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SEZ.I. Dai diritti nazionali del lavoro al diritto del lavoro nell’economia globalizzata
L’evoluzione del diritto del lavoro è segnata da profonde trasformazioni, che seguono il corso
Nel corso del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, la prima rivoluzione industriale e
l’avvento del modello capitalistico della produzione di massa hanno dato vita ad un nuovo
Questo rapporto vedeva, da un lato, una classe sempre più estesa di persone che era obbligata
capitalisti, detentori dei mezzi di produzioni. Lo squilibrio tra le posizioni era aggravato dal
fatto che l’offerta di lavoro eccedeva la domanda e, quindi, i lavoratori si vedevano costretti ad
accettare le più grame condizioni imposte dal datore di lavoro, anche mettendo a repentaglio la
propria salute.
Nacquero, così, le prime forme di organizzazione sindacale, ossia coalizione spontanee tra
fenomeno sindacale. Allo stesso tempo, tardavano a dare risposte adeguate alle questioni che
essi sollevavano. I primi interventi della legge furono rivolti soltanto a porre argini minimali
Si trattava, quindi, di interventi ispirati da ragioni di “ordine pubblico”, i cui destinatari erano
individuati con riferimento alla loro posizione sostanziale (e in particolare con riferimento al
lavoro manuale prestato dagli operai nell’industria). Successivamente, nella prima parte del
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ventesimo secolo, la crescita del movimento sindacale dei lavoratori e della loro influenza
politica ha consentito la graduale intensificazione delle misure legislative a tutela del lavoro in
tutti i paesi economicamente sviluppati (dando vita, peraltro, alla creazione di una
Anche in Italia, si ebbe lo sviluppo della legislazione in materia sociale, proseguito senza
così, a formare progressivamente un sistema di diritto speciale: un diritto, cioè, che, pur avendo
ad oggetto un rapporto tra privati, presenta rilevanti deviazioni dal diritto comune. Ed apparve
ben presto chiaro che la ratio di tale diritto è costituita dall’esigenza di proteggere il lavoratore
in quanto contraente debole. La codificazione del diritto privato, nel 1942, regolò finalmente il
contratto di lavoro subordinato, dettando per esso una “disciplina particolare”, inserita nel libro
V.
Il lavoro ha ricevuto, poi, un nuovo fondamento valoriale nella Costituzione repubblicana che
formale quello della eguaglianza sostanziale, pone a carico della Repubblica l’obiettivo di
promuovere “il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
In attuazione dei principi costituzionali, il periodo della ricostruzione post bellica è stata
processo realizzato sia mediante il miglioramento di quelle già previste dal Codice civile e dalle
Questo periodo ha il suo momento di massima espressione, ma allo stesso tempo si conclude,
con l’emanazione di quello che è comunemente chiamato “Statuto dei lavoratori” (legge 300 del
materia di lavoro e di previdenza ed assistenza sociale. In particolare, la legge 300 del 1970
detta norme, ancor oggi fondamentali, non solo a tutela della libertà e della dignità della
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persona del lavoratore, ma anche a garanzia e a sostegno della libertà e dell’attività sindacale
nei luoghi di lavoro, così da rafforzare il sindacato nella sua naturale funzione di “contropotere”
Si può, quindi, affermare che la ragione che ha ispirato la nascita e lo sviluppo del diritto del
lavoratore, in quanto egli è parte debole di un rapporto nel quale è coinvolto non soltanto il suo
norme diretto a contemperare le esigenze dell’impresa con le finalità di tutela e sviluppo della
A stretto ridosso dell’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, tuttavia, si è aperta una
nuova fase della legislazione ancora in corso. Ciò che caratterizza la nuova fase è il mutamento
globale che, grazie alla libertà di circolazione assicurata alle merci, ai servizi e ai capitali, sfugge
l’autonomo ed efficiente funzionamento, dando vita alla c.d. lex mercatoria e creando
l’Organizzazione mondiale del commercio. Organizzazione che obbliga gli stati aderenti ad
controversie.
lavoro, sia perché le imprese di altri paesi possono sottrarre porzioni di mercato, riducendo
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l’occupazione e la ricchezza disponibile, sia perché gli stessi capitali nazionali possono operare
altrove alla ricerca di investimenti più redditizi, anche in tal modo depauperando le opportunità
Con un’ulteriore sintesi, si può affermare che la globalizzazione dei mercati subordina la
condizione della loro competitività. Inevitabilmente, le conseguenze di ciò sono state avvertite
da tutte le economie nazionali, sia pure con intensità diversa. I sistemi nazionali di protezione
del lavoro, soprattutto quelli più evoluti, sono entrati, così, in una profonda fase di crisi e
ripensamento, che mette in discussione forme ed intensità di tutele che erano considerate
acquisite in modo irreversibile e, più in generale, mette in discussione l’ampiezza del campo di
azione dello Stato sociale e delle sue forme di intervento. I legislatori nazionali, pur cercando di
conservare livelli di benessere e conquiste realizzate, si sono visti costretti a ricercare nuove
In Italia, i primi cambiamenti, riconducibili a questa fase, risalgono alla seconda metà degli anni
specifici, così da indurre gli osservatori dell’epoca a considerarli conseguenza di una crisi
processo di adeguamento e di revisione delle tecniche e dei contenuti della protezione del
ampia portata, sino al recente intervento organico costituito dai provvedimenti noti
I tratti che caratterizzano questa nuova fase del diritto del lavoro sono diversi. Per quanto
riguarda la disciplina dei rapporti di lavoro, il tratto caratteristico è che le riforme della legge
del singolo lavoratore, contraente debole, con le esigenze del singolo imprenditore. Quelle
riforme, infatti, sono influenzate in modo determinante dal perseguimento di interessi pubblici
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generali, quali sono quelli della salvaguardia e dell’incremento dell’occupazione, e del sostegno
Tali finalità, quindi, ispirano non più soltanto le leggi che hanno ad oggetto la tutela
previdenziale pubblica, ma anche le leggi che hanno ad oggetto la disciplina del rapporto
individuale di lavoro. Ciò perché, in un mercato globale altamente concorrenziale, anche tale
dell’economia del Paese. Competitività dalla quale dipende la produzione di ricchezza. Il nuovo
l’arretramento delle prime, bensì una loro diversa riarticolazione, quanto a priorità, contenuti e
modi di realizzazione.
interessi generali non sono mai state orientate al mero ripristino delle regole del libero
Allo stesso tempo, una importanza crescente è assunta dalle riforme volte a rafforzare la tutela
della persona del lavoratore al di fuori del rapporto di lavoro, nella fase, cioè, della ricerca
politiche attive per la promozione del lavoro, e strumenti di sostegno del reddito. Per quanto
sostenibilità della spesa pubblica, tenendo conto dei cambiamenti demografici e dei
cambiamenti occupazionali.
Nel 1919, è stata costituita l’Organizzazione internazionale del lavoro, alla quale partecipano i
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giustizia sociale, essendo già allora ritenuto “urgente” il miglioramento delle condizioni di lavoro
“che implicano – per un gran numero di persone – ingiustizia, miserie e privazioni”. “Il lavoro non è una
merce”.
Così declamava la Dichiarazione di Filadelfia del 1944, che ha sancito il diritto di tutti gli esseri
umani, di “tendere al loro progresso materiale ed al loro sviluppo spirituale in condizioni di libertà, di
dignità, di sicurezza economica, e con possibilità uguali”. Pertanto, “il raggiungimento delle condizioni
che permettono di conseguire questi risultati deve costituire lo scopo principale dell’azione nazionale
da parte degli stati aderenti. Il risultato è che, allo stato, la maggior parte delle numerose
convenzioni che nel corso del tempo sono state adottate dall’O.I.L per la tutela di condizioni
minime di lavoro risulta ratificata soltanto da una minoranza dei paesi aderenti. Al fondo di
culturali e politiche verso l’imposizione di standard minimi di tutela del lavoro. Diffidenza che si
Con una realistica presa d'atto delle difficoltà esistenti, l’O.I.L. ha adottato, nel 1998, la
Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro, con la quale è stato selezionato e
recepito un numero ristretto di convenzioni aventi ad oggetto quattro core labour standard,
Di fatto, la stessa O.I.L. ritiene che l’affermazione e l’implementazione di tali diritti debba
essere perseguita con azioni di natura promozionale, fornendo assistenza tecnica ed altre
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forme di sostegno a favore dei paesi interessati, e svolgendo altresì un’attività di supervisione
La terza e più recente Dichiarazione, adottata dall’O.I.L. nel 2008, quindi, non ha ad oggetto la
promozione dei diritti fondamentali dell’occupazione, dello sviluppo e del potenziamento degli
strumenti di protezione sociale, del dialogo sociale. Resta, però, profonda la distanza tra
Diverse considerazioni devono essere svolte con riguardo agli effetti del processo di
integrazione europea sul diritto del lavoro nazionale. L’Unione Europea è nata come una
Comunità Economica, perché economico era il suo obiettivo, vale a dire la creazione di un
condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso”, ma veniva allo stesso
tempo precisato che “una tale evoluzione risulterà dal funzionamento del mercato comune, che
circolazione”, per affermare il principio della parità retributiva tra uomini e donne, ed in poche
puramente mercantile si è venuta, però, man mano incrinando, dando spazio ad una
dimensione “sociale” che ha assunto un rilievo maggiore nel processo di integrazione europea,
sia sul piano dei principi e delle competenze, sia sul piano dei diritti.
Già l’Atto Unico Europeo, con cui il “mercato interno” veniva definito “spazio senza frontiere
“dell'ambiente di lavoro” per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori, stabilendo che
per l’adozione delle direttive in materia fosse sufficiente una maggioranza qualificata. Allo
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rafforzamento della coesione economica e sociale”, volta in particolare “a ridurre il divario tra le
Con il Trattato di Maastricht, è stato inserito, tra gli obiettivi, quello di “un elevato livello di
occupazione e di protezione”. Inoltre, tutti gli stati membri raggiunsero un Accordo sulla politica
regola della decisione a maggioranza qualificata ad altre materie (quali le condizioni di lavoro,
l’informazione e la consultazione dei lavoratori); dall’altro lato, valorizzava il ruolo del “dialogo
sociale” con le organizzazioni sindacali già riconosciuto dall’Atto Unico Europeo, inserendo la
contrattazione collettiva, sia europea che nazionale, nel processo di formazione riguardante,
Nello stesso Trattato, inoltre, è stato introdotto un nuovo titolo sulla “occupazione”, a favore
della quale è stata prevista una “strategia coordinata”, volta in particolare alla “promozione di
una forza di lavoro competente, qualificata, adattabile e di mercati del lavoro in grado di rispondere ai
mutamenti economici”.
Nel 2000, a Nizza, è stata poi elaborata la nuova Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea, contenente un ampio ed “aggiornato” catalogo dei diritti civili, politici, economici e
sociali dei cittadini europei e delle persone che vivono nel territorio dell’Unione.
È rilevante inoltre la riarticolazione degli obiettivi generali effettuata dal nuovo Trattato
sull’Unione Europea, considerato che tra di essi vi è il richiamo ad una “economia sociale di
mercato fortemente competitiva”, che “mira alla piena occupazione e al progresso sociale”,
sociale”, “la parità tra donne e uomini”, e “la coesione economica, sociale e territoriale”.
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Il tutto nell’ambito di un sistema di valori che è rappresentato dal “rispetto della dignità umana,
della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto”, nonché dal “rispetto dei
diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”. L’esame del diritto
“primario” dell’Unione Europea consente di affermare che essa ha assunto una dimensione non
Questa dimensione, tuttavia, ha una consistenza limitata e circoscritta, perché opera proprio
sul presupposto che i singoli Stati membri conservino un ruolo da protagonista nella
definizione degli assetti dei sistemi nazionali di welfare. Ed infatti, restano del tutto escluse
dalle competenze dell’Unione Europea alcune materie importanti, quali sono quelle riguardanti
consensi.
L’integrazione tra le fonti sovranazionali e quelle nazionali – che opera tramite il sistema
definito di multilevel governance (articolato su una pluralità di livelli e sul cui coordinamento
sull’ordinamento giuridico del lavoro degli stati membri. Però, la direzione in cui opera tale
In una prima fase, la Comunità aveva perseguito, nell’ambito delle proprie competenze,
l’armonizzazione verso “l’alto” delle legislazioni nazionali, facendo ricorso a direttive dai
distorsivi della libera concorrenza o di affermare specifici diritti sociali. Il recepimento di tali
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Tuttavia, il progressivo allargamento ad altri stati membri e la sempre maggiore
Correlativamente, nella seconda metà degli anni ’90, si è affermata una nuova e diversa tecnica
di intervento sulle politiche sociali (c.d. di soft law), che è stata inaugurata proprio con la
“strategia europea per l’occupazione” ed estesa, poi, anche ad altre aree tematiche, quali la
fondato sulla cooperazione tra istituzioni europee e stati membri, e dal quale derivano impegni
europei”.
Inoltre, il metodo del dialogo sociale ha consentito l’emanazione di tre direttive in materia,
lavoro a tempo determinato. Particolare incidenza sull’evoluzione del diritto del lavoro italiano
hanno avuto, poi, le direttive contro le discriminazioni. Tuttavia, dal 2003 la legislazione
nuovo ambito, in precedenza non regolato, ha avuto ad oggetto il lavoro tramite agenzia
interinale, e la sua approvazione si è resa possibile solo sulla base di un testo compromissorio
che lascia notevoli spazi di adattamento da parte dei singoli stati membri.
Una rilevante influenza sul diritto del lavoro nazionale è esercitata dalle norme dei Trattati in
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all’applicazione che ne è data dalle istituzioni europee. Le più recenti pronunzie della Corte di
economiche e libertà sindacali diverso da quello sul quale è stato fondato lo sviluppo dei
contratto collettivo, infatti, mira ad imporre condizioni minime applicabile a tutti i lavoratori; lo
La Corte di Giustizia da atto che contrattazione collettiva e sciopero sono diritti fondamentali,
ma afferma che essi, dovendo essere esercitati “conformemente al diritto dell’Unione”, sono
tutela dei lavoratori perseguita dal sindacato può costituire una “ragione imperativa di
Il giudice nazionale, quindi, sarebbe chiamato ad accertare: quale sia l’obiettivo dell’azione
lavoro e delle condizioni contrattuali; se tale reazione sia proporzionata a quanto necessario
L’Unione Europea ha emanato una direttiva che individua le condizioni minime “di lavoro e di
occupazione” che devono essere applicate ai lavoratori distaccati da uno Stato membro ad un
altro; allo stesso tempo, consente che i legislatori nazionali prevedano l’applicazione di ulteriori
condizioni previste dal diritto interno, se e nella misura in cui “si tratti di disposizioni di ordine
pubblico”.
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La Corte di Giustizia ha affermato, però, che tale facoltà va interpretata in senso restrittivo,
poiché la clausola cd. di “ordine pubblico” può essere invocata “solamente in caso di minaccia
effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività”. Tale
del lavoro la natura di disposizioni di ordine pubblico, poiché ciò realizzerebbe una eccessiva
restrizione della libertà della prestazione di servizi da parte delle imprese di altri Stati membri.
Di conseguenza, potrebbero anche sorgere dubbi in ordine alla compatibilità con il diritto
collettiva.
Sul piano delle politiche, quelle sociali si sono concentrate in prevalenza sulla promozione
dell’occupazione, più che sulla regolamentazione del rapporto di lavoro. Per contro, una vistosa
incidenza sui diritti nazionali del lavoro è esercitata dalle politiche economiche di rigore.
Politiche rese ancora più stringenti, a seguito della crisi economica iniziata nel 2008 che ha
portato all’adozione:
nel 2011, di sei atti legislativi aventi ad oggetto, tra l’altro, un ulteriore rafforzamento della
sorveglianza delle posizioni di bilancio e della sorveglianza e del coordinamento delle politiche
nel 2012, del “Fiscal Compact”, ossia dell’accordo con il quale gli Stati membri si sono, tra l’altro,
impegnati ad introdurre nei propri ordinamenti l’obbligo del perseguimento del pareggio di
bilancio; nel 2013, di due ulteriori regolamenti diretti, in particolare, al coordinamento e alla
sorveglianza rafforzata nei confronti degli Stati membri che si trovano o rischiano di trovarsi in
gravi difficoltà in relazione alla loro stabilità finanziaria, nonché alla correzione dei disavanzi
eccessivi.
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L’attuazione di tali politiche impediscono agli stati membri di utilizzare la leva fiscale e della
spesa pubblica per sostenere le politiche sociali o per supportare la competitività dei sistemi
produttivi. Ne deriva che l’azione sociale di tali stati tenda a contrarsi e, allo stesso tempo,
In altri casi, importanti riforme del mercato del lavoro sono oggetto di esplicite richieste, o
prescrizioni, da parte di istituzioni europee. Anche per questa via passa il processo di
redistribuzione della ricchezza tra le nazioni. Così, mentre istituzioni internazionali legano la
concessione di aiuti ai paesi in via di sviluppo al vincolo dell’introduzione dei diritti sociali,
accade che l'Europa abbia condizionato il proprio sostegno alle economie degli stati membri
più colpite dalla crisi alla revisione degli apparati di tutela che essi avevano costruito a favore
almeno tendenzialmente completo che possa rappresentare un modello di tutela del lavoro,
idoneo ad essere esportato od opposto alle altre economie regionali. Ad oggi, ciò che sembra
(definito della flexicurity), variamente adottato da alcuni stati membri, che hanno saputo
coniugare una disciplina più flessibile del rapporto di lavoro con maggiori tutele sul mercato del
lavoro.
Ma la trasposizione di quel modello ad altri stati membri resta affidata alle istituzioni di questi
degli ordinamenti nazionali fondati sulla rigida tutela del posto di lavoro, sia per la ristrettezza
ristrutturazione.
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La Costituzione italiana attribuisce al “lavoro” una speciale posizione, pur senza accogliere di
esso una nozione unitaria e rigidamente determinata. Già l’articolo 1, con una enunciazione di
forte valore simbolico, individua il fondamento stesso della Repubblica nel “lavoro”, intendendo
quest’ultimo nella sua accezione più ampia e comprensiva di qualsiasi attività socialmente
rilevante.
La Repubblica assume il compito di rimuovere gli “ostacoli di ordine economico e sociale”, che
limitano “di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”, oltreché di promuovere le condizioni
che rendono effettivo il diritto al lavoro riconosciuto a tutti i cittadini. Il titolo III, che riguarda i
“rapporti economici”, si apre con la disposizione di ampia e significativa portata, in base alla
quale “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”. Anche in materia di
lavoro, il ruolo di garante del costante adeguamento alla Carta costituzionale da parte della
Va, però, avvertito che l’attuazione dei principi “lavoristici” deve tenere conto almeno di due
questioni fondamentali. In primo luogo, si deve tenere conto della necessità del
“bilanciamento” con gli altri principi affermati dalla Costituzione e, in particolare, con la libertà
“bilanciamento” tra i principi di tutela del lavoro e quello della libertà di intrapresa economica è
favore degli altri, bensì devono necessariamente essere contemperati tra loro.
Nello specifico, il contemperamento si rivela essenziale al fine di far sì che le leggi dirette a
quanto la tutela del lavoro presuppone necessariamente l’esistenza dell’impresa, senza la quale
competitività che sono il presupposto perché una impresa possa essere avviata e possa
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In secondo luogo, l’attuazione dei principi lavoristici deve tenere conto del problema della
limitatezza delle risorse disponibili. Infine, va ricordato che, continua ad essere oggetto di
legislazione esclusiva dello Stato la disciplina dei rapporti individuali di lavoro, riconducibile
allo “ordinamento civile”, nonché la previdenza sociale e la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale.
Rientrano tra le materie di legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni la previdenza
altri interessi pubblici generali. Le eventuali clausole contrattuali difformi sono, quindi, nulle e
In secondo luogo, le disposizioni della legge, quando hanno ad oggetto la disciplina del rapporto
lavoratore. Ciò significa che l’inderogabilità comporta che le parti del rapporto non possono
più favorevoli per il lavoratore. In terzo luogo, e questa è una caratteristica esclusiva, le
disposizioni di legge che regolano i rapporti di lavoro operano, normalmente, integrandosi con
Tale integrazione può avvenire in diverse forme e modalità, ma costituisce una costante del
della libertà sindacale, dalla quale deriva anche la libertà di contrattazione collettiva. I rapporti
instaurati tra Stato e sindacati rivestono un rilievo determinante ai fini dello studio del diritto
del lavoro.
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Va tenuto presente che il legislatore ha attribuito anche alle clausole dei contratti collettivi il
minime di tutela del lavoratore, prevalgono sulle clausole individuali difformi, sostituendole di
diritto. Le disposizioni dettate dalla legge (e dalla contrattazione collettiva) regolano tutti gli
aspetti più rilevanti del rapporto di lavoro, dalla costituzione allo svolgimento sino
all’estinzione. Assai ridotto, quindi, è lo spazio di applicazione che residua per altre fonti del
Il carattere dell’inderogabilità delle leggi in materia di lavoro svolge una funzione essenziale
per garantire l’effettività delle tutele che le leggi stesse prevedono. Oggetto da tempo di
discussione è l’ampiezza del ricorso alla norma inderogabile, tenuto conto che, già negli anni
ottanta, la legislazione del lavoro era stata giustamente definita “alluvionale”, e nel tempo ha
continuato a produrre una fitta rete di regole che disciplina in modo rigido ed uniforme tutti i
Il diritto del lavoro aveva lasciato all’autonomia individuale delle parti un ruolo del tutto
marginale nella definizione del regolamento contrattuale del rapporto di lavoro. Nel passaggio,
quindi, al diritto del lavoro nell’economia globalizzata, la legge ha attribuito alcuni ulteriori
dell’impresa, sia per tenere conto della ulteriore diversificazione dei modi di produrre e di
lavorare, sia per dare rilievo ad interessi individuali del singolo lavoratore.
La prima tecnica utilizzata a questo scopo, ed ancora oggi diffusa, è quella definita della
collettiva il potere di derogare alle disposizioni di legge. Il legislatore ha, poi, riconosciuto
scegliere tra una pluralità di nuovi modelli di contratto di lavoro, che comportano l’applicazione
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Cosicché, le parti possono sottrarsi all’applicazione di talune delle disposizioni inderogabili
ipotesi in cui trova applicazione la tutela cd. reale; ha modificato la disciplina che vieta il
controllo a distanza dei lavoratori, consentendo che in alcuni casi possa avvenire anche senza
modificato la disciplina del mutamento delle mansioni, riducendo i limiti preesistenti, sia
mediante l’estensione dello ius variandi del datore di lavoro, sia prevedendo ipotesi di
derogabilità dei nuovi limiti ad opera tanto dell’autonomia individuale, quanto di quella
collettiva.
Un ulteriore rilievo alla autonomia individuale è stato riconosciuto dalla legge quando la volontà delle
parti sia certificata o assistita mediante apposite procedure svolte nelle sedi abilitate. La procedura di
certificazione è stata inizialmente prevista al fine di ridurre il contenzioso che può sorgere in ordine
alla qualificazione del contratto ed agli effetti che ne derivano. Con tale procedura le parti possono
ottenere la certificazione “dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una
prestazione di lavoro”, e ciò anche nel caso in cui si tratti di “contratti in corso di esecuzione”.
La medesima procedura può essere utilizzata anche al fine di certificare il regolamento interno delle
cooperative riguardante i rapporti di lavoro con i soci lavoratori e il contratto di appalto di opere o
servizi. L’accertamento operato dalle commissioni abilitate alla certificazione può produrre, a richiesta
delle parti, sia effetti civili, sia “effetti amministrativi, previdenziali o fiscali” e, quindi, vincolare non
Tuttavia, poiché l’atto di certificazione implica un’attività valutativa, esso può essere impugnato non
solo dinanzi al tribunale amministrativo regionale “per violazione del procedimento o per eccesso di
potere”, ma anche dinanzi al giudice del lavoro “per erronea qualificazione del contratto”, oltreché per
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“difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione”, o “per vizi del
diversamente da tutte le altre controversie di lavoro in relazione alle quali il tentativo di conciliazione
è stato reso facoltativo. Inoltre, nel giudizio di impugnazione, il comportamento tenuto dalle parti
durante la procedura di certificazione “potrà essere valutato” dal giudice del lavoro ai fini della
definizione delle spese del giudizio o di una eventuale condanna per responsabilità aggravata, ai sensi
La legge prevede, altresì, che le commissioni di certificazione, in alcuni casi, possono svolgere funzioni
di assistenza della volontà delle parti anche nella definizione della disciplina applicabile al rapporto di
lavoro da esse instaurato. Infatti, la certificazione può avere ad oggetto non soltanto la scelta del
contratto e le clausole di esso che rilevano ai fini qualificatori, ma ogni altra clausola relativa al
Anche sotto questo profilo, l’atto certificatorio sarebbe sottoposto al controllo giurisdizionale, poiché
controversia, compete al giudice. La certificazione può, altresì, riguardare clausole dei contratti
individuali che prevedono ipotesi tipiche di giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, o
“elementi” e “parametri” di determinazione della indennità prevista per il licenziamento non sorretto
Ma gli effetti della certificazione di tali clausole non sono ben definiti, perché, in caso di controversia, è
previsto soltanto che di esse “il giudice tiene conto”. Infine, mediante la certificazione (richiesta “a
pena di nullità”), le parti possono concordare, nel corso del rapporto di lavoro, una clausola
compromissoria volta a deferire alla decisione di arbitri le controversie che possono sorgere.
La pattuizione di tale tipologia di clausola implica l’esercizio di un rilevante potere dispositivo da parte
devono accertare “la effettiva volontà delle parti” e che il lavoratore ha diritto di farsi assistere da un
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13. Disposizioni inderogabili e indisponibilità dei diritti. Le rinunzie e le transazioni
comporta l’indisponibilità dei diritti da esse previsti, con la conseguente nullità delle pattuizioni
difformi. L’articolo 2113 del Codice Civile prevede, però, una specifica disciplina che ha ad
oggetto “le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro
Da un lato, è sancito che tali rinunzie e transazioni “non sono valide”. D’altro lato, però, è
previsto l’onere del lavoratore di impugnarle, “a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di
cessazione del rapporto” (ove la rinunzia o la transazione siano intervenute nel corso del
rapporto di lavoro), ovvero entro sei mesi “dalla data della rinunzia o della transazione, se
ritenere che la “invalidità” disposta dall’articolo 2113 del Codice civile rientri nella categoria
dell’annullabilità e non in quella della nullità. In ogni caso, la previsione del termine di
modo di disporre di diritti che derivano da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti
collettivi.
lato, il campo di applicazione della regola generale della nullità delle pattuizioni contrarie alle
transazioni prevista dall’articolo 2112 del Codice civile. Si pone, altresì, il problema di come
seconda che essa abbia ad oggetto la definizione del regolamento contrattuale volto a
disciplinare le prestazioni da eseguire, ovvero abbia ad oggetto la definizione dei diritti già
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Nella definizione del regolamento contrattuale delle prestazioni da eseguire, i diritti previsti
privata, le cui pattuizioni difformi sono nulle e sostituite dalle disposizioni stesse. La
compressione dell’autonomia individuale delle parti, invece, non è assoluta quando tale
autonomia abbia ad oggetto la disposizione di diritti già maturati dal lavoratore per effetto di
prestazioni già eseguite, perché, in tale ipotesi, il legislatore ha tenuto conto di due
considerazioni.
In primo luogo, quando la rinunzia o la transazione riguarda diritti già maturati, il lavoratore ha
conoscenza di quali sono, in concreto, i diritti di cui sta disponendo; invece, quando sottoscrive
lavoratore non ha tutti gli elementi di conoscenza per valutare quali saranno, in concreto, tutti
Difatti, secondo la giurisprudenza, l’atto dispositivo di diritti non ancora entrati nel patrimonio
individuale del lavoratore è nullo per indeterminatezza dell’oggetto, sia se contenuto in un atto
In secondo luogo, è da ritenere che, per gli atti dispositivi di diritti già maturati, la previsione di
una ipotesi di invalidità meno severa trova spiegazione e giustificazione nella finalità di
contemperare l’istanza di protezione del contraente debole con le esigenze di certezza dei
rapporti giuridici, tenendo anche presente che il termine di decadenza è fatto decorrere
soltanto dopo la cessazione del rapporto di lavoro e, quindi, in una situazione nella quale il
lavoratore non è più sottoposto alla “forza” del datore di lavoro, ed al conseguente metus nei
suoi confronti.
Né, infine, vi è una insanabile contraddizione, o una vera antinomia, tra la disciplina prevista
dagli articoli 1418 e 2113 del Codice civile, in quanto la regola generale posta dalla prima di tali
disposizioni, con la quale è sancita la nullità delle clausole contrattuali contrarie a norme
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previsto l’onere dell’impugnazione, a pena di decadenza, anche per altri atti contrarie a norme
imperative quali il licenziamento nullo o la clausola nulla avente ad oggetto l’apposizione del
Si deve, quindi, concludere che la legge non prevede una indisponibilità assoluta dei diritti
derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi, bensì una
Vi è, poi, una ulteriore ragione che impone di escludere che i diritti di cui trattasi formino
oggetto di indisponibilità assoluta. Ed infatti, il quarto ed ultimo comma dell’articolo 2113 del
Codice civile stabilisce che le disposizioni che lo precedono non si applicano alle conciliazioni
intervenute in tali sedi possano validamente avere ad oggetto diritti derivanti dalle disposizioni
Invero, la ratio della previsione di tale validità non può essere individuata formulando l’ipotesi
che la sede “protetta” consentirebbe di escludere il rischio della dismissione di diritti derivanti
da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi; quella ratio, infatti, deve essere
individuata esclusivamente nella valutazione del legislatore che il lavoratore possa esprimere
contenzioso giudiziario e decongestionare gli organi e gli uffici preposti. Ciò si desume,
anzitutto, dalla pluralità delle sedi extragiudiziale presso le quali può essere raggiunta una
conciliazione costituite presso le Direzioni territoriali del lavoro; le stesse Direzioni territoriali
del lavoro in relazione alle funzioni di vigilanza loro assegnate; le sedi previste e regolate dai
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contratti collettivi; i collegi di conciliazione e arbitrato appositamente costituiti su iniziativa
obbligo resta però previsto in talune specifiche ipotesi. Inoltre, nella più recente disciplina dei
licenziamenti, è stata introdotta una specifica procedura che intende favorire la conciliazione
Del resto, anche la conciliazione giudiziale è valutata favorevolmente dalla legge, quale
strumento di abbreviazione della durata dei processi. Infatti, nella prima udienza, subito dopo
l’interrogatorio libero delle parti, ma prima di ogni ulteriore atto istruttorio o procedimentale,
il giudice “tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva o
parte che rifiuti di aderirvi “senza giustificato motivo” costituisce “comportamento valutabile
irrituale, che ha formato oggetto di ripetuti interventi del legislatore dai quali si desume
l’obiettivo, per ora non realizzato, di favorire la sua diffusione. Anche l’arbitrato irrituale,
infatti, è uno strumento potenzialmente utile per ridurre il sovraccarico giudiziario, poiché, con
esso, le parti deferiscono la decisione della controversia ad arbitri privati, e il lodo emesso
costituisce una determinazione contrattuale che può validamente disporre dei diritti oggetto
di lite.
Ciò spiega il sostanziale disinteresse che il legislatore mostra nei confronti del modello legale
dell’arbitrato rituale. In quest’ultimo, infatti, gli arbitri decidono applicando le norme di diritto,
ed il lodo emesso produce gli effetti della sentenza, cosicché né le parti possono fare
affidamento sulla stabilità della decisione arbitrale, né si realizza l’interesse pubblico alla
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deflazione del contenzioso giudiziale. Le disposizioni relative all’arbitrato rituale non trovano
L’arbitrato può essere svolto non solo nelle sedi e con le modalità previste dai contratti
apposito collegio di conciliazione e arbitrato liberamente scelto dalle parti stesse in base ai
criteri prestabiliti dalla legge. È così istituito un collegamento tra conciliazione ed arbitrato
irrituale, che è confermato dalla previsione in base alla quale il lodo arbitrale “produce tra le
parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del Codice civile”.
Produce, quindi, gli effetti di un contratto, che è valido anche ove comporti la disposizione di
diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi, salvi restando i
generali motivi di impugnazione previsti dall’articolo 808-ter del Codice di procedura civile.
Il nucleo centrale del diritto del lavoro, costituito dalla disciplina del contratto e del rapporto di
lavoro e delle forme di assistenza e previdenza previste a favore del lavoratore, è integrato e
completato da una disciplina processuale differenziata delle controversie in materia. Con tale
disciplina è stata perseguita la finalità di favorire l’accesso del lavoratore alla giustizia,
prevedendo in particolare la gratuità del processo, nonché la celerità dei tempi in cui la
introduttiva del giudizio; dalla lettura del dispositivo della sentenza (immediatamente
esecutivo) nella stessa prima udienza fissata direttamente per la discussione della causa;
dall’ampiezza dei poteri istruttori di ufficio; dalla possibilità che, nel caso in cui il giudizio non
possa essere deciso nella prima udienza, il giudice disponga con ordinanza il pagamento delle
somme non contestate e, a titolo provvisorio, di quelle di cui già abbia accertato il diritto del
lavoratore; dalla possibilità della partecipazione delle associazioni sindacali mediante proprie
“informazioni e osservazioni orale o scritte”; dalle previsioni che collegano alla sentenza di
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condanna al pagamento di crediti di lavoro il diritto del lavoratore al pagamento degli interessi
legali ed al risarcimento del maggior danno subito a causa della diminuzione del valore dei
crediti stessi per il ritardato adempimento, nonché la provvisoria esecutività della sentenza
stessa; dalla liquidazione equitativa della somma dovuta, quando il diritto sia accertato nell’an,
Il processo in materia di lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie non è più gratuito per
coloro che superano la soglia di reddito fissata dalla legge. E la fiducia nella tutela
giurisdizionale dei diritti del lavoratore appare incrinata dalle disposizioni che mirano, invece, a
favorire la soluzione delle liti in via conciliativa e arbitrale. Anche la pubblica amministrazione
svolge funzioni di notevole importanza ai fini della realizzazione della tutela del lavoro.
agevolare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, a sostenere il reddito dei lavoratori nei
nelle altre situazioni di bisogno previste dalla legge. Inoltre, all’azione amministrativa è affidata
la vigilanza sulla corretta applicazione della disciplina che regola i rapporti di lavoro, la
previdenza e l’assistenza obbligatorie. La disciplina di tale attività è oggi prevista dalla legge
Polizia giudiziaria, nei casi più gravi configuranti ipotesi di reato, provvede alla trasmissione
della notitia criminis al magistrato competente per l’esercizio dell’azione penale. Anche in
materia di lavoro, vi è una tendenza alla depenalizzazione delle infrazioni ritenute meno gravi.
Tendenza che è, però, motivata non da una volontà di riduzione dell’intensità della tutela, bensì
dalla modesta efficacia dissuasiva e afflittiva che era esercitata dalle sanzioni penali previste
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