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Non esiste una definizione prescrittiva di cosa si intenda per mercato del lavoro.
regolare la fase dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro (il “collocamento”, secondo la
terminologia tradizionale). Ma esso, in una accezione più ampia, ricomprende anche gli
interventi volti a stimolare e agevolare tale incontro, mediante azioni di sostegno a favore dei
soggetti in cerca di una prima o di una nuova occupazione (le c.d. “politiche attive”) o mediante
Poiché la finalità prioritaria perseguita dal legislatore è quella di far crescere l’occupazione, la
disciplina del mercato del lavoro è oggi una parte fondamentale del sistema di protezione del
lavoro. Si può, anzi, affermare che le politiche occupazionali finiscono con influenzare anche le
misure relative alla disciplina del rapporto di lavoro e la legislazione in materia previdenziale.
Nell’immediato secondo dopoguerra, il collocamento dei lavoratori è stato regolato dalla legge
264 del 1949, che prevedeva il monopolio pubblico di tale funzione. Il collocamento pubblico si
l’incontro tra la domanda di lavoro da parte delle imprese e l’offerta di lavoro da parte di
A partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, si sono succeduti molteplici interventi, le cui
linee di fondo sono state il decentramento delle competenze e il superamento del monopolio
pubblico. In particolare, con la legge 469 del 1997, lo Stato ha conservato soltanto un ruolo
generale di indirizzo, promozione e coordinamento, mentre alle Regioni e agli enti locali sono
potestà di legislazione concorrente in materia di “tutela e sicurezza del lavoro”, il cui nucleo
centrale è rappresentato proprio dalla disciplina dei servizi per l’impiego, aprendo così nuovi
spazi per gli interventi regionali sui mercati del lavoro locali. Il monopolio pubblico è venuto
meno per effetto di due processi convergenti. Per un verso, sono stati eliminati i vincoli formali
e burocratici che imponevano che l’incontro tra domanda e offerta di lavoro avvenisse
Così, si è progressivamente affermato il principio della cd. “assunzione diretta”, in base al quale
datore di lavoro e lavoratore sono liberi di stipulare il contratto di lavoro senza l’obbligo di
farne richiesta agli uffici pubblici. Obblighi di natura formale sono stati conservati, o introdotti
l’impiego l’instaurazione di ogni rapporto di lavoro, di regola almeno 24 ore prima dell’inizio del
rapporto stesso, precisando, tra l’altro, data di assunzione e tipologia contrattuale; b) l’obbligo
del datore di lavoro di tenere un “libro unico del lavoro” nel quale devono essere inseriti i dati
amministrativi, a decorrere dal 1 gennaio 2017, il libro unico del lavoro sarà tenuto in modalità
Il legislatore nazionale ha previsto che, nella prospettiva del miglioramento dell’efficienza del
sistema di collocamento, ad esso possano prendere parte anche soggetti privati. Precisamente,
alle agenzie per il lavoro è consentito di svolgere attività di intermediazione, ricerca e selezione
tempo determinato, che a tempo indeterminato), fermo restando il divieto di percepire, per tali
attività, compensi a carico del lavoratore. Poiché le attività di cui trattasi concorrono alla
“accreditamento” per l’esercizio delle attività stesse sull’intero territorio nazionale, o anche
associazioni sindacali, enti bilaterali costituiti da queste ultime, i gestori di siti internet.
L’efficienza del sistema preordinato a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro non
può essere considerata soddisfacente. Hanno pesato, al riguardo, problemi quali: a) il mancato
coordinamento delle competenze ripartite tra Stato e Regioni, che hanno dato luogo anche ad
integrazione tra i servizi pubblici e gli operatori privati; c) il perdurante stato di arretratezza in
Allo scopo, quindi, “di garantire la fruizione di servizi essenziali in materia di politica attiva del
lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario delle relative
funzioni amministrative”, è stato emanato il decreto legislativo 150 del 2015 che, riordinando
la normativa in materia, ha previsto l’istituzione di una “Rete nazionale dei servizi per le
Compito della “rete nazionale” è quello di promuovere “l’effettività dei diritti al lavoro, alla
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”. È opportuno evidenziare che tale
compito deve essere realizzato non solo assicurando ai lavoratori “il sostegno nell’inserimento
o nel reinserimento al lavoro”, ma anche assicurando ai datori di lavoro “il soddisfacimento dei
Sono chiamati a far parte della “rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro” tutti i
per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), che ha anche il ruolo di coordinamento della “rete”
stessa; gli uffici territoriali, denominati centri per l’impiego; l’INPS, in relazione alle sue
competenze in materia di incentivi e strumenti a sostegno del reddito; l’INAIL, in relazione alle
sue competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con
continua; i fondi bilaterali per la formazione e l’integrazione del reddito finanziati con i
contributi delle imprese di somministrazione di lavoro; l’ISFOL e Italia Lavoro S.p.A; il sistema
Il ruolo di indirizzo politico è esercitato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dalle
priorità”. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in particolare, fissa le linee di indirizzo
triennali e gli obiettivi annuali in materia di politiche attive e specifica i livelli essenziali delle
prestazioni che devono essere erogate su tutto il territorio nazionale. Inoltre, verifica e
controlla che i livelli essenziali di tali prestazioni siano rispettati, effettua il monitoraggio delle
è previsto che esse stipulino una “convenzione” con il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali finalizzata a regolare i reciproci rapporti e obblighi. In particolare, tale convenzione deve
prevedere l’attribuzione alle singole regioni e province autonome delle funzioni e dei compiti
politica attiva del lavoro per tutti i residenti nell’intero territorio italiano.
Alle regioni e alle province autonome resta inoltre assegnato il compito di identificare la
formazione, nell’ambito dei criteri definiti con intesa in sede di Conferenza permanente per i
Ad opera dell’ANPAL, è prevista la realizzazione del “portale unico per la registrazione alla Rete
nazionale dei servizi per le politiche del lavoro”, nonché di un “sistema informativo unitario
delle politiche del lavoro”. Sulla base del sistema informativo unitario potrà essere formato e
Il decreto legislativo 150 del 2015 affida ai centri per l’impiego, costituiti dalle regioni e dalle
province autonome, il compito di svolgere “servizi e misure di politica attiva del lavoro” utili per
costruire i “percorsi più adeguati per l’inserimento e il reinserimento nel mercato del lavoro”,
L’attivazione di queste misure costituisce oggetto di specifici diritti per il lavoratore, ma anche
di obblighi a suo carico. Ed infatti, corollario necessario delle politiche attive è il contrasto alle
derive meramente assistenzialistiche dei principi dello Stato sociale. Pertanto, in questa
prospettiva, il legislatore mira ad assicurare la collaborazione attiva da parte del soggetto che
cerca lavoro, prevedendo anche specifiche sanzioni per l’inosservanza degli obblighi previsti.
Le convenzioni tra il Ministero del lavoro e le singole Regioni possono prevedere che lo
svolgimento dei servizi e delle misure di politica attiva possa essere affidato all’ANPAL, o, in via
transitoria, ai soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materie di politiche attive del
lavoro. Destinatari dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro sono i “disoccupati”, i
non soltanto deve essere privo di impiego, ma deve anche offrire la propria “immediata
disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica
trovino in pendenza del periodo di preavviso di licenziamento, i quali, per accelerare i tempi,
periodo di preavviso.
lavoratori il cui orario di lavoro sia stato ridotto in misura superiore al 50% per integrazione
deve stipulare con il centro per l’impiego “un patto di servizio personalizzato”, con il quale egli
assume due impegni fondamentali: da un lato, l’impegno a partecipare sia ad iniziative “per il
rafforzamento delle competenze nella ricerca attiva di lavoro”, sia ad iniziative “di carattere
delicato, delle politiche di attivazione. Pertanto, la definizione di “congrua offerta di lavoro”, che
è demandata al Ministero del lavoro deve tenere conto dei seguenti elementi: “coerenza con le
Quindi, sono previsti obblighi e sanzioni ulteriori. In particolare, il beneficiario può essere
convocato nei giorni feriali dai competenti servizi per il lavoro con preavviso di “almeno 24 ore
e non più di 72 ore”. Inoltre, è previsto che l’inosservanza degli impegni assunti, ove non
di sanzioni. Tali sanzioni sono graduate in relazione al tipo di impegno violato, ed esse vanno
dalla decurtazione di parte della prestazione economica sino alla decadenza dalla prestazione e
dallo stato di disoccupazione nei casi di recidiva o nel caso di rifiuto di un’offerta di lavoro
congrua.
Anche per i lavoratori beneficiari di strumenti di sostegno del reddito “in costanza di rapporto
di lavoro”, è previsto che “può” essere stipulato un patto di servizio personalizzato e che la sua
inosservanza comporta analoghe sanzioni. Tuttavia, in tale ipotesi, il patto di servizio non
prevede gli impegni relativi alla ricerca attiva di altra occupazione, né la disponibilità ad
accettare una “congrua offerta di lavoro”, in quanto i lavoratori beneficiari di prestazioni “in
costanza di rapporto di lavoro” non sono disoccupati, essendo essi sottoposti soltanto ad una
Infine, per i percettori della “Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego”, che
Tale assegno è utilizzabile per ottenere un servizio di “assistenza intensiva” della durata di 6
mesi, che è svolto da un centro per l’impiego o da un operatore accreditato allo svolgimento dei
servizi per il lavoro. In tal caso, il disoccupato assume l’impegno di svolgere le attività
individuate dal tutore e di accettare la “offerta di lavoro congrua” (valutata tenendo conto delle
“sue capacità, aspirazioni, e possibilità effettive, in rapporto alle condizioni del mercato del
lavoro nel territorio di riferimento nonché al periodo di occupazione”). Il rifiuto di svolgere tali
attività o di accettare una congrua offerta di lavoro comporta l’irrogazione della stessa
tipologia di sanzioni applicabili nel caso di inosservanza del patto di servizio personalizzato.
Tra i regimi speciali di avviamento al lavoro, una particolare rilevanza sociale è rivestita dal
“collocamento mirato” dei disabili. In coerenza con i nuovi indirizzi adottati in materia di servizi
per l’impiego, la legge 68 del 1999 ha perseguito l’obiettivo della “promozione dell’inserimento
e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di
supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro
capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di
sostegno, azioni positive e soluzione dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le
A questi fini, sono considerati disabili: i soggetti affetti da menomazioni fisiche, psichiche,
sensoriali e intellettive “che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45
per cento”; gli invalidi la cui “capacità di lavoro”, in occupazioni “confacenti” alle loro “attitudini”,
sia ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un
terzo; gli invalidi del lavoro “con un grado di invalidità superiore al 33 per cento”; le persone
L’obbligo di assunzione grava su tutti i “datori di lavoro pubblici e privati” che occupino 15 o più
chi occupa più di 50 dipendenti, deve assumere “disabili” in numero pari al 7 per cento dei
Ai fini dell’assolvimento di tale obbligo, sono computabile anche i dipendenti divenuti disabili
prima della costituzione del rapporto di lavoro, pur non essendo stati assunti tramite il
collocamento obbligatorio, a condizione che la riduzione della loro capacità lavorativa sia
Per contro, ai fini dell’assolvimento della “quota” di posti di lavoro riservati ai disabili, non sono
computabili i lavoratori che diventino inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in
conseguenza di infortunio o malattia, nel caso in cui abbiano subito una riduzione della capacità
lavorativa inferiore al 60% e in tutti i casi in cui l’inabilità sia stata causata dall’inadempimento
del datore di lavoro alle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.
I datori di lavoro che abbiano più unità produttive, ed i datori di lavoro che esercitino imprese
facenti parte di un “gruppo”, possono operare una “compensazione” tra il numero di disabili
l’insufficiente numero di disabili assunto presso altra unità produttiva dello stesso datore di
Infine, l’obbligo di assumere “disabili” è temporaneamente sospeso nei confronti delle imprese
che abbiano ottenuto interventi di integrazione salariale o abbiano avuto una procedura di
mobilità. Per quanto riguarda le modalità dell’assunzione, questa avviene o mediante richiesta
di avviamento agli uffici competenti, ovvero mediante la stipula di convenzioni con gli stessi
uffici. Il decreto legislativo 151 del 2015 ha introdotto la regola che la richiesta di avviamento
sia “nominativa”, e che possa essere preceduta dalla domanda agli uffici competenti di
effettuare una preselezione tra i soggetti aventi diritti che siano interessati alla specifica
occasione di lavoro.
Soltanto nel caso di mancata assunzione entro il termine di 60 giorni dal momento in cui è sorto
l’obbligo di assumere, gli uffici competenti avviano al lavoro un disabile in possesso della
qualifica richiesta o di altra qualifica “concordata” con il datore di lavoro; ove ciò risulti
Periodicamente, i datori di lavoro devono altresì inviare agli uffici competenti un “prospetto
informativo” sulla situazione dell’organico e tale prospetto, ove da esso risulti una divergenza
rispetto alla quota di obbligo, è considerato dalla legge atto idoneo a configurare una richiesta
lavoro concorda con gli uffici competenti un programma “mirato al compimento degli obiettivi
lavorativo”) in base alle quali il datore di lavoro può assolvere, in parte, i propri obblighi di
persone disabili. La violazione degli obblighi di assunzione è punita con l’irrogazione di sanzioni
amministrative, oltreché con l’esclusione dalla partecipazione a bandi per appalti pubblici e da
La tutela legale dei disabili, peraltro, ha ad oggetto anche lo svolgimento del rapporto di lavoro.
A tutela della salute e della conservazione del posto di lavoro, il datore di lavoro non può
richiedere al disabile “una prestazione non compatibile con le sue minorazioni”. Ove venga
accertato che le condizioni di salute del disabile siano divenute incompatibili con la
prosecuzione della prestazione lavorativa, il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita
Il datore di lavoro può, quindi, licenziare il disabile soltanto quando l’apposita commissione
prevista dalla legge accerti che, pur “attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del
caso, al datore di lavoro non è consentito il recesso per giustificato motivo oggettivo, o per
riduzione di personale, qualora, all’atto della cessazione del rapporto, risulti scoperta la quota
Il potere di recesso del datore di lavoro è, infine, limitato anche nel caso di lavoratori che non
siano stati assunti obbligatoriamente e che siano divenuti disabili durante il rapporto di lavoro
per infortunio sul lavoro o malattia professionale. In questa ipotesi, l’infortunio o la malattia
non costituiscono giustificato motivo di licenziamento ove il lavoratore possa essere adibito a
Lo speciale apparato di tutela del lavoro predisposto dalla legge e dalla contrattazione
collettiva riguarda non qualsiasi forma o modalità di prestazione lavorativa, bensì si rivolge, ed
è applicabile, soltanto al rapporto di lavoro subordinato. Non esiste, però, una definizione
universalmente utile del lavoro subordinato, e, anzi, in alcuni ordinamenti, manca del tutto una
definizione legale. Cosicché, da quando è nato il diritto del lavoro, si è posto il problema di
In Italia, la ricerca della nozione giuridica di lavoro subordinato deve prendere le mosse dalla
disposizione dell’articolo 2094 del codice civile che definisce “prestatore di lavoro subordinato
Tale definizione appare giustapposta a quella del contratto di opera, che, ai sensi dell’articolo
2222 del Codice civile, si realizza “quando una persona si obbliga a compiere verso un
definito dall’articolo 2049 del Codice Civile, distinguendolo dal lavoratore autonomo, è il
Secondo l’opinione prevalente e più accreditata, quindi, l’elemento tipico esclusivo del lavoro
Così è da dire, anzitutto, per quelle prime ricostruzioni che avevano, originariamente, tentato
di inquadrare i rapporti di lavoro sulla base della figura della locazione, distinguendo tra locatio
operis, nella quale il prestatore di lavoro cederebbe in locazione le sue mere energie, e locatio
operarum, nella quale l’oggetto locato sarebbe il risultato dell’applicazione delle energie stesse.
L’alternativa tra “energie” e “risultato” è stata, poi, ripresa nell’ambito della moderna distinzione
tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, al fine di ricondurre tra le prime l’oggetto
lavoratore autonomo. Senonché anche tale opinione non è apparsa appagante, tenuto conto
del fatto che pure il lavoratore autonomo può obbligarsi ad eseguire un’attività e non un
risultato.
Inoltre, anche il datore di lavoro, quando stipula un contratto di lavoro subordinato, lo fa non
per ricevere semplicemente le energie del lavoratore, ma in vista del risultato finale che quelle
energie possono produrre, cosicché non è agevole distinguere tra il risultato, diretto ed
immediato, che sarebbe tipico della prestazione del lavoratore autonomo dal risultato,
Infine, la ripartizione del rischio tra il prestatore di lavoro (autonomo o subordinato che sia) e il
creditore della prestazione non deriva semplicemente dall’oggetto della prestazione (se di
Ove tra le parti del rapporto di lavoro sorga controversia in ordine alla esatta qualificazione del
rapporto di lavoro posto in essere, può risultare assai difficile accertare se il vincolo della
subordinazione ricorra o no. Ed, infatti, lo stesso Codice Civile prevede altri tipi contrattuali nei
prestazione. Cosicché risulta necessario distinguere quando l’ingerenza del creditore della
prestazione costituisca un esercizio di tale potere o sia, invece, espressione dello specifico
È bene precisare che, in realtà, la distinzione tra le due fattispecie è agevole quando deve
essere applicata alle tradizionali figure intorno alle quali è stato costruito il diritto del lavoro.
quella area, definita “grigia”, in cui il confine tra autonomia e subordinazione può risultare labile
autonomia esecutiva. Quando non sia possibile accertare l’esistenza del vincolo di
elementi indiziari.
In questa impostazione, viene dato rilievo ad elementi già esaminati (quali la mancanza di
rischio da parte del lavoratore che sia retribuito in misura fissa e l’alienità dei mezzi di
come “indizi” di tali elementi tiene fermo il principio che nessuno di essi è, di per sé,
determinante al fine di accertare la sussistenza della subordinazione, ma si ritiene che una loro
In tal modo, peraltro, il procedimento di qualificazione finisce con applicare, talvolta anche
esplicitamente, il metodo cd. tipologico. Secondo i sostenitori di tale metodo, il tipo legale
caratterizzanti non esclusivi del tipo stesso o alle caratteristiche sociali del tipo; la
“intuizione globale” del grado e della intensità della ricorrenza dei tratti individuati come
caratterizzanti.
Senonché, in linea generale, l’applicazione del metodo tipologico sembra estendere l’incertezza
di valutazione sia nell’individuazione dei tratti caratterizzanti il tipo legale, sia nella scelta degli
elementi del caso concreto ai quali riconoscere prevalenza. Con riguardo, poi, ai modelli
categorie di rapporti che hanno diversi tratti caratterizzanti comuni con il rapporto di lavoro
subordinato, pur essendo privi dell’elemento discretivo esclusivo del vincolo giuridico della
subordinazione.
E va, altresì, ricordato che i problemi di qualificazione si pongono proprio in relazione a quelle
fattispecie concrete che si collocano vicino la labile linea di confine tra subordinazione e
autonomia, ossia in quella zona che è chiamata “grigia” proprio perché comprende attività
lavorative che, pur essendo svolte in esecuzione di tipi contrattuali diversi, hanno tratti
esteriori comuni.
In tali casi, dunque, un giudizio per approssimazione, basato sulla “intuizione”, comporta il
rischio dell’affidamento dell’esito della qualificazione a qualcosa che si avvicina al puro “stato di
animo” dell’interprete e che si sottrare all’autorità del punto di vista giuridico. Infine, il metodo
In altri termini, la valutazione della minore o maggiore riconducibilità della fattispecie concreta
al tipo legale era funzionale ad una applicazione di una parte, maggiore o minore, della
dell’applicazione della disciplina legale del tipo che, nel caso del contratto di lavoro
Ciò perché, secondo l’orientamento prevalente nella dottrina, la disciplina legale degli effetti
del contratto di lavoro è sottratta alla disponibilità delle parti. Pertanto, quella disciplina non
disposizioni della legge stessa. La tassatività del tipo contratto di lavoro subordinato è,
peraltro, la ragione per la quale la volontà espressa dalle parti non è determinante ai fini della
qualificazione del rapporto posto in essere, nemmeno quando esse abbiano espressamente
Ciò perché, nel caso risulti un contrasto tra la volontà espressa nel contratto e lo svolgimento
del rapporto, deve essere attribuita prevalenza al concreto atteggiarsi di quest’ultimo, potendo
essere accaduto che le parti abbiano errato nel considerare il rapporto di natura diversa dal
lavoro subordinato, ovvero che abbiano inteso mascherare quest’ultimo con una simulazione,
ovvero, ancora, abbiano realizzato una novazione del contratto durante lo svolgimento del
rapporto.
Si può, quindi, concludere che la qualificazione del rapporto di lavoro, che in caso di
astratta. E l’individuazione di quest’ ultima deve avvenire sulla base degli elementi discretivi
previsti o ricavabili dalla legge, senza con ciò trascurare di verificare costantemente la
possibilità di adeguare i risultati interpretativi alla luce dei mutamenti del sistema normativo
nel suo complesso e degli stessi rapporti economico sociali oggetto di disciplina.
Va rilevato come il vincolo della subordinazione possa atteggiarsi in modo diverso a seconda
della natura della prestazione e dell’organizzazione del lavoro. Così, ad esempio, il potere
direttivo può essere esercitato dal datore di lavoro in modo non continuativo e meno intenso in
o un elevato grado di fiducia, ovvero può essere esercitato secondo modalità del tutto diverse
da quelle tradizionali.
Anche in questi casi, però, il vincolo di subordinazione, pur atteggiandosi in forma attenuata,
presuppone l’esistenza del peculiare potere direttivo che l’ordinamento giuridico riconosce al
datore di lavoro, il potere di impartire, quando lo ritenga necessario, le direttive volte non solo
modificare, di volta in volta, sulla base delle proprie mutevoli esigenza, l’attività dovuta dal
lavoratore. Per contro, gli altri elementi ritenuti indiziari hanno carattere anfibologico, poiché
Dall’articolo 2094 del Codice Civile, che detta la definizione di lavoro subordinato e non quella
contrattuale. Tale constatazione, però, non è sufficiente a fondare l’ipotesi che il rapporto di
lavoro, e l’obbligazione di lavorare, sorgano per effetto di un mero fatto, consistente
Una ipotesi siffatta deve essere respinta alla luce dei principi costituzionali e dell’esperienza
storica. Sia gli uni che l’altra, infatti, non consentono di ravvisare l’esistenza di una comunione
entrambe le parti perché quest’ultimo possa essere instaurato. Discorso diverso è quello di chi
evidenzia come la disciplina del rapporto di lavoro si caratterizzi per essere in larga parte
Tale caratteristica evidenzia come l’autonomia negoziale abbia uno spazio nella
regolamentazione del rapporto di lavoro che è certamente ridotto rispetto a quello disponibile
funzione essenziale per costituire il rapporto di lavoro, e ciò in coerenza con il riconoscimento
Il che risulta oggi con evidenza ancora maggiore, ove si consideri che, quando si tratti di avviare
una relazione nella quale sia coinvolta una prestazione di lavoro, l’autonomia individuale ha a
disposizione non solo una pluralità di tipi contrattuali diversi da quello di lavoro subordinato,
ma può scegliere tra una pluralità ampiamente diversificata di modelli legali, con la facoltà di
sottoporre la libera scelta effettuata ad una procedura di certificazione prevista dalla legge.
Né le considerazioni esposte sono contraddette dalla disciplina dettata dall’articolo 2126 del
Codice Civile, in relazione alla fattispecie della “prestazione di fatto”. La fattispecie regolata da
tale disposizione, infatti, non riguarda l’ipotesi di lavoro prestato senza il consenso di una delle
Questo articolo, a tutela del lavoratore, prevede che egli conservi tutti i diritti maturati nel
periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, stabilendo che per tale periodo “la nullità o
l’annullamento del contratto non produce effetti”, con la sola eccezione del caso di nullità
derivante dall’illiceità dell’oggetto o della causa. In quest’ultimo caso, peraltro, ove l’illiceità
derivi dalla violazione di norme poste a tutela del lavoratore, questi ha comunque diritto alla
dell’articolo 2041 del codice civile, una richiesta di indennizzo nei confronti del datore di lavoro
che, per effetto della prestazione di fatto, abbia ricevuto un “arricchimento senza giusta causa”.
Parti del contratto di lavoro sono il datore di lavoro e il lavoratore. Per quanto attiene alla
persona del lavoratore, è da ricordare che si deve trattare di persona fisica e che l’obbligazione
di lavorare è personale ed infungibile, cosicché il lavoratore non può farsi sostituire se non con
il consenso del datore di lavoro. Disposizioni speciali regolano sia la capacità giuridica di
lavorare, sia la capacità di agire, ossia di stipulare il contratto di lavoro ed esercitare i relativi
diritti.
costituzionale, la legge fissa l’età minima di ammissione al lavoro, la quale “comunque non può
essere inferiore ai quindici anni compiuti”, e coincide con il “momento in cui il minore ha
Soltanto per talune attività, aventi carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario,
l’impiego del minore che non abbia raggiunto l’età minima può essere autorizzato dalla
Direzione territoriale del lavoro, ove vi sia l’assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale
e non esista il pericolo di pregiudizio per il minore. Distinta dalla capacità giuridica di lavorare,
è la capacità di agire.
L’articolo 2 del Codice civile fissa nella maggiore età l’acquisto della generale capacità di azione,
ma fa salve le leggi “che stabiliscono una età inferiore in materia di capacità a prestare il
proprio lavoro” e, in tal caso, abilita il minore “all’esercizio dei diritti e delle azioni che
dipendono dal contratto di lavoro”. L’interpretazione che appare preferibile è quella di ritenere
che il compimento dell’età necessaria consenta una limitata capacità di azione, nel senso che
abiliti il minore ad agire (anche in via giudiziale) per la tutela dei diritti derivanti dal contratto di
Quest’ultimo, quindi, per i minori di 18 anni, non emancipati, dovrebbe essere stipulato dal
particolari categorie di lavoratori. Per quanto attiene al datore di lavoro, esso può essere sia
una persona fisica, che una persona giuridica o altro ente dotato di soggettività giuridica. Nella
sistematica del Codice civile, inoltre, la disciplina generale del lavoro subordinato dettata nel
Per i rapporti di lavoro subordinato “che non sono inerenti all’esercizio di una impresa”,
l’articolo 2239 del Codice civile stabilisce che quella disciplina trova applicazione nella misura
in cui sia compatibile “con la specialità del rapporto”. Tipico rapporto di lavoro speciale è il
lavoro domestico.
Altre discipline speciali, peraltro, sono state dettate, nel tempo, anche con riferimento a
rapporti di lavoro caratterizzati da ulteriori peculiarità della prestazione di lavoro (come nel
caso del lavoro a domicilio o del lavoro sportivo) o dal coinvolgimento di interessi pubblici
(come nel caso del rapporto di lavoro nautico o degli autoferrotranvieri). Ancora oggi, è
ampiamente differenziata la disciplina che regola il rapporto di lavoro alle dipendenze delle P.A.
Per il contratto di lavoro, salve eccezioni, vige il principio generale della libertà di forma, e,
quindi, esso può essere concluso anche verbalmente o per fatti concludenti. La legge prevede,
però, a carico del datore di lavoro degli obblighi di informazione scritta nei confronti del
lavoratore. Il legislatore ha stabilito che, prima ancora dell’inizio dell’attività di lavoro, il datore
del rapporto di lavoro inviata ai servizi pubblici competenti, la quale, a sua volta, deve
contratto di lavoro sia stipulato in forma scritta e copia di esso sia consegnato al lavoratore
prima dell’inizio dell’attività lavorativa. La causa del contratto di lavoro è costituita dallo
scambio tra lavoro subordinato e retribuzione, cosicché quel contratto rientra tra i contratti
Oggetto del contratto sono due prestazioni principali, le quali, ai sensi dell’articolo 1346 del
Codice Civile, devono essere determinate o determinabili (oltreché possibili e lecite). Per
assicurata, anche ove manchi una specifica pattuizione (o essa sia nulla), grazie
Codice civile.
del giudice. È, quindi, necessario che con il contratto di lavoro le parti determinino tale
prestazione o, quantomeno, individuino i criteri per la sua determinazione. Ciò implica che il
sinteticamente un insieme di mansioni, sia da parte del legislatore, sia da parte dei sistemi di
rendere determinabili le mansioni di cui il datore di lavoro può richiedere lo svolgimento e che
L’inquadramento professionale dei lavoratori assume rilievo non solo al fine di determinare
più ricorrenti in base alle concrete caratteristiche dell’organizzazione del lavoro nei diversi
settori produttivi.
Le singole qualifiche, poi, sono raggruppate per “gradi” a seconda della loro “importanza”, ossia
tenendo conto della collocazione nella “scala gerarchica” dei collaboratori dell’impresa, e del
retribuzione spettante, dovendo questa essere “proporzionata” non solo alla quantità ma
L’articolo 2095 del Codice civile prevede, inoltre, che le innumerevoli mansioni e qualifiche
enucleabili nell’organizzazione del lavoro dei diversi settori produttivi siano tutte riconducibili
a quattro grandi categorie legali: dirigenti, quadri, impiegati, operai. Tale classificazione ha,
tuttavia, un rilievo limitato, in quanto l’unica categoria che risulta destinataria di una disciplina
Il dirigente si caratterizza, infatti, per essere l’alter ego dell’imprenditore, molto più vicino a
quest’ultimo che non agli altri lavoratori dipendenti. Per questa ragione, i dirigenti hanno dato
vita ad una propria distinta rappresentanza sindacale (anche a livello aziendale) e sono
destinatari di una propria distinta contrattazione collettiva. L’articolo 2095 del codice civile
prevede che i “requisiti di appartenenza” alla categoria dei dirigenti, così come alle altre
categorie legali, sono stabiliti dalle leggi speciali e dai contratti collettivi, “in relazione a ciascun
La giurisprudenza ha definito il dirigente come colui che è preposto alla direzione dell’intera
tenendo conto della notevole complessità che l’organizzazione può assumere, per effetto della
quale, nell’ambito della stessa impresa, vi possono essere più livelli dirigenziali.
La contrattazione collettiva tiene conto, altresì, della importanza di funzioni che risultano
determinanti ai fini della assunzione delle decisioni che competono ad altri soggetti (come nel
caso del dirigente preposto a delicate funzioni c.d. di staff, quale la direzione legale, che è
essenziale per orientare importanti decisioni che riguardano l’attività dell’impresa). Per quanto
riguarda le altre categorie legali, i criteri di identificazione sono più incerti, e limitate sono le
I quadri sono la categoria più “giovane”, essendo stata introdotta dalla legge 190 del 1985 per
all’affermazione di una precisa identità professionale per i lavoratori collocati nei livelli più alti
della categoria degli impiegati. Il legislatore ha, così, incluso i quadri nella classificazione
dell’articolo 2095 del Codice civile, stabilendo che tale nuova categoria è costituita da quei
lavorati che “pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti svolgono funzioni con carattere
dell’impresa”.
Infatti, in linea di principio, ai quadri si applicano le stesse norme che riguardano gli impiegati,
salvo diverse espresse disposizioni. La categoria degli impiegati, invece, affonda le radici già nel
regio decreto legge 1825 del 1924, che la individuava facendo riferimento ad elementi generici
Prendendo atto della genericità di tali elementi, la dottrina ha elaborato diversi criteri
distintivi; tra questi merita di essere ricordato il criterio che fa riferimento al tipo di
collaborazione prestata dagli impiegati, che avrebbe ad oggetto le attività che riguardano
collaborazione “nell’impresa”.
In ogni caso, l’esigenza di distinguere con precisione la categoria impiegatizia da quella operaia
Con il contratto di lavoro, le parti possono concordare un periodo di prova, durante il quale
ciascuna di esse può recedere liberamente, senza obblighi di preavviso. Lo scopo di tale
pattuizione è valutare la convenzione del rapporto prima che questo divenga definitivo. Tale
“esperimento” è previsto dalla legge nell’interesse di entrambe le parti, anche se solitamente è
l’assunzione alla accettazione della prova da parte del lavoratore, al fine di verificare le qualità
A tutela del lavoratore, il periodo di prova deve risultare da “atto scritto”, il quale è previsto,
secondo l’opinione prevalente, ad substantiam. Inoltre, le parti hanno facoltà di prevedere una
durata minima della prova (e, in tal caso, prima della sua scadenza, il datore di lavoro non è
libero di recedere), e sono in ogni caso tenute a stabilire una durata massima, che non può
eccedere quella stabilita dai contratti collettivi e, comunque, non può superare il periodo di 6
mesi.
Superato tale limite, infatti, in caso di recesso del datore di lavoro, trova applicazione la
disciplina limitativa dei licenziamenti. Infine, il datore di lavoro è tenuto a consentire l’effettivo
svolgimento di tale “esperimento”. Ciò implica, per un verso, che il patto deve individuare
l’attività che forma oggetto della prova, indicando le mansioni da svolgere o, quantomeno, la
“qualifica” o il “livello” attribuiti. Per altro verso, il recesso del datore di lavoro è impugnabile
nell’ipotesi in cui il lavoratore dimostri che non gli sia stato consentito l’effettivo svolgimento
della prova o che il recesso sia stato determinato da un motivo illecito o discriminatorio.
Le parti possono dare atto del positivo superamento della prova sia con una esplicita
dichiarazione di volontà, sia con un comportamento concludente, e cioè non avvalendosi della
facoltà di recesso entro il termine della prova. In entrambi i casi, l’assunzione diviene
“definitiva” e “il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro”. Essendo,
comunque, lavoro a tutti gli effetti, il servizio prestato dal lavoratore in prova determina la
maturazione di tutti i diritti derivanti dalle prestazioni eseguite, compreso il trattamento di fine
rapporto.
SEZ.III. I modelli contrattuali
Dal secolo scorso, ha preso avvio un processo di diversificazione dei modelli contrattuali di
regolazione del lavoro. Prima di allora l’evoluzione della disciplina inderogabile di legge e della
contrattazione collettiva aveva gradualmente condotto all’affermazione di un modello rigido.
In particolare, quel modello era caratterizzato: a) dalla durata indeterminata; b) da un orario di
lavoro “pieno” ed ininterrotto, ossia corrispondente alla durata normale della giornata
lavorativa, per tutti i giorni dell’anno, con la sola eccezione dei giorni festivi e di riposo; c) dalla
necessaria imputazione giuridica del rapporto di lavoro al soggetto effettivo utilizzatore della
prestazione resa dal lavoratore.
Il modello “standard” dei rapporti di lavoro è stato posto in discussione da una pluralità di
ragioni. La prima ragione è stata la sopravvenuta eccessiva rigidità di quel modello rispetto alle
esigenze delle imprese di organizzare la propria attività produttiva in modo flessibile. Una
seconda ragione è stata rappresentata dall’idea che il modello descritto comprima oltremisura
Una terza ragione è stata individuata negli effetti che le tutele riconosciute al modello
dei posti disponibili, impedendo che vengano regolarizzate opportunità di lavoro non
rispondenti a quel modello e realizzando una rete di protezione che garantisce i già occupati,
ma rappresenta una “barriera” per i soggetti che, invece, sono in cerca di impiego.
regolazione dei rapporti di lavoro diversi da quello “standard”, e perciò definiti “flessibili”.
Sono stati dunque introdotti e regolati: il “contratto di formazione e lavoro”, per favorire
l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, il “contratto di lavoro a tempo parziale”, il “contratto
“apprendistato”, per adeguare anche essa alle mutate caratteristiche ed esigenze del mondo del
lavoro.
Va evidenziato che la scelta del legislatore di diversificare i modelli contrattuali è stata attuata
mantenendo sempre fermo l’impianto generale della disciplina del lavoro subordinato. Si è
della disciplina del lavoro subordinato, in quanto l’autonomia privata è stata abilitata a
disciplina si innestano comunque sul tipo legale del “contratto di lavoro subordinato”.
La centralità di tale ruolo risulta, inoltre, ulteriormente rimarcata dagli interventi con i quali il
legislatore mira ad evitare che altri tipi contrattuali (lavoro autonomo, lavoro a progetto,
associazione in partecipazione) siano utilizzato per eludere le tutele proprie del lavoro
qualificazione.
consente di fare a meno di modelli di lavoro flessibili, non potendo altrimenti farsi fronte ad
evitare uno sviluppo ulteriore dell’utilizzo dei modelli flessibili, sono stati apprestati interventi
diretti a rendere meno rigida la stessa disciplina generale del contratto di lavoro subordinato.
In effetti, evidenze empiriche hanno dimostrato che, in periodi di crisi, una eccessiva
limitazione della possibilità di utilizzare modelli flessibili di regolazione dei rapporti di lavoro
non determina una maggiore quantità di assunzioni a tempo indeterminato, bensì la perdita di
opportunità di impiego o l’aumento del lavoro “nero”. La diffusione della “precarietà” non
dipende dalla introduzione dei modelli di lavoro flessibili, bensì dalla debolezza della situazione
economica. Infine, si deve amaramente constatare che la storica arretratezza del tessuto
produttivo di una parte considerevole del Paese fa sì che si faccia fatica a rispettare anche la
disciplina legale dei contratti flessibili, atteso che continua ad essere diffusa la piaga del lavoro
“irregolare”.
58. Il rapporto tra contratto di lavoro a tempo indeterminato e quello a tempo determinato
Nel tempo si è affermato un chiaro orientamento di favore nei riguardi del contratto di lavoro a
tempo indeterminato, anche per la maggiore garanzia che esso offre in termini di continuità del
reddito. Dalla seconda metà degli anni settanta, però, si è modificato il corso dell’evoluzione
collettiva la facoltà di introdurre ulteriori causali, in aggiunta a quelle previste dalla legge.
Successivamente, il decreto legislativo 368 del 2001 ha adottato una diversa tecnica
generale. In base a tale disposizione, l’apposizione del termine è consentita “a fronte di ragioni
Nonostante la loro ampiezza, però, le “ragioni” giustificative del termine non potevano essere
fatte coincidere con qualsiasi generica esigenza di assunzione e, quindi, doveva logicamente
ritenersi che fosse necessaria la sussistenza di un diretto nesso di causalità tra le ragioni stesse
In mancanza di tali idonee “ragioni”, è stato ritenuto che la clausola appositiva del termine fosse
nulla e il contratto dovesse essere qualificato come di lavoro a tempo indeterminato. Infine, tra
nuovi assunti) la disciplina del contratto di lavoro subordinato “a tutele crescenti”, la cui unica
differenza rispetto alla disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è
Il che implica, nella sostanza, una riduzione della garanzia giuridica della stabilità che il
contratto di lavoro a tempo indeterminato può assicurare. D’altro lato, l’apposizione del
termine al contratto di lavoro è stata resa “acausale”, nel senso che non è più richiesta la
sussistenza di alcuna specifica ragione di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o
sostitutivo. Ne deriva che, oggi, il datore di lavoro è libero di scegliere se assumere con un
contratti sono divenuti, da questo punto di vista, strumenti tra loro pienamente fungibili.
Ciò non significa, però, che il legislatore italiano abbia inteso contraddire il principio della
secondo il quale “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma
comune di rapporto di lavoro”. Il significato di tale principio deve essere ricercato tenendo
presente che gli obiettivi individuati dalla disciplina comunitaria sono esclusivamente quelli di:
“a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di
non discriminazione;
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una
Ne consegue che, a livello europeo, come nella disciplina nazionale, il contratto a tempo
indeterminato può essere considerato la “forma comune” dei rapporti di lavoro subordinato
soltanto nel senso che i contratti a termine non possono formare oggetto di abusi nella loro
più articolato ed incisivo di quello “minimo” imposto dalla normativa comunitaria, poiché
prevede non soltanto una durata massima totale, ma anche ulteriori limiti in relazione alla
proroga del termine, alla prosecuzione del rapporto alla sua scadenza ed alla successione di più
contratti.
individua nel contratto a tempo indeterminato la “forma comune” dei rapporti di lavoro sia
prevedendo un numero massimo di lavoratori che ciascun datore di lavoro può assumere a
tempo determinato, sia prevedendo un maggior onere contributivo per le assunzioni effettuate
a tempo determinato.
59. Il contratto di lavoro a tempo determinato
La conclusione del contratto di lavoro a tempo determinato non è più subordinata alla
condizione della sussistenza di specifiche ragioni. La legge, però, detta limiti e divieti di altra
natura, unitamente a specifiche disposizioni di tutela che tengono conto della particolare
posizione del lavoratore a tempo determinato. Anzitutto, tranne che nei rapporti di brevissima
Copia dell’atto scritto deve essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio
della prestazione. Inoltre, la legge prevede una durata massima sia in relazione ad ogni singolo
contratto sia in relazione all’ipotesi di una “successione di contratti” che intercorrano “tra lo
stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore”. In entrambe le ipotesi la durata non può essere
contratto in un contratto a tempo indeterminato dalla data in cui la durata massima risulti
superata. Diverse sono le finalità perseguite dalla legge mediante la previsione di tale durata
massima.
poiché il contratto di lavoro a tempo determinato non può essere risolto anticipatamente, se
non in presenza di una giusta causa. Nella stessa logica, la legge, pur escludendo dal suo campo
di applicazione i contratti di lavoro a tempo determinato con i dirigenti, stabilisce anche per
essi una durata massima (pari a 5 anni), facendo salvo, con norma di carattere eccezionale, il
giustificata dall’esigenza di attuare la direttiva comunitaria 1999/70, nella parte in cui questa
intende prevenire i rischi di “precarizzazione” del lavoratore derivanti dagli “abusi nell’utilizzo
di tale successione di contratti”. Il legislatore italiano ha precisato che, ai fini del computo di
tale durata massima, si sommano tra loro non solo tutti i rapporti di lavoro a tempo
determinato “intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore”, ma anche tutti i
periodi di missione svolti tra i medesimi soggetti nell’ambito di somministrazioni di lavoro a
tempo determinato.
Ai fini di tale computo, è irrilevante se tra i singoli rapporti di lavoro o periodi di missione vi
siano stati “periodi di interruzione”, ma è necessario che essi abbiano avuto ad oggetto lo
ed esclude del tutto dall’applicazione di tale limite le “attività stagionali”. Inoltre, con norma di
carattere generale, il legislatore consente che il limite dei 36 mesi possa essere superato con un
tempo indeterminato, non può superare la durata di 12 mesi e deve essere stipulato presso la
L’apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro è vietata: per sostituire lavoratori
che esercitano il diritto di sciopero; presso le unità produttive ove si sia proceduto, nei 6 mesi
precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavorati adibiti alle stesse
mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato (salvo il caso in cui tale
contratto sia conclusi per sostituire lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle
liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi); presso le unità produttive
ove si sia proceduto a sospensioni del rapporto o a riduzioni dell’orario di lavoro con diritto al
trattamento di integrazione salariale riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si
riferisce il contratto a tempo determinato; per i datori di lavoro che non effettuano la
originaria sia inferiore a 36 mesi. In ogni caso, non sono consentite più di 5 proroghe nell’arco
di 36 mesi, anche ove in tale arco di tempo sia stato stipulato più di un contratto a tempo
determinato.
Il verificarsi di una sesta proroga determina la trasformazione del contratto in contratto a
tempo indeterminato. Diversa dall’ipotesi della proroga del termine, è quella della
“riassunzione”, ossia di una nuova assunzione, a tempo determinato, che non può avvenire
prima che siano decorsi 10 giorni dalla scadenza del precedente contratto a termine (ove
questo abbia durata pari o inferiore a 6 mesi) o prima che ne siano decorsi 20 (ove il precedente
In ogni caso, l’obbligo di “intervallo” tra un contratto e l’altro non si applica ai lavoratori
impiegati nelle “attività stagionali”, nonché in altre “ipotesi” che possono essere individuate da
contratti collettivi. La continuazione di fatto del rapporto di lavoro dopo la scadenza del
termine determina l’applicazione di una maggiorazione retributiva pari al 20 per cento per i
nell’ipotesi in cui il rapporto prosegua per più di 30 giorni oltre la scadenza, in caso di durata del
contratto inferiore a 6 mesi, e per più di 50 giorni, in caso di contratto di durata pari o superiore
a 6 mesi. La legge fissa anche un “limite massimo al numero complessivo di contratti a tempo
Questo limite è pari al 20 per cento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato presso lo
stesso datore di lavoro. Sono esclusi dal limite suddetto alcune specifiche ipotesi di assunzioni
a termine che il legislatore ritiene di dover favorire, quali quelle che riguardano la “fase di avvio
anche per quanto riguarda la disciplina della proroga e delle riassunzioni), le “attività
contratti dei lavoratori assunti in violazione di tale limite non sono trasformati in contratti a
tempo indeterminato. A favore del lavoratore sono previsti diritti di precedenza nel caso di
nuove assunzioni da parte dello stesso datore di lavoro entro un anno dalla cessazione del
rapporto.
Per favorire la conoscenza e l’esercizio di tali diritti, essi devono essere espressamente
richiamati nell’atto scritto dal quale risulta l’apposizione del termine al contratto di lavoro. Il
(aziendali o unitarie) dei posti vacanti disponibili. Un primo diritto di precedenza, di portata più
generale, è riconosciuto a tutti i lavoratori assunti a tempo determinato che abbiano prestato
che siano effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi e che si riferiscano alle
stesse mansioni espletate dal lavoratore assunto a termine. Per le lavoratrici, inoltre, è previsto
non solo che il congedo di maternità concorra a determinare il periodo minimo di 6 mesi che fa
oggetto la precedenza anche nelle assunzioni che il datore di lavoro effettui a tempo
determinato (sempre con riferimento ai successivi 12 mesi e alle mansioni già espletate).
dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali”. Condizione per l’esercizio del
avvalersi di tale diritto. La comunicazione deve essere effettuata entro 3 mesi, per quanto
riguarda i lavoratori stagionali, o entro 6 mesi, negli altri casi, dalla data della cessazione del
inquadrati nello stesso livello della classificazione prevista dalla contrattazione collettiva.
60. Impugnazione e risarcimento del danno
l’accertamento della nullità del termine comportasse non solo il ripristino del rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, ma anche il diritto del lavoratore al risarcimento del danno.
Il danno, infine, veniva determinato tenendo conto delle retribuzioni perse nel periodo
intercorso dalla data della estromissione dal lavoro alla data dell’accertamento giudiziale della
nullità del termine, detraendo esclusivamente l’aliunde perceptum, ossia i redditi percepiti in
quel periodo per effetto dello svolgimento di altri rapporti di lavoro, e l’aliunde percipiendum,
ossia i redditi che avrebbe potuto percepire nello stesso periodo utilizzando l’ordinaria
Senonché, tali principi non tenevano conto di alcune peculiarità del rapporto di lavoro; e,
quindi, essi risultavano di difficile ed incerta applicazione, dando luogo ad esiti a volte
Inoltre, l’applicazione di quei principi aveva dato luogo ad una prassi poco edificante di differire
dall’accertamento della nullità del termine. Il legislatore è, quindi, intervenuto sia prevedendo
L’impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire entro 120 giorni dalla
cessazione del contratto stesso. Tale termine di decadenza è più ampio di quello previsto,
invece, per l’impugnazione del licenziamento e per altre fattispecie assimilate. Si è, infatti,
inteso concedere al lavoratore un periodo congruamente più lungo di quello stabilito come
“intervallo” minimo tra due contratti a termine successivi, consentendogli così di decidere se
impugnare o no il precedente contratto già cessato soltanto dopo aver potuto verificare se si è
entro 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale, il lavoratore deve proporre l’azione giudiziale
lavoratore, invece, nel caso di trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo
indeterminato, è stabilito dal giudice in una indennità la cui misura è “compresa tra un minimo
trattamento di fine rapporto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni
Tale indennità è onnicomprensiva e ristora ogni pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le
conseguenze derivanti dalla perdita della contribuzione che avrebbe potuto maturare ove il
rapporto di lavoro non si fosse interrotto a causa della scadenza del termine illegittimamente
apposto. Inoltre, il limite massimo di tale indennità è ridotto alla metà (e, quindi, è pari a 6 mesi
dell’ultima retribuzione) nel caso in cui siano stipulati contratti collettivi “che prevedano
l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratti a termine
È da dire che la previsione di un limite massimo al risarcimento spettante aveva suscitato sia
ravvisato, nella scelta del legislatore, “ragioni di utilità generale” riconducibili “alla avvertita
esigenza di una tutela economica dei lavoratori a tempo determinato più adeguata al bisogno di
certezza dei rapporti giuridici tra tutte le parti coinvolte nei processi produttivi, anche al fine di
superare le inevitabili divergenze applicative cui aveva dato luogo il sistema previgente”.
Per quanto riguarda i dubbi relativi alla coerenza con la disciplina comunitaria, anche essi non
sono condivisibili. È vero che la “discrezionalità” lasciata agli Stati membri nella definizione
determinato successivi “non è illimitata, poiché non può in alcun caso arrivare a pregiudicare lo
di lavoro a tempo indeterminato è, di per sé, la misura più idonea a realizzare lo scopo della
direttiva, che è quello di “evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti”
determinato successivi.
termine, in quanto essa: da un lato, prevede la “sanzione più incisiva che l’ordinamento possa
predisporre a tutela del posto di lavoro” (ossia la “trasformazione del rapporto lavorativo da
tempo determinato a tempo indeterminato”; d’altro lato, in aggiunta a tale sanzione, riconosce
al lavoratore anche una tutela di tipo risarcitorio, costituita da “una indennità di ammontare
certo” e di per sé non sproporzionato, se si tiene conto dei tempi abbreviati entro i quali il
nuovo regime dei termini di decadenza impone l’avvio dell’azione di accertamento della nullità
Ai sensi dell’articolo 2049 del codice civile, il contratto di lavoro subordinato intercorre,
tipicamente, tra il lavoratore e il titolare dell’impresa nella quale il primo presta la propria
interposizione, in base al quale l’imprenditore non poteva “affidare a propri dipendenti lavori a
medesimi”.
Questo specifico divieto fu, poi, ampliato e reso di portata generale ad opera della legge 1369
del 1960, che proibì qualsiasi forma di intermediazione nelle prestazioni di lavoro, sancendo la
regola che i prestatori di lavoro occupati in violazione del divieto “sono considerati, a tutti gli
intermediari, qualunque sia lo strumento utilizzato per eludere le proprie obbligazioni nei
L’evoluzione dei rapporti sociali ed economici ha evidenziato, però, alcune rigidità derivanti
dalla legge 1369 del 1960. L’attività di intermediazione nella fornitura di prestazioni di lavoro,
ove svolta professionalmente e regolata da idonee garanzia e cautele, può infatti costituire un
E così, è stata consentita anche in Italia, entro limiti e con condizioni rigorosamente
“somministrazione di lavoro”, che può essere sia a tempo indeterminato (cd. staff leasing) che a
dipendenti, i quali, per tutta la durata del periodo di messa a disposizione (“missione”),
Possono essere autorizzati soltanto i soggetti che dimostrino di essere in possesso dei rigorosi
requisiti giuridici e finanziari richiesti dalla legge a garanzia di serietà e solvibilità. Nonostante
la possibilità del suo utilizzo, nel corso degli ultimi anni, è stata gradualmente estesa.
Attualmente, per il ricorso alla somministrazione, così come per il contratto di lavoro a tempo
determinato, la disciplina non richiede più alcuna giustificazione “causale” e prevede un limite
esclusivamente quantitativo.
I lavoratori somministrati a tempo indeterminato, infatti, non possono eccedere il 20% dei
per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso le unità produttive ove si
sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato
lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione (salvo il
caso in cui tale contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o
abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi); presso le unità produttive ove si sia
trattamento di integrazione salariale riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si
Inoltre, la legge detta regole con riguardo sia al contenuto del contratto di somministrazione,
elementi, tra i quali assumono particolare rilievo gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al
della somministrazione.
a tali elementi, insieme dalla data di inizio ed alla durata presumibile della missione, all’atto
stesso della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio in missione. Per
quanto riguarda il rapporto di lavoro con l’agenzia di somministrazione, ai lavoratori assunti a
Le uniche disposizioni speciali prevedono: che i lavoratori hanno diritto ad una indennità di
disponibilità per i periodi in cui essi rimangono in attesa di essere inviati in missione, nella
inferiore all’importo fissato con decreto ministeriale; che non si applicano le disposizioni in
indeterminato abbia cessazione. Nel caso, invece, di assunzione con contratto di lavoro a
tempo determinato si applica la disciplina che regola tale contratto, ma con importanti
eccezioni.
proroga del termine, per la quale è richiesto il consenso del lavoratore e l’atto scritto, è
consentita nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal
somministratore. Una disciplina specifica regola, poi, i diritti e gli obblighi delle parti in
dell’utilizzatore, ivi compresa la fruizione dei servizi sociali e assistenziali di cui questi ultimi
eventualmente godano. I contratti collettivi possono, inoltre, stabilire modalità e criteri per la
Nella loro posizione di dipendenti delle agenzie di somministrazione, inoltre, essi restano
tito0lari di tutti i diritti sindacali previsti dalla legge 300 del 1970. Sul somministratore, quale
datore di lavoro, gravano tutti gli obblighi retributivi e contributivi, ma, a garanzia della
soddisfazione dei crediti del lavoratore, è prevista l’obbligazione solidale dell’utilizzatore, con
diritto di rivalsa nei confronti del somministratore che non abbia adempiuto.
Il somministratore ha, altresì, l’obbligo di informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la
prevenzione e protezione previsti dalla legge e dal contratto collettivo. L’utilizzatore risponde
in via esclusiva delle conseguenze derivanti dall’adibizione del lavoratore a mansioni di livello
superiore o inferiore (e, cioè, del diritto avente ad oggetto, rispettivamente, le differenze
retributive o il risarcimento del danno), salvo che di tale adibizione abbia dato immediata
Risponde, altresì, dei danni che il lavoratore abbia arrecato a terzi nello svolgimento delle sue
infrazioni compiute dal lavoratore devono essere comunicate al somministratore perché questi
possa formulare la contestazione. È sancita la nullità di ogni clausola diretta a limitare, anche
missione, salvo il caso in cui allo stesso lavoratore sia corrisposta una adeguata indennità
gravità della violazione, sanzioni penali ed amministrative. Inoltre, per quanto riguarda le
conseguenze sul rapporto di lavoro, la mancanza della forma scritta del contratto di
La violazione, invece, delle disposizioni relative ai limiti quantitativi, alle ipotesi di divieto della
contributi si intendono effettuati dall’utilizzatore. Allo stesso modo, gli atti relativi alla
costituzione e alla gestione del rapporto, i quali siano stati compiuti o ricevuti dal
mancanza della forma scritta del contratto, la richiesta della costituzione del rapporto di lavoro
a quelli previsti nel caso di richiesta di trasformazione del contratto a tempo determinato in
Il termine di decadenza per l’impugnazione, che può essere proposto anche con atto
stragiudiziale, è, però, di 60 giorni e decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere
la propria attività presso l’utilizzatore, essendo, quindi, irrilevante che abbia proseguito o no il
rapporto con il somministratore. Identici, invece, sono sia l’importo minimo e massimo
dell’indennità spettante a titolo di risarcimento del danno, sia la sua funzione di integrale
prestazioni di lavoro. A questi fini, il legislatore ha precisato che gli elementi idonei a
distinguere l’appalto di cui all’articolo 1655 del codice civile (che ha ad oggetto la realizzazione
di opere o servizi, e non già la fornitura di mere prestazioni di lavoro) dalla somministrazione di
lavoro sono due: da un lato, l’organizzazione dei mezzi necessari per l’esecuzione dell’opera o
del servizio deve essere predisposta e gestita dall’appaltatore; d’altro lato, il rischio di impresa,
relativo all’esecuzione dell’opera o del servizio, deve essere assunto dall’appaltatore stesso.
lavoratore può chiedere la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che
Il contratto di lavoro a tempo parziale, di cui è richiesta la forma scritta ai fini della prova, può
essere stipulato sia a tempo indeterminato che determinato, e si caratterizza per la previsione
di un orario di lavoro ridotto rispetto al normale orario individuato ai sensi dell’articolo 3 del
decreto legislativo 66 del 2003. Tale riduzione può essere effettuata riducendo l’orario di ogni
singola giornata lavorativa (cd. part time “orizzontale”), ovvero prevedendo l’alternanza di
giorni di lavoro con orario pieno e giorni di non lavoro (cd. part time “verticale”), ovvero ancora
prevedendo una combinazione tra le due forme, e cioè prevedendo sia periodi di riduzione
dell’orario giornaliero di lavoro, sia periodo di non lavoro (cd. part time “misto”).
In tutte e tre le ipotesi, è necessario che nel contratto vi sia la “puntuale indicazione della
durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al
giorno, alla settimana, al mese e all’anno”. Nella ipotesi di organizzazione del lavoro articolata in
turni, è consentito che tale indicazione sia ricavabile “mediante rinvio a turni programmati di
quindi, non possono essere stabilite e variate, ad arbitrio del datore di lavoro, durante lo
stabilite possano essere modificate nel corso del rapporto, entro limiti ed a condizioni
“supplementare”, ossia ore di lavoro svolto oltre l’orario concordato tra le parti (ma pur sempre
contenute entro l’orario normale di lavoro stabilito per i lavoratori a tempo pieno).
Tali prestazioni possono essere richieste dal datore di lavoro “nel rispetto di quanto previsto
dai contratti collettivi”, o, nel caso in cui questi non prevedano una disciplina del lavoro
supplementare, “in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali
concordate”. In questa ultima ipotesi, il lavoratore può, comunque, rifiutarsi di svolgere il lavoro
supplementare richiesto ove sussistano comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari, o
retributiva.
ossia ore di lavoro svolto oltre l’orario normale previsto per i lavoratori a tempo pieno, nei limiti
e alle condizioni previste dal decreto legislativo 66 del 2003. Anche il lavoro straordinario deve
essere compensato con una specifica maggiorazione retributiva. Infine, le parti del contratto di
lavoro a tempo parziale possono stipulare, con atto scritto, clausole c.d. “elastiche”, con le quali
Nel caso in cui l’utilizzo di tali clausole sia disciplinato dal contratto collettivo applicabile, le
parti sono tenute ad osservare tale disciplina, fermo restando che la comunicazione di
variazione della collocazione temporale o della durata della prestazione deve avvenire con un
preavviso di due giorni lavorativi e che il lavoratore ha diritto ad una specifica compensazione.
Nel caso in cui, invece, manchi la disciplina sindacale, le clausole in questione possono essere
pattuite dalle parti, sempre in forma scritta, avanti alle commissioni di certificazione.
In tale ipotesi, le parti stesse devono prevedere, a pena di nullità, le condizioni e le modalità di
esercizio del potere attribuito al datore di lavoro, nonché la misura massima dell’aumento
dell’orario di lavoro. Le modifiche dell’orario devono essere, in ogni caso, remunerate con una
specifica maggiorazione retributiva. Il consenso prestato dal lavoratore alla clausola elastica
non può essere revocato, tranne ove ricorrano specifiche ipotesi regolate dalla legge.
Al lavoratore a tempo parziale sono riconosciuti i medesimi diritti del lavoratore a tempo pieno,
salvo il riproporzionamento dei trattamenti economici e normativi in base alla “ridotta entità
della prestazione lavorativa”. Per quanto riguarda alcuni istituti (periodo di prova, periodo di
preavviso in caso di recesso, periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed
infortunio), i contratti collettivi possono prevedere una modulazione della loro durata “in
solo è consentito che le parti coordino la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno
in rapporto a tempo parziale, con la sola condizione che l’accordo risulti da atto scritto, ma è
anche previsto l’obbligo del datore di lavoro di informare il personale a tempo pieno della
diritto, o una priorità, alla trasformazione del rapporto, nonché il diritto di ottenere
lavoratori il cui rapporto sia stato trasformato da tempo pieno in tempo parziale hanno diritto
di precedenza nel caso di assunzioni successivamente effettuate dal datore di lavoro per
A protezione della libertà della scelta del lavoratore, è previsto che non costituisce giustificato
profilo sanzionatorio, è previsto che, ove manchi la prova della stipulazione a tempo parziale
rapporto a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla pronunzia giudiziale, il
rese.
Analoghe conseguenze sono previste anche nel caso in cui il contratto, pur stipulato in forma
scritta, non contenga la determinazione della durata della prestazione di lavoro. In questo caso,
periodo antecedente alla pronunzia con la quale il giudice dichiara la sussistenza tra le parti del
rapporto a tempo pieno. Ove, invece, le parti abbiano determinato per iscritto la durata, ma
lavoratore può richiedere che la collocazione temporale venga determinata dal giudice, il quale,
a tal fine, tiene conto delle responsabilità familiari del lavoratore e della sua necessità di
svolgere altre attività retribuite, nonché delle esigenze del datore di lavoro.
Anche in tale ipotesi, per le prestazioni rese sino alla pronunzia giudiziale, è previsto il diritto
alla retribuzione ed al risarcimento del danno. Il risarcimento del danno spetta, altresì, al
lavoratore nell’ipotesi in cui egli abbia svolto le sue prestazioni in esecuzione di clausole
elastiche, senza che siano stati osservati i limiti, le condizioni e le modalità previste dalla
disciplina legale e sindacale. Va, infine, rilevato che il contratto di lavoro a tempo parziale può
a tempo parziale da parte dei lavoratori prossimi alla pensione di vecchiaia. Ed infatti, ove i
retribuzione entro il limite massimo del trattamento retributivo percepito prima della
riduzione dell’orario di lavoro. Tale beneficio è subordinato alla condizione che i lavoratori di
cui trattasi accettino di svolgere una prestazione di lavoro di durata non superiore alla metà del
suo utilizzo è consentito soltanto nei casi in cui ricorrano specifiche “esigenze” giustificative, la
cui individuazione è affidata ai contratti collettivi (i quali possono fare riferimento, a tal fine,
settimana, del mese o dell’anno”) o, in mancanza, al Ministero del lavoro. Il contratto di lavoro
intermittente, peraltro, può soddisfare, oltre che obiettive e reali esigenze produttive, anche
finalità occupazionali.
E così la legge prevede che è sempre consentito l’utilizzo di tale contratto per assumere
lavoratori che abbiano più di 55 anni o meno di 24 anni di età (fermo restando che le
prestazioni di questi ultimi non possono più essere svolte dal raggiungimento del
prestazione di lavoro non può più essere considerata svolta “in modo discontinuo ed
intermittente”.
Infatti, ove vengano svolte più di “quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni”,
soltanto nei settori del terziario, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, a ragione delle
alle singole richieste di prestazioni formulate dal datore di lavoro in base alle proprie esigenze
intermittenti e discontinue. Ove tale obbligo non sia previsto, il lavoratore non ha diritto ad
alcun trattamento economico e normativo nei periodi in cui la sua prestazione di lavoro non
viene utilizzata.
Nel caso in cui, invece, l’obbligo di disponibilità sia stato previsto, al lavoratore spetta una
forma scritta ad probationem, il luogo e le modalità della disponibilità garantita dal lavoratore,
nonché il “preavviso di chiamata” che non può essere inferiore ad un giorno. Tale disciplina
consente di ritenere che il contratto di lavoro intermittente non realizzi una lesione della
Ed infatti, nel caso in cui non sia previsto l’obbligo di disponibilità, il lavoratore resta
pienamente libero di organizzare il suo tempo libero; nel caso in cui l’obbligo sia previsto, le
soprattutto, il vincolo assunto dal lavoratore è compensato da uno specifico corrispettivo, la cui
misura è determinata dai contratti collettivi e, comunque, non può essere inferiore all’importo
fissato dal Ministero del lavoro. L’obbligo di disponibilità eventualmente assunto dal lavoratore
comporta anche l’obbligo di informare tempestivamente il datore di lavoro degli eventi che gli
per 15 giorni, mentre il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può comportare il
modalità della disponibilità eventualmente garantita, anche altri elementi, quali: la durata e le
ragioni che ne hanno consentito la stipulazione; le modalità che il datore di lavoro deve
La legge non prevede quali conseguenze derivino dalla mancanza di tali indicazioni o della
prova scritta che esse abbiano formato oggetto di pattuizione. È da ritenere, tuttavia, che, in
tali ipotesi, mancando gli elementi (o la prova degli elementi) che caratterizzano il lavoro
subordinato assoggettato alla disciplina generale per esso dettata. Al fine di consentire il
controllo sulla regolarità dell’impiego del lavoratore intermittente, il datore di lavoro è tenuto
a comunicare alla direzione territoriale del lavoro la durata delle singole prestazioni richieste
Anche per il lavoro intermittente, infine, sono previsti un divieto e un principio di non
lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; per i datori di lavoro che non effettuano la
“valutazione dei rischi”; per le unità produttive che procedono, nei sei mesi precedenti, a
licenziamenti collettivi ovvero a sospensioni del rapporto o a riduzioni dell’orario di lavoro con
trattamento economico e normativo che, per i periodi lavorati, non può essere
effettivamente eseguita. Allo stesso modo, ai fini dell’applicazione delle disposizioni che
attribuiscono rilievo alle dimensioni dell’organico dell’impresa, i lavoratori di cui trattasi sono
semestre”.
L’apprendistato ha origini risalenti e già il Codice Civile lo regolava come un rapporto “speciale”
frequenti i corsi per la formazione professionale” e di “destinarlo soltanto ai lavori attinenti alla
specialità professionale cui si riferisce il tirocinio”. La disciplina dettata, poi, dalla legge 25 del
causa mista, in quanto alle obbligazioni che realizzano lo scambio tra lavoro e retribuzione, si
giovanile, il legislatore ha ritenuto che l’apprendistato non fosse uno strumento sufficiente a
darvi soluzione. Fu, così, introdotto un nuovo e distinto modello contrattuale, denominato
La previsione di alcuni di tali benefici fu ritenuta in contrasto con la disciplina comunitaria della
per tutti i datori di lavoro privati, ritenendo di poterlo sostituire con una profonda riforma
dell’apprendistato. A tal fine, venivano individuate tre diverse tipologie di apprendistato, che
avrebbero dovuto soddisfare esigenze formative diverse, al fine di favorire la diffusione in tutti
i settori economici e, nel contempo, di realizzare un collegamento tra il sistema dell’istruzione e
Di fatto, l’apprendistato non ha avuto, e non ha tuttora, la diffusione auspicata. Appare, quindi,
oggi ben distante dalla realtà l’incauta dichiarazione del legislatore di considerarlo la “modalità
prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”. La disciplina vigente definisce
l’apprendistato “un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla
occupazione dei giovani”, confermando così che si tratta di un contratto a causa mista, nel
quale, però, assume esplicitamente rilevanza non soltanto la tradizionale finalità formativa, ma
È, inoltre, confermato che l’apprendistato può articolarsi in tre diverse tipologie, che sono oggi
La prima e la terza tipologia sono dirette a realizzare un sistema cd. “duale” di integrazione
organica tra la formazione e lavoro ai fini dell’acquisizione dei titoli di istruzione e formazione e
delle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all’articolo 8 del
“conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali”, ossia ai fini previsti dai
Il contratto deve contenere, almeno “in forma sintetica”, il piano formativo individuale, definito
“anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti
bilaterali”. Per la prima e la terza tipologia, tale piano formativo è predisposto direttamente
dalla istituzione formativa interessata, sia pure “con il coinvolgimento dell’impresa”. La durata
del contratto non può essere inferiore a 6 mesi, salva la possibilità, nelle prime due tipologie, di
applicazione la disciplina che limita il potere di licenziamento del datore di lavoro e sanziona
l’illegittimo esercizio di tale potere. È precisato, al riguardo, che, nella prima e terza tipologia, il
mantenere tra le caratteristiche del modello contrattuale una flessibilità che non è assicurata
dal modello standard, le parti sono libere di recedere dal contratto, dandone preavviso con
contratti collettivi nazionali di lavoro, tenuti, però, ad attenersi, ai seguenti principi: divieto di
retribuzione a cottimo; possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto
possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali per il tramite dei fondi paritetici
contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi e nei percorsi di
professionale ai fini contrattuali eventualmente acquisita nel “libretto formativo del cittadino”;
forme e modalità per la conferma in servizio, come condizione per procedere ad ulteriori
assunzioni di apprendisti.
anche se limitata, in questo caso, alla sola forma della somministrazione a tempo
indeterminato. Il numero complessivo di apprendisti non può superare il rapporto di 3 a 2
Tuttavia: nel caso di datori di lavoro che occupino meno di 10 lavoratori, il numero degli
apprendisti non può superare quello delle predette maestranze; nel caso di datore di lavoro che
non abbia lavoratori qualificati o specializzati, o ne abbia in numero inferiore a 3, gli apprendisti
possono essere assunti in numero non superiore a 3. Inoltre, salvi diversi limiti previsti dai
contratti collettivi, è previsto che i datori di lavoro con più di 50 dipendenti possono assumere
nuovi apprendisti con contratto professionalizzante a condizione che, nei 36 mesi precedenti,
abbiano proseguito il rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato con almeno il
Nel caso la percentuale non sia stata rispettata, è consentita l’assunzione di un solo
disposizioni sono considerati ordinari” lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla
data di costituzione del rapporto. Per ciascuna delle tre diverse tipologie di apprendistato sono
dettate, poi, disposizioni specifiche che regolano i limiti di età dei soggetti che possono essere
formative previste, a seconda che queste siano svolte all’esterno o all’interno dell’azienda.
Per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni, gli standard formativi sono definiti con
decreto ministeriale, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Numerosi e incisivi sono i benefici con i
quali la legge intende promuovere la diffusione dell’apprendistato. C’è la possibilità del "sotto
all’anzianità di servizio.
l’apprendistato di alta formazione e ricerca, le ore di formazione a carico del datore di lavoro
sono retribuite con un importo pari al 10% di quello che sarebbe dovuto, mentre è escluso ogni
Va ricordato, infine, che per l’assunzione dell’apprendista sono riconosciuti anche benefici
apprendistato, sono mantenuti per un anno dopo il predetto termine. Sotto il profilo
del datore di lavoro e sia tale da impedire la realizzazione delle finalità dell’apprendistato,
tempo indeterminato.
Inoltre, tale inadempimento comporta l’obbligo del datore di versare agli istituti previdenziali il
doppio della differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di
l’inadempimento da parte del datore di lavoro nella erogazione della formazione è rilevato dal
personale ispettivo del Ministero del lavoro mentre il periodo di apprendistato è ancora in
corso, il personale stesso provvede ad impartire le disposizioni necessarie per porvi rimedio,
del contratto, è punita con sanzioni amministrative. Gli apprendisti sono esclusi dal computo
dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi di lavoro per l’applicazione di particolari
Per far emergere anche attività lavorative occasionali, svolte solitamente nella più assoluta
informalità, è stata dettata una disciplina molto semplificata per le cd. “prestazioni di lavoro
accessorio”. Disciplina che prevede che il lavoratore venga retribuito esclusivamente mediante
ripetuti interventi, il decreto legislativo 81 del 2015 ha ora ridefinito il campo di applicazione
dell’istituto, stabilendo che le prestazioni di lavoro accessorio non possono dare luogo a
compensi che superino l’importo complessivo di settemila euro nel corso di un anno civile,
Sono, poi, aggiunte ulteriori restrizioni nel caso in cui il committente sia un imprenditore
superiore a duemila euro l’anno), nonché in relazione alle attività agricole. Nel caso di
di tremila euro l’anno, anche esso rivalutabile. Di contro, il ricorso al lavoro accessorio è vietato
territoriale del lavoro, mediante modalità telematiche, l’inizio della prestazione di lavoro
accessorio, indicando il luogo ove questa sarà svolta “con riferimento ad un arco temporale non
È stato obiettato, nei confronti del lavoro accessorio, che esso possa comportare un impegno
lavorativo così ridotto da offendere la dignità del lavoratore e da produrre effetti negativi
anche sul piano macroeconomico. Si deve replicare ricordando che l’eliminazione delle
opportunità di svolgere lavori che non siano a tempo pieno ed ininterrotto non comporta
Il lavoro può essere prestato anche nell’esecuzione di altri tipi contrattuali, diversi dal
prescinde dall’esercizio abituale dell’attività lavorativa da parte del prestatore di opera e non
In particolare, non viene operato alcun riferimento all’ipotesi dello svolgimento di più opere o
servizi tra loro collegati e, tantomeno, all’ipotesi in cui la pluralità di opere o servizi sia resa
da quello soddisfatto con la prestazione della singola opera o del singolo servizio o con la mera
reiterazione di più opere o più servizi isolatamente considerati. Il lavoro autonomo, inoltre, può
essere svolto nell’ambito di taluni dei contratti aventi “disciplina particolare” nel libro IV.
Tra questi, va ricordato il contratto di agenzia, ove è evidente la considerazione del profilo
categoria degli agenti, infatti, è storicamente nata come esternalizzazione di una fase del ciclo
produttivo dell’impresa. Si consideri che la stessa relazione al Codice Civile osservava che, in
considerazione della “stabile collaborazione che l’agente presta all’impresa del preponente”,
egli “costituisce un vero e proprio ausiliario” di questi, “anche se ha certi tratti di autonomia che
lavoro autonomo, diversi dall’agenzia, caratterizzati anche essi dalla collaborazione funzionale
all’impresa di altri prestata non in modo subordinato. In particolare, è stata individuata e presa
coniato il termine di “parasubordinati”, proprio per alludere al fatto che essi si trovano in una
associativa, nell’ambito dei quali la prestazione delle parti è diretta al conseguimento di uno
scopo comune. Così avviene nel rapporto dei soci che possono conferire la propria attività di
lavoro nelle società di persone a scopo di lucro, o, più frequentemente, nelle società
lavorativa.
In tutti questi casi, l’implicazione del lavoro in tipi contrattuali diversi dal contratto di lavoro
subordinato pone due esigenze. La prima esigenza è quella di offrire una tutela adeguata anche
alla persona che presta lavoro in esecuzione di tali contratti, tenuto conto che il lavoro deve
essere tutelato “in tutte le sue forme ed applicazioni”. La seconda esigenza è quella di impedire
che tali tipi contrattuali vengano utilizzati in modo scorretto, per mascherare, attraverso una
simulazione o una frode alla legge, rapporti di lavoro aventi in concreto natura subordinata.
68. L’esigenza protettiva del lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”
Con riguardo all’esigenza di offrire una tutela adeguata anche alla persona che presta un lavoro
di natura non subordinata, va ricordata, anzitutto, l’estensione della tutela pensionistica per
lavoratori autonomi per i quali non operino altre forme previdenziali pubbliche. Il legislatore ha
previsto che anche i lavoratori autonomi, oltreché i liberi professionisti e i soci lavoratori di
società cooperative, possono beneficiare del neoistituito secondo “pilastro” del sistema
Con riguardo ai lavoratori autonomi, vanno segnalati quegli interventi legislativi che
provvedono alla promozione della loro formazione professionale e dell’avvio di nuove iniziative
disoccupazione.
Tali interventi sono particolarmente significativi perché perseguono, come “scopo esclusivo” la
l’azione della “Repubblica” nella direzione dell’attuazione del diritto al lavoro non debba essere
maggiore da parte del legislatore è stata, però, rivolta nei confronti dei lavoratori
Per i lavoratori parasubordinati è stata nel tempo prevista: la necessità di assicurare minimi di
l’applicazione del processo del lavoro e della disciplina relativa all’invalidità delle rinunzie e
delle transazioni aventi ad oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e di
accordi collettivi; l’estensione, oltreché della tutela pensionistica, anche di quella per la
maternità, per gli assegni familiari e contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
Per i lavoratori soci di cooperative, il legislatore ha stabilito che tra cooperativa e socio,
restando che quest’ultimo può essere instaurato “in forma subordinata o autonoma o in
qualsiasi altra forma”. Inoltre, al socio che abbia ricondotto la sua prestazione nell’ambito di un
contratto di lavoro subordinato sono stati estesi molti dei diritti “individuali e collettivi”
minimi previsti, “per prestazioni analoghe”, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore
o della categoria affine. Infine, qualunque sia la forma del rapporto di lavoro, i soci di
cooperativa sono sostanzialmente equiparati ai lavoratori subordinati dal punto di vista della
vigilanza sulla corretta osservanza della disciplina di legge, con l’applicazione del connesso
Gli interventi del legislatore sono stati di diversa natura. In alcuni casi, sono stati introdotto
limiti di natura formale all’impiego di tali contratti, utili per agevolare sia l’attività di vigilanza,
che l’eventuale azione giudiziale da parte del lavoratore in caso di abuso. In altri casi, sono stati
introdotti limiti sostanziali, dettando una disciplina più restrittiva del tipo legale.
I rapporti di lavoro parasubordinato non sono riconducibili ad un tipo legale di contratto, ossia
ad un tipo che abbia una sua “disciplina particolare”. Essi costituiscono una fattispecie che
comprende una pluralità di contratti tipici e atipici, il cui tratto comune è costituito dalle
continuativa hanno avuto una ulteriore, notevole diffusione. Ma, proprio perché essi hanno
alcuni tratti caratterizzanti comuni al contratto di lavoro subordinato, il loro utilizzo è stato
natura subordinata. Il legislatore ha previsto, quindi, a partire dal 2003, che le collaborazioni
coordinate e continuative fossero consentite soltanto ove risultassero conformi alla disciplina
“collaborazione coordinata e continuativa” che non fossero riconducibili ad “uno o più progetti
specifici, programmi di lavoro o fasi di esso”. Senonché, la disciplina del 2003 non è stata
possibilità del ricorso al lavoro a progetto. In particolare, il legislatore ha stabilito che “il
progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi” e che,
considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto” allorché
l’attività del collaboratore sia svolta “con modalità analoghe” a quella svolta dai dipendenti del
committente.
qualsiasi attività lavorativa può essere svolta sia in modo subordinato che autonomo, e, d’altro
lato, consideravano di lavoro subordinato anche attività svolte con modalità soltanto
“analoghe” e, quindi, diverse da quelle che caratterizzano la prestazione svolta dai lavoratori
subordinati. Allo stesso tempo, la legge 92 del 2012 aveva dettato disposizioni volte ad
ostacolare un ulteriore fenomeno che si era diffuso per aggirare i vincoli del lavoro a progetto,
e, cioè, le cd. prestazioni con “fattura”, ossia le prestazioni lavorative rese “da persona titolare di
Con riguardo a tali prestazioni, era stata prevista una presunzione legale, sia pure relativa, per
effetto della quale, in presenza di determinati elementi, esse potevano essere considerate
71. Dal contratto di lavoro a progetto alle collaborazioni “organizzate” dal committente
Il decreto legislativo 81 del 2015 ha abrogato la disciplina che regolava il contratto di lavoro a
progetto e, con essa, le norme sulle prestazioni con “fattura”. Allo stesso tempo, il legislatore ha
previsto condizioni di favore per i datori di lavoro che, a decorrere dal 1 gennaio 2016,
nonché di soggetti titolari di partita IVA con cui abbiano intrattenuto rapporti di lavoro
autonomo.
Il legislatore ha, però, stabilito che “resta salvo quanto disposto dall’articolo 409” del codice di
procedura civile, ossia la disposizione che ricomprende nel campo di applicazione del processo
superamento della disciplina del contratto di lavoro a progetto, deriva una situazione analoga a
quella anteriore all’emanazione di tale disciplina, in base alla quale l’autonomia negoziale è
libera di stipulare contratti atipici di collaborazione continuativa e coordinata, che non abbiano
carattere subordinato.
continuative non possono essere espunte dall’ordinamento, poiché esse, anche se spesso
lavoro subordinato e soddisfano esigenze reali diverse da quelle che il contratto di lavoro
avesse compresso in modo così rilevante l’autonomia privata, il legislatore si è, però, trovato
nuovamente di fronte al problema di partenza, e cioè come evitare l’abuso nell’utilizzo delle
A tale problema ha ritenuto di dare soluzione prevedendo che la normale disciplina del
bensì siano “organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di
lavoro”.
Tale disposizione ha dato luogo a diverse interpretazioni. Secondo alcuni, essa, prevedendo
l’applicazione della “normale disciplina del rapporto di lavoro subordinato”, avrebbe modificato
personale che siano “organizzate dal committente anche per quanto riguarda i tempi e il luogo
di lavoro”. Senonché, tale interpretazione mal si concilia con le parole utilizzate dal legislatore,
in base alle quali la disciplina del rapporto di lavoro subordinato “si applica anche” ai rapporti di
Inoltre, tale interpretazione non tiene conto del criterio ermeneutico che impone di preferire il
che lo stesso decreto legislativo 81 del 2015 prevede alcune ipotesi nelle quali le collaborazioni
di cui trattasi, pur comportando una prestazione di lavoro personale organizzata dal
Pertanto, non può essere condivisa l’interpretazione secondo cui sarebbe stata modificata
subordinato un trattamento diverso da quello che spetterebbe per legge. Per le stesse ragioni,
non può essere condivisa nemmeno l’ulteriore tesi interpretativa, secondo cui il legislatore non
decreto legislativo 81 del 2015 abbia la finalità di contrastare gli abusi, assicurando nel
hanno evidenti analogie con il lavoro subordinato. Alla luce di tale conclusione, peraltro, si pone
Si deve, allo stato, rilevare che la dottrina non ha ancora elaborato una compiuta e
soddisfacente ricostruzione del nuovo elemento della “organizzazione” utilizzato dalla legge. In
via di prima approssimazione, si può, però, affermare che la “organizzazione” del committente
della prestazione di lavoro, diversa e più intensa di quella costituita dal mero “coordinamento”
e che tale ingerenza deve avere ad oggetto “anche i tempi e il luogo di lavoro”.
presente che quest’ultima riguarda “anche” modalità di esecuzione della prestazione, consente
e modificare, di volta in volta e sulla base delle mutevoli esigenze del creditore della
confermato che l’assoggettamento a tale ultimo potere è l’esclusivo elemento discretivo della
subordinazione.
Lineare è stata la tendenza di sfavore espressa dalla legge, a partire dal 2003, nei confronti
dell’impiego del lavoro nell’ambito dei rapporti di associazione in partecipazione. Con il primo
intervento, espressamente motivato dal “fine di evitare fenomeni abusivi”, era stato previsto
che, “senza una effettiva partecipazione e adeguate erogazioni”, il lavoratore avrebbe avuto
diritto all’applicazione dei trattamenti legali e sindacali previsti per il lavoro subordinato.
Nel 2012, il legislatore aveva, poi, introdotto tre presunzioni legali “relative” dell’esistenza di
un rapporto di lavoro subordinato, le quali operavano, rispettivamente, nel caso in cui “non vi
sia stata un'effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare”, nel caso
in cui non vi sia stata “consegna del rendiconto previsto dall’articolo 2552 del codice civile” e
nel caso in cui l’apporto di lavoro non sia connotato da particolari professionalità.
Inoltre, veniva modificata la stessa disciplina codicistica, prevedendo che non è consentito
associare in partecipazione più di tre associati che apportino una prestazione di lavoro, salvo
che si tratti di soggetti legati all'associazione da rapporto coniugale, di parentela (entro il terzo
grado) o di affinità (entro il secondo). Nel 2015, è stato ora previsto che l’apporto dell’associato
in partecipazione, ove questi sia una persona fisica, non può consistere “nemmeno in parte, in
più utilizzabile da persone fisiche per disporre della propria attività lavorativa.