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DAL RAZZISMO AL DIALOGO INTERCULTURALE IL RUOLO

DELL’EDUCAZIONE NEGLI SCENARI DELLA CONTEMPORANEITA’

NOTA INTRODUTTIVA
Questo lavoro nasce con l’intenzione di dare un contributo di carattere pedagogico
alle questioni sollevate dalla presenza, nelle aule scolastiche come nel resto della
nostra società, di pregiudizi e atteggiamenti negativi, di fenomeni di intolleranza nei
confronti della diversità culturale e della diversità di genere. La trattazione si articola
contemporaneamente su tre prospettive distinte ma complementari, all’interno di
un approccio che, orientato verso l’interdisciplinarità, intende formularsi come
pedagogico-interculturale:
- la prospettiva storica e di ricostruzione, necessaria a collocare i fenomeni del
presente sulle logiche che li contraddistinguono, sui punti di rottura e continuità con
le forme del razzismo del passato, anche rintracciando i momenti più salienti dei
rapporti, ora di alleanza, ora di contrasto tra educazione scolastica e razzismo;
- la prospettiva delle scienze che si sono occupate di pregiudizio e diversità culturale
(antropologia, sociologia, psicologia sociale)
- la prospettiva pedagogica e didattica, pensate in funzione di una progettualità che
tenga conto dei modi attraverso cui i suoi principali antagonisti (razzismo, pregiudizi,
xenofobia) si manifestano, si formano, si sedimentano : in questo senso la proposta
ha tentato di rendere operative le conoscenze storiche e scientifiche legate alle
precedenti prospettive e metterle al servizio di una TEORIA-PRATICA educativa,
informata del passato e proiettata al futuro, volta alla PREVENZIONE, alla
DECOSTRUZIONE, al CONTRASTO dei PREGIUDIZI RAZZISTI e dei FENOMENI di
INTOLLERANZA.

Capitolo 1. IL RAZZISMO INATTESO. SOCIETA’ MULTICULTURALE ED EMERGENZE


EDUCATIVE.
1.Le prospettive della pedagogia interculturale

Nel corso di poco più di un ventennio, il progressivo


aumento del numero di alunni stranieri ha
rappresentato un fattore di forte mutamento dello
spaccato sociale al quale la scuola si rivolge, con sfide
che le istituzioni scolastiche sono soltanto
parzialmente riuscite a gestire.
La rapidità con cui il fenomeno è andato ad affermarsi
nella scuola come nelle altre istituzioni e dimensioni
sociali, ha stimolato l’attenzione di molti studiosi sui
temi del MULTICULTURALISMO e
dell’INTERCULTURALISMO. Essi hanno focalizzato le
loro analisi sui bisogni espressi dalle diverse realtà, con
approcci che si sono differenziati nel corso del tempo
sia rispetto alle EMERGENZE DA GESTIRE (accoglienza,
apprendimento linguistico, individuazione di modelli di
inserimento scolastico prima, pedagogie narrative poi
didattiche interculturali) sia rispetto
ALL’AMPLIAMENTO DEL NUMERO DI STUDI E DEL
CORPUS DI CONOSCENZE che ha progressivamente e
velocemente caratterizzato lo sviluppo della pedagogia
interculturale.
Mettere sotto la lente di in gradimento soltanto gli
studenti stranieri, in base a quelli che sono i loro
bisogni, cui la scuola ha comunque il compito di dare
risposte adeguate ai termini di apprendimento
linguistico e di successo scolastico, rischia di risolvere il
discorso pedagogico interculturale all’interno di
un’idea di pedagogia compensativa o, come è stato
per la Germania negli anni ’70 all’interno di una poco
incisiva e per molti versi dannosa, PEDAGOGIA PER
STRANIERI, assimilazionista e di tipo compensativo,
che risolve la figura dell’immigrato dentro la categoria
dello SVANTAGGIO CULTURALE.
Se è vero che va curata con la massima attenzione
l’organizzazione di efficaci dispositivi per l’accoglienza
e l’integrazione, è anche vero che pensare e fare inter-
cultura significa anche implementare la diffusione di
mentalità rinnovate e di una presa di coscienza
profonda da parte della totalità dei cittadini in
generale, che, al di là della presenza degli immigrati
all’interno dei loro contesti di vita (scuola, lavoro, in
alcuni casi anche famiglia) vivono di fatto una realtà
multiculturale, diversificata.
Come ricorda GENOVESE la realtà multiculturale è il
prodotto di un processo di globalizzazione in atto
segnato dalla internazionalizzazione dei rapporti
economici, sociali e culturali.
- Pertanto si ha bisogno di un progetto pedagogico che
renda possibile agli individui gestire quegli spazi della
conoscenza, della comunicazione e della relazione
interculturale per i quali non è richiesta la conoscenza
di una cultura specifica o di una lingua specifica, ma di
un CORPUS di saperi e di atteggiamenti che stimoli al
dubbio critico e alla cautela piuttosto che stimoli al
dubbio critico e alla cautela piuttosto che alla
formulazione di sbrigativi giudizi di valore.
I bisogni formativi nel settore scolastico e nella
formazione in genere vanno pensati in relazione a
tutta la varietà degli attori in gioco. Lo sviluppo delle
competenze interculturali da promuovere nella
formazione iniziale e in servizio, riguarda non solo le
TECNICHE DIDATTICHE (italiano come seconda lingua,
inter-cultura e discipline e non solo i dispositivi
organizzativi e amministrativi utili a gestire
l’inserimento scolastico, ma anche le modalità
comunicative e relazionali che passano attraverso un
lavoro volto al decentramento dei punti di vista e
all’assunzione di strategie educative e didattiche
scevre da idee pregiudiziali e non più disposte a
considerare l’immigrazione e dunque, lo studente
immigrato come problema da risolvere. La traduzione
di questo dovrebbe implicare un rinnovato modo di
fare scuola, un approccio, che, letto in un’ottica di
SPROVINCIALIZZAZIONE delle menti, favorisca un
atteggiamento educativo che parta dalla
consapevolezza che l’atteggiamento stesso
rappresenta uno dei principali perni dell’AZIONE
EDUCATIVA e della sua efficacia.
I modi attraverso cui si categorizza l’esperienza
sociale, portano spesso a considerare diversamente i
soggetti che da un punto di vista formale e sostanziale
dovrebbero appartenere ad una stessa categoria:
come da dizionario un immigrato dovrebbe essere un
individuo che si stabilisce, soprattutto per motivi di
lavoro, in luogo diverso da quello di nascita e di
residenza. Ma nelle conversazioni quotidiane si
preferisce utilizzare il termine straniero, che li
pongono all’interno di un basso livello di status
sociale. Viene ad operare un meccanismo di
differenziazione e di gerarchizzazione, che porta il
nostro modo di attribuire un maggiore o minore
prestigio sociale ai soggetti stessi, alle loro culture alle
loro lingue.
_Il discorso sulle COMPETENZE INTERCULTURALI
dell’insegnante si pone quindi come questione
prioritaria, poiché a grappolo da questo si aprono le
prospettive pedagogiche centrate sui bisogni dei
ragazzi italiani e di quelli stranieri, che si possono
riassumere in :
1. La prospettiva dell’accoglienza e dell’inserimento
scolastico 2. La prospettiva
dell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua,
la promozione dell’italiano nei confronti dei ragazzi
immigrati è uno strumento fondamentale per una
scuola la cui bussola è orientata sul versante
dell’integrazione
3. La questione dell’apertura delle discipline ad
un’ottica interculturale (riformulazione dei libri di
testo, una ridefinizione dei saperi e dei programmi
scolastici)
4.La questione della prevenzione e della decostruzione
di stereotipi e pregiudizi.
Il tema della mediazione interculturale, da non ridurre
semplicisticamente alla presenza nelle scuole di figure
professionali specifiche, e pur importantissime quali
mediatori culturali e linguistici.
FRANCESCO SUSI è stato uno dei primi sostenitori
dell’idea secondo la quale, proprio a favore di un
processo di integrazione positivo, l’educazione
interculturale debba essere rivolta prioritariamente ai
ragazzi italiani. L’approccio interculturale diviene, in
questo modo la risposta in termini di prassi formativa
alle sfide e ai problemi che pone il mondo delle
interdipendenze, è un progetto educativo intenzionale
che tagli trasversalmente tutte le discipline insegnate
nella scuola e che si propone di modificare le
percezioni e le abilità cognitive con cui si
rappresentano gli stranieri.

P2. <Se i miei genitori fossero neri >: alcune ricerche su


razzismo e pregiudizi nella popolazione giovanile.
Se i miei genitori fossero neri li butterei fuori di casa perché sono
troppo brutti. Fossi nero mi ammazzerei.
I bianchi sono più forti dei neri e non vorrei mai avere dei neri.
Così scrivono alcuni bambini di 1 e VI elementare, nei loro temi dal
titolo SE I MIEI GENITORI FOSSERO NERI, raccolti all’interno di un
interessante lavoro di ricerca di PAOLA TABET.
Sul finire degli anni ’80 quando l’immigrazione si definisce come un
fenomeno con un peso maggiore in termini di visibilità e di incisività
sociale, ed iniziano a farsi avanti le attenzioni e le preoccupazioni da
parte di diversi ambienti sociali, culturali e politici, MONDADORI
pubblica un testo dal titolo “ All’erta siam razzisti, di ROSELLINA BALBI.
Il testo, che contiene una serie di episodi di RAZZISMO ORDINARIO,
immaginabili prima che gli immigrati costituissero un tassello
fondamentale nella storia sociale contemporanea, viene
accompagnato da iniziative parallele, soprattutto di tipo scientifico, che
vedono principalmente i sociologi e pedagogisti impegnati ad
interpretare e ad analizzare le emergenti forme di relazione tra
popolazione autoctona e immigrata, individuando i rischi insiti nella
impreparazione sociale e istituzionale ad affrontare il fenomeno, e
studiando più da vicino i bisogni sociali e formativi dei nuovi soggetti
sociali che si andavano ad affermare nel contesto.
– MODELLO MEDITERRANEO DI SOCIETA’ MULTICULTURALE, vale a
dire un contesto in cui si trovano a convivere i fenomeni
dell’emigrazione e dell’immigrazione, gli anni ’80 risvegliano,
inaspettatamente e a dispetto della convinzione in base alla quale gli
italiani non sono razzisti, un immaginario ma anche una serie di
pratiche sociali che, se analizzate all’interno delle nuove interpretazioni del
razzismo, possono definire il nostro paese come scisso tra i principi che
istituzionalmente lo orientano e lo regolano ( a partire dall’art 3 della
Costituzione ). Il RAZZISMO c’è e viene da lontano, ed è un RAZZISMO che la
memoria storica collettiva ha tentato di mettere in ombra, nonostante abbia
continuato a nutrire , il nostro “sistema percettivo razzista”.
L’applicazione delle leggi razziali nell’Italia fascista e le varie forme attraverso cui
si è espresso il razzismo coloniale concorrono a rendere più che palese l’esistenza
di un background razzista nella cultura e nella società italiana, la storia delle
migrazioni interne, più vicine nel tempo, presenta un importante capitolo sul
razzismo antimeridionale, che ancora oggi non può considerarsi del tutto risolto,
a causa dell’azione dei gruppi politici.
L’ESISTENZA DI PREGIUDIZI E STEREOTIPI di tipo razzista nei confronti di
musulmani, ebrei, immigrati, la sindrome da invasione che diverse ricerche ormai
documentano rappresentano segnali importanti che provengono dall’universo
giovanile, e purtroppo non soltanto da questo, per i quali è necessario pensare
opportune risposte in termini pedagogici. I
risultati della ricerca di PAOLA TABET sul rapporto tra bambini e razzismo, che ha
coinvolto 424 classi di scuole elementari e medie disseminate sul territorio
nazionale. Di tale ricerca, oltre ad interessare il tipo di risposte fornite dai
bambini e quindi la varietà e l’articolazione dell’immaginario razzista, interessa
un aspetto di tipo metodologico, che dimostra, che la scuola costruisce spesso
atteggiamenti di facciata, dietro i quali si nascondono comunque forme più
interiorizzate di rappresentazione dell’alterità che denotano l’insufficienza
dell’agire educativo. L’analisi del
contenuto dei temi fa emergere prepotentemente sentimenti di paura, ribrezzo,
vergogna e rifiuto, associati ad un’immagine negativa dei neri.
Una ricerca recentemente condotta a livello nazionale, promossa dall’Unione
delle Comunità ebraiche italiane e condotta dal Dipartimento di ricerca sociale e
metodologia sociologica “GIANNI STATERA” dell’università LA Sapienza di Roma,
studiando un campione rappresentativo di ragazzi e ragazze di età compresa tra i
14 e i 18 anni, evidenza importanti e, forse, sacche di atteggiamenti razzisti che i
giovani rivolgono verso immigrati, ebrei e musulmani con evidenze che pongono
lo studioso di problemi pedagogici e gli insegnanti a dover considerare il razzismo
come un’ EMERGENZA EDUCATIVA.
Quella che i sociologi chiamano SINDROME DA INVASIONE è ad esempio ben
presente nelle considerazioni dei ragazzi : alla richiesta di indicare
orientativamente la percentuale di immigrati presenti in Italia, molti hanno
fornito cifre del tutto irrealistiche, tanto che la stima media è risultata pari al 33,4
%, una stima ben 8 volte più grande della reale proporzione di immigrati sul
territorio nazionale.
La conclusione della ricerca , si orienta verso diversi ordini di considerazioni:
1. L’esistenza di pregiudizi e atteggiamenti sfavorevoli nei confronti degli
immigrati è un fenomeno che riguarda non soltanto le situazioni sociali ma anche
le realtà distanti dalle cronache;
2 le nuove forme di pregiudizio e razzismo richiedono alla scuola un impegno
sostanziale, da concretizzarsi attraverso specifici interventi educativi e didattici;
3 si ribadisce l’esigenza di considerare l’educazione interculturale come un
approccio da rivolgere a tutti gli studenti e in primis agli italiani, poiché nessun
intervento specifico sugli immigrati può andare a buon fine se non si inserisce in
un clima favorevole e in una razionalità orientata al dialogo, all’ascolto e al di
fuori delle logiche di esclusione.

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