2° Lezione Foucault
Durante questi anni 60’ escono alcune opere di Foucault, nello stesso periodo
in cui Canguilhem parlava di Normale e Patologico e Kuhn di rivoluzioni
scientifiche e paradigmi, il filosofo scrive questi testi che hanno a che fare con
le scienze umane, con la follia, con la medicina.
La storia della follia nell’età classica , pubblicato nel 1961, (Con età classica si
intende il 1600 e il 1700), è la storia del trattamento e della riflessione sulla
follia in quel periodo. Poi c’è la Nascita della clinica (1963) che è la nascita
dello sguardo medico, quindi l’evoluzione della medicina moderna a partire
dalle istituzioni dell’ospedale moderno e infine abbiamo Le parole e le cose
(1966), il libro più teoretico di Foucault, in cui si indagano le scienze umane a
partire dal rinascimento.
C’è quindi un eco ironico del trascendentale kantiano, Foucault vuole studiare
le condizioni di possibilità dell’esperienza del mondo, che sono storiche,
mutano e con il vedere mutare di queste condizioni storiche dell’esperienza
rendiamo contingente anche il nostro stesso pensare.
In Foucault l’idea di studiare qualcosa che muta con la storia ma che è
comunque un a priori non del tutto incompatibile con quello di cui Kant aveva
parlato, condizioni di possibilità storiche dell’esperienza del mondo.
La discontinuità significa che, secondo Foucault, il mondo si organizzava in
modi
diversi: Nel rinascimento il mondo era un gioco di somiglianze,
corrispondenze, rispecchiamenti tra macrocosmo e microcosmo; nell’età
classica sorge l’epoca a della matematizzazione del mondo, del segno; infine,
nell’epoca moderna tutto cambia, non avremmo più la storia naturale, la
grammatica, ma avremmo la biologia moderna, l’economia moderna.
Tutto questo per dirci che noi pensiamo all’essere umano e al suo mondo in
queste modalità che sono diverse rispetto a quelle delle due epoche
precedenti, le episteme sono cambiate.
Si potrebbe ipotizzare che ci sia stata un’influenza della filosofia del linguaggio
ordinario su queste formulazioni foucaultiane, in particolare su quelle
dell’altro suo testo metodologico, “L’archeologia del sapere”, in cui ripropone
un gioco ironico di tipo metodologico per esplicitare il suo modo di fare
archeologia e storia della cultura, e se ne uscirà con una serie di terminologie
Wittgensteiniane, in cui parlerà di enunciati, di formazioni e pratiche
discorsive. L’idea in questi scritti è quella di fornire una terminologia e
metodologia che permette di indagare i midi in cui ragioniamo, in cui
ragionavano gli uomini del passato.
È come se Foucault ci dicesse che l’indagine storica che vuole fare, che chiama
archeologia, è basata sull’indagine della costituzione correlativa del soggetto
e dell’oggetto, cioè vuole sì far vedere come cambia il sapere nella storia e
come cambiano i modi con cui ordiniamo il mondo, ma cosa significa studiare
il modo in cui cambia il pensiero umano?
Significa studiare in un certo momento storico chi può parlare e cosa deve
essere chi parla per poter parlare nel modo in cui parla, ad esempio cosa
significa essere un medico in un certo momento, in quale istituzione, a partire
da quali modi di legittimazione sociale del discorso che il medico sta andando
a fare sarà possibile proporre un discorso medico…
Foucault dice di prendere queste tre forme della storia che Nietsche aveva
proposto da giovane e per capire cos’è la genealogia dobbiamo rovesciarle
tutte e tre, il genealogista non cerca i monumenti ma li abbatte, non cerca
delle continuità ma ci fa vedere come tutte le continuità sono illusione, non
cerca di andare ad usare la ragione superiore dell’oggi per criticare il passato
ma piuttosto prende sul passato per decostruire la ragione che no abbiamo
creduto formarci oggi.
Tutte queste forme, possono essere viste, i questa genealogia che stiamo
disegnando, come ridefinizioni del compito della critica. Lo stesso Deleuze, in
“Nietsche e la filosofia”, arriva a sostenere che la genealogia Nietzschiana sia
la vera realizzazione della critica kantiana.
Intorno agli anni 70’ Foucault scrive sulla prigione, sul potere psichiatrico ecc.
Ci troviamo nell’epoca dell’anti psichiatria, cioè una critica ad alcuni
meccanismi di potere intrinseci all’esercizio della psichiatria, è il concetto di
Labelling, che Foucault non usa, cioè di definizione, di etichettatura. In quegli
anni ci si chiede cosa significa definire qualcuno come malato mentale, questa
definizione vuole essere sì descrittiva, ma nel momento in cui descrive
etichettando qualcuno come qualcosa, non lo starà già facendo diventare quel
qualcosa, non lo starà ad esempio escludendo socialmente, non c’è insomma
il rischio, dietro questa psichiatria che crede e promette di curare, si
nascondano delle gerarchie di potere?
È un’epoca in cui anche la distinzione tra sanità e follia può essere messa in
questione, quantomeno nelle sue superfici istituzionali, dove il potere rischia
di manifestarsi; ci troviamo in un epoca in cui c’è quasi una mistica della follia,
dell’ispirazione.
Nel libro “Io, Pierre Riviere” Foucault scava nell’archivi e scopre che c’è un
parricida, meno che trent’enne, che aveva ucciso il padre, in un’epoca in cui,
uccidere il padre significava uccidere un’autorità, il potere. Accade che viene
arrestato, parte il processo, è un caso di cronaca nera però trasportato nel 19°
secolo. Ci sono i giudici, medici che vengono cambiati per dare un consulto
sullo stat0 mentale di Pierre Riviere, ma la cosa interessante è che costui ha
scritto una memoria in cui ha raccontato tutta la vicenda, e Foucault decide di
pubblicare questa memoria, il punto è che fa riemergere un discorso che noi
rischiamo di non vedere e non vedendolo accettiamo altri discorsi, la
riemersione di questo discorso sommerrso deve produrre degli effetti in ciò
che noi pensiamo e facciamo oggi.