PROPERZIO FRA
TRADIZIONE E INNOVAZIONE
ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE
Assisi-Spello, 21-23 maggio 2010
a cura di
Roberto Cristofoli, Carlo Santini e Francesco Santucci
ASSISI – 2012
MARIO LENTANO
tra i due sovrani era stato infatti, per comune consenso, un matrimonio
bianco, e questa circostanza aveva evidentemente propiziato il diffonder-
si di voci e sospetti a carico di Cunegonda. La prova delle lastre ardenti
veniva ora a tacitare quelle insinuazioni e a restituire all’onore della
regina la sua piena integrità 1.
All’indomani dell’anno Mille, il motivo della “prova di verginità” ha
naturalmente una lunga vicenda dietro le spalle, che ha lasciato traccia
cospicua di sé nella tradizione letteraria. Nel Leucippe e Clitofonte ad
esempio, l’avventuroso romanzo di Achille Tazio scritto probabilmente
fra II e III secolo d.C., le prove sono ben due, e riguardano tanto la
protagonista della movimentata vicenda, la bellissima Leucippe, quando
Melite, chiamata a difendersi dall’accusa di infedeltà coniugale. Nel pri-
mo caso l’ordalia è così descritta dal romanziere:
Quando perciò qualcuna è accusata di non essere vergine, il popolo
l’accompagna qui fino alla porta della spelonca, e la zampogna [del dio
Pan] giudica la controversia. La fanciulla entra, parata nella veste rituale, ed
un altro chiude la porta della spelonca. E se è vergine, si ode una musica
melodiosa e divina [...]. Se invece essa ha mentito nel dirsi vergine, al posto
della musica dall’antro esce un lamento, e subito il popolo si allontana e
lascia la donna nella spelonca. Il terzo giorno la vergine sacerdotessa del
luogo entra e trova la zampogna a terra, e la donna scomparsa 2.
1
Sulla figura di Cunegonda i dati essenziali sono in Gordini (1964), in particolare
coll. 398-99 sulle raffigurazioni dell’ordalia o di Cunegonda con il vomere in mano; secon-
do Gordini, l’attestazione più antica sulla prova dei vomeri ardenti (vomeres candentes) è
costituita dall’anonima Vita della santa imperatrice redatta oltre un secolo dopo la sua
morte, quando il culto di Cunegonda aveva già saldamente preso piede, e leggibile nella
Patrologia latina, vol. CXL, coll. 205-22, in particolare col. 207 per il racconto dell’ordalia.
Cfr. anche i dati e la bibliografia forniti da Bartlett 1986, 16 ss., in particolare 17, nota 11.
2
Achille Tazio, 8, 6, 12-14 (trad. di Q. Cataudella).
3
Achille Tazio, 8, 12, 8-9 (trad. di Q. Cataudella). Sul passo cfr. Sissa 1984, 1122 ss.
e 1992, 73 ss. e ora Castelletti 2006, 270 ss., con numerosi paralleli con altre ordalie
dell’acqua.
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 113
4
Cfr. rispettivamente Properzio, 4, 8, 3-13 e Claudio Eliano, La natura degli animali,
11, 16. Lo studio cui faccio riferimento, da assumere peraltro con cautela, è Mastroiaco-
vo 2005; per ulteriore bibliografia sul passo mi permetto di rimandare a Lentano 2007,
46-47, nota 35.
5
Cfr. Numeri, 5, ampiamente commentato da James Frazer in un ricchissimo capito-
lo del suo Folk-lore in the Old Testament (Frazer 1918, vol. III, 304-414). Cfr. ora l’interes-
sante contributo di Porter 2008, che alle pp. 56-57, nota 19, reca una vasta bibliografia
sul passo vetero-testamentario.
114 MARIO LENTANO
6
Cfr. rispettivamente Protovangelo di Giacomo, 16 e Vangelo dello pseudo-Matteo, 12.
7
Veyne 1990, 203-204.
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 115
8
Di “società del faccia a faccia” a proposito del mondo antico parla ad esempio
Vernant 2000, X: « In una società del faccia a faccia, in una cultura della vergogna e
dell’onore in cui la competizione per la gloria lascia poco spazio al senso del dovere e
ignora quello del peccato, l’esistenza di ognuno è posta incessantemente sotto lo sguar-
do degli altri. L’immagine di sé si costruisce nell’occhio di chi ci sta di fronte, nello
specchio che questo ci presenta. Non esiste coscienza della propria identità senza questo
altro che ci riflette e si contrappone a noi, fronteggiandoci ». L’immagine della “foresta
di occhi” è invece in Gleason 1990 (= 1995, 55). Interessante, anche ai fini della succes-
siva analisi sull’elegia 4, 11 di Properzio, un passo delle Epistulae ex Ponto ovidiane,
rivolto alla moglie del poeta esule: Quidquid ages igitur, scaena spectabere magna / et pia non
parvis testibus uxor eris. / Crede mihi, quotiens laudaris carmine nostro / qui legit has laudes an
mereare rogat. / Utque favere reor plures virtutibus istis / sic tua non paucae carpere facta volent. /
Quarum tu presta ne livor dicere possit / « haec est pro miseri lenta salute viri » (3, 1, 59-66;
ringrazio qui la dottoressa Beatrice Larosa per la cortese segnalazione di questa pagina
ovidiana).
9
Cfr. Thomas 1987, 200-201.
116 MARIO LENTANO
10
Ho ripreso qui succintamente le conclusioni di Lentano 2007, 235 ss., cui riman-
do per una trattazione più ampia del problema della legittimità e delle relative prove
nella cultura romana.
11
Questa premessa può aiutare altresì a intendere perché il discorso di Cornelia,
nel quale l’elegia 4, 11 in ultima istanza si risolve, appaia una « defensio ohne Anklage »,
come si è detto di recente (Gebhardt 2009, 162): il fatto è che anche nel caso della
pudicizia femminile non vale alcuna presunzione di innocenza, ed è da questo che la
matrona properziana si difende. Preciso che tutte le citazioni properziane presenti in
questo contributo seguono l’edizione teubneriana di Paolo Fedeli (1984), di cui discuto
peraltro, nelle prossime pagine, alcune soluzioni testuali.
12
Ci crede ancora Hallet 1985, 77.
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 117
13
La natura di arringa difensiva del discorso di Cornelia è stata enfatizzata in
particolare da Cicerale 1978, che rintraccia nelle parole della matrona, non senza qual-
che forzatura, le articolazioni di una vera e propria orazione giudiziaria; cfr. ora Gebhardt
2009 sulle « prozessuale Situationen » nell’elegia latina, in particolare pp. 160 ss. sulla 4,
11. Approfitto per osservare che intento foro, al v. 22, difficilmente significherà « rigorous
court » (così, sia pure con qualche dubbio, Hutchinson 2006); intentus ha piuttosto il
significato che riveste in Virgilio, Eneide, 2, 1 (conticuere omnes intentique ora tenebant), dove
è ugualmente abbinato all’idea del “tacere” (conticuere in Virgilio, taceant in Properzio, al
v. 23). Sul comportamento spesso rumoroso del pubblico durante i processi a Roma cfr.
ora la ricca sintesi di Bablitz 2007, in particolare 133 ss.
118 MARIO LENTANO
14
Hutchinson 2006, 239, nota al v. 41. Analisi congiunte delle due elegie properzia-
ne sono offerte tra gli altri da Lange 1979; Dimundo 1990, 88-95; Rambaux 2001, 309-
12; Dufallo 2003 e 2007; cfr. anche Ramsby 2007, 66-70; Gebhardt 2009, 162-63.
15
Si tratta del fr. 78 Haase = 50 Vottero.
16
Alludo a note pagine di Benveniste 1979, vol. II, 455-56.
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 119
Proprio i maiores, del resto, sono evocati da Cornelia nei versi imme-
diatamente precedenti come garanti del giuramento che la donna si
accinge a prestare (vv. 37-40):
Sono gli Scipioni che hanno schiacciato l’Africa, è Emilio Paolo che
ha stroncato le velleità di Perseo, cui si allude in un distico testualmente
assai compromesso e sul quale mi soffermo poco più avanti 17. Sono loro
che la matrona prende a testimoni, è alla loro virtù che essa fa appello,
una virtù al riparo da ogni contestazione perché consegnata per sempre
alla memoria collettiva attraverso le imprese che essi hanno compiuto e
che Cornelia succintamente richiama. Che degli exploits bellici siano in-
vocati per ribadire il rispetto della pudicizia coniugale potrebbe appari-
re come l’ennesima conferma della vecchia intuizione di Jean-Pierre Ver-
nant per cui il matrimonio costituisce per le donne ciò che la guerra
rappresenta per gli uomini; ma nelle parole di Cornelia non c’è solo
questo. Nella cultura romana i maiores sono oggetto di divinizzazione:
sono gli dei o divi parentes, o parentum, divinità della famiglia la cui
natura è stata indagata in tempi recenti da una specifica ricerca di Mau-
rizio Bettini 18. Proiezione tra i defunti dei meccanismi di parentela esi-
stenti tra i vivi, gli dei parentes, scrive Bettini, hanno altresì il compito di
« vegliare sulle regole di comportamento sessuale della famiglia », in
quanto ad essi « veniva attribuita la capacità di mantenere un certo con-
trollo sui discendenti vivi ». Questo scrutinio può risolversi in una piena
approvazione del comportamento del discendente, che acquista allora i
tratti di una prova di legittimità felicemente superata: è il caso dei
maiores evocati in un celebre elogium epigrafico, quello di Cornelio Sci-
pione Ispano – siamo dunque ancora una volta nel contesto di una
iscrizione funeraria –, i quali lodano il proprio discendente e si com-
17
Gli Scipioni, e non solo l’Emiliano, perché nell’evocazione delle vittorie in Africa
è alluso implicitamente anche l’Africano, come giustamente interpreta una parte degli
studiosi (cfr. Camps 1965, 158, nota ai vv. 29-30; Spagnuolo Vigorita 2002, 33 e 124,
nota 99; Hutchinson 2006, 238, nota al v. 37; Heyworth 2008, 511; Syndikus 2010, 365,
nota 328); contra Zecchini 2005, 102, che vede inoltre in questi versi della 4, 11 una
« conferma della freddezza di Properzio verso l’Africano », e Scardigli 2008, 156 e 164.
18
Alludo a Bettini 2009, di cui cito più in basso le pp. 119 e 124.
120 MARIO LENTANO
piacciono che egli sia nato da loro 19; ma quel comportamento può an-
che scelerare gli dei parentes, secondo l’espressione impiegata da Catullo,
ovvero imprimere su di essi una labes, come vuole la Cornelia properzia-
na, quando esso non si conforma alle regole culturali delle quali i maio-
res sono considerati depositari e insieme garanti 20.
Mi permetto a questo punto di aprire una brevissima parentesi filo-
logica. Io non saprei addurre nuove proposte testuali per il tormentato
distico 39-40; sono abbastanza incline a ritenerlo un locus desperatus,
come fa la Viarre nella recente edizione Belles Lettres di Properzio; e
tuttavia mi sentirei piuttosto sicuro nell’accettare la variante simulantem
in luogo di stimulantem, accolta da Fedeli nella sua teubneriana, nono-
stante la presunta imitazione del passo properziano da parte di Silio
Italico, che sembra presupporre la lezione trasmessa da quasi tutti i
manoscritti 21.
Io credo infatti che di Perseo Properzio volesse sottolineare proprio
la sua natura di discendente fasullo di Achille, e che il verbo simulo
abbia dunque nel verso della nostra elegia la medesima valenza che si
coglie in un passo di Velleio Patercolo, casualmente relativo ancora alla
casata macedone: « dopo la sconfitta e la cattura di Perseo », spiega Vel-
leio, « lo Pseudo-Filippo, così chiamato dalla menzogna di una discen-
19
CIL I2 15 (= ILS 6 = ILLRP 316 = Courtney 1995, n. 13, con commento alle
pp. 228-29): Virtutes generis mieis moribus accumulavi, / progeniem genui, facta patris petiei. /
Maiorum optinui laudem ut sibei me esse creatum / laetentur: stirpem nobilitavit honor. Ho citato
la bibliografia su questo documento fondamentale della cultura repubblicana latina in
Lentano 2007, 174, nota 49.
20
Cfr. ancora Bettini 2009, 113 ss. L’espressione divos scelerare parentes è in Catullo,
64, 404, labes è al v. 42 dell’elegia properziana.
21
La storia delle cure filologiche ed esegetiche su questo tormentato distico proper-
ziano è lunga e non può essere analiticamente ripercorsa in questa sede; rimando quindi
al Thesaurus criticus di Smith (1970, 335 ss.), al Commentarius criticus di Enk (1978, 355 ss.)
e più recentemente alla Cynthia di Heyworth (2008, 511) e alla ponderata valutazione di
Formicola (2011, 54-55). Numerose anche le proposte di diversa dislocazione dei due
versi: da ultimo Finkenauer 2001 propone di collocarli fra i vv. 30 e 31. Divergenti, come
spesso, le scelte degli editori properziani più recenti: mentre Viarre 2005, come si è det-
to, pone fra cruces l’intero distico, Giardina 2005 ne propone di fatto una vera e propria
riscrittura, stampando et Persei proavo stimulatum pectus Achille / quique tuas, proavus, fregit,
Achille, domos e traducendo « e Lucio Emilio Paolo, che sconfisse l’arroganza di Perseo,
stimolata dall’avere Achille come antenato, / e la tua casata, Achille antenato di Perseo »;
infine, l’oxoniense di Heyworth 2007 stampa et <..., et illum> / qui tumidas proavo fregit
Achille domos. La supposta imitazione di Silio Italico, che fa propendere molti editori per
il mantenimento di stimulantem, è in 14, 93-95 (tam praecipiti materna furori / Pyrrhus origo
dabat stimulos proavique superbum / Aeacidae genus atque aeternus carmine Achilles).
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 121
22
Velleio Patercolo, 1, 11, 1: Post victum captumque Persen, qui quadriennio post in libera
custodia Albae decessit, Pseudophilippus, a mendacio simulatae originis appellatus, qui se Philip-
pum regiaeque stirpis ferebat, cum esset ultimae, armis occupata Macedonia, adsumptis regni insi-
gnibus, brevi temeritatis poenas dedit. È interessante che secondo la periocha 49 di Livio lo
Pseudo-Filippo – che si chiamava in realtà Andrisco – sosteneva di essere nato da Perseo
e da una concubina (ex paelice se et Perseo rege ortum), replicando forse quanto si raccon-
tava a proposito dello stesso Perseo, cfr. subito appresso nel testo. Aggiungo che difficil-
mente simulantem in Properzio andrà inteso nel senso di « qui tenta d’imiter », come
propone Coutelle 2005, 575.
23
L’ipotesi è formulata da La Penna 1993; le fonti antiche sulla presunta origine
illegittima di Perseo sono costituite da Livio, 39, 53, 3 (citato qui sotto, alla nota 24);
Plutarco, Emilio Paolo, 8, 11; Arato, 54, 7; Claudio Eliano, Varia storia, 12, 43.
24
Livio, 39, 53, 3: nam etsi minor aetate quam Perseus esset [scil. Demetrius], hunc iusta
matre familiae, illum paelice ortum esse; illum ut ex volgato corpore genitum nullam certi patris
notam habere, hunc insignem similitudinem Philippi prae se ferre. Si noti che l’espressione
illum paelice ortum esse è pressoché identica a quella impiegata dalla periocha di Livio a
proposito dello Pseudo-Filippo nel passo citato alla nota 22.
122 MARIO LENTANO
25
I trionfi militari, campo di espressione della virtus maschile, e la pudicizia, in cui
si manifesta invece il “trionfo” femminile, sono affiancati e contrapposti in un altro
interessante frammento del De matrimonio senecano, il n. 79 Haase: Viros consulatus illu-
strat, eloquentia in nomen aeternum effert, militaris gloria triumphusque novae gentis consecrat.
Multa sunt, quae praeclara ingenia nobilitent: mulieris virtus proprie pudicitia est.
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 123
26
Appiano, 7, 56: « A quanto si dice, la nave che recava il simulacro si bloccò in
una secca del Tevere e in nessun modo poteva essere smossa; alla fine, avendo gli
indovini profetizzato che l’imbarcazione avrebbe seguito solo una donna pura dal contat-
to con uomini estranei (êá+ereuvouóá îÝíùí ajídrw`í), Quinta Claudia, che era soggetta ad
un’accusa di adulterio ma non era stata ancora giudicata – e l’accusa era tanto più
credibile per via della sua sregolatezza –, dopo aver a lungo invocato gli dèi a testimoni
della sua innocenza, legò allo scafo la sua cintura, e la dea la seguì ». Ad un processo a
carico di Claudia sembra alludere anche la versione di Erodiano, 1, 11, 4.
27
Il passo di Ovidio cui alludo è in Fasti, 4, 305 ss. Altre fonti e discussione sulla
figura di Claudia e sulle diverse tradizioni che la riguardano in Scheid 1994; cfr. anche
le ricche note di Vottero 1998, 266-68.
28
Sull’episodio di Tuccia cfr. Cantarella 1991, 229-30; Boldrini 1995.
124 MARIO LENTANO
29
Seneca, De matrimonio, fr. 80 Haase (= 43 Vottero): Melius tamen, inquit Lucani
poetae patruus, cum illa esset actum, si hoc, quod evenit, ornamentum potius exploratae fuisset
pudicitiae quam dubiae patrocinium. Cfr. anche la bella nota di Reitzenstein 1970 ai vv. 37
ss. Anche Cunegonda, nel racconto del suo biografo, rivolge una preghiera al dio cristia-
no prima di sottoporsi alla prova dei vomeres candentes: Domine deus, creator coeli et terrae,
qui probas renes et corda, iudica iudicium meum et eripe me. Te enim testem et iudicem hodie
invoco, quia nec hunc praesentem Henricum, nec aliquem virum carnali commistione [sic] umquam
cognovi (il testo è quello riportato nella Patrologia latina, citato alla nota 1, col. 207).
30
Cfr. Curran 1968, 136: « in calling down upon herself the punishment of the
Danaids [...] Cornelia thus implicitly associates herself with Hypermestra, the one
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 125
34
Si tratta di Plauto, Amphitruo, 831-837 (AL. Per supremi regis regnum iuro et matrem
familias / Iunonem, quam me vereri et metuere est par maxime, / ut mihi extra unum te mortalis
nemo corpus corpore / contigit, quo me impudicam faceret. AM. Vera istaec velim. / AL. Vera dico,
sed nequiquam, quoniam non vis credere. / AM. Mulier es, audacter iuras. AL. Quae non deli-
quit, decet / audacem esse, confidenter pro se et proterve loqui), su cui rimando ancora allo
specifico contributo di Porter 2008.
35
Vv. 57-60: Maternis laudor lacrimis urbisque querelis, / defensa et gemitu Caesaris ossa
mea. / Ille sua nata dignam vixisse sororem / increpat, et lacrimas vidimus ire deo. Nulla su
lacrime e pianto nella 4, 11 nel recente e specifico Fögen 2009.
36
Bene su questo punto Johnson 1997, 168: « the defendant who can show at her
funeral the lamentations of an emperor and the tears of a god needs no further witnes-
ses for her case ».
37
Si tratta rispettivamente dei vv. 3, 41 e 18. Anche per questo leges, al v. 3, non va
toccato (magari sostituendolo con il banalizzante sedes), come da ultimo ribadisce anche
Morelli 2009, 625.
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 127
38
Cfr. rispettivamente ianua (v. 2), porta (v. 8), implicat (v. 11, su cui cfr. le belle
osservazioni di Williams 1968, 398-99), catena e sera (v. 26), vinxit e vitta (v. 34).
39
I verbi citati sono rispettivamente ai vv. 14, 35, 36, 44, 57, 58, 64, 66, 69-70,
95, 102.
40
Su questo verso dell’elegia mi è rimasto purtroppo inaccessibile Petersmann 1993;
cfr. comunque la bella nota di Reitzenstein 1970, 35-36 nonché Lowrie 2009, 356.
128 MARIO LENTANO
41
Cfr. Dixon 1988, 219-20. Ad un possibile parallelo tra la 4, 11 e l’elogio epigra-
fico di Scipione Ispano accenna anche Erasmo 2008, 199-200.
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 129
al prezzo di un triplice intervento sul testo tràdito, aucturis tot mea facta
meis. La prima e l’ultima correzione sono accettate da quasi tutti gli
editori; alla seconda viene opposta di solito l’obiezione per cui un ter-
mine impegnativo come facta sarebbe incongruo rispetto alla tipologia
di meriti che Cornelia può rivendicare, meriti che sono di natura etica
più che pragmatica 42. L’obiezione è però tutt’altro che decisiva: in tutta
l’elegia la matrona si appropria di termini e immagini che pertengono
di norma a referenti maschili (al verso successivo, ad esempio, compare
triumphus); nella 4, 11, come è stato detto, « the terminology of male
civic responsibility is incorporated into the sphere of the female » 43. Del
resto, augere fata sarebbe un nesso ai limiti dell’oscurità, come conferma-
no le interpretazioni e le traduzioni assai differenziate proposte dai
moderni; augere facta, come tutti i commenti riportano, si giova invece
del conforto di un distico rivolto da Tibullo al suo patrono Messalla:
« per te, invece, venga su una discendenza che accresca le imprese / del
padre e da vecchio ti circondi, colma di venerazione » 44.
Ma quello con Tibullo non è l’unico confronto possibile; salvo erro-
re, ai commentatori è sfuggito un passo dello Stichus di Plauto nel quale
lo schiavetto Pinacio proclama la propria intenzione di « accrescere le
azioni meritorie dei miei antenati (bene facta maiorum meum / exaugeam) »
(vv. 303-304). L’intento di Plauto era naturalmente quello di suscitare il
riso nel proprio pubblico: per definizione, infatti, uno schiavo non ha
una “identità genealogica” ed è dunque privo di maiores. L’ironia di Pi-
nacio, tuttavia, nulla toglie al valore dell’immagine cui il servo fa ricorso:
42
Fata stampa ad esempio Fedeli, osservando in apparato « ego vero quae sint Cor-
neliae facta intellegere nequeo »; il tràdito fata è difeso inoltre, tra gli altri, da Shackleton
Bailey 1956, 265-66, secondo il quale aucturis mea fata « could properly and appropria-
tely mean ‘bring me glory in death’ », mentre facta « seems scarcely fitting in the mouth
of a Roman matron of the old school ». Facta è difeso invece da Williams nella sua
recensione al volume di Shackleton Bailey (1957, 247), dal commento di Hutchinson
2006, che suggerisce l’ulteriore correzione di mea facta in benefacta (e gli avrebbe fatto
gioco il passo di Plauto che citiamo più in basso nel testo) e infine da Heyworth 2008,
512; alle loro osservazioni aggiungo la ricorrenza di facta a proposito di Fabia, la moglie
di Ovidio, nel passo delle Epistulae ex Ponto citato nella parte finale della nota 8. Segnalo
infine che uncturis, recato da una parte della tradizione manoscritta, è accolto da Richar-
dson 1977.
43
Wyke 2007, 113, ma si tratta di osservazione comune: cfr. tra gli altri Curran
1968; Hallet 1985; Heyworth 2008, 512; Lowrie 2009, 358.
44
Tibullo, 1, 7, 55-56: At tibi succrescat proles, quae facta parentis / augeat et circa stet
veneranda senem (noto tra parentesi che il quadro properziano di Paolo vecchio felice-
mente circondato dalle premure dei suoi figli, ai vv. 93-96, presenta qualche analogia
con il secondo verso di Tibullo).
130 MARIO LENTANO
45
Sul passo dello Stichus mi permetto di rimandare a Lentano 2007, 177 ss.
46
Cfr. il contributo di Maurizio Bettini in questo volume, pp. 99-110. Le riflessioni
dello studioso sulla nozione di mos nella cultura romana si leggono anche in Bettini
2000.
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 131
dal codice culturale romano per le donne del suo rango, potranno me-
ritarle la ricompensa, assai meno impegnativa, di una sentenza benevola
da parte dei giudici inferi 47. A mio avviso, è certo che in questa chiusa
Properzio avesse in mente il Somnium Scipionis ciceroniano, come più di
un commentatore ha suggerito: che i protagonisti del Somnium, ai quali
appunto si è spalancato l’accesso al cielo, siano l’Africano, l’Emiliano e
Lucio Emilio Paolo, e cioè esattamente le figure che anche Cornelia ha
evocato nel corso dell’elegia, è per me sufficiente a fugare ogni dub-
bio 48. D’altra parte, l’auspicio della matrona, giunta al termine della sua
lunga apologia, è quello di ricongiungersi ai propri maiores (se l’ultima
parola dell’elegia è, come io credo, avis e non il tràdito aquis): e dun-
que, contrariamente a quanto si legge di solito, un destino celeste non
è affatto escluso neppure per Cornelia 49.
Con questo auspicio si chiude l’arringa difensiva di Cornelia e insie-
me l’elegia di Properzio. La parola spetta ora ai giudici; ma questo dato
extratestuale viene anticipato nella certezza, manifestata subito prima del
distico finale, che i meriti rivendicati dalla matrona stiano senz’altro per
ricevere un adeguato contraccambio 50. E del resto è lo stesso carme pro-
perziano che testimonia, con la sua esistenza, l’avvenuta assunzione di
Cornelia nel selettivo pantheon degli exempla: la matrona che si definiva, e
si offriva alla propria discendenza, come pars imitanda di una casa e di
una famiglia viene ora proposta all’imitazione di un’intera collettività,
quella cui l’elegia si rivolge; la consacrazione della virtù di Cornelia rag-
giunge, attraverso il poeta che la celebra, una visibilità che essa non avreb-
be mai osato sperare in vita. La sentenza che definitivamente sancisce la
sua innocenza non è pronunciata dai giudici infernali, ma da Properzio 51.
In un solo aspetto questa matrona esemplare sembra prestare il fian-
co al biasimo: in quella sua iniziale, orgogliosa affermazione ipsa loquor
pro me (v. 27), che contrasta frontalmente con il divieto di perorare la
propria causa in tribunale imposto alle donne romane e ribadito in oc-
47
Cito per tutti Richardson 1977, nota al v. 101: « There is emphasis on et: “even
heaven”; what she asks is modest in comparison ».
48
La ripresa del Somnium è generalmente ammessa, insieme a quella dello Scipio
enniano, cfr. per tutti Newman 1997, 331 (che però eccede, a mio avviso, nel ritenere
che il giudizio cui Cornelia si sottopone in Properzio intendesse alludere alla tradizione
dei processi agli Scipioni del II secolo a.C.).
49
Bene Johnson 1997, 171 e Ramsby 2007, 70. Contra, tra gli altri, Camps 1965, 167;
Richardson 1977, 489; Williams 1968, 399; Newman 1997, 337.
50
Vv. 99-100: Causa perorata est. Flentes me surgite, testes, / dum pretium vitae grata
rependit humus.
51
Su Cornelia come exemplum cfr. Lowrie 2008, specie 176 ss.
132 MARIO LENTANO
52
Valerio Massimo, 8, 3, 2: C. Afrania vero Licinii Bucconis senatoris uxor prompta ad
lites contrahendas pro se semper apud praetorem verba fecit, non quod advocatis deficiebatur, sed
quod inpudentia abundabat. Itaque inusitatis foro latratibus adsidue tribunalia exercendo muliebris
calumniae notissimum exemplum evasit, adeo ut pro crimine inprobis feminarum moribus C. Afra-
niae nomen obiciatur. Sull’episodio cfr., tra gli altri, Cantarella 1996, 15 ss.
53
I versi plautini in questione sono citati supra, nota 34.
54
Interessante, in questo senso, una controversia di scuola riportata nella raccolta
di Seneca il Vecchio e molto studiata in tempi recenti, nella quale un marito accusa di
adulterio la moglie che ha taciuto di fronte alle profferte erotiche avanzate da un
mercante alla donna durante l’assenza del marito stesso: in particolare, quest’ultimo
osserva che in un contesto di aperta minaccia alla pudicizia di una donna, il silenzio
può essere molto vicino ad una promessa, o servire senz’altro a stimolare il desiderio
del corteggiatore (cfr. in particolare 2, 7, 6: Quod proximum est a promittente, rogata
stuprum tacet).
PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM 133
55
Sulla prosopopea in relazione alla parola femminile cfr. l’importante contributo di
Bettini e Guastella 1995, che si soffermano a lungo proprio su un’elegia di Properzio, la
4, 7; su 4, 7 e 4, 11 come prosopopee insiste anche Dufallo 2003 (= 2007).
134 MARIO LENTANO
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