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L’evoluzione del diritto del lavoro non può essere compresa senza un'adeguata considerazione
dell’apporto rappresentato dal sindacato e dal ruolo che l’ordinamento statuale gli riconosce.
Così come il diritto del lavoro, il fenomeno sindacale nasce con la grande industria. È
nell’industria, come espressione del capitale, che si manifesta quella nuova forma di conflitto
sociale, tra chi detiene i mezzi di produzione e chi, invece, per vivere può contare solo sulle sue
Ed è nell’industria, come luogo di produzione di massa, che si creano le condizioni perché tra
questi ultimi si sviluppino quelle forme di solidarietà che li porta ad aggregarsi per difendere e
sostenere i propri interessi, nella consapevolezza che, mediante l’unione delle forze, la
debolezza delle posizioni di ciascuno nei confronti della controparte può essere superata o,
quantomeno, attenuata. Il processo di nascita del fenomeno sindacale avviene nella più
difendere i propri interessi collettivi, e forgiando gli specifici strumenti utili per la realizzazione
di tale scopo: da un lato, lo sciopero, ossia l’astensione concertata dal lavoro per costringere il
datore di lavoro a riconoscere migliori condizioni; d’altro lato, il contratto collettivo, ossia il
contratto che definisce le condizioni spettanti ai lavoratori facenti parti del gruppo
organizzato. Organizzazione sindacale, contratto collettivo e sciopero sono, ancora oggi, gli
architravi che costituiscono quello specifico ramo del diritto del lavoro denominato diritto
sindacale.
Pur nella molteplicità e nella diversità delle esperienze, le origini della fattispecie
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lavoratori di coalizzarsi per meglio difendere i propri interessi. E così, integrano quella
appositamente per attivare i primi conflitti collettivi nei confronti del datore di lavoro.
sfavore. In particolare, lo sciopero poteva configurare reato in base al codice penale sardo del
1859 (esteso all’intero Paese dopo l’unificazione del 1961), il quale puniva “tutte le intese degli
operai allo scopo di sospendere, ostacolare o far rincarare il lavoro senza ragionevole causa”,
diffidente, o di apparente neutralità, che aveva caratterizzato gli Stati liberali. L’articolo 39
sancisce, con formula piena ed incondizionata, che “l’organizzazione sindacale è libera”. Titolare di
mancanza di una definizione legale, qualsiasi organizzazione costituita per la tutela di interessi
collettivi di lavoro.
l’organizzazione interna del sindacato e la sua azione all’esterno, ivi inclusa la libertà di
organizzazione al perseguimento dei fini stessi. Infine, la libertà sindacale implica anche la
È, quindi, riconosciuto anche l’esercizio della libertà c.d. negativa, ossia la scelta di non aderire
ad alcuna organizzazione sindacale. Tuttavia, l’esercizio della libertà negativa non è apprezzato
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dall’ordinamento al pari livello dell’esercizio della libertà positiva, perché soltanto quest’ultima
è oggetto di una disciplina promozionale; lo stesso articolo 39 della Costituzione prevede che
l’attività contrattuale delle rappresentanze dei lavoratori iscritti ai sindacati possa avere
efficacia anche nei confronti dei non iscritti ad alcun sindacato; soltanto i lavoratori che
al contratto collettivo. Tale efficacia è, infatti, riconosciuta al contratto collettivo che sia stato
stipulato da “rappresentanze unitarie” formate, “in rappresentanza degli iscritti”, dai sindacati che
abbiano richiesto la “registrazione presso uffici locali o centrali” e, in tal modo, abbiano acquisito la
personalità giuridica. La dottrina prevalente ha, invero, intravisto in tale procedimento una
“interesse primario” del sindacato è esclusivamente quello di difendere i propri soci, ossia gli
iscritti.
Tali critiche hanno contribuito all’inattuazione della seconda parte dell’articolo 39 Cost., non
essendo mai state emanate dal legislatore le norme a tal fine necessarie. Dall’analisi di tali
posizioni emerge che tali critiche hanno privilegiato un’interpretazione per il tramite della
quale sono state poste in rilievo le possibili implicazioni autoritarie della seconda parte
dell’articolo 39, anziché quelle, altrettanto possibili, maggiormente coerenti con il rinnovato
sistema costituzionale.
Inoltre, bisogna tenere conto che qualsiasi sistema legale di attribuzione di efficacia generale al
contratto collettivo determina effetti che incidono non soltanto nella sfera giuridica dei “non
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iscritti”, ma anche in quella delle organizzazioni sindacali non stipulanti e dei lavoratori che vi
organizzazioni sindacali titolari del diritto sancito dal primo comma dell’articolo 39, al fine di
favorire una correlazione tra di esse che non operi, reciprocamente, ad excludendum, bensì
Il che, peraltro, non contraddice l’assunto secondo il quale anche nel contratto efficace erga
omnes l’organizzazione sindacale persegue l’interesse dei suoi membri e non già
necessariamente quello di tutti gli appartenenti alla categoria. È proprio per l’interesse che
spinge l’organizzazione sindacale alla stipulazione del contratto collettivo, che l’attribuzione a
quest’ultimo, da parte dello Stato, di efficacia vincolante anche nei confronti di organizzazioni
che perseguono diversi fini, è stata collegata ad un procedimento volto a favorire la mediazione
tra le diverse istanze e, soprattutto, volto a garantire, nei casi di insuccesso di quest’ultima, che
la soluzione del conflitto avvenga attraverso la verifica del diverso “peso rappresentativo” di
ciascuna organizzazione.
Ai sensi dell’articolo 40 della Costituzione, “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle
leggi che lo regolano”. Ciò significa che lo sciopero è un diritto, ma, diversamente dal diritto di
libertà sindacale di cui al primo comma dell’articolo 39 della Costituzione, il suo esercizio deve
essere regolato dalla legge. Tuttavia, dell’articolo 40 è stata presto riconosciuta l’immediata
sciopero opera direttamente sia nei rapporti tra Stato e cittadini, sia nei rapporti tra privati.
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Per quanto riguarda il primo ambito di tali rapporti, esso configura un diritto assoluto della
persona. Sul piano dei rapporti tra soggetti privati, il diritto di sciopero configura un diritto
potestativo dei lavoratori nei confronti del quale il datore di lavoro si trova in una posizione di
mera soggezione. Ne deriva che lo sciopero, pur consistendo in una astensione dalla
realizza una legittima sospensione di tale obbligazione, alla quale corrisponde la sospensione
collettivo. La dottrina prevalente, però, ritiene che di tale diritto non sarebbero titolari le
organizzazioni sindacali, e tale opinione è basata, in sostanza, su tre assunti: a) lo sciopero può
essere attuato anche da gruppi di lavoratori non organizzati in sindacato; b) anche i lavoratori
non iscritti ai sindacati possono partecipare allo sciopero; c) al di fuori del campo di
applicazione della legge n.46 del 1990, lo sciopero può essere attuato anche senza preavviso.
Tuttavia, pur essendo esatti tali assunti, l’opinione che su di essi è basata non è condivisibile,
perché: anzitutto non tiene adeguatamente conto del fatto che l’attuazione dello sciopero da
parte del singolo lavoratore presuppone necessariamente una decisione collettiva di attuarlo.
Ciò posto, non vi è dubbio che la deliberazione di scioperare non può essere riservata
occasionale. Ma ad una tale collettività, nel momento stesso in cui essa individua un interesse
collettivo da perseguire con l’esercizio dello sciopero, non può essere negata la qualificazione
di sindacale.
Si deve, quindi, ritenere che il diritto di sciopero, pur essendo individuale, è condizionato ad
una decisione che compete esclusivamente ad una collettività di lavoratori, anche organizzata
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in modo rudimentale, i quali intendano perseguire un interesse economico professionale ad
sostanza, al timore diffuso, seppure non del tutto giustificato, del ripristino di concezioni o
strutture ereditate dal ripudiato regime corporativo e dei pericoli che avrebbero potuto
derivarne per la libertà sindacale. Ma certamente ebbe un rilievo anche lo stato dei rapporti tra
i tre maggiori sindacati italiani, i quali mostrarono ostilità nei confronti dell’attuazione di un
essi secondo criteri di tipo proporzionalistico e/o maggioritario, in entrambi i casi implicando la
necessità di andare alla conta tra i propri iscritti e rendendo più difficile la realizzazione di un
percorso unitario.
Da ciò è derivata la precisa opzione di una parte rilevante del movimento sindacale in favore
sistema, basato su regole liberamente concordate. Tale sistema è stato fondato sulla reciproca
“autolegittimazione rappresentativa” (nel senso che la scelta dei sindacati chiamati a far parte
del sistema delle relazioni sindacali e, in particolare, della contrattazione collettiva è effettuata
dai sindacati stessi d’accordo con le associazioni delle imprese) e sul reciproco riconoscimento
di “pari dignità” tra i sindacati dei lavoratori. Tale opzione è stata, storicamente, coniugata con
quella per l’opposizione alla regolazione del diritto di sciopero, che era ritenuta inevitabilmente
La situazione che ne è derivata ha fatto sì che il diritto sindacale restasse un “diritto senza
funzionare autonomamente. Ciò è avvenuto anche grazie all’opera della giurisprudenza e della
dottrina che hanno ricostruito il quadro di principi e regole necessario per assicurare a quel
sistema la tenuta anche in termini giuridici, facendo sì che il diritto sindacale, pur essendo
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Fondamentale è stata la scelta interpretativa di ricondurre l’organizzazione sindacale e il
contratto collettivo nell’ambito del diritto comune, considerato garanzia di libertà e strumento
Con la figura di cui agli articoli 36 e successivi del Codice Civile, al sindacato è stata
riconosciuta una propria soggettività distinta da quella dei lavoratori, rendendo possibile
un’autonoma imputazione dell’attività giuridica compiuta in attuazione degli scopi fissati nello
statuto e nell’atto costitutivo dagli stessi lavoratori associati. È stato, altresì, consentito al
sindacato di stare in giudizio e avere una autonomia patrimoniale, sia pure imperfetta, atteso
Il principio generale di sfavore verso la perpetuità dei vincoli obbligatori, in coerenza con il
iscritto che non condivida più le politiche, o la gestione dell’organizzazione. Resta salvo, ove
previsto nello statuto, il differimento degli effetti del recesso ai soli fini del pagamento del
contributo associativo, ma senza diritto alla liquidazione di una quota del fondo comune. Il
Le relazioni fra sindacati possono essere agevolmente spiegate, e ricostruite, in coerenza con il
principio generale sancito dall’articolo 39, comma 1, della Costituzione. È, quindi, riconosciuta
la più ampia libertà di ciascuna associazione sindacale di creare collegamenti di varia intensità
e natura con altre associazioni sindacali. E con la medesima libertà è consentito costituire,
nazionale di categoria.
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Stante il pluralismo sindacale, riconosciuto dall’articolo 39 Cost. e realizzato di fatto, per ogni
federazioni nazionali di categoria), le quali sono riunite tra loro in distinte confederazioni, in
base alle diverse ispirazioni di fondo che le caratterizzano. In caso di conflitto fra le
associazione, si pone al giudice l’arduo compito di districarsi nelle maglie della normativa
negoziale e statutaria, alla ricerca del principio risolutore dell’antinomia. Principio che in via di
Con riferimento al contratto, va ricordato come esso sia stato trasposto ed utilizzato, ai fini
della edificazione del sistema sindacale di fatto, attraverso la mediazione della nozione di
interesse collettivo. L’interesse collettivo è stato configurato, secondo una celebre definizione,
come “l’interesse di una pluralità di persone ad un bene idoneo a soddisfare non già il bisogno
La stipulazione del contratto collettivo costituisce esercizio di autonomia privata, che è stata
ha dato vita ad una forte centralizzazione della contrattazione collettiva, che ruota attorno agli
lavoro, con il quale le associazioni nazionali regolano ogni aspetto riguardante i reciproci
rapporti, ivi compresi i tempi e le procedure per il suo periodico rinnovo, nonché le condizioni
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applicazione. I contratti nazionali, quindi, regolano in modo analitico e minuzioso ogni profilo
A causa dell’ostilità manifestata dai sindacati, non è mai stata dettata una disciplina di legge di
carattere generale che regoli l’esercizio del diritto di sciopero. E soltanto nel 1990 è stata
emanata una disciplina in materia limitatamente all’ambito dei servizi pubblici essenziali. Ciò
nonostante, nel sistema sindacale “di fatto”, anche la gestione del conflitto ha potuto svolgersi a
forme e modalità che hanno prestato attenzione a non compromettere i diritti fondamentali
ampia, che fa leva sulla configurazione dello sciopero come diritto assoluto della persona e sul
significato che esso assume nel “comune linguaggio adottato nell’ambiente sociale”. In questa
prospettiva, la Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità anche dello sciopero che non
sia rivolto a sostenere una rivendicazione nei confronti del proprio datore di lavoro, come lo
economico-politico, attuato al fine di tutelare interessi di natura economica nei confronti del
potere politico.
Esso deve comunque consistere in una “astensione collettiva dal lavoro, disposta da una
pluralità dei lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune”. Cosicché lo sciopero avente
esclusivamente fini politici è certamente oggetto di libertà, e non costituisce quindi reato, ma è
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dubbio che possa essere considerato un diritto, idoneo, come tale, a giustificare e legittimare la
Non possono essere ricompresi nel campo di applicazione dell’articolo 40 della Costituzione
quelle forme di lotta sindacale che realizzano fattispecie oggettivamente diverse da quelle di
una astensione concertata dal lavoro (come l’occupazione della fabbrica, o il cd “sciopero
bianco”, che si realizza non già astenendosi dalla prestazione, bensì adempiendola in modo non
diligente).
Un secondo ordine di limiti deriva dalla necessità di coordinare l’esercizio del diritto di sciopero
con altri diritti che godono anch'essi di garanzia costituzionale ad un livello almeno
pari-ordinato, quali il diritto alla vita e alla salute. Assai problematica, al riguardo, è la
configurazione del rapporto esistente tra il diritto di sciopero e il diritto di iniziativa economica
elaborato una distinzione tra “danno alla produzione” e “danno alla produttività”, ritenendo che
lo sciopero possa determinare l’arresto della produzione, ma non possa pregiudicare “la
La riconduzione del contratto collettivo nella categoria del contratto di diritto comune, se ha
preservato il sindacato dalla temuta attuazione del procedimento previsto dalla seconda parte
dell’articolo 39 Cost., ha anche riproposto gli stessi problemi di limitata efficacia soggettiva ed
oggettiva. Sotto il profilo della “forza” del vincolo giuridico, anche la disciplina generale dei
contratti, contenuta nel Codice civile, non contiene disposizioni che consentano di affermare
che gli atti di autonomia collettiva abbiano una “forza” superiore rispetto agli atti di autonomia
Di conseguenza, anche i lavoratori iscritti ai sindacati stipulanti avrebbero potuto pattuire per
sé stessi condizioni peggiorative rispetto a quelle stabilite dal proprio sindacato con il
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spiegare la prevalenza del contratto collettivo sul contratto individuale, facendo riferimento, in
particolare, alle disposizioni degli articoli 1723, comma 2, e 1726 del Codice Civile (che
sindacale l’assoggettamento del singolo al potere del sindacato di dettare regole applicabili al
Si trattava, però, di ricostruzioni non del tutto appaganti. La soluzione di tale problema è stata
offerta dalla giurisprudenza, che ha ritenuto applicabile anche al contratto collettivo di diritto
comune, stipulato da libere organizzazioni sindacali, la disposizione che era stata dettata
dall’articolo 2077 del Codice Civile in relazione ai contratti collettivi corporativi. Per effetto di
collettivo di diritto comune non può essere derogato dal contratto individuale se non in senso
l’articolo 6 della legge 533 del 1973, che ha novellato l’articolo 2113 del codice civile. Secondo
l’opinione prevalente, infatti, tale disposizione, prevedendo la invalidità delle rinunzie e delle
transazioni aventi ad oggetto “diritti” derivanti da “disposizioni inderogabili della legge o dei
l’attributo della inderogabilità proprio della legge. Pertanto, si può affermare ormai che le
disposizioni del contratto collettivo, analogamente a quelle della legge, operano come fonte
Ai sensi dell’articolo 1372 del codice civile, il contratto ha forza di legge tra le parti che lo
hanno stipulato. Quindi, il contratto collettivo di diritto comune è efficace, dal punto di vista
soggettivo, nei confronti delle parti stipulanti (e, cioè, da un lato, le organizzazioni sindacali dei
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lavoro), nonché nei confronti dei lavoratori e dei datori di lavoro che alle parti stipulanti hanno
conferito mandato.
Inoltre, il contratto collettivo è di regola aperto all’adesione da parte dei datori di lavoro e dei
anche nei confronti delle parti del rapporto di lavoro che, pur non essendo iscritte ai sindacati
stipulanti, abbiano volontariamente aderito alla disciplina del contratto collettivo, o l’abbiano
comunque recepita. Nella prassi, tale recepimento viene solitamente effettuato mediante una
esplicita clausola inserita nei contratti individuali di lavoro, con la quale si fa rinvio alla
del lavoro. Ne deriva che il contratto collettivo di diritto comune non ha efficacia ergma omnes.
Esso, infatti, sia in base al principio di libertà sindacale, sia in base ai principi del diritto comune,
non può vincolare i datori di lavoro ed i lavoratori in mancanza di un loro atto di volontà idoneo
a manifestare la comune intenzione di accettare che il rapporto di lavoro tra essi intercorrente
sia sottoposto alla disciplina del contratto collettivo. Tale conclusione determina una duplice
conseguenza. La prima conseguenza è che, nelle realtà ove il sindacato non abbia la forza
La seconda conseguenza è che le imprese che non applicano il contratto collettivo hanno un
economici superiori e hanno maggiori vincoli da rispettare. Da tale vantaggio emerge non solo
Tali conseguenze sono state valutate negativamente sia dalla giurisprudenza, che dal
legislatore, i quali, nei rispettivi ambiti di competenza, hanno posto in essere nel tempo diversi
interventi diretti all’obiettivo di estendere l’efficacia soggettiva del contratto collettivo. Tali
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La giurisprudenza ha ritenuto che la volontà del datore di lavoro di obbligarsi ad applicare il
contratto collettivo possa essere desunta non solo dall’iscrizione all’associazione stipulante o
di lavoro stipuli direttamente il contratto collettivo o sia iscritto all’associazione dei datori di
applicare il contratto collettivo a tutti i suoi dipendenti, anche se non iscritti al sindacato che lo
ha sottoscritto.
Il più importante intervento operato dalla giurisprudenza è stato basato su una interpretazione
degli articoli 36 della Costituzione e 2099 del Codice Civile che ha portato ad individuare nella
retribuzione base prevista dal contratto collettivo il “minimo” di retribuzione dovuto a tutti i
lavoratori, anche ove al loro rapporto di lavoro non sia applicabile la disciplina sindacale. Ed
infatti il contratto collettivo è stato considerato il parametro più adeguato per determinare
Costituzione.
Gli orientamenti interpretativi della giurisprudenza, però, offrono soluzioni parziali, in quanto
essi possono operare soltanto in presenza di una azione giudiziale. Nell’Italia del secondo
dopoguerra, dunque, nonostante gli sforzi della giurisprudenza, il lavoro sottratto alle tutele
sindacali aveva ancora dimensioni molto preoccupanti. Il legislatore, dovendo prendere atto
favorire, comunque, sia pure in modo indiretto, l’estensione delle tutele sindacali. Così, ad
esempio, è stato imposto che nei provvedimenti di concessione di benefici pubblici e nei
contratti di appalto venga previsto l’obbligo, per il beneficiario e per l’appaltatore, di applicare
ai propri dipendenti condizioni economiche e normative non inferiori a quelle risultanti dai
contratti collettivi.
Ed anche la concessione di altri benefici è stata subordinata alla condizione che l’impresa
applichi i contratti collettivi o trattamenti non inferiori a quelli da essi previsti. Inoltre, è stato
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introdotto l’obbligo che i “contribuiti di previdenza e di assistenza sociale” siano calcolati e versati
sulla base di una retribuzione minima imponibile che non può essere “inferiore” a quella stabilita
dalla legge e dalla contrattazione collettiva, ponendo interamente a carico del datore di lavoro
È opportuno ricordare che, con riguardo alla disciplina relativa alla fiscalizzazione degli oneri
condizioni economiche e normative non inferiori a quelle previste dal contratto collettivo non
costituisca un obbligo, bensì soltanto un “onere”, nel senso che il datore di lavoro che si rifiuti di
applicare quelle condizioni non compie un inadempimento contrattuale nei confronti del
lavoratore, né, tantomeno, un illecito di altra natura, ma perde soltanto la possibilità di fruire
determinato dal rapporto che, con essa, risulta instaurato dalle leggi in materia di lavoro. Ed
infatti, le regole dettate, nel tempo, dal legislatore operano sistematicamente rinvio ai contratti
collettivi non soltanto al fine di consentire un miglioramento dei livelli minimi di tutela fissati
nelle stesse disposizioni di legge, ma anche ai fini della loro necessaria specificazione o
integrazione.
Ancora oggi, la legge considera la contrattazione collettiva una fonte essenziale perché le
disposizioni di legge possano esplicare i loro effetti e, comunque, perché possano essere
ipotesi, la legge riserva per sé soltanto una funzione sussidiaria o suppletiva, attribuendo alla
I rinvii operati dalla legge alla contrattazione collettiva non determinano una
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La contrattazione è sempre espressione di autonomia privata, garantita pure essa dal primo
comma dell’articolo 39 della Costituzione, e quindi resta libera, in quanto le parti stipulanti
conservano libertà di scelta sia in ordine all’an (ossia se stipulare o meno il contratto nelle
materie devolute dal legislatore), sia in ordine ai contenuti. Quindi, la legge si limita a fare
propri i contenuti dei contratti collettivi, favorendone l’estensione ultra partes e rafforzandone
A ben vedere, i rinvii alla contrattazione collettiva implicano soltanto che il legislatore ha
valutato che il modo in cui le organizzazioni sindacali compongono i loro interessi privati,
dispute ruotano attorno alla collocazione sistematica del contratto collettivo nel sistema delle
fonti del diritto, che sono innescate proprio dall’ambivalenza dei piani sui quali esso si muove
ed opera. Il contratto collettivo è atto di autonomia, con cui soggetti privati, ancorché di natura
E, di conseguenza, deve ritenersi che esso non può essere in alcun modo considerato un “atto”
avente forza di legge, la cui stessa configurabilità presupporrebbe l’attribuzione di una potestà
normativa all’autore del fatto, nonché il suo espresso inserimento nel sistema delle fonti. Ma,
allo stesso tempo, se si ha riguardo all’“uso” che il legislatore fa dei risultati dell’autonomia
sindacale, è possibile affermare che essi sono utilizzati in una dimensione diversa e più ampia.
Una dimensione nella quale il contratto collettivo è considerato nella sua “materialità”, ed
assume il rilievo di un “fatto” che è utilizzato pe regolare una materia che il legislatore stesso
non intende, e non può, completamente regolare a livello di fonti primarie, stante la
Il rapporto tra Stato e sindacati ha ricevuto una profonda innovazione ad opera della legge 300
l’azione del sindacato nei luoghi di lavoro. La legge ha operato in due direzioni. Per un verso, ha
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previsto diritti di libertà sindacale a favore, indistintamente, di tutti i lavoratori dell’impresa,
attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro; il diritto di raccogliere contributi e di svolgere
attività di proselitismo.
A tutela di tali diritti, ha anche sancito il divieto di atti discriminatori determinati da ragioni
sindacali, e il divieto di sindacati di comodo costituiti o finanziati dai datori di lavoro. Infine, ha
antisindacale del datore di lavoro, ossia di quei “comportamenti diretti ad impedire o limitare
Per altro verso, il legislatore ha dettato una specifica disciplina “promozionale” volta a
rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette
l’individuazione dei sindacati nel cui “ambito” possono essere costituite le rappresentanze
sindacali aziendali, il legislatore statutario operò una chiara opzione a favore di un modello di
alla quale veniva attribuita rilevanza non era quella che il sindacato aveva all’interno del
singolo luogo di lavoro. Infatti, la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali veniva
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consentita ai sindacati aderenti alle “confederazioni maggiormente rappresentative sul piano
nazionale”.
La giurisprudenza ha chiarito che tale qualificazione discende non solo dal numero degli iscritti
ampio arco di settori produttivi e in larga parte del territorio nazionale. Il criterio alternativo
annoverato nella seconda ipotesi richiedeva che il sindacato avesse almeno la capacità di
stipulare contratti collettivi a livello nazionale o provinciale, applicati all’unità produttiva. Alle
rappresentanze sindacali aziendali così costituite sono stati riconosciuti: il diritto di indire
assemblee fuori dell’orario di lavoro e, nel limite di 10 ore annue retribuite, durante l’orario
anche il diritto di avere a disposizione un idoneo locale per l’esercizio delle loro funzioni.
Inoltre, per i dirigenti di tali rappresentanze, sono stati previsti una speciale tutela in caso di
retribuiti. L’insieme di queste tutele e di questi diritti, dai quali derivano corrispondenti obblighi
del datore di lavoro e limiti ai suoi poteri, ha realizzato, così, un intervento deciso
dell’ordinamento statuale volto a modificare i rapporti di forza esistenti, nei luoghi di lavoro, tra
Peraltro, la legge 300 del 1970 ha riconosciuto la competenza delle rappresentanze sindacali
aziendali anche in materia negoziale, prevedendo che, per alcune forme di controllo sui
lavoratori da parte del datore di lavoro, sia necessaria la conclusione di un accordo con tali
rappresentanze. Tenuto conto di ciò, e considerato che l’attività delle rappresentanze sindacali
aziendali è regolata dalla legge ed è destinata a svolgere i suoi effetti su tutti i lavoratori
dell’unità produttiva, in questi nuovi organismi è stata individuata una forma di rappresentanza
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SEZ.III. I nuovi problemi della rappresentanza sindacale
Nel rapporto tra sindacato e legge, lo Statuto dei lavoratori e gli anni immediatamente
successivi costituiscono un netto “spartiacque”. Se il disegno sotteso allo Statuito dei lavoratori
era quello di sostenere l’azione dei sindacati maggiormente rappresentativi e il loro potere
rivendicativo, l’inversione del contesto economico e i più generali mutamenti connessi alle
introdotto questioni del tutto nuove per l’attività di rappresentanza sindacale, che hanno
contrassegnato l’evoluzione successiva sino ai giorni nostri. Anzitutto, in seguito alla grande
crisi iniziata a metà degli anni settanta, è venuto modificandosi il rapporto tra legge e
contrattazione collettiva.
preminenti, il legislatore abbia fissato dei “tetti” invalicabili dall’autonomia collettiva. In altri più
frequenti casi, utilizzando la tecnica della deregolazione “controllata”, la legge ha affidato agli
compito di gestire le conseguenze della crisi, individuando le ipotesi in cui al datore di lavoro è
consentito applicare condizioni meno favorevoli dello standard legale, o compiere atti che
Inoltre, al fine di acquisire il consenso necessario per realizzare politiche pubbliche che
anche nella definizione di scelte di interesse generale, dando così vita al metodo detto dalla
“concertazione sociale”. Senonché, si è verificata una crisi della rappresentatività dei maggiori
sindacati, ricollegabile a diverse ragioni, quali: il venir meno dell’identità socialtipica del mondo
del lavoro attorno al quale le confederazioni “storiche” erano nate ed avevano sviluppato la
competenze nei confronti delle politiche egualitarie o solidaristiche, proprie del sindacalismo
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confederale; una maggiore presenza del sindacalismo autonomo e l’esplosione dei c.d. comitati
La crisi di rappresentatività, a sua volta, ha fatto sentire i suoi effetti sia sulla tenuta del sistema
sindacale di fatto, sia sul modello statutario del sostegno al sindacato maggiormente
confederale non è stato più in grado di continuare ad assicurare l’esercizio responsabile del
diritto di sciopero nei settori nei quali maggiormente attivi erano i sindacati autonomi e i
comitati di base.
D’altro lato, per quanto riguarda la contrattazione collettiva, sono emersi problemi di efficacia
del tutto nuovi rispetto a quelli ai quali la legge, la dottrina e la giurisprudenza avevano in
precedenza trovato soluzione. Anzitutto, una contrattazione divenuta non sempre acquisitiva,
accordi “separati”. Inoltre, una contrattazione collettiva dai contenuti (a volte) peggiorativi, ha
fatto sì che il rifiuto della sua applicazione provenisse non più da quei datori di lavoro che
intendono sottrarsi agli obblighi previsti dalla disciplina sindacale, bensì da parte di lavoratori
determinato una totale “riscrittura” dell’articolo 19 della legge 300 del 1970, ed hanno indotto
idonea ad assicurare l’efficacia generale dei contratti collettivi stipulati dai sindacati
riconosciuti maggiormente rappresentativi neppure nei casi in cui il legislatore abbia fatto
Tutto ciò, ha riportato al centro del dibattito sia sindacale che politico l’ipotesi di dare
attuazione alla seconda parte dell’articolo 39 della Costituzione o, comunque previa riforma di
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quest’ultimo, di dettare una disciplina speciale di legge in materia di rappresentanza sindacale
definire una organica regolamentazione, anche se questa soffre dei limiti di efficacia propri
degli atti di natura contrattuale. Il legislatore ha invece continuato, sino ad oggi, a mantenere al
L’unico elemento di relativa novità appare il graduale abbandono del criterio della maggiore
più rappresentativo”, utilizzata oggi sempre più spesso per individuare i soggetti legittimati a
stipulare i contratti collettivi che hanno il compito di integrare o derogare la disciplina legale.
Va infine aggiunto che, periodicamente, emerge una diffidenza da parte del potere pubblico nei
riguardi del sindacato e della capacità di quest’ultimo di partecipare alla realizzazione degli
E così, il legislatore ha più volte ridotto il ruolo che egli stesso aveva attribuito alla
lavoro flessibile. In altri casi, le disposizioni di legge, pur facendo rinvio ai contratti collettivi,
prevedono che, in caso di inerzia o mancato accordo da parte delle organizzazioni sindacali,
operi uno strumento alternativo o sostituivo in modo da assicurare che la legge stessa possa
In linea più generale, alcune recenti riforme sono state approvate nonostante il dissenso e
l’opposizione sindacale, o di alcuni dei più importanti sindacati. Per le stesse ragioni anche la
concertazione sociale non è riuscita a consolidarsi come prassi stabile di governo. Appare
chiaro, infatti, che il Governo fa ricorso ad essa quando ha bisogno di rafforzare il proprio
messa da parte, ed è sostituita dal ben diverso metodo del c.d. “dialogo sociale”, ridotto spesso a
vuoto rito formale, mediante il quale il potere pubblico, pur impegnandosi a coinvolgere i
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Il legislatore ha attuato l’articolo 40 della Costituzione, dettando una disciplina volta a regolare
l’esercizio del diritto di sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, al fine di garantire la
salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. I diritti della persona, con i
quali il diritto di sciopero deve essere contemperato, sono il diritto alla vita, alla salute, alla
E i servizi pubblici, di cui la legge opera una elencazione esemplificativa, sono tutti quelli
essenziali per garantire tali diritti, essendo irrilevante se essi vengano svolti da lavoratori
pubblici o privati, autonomi o subordinati. Da ultimo, tra tali servizi è stata prevista anche
“l’apertura al pubblico regolamentata di musei e altri istituti e luoghi della cultura”. Al fine di
assicurare “l’effettività, nel loro contenuto essenziale”, di tali diritti, la legge prevede obblighi,
Anzitutto, i soggetti che proclamano lo sciopero hanno l’obbligo di dare il preavviso, con
comunicazione scritta, che non può essere inferiore a 10 giorni, indicando preventivamente
anche la durata delle singole astensioni dal lavoro, tranne il caso in cui si tratti di sciopero in
difesa dell’ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità o della
sicurezza dei lavoratori. Inoltre, lo sciopero deve essere esercitato “nel rispetto di misure
dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili” per garantire le finalità della
legge.
amministrazioni o le imprese erogatrici dei servizi e i sindacati dei lavoratori, ovvero, nel caso
dei lavoratori autonomi, dei professionisti e dei piccoli imprenditori, dai codici di
contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con gli altri diritti della persona” è
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In caso di valutazione negativa, la Commissione stessa formula una proposta alle parti e,
qualora questa non venga accettata, le misure di cui trattasi sono individuate dalla stessa
Commissione con una propria “regolamentazione provvisoria”, che è efficace sino al momento
in cui le parti interessate raggiungano un accordo ritenuto idoneo. La Commissione ha, altresì,
il potere di valutare il comportamento tenuto dalle parti in occasione dello sciopero e, nel caso
Nei confronti dei lavoratori, possono essere comminate sanzioni disciplinari proporzionate alla
gravitò dell’infrazione, con esclusione del licenziamento. Nei confronti delle organizzazioni dei
lavoratori, invece, può essere comminata la sospensione dei permessi sindacali retribuiti e dei
contributi sindacali trattenuti sulla retribuzione, nonché l’esclusione dalle trattative alle quali
partecipino. Nel caso in cui queste sanzioni non risultino applicabili, ossia nel caso in cui si tratti
di organizzazione sindacale che non partecipa alle trattative e non fruisce dei benefici di ordine
Specifiche sanzioni sono, infine, previste anche nei confronti di dirigenti e legali rappresentanti
di amministrazioni pubbliche, imprese ed enti erogatori dei servizi pubblici essenziali, allorché
essi violino gli obblighi previsti dalla legge anche a loro carico. Nel caso in cui dallo sciopero
possa derivare “il fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente” per i diritti della
persona costituzionalmente tutelati, è previsto l’intervento del competente organo del potere
esecutivo, che, di propria iniziativa o su proposta della Commissione di garanzia, può anche
I criteri individuati dall’articolo 19 della legge 300 del 1970 riservavano il diritto di costituire
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In particolare, la Corte ebbe modo di affermare che: il criterio selettivo previsto da tale
interessi dei vari gruppi professionali, anche al fine di ricomporre, ove possibile, le spinte
Senonché, con la sentenza 30 del 1990, la Corte Costituzionale ha rilevato che “è andata
dapprima per effetto del referendum di iniziativa popolare del giugno 1995 e, più
recentemente, della sentenza della Corte Costituzionale n.231 del 2013. Con il referendum del
1995 è stato escluso che l’accesso al sostegno legale dovesse necessariamente passare
Ne è derivata una profonda modifica dell’articolo 19 della legge 300 del 1970, che consente la
che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”, e, quindi,
anche di contratti stipulati a livello aziendale. Pertanto, il nuovo testo seleziona i sindacati
nell’ambito dei quali possono essere costituite rappresentanze sindacali aziendali sulla base di
un unico indicatore di rappresentatività effettiva, costituito dalla forza e dalla capacità del
Di qui, la precisazione che, per essere considerati “firmatari di un contratto collettivo applicato
contratto collettivo; ed è necessario, altresì, che si tratti di un contratto collettivo che regoli i
rapporti di lavoro in azienda, almeno per un istituto o settore importante della loro disciplina.
Sul piano degli effetti pratici, però, considerato che i principali attori della contrattazione sono
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non ha minimamente scalfito le oramai solide radici del sindacalismo confederale all’interno
Senonché uno dei più clamorosi episodi di rottura dell’unità sindacale ha determinato un nuovo
intervento della Corte Costituzionale, che, con la sentenza 231 del 2013, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19 della legge 300 del 1970 “nella parte in cui non
prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di
associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità
produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali
La decisione della Corte è stata condizionata dalla particolarità della vicenda, nella quale
rappresentanze sindacali aziendali era derivata dal fatto che quel sindacato aveva rifiutato di
agli interessi dei lavoratori rappresentati. Tuttavia, la nuova disposizione dell’articolo 19 della
legge 300 del 1970, come risultante a seguito della modifica referendaria e della sentenza 231
del 2013, realizza un totale distacco dal testo e dalla ratio originari.
basata sulla necessaria riconduzione della “iniziativa” della base dei lavoratori nell’ambito di
organismi di livello extraziendale, quale requisito necessario per sostenere l’azione del
venire meno la rilevanza dell’attività contrattuale quale criterio selettivo per la costituzione
Dalla motivazione della sentenza 231 del 2013, appare chiaro che, ai fini della costituzione
delle rappresentanze sindacali aziendali, non rileva la mera partecipazione alle trattative, bensì
rileva quella partecipazione alle trattative che derivi da una effettiva rappresentatività del
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sindacato. Senonché, mancando nel settore privato una disciplina di legge che preveda i
requisiti di rappresentatività dei soggetti sindacali legittimati a trattare, può risultare difficile,
per non dire impossibile, verificare quando la partecipazione alle trattative sia giustificata dalla
lavoro.
strumenti di verifica del consenso per legittimare l’azione delle rappresentanze sindacali
aziendali. E così, anche con l’obiettivo di realizzare una unità di azione almeno a livello
aziendale, con il Protocollo del 2003 e il collegato Accordo interconfederale del 1993 è stata
particolare, la partecipazione dei lavoratori alle elezioni configura senz’altro il requisito della
iniziativa da parte dei lavoratori in azienda, mentre il collegamento con i sindacati è assicurato
dal fatto che le rappresentanze sindacali unitarie vengono elette sulla base di liste presentate
dai sindacati che hanno sottoscritto i contratti collettivi nazionali di lavoro applicati nell’unità
produttiva.
degli stessi diritti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva in favore delle
unitarie in Italia è, ancora oggi, limitata, poiché in molte aziende non si è proceduto alla
indizione delle elezioni. Peraltro, nei confronti dei nuovi organismi è stata anche mossa una
critica di incompleta democrazia sindacale, poiché la disciplina che li regola prevede che un
terzo dei componenti non sia eletto dai lavoratori bensì sia assegnato direttamente alle liste
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presentate dalle associazioni sindacali che hanno sottoscritto il contratto collettivo nazionale
previsto dal Testo Unico sulla rappresentanza Confindustria Cgil, Cisl e Uil del 2014.
contrattazione collettiva.
collettivo ed individuale nei confronti dei contratti collettivi, hanno posto in crisi i principi
dell'auto legittimazione rappresentativa e della pari dignità reciproca su cui era fondato il
insieme alla “autoriforma” della rappresentanza in azienda, anche quella delle regole che
In particolare, il T.U. sulla rappresentanza del 2014 prevede che sono ammesse alla
firmatarie che abbiano una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tal fine la
media tra il numero delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori e i voti
espressi in occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie. Tuttavia, è stabilito
che, ai soli fini previsti dall’articolo 19 della legge 1970, si intendono “partecipanti alla
rappresentanza, abbiano contribuito alla definizione della cd. “piattaforma” che ha dato avvio
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Le parti sociali, inoltre, stabiliscono che i contratti collettivi nazionali di lavoro siano efficaci
quando sono sottoscritti da organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50% più uno
semplice”. È, altresì, previsto che i contratti così stipulati siano “pienamente esigibili” nei
confederazioni firmatarie. Per quanto riguarda i contratti aziendali, sono previste due
discipline alternative, a seconda del modello di rappresentanza presente in azienda. Nel caso di
Nel caso, invece, di contratti aziendali sottoscritti dalle rappresentanze sindacali aziendali, è
nell’ambito delle associazioni sindacali nazionali che risultano destinatarie della maggioranza
delle deleghe conferite dai lavoratori dell’azienda. È, inoltre, previsto che nel caso in cui ne
Le nuove regole dettate dalle confederazioni sindacali non sono idonee ad attribuire ai
contratti collettivi efficacia erga omnes, potendo tale efficacia derivare esclusivamente da un
atto che abbia forza di legge. Ciò nonostante, ove gli adempimenti e le procedure previste dalla
nuova disciplina venissero compiutamente realizzati, risulterebbero limiti gli effetti del
dissenso da parte di una o più organizzazioni sindacali rispetto al contratto collettivo stipulate
da altre.
E non vi è dubbio che è proprio il dissenso di natura sindacale che ha rappresentato negli ultimi
anni la causa prevalente delle problematiche legate all’efficacia soggettiva del contratto
nuove regole. Ed infatti, da un lato, l’applicazione di tali regole presuppone una serie di
adempimenti, che coinvolgono anche soggetti terzi (quale la convenzione che dovrebbe essere
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D’altro lato, va rilevato che, trattandosi di una fonte negoziale, l’effettiva “tenuta” delle nuove
regole dipende dalla spontanea accettazione (prima) e osservanza (poi) di quel sistema da parte
delle stesse organizzazioni sindacali, e, in particolare, dei sindacati di categoria, mancando, allo
stato, efficaci sanzioni irrogabili a carico delle strutture che rifiutino di impegnarsi al rispetto
del Protocollo o che, pur dopo essersi impegnati, lo violino. Infine, l’organizzazione sindacale
che non assume in proprio l’impegno di rispettare le nuove regole resta libera di contestare
l’esigibilità del contratto collettivo stipulato dagli altri sindacati e, in sostanza, di promuovere le
Anche l’organizzazione che, invece, si sia impegnata a rispettare quelle regole, potrebbe
via generale dall’ordinamento nei confronti dei vincoli negoziali assunti a tempo indeterminato.
e normativo del lavoro nei diversi comparti o settori produttivi. L’applicazione generalizzata dei
contratti collettivi nazionali di lavoro ha consentito di evitare che la concorrenza tra imprese e
la concorrenza tra lavoratori fosse basata sul dumping sociale, ossia la tendenza assunta da
alcune imprese di localizzare le attività più redditizie e produttive in zone in cui sono più
vantaggiose.
In una prospettiva ancora più ampia, il “governo” centralizzato della disciplina sindacale ha
centralizzato di contrattazione collettiva non è più in grado di produrre effetti positivi né per le
imprese, né per i lavoratori, in quanto quel sistema – in un mercato divenuto globale – non è più
campo di applicazione legato al territorio nazionale e non potendo quindi vincolare le imprese
situate all’estero.
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Ne è derivato che, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, il valore delle retribuzioni è
entrato in una lunga fase di stallo, tuttora in essere, facendo emergere, in tutta la sua criticità,
avvenuto mentre anche la competitività delle imprese si è andata riducendo a causa dello
Inoltre, è da considerare che l’uniformità della disciplina dettata dai contratti collettivi
nazionali di categoria non può tenere conto delle condizioni specifiche delle singole realtà
aziendali, che risultano sempre più differenziate in relazione ai tipi e metodi di lavorazione,
professionalità utilizzate, mercati di riferimento. Negli ultimi anni, le parti sociali hanno, quindi,
avviato trattative dirette a ridefinire modelli e struttura della contrattazione. Ma gli esiti sono
fortemente condizionati dalle differenti valutazioni che le parti stesse hanno in ordine alla
funzione del contratto nazionale, essendo evidente che l’effettiva diffusione della
contrattazione di secondo livello dipende dagli spazi che le vengono lasciati in materia
Attualmente, in base al Testo Unico sulla rappresentanza Confindustria-Cgil, Cisl e Uil del
2014, è previsto che la funzione del contratto nazionale è quella “di garantire la certezza dei
trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati
È, però, prevista una generale competenza del livello aziendale ad “attivare strumenti di
articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici
contesti produttivi”, sia pure “nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti
collettivi aziendali di lavoro”. Ed è altresì stabilito che, ove il contratto aziendale non regoli tali
limiti e procedure, le “rappresentanze sindacali operanti in azienda”, sia pure “d’intesa” con le
riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione di
lavoro, gli orari e l’organizzazione del lavoro”, in vista dell’obiettivo di “gestire situazioni di crisi
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o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale
dell’impresa”.
è quella di spostare la “distribuzione” della retribuzione correlata alla produttività nei luoghi in
direzione della “adattabilità” del sistema contrattuale alle esigenze degli specifici contesti
produttivi, con l’articolo 8 del decreto legislativo 138 del 2011. Tale disposizione attribuisce ai
“intese” efficaci nei confronti di tutti i lavoratori interessati, in relazione ad un ventaglio molto
Diversi sono i punti critici dell’intervento del legislatore. La disciplina di legge, infatti, incide
con il principio di libertà sindacale di cui all’articolo 39, comma 1 della Costituzione, in quanto
dubita, altresì, della costituzionalità della attribuzione di efficacia generale alle intese in
questione, poiché tale attribuzione è disposta sulla base di un modello diverso da quello
Ma una parte della dottrina obietta che questa ultima disposizione costituzionale
contratti di diverso livello. Peraltro, il modello dell’articolo 8 del decreto legge 138 del 2001 si
fonda sul principale requisito desumibile dal precetto costituzionale, poiché l’efficacia generale
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delle “intese” è riconosciuta a condizione che esse siano sottoscritte “sulla base di un criterio
Si contesta, infine, l’ampiezza delle materie sulle quali è stato concesso alla contrattazione di
prossimità il potere di derogare la legge, poiché quel potere non è limitato a specifiche ipotesi
come era sempre avvenuto nei precedenti casi in cui il legislatore aveva fatto ricorso al modello
della “deregolazione controllata”, così da suscitare il timore che ciò possa mettere a rischio
l’intero sistema legale di tutela del lavoro. Ma va sottolineato che la delega alla contrattazione
prossimità, per quanto ampia, non ha un “ambito illimitato”, poiché riguarda solo le specifiche
Ed inoltre, quella delega trova un limite invalicabile nella condizione che essa operi nel
“rispetto della Costituzione” e dei “vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle
convenzioni internazionali sul lavoro”; ditalché il timore di uno “smantellamento” della tutela
legale appare infondato. In ogni caso, è da constatare come le polemiche che hanno
accompagnato l’articolo 8 del decreto legislativo 138 del 2011 abbiano determinato una sua
E anche la legislazione successiva sembra non tenere conto dell’esistenza di tale disposizione,
utilizzata dal decreto legislativo 81 del 2015, avente ad oggetto la “disciplina organica dei
Ed infatti, dopo aver fatto frequente rinvio ai “contratti collettivi”, tale decreto legislativo
stabilisce che tale rinvio è riferito, indistintamente, ai “contratti collettivi nazionali, territoriali
nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali
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Da ciò si desume sia una valutazione di pari idoneità dei diversi livelli di contrattazione a
realizzare gli scopi della legge, sia il riconoscimento che, rispetto alla disciplina legale, la
Sia prima che dopo la parentesi del periodo corporativo, le relazioni sindacali in Italia sono
della Costituzione, e la configurazione del diritto di sciopero come diritto assoluto (sul piano
dei diritti della persona) e come diritto potestativo (sul piano dei rapporti obbligatori), hanno
consentito che il suo esercizio fosse liberamente ed immediatamente fruibile, anche in assenza
La “via” del conflitto ha potuto essere percorsa senza limiti, e talvolta anche poco
responsabilmente a causa della enfatizzazione della teoria della titolarità individuale e, più
programmatica dell’articolo 46 della Costituzione, in mancanza di una legge che fissi “modi” e
“termini” con i quali i lavoratori possono collaborare alla gestione dell’impresa “in armonia con
le esigenze della produzione”, non ha favorito la costruzione della modalità della partecipazione
e l’accesso ad essa.
individuate nei diritti di informazione e consultazione sindacale, che sono stati introdotti nella
parte c.d. “obbligatoria” dei contratti collettivi e con i quali le organizzazioni dei lavoratori
hanno imposto il loro ruolo di “interlocutori” nei procedimenti decisionali che riguardano la
gestione dell’impresa nel suo complesso, e non soltanto il trattamento dei lavoratori in senso
stretto.
sistema di rappresentanza sindacale in azienda voluto dalla legge 300 del 1970. Rafforzamento
che ha reso concretamente esigibili le nuove tipologie di diritti sindacali e che, effettivamente,
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puntava proprio alla realizzazione di un vero e proprio “contropotere” volto a limitare la
dell’imprenditore. Sulla stessa scia si muove anche la disciplina comunitaria, che, pur
rivolgendo una particolare attenzione al tema della partecipazione, ha dovuto tenere conto
della eterogeneità delle situazioni nazionali e delle resistenze frapposte dalle rappresentanze
Le crisi ripetute e prolungate del nuovo secolo spingono ora il sistema delle relazioni industriali
verso una nuova stagione che può contribuire ad “inoculare” nel sistema stesso “dosi” di cultura
e pratica partecipativa, riducendo, nel contempo, gli eccessi di una conflittualità esasperata,
coltivati nel malinteso senso di una duplice inattuazione costituzionale. Ed infatti, riducendosi
gli spazi per continuare a realizzare una crescita uniforme a livello nazionale dei trattamenti
retributivi, sia le parti sociali che il legislatore stanno oggi rivalutando il modello partecipativo
non soltanto in una prospettiva, meramente difensiva, di controllo dei poteri dell’imprenditore,
La partecipazione dei lavoratori alle performance dell’impresa anche quando sono positive,
oltreché stimolare la competitività e la crescita dei salari reali, può implicare un mutamento
profondo nella cultura e nella prassi delle relazioni tra capitale e lavoro, promuovendo
la legge 92 del 2012 aveva delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi
La legislazione delegata avrebbe dovuto prevedere, tra l’altro, la partecipazione dei lavoratori
per azioni e nelle “società europee”, e “l’accesso privilegiato dei lavoratori dipendenti al
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possesso di azioni, quote del capitale dell’impresa, o diritti di opzione sulle stesse”. Senonché le
previsioni della legge 92 del 2012 sono rimaste inattuate, poiché il Governo non ha esercitato
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