. Tutti questi processi
sono innescati da stimoli che agiscono via
proteine che legano GTP.
 Le miosine sono proteine motrici che
usano l’energia di idrolisi dell’ATP per spostarsi lungo i filamenti
actinici, esse possono usarli come cremagliere per trasportare
organelli o farli scorrere uno sull’altro nei fasci contratti.
 Nel muscolo, filamenti di actina e miosina in gran numero, allineati e

sovrapposti, generano la contrazione


scorrendo gli uni sugli altri, ed essa è innescata da un rialzo
improvviso della concentrazione citosolica di Ca2+, che manda un
segnale all’apparato contrattile tramite proteine che legano ioni
calcio.
 Come per i microtuboli, il legame di un monomero di actina con
l’ATP è più veloce dell’idrolisi dell’ATP ad ADP, quindi il filamento
accresce.
51
 La polimerizzazione avviene a
ridosso della membrana plasmatica
dipende dalla concentrazione di
monomeri di actina: se la
concentrazione è alta, ci sarà
accrescimento in entrambe le
estremità; se è bassa, accresce solo
all’estremità più e la meno viene
idrolizzata con ADP.
TREADMILLING: quando un
singolo monomero si sposta dalla
più alla meno.
 Il filamento di actina può rimanere
di lunghezza costante se la velocità
di assemblaggio è uguale al
disassemblaggio alla meno.

Ci sono proteine che determinano la direzione di polimerizzazione e la


quantità di actina globulare che deve essere prodotta.

In una tipica cellula animale, l’actina rappresenta circa il 5% delle proteine


totali; la metà circa si trova nei filamenti di actina, mentre l’altra metà è
libera nel citosol in forma monomerica. Nelle cellule ci sono delle piccole
proteine, come la timosina e la profilina, che si legano ai monomeri di
actina nel citosol e impediscono loro di unirsi alle estremità dei filamenti
di actina. Quando servono filamenti di actina, altre proteine come le
formine e le proteine associate all’actina, ne promuovono l’assemblaggio.

52
Un esempio è dato dalla
profilina, che si lega ai
monomeri impedendone
la polimerizzazione.
Se fosforilata cambia
conformazione e
cambia l’affinità di
legame con i monomeri
di actina, che si
liberano.

Nelle cellule c’è una grande quantità di proteine capaci di legarsi all’actina
e che ne determinano il senso di polimerizzazione. La maggior parte si
lega però ai filamenti già formati, modificandone il comportamento. Ad
esempio:

1) Le proteine organizzatrici dei fasci raggruppano i filamenti in fasci


paralleli nei microvilli;
2) Nel cortex cellulare (lo strato specializzato di citoplasma che si
trova appena al di sotto della membrana plasmatica) altre proteine di
collegamento tengono insieme i filamenti in un reticolo simile a un
gel;
3) Le proteine di frammentazione, quale la gelsolina, tagliano i
filamenti in pezzi più corti e possono quindi convertire il gel di
actina in uno stato più fluido.
4) Le proteine motrici si legano al filamento e, o formano dei fasci
contrattili, come nelle cellule muscolari, o funzionano per il trasporto
di organelli.
5) Le proteine cappuccio che bloccano i filamenti di actina ad una
estremità e ne impediscono la depolimerizzazione.

L’actina è maggiormente concentrata in uno strato, detto cortex cellulare,


che si trova appena sotto la membrana plasmatica. Qui, i filamenti di

53
actina sono uniti da proteine in un reticolo che sostiene la superficie della
cellula e le conferisce resistenza meccanica.

Es. gli eritrociti, la cui forma discoidale si mantiene grazie al sostegno


offerto da una rete di proteine fibrose attaccate alla membrana plasmatica.

Altre cellule animali hanno invece un cortex più complesso e di maggiore


spessore e ciò è dovuto alla presenza di una fitta rete di filamenti di actina
(oltre che spettrina e anchirina) che si addentrano nel citoplasma e si
collegano per formare un reticolato tridimensionale. Questa rete di actina è
in grado di controllare i cambiamenti di forma e la locomozione (la
possibilità di spostamento) delle cellule e le proprietà meccaniche della
membrana plasmatica.

Molte cellule eucariotiche si spostano strisciando sulle superfici (substrato,


vedi giallo sotto) e per fare ciò sono necessari tre processi fondamentali:

1) La cellula emette delle propaggini


(ramificazioni) al suo margine
guida, cioè il fronte in
avanzamento;
2) Le propaggini aderiscono alla
superficie sulla quale la cellula sta
strisciando;
3) Il resto della cellula si trascina in
avanti grazie alla trazione che
esercita su questi punti di
ancoraggio delle integrine.

Tutti e tre i processi coinvolgono l’actina.


La prima fase è promossa dalla polimerizzazione dell’actina. Il margine
guida di un fibroblasto in cultura emette a intervalli regolari sottili
propaggini lamellari dette
lamellipòdi, che contengono una
fitta rete composta di filamenti di
actina, che hanno l’estremità più
vicina alla membrana plasmatica.
Molte cellule emettono dei
54
prolungamenti sottili e rigidi detti filopòdi, sia al margine guida che in
altri punti della superficie. Queste appendici hanno uno spessore di 0,1
micrometri e una lunghezza di 5-10 micrometri e contengono un fascio
lasso di 10-20 filamenti di actina, disposti con l’estremità più verso
l’esterno. Entrambi sono strutture di esplorazione mobili che si formano e
si retraggono con grande rapidità e si ritiene che si formino per il rapido
allungamento locale di filamenti di actina, che si assemblano presso la
membrana plasmatica e si allungano per l’aggiunta di monomeri
all’estremità più. In tal modo i filamenti spingono la membrana al di fuori
senza strapparla. La formazione e l’accrescimento dei filamenti di actina
sono coadiuvati da varie proteine accessorie che legano l’actina. Un
gruppo di queste proteine, le proteine associate all’actina (ARP)
promuove la formazione di una rete di filamenti di actina ramificati nei
lamellipodi. Questi si legano a filamenti preesistenti e nucleano la
formazione di nuovi filamenti, orientati ad angolo rispetto a quelli
preesistenti. Questa rete continua ad assemblarsi e disassemblarsi,
spingendo il lamellipodio in avanti.

L’altro tipo di propaggine, il filopodio, si basa sull’azione di proteine


chiamate formine, che si attaccano all’estremità più in allungamento dei
filamenti di actina e promuovono l’aggiunta di nuovi monomeri, favorendo
la formazione di filamenti dritti e non ramificati (al contrario dei
lamellipodi).

Quando vengono a contatto con una


superficie adatta, i lamellipodi e i
filopodi vi aderiscono: proteine integrali
della membrana plasmatica, note come
integrine, si uniscono a molecole della
matrice extracellulalre o della superficie
di una cellula vicina sopra la quale la
cellula migrante sta strisciando. Nel
frattempo, sul lato interno della
membrana plasmatica, le integrine
catturano filamenti di actina, offrendo
cosi al sistema citoplasmatico formato da
questi filamenti un solido ancoraggio.
Per utilizzare questo ancoraggio e
55
trascinarsi in avanti la cellula può contare sull’aiuto delle proteine motrici
della miosina.

NB margine guida della cellula = leading edge.


Le protrusioni di membrana (frecce azzurre): la polimerizzazione spinge
verso il lato della freccia, la depolimerizzazione fa si che questa avanzi in
un fronte solo.

Tutte le proteine motrici che dipendono dall’actina appartengono alla


famiglia delle miosine, che legano l’ATP e lo idrolizzano, procurandosi
l’energia per spostarsi lungo i filamenti di actina dall’estremità meno
all’estremità più. Nelle cellule ci sono svariati tipi di miosina; le
sottofamiglie più importanti sono quelle della miosina I (che si trova in
tutti i tipi di cellule) e della miosina II (presente nelle cellule muscolari).

MIOSINA I

Le molecole di miosina I hanno una testa e una coda. Il dominio della testa
interagisce con i filamenti di actina e ha un’attività motrice alimentata
dall’idrolisi di ATP, che permette alla molecola di spostarsi lungo i
filamenti secondo un ciclo ripetuto legame-distacco-legame. La coda è
diversa nei diversi tipi di miosina I e determina quali componenti cellulari
saranno trascinati dal motore proteico.

L’attività dell’actina è modificata da sequenze extracellulari, che fanno si


che la cellula riorganizzi il citoscheletro in risposta all’ambiente. Tali
riorganizzazioni sono innescate dall’attivazione di vari recettori proteici
inseriti nella membrana plasmatica che, a loro volta, attivano diverse vie di
segnalazione intracellulare. Questi segnali convergono su un gruppo di
proteine GTPasi monomeriche, correlate alla famiglia della proteina
Rho. Queste proteine si comportano come interruttor molecolari che
esercitano un controllo su processi cellulari, passando ciclicamente da uno
stato attivo, legato alla GTP, a uno stato inattivo, legato alla GDP.
Nel caso del citoscheletro di actina, l’attivazione di proteine Rho diverse
influenza l’organizzazione dei filamenti di actina in vari modi. Per
esempio, l’attivazione di una proteina Rho innesca la polimerizzazione
56
dell’actina e la formazione dei fasci che fanno crescere dei filopodi;
l’attivazione di un’altra proteina della famiglia Rho promuove la
formazione di lamellipodi e l’increspatura della membrana; l’attivazione
della Rho vera e propria induce l’associazione di filamenti di actina e della
miosina II in fasci e l’aggregazione di integrine che promuovono lo
spostamento strisciante delle cellule.

Queste variazioni di struttura avvengono perché le proteine che legano la


GTP, assieme alla proteina chinasi e a proteine accessorie con la quale
esse interagiscono, funzionano come una rete di elaborazione che controlla
l’organizzazione e la dinamica dell’actina. Questa rete riceve dei segnali
esterni da nutrienti, fattori di crescita e contatti con cellule vicine e con la
matrice extracellulare, e “informazioni interne” riguardanti lo stato
nutrizionale della cellula, le sue dimensioni e il suo grado di preparazione
alla divisione. La rete dipendente dalla Rho elabora input e attiva vie di
segnalazione intracellulare che modellano il citoscheletro di actina, per
esempio attivando le formine (che promuovono la formazione dei filopodi)
o facendo aumentare la nucleazione nei complessi ARP per generare ampi
lamellipodi.

Uno dei riassetti più rapidi di elementi nel citoscheletro si ha quando una
fibra muscolare si contrae in risposta a uno stimolo proveniente da un
nervo motore.

LA CONTRAZIONE MUSCOLARE

La fibra muscolare costituisce l’esempio classico per comprendere a


pieno il funzionamento del citoscheletro.
Essa è una cellula perenne, come il neurone, cioè si divide durante lo
sviluppo ed è un sincizio, nel senso che anziché avere un nucleo solo, ha
più nuclei, perché nel differenziamento durante la sua formazione, più
cellule si fondono a formare un’unica cellula, i cui nuclei sono all’esterno.
La cellula muscolare comprende la membrana sarcoplasmatica, il
citoplasma (sarcoplasma) e gli organuli; in più ci sono delle strutture
citoscheletriche formate da miofibrille che sono organizzazioni complesse
di microfilamenti di actina e miosina e sono gli elementi contrattili della
cellula muscolare.
57
NB In un muscolo sono presenti tantissime di queste cellule.
Ciò che è scuro capta elettroni, pertanto è molto denso.

Sarcomero= unità contrattile in cui è suddivisa


una miofibrilla; esso è un’alternanza di zone
chiare laterali (filamenti di actina) e scure al
centro (miosine), separate dalle linee Z, ovvero
il luogo in cui si ancorano actine e miosine, in
modo tale da impedirne la depolimerizzazione.

La miosina muscolare appartiene alla


sottofamiglia della miosina II, i cui
membri (tutti dimeri) presentano
sempre due teste ATPasiche e una
lunga coda a spirale ad alfa-elica
Gruppi di molecole di miosina II si
uniscono tramite le code, formando
filamenti di miosina bipolari nei quelli
le teste sporgono lateralmente.

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I gruppi di teste miosiniche delle due estremità puntano in versi opposti.
Un gruppo di teste si lega ai filamenti di actina con un certo orientamento
e li tira da una parte, l’altro gruppo di teste li tira nel verso opposto.
L’effetto complessivo è quello di far scorrere uno sull’altro fasci di actina
orientati in senso opposto.

NB Il sarcomero si ripete tante volte lungo una miofibrilla e tante sono le


miofibrille presenti in una cellula muscolare sincizio, e tante cellule
muscolari sincizio in un muscolo.

Il rilassamento avviene perché le teste di miosina globulare si allontanano


dai filamenti di actina; mentre la contrazione è esattamente il contrario,
ovvero le teste di miosina si ancorano all’actina, trascinandola verso
l’interno.
Questo movimento avviene grazie alla presenza di grandi quantità di ATP
e di mobilitazione di Ca2+; esso non è libero nel citosol a una
concentrazione x, ma siccome è uno ione molto importante per la
segnalazione cellulare, cioè controlla il funzionamento di determinate
proteine, è compartimentalizzato in compartimenti di storage: RER,
lisosoma e mitocondrio, che all’occorrenza rilasciano una certa quantità di
calcio.

59
Quando la testa di miosina non è coniugata
all’ATP, è conformazionalmente affine
all’actina globulare e non si muove di lì
(igor mortis).
Quando arriva una molecola di ATP, la
testa globulare della miosina cambia
conformazione, staccandosi dall’actina
globulare; la miosina, inoltre, ha un’attività
idrolitica, e scinde l’ATP in ADP + P.
La testa allora, grazie alla presenza di ADP,
si legherà all’actina globulare successiva
(sempre nella stessa direzione), la cui
affinità di legame aumenta. L’ADP verrà
poi rilasciato.

La membrana plasmatica ha delle


introflessioni verso il citoplasma e forma delle
connessioni con il reticolo sarcoplasmatico

Tutti i sarcomeri di un muscolo sono coordinati tra loro e la loro


contrazione è innescata quasi in modo spontaneo da un sistema di segnali,
più in particolare da un nervo motore.
60
Un impulso nervoso parte e tramite un assone si collega alla membrana
plasmatica nella giunzione neuro-muscolare, facendo scaturire un
potenziale d’azione della membrana plasmatica che si propaga nei tuboli
trasversi, che, dalla membrana plasmatica, si addentrano nella cellula e
circondano ogni miofibrilla; dai tuboli T il segnale elettrico viene
trasmesso al reticolo sarcoplasmatico, l’adiacente guaina di vescicole
appiattite interconnesse che circonda ogni miofibrilla come una calza a
rete. Esso contiene ioni calcio, che si liberano nel citosol attraverso canali
ionici, al variare del voltaggio.
Il calcio si lega a delle proteine (troponine, un complesso che comprende
una subunità sensibile allo ione calcio e tropomiosine, molecole rigide a
forma di bastoncino che si legano nel solco dell’elica di actina e
impediscono l’associazione dell’actina con le teste della miosina) che sono
legate all’actina globulare; quando questo arriva, le proteine si staccano
dall’actina globulare e fanno si che espongano sull’actina i siti di affinità
con la miosina.
Il livello di calcio nel citosol si riduce nuovamente appena cessa il segnale
nervoso, perché lo ione è rapidamente riportato nel reticolo
sarcoplasmatico da apposite pompe presenti in gran numero nella
membrana dell’organello. A questo punto, la troponina e la tropomiosina
riprendono la loro posizione originale, nella quale esse impediscono il
legame della miosina, e in tal modo pongono fine alla contrazione.

NB Processo ad alto contenuto energetico, pertanto è necessaria


un’alimentazione corretta. Le cellule che contengono più mitocondri sono
quelle muscolari!

GLI ORGANELLI CELLULARI

61
Molti degli organelli delimitati da membrana mantengono una
collocazione fissa nella cellula attaccandosi al citoscheletro (microtuboli)
che fa da binario per lo spostamento degli organelli e delle vescicole
oggetto di scambio tra gli organelli stessi.

Funzione principale dei comparti delimitati da membrana in una cellula


eucariotica:

Volumi relativi occupati dai principali organelli delimitati da membrana


(epatocita):

62
La compartimentalizzazione cellulare

Le cellule svolgono migliaia di reazioni chimiche diverse (spesso di segno


opposto) in ogni istante quindi è fondamentale tenerle separate tra di loro;
pertanto, la cellula si è evoluta sviluppando diverse strategie per
organizzare e compartimentare tali reazioni, facendo:
- Aggregare in un solo complesso proteico i vari enzimi per cercare di
catalizzare una certa sequenza di reazioni (es DNA e RNA);
- Confinare processi metabolici diversi in compartimenti diversi
(organelli delimitati da membrana, che costituisce barriere a
poermeabilità selettiva).

1. La compartimentalizzazione è ottenuta mediante lo smistamento


(sorting) delle proteine: questo è un sistema utilizzato per mantenere
la composizione proteica dei vari comparti (ogni comparto possiede
un corredo specifico di proteine attivate dal citosol, sede della sintesi,
per svolgere la loro funzione) e questo processo di smistamento si
basa su appositi segnali inclusi nella sequenza amminoacidica della
proteina.
In alcuni organelli, come i mitcondri, i cloroplasti, i perossisomi, e
l’interno del nucleo, le proteine provengono direttamente dal citosol;
in altri, come l’apparato di golgi, i lisosomi, gli endosomi e le
membrane nucleari interne, proteine e lipidi arrivano indirettamente
tramite il RE.
2. Compartimentalizzazione in organelli delimitati da membrana;
3. Essa è ottenuta mediante il trasporto vescicolare, che consta
dell’insieme dei contatti che alcuni dei comparti delimitati da
membrana intrattengono tra di loro tramite la formazione di sferule
membranose che si staccano da un comparto, attraversano il citosol e
vanno a fondersi con un altro comparto.
Oppure può essere ottenuta mediante l’utilizzo delle vie di traffico-
trasporto (rilascio di proteine all’esterno della cellula, esocitosi, o
assunzione di proteine dall’esterno della cellula, endocitosi).

SORTING DELLE PROTEINE

63
La sintesi delle proteine inizia sui ribosomi del citosol, con l’eccezione di
quelle poche proteine di mitocondri e cloroplasti che tali organelli
producono sui propri ribosomi.

Tuttavia, anche loro ricevono proteine dal


citosol. Esistono delle sequenze segnale, di
15-60 unità di amminoacidi (porzione N-
terminale) che sono necessarie e sufficienti
a dirigere una proteina in un determinato
luogo; in genere vengono poi rimosse una
volta giunte a destinazione.
Le proteine prive di tali segnali restano in
permanenza nel citosol, mentre le altre si
trasferiscono nel relativo organello.
Il trasporto di proteine avviene in modi
diversi:

Le proteine che vengono destinate al nucleo, passano attraverso i pori


nucleari, senza cambiare conformazione, in quanto questi funzionano
come barriere selettive che trasportano attivamente specifiche
macromolecole, senza ostacolare la libera diffusione di molecole più
piccole. Le proteine che si trasferiscono dal citosol al RE, ai mitocondri o
ai cloroplasti attraversano la membrana dell’organello, grazie alla
presenza di traslocatori proteici, perdendo quindi la loro conformazione
nativa, oppure vengono inglobate in vescicole che si fondono poi con gli
organelli, pertanto in questo caso non cambiano conformazione.

64
Es. la sequenza segnale è sufficiente e necessaria per inviare una proteina
nel RE e viene rimossa dalla proteina finita una volta che è stata smistata.
Questo mostra come sono state identificate!

1) Trasporto attraverso i pori nucleari (macromolecole per trasporto


attivo, piccole molecole per diffusione):

65
L’involucro nucleare è composto da due membrane concentriche. Quella
interna contiene alcune proteine che fungono da siti di legame ai
cromosomi e altre che servono da ancoraggio alla lamina nucleare (offre
sostegno strutturale all’involucro); quella esterna somiglia per
composizione al RE, nella quale si continua.
L’involucro nucleare di tutte le cellule eucariotiche presenta dei pori
nucleari, dei trafori che fanno da barriere attraverso le quali tutte le
molecole entrano o escono dal nucleo. Un poro nucleare è una struttura
grande e complessa, composta da circa 30 proteine diverse. Molte proteine
presenti sui pori nucleari formano un reticolo irregolare che occupa il lume
del canale e impedisce il passaggio di molecole di grandi dimensioni;
queste, per poter passare attraverso un poro nucleare, devono apporre un
apposito segnale di smistamento. Questa sequenza, detta segnale di
localizzazione nucleare, si compone solitamente di una o due brevi
sequenze che comprendono lisina o arginina, dotate di carica positiva.
Questo segnale si lega a proteine citosoliche dette recettori di
importazione nucleare, che le indirizzano ai pori grazie alla loro
interazione con le fibrille. Raggiunto il poro, i recettori si agganciano a
brevi sequenze ripetute di amminoacidi, rimbalzando da una sequenza
all’altra, e consegnano il loro carico al nucleo. Il recettore è riciclato verso
l’esterno per poter compiere altri cicli.
Il processo richiede energia e questa è fornita dall’idrolisi della GTP, che
idrolizza il trasporto nucleare nella direzione corretta.

2) Trasporto attraverso le membrane grazie a traslocatori proteici situati


nella membrana:

66
Es. proteine che entrano nel mitocondrio

Il mitocondrio dipende da proteine che vengono tradotte nel citosol e


trascritte nel nucleo a carico di geni del genoma nucleare, pertanto non è
indipendente.
Le proteine devono passare ½ membrane e devono perdere la loro
conformazione nativa; esse hanno una sequenza segnale tipica del
mitocondrio, perché viene riconosciuta da un’altra proteina in base
all’affinità di legame. Le proteine destinate a questo organello vengono
traslocate simultaneamente attraverso la membrana interna ed esterna, in
appositi siti dove le due membrane sono a contatto. Le sequenze segnale
vengono poi rimosse da peptidasi che scindono il legame covalente e
ridanno alla proteina la sua conformazione.
I mitocondri non richiedono solo nuove proteine, ma anche nuovi lipidi, la
maggior parte di essi sono importati dal RE, principale sede cellulare della
sintesi dei lipidi.

Es. proteine che entrano nel reticolo endoplasmatico: esso oltre a ricevere
le proprie proteine, serve da punto di ingresso per proteine destinate ad
altri organelli, grazie ad apposite vescicole che le traghettano.
Due sono i tipi di proteine traslocate dal citosol al RE: le proteine
idrosolubili attraversano completamente la membrana del RE e sono
liberate nel lume dell’organello; mentre le proteine destinate a una

67
collocazione transmembrana attraversano la membrana per un certo tratto e
poi vi restano inserite.
Le proteine idrosolubili sono destinate alla secrezione o sulla superficie
cellulare o nel lume di un organello. Le proteine trasmembrana sono
invece destinate a rimanere nella membrana di uno di questi organelli o
nella membrana plasmatica.
Tutte queste proteine inizialmente sono indirizzate al RE da una sequenza
segnale per il reticolo endoplasmatico, un segmento di otto o più
amminoacidi idrofobi.
Le proteine che entrano nel RE cominciano a infilarsi nella membrana
prima che la sintesi della catena polipeptidica sia completata; ciò comporta
che il ribosoma che sintetizza il polipeptide sia attaccato alla membrana
del RE, formano il reticolo endoplasmatico rugoso.

In realtà, i ribosomi del


reticolo

endoplasmatico derivano da quelli liberi nel citosol; cioè, quando quelli a


forma di poliribosoma contengono une peptide segnale per l’RE, i
ribosomi traslocano sul RER e continuano la loro traduzione qui.
Questo riconoscimento avviene grazie alla presenza dell’SRP (particella di
riconoscimento del segnale) che è presente nel citosol e si lega alla
sequenza segnale per il RE quando emerge dal ribosoma e un recettore
68
SRP immerso nella membrana del RE che riconosce la SRP e rallenta la
sintesi proteica su quel ribosoma, finchè il complesso ribosoma-SRP non
individua un recettore dell’SRP sulla superficie del RE. Dopo il legame,
l’SRP si dissocia, il recettore trasferisce il ribosoma a un traslocatore
proteico nella membrana del RE e la sintesi proteica riprende, ma il
polipeptide ora viene trasferito nel lume infilandosi in un canale di
traslocazione nella membrana del reticolo. Quindi, la SRP e il suo
recettore funzionano come intermediari molecolari che accoppiano i
ribosomi che stanno sintetizzando proteine dotate di una sequenza segnale
per il reticolo endoplasmatico ai canali di traslocazione disponibili nella
membrana del RE.
La sequenza segnale serve anche ad
aprire il canale di traslocazione. Il
peptide segnale resta legato al
canale durante l’avanzamento del
resto della proteina, che attraversa
la membrana sotto forma di
un’ampia ansa. La sequenza viene
poi rimossa da una peptidasi che ha
un sito attivo esposto sul versante
luminale della membrana del RE. Il
peptide segnale rimosso si libera allora dal canale di traslocazione per
passare nel doppio strato lipidico dove è degradato. Una volta che
l’estremità carbossilica di una proteina solubile ha superato il canale di
traslocazione, la proteina viene rilasciata nel lume del RE.

Ma non tutte sono rilasciate nel lume, alcune restano inserite nella
membrana come proteine transmembrana (attraversa la membrana e questo
è possibile perché non sono presenti delle cariche polari).
Nel caso più semplice, quello di una proteina transmembrana con un solo
segmento compreso nel doppio strato, la sequenza segnale dell’estremità
amminica da inizio alla traslocazione. Il processo di trasferimento viene
però arrestato da un’ulteriore sequenza di amminoacidi idrofobi, detta
sequenza di arresto del trasferimento, che rilascia la catena polipeptidica in
via di sintesi nel piano del doppio strato lipidico. Questa sequenza viene
trattenuta nel doppio strato, dove forma un segmento transmembrana a
elica alfa che àncora la proteina alla membrana. Il segmento avrà un

69
preciso orientamento: l’estremità amminica sul versante luminale e
l’estremità carbossilica verso il lato citosol.
In alcune proteine transmembrana la sequenza segnale per l’inizio si trova
all’interno e prende il nome di sequenza di avvio del trasferimento (non
viene mai eliminata)

Che cosa succede nel lumen del reticolo endoplasmatico?

 La maggior parte delle proteine che entrano nel RE va incontro a


modificazioni chimiche e poi non rimangono lì, ma molto spesso
vanno nell’apparato di Golgi per essere ulteriormente modificate.

70
 La modificazione di glicosilazione (serve per aggiungere funzioni
perché continuano a cambiare la loro affinità chimica verso un’altra
cosa) consiste nell’aggiunta di 14 zuccheri che vengono ancorati
mediante un legame covalente a catene laterali di amminoacidi
presenti (residui della catena peptidica stessa).
 Ponti disolfuro stabilizzano poi la struttura.

Le proteine secondatrici (chaperoni) trattengono nel lume del RE proteine


conformate o assemblate in modo incompleto; se queste non riescono ad
assumere la struttura tridimensionale giusta vengono trasportate nel citosol
e demolite nel proteasoma, aggregato proteico di proteine che hanno
un’attività catalitica di scissione (es nel lisosoma).
Sennò il RE si accorge di queste proteine con mutazioni e attraverso dei
segnali cellulari comunica al nucleo di diminuire la trascrizione di quel
gene mutato in modo tale da non aumentare il danno.
Se tutto ciò non avviene, la cellula può andare in apoptosi, cioè si suicida.

3) Il trasporto vescicolare: ultima modalità con cui una cellula realizza


la compartimentalizzazione cellulare e fornisce pertanto le vie di
comunicazione che collegano l’interno della cellula con l’ambiente
circostante.

NB le vescicole sono
circondate da membrana ma
non sono organelli poiché in
essa non avvengono reazioni
71
chimiche ma servono solamente per il trasporto; queste possono far
comunicare un organello con un altro.

Le vescicole sono rivestite da proteine di rivestimento (coating) in modo


dinamico che:

- Curvano la membrana
(non si deforma
spontaneamente e lo
fanno cooperando con i
microfilamenti di
actina) e permettono la
gemmazione della
vescicola;
- Contribuiscono a
selezione i cargo da trasportare (meccanismo specifico)

Le vescicole così trattate prendono il nome di vescicole rivestite e appena


dopo la gemmazione la vescicola perde il rivestimento. Le vescicole
meglio studiate hanno rivestimenti composti principalmente dalla proteina
clatrina; le vescicole rivestite da questa proteina gemmano dall’apparato
del Golgi se sono dirette all’esterno lungo la via di secrezione e dalla
membrana plasmatica se sono dirette all’interno lungo la via endocitica.
Queste molecole, nel secondo caso, si aggregano in una rete a forma di
canestro sulla faccia citosolica della membrana, e la modella formando una
vescicola.
Invece, le dinamine sono delle proteine GTPasi che modificano la loro
conformazione e strozzano la membrana quando è già profondamente
invaginata, e fa contrarre l’anello, fino a staccare la vescicola dalla
membrana di origine, che si ricostituisce a forma di cerchio/vescicola, in

72
quanto contiene dei fosfolipidi che devono riaffacciarsi gli uni con gli altri
per far si che loro parti idrofobiche si nascondano dal citosol.

Ogni vescicola di trasporto deve portare con se solo le proteine necessarie


al destinatario e deve fondersi soltanto con la membrana bersaglio
appropriata. Le vescicole mostrano un rivestimento sulla faccia rivolta
verso il citosol (vescicole rivestite) che conferisce loro la conformazione a
gemma e contribuisce ad inglobare le molecole da trasportare.

Ogni vescicola sceglie il proprio carico specifico, ma come fa?


Nel caso delle clatrine, esse si associano alle proteina adattine, che danno
un lato assicurano il rivestimento di clatrina e dall’altro contribuiscono alla
scelta della molecola cargo da trasportare. Le molecole destinate ad essere
trasportate nelle vescicole contengono appositi segnali di trasporto,
riconosciuti da recettori cargo posti nella membrana del Golgi o nella
membrana plasmidica. Le adattine concorrono alla captazione delle
molecole da caricare, trattenendo localmente i recettori cargo.

Infine, le molecole rivestite da COP, sono adibite al trasporto di molecole


dal RE all’apparato di Golgi e da una regione dell’apparato di Golgi
all’altra.

73
Spesso la vescicola è trasportata attivamente da proteine motrici che si
spostano lungo fibre del citoscheletro; raggiunto l’organello, la vescicola
di trasporto deve riconoscerlo e lì attraccare. Soltanto allora la membrana
della vescicola potrà fondersi con la membrana bersaglio e scaricare il
proprio contenuto nell’organello. La notevole specificità dipende dal fatto
che tutti i tipi di vescicole coinvolte debbano esporre in superficie
marcatori molecolari identificativi, in relazione all’origine e al contenuto.
Questi devono poi essere riconosciuti da recettori complementari situati
sulla giusta membrana bersaglio.
Il processo di identificazione dipende da una famiglia di GTPasi
monomeriche dette proteine Rab, che vengono riconosciute da proteine
di attracco situate sul versante citosolico della membrana bersaglio.
Un ulteriore riconoscimento si basa su una famiglia di proteine
transmembrana, le SNARE. Proteine della superficie v-SNARE
interagiscono con SNARE complementari della membrana bersaglio (t-
SNARE), facendo saldamente attaccare la vescicola. Queste proteine
hanno un ruolo fondamentale nel determinare la fusione di membrana, che,
oltre a scaricare il contenuto dentro l’organello, aggiunge la membrana
della vescicola a quella dell’organello: per fare avvenire ciò le due
membrane non devono distare più di 1,5 nanometri perché i loro lipidi
possano mescolarsi (processo sfavorito dal punto di vista energetico e
74
catalizzato dalle stesse proteine SNARE che avvicinano le due membrane
e le portano a stretto contatto).
In sintesi, il trasporto non è per nulla casuale!

La proteina può andare in un organello (es il lisosoma, che degrada il


materiale oppure che riceve degli enzimi litici), con cui si fonde, oppure va
all’esterno della cellula passando dall’apparato di Golgi attraverso un
processo denominato esocitosi.

 Endocitosi= assunzione di liquidi (ad esempio un pezzo di matrice


extracellulare, un mezzo acquoso, dei microorganismi in cellule
specializzate ecc) e molecole dall’esterno. È quella che trasferisce il
materiale dalla membrana plasmatica ai lisosomi, passando per gli
endosoi. Tale via è responsabile dell’ingestione della degradazione di
molecole extracellulari. Può essere di due tipologie:
- Pinocitosi: riguarda le parti di membrana plasmatica (l’endocitosi si
realizza perché la membrana plasmatica si introflette fino a che si
rompe e forma la vescicola) e liquidi <150nm;
- Fagocitosi: è un’endocitosi che riguarda particelle di grandi
dimensioni, >250nm, microorganismi e detriti, tutti a carico di
cellule specializzate. Quelle per elezione sono le cellule intestinali
(che assorbono grosse particelle di cibo mediante la fagocitosi) e
cellule fagocitiche del sangue (macrofagi e neutrofili).

NB la quantità di membrana aggiunta per esocitosi alla superficie


cellulare è uguale a quella rimossa per endocitosi (bilanciamento).
I batteri espongono dei recettori che vengono riconosciuti dagli
anticorpi; i batteri ricoperti da anticorpi inducono il fagocita a
emettere prolungamenti della membrana plsmatica di forma
laminare, detti pseudopodi, che avvolgono il microorganismo e si
fondono all’apice formando un fagosoma. Questo confluisce poi al
lisosoma, nel quale il microbo viene distrutto.

Tubercolosi: l’agente responsabile di questa malattia è capace di


inibire la fusione tra la membrana del fagosoma e quella del
lisosoma, quindi le cellule infettive continuano a moltiplicarsi.

75
Ad esempio: a destra un macrofago
sta fagocitando due eritrociti. A
sinistra, modificazioni della
membrana possibili grazie al cortex di
actina.

1. Gli endosomi (corpi vescicolari o


organelli presenti nelle cellule, il
cui compito è quello di partecipare
all’endocitosi per fare da
intermediari di vescicole) smistano
le molecole internalizzate per
endocitosi (pinocitosi);
2. Il comparto endosomico funge da
centrale di smistamento della via
endocitica diretta verso l’interno
(Golgi, smistamento via secretoria;
endosoma, smistamento via
endolitica);
3. Esistono due tipi di endosomi, che comunicano e si trasformano
l’uno nell’altro: gli endosomi precoci, che si trovano subito al di
sotto della membrana plasmatica e gli endosomi tardivi che si
trovano subito sotto il nucleo;
4. Esistono infin tre vie che riguardano il loro destino finale: riciclaggio
(quando il messaggio che deriva dal legame ligando-recettore deve
essere regolato), degradazione (quando il messaggio che deriva dal
legame ligando-recettore deve essere spento) e transcitosi (il
materiale non riesce a passare a causa della giunzione cellula-cellula,
viene quindi internalizzato e poi trasportato li attraverso lo
smistamento dell’endosoma).

NB l’ambiente acido dell’endosoma ha una funzione determinante nello


smistamento, perché induce molti recettori a rilasciare il proprio carico.

76
Esempio di pinocitosi con
rilascio del recettore alla
membrana plasmatica, poiché il
recettore serve ancora; ma il
ligando va invece degradato
perché il segnale va
temporaneamente spento:
in questo caso la cellula deve
recuperare dall’esterno il
colesterolo, un costituente
fondamentale delle membrane
che viene catturato dalle cellule
dall’esterno.
Il colesterolo viene complessato con la LDL (low density lipoprotein), che
viene riconosciuta da un recettore che deve essere internalizzato con il
colesterolo, che deve essere separato dal’LDL, in quanto necessario per la
cellula.
All’inizio si forma per gemmazione la vescicola (introflessione della
membrana che si chiude a formare appunto la vescicola), che viene
rilasciata nell’endosoma,e che si fonde membrana-membrana con
l’endosoma, che a sua volta aumenta di dimensione; il recettore LDL viene
segregato in un compartimento differente nell’endosoma precoce rispetto
al LDL-colesterolo; il recettore viene poi riciclato per poter continuare
questo ciclo (se la cellula avesse assunto quantità ottimali di colesterolo,
allora il recettore sarebbe stato degradato). Il colesterolo invece, attraverso
l’endosoma tardivo, si fonde con la nuova vescicola, da cui se ne genererà
un’altra che andrà a fondersi nel lisosoma, dove la LDL è degradata,
mentre il colesterolo viene rilasciato.

Aterosclerosi: il colesterolo si accumula nel sangue a causa di un gene


difettoso per il recettore proteico delle LDL. Questo può causare un
attacco cardiaco, a causa dell’ostruzione delle arterie coronarie.

L’endocitosi mediata da recettori può anche essere utile per l’assunzione


della vitamina B12 e del ferro, necessari per la sintesi dell’emoglobina.
Anche il virus dell’influenza, purtroppo, utilizza questa via.
77
IL LISOSOMA:

Il lisosoma è un organello, a pH acido,


che contiene enzimi idrolitici ed una
pompa per H+ e si occupa della
degradazione di proteine, oligosaccaridi
e lipidi.
NB l’idrogeno va contro il proprio
gradiente di concentrazione; cioè è più
concentrato dentro il lisosoma che nel
citosol (che è meno acido). Per attuare
questo trasporto, deve esserci un
trasporto attivo, che richiede energia
presa dall’ATP).
Esistono delle proteine transmembrana
affacciate nel lumen dell’organello e
associate a carboidrati complessi per
proteggersi dalla denaturazione.
Gli enzimi lisosomiali vengono
complessati nel RE e nel Golgi con
mannoso-6-fosfato che, insieme a un
recettore, vengono racchiusi in vescicole
destinate al lisosoma.

Per arrivare al lisosoma i materiali destinati alla degradazione fanno


percorsi diversi (vedi appunti sul lisosoma):

78
NB L’autofagia: riceve materiale dal RER, quindi dall’interno e serve a
degradare parti vecchie della cellula stessa.

 Esocitosi= la vescicola si fonde fisicamente con la membrana target


(destinataria) e rilascia il materiale nello spazio extra-cellulare.
Si distinguono due tipologie di esocitosi: costitutiva, che è
un’esocitosi senza intermedi, in quanto il processo è continuo; e
regolata, in quanto ci sarà sempre una permanenza temporanea di
vescicole con il materiale, che verrà rilasciato solo dopo un segnale
di secernere (ormoni, muco ed enzimi digestivi).
NB tutte le vescicole di esocitosi si originano dall’apparato di Golgi;
le parti delle cisterne (dittiosomi) da cui si originano le vescicole che
devono segregare il materiale, si trovano in zone diverse.

L’apparato di Golgi (organello di


modificazione) è in contatto con delle
vescicole di trasporto che si occupano di
trasferire il materiale da una cisterna all’altra ed ha un orientamento (i
dittiosomi non sono interscambiabili).
Il lato cis riceve dal citosol, nucleo o dal RER, una proteina neosintetizzata
e la modifica, per esempio la coniuga con gruppi actile, metile ecc. in
modo tale da processarla più volte fino a che la proteina non acquisisce la
conformazione finale ultra-modificata e, dopo essere uscita dal lato trans

79
che si trova verso la membrana cellulare, viene racchiusa nella vescicola
per essere esocitata o nei lisosomi o appunto nella membrana cellulare.

NB Se le proteine che entrano contengono il segnale di ritenzione nel RE,


allora vengono riportate li.

Le proteine che percorrono questa via possiedono peculiari caratterisitiche


di superficie che le fanno aggregare tra loro nelle condizioni a pH e forza
ionica prevalenti all’interno del reticolo trans del Golgi (pH basso e
concentrazione di ioni calcio elevata). Queste sono poi in attesa del
segnale che dà il via alla loro fusione con la membrana plasmatica (ciò
permette alle cellule di secernare rapidamente grandi quantità di una data
proteina).
Invece, le proteine secrete attraverso la via costitutiva non si aggregano e
sono direttamente portate verso la membrana plasmatica dentro vescicole
di trasporto.
Quando una vescicola di secrezione o ti trasporto si fonde con la
membrana plasmatica per scaricare il suo contenuto per esocitosi, la sua
membrana entra a far parte della membrana plasmatica; questo aumento
della membrana plasmatica è temporaneo, in quanto altre regioni verranno
sottratte per endocitosi. I lipidi e le proteine rimossi dalla membrana sono
restituiti al Golgi per essere riutilizzati.

80
Fibrosi cistica: una proteina viene scartata dalla cellula ancora prima di
avere la possibilità di esercitare la propria funzione e questo porta a gravi
danni del tessuto polmonare.

STRUTTURA DELLA MEMBRANA

Senza membrana la cellula non esisterebbe e quindi non ci sarebbe vita.


Le cellule eucariotiche contengono, oltre alla membrana plasmatica, anche
delle membrane interne che racchiudono i compartimenti intracellulari e
sono costruite secondo gli stessi principi della membrana plasmatica ma
presentano lievi differenze nella loro composizione, in particolare per le
proteine interne.

1. La cellula deve saper rispondere a sollecitazioni dell’ambiente


(sensori);
2. Le sostanze alimentari devono entrare, i prodotti di rifiuto devono
uscire (canali);
3. La membrana cresce se la cellula cresce (si estende aggiungendo
nuova membrana), e si può deformare senza strapparsi (se si fora,
non si sgonfia come un palloncino, né resta bucata, ma si richiude
rapidamente).

Le membrane cellulari consistono in un doppio strato continuo di molecole


lipidiche (costituiscono una barriera impermeabile alla maggior parte delle
molecole idrosolubili) dello spessore di 5 nanometri in cui sono immerse
le proteine.

81
Fosfolipidi: teste idrofiliche attratte dall’acqua e code idrofobiche verso
l’interno poiché respinte dall’acqua (per evitare il contatto con il citosol);
pertanto essi sono molecole anfipatiche in quanto hanno un doppio
comportamento e cercano, attraverso la parte idrofoba, altre molecole con
la quale aggregarsi.
Le stesse forze che fanno disporre le molecole anfipatiche in un doppio
strato rendono il foglietto lipidico autosigillante. Una lacerazione del
foglietto crea un margine libero esposto all’acqua, ma essendo una
condizione sfavorita energicamente, le molecole si riorganizzano per
eliminare il margine libero. Se la lacerazione è piccola, si ripara il doppio
strato; se è grande, si formano le vescicole.

FOSFATIDILCOLINA
Le molecole dalla fosfatidicolina è il fosfolipide più comune nella

membrana cellulare, è costituita da 5 parti: colina, fosfato, glicerolo, coda


idrocarburica (acido grasso saturo/insaturo) e ancora coda idrocarburica.
Le prime tre costituiscono la testa idrofilica, le ultime due la coda
idrofobica.

NB le molecole dei grassi sono idrofobiche, quelle dei fosfolipidi sono


anfipatiche.

82
I fosfolipidi posti in soluzione acquosa si associano spontaneamente in
doppi strati e formano comparti chiusi capaci di autosigillarsi se lacerati.

La forma sferica (es vescicola) è stabile perché


evita alle code idrocarburiche idrofobiche di
rimanere esposte all’acqua; ciò è essenziale per
la sopravvivenza della cellula ed è per questo
che esiste un meccanismo tale per cui la
membrana si ripara (buchi) quando si rompe.

Es farmaci idrofobici o composti non stabili che


sono racchiusi da liposomi, ovvero vescicole
artificiali che racchiudono all’interno sostanze
idrofobiche.

La membrana cellulare è flessibile, in quanto si piega: 25nm è la


dimensione minima delle vescicole che può racchiudere; essa è anche
fluida poiché i fosfolipidi si spostano e si scambiano di posto con gli altri
(difficilmente uno può passare da uno strato all’altro, poiché la
composizione non è identica tra i due strati). Essi possono anche non solo
flettere le loro code idrocarburiche, ma possono anche ruotare attorno al
loro asse maggiore.

83
La membrana è più fluida se:
- Le catene degli acidi grassi sono più corte, <14-24 atomi di carbonio
(minore sarà l’ingombro sterico);
- Le catene degli acidi grassi sono insature (più doppi legami= più
capacità di formare anse laterali);
- È presente meno colesterolo, che rappresenta il 20% in peso di tutti i
lipidi (idrofobico, si intercala tra le code rendendo i lipidi adiacenti
meno in grado di muoversi, poiché fa da ingombro).

Come si formano le membrane?

Esse si formano nel reticolo endoplasmatico liscio


dove vengono costituite a partire dalla membrana
stessa del reticolo, che fa da punto di accrescimento
per l’assemblaggio di nuovi fosfolipidi che poi si
staccano per gemmazione e vanno a fondersi con le
membrane target in modo da accrescerne la massa.
All’inizio i fosfolipidi vengono formati in modo
asimmetrico, poi la proteina flippasi catalizza il
trasferimento delle molecole fosfolipidiche destinate
84
all’altro lato. Parte delle membrane neoassemblate resterà nel RE, il resto
sarà utilizzato per fornire nuove membrane ad altri componenti cellulari.

La membrana cellulare è asimmetrica:

L’asimmetria inizia nell’apparato di Golgi le cui membrane contengono la


flippasi che ha il compito di mantenere la disposizione asimmetrica dei
fosfolipidi, che è tipica nelle membrane delle cellule animali.
- Il doppio strato lipidico è asimmetrico, i fosfolipidi e i glicolipidi si
distribuiscono in modo asimmetrico;
- Fasfatidilcolina (rosso), sfingomielina (marrone), fasfatidilserina
(verde chiaro), fasfatidilinositolo (verde scuro) e
fasfatidiletanolamina (giallo).
- Tutte le molecole glicolipidiche (azzurre) si trovano nel monostrato
esterno della membrana, mentre il colesterolo (grigio) si distribuisce
equamente su entrambi i lati.
- Anche le proteine presenti in questa struttura si distribuiscono in
modo asimmetrico.
Questo significa che la membrana cellulare ha due facce distinte, quella
interna e quella esterna: il foglietto interno si affaccia sempre sul citosol,

85
mentre quello esterno è esposto al mondo esterno, nel caso della
membrana plasmatica, o all’ambiente interno di un organello (lume).
Per le proteine di membrana questo posizionamento è cruciale per le loro
funzioni.

L’asimmetria è mantenuta nello stesso


modo per tutti gli organelli e per tutte
le vescicole: la parte interna deve
corrispondere con la parte extra-
cellulare della membrana plasmatica,
da cui si origina o a cui è destinata.

Le vescicole membranose hanno origine per gemmazione e fusione dagli


organelli citoplasmatici (es Golgi) e mantengono una polarità (i glicolipidi
sono nella metà della membrana interna che non si affaccia sul citosol, ).

Le cellule eucariotiche sono rivestite da glucidi, rivolti verso l’esterno,


dove entrano a far parte di uno strato continuo di carboidrati che circonda
e protegge le cellule dalle aggressioni chimico-fisiche che possono arrivare
86
dall’esterno, formando il glicocalice (strato a carboidrati) che è costituito
dalle catene laterali oligosaccaridiche attaccate a glicolipidi e alle
glicoproteine di membrana. Al glicocalice possono contribuire anche le
glicoproteine e i proteoglicani secreti dalla cellula e quindi riassorbiti
subito da essa.
Le coniugazioni con i glucidi e trasformazioni delle proteine avvengono
nel Golgi, che fa sì che gli zuccheri siano aggiunti solo sulle molecole
lipidiche del foglietto non citosolico.

NB tutti i carboidrati si trovano dal lato extracellulare e aiutano a


proteggere e lubrificare la superficie dal danneggiamento meccanico
(assorbendo acqua gli oligo ed i polisaccaridi rendono scivolosa la
superficie).

Il glicocalice funge anche da segnale di riconoscimento nell’adesione


cellulare. Ad esempio, le lectine sono specializzate nel riconoscere
particolari catene oligosaccaridiche e legarle con gli stessi meccanismi e
legami di riconoscimento che regolano l’interazione tra le proteine.
Mentre le proteine si uniscono tutte linearmente con legami identici, gli
zuccheri possono farlo in modo vario in sequenze e anche in catene
ramificate.

Dunque, gli zuccheri (complessati a proteine o lipidi) sono anche delle


molecole segnale.
Come si associano le proteine con la membrana? In diversi modi!

87
1. Molte proteine di membrana si dispongono attraverso il doppio
strato, sporgendo da entrambi i lati della membrana; queste sono
anfipatiche e le loro regioni idrofobe si trovano all’interno del doppio
strato, quelle idofile si trovano invece esposte all’ambiente acquoso.
2. Altre proteine di membrana si trovano quasi interamente nel citosol e
sono associate al foglietto citosolico del doppio strato lipidico
mediante un’elica alfa anfipatica che affiora sulla superficie della
proteina;
3. Alcune proteine si trovano interamente al di fuori del doppio strato e
sono ancorate alla membrana soltanto da uno o più gruppi lipidici ai
quali sono unite da legami covalenti;
4. Altre proteine, infine, sono legate all’una o all’altra faccia della
membrana, trattenute in posizione soltanto da interazioni con altre
proteine di membrana.

Le proteine integrali di membrana possono essere rimosse solo


disgregando il doppio strato con detergenti; le proteine di membrana
periferiche possono essere estratte con interazioni proteina- proteina,
lasciando intatto il doppio strato.

88
Le proteine trasmembrana si estendono
attraverso il doppio strato lipidico, generalmente
assumendo una conformazione a elica alfa singola
o multipla, ma talvolta anche come piano beta
avvolto a manicotto.

NB le catene laterali espongono dei residui


idrofobici laterali, mentre i residui laterali polari si
trovano all’interno della catena perché devono stare
lontani dall’ambiente idrofobico.

Esempio classico: l’acqua purina che fa da canale


per far passare l’acqua.
Le catene laterali degli amminoacidi idrofobici
(verde) da un lato di ogni elica entrano in contatto
con le code idrocarburiche che pure sono
idrofobiche, mentre le catene laterali idrofiliche
(rosso) al lato opposto formano un pro pieno di
acqua.

Che funzione hanno le proteine attaccate alle membrane?

89
La membrana plasmatica è di per sé stessa fragile e sottile (servono 1000
membrane una sopra l’altra per formare lo spessore di una pagina di libro).
Dunque, tutte le membrane plasmatiche cellulari sono rinforzate e
sostenute da un’impalcatura proteica fissata per mezzo di proteine
transmembrana.
Tali proteine si organizzano in una trama di proteine fibrose (lo strato
corticale o cortex cellulare, ricco di actina e miosina) aderente alla faccia
citosolica che determina la forma cellulare e le proprietà meccaniche della
membrana plasmatica.

È vero che la membrana plasmatica è asimmetrica, ma in più la membrana


plasmatica è anche organizzata in domini funzionali a seconda del tipo di
cellula.

Dato che la membrana si comporta come un fluido bidimensionale, i suoi


lipidi e anche molte delle sue proteine possono muoversi liberamente nel
piano del doppio strato lipidico.
La cellula sa però confinare certe proteine di membrana in zone
circoscritte in distretti funzionali denominati domini di membrana; la
mobilità laterale delle proteine nella membrana plasmatica subisce quindi
limitazioni di vario genere.
Le proteine possono venir ancorate allo strato corticale interno (A), a
molecole della matrice extracellulare fuori dalla cellula (B), a proteine
situate sulla superficie di un’altra cellula (C).

90
Possono anche esistere delle barriere alla diffusione (barrette nere) che
confinano certe proteine in un particolare dominio della membrana (D,
transocitosi).

Esempio di come sono organizzati


tutti gli epiteli (della pelle, dei vasi
sanguigni, degli organi interni
ecc); nel caso di quelli interstinali,
le proteine di trasporto responsabili
dell’assunzione di nutrienti dal
lume intestinale sono confinate
sulla superficie apicale e altre
proteine, coinvolte nel trasporto di
soluti verso l’esterno della cellula epiteliale, nei tessuti e nel torrente
circolatorio, si trovano sulla superficie basale e laterale. Questa
distribuzione asimmetrica delle proteine di membrana è mantenuta da una
barriera che si forma lungo la linea di giunzione tra cellule epiteliali
adiacenti (giunzioni occludenti= proteine apposite che formano una
cintura ininterrotta attorno alla cellula e stabiliscono delle saldature).

TRASPORTO ATTRAVERSO LA MEMBRANA

La membrana è fatta per garantire uno scambio di sostanze da una parte


all’altra della membrana. Queste sostanze possono essere:
- Molecole di piccole dimensioni (senza essere inglobate in vescicole);
- Altre attraverso il trasporto vescicolare per endocitosi/esocitosi.

91
Ma le molecole non passano per diffusione spontanea, poiché i doppi strati
lipidi sono impermeabili. Queste allora devono passare attraverso dei
canali o dei trasportatori.

 Una molecola diffonderà tanto più


rapidamente attraverso il doppio strato
lipidico quanto più è piccola e quanto meno
interagisce favorevolmente con l’acqua (cioè
quanto minore è la sua polarità, così non
interagisce con le code idrofobiche);
 Molte delle molecole che servono alla cellula
come nutrimento sono troppo grandi e polari
per superare un doppio strato lipidico puro.
Esse vengono quindi trasportate.

La cellula deve contenere


quantità uguali di cariche
positive e negative (cioè
deve essere elettricamente
neutra).

92
NB Magnesio e calcio sono importanti in quanto rappresentano dei segnali
intracellulari.

Nonostante ci sia questa distribuzione in cui le cariche elettriche


all’esterno e all’interno sono bilanciate e in equilibrio, intorno alla
membrana plasmatica si rilevano eccessi contenuti di carica netta positiva
o negativa; questi squilibri generano una differenza di voltaggio detta
potenziale di membrana compreso tra -20 e -200mV.

Il potenziale è negativo perché l’interno della cellula ha una carica netta


negativa rispetto all’esterno.
Questo potenziale è alla base di alcuni meccanismi di trasporto e della
generazione dell’impulso nervoso.

Le molecole di piccole dimensioni entrano nella cellula attraverso un


vettore o un canale, dei tipi di trasportatori.

Nel primo caso, il trasportatore (è dotato di un potere selettivo) stabilisce


un legame debole transiente con il soluto da trasportare;

Nel secondo caso in genere vengono trasportati ioni; la parte della proteina
più vicina agli ioni è caratterizzata da facce idrofiliche, quelle più lontane
93
saranno idrofobiche (apolari) per poter essere a contatto con gli acidi
grassi dei lipidi della membrana plasmatica.
L’apertura e la chiusura del canale è regolata da uno stimolo esterno o
interno.

In sintesi, entrambi cambiano conformazione ma nel primo caso c’è un


legame mentre nel secondo questo non avviene.

Ogni membrana contiene una propria serie di trasportatori adatti alle sue
necessità.
Tipi di trasporto (sono indipendenti dal tipo di trasportatore):

TRASPORTO PASSIVO (no dispendio di energia): avviene secondo il


gradiente chimico o di concentrazione e secondo il gradiente
elettrochimico.

 Proteine canali;
 Proteine vettori = trasportatori.

TRASPORTO ATTIVO (richiede enrgia): avviene contro gradiente. Può


essere accoppiato, ATP dipendente o FOTO dipendente.

 Proteine vettori = trasportatori.

Riassumendo: un soluto che abbia una concentrazione più alta fuori dalla
cellula entrerà spontaneamente dentro la cellula per trasporto passivo
(diffusione facilitata) purché abbia nella membrana un canale o un
apposito vettore.
Invece, contro gradiente ci vogliono proteine vettore in grado di attingere
energia per alimentare il passaggio (trasporto attivo).

94
TRASPORTO PASSIVO: gradiente di concentrazione

Un cambiamento di conformazione di una proteina vettore potrebbe


mediare il trasporto passivo di soluto come il glucosio.
La transizione tra i due stati avviene a caso, è indipendente dal soluto e
reversibile.

NB viene riconosciuto solo il D-glucosio.

TRASPORTO PASSIVO: gradiente elettrochimico

La forza motrice netta (gradiente elettrochimico) che tende a spostare un


soluto carico (ione) attraverso la membrana è la somma del gradiente di
concentrazione e della differenza di potenziale tra i due lati della
membrana (potenziale di membrana).

95
NB l’ultima situazione è sfavorita, la prima va bene mentre quella centrale
è l’ideale.

IL TRASPORTO ATTIVO

Trasportatore accoppiato: accoppiano il trasporto di un soluto contro


gradiente al trasporto di un soluto secondo gradiente;
Le pompe ad ATP: accoppiano il trasporto contro gradiente all’idrolisi di
ATP;
Le pompe foto-alimentate: accoppiano il trasporto contro gradiente
all’assorbimento di energia luminosa (nel corpo umano non ci sono).

TRASPORTO ATTIVO: trasporto accoppiato

Questo trasporto ha bisogno di energia che viene fornita dal trasporto di


quello rosso, che va secondo gradiente. Esso può essere simporto se i due
96
soluti vanno nella stessa direzione, antiporto se i due soluti vanno in
direzioni opposte.

Esempio di trasporto accoppiato-simporto: le cellule animali utilizzano il


gradiente di Na+ per assumere attivamente sostanze nutritive, come ad
esempio il glucosio.

NB il sodio è molto concentrato all’esterno della cellula e poco all’interno


ed è un catione che è attratto dall’ambiente negativo al di sotto della
membrana plasmatica. Il suo passaggio dall’esterno all’interno è quindi
molto favorito in quanto il sodio segue il suo gradiente elettrochimico. Per
questo motivo, è molto utilizzato per il trasporto accoppiato.

97
NB bisogna sempre dire se le sostanze sono più concentrate da una parte o
dall’altra, altrimenti è impossibile capire se si tratta di un trasporto attivo o
passivo.

Si importa glucosio dal lumen, portandolo nell’ambiente extracellulare


vicino al circolo sanguigno.
Il glucosio deve per forza attraversare la cellula, dove è più concentrato.
Il sodio è più concentrato all’esterno mentre il potassio all’interno.

Nella prima parte c’è un trasporto attivo mediato da un vettore e l’energia


è presa da un simporto con il sodio che è fortemente facilitato nella sua
diffusione passiva perché va secondo il suo gradiente elettrochimico.

Nella seconda parte il glucosio per uscire deve essere soggetto ad un


trasporto passivo, poiché va da un ambiente più concentrato a uno meno
concentrato.

Ma il sodio devo poi rispedirlo fuori, usando delle pompe sodio potassio,
che ristabiliscono l’equilibrio elettrico tra esterno ed interno, prendendo
energia dall’irdolisi dell’ATP.

Dunque, sono entrambi dei trasporti attivi poiché vanno contro il loro
gradiente chimico il sodio ed elettrochimico il potassio (catione facilitato
perché c’è una carica negativa interna ma sfacilitato dalla concentrazione).

La pompa sodio potassio svolge un ruolo essenziale nelle cellule animali


ed assorbe il 30% del consumo totale di ATP

Agisce come una pompa per


espellere Na+ dalla cellula che
rientra attraverso proteine
vettori e canali ionici e così
facendo mantiene
concentrazioni citosoliche
diverse rispetto ai fluidi
extracellulari (10-30 volte
inferiore Na+ e 10-30 volte
superiore K+).
98
La pompa sodio potassio contribuisce a mantenere l’equilibrio osmotico
nella cellula animale. La membrana è permeabile all’acqua per mantenere
costante la concentrazione di soluti che va da zone con soluti poco
concentrati (e acqua molto concentrata) a zone con soluti molto concentrati
(e poca acqua).

NB Essa è presente in tutte le cellule dell’organismo.

Grazie al trasporto attivo fatto dalle pompe le concentrazioni ioniche ai


due lati delle membrane sono lontane dall’equilibrio.

99
Il fosfato viene coniugato con la proteina che viene fosforilata; cambiando
conformazione la proteina si apre rilasciando il sodio nell’ambiente
extracellulare;
C’è poi l’esposizione di un sito che è affine al potassio, che si lega alla
proteina che a sua volta rilascia il fosfato, cambia quindi conformazione e
rilascia il potassio.

Alcuni esempi di proteine vettore:

La realtà è molto complessa: ci sono numerose


pompe, trasportatori ecc.

La membrana plasmatica delle cellule di piante, funghi e batteri non


contiene pompe Na+ ; ma, per alimentare il trasporto di soluti al loro
interno, le cellule utilizzano un gradiente elettrochimico di ioni H + che è
generato da pompe H+ nella membrana plasmatica, che espellono ioni H+
dalla cellula e creano un pH acido nell’ambiente che la circonda.
100
- Trasporto attraverso la membrana (plasmatica e di organelli:
Costruire gli organelli e garantire la compartimentalizzazione.
- Trasporto vescicolare, endo ed esocitosi di molecole di grosse
dimensioni, materiale solido-liquido ecc, per le varie funzioni della
cellula dall’interno all’esterno e viceversa;
- Importazione ed esportazione di piccole molecole per scambio con
l’esterno o tra organelli e citosol (mantenimento osmolarità-
nutrienti);
- Comunicazione cellulare: la cellula risponde non solo a segnali
interni, dettati dal programma genetico e funzionale <<intrinseco>>
(il DNA contiene tutte le informazioni della funzione di una cellula
da quando questa esiste fino alla senescenza) ma anche e soprattutto
a stimoli esterni, che ne determinano la funzione.

COMUNICAZIONE CELLULARE

Negli organismi pluricellulari le cellule comunicano a breve medio o lungo


raggio mediante molecole segnale rilasciate da una cellula che le produce e
ricevute da una cellula bersaglio, che ha un recettore in grado di ricevere
l’informazione.
Nella cellula bersaglio l’informazione veicolata dal recettore si trasmette
all’interno e la cellula modifica la propria funzione: trasduzione del
segnale intracellulare.

Comunicazione endocrina: la cellula riceve


lo stimolo da molto lontano;
Comunicazione paracrina: la cellula che
emette la sostanza chimica è vicino alla
cellula che riceve il segnale.
In certi casi le cellule rispondono a un
mediatore locale che esse stesse producono,
una modalità detta autocrina.
Comunicazione neuronica: l’assone, propagazione del neurone, è costituito
da microtuboli e dal cortex cellulare che si deforma, fino alla sinapsi
(giunzione cellula-cellula) in cui il neurotrasmettitore viene captato dalla
cellula bersaglio. Dunque, i segnali elettrici sono convertiti in segnali
chimici: ogni impulso elettrico stimola la terminazione a liberare

101
all’esterno della cellula una dose di una molecola segnale extracellulare
detta neurotrasmettitore.
Comunicazione juxtacrina:le due cellule sono talmente vicine da
contattarsi; la molecole segnale viene riconosciuta per affinità con la
cellula bersaglio.

NB La comunicazione cellula-
cellula serve a tutto!

ESEMPIO: contatto dipendente


durante l’embriogenesi (è il
contatto di una cellula con un’altra
che determina l’inizio dello
sviluppo di un tessuto).

Le segnalazioni differenti vengono realizzate mediante molecole diverse


nell’ambiente extracellulare, che segnalano a recettori diversi; oppure la
stessa molecola legandosi allo stesso recettore può veicolare
informazioni-segnali differenti a seconda della trasduzione intracellulare
del segnale e alla specificità cellulare. Il segnale differente dipende da ciò
che c’è all’interno di queste cellule
diverse.
NB trasduzione= trasferimento.
ESEMPIO dell’acetilcolina:

102
Non solo una cellula riceve l’acetilcolina, ma ne riceve anche migliaia alla
volta. L’integrazione dei diversi segnali/diversi recettori determina la
risposta.

NB se una cellula non riceve alcun segnale, muore in quanto va in


apoptosi.
La risposta di una cellula a un segnale può essere rapida o lenta:

Nella risposta rapida, il segnale


influenza l’attività di proteine o altre
molecole già presenti nella cellula
bersaglio, in attesa di un “avanti
march”;
Altre risposte impiegano più tempo e
questo perché la risposta a simili
segnali extracellulari comporta
cambiamenti dell’espressione genica
e la produzione di nuove proteine.

I segnali possono essere recepiti:

 Non attraverso la membrana: quasi nessuna


delle molecole segnale extracellulari è in grado
di attraversare la membrana plasmatica, queste
molecole si legano allora a proteine recettore
poste sulla superficie della cellula, che
trasducono il segnale extracellulare in vari tipi
di segnale intracellulare.
 Attraverso la membrana: alcune molecole
segnale piccole e idrofobiche come gli ormoni
steroidei e l’ossido nitrico riescono a
diffondere direttamente attraverso la membrana
plasmatica; essi vanno ad attivare i recettori
proteici intracellulari che sono enzimi o proteine
regolatrici di geni.

103
ESEMPIO degli ormoni, molecole segnale che attraversano la membrana:

Queste molecole idrofobe attraversano tutta la membrana plasmatica della


cellula bersaglio e si legano a recettori proteici che si trovano nel citosol o
nel nucleo. I recettori citosolici e i recettori nucleari prendono il nome di
recettori nucleari, perché, una volta attivati dall’ormone, esercitano la loro
azione nel nucleo dove regolano la trascrizione. Nelle cellule non stimolate
i recettori nucleari solitamente si trovano in forma inattiva. Quando vi si
lega una molecola di ormone, il recettore subisce un cambiamento di
conformazione che lo attiva, permettendogli di promuovere o inibire la
trascrizione di specifici geni bersaglio.
Ogni ormone si lega a un proprio specifico recettore e ciascun recettore
agisce su siti di regolazione diversi del DNA cellulare. Inoltre, un dato
ormone di solito regola gruppi di geni diversi in cellule di tipo diverso,
suscitando pertanto risposte fisiologiche differenti nelle varie cellule
bersaglio.

Il cortisolo:

L’ossido nitrico:
La comunicazione è veloce, diffonde rapidamente
all’interno. L’NO deriva dall’ amminoacido arginina e
agisce localmente perché a contatto con H 2O e O2
all’esterno delle cellule e si trasforma in nitrati e nitriti.

104
Le cellule endoteliali (cellule appiattite che rivestono i vasi sanguigni)
liberano NO in risposta alla stimolazione da parte di terminazioni nervose,
il segnale NO provoca il rilassamento della muscolatura liscia della parete
vasale. Ciò fa dilatare il vaso sanguigno e favorisce lo scorrimento del
sangue.

La nitroglicerina venne usata per anni per il trattamento dell’angina


pectoris, in modo da aumentare l’afflusso di sangue al cuore favorendo la
vasodilatazione.

Riguardo alle molecole segnale che non


attraversano la membrana plasmatica:

Sono molecole che si legano a recettori della


membrana plasmatica che attiva una via del
segnale intracellulare o trasduzione del segnale
intracellulare. I componenti di questa via
possono:

1.Ritrasmettere il segnale a cascata


ad altre molecole della via;
2.Amplificare il segnale;
3.Integrare il segnale ricevendo
segnali da più vie, cioè da più
recettori;
4.Distribuire il segnale a diversi
effettori suscitando delle risposte
complesse.

NB Le cose verdi devono essere in prossimità: la proteina quadrata


viene modificata dal recettore con cui si lega che determina a sua volta
due cambiamenti conformazionali, modificando ogni volta la proteina a
valle.
Cambia quindi l’affinità di legame l’una con l’altra.
L’ultima ha quindi dei bersagli, cioè degli effettori, che sono diversi.
105
Un recettore di transmembrana è una proteina che cambia
conformazione a seguito del legame con il ligando (il segnale), che
avviene per affinità chimica; questo cambio rende il recettore affine a
interagire con un’altra proteina, che può essere anch’essa modificata dal
recettore stesso, e o cambia conformazione o viene modificata
chimicamente (per esempio fosforilata), determinando una trasmissione
del segnale che genere una cascata di modificazioni tra proteine che si
trovano in prossimità tra loro. Ci sono dei recettori che così facendo
riescono ad amplificarlo e a trasdurlo su effettori (cioè dei bersagli
multipli e sono le uniche proteine che veicolano una funzione
all’interno della cellula), ovvero delle proteine che vengono modificate

e rese attive per quello che devono fare.

Perché la trasduzione abbia un seguito non solo le proteine a valle


devono cambiare conformazione per il legame con quelle a monte, ma
devono essere anche chimicamente modificate. In questo modo possono
passare da uno stato attivo a uno stato inattivo.
Dunque, i diversi passaggi di una via di segnalazione sono soggetti a
regolazione a feedback, nel caso in cui il feedback sia negativo ci
possono essere delle risposte che oscillano tra acceso e spento; il
feedback positivo può generare delle risposte “o tutto o niente”, simili a
interruttori.
Molte delle più importanti proteine si comportano come interruttori
molecolari: la ricezione di un segnale ne induce il passaggio da uno
stato attivo a inattivo. Queste proteine, una volta attivate, possono a loro

106
volta attivare altre proteine della via di segnalazione, ma per ogni tappa
deve esistere un meccanismo di inattivazione.

Nella stra grande maggioranza dei casi una proteina può essere
fosforilata e cambia conformazione, riuscendo così ad esercitare la sua
attività.
Se io devo coniugare un gruppo fosfato con una catena laterale di
amminoacidi, devo far avvenire una reazione di condensazione, devo
quindi assolutamente usare l’energia che mi deriva dall’idrolisi
dell’ATP come reazione accoppiata.
In questo caso, l’interruttore viene spostato in una direzione da una
proteina chinasi, che attacca covalentemente un gruppo fosfato alla
proteina interruttore, e nell’altra direzione da una proteina fosfatasi,
che stacca il fosfato.
Un’altra modifica delle proteine molto comune è la coniugazione (no
idrolisi quindi no reazione accoppiata) con una molecola di GTP, che la
rende attiva; questa proteina però ha la capacità di idrolizzare il
nucleotide a GDP, inattivandosi.

TRE CLASSI DI RECETTORI DI MEMBRANA DI SUPERFICIE

Tutte le classi di recettori di


superficie si legano a una
molecola segnale extracellulare
e ne trasducono il messaggio in
una o più molecole segnale
intracellulari che modificano il
comportamento della cellula.
Questi recettori, perlopiù, si
suddividono in tre grandi
famiglie che differiscono per il
meccanismo di trasduzione
utilizzato.

1. I recettori accoppiati a canali ionici modificano la permeabilità


della membrana plasmatica a specifici ioni alterando il potenziale
di membrana e, in condizioni opportune, producendo una corrente
elettrica.
107
2. I recettori accoppiati a proteine G attivano proteine G trimetriche
(costituite da tre subunità) legate alla membrana, le quali, a loro
volta, attivano (o inibiscono) un enzima o un canale ionico della
membrana plasmatica, dando avvio a una cascata intracellulare di
segnalazione.
3. I recettori accoppiati a enzimi agiscono da enzimi o si associano a
enzimi sul versante intracellulare della membrana; gli enzimi, in
seguito alla stimolazione, attivano diverse vie intracellulari di
segnalazione.

Ciascuna delle tre classi comprende numerosi tipi di recettore; i numerosi


recettori di superficie necessari all’organismo per la segnalazione sono
anche i bersagli di numerose sostanze estranee al nostro organismo, che
interferiscono con la nostra fisiologia: eroina, nicotina, tranquillanti… Tali
sostanze possono sia bloccare che sovrastimolare l’attività naturale del
recettore.

Recettori accoppiati a proteine G

Ci sono 700 tipi diversi di


questi recettori accoppiati a
proteine G, unità trimeriche
chiamate alfa, beta e gamma,
legate alla membrana
attraverso un lipide, che è in
grado di interagire con le
code degli acidi grassi dei
fosfolipidi doppio strato
della membrana.

108
I recettori hanno tutti una struttura simile (secondaria e terziaria) e sono
delle proteine costituite da un’unica catena polipeptidica; ci sono delle alfa
eliche che attraversano la membrana 7 volte e ci sono dei domini: uno
intracellulare che interagisce con la proteina G a cui il recettore è
accoppiato e uno extracellulare che interagisce con la molecola segnale.

La modificazione consiste nel fatto che la molecola segnale si lega al


recettore, la parte intracellulare trasduce il segnale in quanto cambia
conformazione e si rende affine a legare la subunità alfa della proteina
trimerica G legata al recettore. Questo fa si che il GDP esce mentre entra il
GTP, che induce un cambio di conformazione nella subunità alfa e fa si
che avvengano due cose:

1. L’alfa si stacca dal recettore;


2. La beta-gamma si stacca dalla subunità alfa.

Pertanto, quando il recettore si lega con il ligando che è la molecola


segnale, attiva la proteina G che si lega con il GTP nella subunità che si
stacca e da cui si staccano beta e gamma; a questo punto alfa e beta-
gamma diventano attive, cambiando conformazione e facendo qualcosa a
valle.
Tutte queste modifiche o transizioni di stato (attivo/inattivo) costituiscono
un ciclo di stadi transienti, altrimenti la trasduzione avverrebbe di continuo
indipendentemente dal legame ligando-recettore.

Questa attivazione è reversibile, in


quanto lo spegnimento avviene
quando la subunità alfa, coniugata
con un GTP, è attiva, e a sua volta
si attiva a valle una proteina
bersaglio (quella che riceve nella
cascata l’interazione con la alfa
attivata), che cambia
conformazione; quando questo
succede, il GTP si idrolizza,
dunque, la subunità alfa si coniuga

109
con il GDP, staccandosi dalla proteina bersaglio e riassociandosi con il
complesso beta-gamma.

NB Ci sono esempi in cui ci sono sostanze che si possono legare alle


proteine G-alfa, tipo la tossina del colera, hanno un’affinità enorme verso
tutte le subunità alfa legate a GTP e ne impediscono l’idrolisi, causando
uno stato di associazione costitutiva di questa proteina, che non cicla più.
Nelle cellule intestinali lo ione cloruro e l’acqua escono continuamente dal
canale della cellula e si ha una disidratazione che può portare alla morte.
Qualcosa di simile accade nella pertosse, una malattia respiratoria in cui il
batterio patogeno colonizza i polmoni, dove produce una proteina
chiamata tossina pertussica: essa altera la subunità alfa di una proteina G e
la blocca nello stato inattivo legato alla GDP. L’inibizione della G
equivale all’attivazione prolungata dell’adenilato ciclasi che in questo è
all’origine della tosse.

Nell’organismo esistono circa venti tipi di proteine G, ciascuna attivata da


un particolare gruppo di recettori della superficie cellulare e preposta
all’attivazione di un ben definito gruppo di proteine bersaglio.

Quali possono essere le proteine bersaglio della proteina G?

Una proteina bersaglio può essere un canale


o un enzima e una volta attivata la proteina
G si stacca dalla beta-gamma. Questa
funzione di trasduzione può essere mediata
anche dalla beta-gamma, che si staccando
dalla subunità alfa.
Esempio: a mediare è la beta-gamma che
interagisce dalla parte intracellulare con il
recettore e lo apre (in questo caso si crea un
canale per il potassio, e quindi può avere
una ripercussione o sulla contrazione
muscolare o su altri tessuti, come il
miocardio, in cui rallenta l’eccitabilità
elettrica della cellula).

110
Oppure, potrebbe essere la proteina
bersaglio un enzima; in questo caso la
risposta è meno rapida in quanto
produce altri intermedi di trasduzione.
I due enzimi che più spesso sono
oggetto dell’azione delle proteine G
sono l’adenilato ciclasi (responsabile
della produzione di AMP ciclico e
fosfolipasi C) e un enzima responsabile
della produzione dell’inositolo trifosfato
e del diacilglicerolo.

ESEMPIO di enzimi con cui si coniuga la subunità della proteina G


attivata:

La coniugazione della subunità alfa con un enzima che si chiama


adenilato ciclasi. Questo enzima ha un substrato (ATP) e stacca una
molecola di pirofosfato perché rimuove un legame covalente e ne forma
uno ulteriore, costituendo così un anello denominato AMP (adenosina
mono fosfato) ciclico. Ci sono altre proteine a valle che sono in grado di
legare l’AMP ciclico per affinità; questo è un intermedio della trasduzione
del segnale usato nelle cellule
eucariotiche. Queste reazioni
devono essere reversibili: la
fosfodiesterasi (un altro enzima)
termina il segnale perché
riconverte l’AMP ciclico in
AMP; se questo non succedesse,
l’AMP ciclico continuerebbe la
trasduzione. Questo AMP non ha

più affinità verso le proteine con cui


l’AMP ciclico si lega a valle.

Ci sono tante proteine a valle che


hanno affinità per l’AMP ciclico, che
111
quindi aumenta di concentrazione. In un’altra prossimità trova un’altra
proteina (che è anche enzima), proteina chinasi A (chinasi= proteina con
attività enzimatica in grado di fosforilare, coniuga una proteina a valle con
un gruppo fosfato) che da inattiva diventa attiva, cambiando
conformazione; inizia quindi la sua attività catalitica (coniuga il fosfato
con una molecola che viene fosforilata, l’energia è presa dall’idrolisi di un
ATP in un ADP, dando luogo a una reazione accoppiata). Ma questo
substrato è una proteina che in quanto fosforilata deve svolgere la sua
attività catalitica: coniuga quindi il fosfato con una nuova molecola che
viene fosforilata, sempre tramite energia ceduta dall’idrolisi, fino a quando
non si arriva ad un effettore; ad esempio in questo caso l’effettore è in
grado di scindere il glicogeno a glucosio (che per esempio dovrà entrare a
far parte della glicolisi).
NB è un passaggio a cascata di modifiche ad opera di proteine a monte che
modificano quelle a valle!

Un altro esempio:

l’AMP ciclico si lega alla PKA che


invece di fosforilare qualcosa a
valle nel citosol, viene traslocata e
fosforila nel nucleo.

Quello verde può essere per


esempio un fattore di trascrizione
che, fosforilato, diventa affine a una
regione del promotore e media un
legame con il DNA.
Questo fattore di trascrizione legato
al promotore fa sintetizzare l’RNA.

Ultimo esempio: proteina G accoppiata alla fosfolipasi C

Una volta attivata, la fosfolipasi C


propaga il segnale tagliando uno dei
componenti lipidici della membrana
plasmatica: un fosfoinositide. La
fosfolipasi C è un enzima che nello
112
staccare la testa fosfoglucidica del fosfoinositide genera due piccole
molecole segnale, il diacilglicerolo (che rimane attaccato alla membrana) e
l’inositol 1,4,5-trifosfato;
L’inositolo-trifosfato è riconosciuto da un canale del calcio nel reticolo
endoplasmatico che farà aprire il canale e fuoriuscire il calcio, che regolerà
poi qualche funzione.
Il dialglicerolo è un lipide che resta immerso nella membrana plasmatica
dopo essere stato prodotto e qui contribuisce a reclutare e attivare una
proteina chinasi, che dal citosol si trasferisce presso la membrana
plasmatica. Si tratta della proteina chinasi calcio, così chiamata perché per
attivarsi deve legare anche il Ca2+. Una volta attivata, la PKC fosforila una
serie di proteine intracellulari diverse a seconda del tipo di cellula.

Anche questo deve essere una situazione transitoria.

IL Ca2+ è un segnale che innesca molti processi biologici

Il livello citosolico del Ca2+ libero aumenta in risposta a molti tipi di stimolo,
ma quello di una cellula non stimolata è bassissimo ed è pari a 10 -7 M, nulla in
confronto alla concentrazione dello ione nel liquido extracellulare e all’interno
del reticolo endoplasmatico (circa 10-3M). queste differenze si mantengono per
l’azione di pompe di membrana che espellono ioni calcio dal citosol, nel
reticolo endoplasmatico oppure al di fuori dalla membrana all’esterno della
cellula. Quando un segnale fa aprire temporaneamente i canali per il calcio in
una delle due membrane, lo ione affluisce nel citosol secondo il proprio
gradiente elettrochimico e induce modificazioni delle proteine citosoliche
sensibili al Ca2+. Le stesse pompe aiutano ad arrestare questo segnale.
Gli effetti del calcio nel citosol sono per lo più indiretti, essendo mediati
dall’interazione dello ione calcio con varie proteine sensibili ad esso; la più
diffusa è la calmodulina, che, in seguito al legame con il calcio, assume una
diversa conformazione che le permette di avvolgersi attorno a un’ampia
gamma di proteine bersaglio della cellula e di alterarne l’attività. Una classe
molto importante di queste è quella delle chinasi CaM che quando si legano al
complesso calmodulina/Ca2+ questi enzimi si attivano e influenzano altri
processi cellulari tramite la fosforilazione di proteine specifiche permettendo la
trasduzione del segnale, soprattutto nei neuroni.

Recettori legati a canali ionici

113
Questi recettori servono alla trasmissione rapida di segnali attraverso le
sinapsi nel sistema nervoso. Essi traducono un segnale chimico (una dose
di neurotrasmettitore scaricato sulla superficie della cellula bersaglio)
direttamente in segnale elettrico. In seguito al legame con il
neurotrasmettitore, il recettore subisce un cambiamento della
conformazione che fa aprire o chiudere un canale della membrana
plasmatica, che permette il passaggio di particolari ioni.
Recettori legati a enzimi

La terza categoria, che riguarda i recettori accoppiati a enzimi, delle


proteine transmembrana che espongono il loro dominio per il ligando sulla
superficie esterna della membrana, comprende quelli che hanno essi stessi
attività catalitica in quanto: o hanno un dominio citoplasmatico della
proteina che è dotato di attività enzimatica, oppure si associano a enzimi.
Quelli che sono dotati di attività enzimatica mediano tantissimi segnali e
tantissime funzioni fondamentali, una delle quali è la regolazione
dell'espressione genica, l’altra è la divisione cellulare. Per la maggior parte
queste proteine segnale agiscono da mediatori locali a concentrazioni
bassissime e generalmente suscitano delle risposte lente.

I recettori associati ad enzimi più conosciuti si chiamano recettori


tirosino-chinasici oppure TRK tyrosine kinase receptors poiché hanno
una parte del loro dominio intracellulare che è una chinasi, ovvero è in
grado di fosforilare un substrato, e “tirosino” perché associano un gruppo
fosfato a un amminoacido tirosina substrato. Questi recettori accoppiati a
enzimi svolgono un ruolo di primaria importanza nello sviluppo del
cancro.

114
I TRK sono monomerici, cioè hanno una catena polipeptidica (segmento
transmembrana che attraversa il doppio strato lipidico sotto forma di elica
alfa), e sono inattivi nella loro conformazione base; il legame della
molecola segnale fa avvicinare due molecole di recettore della membrana,
inducendo la formazione di un dimero. Il contatto tra le due code
intracellulari contigue dei recettori attiva la loro funzione chinasica, con
l’effetto che ciascuno fosforila l’altro (la fosforilazione interessa specifici
residui di tirosina). Questi due aspetti (l'associazione, un legame tra il
ligando segnale e il recettore, e il fatto che dimerizzano) li rendono capaci
di attività enzimatica con le loro porzioni intracellulari. E succedono due
cose:

1. Si fosforilano l’uno con l’altrocross fosforilazione;

2. Sono in grado di fosforilare dei substrati : le tirosine appena


fosforilate sono i siti di legame di un nutrito gruppo di proteine di
segnalazione che, nel legarsi al recettore, vengono attivate e
fosforilate attivano il segnale.

NB i complessi di proteine assemblati sulle code citosoliche dei recettori-


tirosina chinasi sono in grado di produrre una risposta complessa; perché
termini la risposta occorre che i gruppi fosfato, siano eliminati da enzimi
detti proteina tirosina fosfatasi. A volte però per inattivarli vengono
trascinati per endocitosi all’interno della cellula e poi distrutti per
digestione nei lisosomi.

I recettori- tirosina chinasi attivati reclutano molti tipi di proteine di


segnale intracellulare, promuovendo la formazione di grossi complessi di
segnalazione.

Esistono tre classi di effettori:


1. RAS, è una GTPasi (è una
proteina che può legare GTP o
GDP ed è dotata di attività
idrolitica intrinseca, cioè è in
grado di scindere il GTP,
liberare fosfato in organico e
trasformarlo in GDP);
115
2. SMAD: una proteina;
3. PI3K: una chinasi che è dotata di attività di fosforilazione (sono
enzimi).
EFFETTORE RAS

Il RAS è una proteina G inattiva perché è legata al GDP, ed è un integrale


di membrana in quanto è in grado di attraversare il doppio strato lipidico.
Praticamente tutti i recettori- tirosina chinasi attivano RAS, che appartiene
alla famiglia dele GTPasi monomeriche. La Ras somiglia alla subunità alfa
di una proteina G e funziona anch’essa come un interruttore molecolare.
Arriva il ligando (molecola segnale) e i recettori dimerizzano, cioè
cambiano conformazione e quindi si attivano nella loro attività catalitica
che è una chinasi.

Il recettore recluta degli adattatori, ovvero delle proteine intermedie che


non sono dotate di attività catalitica, che come ulteriore trasduzione del
segnale sono in grado di legarsi con una proteina RAS che è inattiva e
questo fa fuoriuscire GDP, legare GTP e dunque, la proteina RAS si attiva.

RAS è una proteina in grado di propagare il segnale a valle.

Esempio:
Nel suo stato attivo la Ras
promuove l’attivazione di una
cascata di fosforilazione, nella quale
diverse serina/treonina proteina
chinasi si attivano l’una con l’altra
in successione; questo sistema porta
il segnale dalla membrana fino al
nucleo e comprende un modulo di
tre proteine chinasi, detto modulo di
segnalazione della MAP chinasi. In
questa via la MAP chinasi viene fosforilata e attivata da un enzima
chiamato MAP chinasi chinasi, che a sua volta è attivato da una proteina
detta MAP chinasi chinasi chinasi. La MAP chinasi si trova a valle di
questa cascata di chinasi e fosforila varie proteine effettrici, tra cui certi
regolatori della trascrizione, modificandone l’azione di controllo sulla
trascrizione dei geni. Tale cambiamento nel quadro di espressione genica
116
può stimolare la proliferazione cellulare, favorire la sopravvivenza delle
cellule, o indurre il dfferenziamento.
In questo caso ci sono dei bersagli multipli, 4.

Questa trasduzione alla fine si attua perché la MAP-chinasi ne fosforila


insieme quattro differenti che possono essere proteine con un'attività
proteica X e Y particolari, oppure fattori di trascrizione di geni.
Se avviene una perdita dell’attività GTPasica, la proteina non è più in
grado di autoestinguere la propria attivazione e alimenta una proliferazione
cellulare incontrollata e lo sviluppo del cancro. Circa il 30% dei tumori
maligni umani contiene simili mutazioni attivanti di geni Ras. Molti di
questi geni furono identificati come oncogèni, i geni promotori dei tumori.

L’approccio che si ha quando si vuole scoprire se una proteina agisce a


monte o a valle rispetto ad un'altra in una cascata di trasduzione del
segnale è il seguente:
si introducono artificialmente nelle cellule delle mutazioni
amminoacidiche delle proteine di cui si vuole capire la posizione, cioè se
si trovano a monte o a valle di RAS (in questo caso); si introduce poi una
versione costitutivamente attiva di RAS (attiva continuamente=
continuamente legato al GTP), si cerca di capire se il segnale arriva e
quindi se questa funzione effettrice avviene oppure no a seconda della
proteina che si mutagenizza; quindi, a seconda dell'effetto finale si capisce
in che ordine sono le proteine.

117
EFFETTORE SMAD

Il recettore tirosina-chinasico si
auto fosforila nelle due subunità
ma in questo caso fosforila anche
un substrato, che è l’effettore
SMAD, una proteina che non è
dotata di attività catalitica ma così
fosforilata si può associare ad
un’altra proteina SMAD dello
stesso tipo o molto simile e questo
complesso viene importato nel
nucleo dove si lega al DNA,
poiché è affine a fattori di
trascrizione (grazie al cambio conformazione dovuto alla fosforilazione),
con cui interagisce, che legano al DNA; avverranno poi trascrizione e
traduzione.

Molte delle proteine extracellulari che stimolano le cellule animali a


sopravvivere, accrescersi e proliferare agiscono tramite gli RTK. Una
delle vie di segnalazione attivate da RTK, di cruciale importanza per la
crescita e la sopravvivenza delle cellule, si basa sull’:

EFFETTORE PI3 fosfatidilinositolo-3-chinasi che fosforila i


fosfoinositidi della membrana plasmatica.

Questi lipidi fosforilati diventano siti di attracco per specifiche proteine di


segnalazione intracellulare, le quali si riposizionano dal citosol alla
membrana plasmatica, dove possono attivarsi a catena. Una tra le più
importanti di queste proteine di segnalazione è una proteina chinasi
serina/treonina detta AKT.
La proteina AKT (proteina chinasi B) promuove la crescita e la
sopravvivenza di molti tipi di cellule, spesso inattivandone per
fosforilazione alcune proteine di segnalazione. Per esempio quella
seguente, può essere un bad: nello stato attivo, la Bad spinge la cellula al
suicidio, inducendo indirettamente la morte cellulare programmata per
apoptosi. Ma, la fosforilazione da parte della Akt promuove quindi la

118
sopravvivenza, inattivando una proteina che altrimenti spingerebbe la
cellula al suicidio.

Oltre a promuovere la sopravvivenza cellulare, la PI-3


chinasi stimola le cellule ad aumentare la loro
dimensione: questo effetto è prodotto indirettamente
attivando una chinasi detta Tor, la quale stimola
l’accrescimento delle cellule sia facendo aumentare la
sintesi di proteine sia inibendo la degradazione delle
proteine già formate.
Questo processo se disregolato, cioè aumentato in modo
incontrollato (sempre attivo), è una delle cause più
ricorrenti di trasformazione tumorigenica delle cellule

Nella realtà, molte delle vie di queste


cascate segnale si conoscono, altre
non si sono ancora scoperte; non si
sa esattamente come interagiscono
le une con le altre.

NB lo stesso recettore può mediare


via completamente differenti.

Per esempio, le proteine fosfolipasi C possono ricevere segnali sia dalla


proteina G, sia dal recettore tirosina-chinasi.

Concludendo, la cellula riceve continuamente segnali ed integra le


informazioni con una risultante.

METABOLISMO

Il glucosio e altre molecole nutritive, per esempio i grassi, vengono


demolite attraverso un’ossidazione graduale controllata per fornire
energia chimica in una forma utilizzabile dalla cellula, cioè l’energia deve
essere racchiusa in vettori attivati, come: ATP (utilizzato per processi di
119
sintesi), NADH, NADPH e FADH (tutti questi intermedi servono per
accumulare energia).
Le funzioni cellulari che richiedono energia sono tantissime e un esempio
sono le reazioni di condensazione.

L’ATP e gli altri vettori energetici vengono prodotti in due punti differenti
della cellula:
1. Direttamente dall’ossidazione di molecole nutritive nel citosol e nei
mitocondri. Accoppiamento di una reazione favorevole catalizzata
da enzimi con una sfavorevole, ADP + Pi= ATP, o altre molecole
che poi entrano nella catena ossidativa dei mitocondri producendo
molto più ATP.
2. Indirettamente attraverso la creazione di più intermedi attivati nei
mitocondri, attraverso la fosforilazione ossidativa.

Senza i mitocondri non può avvenire nessuna funzione cellulare perché la


cellula non ha la sua fonte principale di produzione di ATP; i mitocondri
sono così abbondanti in alcune cellule che richiedono e hanno un
dispendio energetico enorme (es. i neuroni, le cellule muscolari).
Dunque, nel citosol viene prodotta ATP attraverso la glicolisi, mentre nei
mitocondri avviene la produzione di ATP e altri intermedi attraverso la
fosforilazione ossidativa.

Per produrre energia, sia nel citosol che nei mitocondri, si parte da
nutrienti: la cellula, per esempio, deve internalizzare il glucosio, ma ci
sono anche altre molecole organiche che sono fonti di energia (gli
zuccheri, i grassi, le proteine); queste molecole organiche devono essere
scisse nei monomeri che le costituiscono, cioè devono essere rotti i legami
covalenti e questi monomeri devono poi essere importati nelle cellule
affinché, sia la glicolisi nel citosol ,che la fosforilazione ossidativa nel
mitocondrio, possano avvenire.

Le molecole nutritive vengono demolite in unità semplici mediante un


catabolismo a tre stadi.
120
1. Nello stadio 1 gli enzimi riducono le
grandi molecole polimeriche
contenute nel cibo nelle loro subunità
monomeriche più semplici. Questa
prima fase, detta digestione, avviene
all’esterno delle cellule, nel nostro
intestino o in organelli specializzati
detti lisosomi. Dopo la digestione,
queste piccole molecole organiche
entrano nel citosol di una cellula,
dove inizia la loro graduale
ossidazione.
2. Durante lo stadio 2 una catena di
reazioni chimiche chiamata glicolisi,
converte ogni molecola di glucosio in
due molecole più piccole di piruvato.
La glicolisi avviene nel citosol e oltre
a produrre piruvato, genera due
molecole di trasporto attivate: l’ATP
e il NADH. Il piruvato viene poi
trasferito nella matrice dei
mitocondri. Qui un complesso
enzimatico molto grande converte
ogni molecola di piruvato in CO2 più Acetil-CoA (nello stesso
compartimento grandi quantità di Acetil-CoA vengono prodotte
anche dalla demolizione ossidativa degli acidi grassi derivati dai
lipidi).
3. Lo stadio 3 del catabolismo avviene completamente nei mitocondri.
Il gruppo acetilico dell’Acetil-CoA viene trasferito a una molecola
chiamata ossalacetato per formare il citrato, che entra in una serie di
reazioni chiamate ciclo dell’acido citrico. Il gruppo acetile viene
ossidato a CO2 e vengono prodotte grandi quantità di NADH. Infine,
gli elettroni ad alta energia passano dal NADH alla catena di
trasporto degli elettroni, cioè una serie di enzimi che si trovano nella
membrana mitocondriale interna, dove l’energia liberata durante il
loro trasferimento alimenta la fosforilazione ossidativa, ovvero un
processo che produce ATP consumando O2. È in queste fasi finali
121
del catabolismo che viene prodotto la maggior parte dell’ATP
cellulare, una forma di energia adatta all’utilizzo da parte della
cellula.

Dunque, riassumendo:

Il glucosio, che è lo zucchero semplice in cui vengono scissi i


polisaccaridi, entra nella cellula, in particolare nel citosol, dove ci sono gli
enzimi deputati a delle reazioni enzimatiche che si chiamano
GLICOLISI, cioè una cascata di reazioni chimiche mediate da enzimi
(catalizzatori) che sono in grado di immagazzinare energia chimica che
deriva dalla scissione del glucosio sotto forma di ATP e NADH (molto
poco).
La glicolisi attua la scissione del glucosio in altre molecole, che sono
intermedi; il fine ultimo è la produzione del piruvato (è solo a carico del
glucosio).

Gli aminoacidi che entrano nella cellula vengono direttamente convertiti in


piruvato senza entrare nella glicolisi; gli acidi grassi, invece, vengono
convertiti in un intermedio, l’acetilCoA che si trova nel mitocondrio.

Tutto questo dice che:


la glicolisi è un processo citosolico che produce ATP e NADH in quantità
non assolutamente sufficiente per il fabbisogno energetico di una cellula.
Attraverso il ciclo dell'acido citrico e quindi di krebs, tramite acetilCoA,
ovvero il primo intermedio che si forma, si ha la più massiccia produzione
di ATP a partire da NADH, che ridotto, cede elettroni in una cascata di
passaggi di reazione (fosforilazione ossidativa, reazioni di ossido
riduzione) e questo fa produrre ATP.
GLICOLISI

Il glucosio, nella glicolisi, viene


scisso e l’energia ottenuta deriva
dalla scissione della molecola a 6
atomi di carbonio in due molecole a
3 atomi di carbonio (piruvato);
queste scissioni sono di reazioni di
idrolisi che accumulano energia in
122
vettori che sono trasportatori di energia (sia perché vengono ridotti, come
NADH, sia perché da ADP viene prodotto ATP, che immagazzina
l'energia).

La glicolisi è costituita da 10 passaggi (10 stati di conversione) in cui si


consumano due molecole di ATP (che entrano poiché sono necessarie per
la scissione),; nei passaggi successivi, invece, la risultante sono due
molecole di NADH e quattro di ATP: alla fine il vantaggio netto della
cellula consta di due molecole di ATP prodotte (4 tot- 2 consumate), due
molecole di NADH (utilizzabili dalla cellula nel citosol) e due molecole
di piruvato (entra nel ciclo di krebs una volta convertito a acetilCoA).

I grassi sono l’altra fonte energetica basilare contenuta nel cibo. Gli acidi
grassi estratti dai grassi vengono trasportati dentro i mitocondri e convertiti
in molecole di Acetil-CoA. Queste molecole vengono poi ossidate
ulteriormente attraverso il ciclo dell’acido citrico, proprio come l’Acetil-
CoA derivante dal piruvato. NADH e FADH2 trasferiscono gli elettroni di
cui sono vettori a una catena di trasporto situata nella membrana interna
del mitocondrio, dove essi alimentano la formazione di ATP con una serie
di passaggi. Gran parte dell’energia recuperabile dalla demolizione delle
molecole nutritive viene catturata proprio in questo processo della
fosforilazione ossidativa.
Oltre al piruvato e agli acidi grassi, anche alcuni amminoacidi vengono
trasportati dal citosol alla matrice mitocondriale dove vengono convertiti
in acetil-CoA o in uno degli intermedi dell’acido citrico. Perciò, nelle
cellule eucariotiche, i mitocondri sono il punto centrale verso il quale
convergono tutti i processi di produzione di energia (nei procarioti questo
avviene nel citosol).
Ma la maggior parte dell’energia resta bloccata nell’acetil-CoA; lo stadio
successivo della respirazione cellulare è il ciclo dell’acido citrico, in cui il
gruppo acetile dell’acetil-CoA viene ossidato a O 2 e H2O nella matrice
mitocondriale.

Il ciclo dell’acido citrico (o ciclo di Krebs) è responsabile di circa 2/3


dell’ossidazione totale dei composti del carbonio nella maggior parte delle
cellule e i due prodotti finali sono CO 2 e gli elettroni ad alta energia sotto
forma di NADH. Questi e- sono poi trasferiti alla catena di trasporto degli
e- nella membrana interna dei mitocondri. Alla fine della catena, questi e - si
123
combinano con l’O2 formando H2O. Il ciclo dell’acido citrico, di per sé,
non utilizza O2, ma richiede O2 poiché la catena di trasporto degli e -
permette al NADH di liberarsi dai suoi e - e generare il NAD+, necessario
perché il ciclo continui. Il ciclo dell’acido citrico catalizza l’ossidazione
completa degli atomi di C che costituiscono il gruppo acetile dell’acetil-
CoA, convertendoli in CO2. Tuttavia, il gruppo acetile non viene ossidato
direttamente, in quando viene prima trasferito all’ossalacetato (una
molecola a 4 atomi di C) per formare l’acido citrico, un acido
tricarbossilico a 6 atomi di carbonio. La molecola di acido citrico viene poi
gradualmente ossidata, sfruttando l’energia di questa ossidazione per
produrre i trasportatori attivati. La catena di otto reazioni genera un ciclo,
in quanto l’ossalacetato che da inizio al processo alla fine si rigenera.

Il ciclo di krebs è un insieme di


tantissime trasformazioni a tanti stati
diversi in cui risultato netto è:
- 3 NADH
- 1 GTP
- 1 FADH2 un trasportatore di
elettroni ad alta energia e di
idrogeno.
Vengono inoltre liberate due
molecole di CO2.

Il ciclo di krebs serve a produrre


NADH, ATP e FADH, ma ad
ogni intermedio di questo ciclo
vengono prodotti dei substrati che
servono per la biosintesi
(anabolismo) di altre molecole
complesse che può produrre la
cellula.

I trasportatori di elettroni NADH e FADH 2 trasferiscono i loro elettroni ad


alta energia alla catena di trasporto degli elettroni, ovvero una serie di
124
trasportatori immersi nella membrana mitocondriale interna delle cellule
eucariotiche. Gli elettroni scendono a livelli di energia sempre più bassi: in
punti specifici l’energia che essi liberano viene spesa per trasportare H +
attraverso la membrana interna, dal compartimento mitocondriale interno
verso lo spazio intermembrana. Questo movimento genera un gradiente
transmembrana di ioni H+ che serve da fonte di energia per una serie di
reazioni. La più importante di queste reazioni è la fosforilazione dell’ADP
per produrre ATP sulla matrice della membrana interna. Alla fine della
catena di trasporto, gli elettroni vengono trasferiti alle molecole di O 2 che
si combinano con i protoni H+ formano acqua.
In totale, l’ossidazione completa di una molecola di glucosio ad H 2O e O2
produce circa 30 molecole di ATP, mentre con la sola glicolisi si
ottengono solo due ATP.

MITOCONDRIO

Il mitocondrio è presente nella cellula in almeno 1000/2000 unità, ma il


numero è molto variabile perché, in cellule che hanno un forte fabbisogno
energetico, possono essere presenti anche migliaia di copie.

Il mitocondrio ha un suo genoma circolare (in ogni mitocondrio ci sono da


due a dieci copie) molto piccolo con 17.000 paia di basi. Questa molecola
circolare di DNA mitocondriale serve a trascrivere 37 geni e quindi a
tradurre 37 proteine all’interno del mitocondrio; questi geni codificano per
2 rRNA, 22 tRNA e 13 proteine, che fanno parte dei complessi enzimatici
125
deputati la fosforilazione ossidativa (cioè ciclo di krebs e ciò che avviene
dopo). Il resto delle proteine presenti nel mitocondrio deriva da geni
nucleari i cui prodotti vengono appositamente trasportati, le proteine
destinate al mitocondrio generalmente vengono riconosciute grazie ad una
sequenza leader presente sulla loro parte N-terminale.

Il mitocondrio è autonomo solo in piccola parte della sua funzione perché


trascrive e traduce 37 geni in maniera autonoma.
Tutto il resto, (enzimi, catene enzimatiche etc, che partecipano alla
fosforilazione ossidativa o al ciclo di krebs) dipende dalla trascrizione e
traduzione di geni e di proteine che derivano dal nucleo e che vengono
importate nel mitocondrio.

In ognuna delle membrane e dentro la matrice ci sono tantissime proteine


differenti che attuano il metabolismo mitocondriale. Nella membrana
esterna sono presenti le porine, che formano degli ampi canali acquosi
attraverso il doppio strato lipidico; di conseguenza la membrana esterna si
comporta come un setaccio. Invece, la membrana interna è impermeabile
al passaggio degli ioni e contiene solo molecole che possono esservi
trasferite in maniera selettiva e pertanto ha una composizione specifica.
Essa contiene le proteine di trasporto degli elettroni, le pompe protoniche e
l’ATP sintasi; contiene inoltre diverse proteine per il trasporto di piruvato
e acidi grassi che verranno ossidati nel mitocondrio. La membrana interna
è molto articolata in quanto consta di una serie di pieghe, chiamate creste,
che ne incrementano notevolmente la superficie.

Il mitocondrio è un organello che può


dividersi e quindi aumentare di forma,
in base alle esigenze della cellula:
prima si divide e poi si accresce in
massa affinché crescano le membrane
(tutto avviene sotto stretto controllo del
genoma nucleare).

Il meccanismo di divisione si chiama fissione, in cui si ha la separazione


fisica delle membrane, mentre il meccanismo di unione di due membrane
126
si chiama fusione, perché due mitocondri si possono fondere fino a
formare un mitocondrio più complesso.
Quindi, i mitocondri vanno continuamente incontro a rimodellamenti che
sono alla base della determinazione del loro numero a seconda delle
esigenze cellulari.

Nel mitocondrio entrano il piruvato (derivante dalla glicolisi) e gli acidi


grassi, tramite le porine della membrana mitocondriale esterna ed
all’interno di esso, nella matrice, vengono convertiti in acetilCoA. I gruppi
acetilici dell’Acetil-CoA vengono poi ossidati a CO2 per mezzo del ciclo
dell’acido citrico. Una parte dell’energia derivata da questa ossidazione
viene conservata sottoforma di elettroni ad alta energia, veicolati da
trasportatori attivati NADH e FADH2; questi trasportatori attivati possono
poi donare i loro elettroni ad alta energia alla catena di trasporto degli
elettroni nella membrana mitocondriale interna.

La generazione chemiosmotica ha inizio quando i trasportatori attivati


NADH e FADH2 donano i propri elettroni ad alta energia alla catena di
trasporto degli elettroni nella membrana mitocondriale interna, dove
vengono ossidati a NAD+ e FAD, nel processo. Gli elettroni vengono
trasportati (trasporto attivo) molto rapidamente attraverso la catena fino
all’ossigeno molecolare, formando l’acqua. Il passaggio di questi elettroni
ad alta energia lungo i componenti della catena di trasporto libera energia
che viene sfruttata per pompare i protoni oltre la membrana mitocondriale
interna, il gradiente protonico che ne risulta alimenta a sua volta la sintesi
di ATP. Quindi la membrana mitocondriale interna funge da strumento per
convertire l’energia contenuta negli elettroni ad alta energia del NADH e
del FADH2 nel legame fosfato delle molecole di ATP: questo meccanismo

127
viene detto fosforilazione ossidativa perché comporta sia il consumo di O2
sia l’aggiunta di un gruppo fosfato all’ADP per formare l’ATP.

NB si può chiamare anche


respirazione cellulare
perché si consuma ossigeno
e si rilascia CO2 quindi è
come se fosse una
respirazione.

La catena di trasporto degli elettroni è presente in molte copie nella


membrana mitocondriale interna. Ogni catena contiene oltre 40 proteine,
raggruppate in 3 grandi complessi enzimatici trasportatori. Ogni
complesso contiene ioni metallici e altri gruppi chimici che fungono da
“appoggio” per facilitare il passaggio degli elettroni. Il movimento degli
elettroni è accompagnato tramite il pompaggio di protoni dalla matrice
mitocondriale allo spazio intermembrana. Ogni complesso può quindi
essere paragonato a una pompa protonica. Il trasferimento degli elettroni
lungo la catena è un processo favorito energicamente: gli elettroni passano
da trasportatori con un’affinità più debole a quelli con un’affinità molto
maggiore, fino a combinarsi con una molecola di O2 per formare l’acqua.
Questo è lo stadio che consuma tutto l’ossigeno che respiriamo.

NB la traslocazione attiva di protoni genera un gradiente di concentrazione


di H+, un gradiente di pH tra i due lati della membrana mitocondriale
interna (pH matrice=7,9, pH dello spazio intermembrana= 7,2). Ma, il
passaggio di protoni genera un gradiente di voltaggio attraverso la
membrana mitocondriale interna; con il fluire di ioni H + verso l’esterno, la
matrice diventa negativa, mentre il lato rivolto verso lo spazio
intermembrana diventa positivo. Ma, nel caso della membrana
mitocondriale interna, il gradiente di pH e il potenziale di membrana
cooperano per creare un ripido gradiente elettrochimico di protoni che
rende il riflusso di H+ nella matrice mitocondriale molto favorito dal punto
di vista energetico. Quindi, il potenziale di membrana contribuisce
significativamente alla forza motrice protonica che spinge gli H + a
ritornare indietro attraverso la membrana.

128
Il gradiente protonico elettrochimico attraverso la membrana viene
utilizzato per la sintesi dell’ATP a partire da ADP e P. Il dispositivo che
rende possibile tutto ciò è l’ATP sintasi, una proteina immersa nella
membrana mitocondriale interna. La porzione della proteina che catalizza
la fosforilazione dell’ADP, a forma di lecca lecca, si proietta nella matrice
mitocondriale ed è attaccata tramite uno stelo centrale a un trasportatore di
H+ transmembrana. Man mano che i protoni attraversano il trasportatore, il
loro movimento fa ruotare rapidamente il trasportatore e il suo stelo, il
quale, ruotando, sfrega contro le proteine contenute nella testa che rimane
ferma, alterandone la conformazione e inducendole a produrre ATP.
L’ATP sintasi è quindi in grado di utilizzare l’energia derivante dall’ATP
per pompare protoni “a monte”, contro il loro gradiente.

Riassumendo:

129
Riga grigia: membrana;
Spazio bianco: spazio intermembrana;
Spazio grigio: matrice.

MITOSI E MEIOSI

Le cellule di un organismo
pluricellulare a riproduzione
sessuata possono essere germinali,
somatiche o staminali.
Le cellule germinali sono quelle
che danno origine allo zigote,
quindi sono diverse per metà:
contengono metà del patrimonio
genomico (genetico) che deriva da
una cellula germinale e, due cellule
germinali si devono unire per ricostituire un individuo originale (si ottiene
uno zigote), da cui si deve partire per successive divisioni cellulari, che
deve avere un corredo genomico normale, cioè quello di cui sono dotate le
cellule che lo costituiranno.
Le cellule che costituiscono per accrescimento un individuo pluricellulare
sono cellule somatiche (“soma” =corpo”).
Lo zigote, quindi, deve accrescere la propria massa in modo controllato,
tanto da costituire una precisa gerarchia di sviluppo di diversi
tessuti/organi e apparati e questo si attua tramite la divisione cellulare,
ovvero la mitosi, che è una divisione cellulare conservativa: da ogni cellula
se ne ottengono altre che possiedono lo stesso contenuto genomico, quindi
hanno sempre lo stesso contenuto di DNA.
Le cellule germinali all’inizio si divideranno per mitosi, però a un certo
punto in poi andranno incontro a meiosi, la divisione non conservativa,
poiché porta ad avere da una cellula a corredo normale, delle cellule che
hanno metà del corredo rispetto alle progenitrici. L’unione, ancora una
volta, di due cellule germinali, da origine allo zigote e così via.

Nei diversi tessuti c’è sempre una porzione di cellule,


le cellule staminali, che non si dividono continuamente
per mitosi ma rimangono come se fossero delle cellule
indifferenziate che hanno una capacità abbastanza
130
notevole di divisione, cioè il loro compito è produrre delle cellule che si
possano differenziar. Le cellule staminali non sono tantissime e non hanno
un potere di divisione indefinito, altrimenti ciò vorrebbe dire che
qualunque danno, a qualunque tessuto, di qualunque organo di un qualsiasi
apparato potrebbe rigenerarsi, riattingendo dalla porzione di cellule
staminali. Dunque, ogni tessuto si rinnova a un suo ritmo caratteristico.
L’unico tessuto in cui la staminalità è in grado di ricostituire molto
efficientemente le cellule del tessuto per successive divisioni, è il sangue,
di cui le cellule staminali sono nel midollo osseo.
Supponiamo che abbiamo un tessuto da costituire a partire da un certo
numero di divisioni cellulari dopo lo zigote, quindi la prima cellula che è
stata originata dalla fecondazione di due cellule germinali. La cellula
cambia colore in quanto comincia a differenziarsi, cioè ad acquisire delle
proprietà che poi saranno quelle caratteristiche del tessuto a cui appartiene.

Es. progenitore di una cellula muscolare: la prima rosa è una cellula


muscolare ancora in stadio di maturazione, quella sotto è una cellula che si
divide ma più si va verso il suo differenziamento (il fatto che la cellula
diventa poi una cellula muscolare), più cambia forma, nel senso che
acquisisce una forma diversa e specifica e poi non si divide più.
Questo ovviamente non si applica a tutte le cellule dell’organismo, ad
esempio le cellule ematiche hanno una continua divisione che le
ricostituisce da capo. Mentre, ad esempio, quelle muscolari e quelle
nervose non possono continuare a dividersi e, una volta morte, non si
ricostruiscono più.

una cellula quando prolifera si divide,


dando origine ad altre cellule, ma
questa capacità di divisone si esaurisce
piano piano che le cellule
differenziano e maturano, più una
cellula si differenzia, e meno si divide.

Quelle gialle sono le cellule staminali,


come se questo fosse un tessuto dotato
di vari stadi a cui contemporaneamente diversi pull di cellule vanno
incontro.

131
C’è un pull di cellule staminali che è in continua divisione cellulare e
quindi sono molto indifferenziate, mano a mano che gli stadi di
replicazione e divisione vanno avanti, queste cellule vengono sempre più a
differenziarsi nelle cellule in quelle che costituiscono, mature, il tessuto
finale differenziato.
Differenziazione: è possibile grazie all’espressione genica, cioè quali geni
si esprimono e si traducono in proteine. Ogni tipo di cellula somatica a
livello di zigote inizia avendo lo stesso patrimonio genomico (la stessa
quantità di nucleotidi), da questa si specificano tantissime cellule
differenti, in tessuti differenti, perché ognuna è programmata nelle
divisioni cellulari a esprimere RNA differenti in combinazione differente,
e quindi a specificare un tipo differente.
Es. la cellula muscolare esprimerà RNA e traduzione di proteine dei geni
diversi rispetto a un neurone o un fibroblasto o una cellula ematica e così
via. Quello che diversifica un tipo cellulare in un altro è il pull di
espressione genica e la combinazione con cui queste proteine
interagiscono tra di loro e specificano diverse funzioni cellulari, tipiche di
ogni cellula differenziata in un tessuto differente.

Esempio della pelle:

tessuto in cui convivono la capacità


rigenerativa e una funzionalità di un
tessuto, con cellule completamente
differenziata.

La pelle è formata da diversi strati che sono il derma, l’epidermide e il


tessuto connettivo (grasso dell’ipoderma) che sta sotto. Poi ci sono le
terminazioni nervose piccole e dei vasi sanguigni, che servono per farci
sentire il dolore, caldo e freddo ecc.
L’epidermide è formata da cellule differenziate, quindi che non si dividono
più e che sono i cheratinociti, cellule di Langerhans e cellule pigmentarie.
Il tessuto connettivo lasso del derma è fatto di fibroblasti, e ha una matrice
extracellulare molto densa di collagene, elastina e tanti macrofagi, perché
la pelle è un tessuto molto esposto all’esterno e quindi ha una capacità
132
reattiva molto alta. Infine, nel tessuto connettivo denso del derma, sono
presenti in maniera ancora più fitta i fibroblasti, il collagene e l’elastina.
Ognuna di questi tipi cellulari sono in realtà delle cellule differenziate, che
costituiscono un tessuto che è quindi un insieme organizzato composto da
cellule di vario tipo.
Quando abbiamo la rottura a causa di
un danno o semplicemente perché gli
strati superficiali dell’epidermide
vanno incontro ad esfoliazione, cioè a
riduzione dello strato poiché le cellule
muoiono (sia per invecchiamento o a
causa di condizioni atmosferiche ecc),
allora, cellule dello strato più
superficiale, cioè dell’epidermide,
mantengono una certa capacità
rigenerativa (come se fossero un po’
staminali) e continuano a dividersi per
mitosi e aumentano la massa, nel
frattempo migrano verso gli strati più
superficiali e piano piano
differenziano in cellule pigmentate.

Mano a mano che l’organismo invecchia, questa capacità di divisione, di


ricostituire gli strati più superficiali dell’epidermide e di differenziazione
diminuisce, ciò implica il concetto di senescenza.

Il ciclo cellulare: è alla base della


riproduzione di tutti gli esseri viventi e
possiede delle caratteristiche che
permettono a ogni cellula di svolgere il
suo compito fondamentale, ovvero
quello di produrre una copia della
propria informazione genetica e
trasmetterla alla successiva
generazione di cellule. Per mantenere
le proprie dimensioni però. Le cellule
devono duplicare anche le

133
macromolecole e gli organelli, pertanto devono coordinare alla divisione
un processo di accrescimento.
Gli eventi più rilevanti sono la divisione del nucleo (mitosi) e la successiva
suddivisione in due dell’intera cellula (citochinesi). Questi due processi,
insieme, costituiscono la fase M del ciclo cellulare. Il periodo tra una fase
M e la successiva è chiamato interfase e comprende le tre restanti fasi del
ciclo. Durante la fase S (sintesi) la cellula replica il DNA nucleare, mentre
durante le due fasi G (G1 e G2) la cellula continua ad accrescersi ed
effettua un monitoraggio dell’ambiente interno ed esterno per accertarsi
che le condizioni siano adatte alla riproduzione.
Negli eucarioti un sistema di controllo del ciclo cellulare assicura che le
cellule replichino tutto il DNA e gli organelli prima di dividersi. Gli eventi
avvengono con un ordine prestabilito da un sistema di controllo, con
segnalazione retroattiva, che riesce ad assolvere questo compito grazie a
freni molecolari che possono arrestare il ciclo in vari punti di controllo: il
sistema non da avvio alla tappa successiva del ciclo finché la cellula non è
adeguatamente preparata ad affrontarla.

NB un malfunzionamento che comporti un’eccessiva divisione delle


cellule può determinare il cancro.

Il sistema di controllo del ciclo cellulare accende e spegne due apparati


(quello che produce i nuovi componenti della cellula che si accresce e
quello che li trascina nella posizione giusta) e la sua essenza è una serie di
segnali biochimici che agiscono secondo una successione determinata e
orchestrano i principali eventi del ciclo. Questa regolazione è attuata in
gran parte tramite fosforilazione (regolate da chinasi) e defosforilazione
(regolate da fosfatasi) di proteine di questi processi essenziali.
L’attivazione e l’inattivazione delle chinasi al momento giusto dipendono
in parte da un secondo gruppo di componenti del sistema di controllo: le
cicline. Queste proteine si devono legare alle chinasi, affinché queste
diventino attivate. Le proteine chinasi del sistema di controllo del ciclo
cellulare prendono quindi il nome di proteine chinasi dipendenti da
cicline, Cdk. Al controllo del ciclo cellulare partecipano diversi tipi di
ciclina e vari tipi di Cdk. I diversi complessi ciclina-Cdk danno avvio a
tappe diverse del ciclo cellulare. La degradazione delle cicline avviene
tramite un complesso che promuove l’anafase (APC) che etichetta le
cicline con una catena di ubiquitina, facendole poi degradare. Il Cdk torna
134
allora ad essere inattivo e permette quindi il passaggio da una fase all’altra
del ciclo.

La durata del ciclo è differente da cellula a


cellula, può essere di ore o giorni.
La cellula somatica (o normale): cellula del
corpo, che non include la cellula uovo e lo
spermatozoo, che ha un corredo cromosomico
diploide 2n(n=23), cioè di 46 cromosomi, di
cui 44 (da 1 a 22) sono autosomi, mentre gli
altri due sono i cromosomi sessuali, che
specificano il sesso di un individuo. L’insieme
dei 46 cromosomi è definito cariotipo. I
cromosomi possono essere distinti al
microscopio ottico per forma, per posizione del
centromero, per lunghezza del braccio corto e
lungo, e anche per bendaggi che sono visibili
mediante delle opportune colorazioni.
La cellula somatica, inoltre, si divide per
mitosi.

Un cariotipo diploide 2n ha due coppie uguali di ciascun autosoma (due


cromosomi 1, due cromosomi 2…) e i cromosomi all’interno di ciascuna
coppia sono definiti omologhi (simili ma non identici, possono differire
per delle paia di basi). I cromosomi sessuali XY non sono omologhi
perché differiscono molto tra loro per contenuto genetico, forma,
dimensione e così via. Solo piccole porzioni sono omologhe, cioè
specificano lo stesso contenuto genico.

La fase G1 è un importante punto decisionale per la cellula, poiché,


basandosi su segnali intra ed extracellulari (mitogeni), la macchina di
controllo del ciclo cellulare può sia trattenere per un breve periodo la
cellula in G1, sia permetterle di prepararsi all’entrata nella fase S di un
nuovo ciclo cellulare. Ma, prima di passare alla fase G1, la macchina deve
inattivare tutte le S-Cdk e le M-Cdk che le rimangono.
Nel caso in cui il DNA sia danneggiato, avviene un aumento della
concentrazione della proteina p53, un regolatore della trascrizione che
attiva la sintesi di un gene che codifica un inibitore delle Cdk chiamato
p21. La proteina p21 si lega a S-Cdk135 impedendo di portare il ciclo alla
fase S. se il danno al DNA è troppo grave da non poter essere riparato,
la cellula va in apoptosi.
La decisone di fare uscire la cellula dal ciclo permanentemente è
fondamentale per le cellule del corpo umano che vanno incontro a un
processo di differenziazione. In queste cellule terminalmente differenziate,
come neuroni o cellule muscolari, il sistema di controllo del ciclo cellulare
è completamente smantellato e le cicline-Cdk sono spente
irreversibilmente.

Dopo la fase G1, si ha la fase S, in cui


si duplica il DNA (ciò avviene quando
si forma il complesso S-Cdk, che
disattiva poi la Cdc6 impedendo una
seconda replicazione): da una doppia
elica di DNA e 46 cromosomi (ogni n
corrisponde a una doppia elica del
DNA) si arriva a 4 eliche di DNA (due
doppie eliche figlie) e ciascun
cromosoma è costituito dalle due
doppie eliche figlie, che sono attaccate
per mezzo del centromero. Alla fine
della duplicazione io avrò 46
cromosomi, ma ciascun cromosoma è
costituito da due doppie eliche di DNA
figlie che sono tenute insieme dal
centrosoma, e così entro in mitosi.
Ma non posso andare avanti così, devo ripartire questa quantità genomica
che si è duplicata in due cellule figlie. Per tornare al diploide normale,
divido questi cromosomi a metà a livello del centromero e quindi una
doppia elica va in una cellula figlia, mentre l’altra va nell’altra. È una
divisone conservativa perché le due doppie eliche figlie derivanti dalla
duplicazione del DNA sono identiche. Ogni cellula figlia quindi avrà 46
cromosomi a coppie di 2 cromosomi.

Ma, prima della divisione cellulare, nella fase G2, i gruppi fosfato ad
azione inibitoria devono essere rimossi da una proteina fosfatasi attivatrice
136
chiamata Cdc25. Ma, quando il DNA è danneggiato o replicato in maniera
incompleta, Cdc25 p inibita e ciò impedisce che essa possa rimuovere i
fosfati inibitori. Dunque, M-Cdk (inibita dalla sua fosforilazione) rimane
inattiva e la fase M viene ritardata.

Una volta che l’attivazione del complesso M-Cdk è avviata, si verifica un


aumento esplosivo dell’attvità di M-Cdk che porta bruscamente la cellula
dalla fase G2 alla fase M.
Prima della replicazione ciascun
cromosoma è una sola doppia elica
di DNA e si chiamano cromatidi
(corredo cromosomico delle
cellule somatiche diploidi 2n con
46 cromosomi).
All’interno di ciascuna copia la
copia non è identica, ma è simile e
si chiama omologa, perché uno
deriva dal corredo paterno e uno
deriva dal corredo materno della
congiunzione delle due cellule
germinali nella prima cellula
somatica che è lo zigote. Quindi,
prima della replicazione sono
presenti coppie di cromatidi
omologhi, non identici e non
fratelli.

Dopo la duplicazione del DNA, ogni doppia elica di DNA parentale genera
due doppie eliche di DNA, cioè due cromatidi che adesso costituiscono i
cromosomi, tenuti insieme dal centromero; ma ciascun cromosoma,
contiene due cromatidi fratelli, identici. Riassumendo, dopo la
replicazione (4n) si ottengono coppie di cromosomi omologhi non identici
e non fratelli.

137
Alla fine, le cellule figlie avranno 46 cromosomi a coppie simili ma non
identiche di cromatidi.

Il cromosoma alla metafase è in


realtà duplicato, perché pronto per la
divisione cellulare; quindi possiede
un corredo tetraploide, 4n.

Nel cromosoma metafasico i due cromosomi (detti cromatidi) sono


prodotti della replicazione del DNA, quindi sono identici. Invece i
cromosomi omologhi vengono dalla fecondazione e quindi non sono
identici.

Questo rappresenta uno dei due cromosomi all’interno


di ciascuna copia. Non c’è l’omologo.

NB la spiralizzazione della cromatina del cromosoma


avviene grazie alla complessazione del DNA con gli
istoni, che arrivano
a formare la
massima
condensazione che
è il cromosoma.

Io devo dividere il contenuto


genomico nella mitosi in modo tale
che ciascuna cellula figlia abbia un
138
patrimonio genomico identico rispetto alla progenitrice. L’unico modo è
quindi trasmettere la doppia elica di DNA che si è formata per replicazione
a partire della doppia elica parentale.

La figura mostra la divisione cellulare, ovvero la mitosi, che avviene in


seguito all’interfase.

Nella fase G2 accresce la massa della cellula, altrimenti le cellule figlie


non riceverebbero un corredo tale da poter funzionare.

LA MITOSI:

1. CICLO DEL CENTROSOMA: prima che cominci la fase M, deve


avvenire la replicazione del centrosoma (composto da due centrioli
che fanno da centro di nucleazione per la crescita dei microtuboli), il
principale centro di organizzazione dei microtuboli e inizialmente i
due centrosomi restano assieme formando un complesso nei pressi
del nucleo.
2. PROFASE: i due centrosomi
migrano ai poli opposti della cellula.
Inoltre, all’inizio della mitosi,
l’instabilità dinamica dei
microtuboli aumenta; ne deriva che,
i microtuboli si irradiano in tutte le
direzioni. Alcuni dei microtuboli
che si formano a partire da un
centrosoma interagiscono con
microtuboli che provengono
dall’altro centrosoma, formando il
fuso mitotico.
3. PROMETAFASE: essa inizia
improvvisamente quando avviene la
disgregazione dell’involucro
nucleare; i microtuboli del fuso che
sono rimasti in attesa fuori dal
nucleo, hanno ora accesso ai
139
cromosomi replicati e li catturano. I microtuboli del fuso finiscono
per attaccarsi ai cromosomi in corrispondenza dei cinetocori
(regione del cromosoma complessata a proteine che si agganciano
con le alfa-beta-tubuline del fuso mitotico, con lo scopo di collegare
questi al polo del fuso). Ogni cromosoma duplicato ha due cinetocori
che si affacciano in direzione opposta. Il collegamento con i poli
opposti genera tensione sui cinetocori, che vengono tirati in versi
opposti.
4. METAFASE: i cromosomi si allineano all’equatore del fuso, ed
aggiustano continuamente la propria posizione, oscillando avanti e
indietro.ù
5. ANAFASE*: essa comincia bruscamente con l’allontanamento dei
collegamenti a base di coesine (la cui azione è annullata dalle
separasi) che tengono uniti i due cromatidi fratelli. Questo rilascio
permette a ciascun cromatidio di essere trascinato verso il polo del
fuso al quale è collegato e lo spostamento segrega i due corredi
identici di cromosomi verso estremità opposte del fuso.
6. TELOFASE: il fuso mitotico si disgrega e, attorno a ciascuno dei
due gruppi di cromosomi, si ricompone un involucro nucleare. I pori
introducono nel nucleo proteine nucleari, il nucleo si espande e i
cromosomi mitotici si decondensano, e ciò permette la ripresa della
trascrizione genica.
7. CITOCHINESI: il primo segnale è la formazione di un solco di
divisione che si forma inevitabilmente in un piano perpendicolare
all’asse longitudinale del fuso mitotico. Quindi, quando il fuso
mitotico si localizza nella regione centrale della cellula, si
formeranno due cellule figlie di dimensioni uguali. Interviene poi
l’anello contrattile, la cui forza dipende dallo scorrimento dei
filamenti di actina su quelli di miosina. L’anello contrattile strozza la
cellula, generando due cellule figlie, ciascuna dotata di un
cromatidio, ovvero una doppia elica per ogni cromosoma.

Es marrone paterno e marroncino materno;


nell’immagine 4 il marrone si accoppia con il
marroncino. I cromosomi saranno quindi
omologhi.

140
Il citoscheletro espleta i processi della mitosi e della citochinesi:

1. Il fuso mitotico è adibito alla mitosi ed è composto da microtuboli,


separa i cromosomi duplicati per farne prevenire uno ciascuno per
cellula;
2. L’anello contrattile è adibito alla citochinesi ed è composto da
microfilamenti actinici e miosinici disposti ad anello intorno
all’equatore cellulare. Contraendosi, esso tira la membrana verso
l’interno, dividendo la cellula in due.

NB i farmaci tumorali ne impediscono la divisone, poiché bloccano la


formazione dei microtuboli, ma hanno degli effetti gravi sulle cellule che
sono soggette a un ricambio continuo.

Inoltre, il fuso mitotico è composto da tre tipi di microtuboli: microtuboli


dell’aster, microtuboli del cinetocoro e microtuboli interpolari.

141
*Due sono i processi che separano i cromatidi fratelli all’anafase:

Lo spostamento dei cromatidi fratelli è la conseguenza di due processi


indipendenti che avvengono quasi contemporaneamente:

- Nell’anafase A i microtuboli del cinetocore si accorciano per


depolimerizzazione, causata dalla perdita di subunità di tubuline
da entrambe le direzioni;
- Nell’anafase B sono i poli stessi ad allontanarsi grazie all’azione
di due gruppi di proteine motrici, appartenenti alla famiglia delle
chinesine e delle dineine; queste proteine fanno scorrere gli uni
sugli altri i microtuboli interpolari collegati a poli opposti,
allontanando così i poli del fuso.
142
Sono due movimenti trainanti: il
primo di depolimerizzazione, il
secondo di polimerizzazione.

La cromatina è spiralizzata in due


entità che sono unite da altre proteine,
che stabilizzano i due cromatidi
fratelli, che chiamate coesine e
condensine. Queste proteine vengono
modificate da altre proteine,
cambiando conformazione che rende
l’affinità per la cromatina meno stabile
e quindi facilita la trazione. In particolare, le condensine attuano la
condensazione dei cromosomi mentre le coesine tengono uniti i cromatidi
fratelli. Si pensa inoltre che entrambe formino delle strutture ad anello
attorno al DNA cromosomico.
La combinazione di una forza meccanica trainante e il cambiamento
conformazionale indotto dalla modificazione ad opera di altre proteine,
rendono la struttura di DNA più lassa e quindi più facilmente trasportabile
nei poli opposti della cellula.

ESEMPIO: Il complesso promotore


dell’anafase (APC) innesca la
separazione dei cromatidi fratelli
promuovendo la distruzione delle
coesine (complesso proteolitico).

NB ACP è una proteina attiva in


quanto è stata attivata da una
proteina a monte, che l’ha
modificata chimicamente.

143
Quando una cellula si divide gli organelli delimitati da membrana devono
essere distribuiti alle cellule figlie: il raddoppio di cloroplasti e mitocondri
a ogni ciclo cellulare assicura che le cellule figlie ne ereditino a
sufficienza. Il RE invece, dopo essersi allungato in interfase, viene tagliato
in due dalla citochinesi. L’apparato di Golgi, invece, si frammenta durante
la mitosi e questi si associano ai microtuboli, che li trasportano nelle
cellule figlie. Altri componenti, tra cui gli organelli di membrana, i
ribosomi e tutte le proteine solubili, vengono distribuiti in modo casuale
con la divisione.

Se devo produrre un pull di cellule germinali, cioè un insieme di cellule


destinate alla riproduzione sessuata (comporta la confluenza di genomi
provenienti da due individui e genera una discendenza di individui
geneticamente diversi sia tra loro, sia dai genitori), da una cellula diploide
devo produrre delle cellule aploidi, che hanno un contenuto n di
cromosomi o cromatidi. I gameti sono quindi delle cellule aploidi
144
germinali con un contenuto pari a n, quindi pari a 23 cromosomi o
cromatidi.
Devo averne la metà perché poi ogni cellula germinale prodotta per
fecondazione deve dare origine alla cellula diploide che abbiamo visto
prima.

La cellula germinale (cellula uovo e lo spermatozoo o gamete) ha un


corredo cromosomico aploide n, di 23 cromosomi, di cui 22 autosomi più
un cromosoma sessuale. Essa si origina per meiosi (NON PER MITOSI) e
dall’unione o fecondazione di due gameti si origina lo zigote, cellula
diploide 2n con 46 cromosomi che è caratterizzata da un corredo
cromosomico unico, in quanto ha ereditato differenti combinazioni di
alleli. Questa prende il nome di riproduzione sessuata; la riproduzione
asessuata avviene per mitosi e genera un individuo identico ai genitori
(clone).
La riproduzione sessuata è favorita in quanto perché i maschi agiscono
come un dispositivo di filtrazione genica: quelli che riescono ad
accoppiarsi fanno sì che trasmettano alla prole soltanto le migliori
combinazioni di alleli, mentre gli altri maschi che non riescono a
riprodursi, costituiscono una “discarica genetica”, un modo per scartare
dalla popolazione combinazioni di alleli non buone.

Lo zigote si moltiplica durante lo sviluppo per


mitosi.

Quando io produco cellule aploidi, che per


fecondazione mi danno la cellula normale
(zigote), che poi si riproduce per mitosi, i
genitori aploidi devono andare incontro a
mitosi, altrimenti si esaurirebbero.

LA MEIOSI: essa avviene solo


per le cellule germinali, per dare
origine ai gameti, da cellule
145
diploidi dette oogoni (portano la maggior parte del materiale citosolico) e
spermatogoni, che servono per una eventuale fecondazione durante la
riproduzione sessuata.
Se le cellule 2n andassero solo incontro a meiosi, a un certo punto si
esaurirebbero e quindi fino ad un certo punto della vita di un individuo (a
50 anni per le donne, fino ai 70 per gli uomini), una quota dei progenitori
vanno incontro a mitosi, in modo tale che si riproduce il pull di cellule per
generare le cellule gametiche.

La meiosi avviene attraverso due divisioni successive, di cui solo la prima


(che è la più simile alla mitosi), è preceduta dalla duplicazione del DNA.
La meiosi I e la meiosi II sono sempre il susseguirsi delle stesse fasi viste
prima (profase, metafase, anafase e telofase).

NB la meiosi produce quattro cellule geneticamente diverse che


contengono un numero di cromosomi pari a n. La mitosi, invece, produce
due cellule figlie geneticamente identiche.
Per assicurare che ognuna delle quattro cellule aploidi prodotte dalla
meiosi riceva un singolo cromatide fratello da ogni cromosoma, una
cellula germinale deve tenere traccia sia dei cromosomi omologhi paterni
sia dei materni. Può fare questo appaiando gli omologhi duplicati prima
che questi si allineino sulla piastra metafasica. Gli omologhi paterni e
materni si separeranno durante la prima divisone meiotica mentre i singoli
cromatidi fratelli si separeranno durante la seconda.

La prima fase della divisione meiotica,


la profase I, è molto lunga perché deve
succedere, all’inizio la stessa cosa,
ovvero la cellula si è duplicata nella sua
quantità di DNA, i centrosomi si
duplicano e migrano ai poli della
cellula, i microtuboli si organizzano e la
cromatina si spiralizza in cromosomi
pronti per la divisione.
I cromosomi, però, sono costituiti da
coppie di omologhi e si dispongono

146
all’equatore, dove si avvicinano per formare una struttura che si chiama
tetrade (4 cromatidi).

Nella metafase I sono tutti


all’equatore, ma qui i colori cambiano,
in quanto vanno incontro a scambi di
materiale tra cromatidi non fratelli, e
questo prende il nome di
ricombinazione omologa;
nell’anafase I si ha la ripartizione dei
cromosomi: ma non si separano i
cromatidi fratelli, bensì i cromosomi
della tetrade, che erano tenuti insieme
dalle coesine, che vengono degradate.
Nella telofase I si ha la divisione
cellulare e le cellule originarie si
dividono.

La meiosi II non viene preceduta dalla


replicazione del DNA, quindi sono
rimaste le due cellule figlie. Nella
profase II la cromatina si condensa
ancora; nella metafase II i cromosomi
migrano all’equatore del fuso mitotico e
i centrioli si dispongono ai poli.
Nell’anafase II finalmente si separano i
cromatidi dei cromosomi, ciascuno a un
polo opposto della cellula (non sono
identici in quanto ci possono essere dei
cromatidi che hanno scambiato delle
porzioni con cromosomi omologhi nella
meiosi I). alla fine, con la telofase II, si
dividono le cellule e se ne ottengono 4,
aploidi.

147
Riassunto della meiosi I e II:

Nella tetrade c’è scambio di materiale


genetico, più volte, a livello di cromatidi
non fratelli (tra il cromosoma e il suo
omologo) nel chiasma. Alla fine del
crossing over o ricombinazione
genetica si ha la formazione di due
cromosomi che non sono uguali a quelli
di prima.
Alla fine, ci saranno 23 cromosomi
costituti da 2 cromatidi (2n).

Nella seconda divisione meiotica, si


dividono a livello del centromero i
cromatidi, uno va da una parte e uno
dall’altra. Si ottengono quindi 4 cellule
figlie, con 23 cromosomi ma ciascuno
formato da un solo cromatidio. Quini il
corredo genomico è dimezzato e le
cellule figlie saranno aploidi e quindi
gameti.

Differenza tra mitosi e meiosi:

148
NB tra meiosi e mitosi le copie sono diverse!

Origine della variabilità genetica (deriva dalla meiosi, che è una


riproduzione non conservativa ma che sta alla base della riproduzione
sessuata):
1. Assortimento indipendente dei cromosomi;
2. Crossing over;
3. Fecondazione casuale.

Assortimento indipendente dei


cromosomi: in una cellula diploide
abbiamo 23 coppie di cromosomi
identici (22 coppie sono autosomi, 1
coppia cromosoma sessuale). Una
cellula diploide in interfase, ha 46
cromosomi, dove un cromosoma è un
cromatidio assimilabile a una doppia
elica di DNA, quando invece abbiamo
la meiosi, la cellula è tetraploide (46
cromosomi ma ciascuno è costituita da
due cromatidi, ogni cromatidio è la
doppia elica di DNA che deriva dalla
duplicazione del DNA nella fase S).

Di questi 46 cromosomi a due a due all’interno di ciascuna coppia, uno di


origina materna e uno di origine paterno, nella divisione meiotica,
casualmente potrebbe essere i che due cromosomi paterni migrano in una
cellula, e i due materni nell’altra. Mentre, nell’altro caso, il materno del
cromosoma 2 migra a sinistra, e il paterno a
destra.

Quindi, per tutte le 23 copie di cromosomi,


le combinazioni possibili di diverse
149
segregazioni del cromosoma materno e paterno, all’interno di ciascuna
copia, sono enormi e tutte ugualmente probabili.

Crossing over (o ricombinazione


genetica): è lo scambio fisico che avviene
quando i due cromosomi omologhi
all’interno di una stessa copia si appaiano
con la tetrade nella profase I della meiosi I
e si scambiano dei contenuti di DNA
fisicamente tra cromatidi non fratelli.
Questo succede con una certa frequenza.
Né deriva un mosaico in cui il contenuto materno o paterno può avere
rispettivamente un pezzo del paterno o del materno.

NB il paterno e il materno sono diversi (sono omologhi, ma non identici)


perché il DNA è costituito da una sequenza di geni, 50000, inter spersi nel
genoma, molto più grande del contenuto genico, non contiene solo 50.000
geni ma contiene anzi il 95% di sequenze non codificanti, che non
corrispondono al gene; in queste sequenze ci sono tanti elementi, alcuni
dei quali si diversificano per delle sequenze anonime. (es AB e ab
differiscono per un nucleotide, che può essere un introne o un codone, che
specificherà per un esone; questa sostituzione amminoacidica non
comporta alcuna variabilità nella funzione della proteina, questo prende il
nome di allele).

Allele: diversa sequenza sequenza con cui un gene può essere presente nel
genoma, senza inficiare la conformazione e l’identità della proteina, ma
viene aumentata la variabilità (è il diverso assetto con cui gli alleli
vengono trasmessi alla progenie), che aumenta ancora di più con il
crossing over.

Quindi le nostre sequenze non sono identiche all’interno di cromosomi


omologhi, ma possono essere leggermente diverse tra un cromosoma e il
suo omologo (questo non accade per due cromatidi fratelli).

150
Fecondazione casuale: B e b sono
forme alleliche, cioè differenze di
sequenza con cui lo stesso gene si può
presentare.
Ogni topolino prima della meiosi
possiede dei cromosomi formati da
due cromatidi omologhi B e b, che
formano poi degli spermatozoi e delle
uova, ma ci sono delle varie possibilità
con cui questi si fecondano per
generare possibili zigoti.

La probabilità che due individui nascano identici, è quasi impossibile, in


quanto le combinazioni sono 223: per questo ogni individuo è diverso
dall’altro.

LA TRASMISSIONE DEI CARATTERI EREDITARI (1800)

La genetica è la scienza dell’ereditarietà: studia la trasmissione delle


caratteristiche ereditarie, che distinguono gli individui tra di loro.

 La comprensione di come i geni si trasmettono da genitori a figli


ebbe inizio con il lavoro di Mendel (1822-1884);
 Mendel non sapeva che sono i geni a controllare i caratteri, né che i
geni si trovano sui cromosomi;
 Nonostante questo, Mendel sviluppò una teoria semplice per spiegare
la trasmissione delle caratteristiche ereditarie da una generazione
all’altra.

151
Carattere (o fenotipo): è l’aspetto ereditabile osservabile che varia
da individuo a individuo (es: colore dei fiori, forma delle mani),
sono le espressioni di un gene.

Tratto: è la variante con cui si esprime un carattere (fiori viola o


bianchi), coincide quindi con l’allele.

Linea pura: mantiene gli stessi caratteri nelle generazioni


successive (si generano individui uguali)

1. Scelta del modello sperimentale: la


pianta di pisello
 Disponibile in numerose varietà
(hanno caratteri differenti);
 Dà la possibilità di controllare gli
incroci.

Il pistillo, l’organo sessuale femminile matura più tardi. Le sue uova sono
fecondate dal polline che si posa sul pistillo. Poi, si tagliano via gli stami
prima che questi maturino e lascino cadere il polline. Quando il fiore è
maturo, si spolvera il suo pistillo con il polline proveniente da un’altra
pianta. Questa è la fecondazione incrociata.

Lui aveva a disposizione questi diversi caratteri


(forma, colore del seme e colore della pelle del
seme) e i tratti sono le variazioni con cui questo
carattere si manifesta (perché è osservabile).
Per esempio:

152
I caratteri sono nel box
azzurro, i tratti sono quelli
al di sotto di ogni box.

2. Selezione di linee pure: quando una pianta di linea pura si


autoimpollina genera discendenti della sua stessa varietà.

3. Incrocio di linee pure che differiscono per un carattere con due tratti
 legge della dominanza o segregazione;

Mendel aveva due piante e stava seguendo uno stesso carattere (il colore
del fiore) che ha due tratti possibili: bianco o viola. Ciascuna delle piante
parentali era una linea pura (il polline che cade sul carpello del fiore, fa sì
che le piante che si originano abbiano lo stesso colore). A questo punto le
deve fare incrociare tra di loro, tagliando le antere degli stami maschili e
spolvera il polline sul carpello femminile, trasferendolo con un pennello
sul corpo maschile, color porpora. In un primo momento, nasce la prima
generazione figliale, costituita da fiori solo di colore viola. Ma quando
incrociava tra di loro queste piante, la
generazione figliale due presentava il
25% di piante bianche e il 75% di
piante color porpora.

153
La stessa cosa avviene seguendo il carattere colore
del seme di queste piante, con i tratti giallo e verde.

Facendo questa cosa, con tanti diversi caratteri (fino


a 7), ciascuno dei quali con due possibili tratti:

C’è sempre una proporzione


con cui il carattere si manifesta
di circa 3:1.
Quindi, di due tratti per un
carattere, uno è dominante,
si esprime nella generazione
figliale, l’altro è recessivo,
cioè compare nella seconda
generazione figliale per
il 25%.
Quello che Mendel non sapeva era dell’esistenza dei geni, del DNA e dei
cromosomi. Quindi ora la interpretiamo in una chiave moderna:

Versioni alternative dei geni sono


responsabili dei diversi tratti con cui si
può esprimere un carattere fenotipico.
Gene colore seme: giallo e verde. Le
forme alternative di un gene sono gli
alleli. Le sequenze sono molto simile a
eccezione di alcuni cambi di alcuni
amminoacidi, che le fanno compiere
una funzione leggermente diversa ma
normale, in quanto non stiamo
parlando di mutazione.

154
Se noi immaginiamo che
questa coppia di geni vada
incontro a una meiosi,
succederà che ciascun
cromosoma contiene due
cromatidi fratelli, che sono
identici. Quindi, ciascun
gene sarà presente sui due
cromatidi con le stesse
varianti: qua non ci può
essere variabilità. Quello
omologo, invece, avrà una
variante differente dal primo
su entrambi i cromatidi
fratelli.

Riassunto della prima legge di Mendel:

 Per ogni carattere un organismo eredita due alleli, uno proveniente


da ciascun genitore. Coppie di omologhi, uno paterno e uno materno.
Un locus è presente due volte, con alleli identici o diversi.
 Se i due alleli non sono identici, uno di questi si esprime pienamente
sul fenotipo ed è detto dominante; l’altro che non esercita nessun
effetto è detto recessivo.
 I due alleli segregano durante la formazione dei gameti. Ogni cellula
aploide (uovo) ne riceve solo uno. Se due alleli per un determinato
locus sono diversi, il 50% dei gameti riceverà quello dominante e
l’altro 50%, quello recessivo (legge della segregazione).

Gene con due alleli identici: omozigote (PP,pp);


Gene con due alleli diversi: eterozigote (Pp);
Un allele è dominante (P) o recessivo (p) a seconda se si esprime
pienamente nello specificare un carattere oppure non esercita alcun effetto.
Il carattere è il fenotipo, mentre la composizione allelica del gene che lo
determina è detto genotipo (combinazione con cui gli alleli costituiscono
una posizione sul cromosoma).

155
Dunque, non tutti gli alleli di cui un individuo è portatore si manifestano
nel fenotipo.
NB genotipi diversi possono produrre lo stesso fenotipo:
- PP e Pp FIORI VIOLA.

Nuovo carattere: la forma del


seme con i due tratti, liscio e
rugoso. Mendel partiva da linee
pure che, incrociate con sé stesse
numerose volte, davano origine
sempre allo stesso fenotipo. I due
tratti sono due alleli: A (AA,
gamete A) (una pianta prima della
meiosi è diploide) quello che si
esprime nella prima generazione
figliale, cioè quello liscio, mentre
a (aa, gamete a) quello che
“scompare”.

NB i gameti sono aploidi!


Quando AA e aa si feconderanno, formeranno degli zigoti o individui F1
tutti eterozigoti Aa (hanno due alleli dominanti, di cui A è dominante e a è
recissivo). Questi a loro volta si combineranno per formare la seconda
generazione figliale, e produrrà:

Ci sono 4 combinazioni possibili di


zigoti per questo gene con due
varianti alleliche o tratti, ciascuna
delle quali ha una probabilità del
25% (½ x ½) di essere rugoso e una
probabilità del 75% (¼ + ¼ + ¼) di
essere liscio.

NB questo incrocio è alla base di una malattia autosomica recessiva: la


fibrosi cistica.

156
Ricapitolando: la legge della dominanza dice che dall’incrocio di due linee
pure di cui si segue un carattere che differisce per due tratti o alleli, i
genotipi possibili che si formano alla F2 sono nel rapporto di 1:2:1 e
invece i fenotipi possibili sono 3:1. Questo rapporto è dovuto alla
segregazione nella prima e nella seconda divisione meiotica dei
cromosomi omologhi e come questi si ripartiscono nei gameti tra la prima
generazione figliale e la seconda.

Quadrato in cui si dispongono tutti i


possibili gameti che si formano da
un genitore della F1 e i possibili
gameti dell’altro genitore della F1 e
si mettono insieme le combinazioni
di alleli che avranno gli zigoti che si
formano.

Le conclusioni di Mendel:

 La legge della dominanza viene desunta dalla presenza di una


progenie F1 con fenotipo liscio benché le piante avessero genotipo
ibrido “Aa”;
 Questa legge stabilisce che per il fenotipo dominante è sufficiente
solo una copia dell’informazione genetica che specifica il carattere:
“Aa” = liscio, specificato da “A”;
 La componente genetica a viene detta recessiva dal momento che il
suo fenotipo (rugoso) viene prodotto solo quando due copie di essa
sono presenti = “aa”;
 Il fenotipo recessivo ricompare alla F2 derivante dall’incrocio
monoibrido tra piante F1 = Aa;
 La F2 di un incrocio monoibrido presenta un rapporto fenotipico
lisci:rugosi di 3:1 poiché i ¾ delle combinazioni di A e a producono
il fenotipo dominante liscio ed ¼ il fenotipo recessivo rugoso.
 I rapporti genotipici differiscono dai rapporti fenotipici perché il
fenotipo dominante è dato da AA e Aa.

157
4. Incrocio di linee pure che differiscono per due caratteri  legge
dell’assortimento/segregazione indipendente dei caratteri.

Mendel ipotizzava che alla formazione delle uova e degli spermatozoi le


due copie di ogni gene presenti nel genitore si separassero, così che ogni
gamete ricevesse un solo allele per ogni carattere. Quindi, la legge della
segregazione afferma che i due alleli di ogni carattere si separano durante
la formazione dei gameti, per poi unirsi a caso, uno per ogni genitore, con
la fecondazione. Quindi, nella generazione F2 possono esserci quattro
diverse combinazioni di alleli.

Seguendo delle piante a carattere a


due a due alla volta, Mendel notò
che anche qui c’era un
comportamento specifico: geni
responsabili di caratteri diversi
assortiscono indipendentemente
l’uno dall’altro durante la
formazione dei gameti.
Si parte da generazioni parentali
che sono delle linee pure che
differiscono per due caratteri: la
forma del seme e il colore del
seme.
Di cui segue il primo (genotipo YYRR*, caratteri specificati da alleli
differenti ed entrambi dominanti) giallo e liscio e il secondo verde e
rugoso (genotipo yyrr, alleli recessivi perché si manifesta soltanto in
assenza di quelli dominanti).
*: le stesse lettere sono presenti due volte perché sono uno materno e uno
paterno.

Dopo la meiosi I e II, da questa pianta si possono ottenere gameti, cioè


cellule aploidi 50% YR e 50% yr.
Quando questi gameti verranno a fecondarsi in una fecondazione
incrociata, allora ricostituiremo due cromosoma 1 e due cromosoma 2, di
nuovo un individuo diploide, dove per ciascun carattere si esprime soltanto

158
l’allele dominante. Pertanto, si ottiene un individuo (doppio eterozigote o
diibrido) YyRr che sarà giallo e liscio.

A questo punto, due individui doppi eterozigoti si incrociano e formano


dei gameti: solo 4 possibili gameti da un genitore e 4 dall’altro.
Questo perché è un gamete aploide, cioè ha una coppia sola nell’ambito
della coppia di ciascun cromosoma omologo, quindi ha un cromosoma 1,
un cromosoma 2 ecc. Dunque, all’interno del mio cromosoma 1 dove ho
YR o ci va uno o l’altro e tutte le possibili combinazioni, tutte ugualmente
probabili perché è la segregazione indipendente dei due cromosomi 1 e 2
alla meiosi. Si ottengono così 16 possibili genotipi differenti che avranno
dei rapporti genotipici precisi 9:3:3:1:

o Gialli e lisci sono 9: hanno almeno una R e una Y.


o Verdi e lisci sono 3: verdi perché hanno solo yy, ma siccome sono
lisci mi basta una copia di R.
o Gialli e rugosi sono 3: hanno almeno una Y e gli altri rr.
o Verde e rugoso sono 1: ha yy e rr (per tutti e due gli alleli è
omozigote recessivo).

Quindi, la segregazione indipendente di ogni coppia di alleli nella


formazione dei gameti è espressa dalla seconda legge di Mendel, la legge
dell’assortimento indipendente.

L’assortimento indipendente nelle


piante di F1 comporta che l’allele
A abbia la stessa probabilità di
essere contenuto in un gamete
insieme a B di quanta ne abbia di
finire insieme a b.

Oggi sappiamo che i fattori mendeliani, che noi chiamiamo geni, sono
portati dai cromosomi, che si separano al momento della formazione dei
gameti per poi abbinarsi in nuove combinazioni con la fecondazione.
Durante la meiosi, gli omologhi materni e paterni si appaiano e quindi i
cromosomi omologhi conterranno delle varianti (alleli) diverse. Poiché
159
durante la meiosi ogni bivalente di omologhi appaiati si attacca al fuso e si
allinea sulla piastra metafasica indipendentemente, ogni gamete riceverà
una combinazione casuale di cromosomi materni e paterni. Quindi, la
combinazione che finisce nel gamete dipenderà soltanto dall’orientamento
delle due coppie di omologhi al momento dell’aggancio al fuso meiotico,
un evento casuale quanto il lancio di una moneta.

R o r, Y o y sono i due alleli che sono


presenti sui cromosomi omologhi.
Nella prima immagine sono presenti i
cromosomi dopo la duplicazione del
DNA (ciascun cromosoma è
caratterizzato da due cromatidi
fratelli). Alla prima divisone meiotica
gli omologhi duplicati si allineano a
caso sul fuso. Mentre, nell’ultima
foto fa vedere come si ripartiscono i
cromatidi alla seconda divisione
meiotica (un cromatidio per ciascun
cromosoma, in modo tale che i
gameti siano aploidi, cioè hanno una
copia di ciascun cromosoma).

Quello a sinistra è esattamente quello


che abbiamo detto fino ad adesso.
Ma non è sempre così, a lui è andata
bene in quanto seguì dei geni che
stavano su cromosomi differenti; ma se
i caratteri che sto guardando sono sullo
stesso cromosoma (es sul cromosoma
1) in posizioni differenti. Nella prima
generazione figliale si forma il doppio
eterozigote AaBb. Dal fenotipo, si
ottiene la stessa cosa dell’ibrido della
generazione figliale 1 ottenuto prima,
in quanto prevalgono gli alleli
dominanti. Ma, la disposizione degli
alleli è completamente differente e lo si nota nella seconda generazione
160
figliale, in quanto i gameti possibili che forma questo individuo sono solo
4 e di nuovo il rapporto è di 3:1, ma io sto seguendo due caratteri
specificati da due geni.
Questo significa che se i geni sono su cromosomi differenti, è vero che
tenderanno a essere trasmessi in modo indipendente perché i cromosomi
sono separati in modo indipendente alla meiosi. Se i geni, invece, sono
sullo stesso cromosoma, tenderanno a essere portati insieme sullo stesso
cromosoma, ma non succede sempre così a causa del crossing over.
Ricombinazione genica: se due geni sono sullo stesso cromosoma ma
vicini, tenderanno a essere segregati sempre nelle stesse combinazioni con
cui erano nei gameti parentali; se invece i due geni sono a una distanza che
rende possibile la ricombinazione, possiamo avere dei gameti che non
sono quelli prodotti dai genitori parentali.

Se i geni sono indipendenti, cioè per esempio su due cromosomi differenti


o sullo stesso cromosoma ma molto distanti, i gameti prodotti sono 50%
parentali e 50% ricombinanti.

Se invece sono molto vicini sullo stesso cromosoma tale per cui non
vengono separati, allora saranno trasmessi sempre insieme: saranno
prodotti i gameti AB e ab.

161
Se invece sono sullo stesso cromosoma a una distanza x, produrranno una
certa quota di gameti parentali e una certa quota di gameti ricombinanti: in
buona sostanza la frequenza di ricombinazione (quanti gameti
ricombinanti su quelli prodotti) è una stima indiretta della distanza di due
geni su un cromosoma.
Lo studio di come i vari alleli vengono trasmessi nelle generazioni
guardando le meiosi, è stata alla base di una mappatura genetica. E poi è
stato sequenziato il genoma umano e sappiamo dove sono posizionate le
basi e i nucleotidi.
1 unità di mappa (u.m.) equivale all’1% di ricombinazione =1cM.
Tali mappe genetiche sono state determinanti per l’isolamento e la
caratterizzazione di geni mutanti responsabili di malattie genetiche umane,
come per esempio la fibrosi cistica.

MUTAZIONI

Sono delle varianti del DNA che colpiscono i geni e che sono ereditate da
una generazione all’altra tramite meiosi e le leggi di Mendel, che sono un
caposaldo della genetica umana.
Prima, con gli alleli, parlavamo di mutazioni con una connotazione
positiva, e queste differenze nel DNA si possono ottenere attraverso dei
nucleotidi che vengono inseriti, o che si generano nel DNA e questi per
meiosi vengono trasmessi, attraverso l’ereditarietà di questa variabilità. Si
parla, invece, di mutazioni con una connotazione negativa, quando queste
variabilità impattano la funzione di un gene o di un cromosoma o di un
pezzo di DNA: le proteine che verranno trascritte e tradotte non saranno
più funzionanti (ho un’alterazione di una proteina che mi altera la funzione
di una cellula) come prima.

Le mutazioni possono essere:

 Puntiformi: coinvolgono uno o più nucleotidi e possono essere


- Missenso
- Silenti
- Non senso
- Read through
- Splicing
162
 Cromosomiche: coinvolgono la struttura o il numero dei cromosomi
stessi all’interno del genoma.

Le mutazioni puntiformi del DNA si possono originare in due modi e


l’effetto può essere negativo e non:

1) Errori spontanei durante la


replicazione del DNA: vengono
incorporati in modo errato uno ogni
1x107 nucleotidi incorporati a causa
della DNA polimerasi che aggiunge
un nucleotide che non rispecchia
l’appaiamento delle basi e se l’errore
non viene corretto verrà trasmesso;
bisogna poi vedere se questo avrà un
affetto nullo perché cade in un tratto
di DNA non genico oppure se
modificherà la funzione di una
proteina. Esistono però dei
meccanismi per assicurare la replicazione fedele del DNA, come ad
esempio il proof-reading.

2) Esposizione del DNA a sostanze che reagiscono chimicamente o


distorcono gli acidi nucleici, i mutageni: ci sarà il perpetrarsi di una
variazione nella sequenza di DNA al ciclo di replicazione del DNA.

I mutageni causano mutazioni in tre


modi:

 Alcuni si comportano come


analoghi delle basi, sono
erroneamente utilizzati come
monomeri durante la replicazione
del DNA e vengono incorporati;
 Alcuni reagiscono direttamente
con il DNA, causano delle

163
modificazioni strutturali e distorsioni che portano a errori nella
replicazione;
 Alcuni reagiscono indirettamente con il DNA. Essi non influenzano
direttamente la struttura, ma fanno sì che la cellula produca essa
stessa dei mutageni “endogeni” come il perossido, i radicali
dell’ossigeno…

I mutageni causano il cancro perché causano delle forti alterazioni della


struttura chimica del DNA che verranno trasmesse alle cellule figlie per
mitosi e creeranno un tessuto somatico, in cui le alterazioni prenderanno il
vantaggio selettivo e creano una massa che non dovrebbe esserci: il
cancro.
Una volta che uno ha un’alterazione chimica, un errore di incorporazione
di un nucleotide ecc. allora succede che una sequenza anonima che non fa
assolutamente niente, ha lo scopo di creare la variabilità del DNA. Se
invece queste alterazioni cadono in un gene, si possono ottenere delle
mutazioni:

Same-sense, silenti: colpiscono una tripletta, un codone, che specificherà


per lo stesso amminoacido rispetto alla tripletta originale.
Mis-sense, efficaci: producono una differenza sostanziale nella funzione
della proteina in quanto specificherà per un amminoacido diverso;
bisognerò poi vedere se quest’ultimo è in grado di impattare molto sulla
conformazione della proteina.
Non-sense, efficaci: il nostro nuovo codone, è un codone di stop, quindi il
ribosoma si stacca e la proteina finisce di essere tradotta. Questo ha un
impatto molto forte perché equivale a una perdita della funzione della
proteina.

164
Frame-shift: c’è uno slittamento del modulo di lettura delle triplette,
questo avviene, ad esempio, quando la polimerasi sbaglia e introduce un
nucleotide in più rispetto allo stampo. Oppure, non copia il nucleotide del
filamento stampo, che quindi viene saltato. La conseguenza è un
cambiamento radicale della sequenza primaria a valle della mutazione.
Se io tolgo/aggiungo 1,2,4,5...
nucleotidi è evidente che creo
degli slittamenti di moduli di
lettura;

Se ne inserisco 3,6,9, allora il


modulo di lettura rimane in
frame: aggiungerò degli
amminoacidi che non c’erano e
potrei alterare la funzione della
proteina.

Sui siti di splicing (fenomeno di


maturazione dell’mRNA che rimuove
gli introni dai geni): lo splicing è reso
possibile da un macchinario che
riconosce delle sequenze specifiche
SD-SA. Ma, ad esempio, uno dei nucleotidi che non deve cambiare per
essere riconosciuto dal macchinario che opera lo splicing, viene colpito da

165
una mutazione. In questo caso, lo splicing non riesce più a riconoscere
l’introne da rimuovere e o l’mRNA verrà copiato anche lungo l’introne
oppure cambia l’accettore, eliminando così anche degli esoni. Le
conseguenze nel primo caso sono la formazione di proteine completamente
differenti, nel secondo caso anche.
Siamo arrivanti al punto da avere delle mutazioni in senso negativo, che
impattano dei geni e in questo caso stiamo parlando di modifica delle
proteine più o meno impattante. Cosa succederà all’individuo in cui queste
mutazioni si generano? Dipende dove la mutazione incorre: se la
mutazione incorre come primo evento in una cellula somatica (costituisce i
tessuti di un organismo, diploidi e si dividono per mitosi), si genera un
individuo chimerico e questa mutazione verrà tramandata alle cellule
figlie, che erediteranno la mutazione, e a seconda di cosa questo gene
codifica, può dare origine a un primo evento che porta a cancro. Questo,
però, non può essere ereditato da un genitore a un figlio, in quanto colpisce
solo le cellule somatiche. Se, invece, la mutazione avviene in una cellula
germinale o in un gamete può essere ereditata e avere gravi conseguenze.
In questo caso si comporta come un allele mendeliano, segrega, e può
generare un nuovo individuo con tutte le cellule somatiche e germinali
portatrici della mutazione.

166
Le mutazioni possono essere anche cromosomiche, in quanto alterano la
struttura o il numero dei cromosomi.

I cromosomi purtroppo possono


perdere dei pezzi (delezione) o
duplicarli.
Ma come si fanno a generare dei
cromosomi che sono deleti o
duplicati?

Un crossing-over (scambio di materiale genetico che


avviene a livello delle tetradi, durante la profase della
meiosi I) ineguale durante la meiosi genera dei gameti
con duplicazioni o delezioni. Se questi fecondano
otteniamo un nuovo individuo portatore della
alterazione.

I cromosomi possono anche andare


incontro a traslocazioni reciproche
(meno gravi) e non reciproche: queste
traslocazioni sono ben visibili facendo
il cariotipo di una cellula e possono
avvenire nelle cellule germinali (in
questo caso la traslocazione può
essere ereditata). Più spesso queste
alterazioni avvengono in cellule
somatiche e contribuiscono alla
formazione dei tumori.

Nelle traslocazioni cambia l’ordine


con cui i geni sono sul cromosoma. In
questo caso ci sono delle traslocazioni
tra cromosomi non omologhi: il 9 e il
22, che si scambiano dei pezzi in
modo aberrante. Nella porzione
terminale del cromosoma 9 c’è un
167
gene, abl, e nel cromosoma 22 c’è un
gene che si chiama bcr. Questi due
geni codificano delle proteine che
hanno una funzione di controllo.
Quando però, questi pezzi di DNA
vengono traslocati, in particolare il
pezzo del cromosoma 9 sul
cromosoma 22 si genera un
cromosoma difettoso, in cui abl e bcr
sono vicini da creare una proteina
unica che ha la funzione di generare
una proliferazione cellulare
incontrollata a carico delle cellule
bianche del sangue e creare la
leucemia mieloide cronica (insorge a livello somatico, quindi è un tumore
somatico presente nelle cellule del sangue dell’individuo che è portatore di
questa mutazione).

Le variazioni del numero di cromosomi si chiamano ploidie (si riferisce


alla totalità del contenuto genomico di una cellula):

Questo si genera da errori di


fecondazione (ad esempio un
ovocita viene fecondato
contemporaneamente da due
spermatozoi, e si costituisce un
corredo triploide) o di alterata
divisione meiotica (è molto
difficile che avvenga in cellule
somatiche).

Nella tetraploidia non si ha la


divisione meiotica ma solo la

168
duplicazione del DNA. Questo fenomeno è alla base degli aborti
spontanei.

Si tratta di alterazioni, anziché di


tutto il genoma, del numero di
singoli cromosomi. Dunque, le
mutazioni non riguardano tutta la
ploidia. Il suffisso in questo caso
è -somico.
Ad esempio, ci sono 3
cromosomi della coppia 21
(trisomia 21).

Nel cariotipo (studio dei


cromosomi delle cellule del suo
organismo somatiche e germinali)
si è visto che fino al 20 si hanno
due coppie di cromosomi
omologhi, del 21 se ne hanno 3.
La differenza tra sindrome e
malattia in genere implica che la
sindrome colpisce più organi e
più tessuti, mentre la malattia è
un’alterazione patologica di un
singolo organo o tessuto.

La sindrome di Down correla con


l’età materna: maggiore è l’età della
madre, maggiore è la probabilità di
trisomia 21. Gli ovociti di una madre
a più tarda età sono restati fermi alla
prima divisione meiotica per tempo
169
molto più lungo di una madre giovane, quindi forse, con il tempo,
aumentano gli errori della meiosi.

Quindi, ciò è dovuto all’aumento di probabilità che si abbiano dei disastri


alla meiosi I o II durante la meiosi della linea germinale femminile. Se
l’errore avviene alla prima o alla seconda divisione meiotica le frequenze
di aneuploidie nei gameti sono diverse.

-Meiosi I: la tetrade, invece di


separarsi correttamente alla meiosi
I non si separa per niente, quindi
in una cellula non va nessuna
copia del 21. Nella seconda
divisione meiotica, avremo che
due cellule hanno 2 cromatidi del
21, e le altre due 0.
-Meiosi II: le tetradi si separano
correttamente, ma non si ha la
disgiunzione più in basso e quindi
una cellula avrà 2 cromosomi 21 e
l’altra nessuno.

Dunque, la formazione di gameti che possono portare a una trisomia o una


monosomia è tanto più alta se il difetto di separazione dei cromosomi
avviene alla meiosi I (100%alterati), piuttosto che alla meiosi II (50%
alterati). La trisomia si ha quando i gameti n+1 andranno a fecondare un
normale gamete che porta una copia del cromosoma 21: si otterrà così uno
zigote con 3 cromosomi 21. Il difetto genetico deriva quindi da una non
disgiunzione dei cromosomi durante l’oogenesi (meiosi femminile) è la
causa è il ritardo anafasico della migrazione dei cromosomi dalla piastra
equatoriale ai poli opposti nella cellula.

Ci sono altri esempi di malattie


genetiche che derivano da una
non-disgiunzione e si chiamano

170
aneuploidie dei cromosomi sessuali. Sono delle sindromi, quindi
riguardano più organi o apparati.

NB se io ho due Y, non ho nessuna sindrome in quanto questo contiene


pochissimi geni, quindi è più tollerato lo squilibrio. Però, contiene uno dei
geni fondamentali, che è quello che determina il sesso maschile
dell’individuo. Il resto del cromosoma Y è eterocromatico costitutivo.
Questo studio era nato in quanto si pensava che i delitti più seri fossero
commessi da persone con due cromosomi Y; ma si è scoperto poi che non
c’è alcuna correlazione tre le due cose e quindi le ipotesi si rivelarono
infondate.

Come si studia un cariotipo?

Un cariotipo si può guardare da qualunque


tipo di cellula (in genere le diagnosi si fanno
non invasivamente). La diagnosi post-natale
si fa quindi su tessuti periferici (sangue,
pelle, saliva ecc.). Il sangue periferico, ad
esempio, si può ricavare in seguito a una
puntura e da esso vengono poi separati i
globuli rossi, che sono eliminati, e i globuli
bianchi, a cui si aggiunge poi la colchicina (farmaco che interferisce con
l’assemblaggio e disassemblaggio dei microtuboli) che determina l’arresto
delle cellule in metafase (i cromosomi sono spiralizzati e condensati).
Viene poi aggiunta acqua per fare gonfiare le cellule e si centrifugano i
globuli bianchi, che sedimentano. Si preleva poi dalla soluzione una goccia
e la si poggia su un vetrino, fissandola con l’acido acetico e colorandola
con delle sostanze chimiche. Queste cellule quindi, bloccate in metafase e
rotte, liberano i cromosomi sul vetrino e sono osservabili e fotografabili al
microscopio. Con il computer si spostano poi i cromosomi in modo tale da
disporli in un ordine dall’1 ai cromosomi sessuali e per copie, con i
centromeri sulla stessa linea e le braccia minori in alto.

Le bande sono delle diverse sequenze di DNA


specifiche di ciascun cromosoma, che captano i
coloranti a seconda dalla loro struttura chimica.

171
Quindi i citogenetisti li sanno distinguere dall’uno al cromosoma sessuale,
sia per forma, che per bandeggio.

Come appare una famiglia in cui si ha


un affetto da malattia genetica che un
genetista medico rappresenta in
termini di ereditarietà di questa
malattia da genitori a figli, se un
paziente arriva per avere una
consulenza genetica sulla malattia a
sulla sua trasmissibilità.

Questi sono i famosi alberi genealogici che studiano la trasmissione di


queste malattie, attraverso le Leggi di Mendel.
Ricorda: una malattia per essere genetica deve colpire un gene e questo
gene viene trasmesso per meiosi alle generazioni successive. Ma con che
probabilità e con che modalità? Questo dipende da tre fattori:
1) La posizione del gene sul cromosoma: se è un autosoma o un
cromosoma sessuale;
2) Se il gene mutato è su una copia dei cromosomi omologhi, oppure su
tutte e due i cromosomi omologhi;
3) Se è dominante o recessiva: il tratto di una malattia è dominante
quando basta un solo allele per specificare il fenotipo; mentre recessivo
vuol dire che il tratto deve essere presente in doppia copia due entrambi
i cromosomi per determinare il fenotipo.
Quindi se il tratto con la mutazione è dominante, vuol dire che ne basta
una copia sola, mentre recessivo se l’allele malattia è presente due
172
volte (una per ciascun cromosoma all’interno della coppia di
cromosomi omologhi).
Le mutazioni sono degli eventi rari, quindi quasi sempre avviene che
l’individuo portatore avrà una delle due copie mutata e l’altra normale,
cioè sarà eterozigote.

La probabilità a priori di avere la


manifestazione fenotipica della
malattia in base al genotipo, in
questo caso è del 50%.

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Questo si basa sulle leggi di Mendel e sulla trasmissione nelle generazioni
prima della malattia meglio individui da una meiosi all’altra.

Un esempio di malattia autosomica dominante è la Corea di Huntington


(HD), che colpisce il sistema nervoso causando un grave deterioramento
fisico e mentale, uno spasmo incontrollato dei muscoli, un cambiamento di
personalità e infine la morte, in quanto ancora non esiste alcuna terapia.

Si manifesta sui 40-50 anni. Nel gene che codifica per la


proteina Huntingtina c’è una tripletta CAG (Glutamina)
che si ripete per un massimo di 35 volte, variabile da un
individuo all’altro. Nei malati di HD, il numero di
ripetizioni aumenta anche a più di 150 volte. Un maggior
numero di triplette correla con una insorgenza più veloce.

Malattia autosomica recessiva: è


una malattia in cui è come se
l’allele recessivo sparisce nella
F1.

Un esempio di malattia

autosomica recessiva, causata da


mutazioni nel gene CFTR che codifica
un trasportatore di cloro e altri ioni a
livello della membrana plasmatica
(viene rimosso un codone pur avendo
conservato il frame), è la fibrosi
cistica, i cui portatori (eterozigoti) non

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sono rari. La malattia porta a delle secrezioni anormali, soprattutto a
livello dell’apparato respiratorio,

che produce un muco molto


denso. Il muco ristagnando è sede
di infezioni batteriche: polmoniti
ricorrenti.
Inoltre, il muco denso danneggia
anche altri tessuti, come ad
esempio l’apparato digerente. Il
trattamento consta di antibiotici
ed enzimi che digeriscono il muco
e la mortalità è verso i 30 anni.
Sono in corso grossi investimenti
economici per la ricerca in questo
campo ed è più comune sulla
razza bianca: 1 su 2500.

Un esempio di malattia legata al


cromosoma X, quindi si eredità
sessuale, è la distrofia
muscolare (DMD). Siccome i
maschi sono aploide e le
femmine sono diploidi per il
cromosoma X, sono i maschi a
manifestare la malattia, ereditata
però dalla madre. Questa
colpisce i muscoli scheletrici,
con un grave e progressivo
deterioramento delle fibre e
debolezza di contrazione.

Al momento non è presente alcuna terapia


risolutiva, ma si sta provando la via delle
cellule staminali, su animali con la stessa
mutazione. La malattia si manifesta già
nell’infanzia e la mutazione colpisce il gene che
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codifica la proteina distrofina, una proteina che lega il citoscheletro alla
faccia interna della membrana plasmatica delle cellule muscolari.

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