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Socrate, nato intorno al 470 a.c., è un pensatore la cui vita, il carattere e la filosofia hanno esercitato una
profonda influenza sulla filosofia antica e moderna: egli diede vita, nel suo insegnamento, all’ideale di un
uomo capace di penetrare negli aspetti più profondi della realtà, osservando il controllo più completo su se
stesso, sulle proprie emozioni.
Nutre una fiducia nell’idea che la ragione, se educata, possa e debba essere il fattore più importante nel
controllo di tutti gli aspetti della vita umana ed infine non prova timore di fronte alla morte ingiusta (fu
condannato per aver corrotto con i suoi insegnamenti i giovani).
L’ideale socratico è alimentato dalla convinzione che, una volta riconosciuta la virtù, sia impossibile non
agire virtuosamente. La virtù è una forma di conoscenza. Bisogna superare le apparenze e ricercare le verità
più profonde anche a costo di mettere in crisi le credenze consolidate o di essere costretti a riconoscere la
propria ignoranza.
Socrate si è quindi impegnato su come egli e gli altri suoi concittadini potessero diventare uomini buoni.
Attraverso il metodo del dialogo, vuole far acquisire maggiore saggezza e conoscenza. Il metodo dialogico
assume fondamentale importanza nell’insegnamento socratico-platonico, anche in base alla riflessione sul
rapporto discepolo-maestro.
In Socrate avviene la scoperta dell’essenza autentica dell’uomo, cioè l’anima : la virtù consiste nella cura
dell’anima. La sua ricerca, da lui definita maieutica , consiste nel maestro che estrae la verità che è
nell’allievo. La maieutica mette in discussione la concezione sofistica del saper e stabilisce l’esigenza di
verità come elemento essenziale dell’insegnamento e dell’apprendimento.
L’allievo più fedele, fu Platone (nasce ad Atene nel 427 a.C. da una famiglia aristocratica) che condivide con
Socrate la convinzione che l’uomo sia un essere spirituale, la cui anima è divisa in tre parti distinte:
-parte concupiscibile: sede dei desideri e volta al soddisfacimento di essi
-parte irascibile :sede del coraggio e volta a proteggere l’individuo nelle difficoltà
-parte razione: dovrebbe governare le prime due
Ne La Repubblica (opera principale di Platone) descrive la società ideale, e divide anch’essa in tre classi:
produttori, guerrieri e governanti-filosofi. La prima classe viene quasi accantonata, mentre per le altre due
classi è prevista una formazione specifica. I guerrieri devono essere osservati e sottoposti a duro
allenamento per sviluppare le virtù che servono in una battaglia, mentre i filosofi hanno un periodo di
formazione più lungo, perché hanno il compito di governare la Repubblica.
Viene curato non soltanto il profilo intellettuale, ma anche la personalità, il corpo e lo spirito. Nel mito della
caverna gli uomini sono rappresentati come vittime di una cecità della quale possono emanciparsi soltanto
pochi individui (i filosofi) che hanno il coraggio di andare oltre le apparenze e le mere opinioni. Essi hanno il
dovere morale di richiamare i propri simili all’emancipazione.
Parte antologica: La Repubblica è il più famoso dialogo platonico, nel quale il tema fondamentale è la
giustizia nello Stato ideale. La questione educativa è tra le più significative affrontate dal dialogo e le pagine
che seguono illustrano le considerazione e le prescrizioni intorno all’educazione dei filosofi, i reggitori dello
Stato, per i quali il percorso formativo dura fino al compimento dei cinquant’anni. In Platone si coglie l’idea
di un’educazione aperta al merito, che riconosce pari capacità intellettuali alle donne. L’educazione, d’altra
parte, deve essere un delicato processo di sviluppo dell’attitudine di ogni uomo, a suo modo, di scoprire la
verità in se stessi.
I greci concepivano l’educazione quindi come un percorso di crescita il cui fine principale era lo sviluppo
armonioso di tutte le migliori potenzialità dei singoli individui. La paideia tradizionale, si rivolgeva
intenzionalmente alla crescita equilibrata di tutte le facoltà.
Parte antologica: Nel brano riportato, Aristotele propone una sintesi panoramica della sua visione della
vita morale e spirituale, con la nota distinzione tra vita attiva e vita contemplativa e soprattutto con la sua
definizione della vita buona e virtuosa, che diviene la base dell’educazione, a cui il filosofo attribuisce il
compito di proporre alle giovani generazione la varietà dei modi di vita e quali debbano essere preferiti,
specialmente in vista dell’armonia dell’individuo e per il bene dello Stato.
Tommaso D’Aquino (nato vicino Napoli nel 1125), integrò il sistema aristotelico nella visione del mondo
cristiano, allo stesso modo di Agostino che nel V sec utilizzò il pensiero platonico e neoplatonico.
La sua opera principale è La Summa Theologica che ha avuto nella Chiesa un’autorevolezza quasi
indiscussa per molti secoli. La sua penetrazione dell’opera aristotelica fu profonda: nel sistema che più tardi
si dirà aristotelico-tomistico, sono riprese tutte le conoscenze aristoteliche circa la realtà fisica, la visione
del mondo e dell’uomo, la metafisica e la concezione di Dio: tuttavia, Tommaso, dichiarò prima di morire
che la stessa Summa gli appariva ben poca cosa di fronte alla grandezza di Dio. Tommaso non si interessò
mai direttamente alle questioni dell’insegnamento e dell’apprendimento, ma si concentrò sulla natura della
verità e conoscenza.
L’intero pensiero di Tommaso è permeato da una visione teocentrica dell’uomo. Il suo concetto di
gerarchia, con Dio inteso come Creatore, sorgente e fine di tutte le creature, ne fonda anche il pensiero
pedagogico.
Ogni operazione o disposizione dell’esperienza finita partecipa all’infinito ed è orientata rispetto agli altri
esseri finiti dalla sua prossimità all’infinito. Il posto dell’uomo nella gerarchia lo rende la più nobile tra le
creature, perché non solo possiede tutti i poteri degli altri esseri viventi, ma ha anche un intelletto e una
volontà che lo rendono un riflesso di Dio stesso.
Tommaso utilizzò le categorie aristoteliche e in particolare i principi di causalità e di potenza/atto.
La filosofia dell’educazione di Tommaso, sostiene che i segni e i simboli che l’insegnante presenta ai suoi
studenti, devono rendere capaci questi ultimi di correlarli a principi primi che sostengano e giustificano ciò
che egli già sa. L’insegnante deve quindi possedere una conoscenza del mondo materiale prima di avanzare
nel mondo dell’astrazione, come nella matematica, e nel mondo della metafisica, che considera gli esseri a
prescindere dalla materia, vale a dire come pure forme.
Parte antologica
Le confessioni, autobiografia in cui Agostino racconta la propria vita rivolgendosi a Dio. Il santo ricorda la
sua infanzia, offre un’immagine suggestiva della scuola del suo tempo esageratamente severa e pedante e
dei metodi d’insegnamento.
Agostino fu affidato alla scuola per impararvi le lettere, di cui ignorava i vantaggi; erano botte, se era pigro a
studiare.
I genitori ridevano dei castighi inflitti dai maestri, eppure essi mancavano nello scrivere o nel leggere o nello
studiare meno di quanto si esigeva dai bambini. Nella fanciullezza Agostino, non amava lo studio ma vi era
costretto.
La religiosità erasmiana e la sua concezione della vita sono descritte efficacemente in quello che è il suo
capolavoro, il celebre Elogio della follia, una delle opere più note della letteratura mondiale, che descrive
per contrasto con la multiforme presenza della follia nella vita umana e nelle istituzioni sociali l’ideale di
saggezza che Erasmo proponeva anche come fondamento dell’educazione.
Quello di Erasmo, può essere considerato come l’ideale di un’educazione del vero cristiano.
Risulta essere un elemento importante della personalità e della vicenda esistenziale di Erasmo, il suo
cosmopolitismo poiché è proprio mediante quest’ultimo che considera lo studio come il mezzo per
corrispondere alla grazia di Dio e per il conseguimento da parte dell’uomo della salvezza; un uomo che non
ha conoscenza di lettere non è un uomo vero, completo.
Per Erasmo, la gentilezza dei modi è un segno che mostra la preminenza della carità nell’animo umano,
evidenziata anche dall’intima connessione tra profitto negli studi e comportamento con gli altri, capacità di
porsi nella giusta relazione con il prossimo.
Ma l’importanza di Erasmo, consiste anche nel suo richiamo ad un rapporto tra le generazioni basato sulla
fiducia e sulla confidenza, rifuggendo il più possibile dalla violenza fisica e dalle punizioni corporali;
l’educazione deve iniziare dalla più tenera età, quando il bambino sale ancora sulle ginocchia della madre e
privilegiare giochi e racconti come veicoli espressivi per le prime, ma fondamentali, forme di
apprendimento.
La questione educativa è un problema che riguarda tutta la società, a partire dal fatto elementare che i
genitori hanno degli obblighi verso i figli.
Parte antologica: in questa parte vengono riportati brani che fanno pare dell’opera più famosa dedicata
all’educazione, in cui si punta l’attenzione al comportamento del maestro sconosciuto, rustico e di modi
poco puliti che porta l’odio della cultura ai bambini. Un odio che cresce insieme a loro e che si trasforma in
odio verso lo studio.
Se il maestro, fosse una persona buona, i bambini cominciano ad amare e ammirare cultura e virtù, a
detestare vizio e ignoranza.
Charles Taylor legge la filosofia lockiana come un momento centrale della cultura moderna e del lungo
cammino verso la società secolarizzata che costituisce il motivo conduttore delle vicende della modernità e
il punto fondamentale del nuovo ordine “mondiale” scaturito dalla Riforma, in particolare Locke scopre e
sistematizza un’immagine dell’io, che Taylor definisce “puntiforme”, il cui carattere fondamentale è la
consapevolezza di porsi radicalmente in contrapposizione con il mondo esterno.
L’incontro con la filosofia di Cartesio porta il giovane Locke a rivedere le basi della sua educazione, a
riflettere sulla sua adeguatezza soltanto parziale e a concepire per la prima volta l’idea di una pratica
alternativa in sintonia con la nuova visione del mondo che sta emergendo sempre più chiaramente dalla
ricerca scientifica e filosofica del suo tempo.
L’opera principale di Locke per quanto riguarda la riflessione sui problemi dell’educazione ha una
gestazione del tutto occasionale; tuttavia, i Pensieri sull’educazione, diventano molto di più attraverso la
rielaborazione che ne fa lo stesso Locke in vista di una loro pubblicazione; l’opera che oggi conosciamo è
l’esito finale di un lavoro di riflessione in cui Locke travasò inizialmente le sue esperienze di precettore per
giungere ad offrire ai suoi lettori, mantenendo la forma epistolare originaria, un vero e proprio trattato in
cui sono esposti i principi essenziali della nuova educazione concepita per l’educazione dei giovani delle
classi elevate in un’epoca di grande dinamismo imprenditoriale che richiedeva una cultura molto diversa da
quella tradizionalmente diffusa nelle scuole e nei centri d’istruzione superiore più noti.
Locke si pone nettamente in contrasto con l’educazione impartita nelle scuole tradizionali per rivendicare ai
giovani gentlemen del suo tempo l’esigenza di una cultura più pratica in linea con le prerogative e le
prospettive della vita sociale della classe imprenditoriale inglese dell’epoca.
L’interesse di Locke è rivolto all’ educazione del giovane gentiluomo, vale a dire del giovane che si appresta
a fare il suo ingresso nella società altolocata con responsabilità di tipo imprenditoriale; Locke si domanda
cosa serva veramente ad un uomo che deve esercitare in prima persona attività commerciali redditizie,
sulle quali si fonda la ricchezza della sua famiglia e la posizione nella società.
Locke è convinto che il padre possa provvedere meglio della scuola tradizionale all’educazione del figlio,
perché, d’altronde, le finalità dell’educazione sono, come s’è appena accennato, ben diverse; per
l’educazione del gentiluomo serve di più saper giudicare gli uomini che conoscere le lingue classiche.
Locke giunge ad affermare che nelle scuole è assurdo pretendere risultati, se ciascun insegnante deve
badare a cinquanta alunni contemporaneamente; a prescindere dalle qualità dell’insegnante, su cui,
peraltro, il filosofo ha molto da dire, questa situazione va contro il buon senso ed una didattica ispirata a
principi corretti ed efficaci.
Nella vena pragmatica lockiana compare anche la rivalutazione del principio classico: “mens sana in
corpore sano”, perché per il gentiluomo la cura del corpo è fondamentale; il corpo deve essere indurito,
reso forte e vigoroso per obbedire alla mente, secondo uno schema moderno di autocontrollo che penetra
anche attraverso l’empirismo inglese.
L’educazione deve trasmettere da una generazione all’altra virtù, saggezza, educazione e istruzione, le
quattro componenti essenziali di un individuo sano e armonioso; per prima viene la virtù intesa come
perfezione morale, seguita falla saggezza intesa come capacità di guidare bene i propri affari
La riflessione di Locke sull’educazione è legata alla sua prospettiva filosofica, per un altro verso alla sua
comprensione della situazione sociale dell’Inghilterra. La riflessione pedagogica lockiana si basi sul concetto
fondamentale di esperienza e proponga, di conseguenza, una prospettiva sull’educazione molto innovativa
rispetto alla tradizione libresca; d’altra parte Locke, fu uno dei pensatori che seppero esprimere n forma
compiuta le aspirazioni culturali della piccola nobiltà e della borghesia agita inglese in un secolo centrale
della storia inglese: l’ideale lockiano del gentleman rispecchia una situazione storica precisa e ne è il
documento principale.
La riflessione di Locke prende le mosse da un’analisi empirica dei bisogni educativi tipici dei giovani di
famiglia agiata al suo tempo; si tratta di una prospettiva esplicitamente “classista”, che non prende in
L’istituto di Yverdon - Fu l’ultima tappa dell’itinerario pedagogico di Pestalozzi. A Yverdon le autorità gli
offrirono un castello per crearvi una scuola. Quest’istituto durò un ventennio ed arrivò ad ospitare ben 150
alunni di nazionalità diverse, s’insegnavano due lingue, francese e tedesco.
Pestalozzi era coadiuvato da buoni collaboratori; quando venne creata la Società svizzera per
l’educazione egli ne fu eletto presidente. Purtroppo l’istituto era diventato celebre soprattutto perché
frequentato dai figli delle famiglie più ricche, così Pestalozzi creò una nuova scuola per i poveri. In
contemporanea una commissione ufficiale diretta da Padre Girard aveva visitato l’istituto e redatto un
rapporto su di esso; il rapporto era generalmente favorevole, ma metteva in luce alcuni difetti, così si
accesero polemiche fra Pestalozzi e i suoi collaboratori e la fama dell’istituto venne compromessa. Un anno
dopo l’istituto d’Yverdon e quello dei poveri vennero unificati. Le liti e le polemiche purtroppo
continuarono e qualche anno dopo la scuola venne chiusa.
Pestalozzi si ritirò a Neuhof e scrisse: “I miei destini” e “Il canto del cigno”. Il pedagogista morì l’anno dopo
(fine di febbraio 1827).
NATURA E EDUCAZIONE :Le idee di Pestalozzi sono state molto influenzate da Rousseau, da Kant e
da Fichte. Considera tre stati dell’umanità: quello di natura, quello sociale e quello morale. Lo stato di
natura non è buono (≠ da Rousseau), perché simile ad uno stato di primitiva animalità, dominato
dall’istinto, dall’egoismo e dall’inerzia. Lo stato sociale è un misto di bene e di male, dove l’istinto si adatta
a certe situazioni perché illuminato dall’intelligenza, ma non per amore del bene. L’uomo deve raggiungere
lo stato etico, in cui utilizza l’intelligenza per dirigere la volontà secondo purezza d’intenzione, per elevarsi
al disopra della sua natura inferiore, si adopera, nonostante i contrasti dall’esterno, a far trionfare la forza
dell’amore. Quindi per Pestalozzi l’aspetto educativo più importante è quello morale. La rigenerazione
sociale dipende sicuramente dall’educazione del cuore e non della mente.
L’educazione ha carattere religioso, le forze capaci di vincere il male sono la fede e la more. Per lui
la fede significa fiducia nella vita, ma allo stesso tempo fede in Dio e nell’immortalità
dell’anima. Amore vuol dire vincolo di fratellanza tra gli uomini, secondo la legge di Dio. Moralità e religione
proseguono quindi a pari passo. Secondo Pestalozzi, la personalità umana è fornita originariamente di tre
divine energie, che devono essere sviluppate e integrate vicendevolmente dall’educazione. L’energia
morale o forza del cuore si esprime nella fede e nell’amore. La forza dell’intelletto ci permette di attingere il
significato profondo del reale. La forza dell’arte o tecnico-pratica si esprime in ogni forma di lavoro e di
creatività umana. Lo sviluppo di queste facoltà è naturalmente favorito se vi è la possibilità di coltivarle già
in ambito familiare, con le cure affettuose della madre; questa crescita si amplia con la frequenza scolastica,
Cap.11- Rosmini
Risorgimento italiano. Fondò una congregazione religiosa nel 1828: l’istituto della carità. Condannato nel
1888 per alcune proposizioni all’epoca giudicate pericolose. La sua opera può essere letta come esempio di
mobilitazione cattolica di fronte alla mobilitazione dei sostenitori della secolarizzazione e della modernità.
Rosmini portò avanti tesi filosofiche tese a contrastare l’illuminismo.
Anche se l’opera di R. si sviluppa nell’arco di svariati decenni, il momento cruciale del suo impegno fu nel
1848 durante il quale prese parte alle vicende italiane. La sua posizione è del tutto originale: cerò di portare
la chiesa dalla parte delle riforme.
In campo pedagogico sottolinea l’esigenza di una formazione integrale dell’uomo come fine
dell’educazione. L’unità dell’uomo, la sua armonia, si manifesta nella convergenza di mente e cuore;
l’educazione non è solo trasmissione di conoscenza, ma anche di saggezza fondata su una riflessione
ontologica e antropologica cristiana.
L’educatore deve essere consapevole e riconoscere l’ordine oggettivo degli esseri e il loro orientamento
gerarchico a Dio e questa conoscenza è l’unica veritiera; la ricerca della verità consiste in una filosofia che
vuole giudicare l’individuo a conformare il proprio essere all’ordine delle cose, ad interiorizzarlo.
La verità non è opera dell’uomo, ma la sua opera è cogliere la verità con l’intelligenza, quindi la pedagogia è
fondata su una dottrina della verità e dell’essere e assume un’ispirazione fortemente religiosa.
Dio è centro di tutte le cose, unità fondamentale del cosmo; l’uomo arriva a Dio attraverso le proprie
volontà e l’attività morale.
Un motivo rilevante della posizione di R. è la perfezione della persona che deriva dalla volontà e dall’attività
morale enunciate precedentemente ed è compito dell’educatore osservare ed agevolare.
L’educazione è il mezzo per la crescita dello sviluppo della dimensione spirituale e quindi il metodo di
insegnamento deve adeguarsi all’ordine oggettivo dell’essere e l’articolazione del curriculum deve
Cap.12- Il marxismo
Karl Marx nasce a Treviri nel 1818 e studia a Bonn e a Berlino. Terminati gli studi, diviene giornalista e
redattore capo di un giornale liberale che viene soppresso nel 1843 per le sue posizioni politiche. Marx si
trasferisce a Parigi, dove diviene amico di Engels e scrive alcune delle sue opere maggiori.
Nel 1864 è tra i fondatori della Prima Internazionale, in cui svolge un ruolo molto attivo, fino all’esaurirsi
dell’associazione. Nel 1871 segue le vicende della Comune di Parigi e negli ultimi anni della sua vita
polemizza con i sostenitori di Ferdinand Lassalle, che puntava a far giungere il movimento socialista al
potere in Germania senza rivoluzione. Marx morirà a Londra nel 1883.
Il pensiero marxista ha una notevole importanza anche in ambito pedagogico; negli stessi scritti di Marx ed
Engels si trovano importanti riflessioni di carattere educativo, soprattutto a proposito della condizione
dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo industriale e della vita familiare nella storia occidentale. . Le sue
teorie, le sue analisi economiche e sociali, hanno sempre come obiettivo ultimo la trasformazione di una
realtà che considera ingiusta ed inaccettabile. E’ un pensiero al servizio dell’azione.
Per cambiare la realtà bisogna comprenderla, e per comprenderla occorre, per Marx, considerare le forze
reali che agiscono in essa. Marx, che proviene dalla scuola dell’idealismo di Hegel (del cui pensiero restano
tracce anche nella sua filosofia più matura), finisce per rovesciarlo interamente: la storia non è mossa per
lui da alcuna forza ideale o spirituale (lo Spirito assoluto degli idealisti).
La storia è fatta da uomini e donne concreti, che non possiedono una essenza astratta, ma sono quello che
sono in base alle condizioni concrete in cui si trovano a vivere; condizioni che sono in primo luogo
economiche. Marx distingue - ed è una distinzione centrale nel suo pensiero - nella società la struttura dalla
sovrastruttura. La struttura, l’elemento fondamentale, è costituita dall’economia e in particolare dai
rapporti di produzione, ossia dal modo in cui in una data società gli individui si organizzano per produrre; la
sovrastruttura consiste invece in tutti gli elementi per così dire culturali e spirituali di una data società: la
morale, la religione, la filosofia, l’arte, il diritto, l’educazione eccetera.
Nel 1844, pubblicò “manoscritti economico-filosofici” all’interno del quale veniva esposta l’idea marxiana
dell’alienazione dell’uomo nel sistema capitalistico industriale, che espropria il lavoratore del proprio
lavoro, alienandolo così dal prodotto del suo stesso fare.
La società capitalistica produce alienazione, perché l’uomo non è più padrone del proprio lavoro, e per
riportare l’uomo ad essere protagonista della propria attività e della propria vita occorre una
trasformazione radicale del sistema sociale ed economico.
Nel 1848 venne pubblicato il “Manifesto del Partito Comunista”.
Sul piano della lotta politica, il marxismo si caratterizza per la sua singolare struttura organizzativa, il partito
che è composto da lavoratori, intellettuali e contadini e che lotta per avviare una rivoluzione proletaria che
porterà all’estremo le contraddizioni del sistema capitalistico e che instaurerà il socialismo.
Dopo il 1848, Marx si mette a studiare in profondità l’economia classica, come diretta conseguenza della
constatazione, risalendo ad alcuni anni prima, che il sapere accumulato nei millenni serva a conservare il
mondo, quando si tratta, invece di trasformarlo: proprio l’economia sarà una tematica centrale nelle sue
opere.
Una volta fatta la rivoluzione, per Marx ed Engels occorrerà passare attraverso una fase transitoria di
dittatura del proletariato, una forma di Stato interamente nelle mani del proletariato, che difenderà le
conquiste della rivoluzione.
Ma si tratta, appunto, soltanto di una fase. L’obiettivo della rivoluzione non è quello di creare uno Stato
comunista, ma di realizzare una società libera e giusta. Per Marx ed Engels, lo Stato è sempre lo strumento
adoperato da una
classe sociale per dominarne un’altra. Nella fase di transizione si creerà uno Stato proletario, che attuerà le
riforme necessarie, prima fra tutte l’abolizione della proprietà privata e la concentrazione di tutto il capitale
nelle mani dello Stato.
Successivamente, tuttavia, lo Stato stesso finirà per scomparire. La necessità di un Stato sussiste fino a
quando esistono classi sociali, di cui una domina l’altra.
Un’altra tematica importante è l’educazione pubblica gratuita per tutti. Si tratta di un principio che era già
stato affermato già all’inizio dell’età moderna da Comenio, ma che di fatto non aveva trovato realizzazione
storica.
Marx ed Engels parlano di una abolizione del lavoro infantile, ma solo “nella forma attuale”. I due pensatori
non sono contrari al lavoro dei bambini, ma solo alla forma di grave sfruttamento che esso assume nella
società capitalistica.
Nel Capitale (Libro I, cap. 8) denuncia le dure condizioni di lavoro infantile nei diversi tipi di industrie inglesi.
Questo sfruttamento va eliminato, così come va eliminata ogni forma di sfruttamento. Ma non va eliminato
il lavoro infantile. Occorre considerare che per Marx il lavoro è l’attività attraverso la quale l’essere umano
si distingue dagli animali, trasforma la natura e si realizza storicamente.
Cap.13- positivismo
Auguste Comte: concezione evolutiva della scienza e della conoscenza. Comte propose un sistema delle
scienze positiva (che si adattavano all’era industriale): matematica, astronomia, fisica,chimica,biologia e
sociologia erano fondamentali. Tutto il resto doveva essere eliminato e Comte sperava di annullare le
differenze tra classi e far unire filosofi e produttori.
Il positivismo dedica molta attenzione alla formazione dei lavoratori. La scienza deve essere indipendente
dal potere politico. Formare una nuova classe di sapienti, con un indirizzo multidisciplinare, che si dedicasse
allo studio complessivo delle discipline, studiando le relazioni tra loro e i principi comuni.
Importante per l’educazione è il ruolo dell’interazione sociale, del rapporto tra individuo e società nella
formazione della personalità. Questi temi sono stati studiati da un altro positivista, Durkheim. Ha dato vita
a una concezione problematica della società contemporanea, nella quale i fattori fondamentali sono:
organizzazione razionale degli spazi e dei tempi di vita; complessità crescente della vita sociale;
pianificazione del lavoro centrata sulla produzione.
Afferma che quasi tutto ciò che si trova nelle coscienze individuali “viene dalla società”: pensare e sentire,
la stessa individualità della persona,k stati psichici come la religiosità o la gelosia derivano tutti
dall’organizzazione collettiva e dagli stereotipi diffusi.
L’autentica scienza pedagogica potrà essere formulata soltanto dopo aver studiato i gruppi sociali.
Particolare attenzione viene posta sull’educazione morale: spirito di disciplina, attaccamento al gruppo,
autonomia della volontà.
Confusione terminologica riguardo l’educazione, spesso confusa con la pedagogia, ma vanno separati.
Per Durkheim, l’educazione è l’azione esercitata sui fanciulli dai genitori e dai maestri; il ruolo degli
educatori è pervasivo e va ben oltre l’ambito delle istituzioni educative tipiche delle società moderne. Si va
a plasmare l’anima dei figli con parole e azioni.
La pedagogia consiste invece non in azioni, ma in teorie cioè modi di concepire l’educazione. Secondo
Durkheim la pedagogia ha un carattere scientifico, poiché si riferisce a fatti acquisiti mediante osservazione
e ha come oggetto di studio qualcosa che realmente esiste ed è tangibile. Lo scienziato viene visto come
unico detentore del sapere e quindi unico che possiede la verità, il suo compito è di ricercare la realtà, non
di giudicarla.
Da tutto ciò si scaturisce la possibilità che esista un sapere di carattere scientifico anche sull’educazione .
Allo stesso tempo, Durkheim è pienamente consapevole del carattere imperativo delle strutture sociali e di
quelle educative in particolare e dichiara che lo stesso ruolo del genitore è mediato dalla società.
Cap.15-Deway