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1 ediz. Vasari dà importanza all’architettura più che alla pittura e alla scultura perché l’architettura è più
vicina alle arti liberali (a questa data le arti sono ancora meccaniche e molto cambierà nel corso dei decenni
a partire proprio da questa data).
Rilegata in due volumi: 1 = prima e seconda parte delle vite; 2 = terza parte. Vasari infatti divise in tre età,
stili o maniere.
2 ediz. Vasari ricorda anche la sua attività di architetto perché accresce il suo prestigio personale. La
Giuntina è un libro doppio rispetto alla Torrentiniana (1° ediz.). Vasari ricorda l’inserimento dei ritratti degli
artisti e l’aggiunta delle biografie degli artisti deceduti nell’arco temporale dalla 1° ediz. fino alla 2°, ma
anche l’aggiunta di artisti viventi, cioè artisti che per ragione di decoro Vasari aveva considerato
inopportuno includere (l’inclusione dei ritratto è un progetto che risale già alla prima genesi del libro ma
per ragione di costi e di tempo non poté realizzare questo progetto).
Gli indici permettevano di utilizzare il libro come se fosse una guida artistica (si potevano trovare tutti i dati
relativi ad un singolo monumento) (sono9 29 pagine di indici). Significativo è che nel ‘600 e ancora nel ‘700
gli eruditi e gli intendenti d’arte utilizzassero la 1° ediz e non la 2° perché, anche se incompleta, era più
agevole e leggera da portare in giro.
Vasari, nella 2° ediz, incluse anche la sua vita, la cosiddetta autobiografia.
Nel passaggio tra la 1° e la 2° ediz ci sono delle varianti che potremmo definire generali: miglioramento
dello stile; eliminazione di quegli aspetti più letterari del libro (aneddoto); riduzione drastica degli epitaffi
Il principio delle Vite è quello di un’accumulazione di informazioni, è un criterio di esaustività che riguarda
fatti storico artistici e sempre meno aspetti letterari dello scritto.
In questa edizione manca la biografia di Tiziano, fatto che scatenò forti polemiche soprattutto in Veneto.
Quella di Leon Battista Alberti fu una delle ultime biografie ad essere inserita nel libro.
Cristoforo Gherardi, collaboratore di Vasari, era ritenuto un soggetto pericoloso all’interno della cerchia
medicea.
Problemi vasariani:
1) Genesi del libro: sappiamo pochissimo di come il libro fu ideato e scritto. Nella 2° ediz. Vasari racconta
che l’idea del libro prese forma ad una cena estiva nel 1546 nel palazzo della Cancelleria con il cardinale
Alessandro Farnese e altri letterati romani tra cui il suo amico e protettore Paolo Giovio. Non è chiaro
quando e come Vasari iniziò a scrivere il libro; ancor meno chiaro è come riuscì ad accumulare così tante e
precise informazioni sugli artisti.
2) Paternità del libro. Questo problema si intreccia a quello della genesi. Se prestiamo fede al racconto di
Vasari, cioè se iniziò a scrivere il libro nel 1546 e sappiamo che una prima metà del libro era già pronta nella
primavera-estate del 1547, allora ci chiediamo come fu possibile per Vasari scrivere così bene e così tanto
in così poco tempo. Si apre così un fronte (Bottari e altre polemiche più recenti) che hanno dubitato della
sola paternità vasariana del libro; un altro fronte, quello che ritiene le Vite solo ed esclusivamente di Vasari,
invece ritiene l’aneddoto della Cancelleria (inizio del 1546) dubbio; altre testimonianze attestano l’inizio
delle Vite almeno 10 anni prima della pubblicazione.
3) Le fonti. Cioè a quali fonti Vasari attinse.
Come faceva un artista come Vasari a raccogliere tante informazioni? È un’opera straordinaria da questo
punto di vista e le fonti non spiegano tanta dovizia di informazioni.
Ipotesi che Vasari abbia consultato le fonti scritte in un’ultima fase, quando aveva già scritto una prima
versione del libro (quindi le fonti scritte hanno svolto un ruolo marginale nella genesi del libro).
4) Vasari e la questione della lingua. Scrittura del libro dal punto di vista linguistico.
Vasari afferma di non aver voluto scrivere come un letterato perché non è un letterato di professione,
afferma di aver scritto con i mezzi che aveva, con la lingua in uso tra gli artisti (ha scritto come un artista e
non come un letterato). Emerge, nel contesto che riguarda il dibattito sulla lingua, una straordinaria
coincidenza tra la professione di Vasari e la posizione dei letterati medicei, amici di Vasari, che
supervisionano la stampa del libro e dunque questo collegamento ci permette di ripensare il contenuto del
libro ma anche il modo in cui le Vite sono state scritte. Che vuol dire scrivere in modo facile e agevole
secondo l’uso degli artisti? Tutto ciò rimanda all’acceso dibattito che contrappone la minoranza, cioè gli
amici di Vasari che sostenevano la naturalità della lingua, alla maggioranza autorevole, cioè quelli come
Bembo che sostenevano che la lingua dovesse derivare unicamente dalla letteratura (Boccaccio per la prosa
e Petrarca per la poesia) *Carlo Lenzoni
5) Vasari politico: cioè contesto politico in cui prendono forma le Vite.
Roma, corte dei Farnese, epicentro del fuoriuscitismo è fortemente antimedicea. Quale impatto sulla
scrittura delle Vite hanno avuto gli spostamenti di Vasari tra Roma e Firenze e il contesto politico?
. Carlo Manolessi, Bologna, 1647 (non apporta nulla di sostanziale all’edizione giuntina se non degli errori.
Su quest’edizione si pronunciò Bottari. Manolessi stampa a margine delle brevi postille che in realtà sono
dei piccoli riassunti degli argomenti trattati da Vasari. Quest’edizione, inferiore a quella giuntina per la carta
e il carattere, non ebbe grande reputazione anche se è piuttosto frequente ritrovarla nel mercato
antiquario).
. Giovanni Gaetano Bottari, Roma, 1759-60 (Bottari era un fiorentino naturalizzato romano. Questa è detta
l’ediz romana. È l’edizione delle Vite più importante, prima di quella ottocentesca di Milanesi, soprattutto
per le annotazioni molto precise apposte dall’erudito. Nella prefazione Bottari avvia il dibattito sulla
paternità delle Vite. Come Manolessi aveva l’ispirazione di continuare le Vite vasariane, dunque
considerava il libro una sorta di opera aperta).
. Giovanni Masselli, Livorno-Firenze, 1767-72 (quest’edizione vide la partecipazione dello stesso Bottari
assieme ad eruditi, pittori ed intendenti d’arte. Dei 7 tomi solo il primo fu stampato a Livorno, i restanti a
Firenze; si nota la differenza tra i due stampatori poiché il primo tomo è molto più completo ed esaustivo
rispetto agli altri).
. Tipografi de’ Classici Italiani, Milano, 1807-11 (è in 16 volumi e riprende tutte le note dell’edizione senese
con qualche aggiunta).
. Stefano Audin, Firenze, 1822-23 (è un’edizione in 6 volume piuttosto importante perché riprende il testo
della giuntina non giovandosi delle correzioni che si erano susseguite fino ad allora. Il pregio di
quest’edizione è l’inclusione del nucleo di lettere inedite di Vasari. Audin incluse anche la vita di Francesco
Sansovino).
. Giuseppe Antonelli, Venezia, 1828-32, (è un’edizione in 19 volumetti, importante per le critiche che
riguardano l’arte veneta).
. Giovanni Masselli Passigli, Firenze, 1832-38 (il titolo è Le opere di Giorgio Vasari e include, come Audin, la
corrispondenza vasariana. Tra le varianti più notevoli vi è la scissione della sezione delle biografie con la
descrizione dell’apparato delle nozze di Francesco I con Giovanna d’Austria nel 1565; è una descrizione
voluminosa, molto dettagliata, che conclude la giuntina dopo la biografia di Michelangelo, dei viventi e
dopo le sezioni dedicate agli accademici.
. Marchesi, Gaetano e Carlo Milanesi, Pini, Le Monnier, Firenze, 1846-57 (i curatori erano fondatori di una
società di amatori delle belle arti il cui scopo era fornire nuovo materiale per la storia dell’arte.
. Gaetano Milanesi, Sansoni, Firenze, 1878-85 (rispetto all’edizione precedente presenta numerose
aggiunte, soprattutto commentari e annotazioni tratte da documenti d’archivio inediti. Il titolo è Opere,
secondo la tradizione inaugurata da Audin, di pubblicare assieme alle Vite le opere minori di Vasari e la sua
corrispondenza. Novità è un nuovo confronto con gli originali e l’inclusione di alcune lettere inedite).
. Paola Barocchi, Rosanna Bettarini, Firenze 1966-87 (è in più volumi: 6 di testo, 3 di commento e 2 di indici.
Rappresenta un punto di svolta in quanto pone sulla stessa pagina il testo della torrentiniana e della
giuntina e, a partire da queste edizioni, inizia una lettura diversa delle Vite di Vasari).
Le Vite iniziano con la lettera dedicatoria di Vasari al duca di Firenze Cosimo I de’ Medici, la lettera viene
scritta quando il testo è già pronto e fu molto aiutato da Paolo Giovio in merito a chi dedicare l’opera; nella
corrispondenza vasariana sappiamo che l’idea di dedicare l’opera a Cosimo I è molto incerta fino al 1546-
47, con le elezioni di Giulio III Vasari propone ad un suo amico di dedicare l’opera a Giulio III il nuovo
pontefice. La lettera chiarisce gli argomenti principali del libro: le vite (le biografie degli artisti), i lavori (le
loro opere), le maniere (gli stili), e le condizioni (le condizioni storiche all’interno delle quali gli artisti hanno
operato). È importante l’accenno alle maniere, cioè la storia degli artisti è anche la storia dello stile.
Vasari ricorda il suo servizio presso Ippolito cardinale de’ Medici (a Roma) e Alessandro suo antecessore )i
rapporti tra Alessandro e il Vasari sono complessi), poi continua la fedeltà di Vasari ai Medici con Ottaviano
de’ Medici (figura minore nella storiografia ma importantissima nella politica medicea proprio nel trapasso
da Alessandro a Cosimo I)
Le ragioni della scrittura del libro: preservare e ricordare le opere dei grandi artisti; oltre a questo le Vite
servono a giovare ai professori (utile) e dilettare gli amatori e gli intendenti d’arte (professori,
amatori/intendenti d’arte = connotazione del pubblico dei lettori. Essa subirà nel corso della scrittura del
libro delle variazioni concentrandosi infine quasi unicamente sugli artisti: le Vite diventeranno sempre più
chiaramente un libro scritto da un artista per gli artisti).
Vasari chiede favori e protezione da parte di Cosimo I; c’è anche un accenno all’elezione recentissima del
pontefice Giulio III dal quale Vasari sarà deluso (con Cosimo I e Giulio III Vasari spera in un ulteriore
sviluppo delle arti).
Dopo la stampa questa lettera dedicatoria fu criticata da Vincenzo Borghini, in particolare il passo in cui
Vasari fa capire di non avere pieno credito nei confronti di Cosimo I.
Vasari divide il libro in 3 età, manieri o stili, è una metafora dello sviluppo e crescita del corpo umano, è una
metafora che viene dalla letteratura greca (Floro) alla quale rimanda anche il concetto di rinascita (la parola
rinascita appare due volte nel proemio).
1) infanzia: Cimabue (primo artista biografato) – fino alla fine del ‘300. La prima maniera ha il compito
difficile di far rinascere le arti;
2) giovinezza: Jacopo della Quercia – fino alla fine del ‘400. La seconda maniera ha il compito di imitare il
più possibile fedelmente la natura;
3) maturità: Leonardo, Correggio e Giorgione e arriva fino a Michelangelo. Nella terza età c’è la licenza
(eccezione alla regola), cioè la piena libertà del trattamento del modello naturale;
Le 3 età di Vasari diventano un modello normativo, Goethe tripartisce l’esperienza estetica in termini molto
simili a quelli vasariani. (La terza parte nell’edizione giuntina era la più voluminosa tanto che i Giunti furono
costretti a dividerla in due volumi).
La distinzione delle 3 età è affidata soprattutto ai proemi, il più chiaro è il proemio all’età moderna cioè il
proemio della terza parte [ediz. Giuntina] → Lo sviluppo dalla prima alla seconda maniera è già
notevolissimo perché si perfeziona la maniera; gli artisti della 2° maniera hanno sviluppato talmente tanto
la regola da lasciare poco spazio di miglioramento a quelli della 3°, ma al contempo hanno lasciato a questi
grande aiuto. C’è una prima definizione piuttosto importante di disegno. Vasari insiste sull’integrità,
interezza, ordine degli artisti della 3° età.
Contrapposizione tra diligenza e prestezza, che viene dalla cultura classica, e si risolve quasi sempre a
favore della diligenza; tuttavia per Vasari il troppo studio comporta delle difficoltà, fare delle cose troppo
perfette le rende rigide (“secche”). Distinzione tra gli artisti della seconda età, essi riproducevano
correttamente l’anatomia umana ma non riuscivano a rappresentare le cose in modo vivo (erano crude e
scorticate) (gli artisti mancavano di sprezzatura, facilità), a ciò riuscirono solo gli artisti della terza età che
con uno stile morbido, grazioso, riescono a tradurre il dato vitale dell’oggetto. Questo modo morbido di
dipingere fu iniziato dal Francia, Perugino e Bolognese.
È la biografia di Leonardo ad aprire la 3° età; egli dà alle sue figure “il moto e il fiato”. Vita di Leonardo ->
descrizione del Cenacolo: c’è il riferimento all’aneddoto del volto di Cristo, la bellezza del volto di Cristo non
è rappresentabile da un artista naturalista come Leonardo (l’antibellezza è invece propria del mondo
naturale) [dettaglio della rensa].
Supremazia di Michelangelo all’interno della 3° età, egli tiene il principato di tutte e tre le arti (pittura,
scultura e architettura), ha superato anche l’arte degli antichi. Questa celebrazione di Michelangelo offre un
problema all’interno delle Vite: se è il culmine di questa parabola, dopo la sua morte la parabola non può
che decadere (cosa accadrà dopo Michelangelo) e il Vasari non concepirà una 4° età di artisti ma qualcosa
di diverso -> istituzione dell’Accademia del disegno nel 1563, è la prima scuola d’arte che non sia una
bottega, una corporazione. Essa aveva la funzione di accogliere e istituzionalizzare quello che era
l’insegnamento di Michelangelo.
esempi: Battaglia degli ignudi di Antonio Pollaiolo: è un’incisione che mostra un insieme, siamo ancora
molto lontani dalle battaglie di Leonardo che mostrano un gruppo di figure unite in modo organico, qui ogni
figura sta per sé; le due figure al centro sembrano due persone che si rispecchiano (simmetria fortemente
enfatizzata); il bulino non permette un trapasso morbido da una forma all’altra e rende per bene, traduce, i
pregi e i limiti della seconda età secondo il Vasari.
Battaglia dei Centauri di Michelangelo: non c’è più una distinzione enfatica delle figure l’una dall’altra ma al
contrario la battaglia è un groviglio di corpi; è una battaglia ideata come soggetto unitario che comprende
le figure come un’unità organica.
Pietà di Cosmè Tura
San Sebastiano di Andrea Mantegna: Mantegna è un artista longevo (muore a 75 anni), Castiglione lo
annovera fra i 5 migliori pittori moderni (Giorgione, Raffaello, Michelangelo e Leonardo). Il Vasari fa capire
che non gli piace la maniera di Mantegna alquanto secca (quella della 2° età) e giudica il suo stile troppo
minuzioso, più da miniatore che da pittore. La riflessione di Vasari sullo stile è anche una riflessione
sull’antico, secondo lui Mantegna aveva appreso il suo stile, e anche i difetti, dall’arte classica perché
Mantegna si era concentrato troppo sull’imitazione dei marmi antichi. Il Vasari fa regredire Mantegna dalla
3° alla 2° età (di Mantegna Vasari conosce molto poco).
Pietà di Michelangelo: indica il trapasso tra la 2° e la 3° età. Lo stile è morbidissimo, l’unità tra le due figure
è simbolo di quella sintesi organica che raggiungono Raffaello, Giorgione, Michelangelo e Leonardo. È
un’iconografia fortemente patetica che Michelangelo stempera rendendo il dolore quasi interamente
introspettivo.
Sant’Anna Metterza di Masolino e Masaccio: Bambino erculeo, sembra più un eroe greco in miniatura. Due
stili diversi che si cimentano sulla tavola, è un’esemplificazione della seconda età per ciò che Vasari intende
per mancanza di unità.
Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino di Leonardo da Vinci: il problema di Leonardo è come
rendere la composizione; studio di unità psicologica (sguardi, gesti).
Il proemio della 3° parte prevede una variazione per quanto riguarda Giorgione dalla torrentiniana alla
giuntina. Vasari conosce pochissimo dell’opera di Giorgione e sbaglia molte cose nella torrentiniana
correggendole poi nella giuntina. La Tempesta di mare è il dipinto sul quale Vasari fonda il suo giudizio su
Giorgione, egli dice che è un dipinto che fa tremare, è fortemente chiaroscurato, tuttavia questo dipinto è
di Palma il Giovane.
Di Correggio parla dei capelli
Giotto nel proemio della seconda parte: se uno considera le opere di Giotto in rapporto ai suoi tempi
appariranno miracolose
*questione della lingua
Il disegno (capitolo XV) Vasari si distacca dal concetto dell’imitazione diretta del dato naturale, ciò
comporta che l’imitazione sia rivolta alle opere d’arte come esempi di disegno.
Il paragone non è mai una discussione che riguarda le tecniche, ma riguarda due idee competitive dell’arte:
una fondata sull’imitazione diretta del dato naturale, l’altra fondata sul valore strumentale dell’arte nei
confronti dell’imitazione della natura (cioè la natura non va imitata direttamente ma attraverso l’arte
perché l’arte è capace di migliorarla, perfezionarla). Vasari esprime un’idea sul paragone nell’arco di 20
anni.
Vasari riferendosi agli scultori, i quali rivendicano il primato della scultura sulla base che è plastica creazione
dell’uomo da parte di Dio, dice che la scultura invece essendo fatta di terra essa non è una tecnica solo per
via di levare ma anche di porre dunque è vicina alla pittura. Tutte le arti hanno un fondamento comune che
è il disegno.
aneddoto di Zeus
Il rapporto tra arte e natura è centrale per capire i grandi artisti della 3° età.
Vita di Vasari: egli parla molto di sé nel carteggio ma anche nelle biografie di altri artisti: nella biografia di
Francesco Salviati Vasari parla molto di sé (giovinezza di Vasari), afferma di essere stato allievo di
Michelangelo, cosa non vera. Nella biografia di Salviati si parla della cacciata dei Medici da Firenze e viene
detto che venne gettata una panca dal Palazzo della Signoria che casca sul David di Michelangelo rompendo
il braccio in tre pezzi; il braccio rotto rimane per terra per tre giorni e Franceso Salviati e Vasari recuperano
il braccio, sfidando il pericolo dei tumulti, e portano i pezzi a casa del padre di Salviati che li darà al duca
Cosimo che restaurerà il David.
La biografia di Vasari è inclusa solo nella giuntina, c'è anche un ritratto del Vasari. Era un problema per un
artista scrivere di artisti viventi e ancora di più scrivere di sé stesso vivente. Vasari ricorda nella sua
biografia di quando il padre l'ha presentato a Cortona; ricorda anche in quali punti delle vite ha parlato di
sé: nella vita di Luca Signorelli, Francesco Salviati “e in molti altri luoghi della presente opera”.
Prima opera che conosciamo di Vasari La Deposizione, è un'opera monumentale che rivela l'influenza di
Rosso Fiorentino (il quale con il sacco di Roma si era rifugiato ad Arezzo).
Soggiorno romano di Vasari nel 1532, il rapporto di Vasari con Roma sarà sempre fortissimo, starò poco a
Roma ma saranno mesi importantissimi in cui studia le opere d'arte e l'antico. Vasari incontra gli umanisti
che ritroveremo nella giuntina all'interno della cerchia Farnese e sono coloro che investono Vasari
dell'impresa del libro: sono Paolo Giovio, Claudio Tolomei, Francesco Maria Bozza.
I rapporti tra Vasari e Alessandro de' Medici sono problematici, Vasari non si sente a proprio agio con
questo difficile duca; dobbiamo considerare molto importante la mediazione di Ottaviano de' Medici (egli
non è nel ramo principale della famiglia ma è il Medici di riferimento tra repubblica e insediamento del
potere mediceo)
Ritratto di Lorenzo Vecchio de Medici → lettera che descrive il ritratto (anche di elementi allegorici)
soggetto simbolico, letterario e erudito
Ritratto in armatura eseguito per il duca Alessandro → passo del Vasari che riguarda la difficoltà del
dipingere l'armatura, egli ricorda quanta fatica aveva speso per rendere l'armatura il più possibile realistica
e, non sapendo come portarla a termine, chiamò Jacopo Pontormo per chiedergli un consiglio. Pontormo gli
dice di usare come modello armature dipinte, non l'armatura vera (questo aneddoto compare solo nella
giuntina; nella torrentiniana Vasari avrebbe elogiato gli artisti che imitavano direttamente la natura (col
progredire diventa sempre più evidente il ruolo dell'arte come mediatrice del dato naturale)).
Vasari lavora anche ad Arezzo tramite i contatti stabiliti con gli ordini religiosi
Pala di San Rocco (1506-1537, Arezzo) → Madonna con bambino assieme ai Santi Giuseppe, Donato, Rocco,
Sebastiano.
1537 Con l'assassinio di Alessandro de' Medici Vasari dice che dopo tante delusioni e sciagure, consigliato
da Ottaviano de' Medici, lascia la corte dei Medici nonostante sarebbe stato facile per lui entrare al servizio
del nuovo duca (il giovanissimo Cosimo de' Medici) per dedicarsi solamente all'arte. Quindi Vasari si reca a
Camaldoli dove c'era un'altra congregazione e realizza alcune opere: La Deposizione (è una pala vicinissima
alla maniera di Francesco Salviati).
[Quando c'è un assassinio si chiudono le porte della città perchè c'è un momenti di vuoto, Vasari si rifugiò,
con le sue poche cose, in un convento. In una lettera di Vasari allo zio Antonio dice che si pente di aver
servito le corti (usa il plurale ma è chiaro che si riferisca alla corte dei Medici). Dice che manderà la tavola di
San Rocco e manifesta la sua intenzione di recarsi a Roma dove ha diversi amici. Vasari deve finire dei lavori
tra cui un' Ultima cena per Ottaviano, e quest'opera sarà come un testamento: così come Cristo aveva
lasciato gli apostoli con l'ultima cena, così egli lascerà con quest'opera Ottaviano de' Medici. Tuttavia Vasari
non va a Roma bensì a Camaldoli perchè ha una crisi religiosa]. Finita la residenza a Camaldoli, Vasari si reca
a Monte S. Sabino dove realizza una pala con una Madonna
Lettera di Don Mignato Pitti a Vasari “Giorgio Vasari Aretino, Pittore, Istorico e Poeta etc.”, Don Mignato
Pitti definisce Vasari “istorico” perchè sta scrivendo le Vite (problema della paternità delle Vite).
Lettera di Pietro Aretino (in Venezia) a Vasari del 1536 “perchè sete istorico, poeta, filosofo e pittore”,
Aretino si rifà a due lettere precedenti.
Vasari torna a Firenze, fa fatica a dire di no ad Ottaviano e, per poter tornare a Roma, accetta di eseguire la
copia di un ritratto. Ottaviano gli dice che è un pazzo a rimanere a Roma e non andare a Firenze → lettera
sulla pazzia [Vasari riesce a tenere molto stretti i suoi rapporti con gli amici fiorentini nonostante si trovasse
a Roma]
Altro dato importante è il soggiorno a Classe dove dipinge un Cristo deposto = Vasari è completamente al
servizio dei benedettini.
Ad Arezzo Vasari realizza la pala del Convito per le nozze di Ester con Assuero: è una tavola lunghissima, è
importante studiare l'opera in rapporto alla sua collocazione effettiva e delle luci di cui disporrà (riflesso del
committente, del frate. Quindi il Caravaggio guarderà in un certo senso a Vasari).
A Firenze ritorna nella sua cerchia di amici e, unica opera importante in questo periodo è la pala di san
Gismondo, oggi perduta ma descritta dettagliatamente dall'artista, realizzata in onore di Gismondo Martelli
che era morto in quei giorni. Vasari realizza una pala molto grande con la quale tenta un primo
riavvicinamento.
1540-1550
Don Miniato Pitti (Camaldoli, Bologna, Napoli, Rimini, invito a Milano)
Farnese (Giustizia, Sala dei cento giorni)
Ottaviano de' Medici (ritratti e copie)
Conclusi i lavori alla cappella Del Monte Vasari rimane molto deluso dei rapporti col papa. Amici fiorentini
che tentano di rintrodurre Vasari a Firenze (in particolare Bernardo Minerbetti che era legatissimo a Cosimo
I).
Cristo portacroce eseguito per Bindo Altoviti: vediamo come Vasari sia vicino a Michelangelo anche dal
punto di vista stilistico.
Minerbetti rivendica un rapporto privilegiato con Vasari e lo definisce “suo creato”; nel 1543 chiede una
sorta di dipinto allegorico raffigurante La Pazienza e Vasari dice che l'invenzione è di Michelangelo. La
commissione più importante che Vasari ottiene dal Minerbetti è la facciata del palazzo di Sforza Almeni
(siamo nel 1553) che gli dà grande visibilità (dopotutto le facciate sono opere pubbliche); la facciata è a
monocromo.
Impiego di Vasari a Palazzo Vecchio.
1908 scoperta dell'archivio Vasari da parte di Giovanni Poggi nell'archivio Rasponi Spinelli (documentazione
importantissima per il Rinascimento italiano): contiene la corrispondenza vasariana che è importante per la
questione della paternità delle Vite.
Libro di Scoti-Bertinelli su Vasari scrittore.
Schlosser, autore della letteratura artistica, dice che non si può affatto dubitare che Vasari sia l'autore del
libro. Le parole dello Schlosser vengono ripetute dai maggiori studiosi delle Vite della metà del '900. Quindi
la questione nel '900 si chiude così, fin quando nel 1995 Charles Hope pubblica una recensione dal titolo
provocatorio “Can you trust Vasari?”, facendo capire che Vasari ha scritto molto poco delle Vite e quindi
ravviva il dibattito sulla paternità del libro. Hope nota che oltre alle differenze di stile, Vasari per alcuni
artisti non poteva avere informazioni accurate, per esempio per gli artisti del nord Italia, perchè Vasari non
aveva ancora compiuto i suoi viaggi nel nord Italia (la biografia di Francesco Francia, secondo Hope, è opera
di un collaboratore che spedisce il suo scritto a Vasari). C'è un altro problema che Hope solleva, cioè quello
delle biografie degli artisti che sono morti recentemente rispetto alla pubblicazione del libro, soprattutto
per quanto riguarda gli artisti romani che muoiono dopo che Vasari ha lasciato Roma, quindi la loro
biografia non può essere pensata prima che Vasari abbia lasciato Roma (come ha fatto vasari a scrivere le
loro biografie se non si trovava a Roma?): Antonio da Sangallo, Giulio Romano, Sebastiano del Piombo
(morto mentre Vasari sta per finire il manoscritto), Pierin del Vaga.
Libro di Antonio Billi (catalogo molto sintetico di artisti) = Anonimo Gaddiano (anche chiamato Anonimo
Magliabechiano)
Libro di Giovanni Battista Gelli: scrive vite di 20 artisti
Può esserci stata una fonte perduta che abbia fatto da modello al libro dell'anonimo gaddiano, a quello di
Gelli, e alle vite vasariane che è stata chiamata Fonte K. Altre fonti perdute le conosciamo perchè le
menziona Vasari: dice di aver usato un libretto antico; certi ricordi di vecchi pittori (probabilmente diari di
ricordi, registri); poi estratti e ricordi del Ghirlandaio e di Raffaello; il libro vecchio della compagnia di
pittori; la lettera di Girolamo Campagnola che parlava dell'arte nord italiana (dato presente solo nella
giuntina). Non sappiamo se queste fonti siano veramente esistite. C'è anche un forte utilizzo delle novelle,
utilizzate tuttavia di più nella seconda edizione; l'utilizzo delle novelle è condotto filologicamente poiché
esse vengono considerate come testimonianze storiche e non dal punto di vista letterario.
Moltissime sono le fonti orali: Marco de' Medici (intendente d'arte che dà informazioni soprattutto del
Veneto, Friuli), Danese Cattaneo (che fornisce informazioni sugli scultori); inoltre le informazioni acquisite
dai parenti e amici degli artisti.
Un'altra questione molto importante riguarda il libro dei disegni, idea non realizzata da Vasari, di collegare
le Vite ad un libro di disegni che illustrasse le opere dei maestri biografati.
Passando alla seconda edizione, buona parte del libro dovette essere scritta mentre era già in stampa, ciò
non permise un'attenta revisione del testo, una cura editoriale, perciò abbondano le ripetizioni. Scopo della
2° edizione (perchè è stata scritta e fortemente ampliata?): grande successo della 1° edizione;
l'atteggiamento fortemente filofiorentino, e cioè la preferenza di vasari per l'arte del centro Italia, aveva
scatenato fortissime polemiche soprattutto nel nord Italia (Tiziano era stato presentato come terzo rispetto
a Michelangelo e Lodovico Dolce scrisse una biografia di Tiziano); inoltre la biografia di Michelangelo scritta
da Ascanio Condivi nel 1553 screditava alcuni punti della torrentiniana. Dunque la giuntina fornirà al Vasari
l'occasione di difendersi (alla fine la biografia di Michelangelo nella 2° ediz delle Vite sarà molto più
accurata della biografia di Condivi). Nella 2° ediz troviamo sempre più vite collettive es. vite dei veronesi.
[La descrizione degli apparati delle nozze di Francesco I viene eliminata dalle Vite e pubblicata a parte]
Bembo, nelle Prose della volgar lingua, stabilisce un precetto fondamentale: ovvero che una lingua parlata
senza scrittori non può definirsi lingua (Boccaccio riferimento per la prosa, Petrarca riferimento per la
poesia). Vincenzo Borghini paragona la lingua ad un albero, stabilisce un rapporto gerarchico tra lingua
parlata e letteratura. Nel 1550, quindi proprio a ridosso della pubblicazione delle Vite, Cosimo I chiede un
comitato per stabilire le regole della lingua fiorentina; di questo comitato fanno parte gli amici di Vasari
(Pier Francesco Gianbullari,Giovanni Battista Gelli) ma nulla viene prodotto perchè non si può costruire una
grammatica, i risultati di questi lavori sono una serie di pubblicazioni che sottolineano la vanità di fissare
regole. In questo periodo vengono pubblicate le traduzioni dei trattati di architettura di Leon Battista
Alberti.
Vasari aveva espresso il desiderio di aggiungere al libro sonetti e poesie così come era in uso nel '500.
Vasari ha scritto come un pittore, non come uno scrittore professionista, in modo semplice e agevole privo
degli ornati degli scrittori professionisti. Vasari dice che non si è occupato di questioni ortografiche (avere
con o senza H), erano questioni tecniche fondamentali nel dibattito della lingua (dibattito non pacifico) →
questo passo viene espunto nella seconda edizione dunque lo ritroviamo solo nella versione del 1550.
L'epilogo è stato scritto da Borghini e poi rivisto da Giambullari (Neri Dortelata).
Era importante che Vasari figurasse come autore delle Vite perchè era un artista che scriveva di artisti e per
artisti.
Lettera di Dominikus Lampson (Lampsonio) in Liegi a Vasari in Firenze: dice che leggendo le Vite ha
imparato l'italiano e che grazie a quello ora può scrivere questa lettera.
Il quaderno di Yale
Contenuto all'interno di uno dei faldoni dell'archivio Vasari e ritrovato in circostanze ancora misteriose
all'università di Yale. Le informazioni che riporta fanno esclusivamente riferimento alla torrentiniana. Ci
sono molte lacune nel quaderno, poca presenza dell'architettura (manca Leon Battista Alberti), la scultura è
meno trattata della pittura; la cosa che colpisce di più è la quasi totale assenza di riferimenti ai Medici, è un
dato notevole soprattutto se si considera lo stile filomediceo della prima edizione delle Vite (mancanza
anche di artisti vicini ai Medici come Donatello). Questo quadernuccio contiene molte meno informazioni
rispetto alla torrentiniana.
La vita di Gherardo miniatore è una delle più brevi e viene poi rivista nella seconda edizione.
Nel quaderno di Yale non c'è menzione del ritratto di Leone X con i cardinali di Raffaello → c'è una lunga
descrizione che fa parte di un segmento di prosa, suggerisce che il quaderno di Yale sia la stesura della
redazione delle Vite precedente alla stampa.
Uno dei problemi di ricezione del libro è proprio la figura di Michelangelo, anch'egli è critico nei confronti
delle Vite, non gli piace la sua biografia pertanto fece scrivere una biografia nel modo in cui voleva da
Condivi; successivamente annotazioni di Calcagni (1563-64) dettate in realtà da Michelangelo anziano.
Infine c'è la seconda biografia scritta da Vasari che diviene la biografia ufficiale di riferimento per
Michelangelo. Problema della sepoltura di Giulio II; problema dell'apprendistato nella bottega del
Ghirlandaio che Michelangelo nega e che Vasari invece prova fornendo addirittura i documenti; problema
degli allievi, si diceva che Michelangelo fosse un artista poco generoso e incapace di insegnare; problema
della sessualità di Michelangelo che in quegli anni fu sollevato in maniera molto maliziosa dall'Aretino.
Nella biografia di Condivi si legge un inciso sulla Cappella Sistina in cui si dice che Giulio II, impaziente, sale
su una scala a pioli per vedere come procedono i lavori e avrebbe voluto che si scoprisse subito la volta →
commento di Calcagni sull'ultima mano.
Carracci dice che le Vite sono completamente sbilanciate nei confronti di Michelangelo ma, secondo lui,
Raffaello è superiore.
Postille cinquecentesche alla torrentiniana (in genere le postille sono tutte alla giuntina)
Gli annotatori sono due: c'è una mano databile al 1563, un'altra databile al 1581-90 circa. Questi annotatori
dovevano essere della famiglia o bottega di Domenico Campagnola, pittore celeberrimo di Padova, perchè
compariva una sottoscrizione proprio con il nome di Domenico Campagnola.
La vita di Antonello da Messina è importante per la tecnica della pittura a olio nelle Vite.