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L’Europa tra Seicento e Settecento

L’opera italiana a Vienna


Le caratteristiche stilistiche della musica italiana, la creazione dell’opera in musica e i meccanismi
impresariali del teatro d’opera erano novità talmente dirompenti che tutti gli stati europei dovettero
confrontarvisi. Nonostante la Francia le respinse, per ragioni politiche, la capitale dell’impero
asburgico (Vienna), contrariamente, le accolse quasi interamente. Per ostentare il prestigio della
corte imperiale furono allestiti a Vienna spettacoli operistici in lingua italiana, opere realizzate
interamente da personale italiano, e molto più fastose di quelle che circolavano nei teatri italiani.
Le piccole corti austro-tedesche allestirono rappresentazioni operistiche il cui costo era sostenuto
dall’erario anziché dall’impresario.
L’opera tedesca di Amburgo
Eccezione di rilievo era la città di Amburgo, la cui situazione socio-politica godeva di molti punti di
contatto con quella di Venezia. I meccanismi di gestione impresariale del teatro dell’opera
veneziana attecchirono con successo nella città di Amburgo che, dal 1678, si dotò di un teatro
all’italiana, in cui l’accesso era consentito solo a coloro che pagavano un biglietto. La differenza più
sostanziale era che ad Amburgo l’opera veniva cantata in tedesco anziché in italiano. Importante
musicista tedesco dell’epoca fu Heinrich Schutz (1585-1682) che, inviato in Italia fra il 1609-13
per studiare con Giovanni Gabrieli, venne in contatto con il lussuoso stile veneziano, caratterizzato
dall’impiego di masse corali (policorale) contrapposte e numerosi strumenti concertanti all’interno
della musica sacra. Tornato alla corte di Sassonia, più precisamente a Dresda (la Firenze del nord),
importò in Germania lo stile italiano componendo la Dafne (1626-27), il cui libretto non è altro che
la traduzione tedesca della prima opera di Ottavio Rinucci e musica di Jacopo Peri, purtroppo
però la musica di Schutz non ci è pervenuta. Altro importante musicista fu l’allievo di Schutz
Johann Theile il quale compose l’opera “Adam und Eve” con livretto di Christian Richter in
lingua tedesca. Tra il 1628 e il 1629 Schutz tornò a Venezia e si trovò in un panorama musicale
cambiato in meglio: ormai imperava la “seconda prattica” ed entrò a diretto contatto con lo stesso
Monteverdi, esercitandosi a comporre il nuovo stile drammatico, ancora sconosciuto in Germania.
Schutz fece dello stile monteverdiano uno dei principi più importanti, e cioè la concezione della
musica come arte di muovere gli affetti.
La musica inglese nel Cinquecento
Totalmente diverso da Austria e Germania fu il percorso musicale inglese. Il tardo Cinquecento
inglese aveva assistito ad una vivace stagione madrigalistica (con uno tra tutti, il compositore
Thomas Morley) affiancata da una ricca produzione strumentale dedicata al virginale, una specie
di clavicembalo dalle dimensioni assai ridotte (due raccolte importanti di brani per virginale sono: Il
“Fitzwilliam Virginal Book” di Francis Tregian e “Parthenia” di William Byrd). Il primo tentativo
di introdurre lo stile recitativo italiano venne fatto risalire ad un compositore poco noto, Nicholas
Lanier, così il pubblico londinese accettò l’inverosimiglianza di uno spettacolo drammatico
interamente cantato solo agli inizi del Settecento. Influenze della nascente monodia italiana fsi
ritrovano in John Dowland con le su ayres, arie strofiche per canto (o gruppo di cantori) e liuto, in
cui esprime col suo spirito malinconico la fuggevolezza dell’esistenza. Successivamente le opere
teatrali di Henry Purcell (1659-1695), “The Fairy Queen” (adattamento di A Midsummer Night’s
Dream di William Shakespeare) e “The Tempest” (omonima commedia dello stesso drannaturgo) e
King Arthur vennero definite “ballade opera” o semi-opere perché consistevano in inserti musicali
spesso destinati al balletto; il ruolo della musica in tali contesti può essere considerato analogo alla
funzione che la musica ricopriva nel teatro recitato italiano del Cinquecento: da un lato apriva la
rappresentazione e occupava gli spazi tra un atto e l’altro, dall’altro era introdotta come musica di
scena nei momenti in cui l’azione richiedeva un intervento sonoro.
Masque: sofisticati e sontuosi balletti di corte corredati di musica vocale e strumentale.
L’argomento del balletto era una sorta di glorificazione della saggezza e della potenza del re, inoltre
i personaggi, anche di alto rango, potevano partecipare come ballerini e, infine, al termine del
balletto i danzatori e il pubblico venivano coinvolti in un ballo collettivo. Le due commedie
shakespeariane vennero adattate in modo da accogliere numerosi prestiti per inscenare dei brevi
spettacoli-nello-spettacolo, i famosi masque, che permettevano l’irruzione di musica e danza
all’interno del dramma recitato. Solo una delle composizioni teatrali di Purcell può rientrare nella
tipologia dell’opera vera e propria, ovvero Dido and Æneas (Didone ed Enea), uno spettacolo
interamente musicato dove per l’unica volta i protagonisti si esprimono cantando; nelle sue musiche
sviluppa un principio formale già tradizionale in Italia, ovvero l’uso del basso ostinato (un esempio
ne è il famoso lamento di Didone "When I am laid in earth” dove il movimento cromatico dalla
tonica alla dominante del basso rende ancora più straziante la scena).
La Spagna e la zarzuelas
La Spagna, invece, rimase del tutto impermeabile alla diffusione dell’opera in musica tentata da
Giulio Rospigliosi, musicista italiano ambasciatore presso la corte spagnola. Nonostante alcuni
tentativi, per tutto il Seicento il mondo spagnolo respinse l’idea di uno spettacolo teatrale
interamente cantato; fiorirono soltanto le zarzuelas, ovvero drammi recitati di argomento
mitologico con inserti musicali.
Tentativi di fusione degli stili italiano e francese
Negli ultimi anni del Seicento iniziarono a diffondersi in tutta Europa le composizioni di Corelli: la
scrittura strumentale idiomatica (scrittura non generica, ma che tende a valorizzare le qualità e
caratteristiche tecnico-espressive di uno specifico strumento) delle sue sonata e tre e la novità
timbrica presentata dai suoi concerti grossi provocarono un’immediata emulazione da parte di molti
musicisti; una conciliazione tra lo stile strumentale francese, dai ritmi di danza pervasivi e da un
impianto orchestrale a cinque parti, e quello italiano, dall’impianto a tre parti che si serviva di una
scrittura strumentale “eloquente”, fu programmaticamente tentata in Germania da Georg Muffat,
musicista francese ma di formazione tedesca, che studiò per sei anni con Lully per poi conoscere
Corelli, assimilandone lo stile e adottandolo nelle sue composizioni. Anche in Francia lo stile
italiano riuscì a far breccia: il letterato Sébastien de Brossard scrisse che tutti i compositori di
Parigi stavano “follemente” scrivendo sonate alla maniera italiana; questa moda era così trascinante
che un giovane compositore francese, François Couperin (detto “le grand”), escogitò uno
stratagemma per scrivere sonate (chiamati anche ordres) a tre in stile italiano senza provocare
accuse di “tradimento” da parte dei suoi compatrioti: finse che un suo cugino gli avesse mandato
una sonata di un nuovo compositore italiano (il cui nome non era altro che il nome italianizzato di
Couperin), ottenendo così un lusinghiero successo. Nella sua famosa raccolta "Les Goûts réunis"
(1724) di dieci suites, egli cerca di mettere d’accordo i due partiti del tempo: filo-italiani con a capo
Raguenet e i filo-francesi con a capo Le Cerf de la Viéville, dicendo che bisogna essere in grado
come dice il titolo della raccolta di “riunire i gusti” e le caratteristiche migliori dello stile francese
insieme con quello italiano indipendentemente dalla nazionalità ma basandosi sul solo gusto
musicale. Queste intenzioni di Couperin sono espresse esplicitamente in due sue composizioni: “Le
Parnasse ou l'Apothéose de Corelli” (1724, in appendice alla raccolta) e “Concert instrumental
sous le titre d'Apothéose composé à la mémoire immortelle de l’incomparable Monsieur de
Lully” (1725).

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