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Estetica
Universita degli Studi Roma Tre
30 pag.
CAPITOLO PRIMO
PROLOGO
Per iniziare ad entrare nella materia D’ Angelo propone un ragionamento, un gioco, che ideò uno
studioso americano sulla rivista Mind, nel 1958, lo studioso è William E. Kennick. Kennik propose
questo gioco: supponiamo che ad una persona sia chiesto di entrare in un grande magazzino e di
tirare fuori da esso solo le opere d’arte. Il malcapitato se ha avuto una formazione normale,
tirerebbe fuori oli su tela, tavole dipinte e sculture, volumi, poesie ed incisioni, anche film. Se il
soggetto invece ha avuto una formazione estetica differente, eseguirebbe l’esperimento secondo le
dottrine filosofiche alle quali aderisce. Se segue le teorie del critico d’arte Clive Bell per esempio,
tirerebbe fuori le “forme significanti”, se segue Benedetto Croce le forme di “intuizione lirica”. Le
varianti possono essere infinite, Hegel definiva opera d’arte ciò che fosse “esistenza sensibile
dell’idea” mentre Heidegger la definiva “messa in opera della verità”. Questo gioco mette in luce la
difficoltà di definire l’arte, inoltre possiamo considerarlo opposto all’estetica, che ritiene inutile se
non dannosa, in quanto ha il potere di definire quello che è arte e quello che non lo è. L’attacco di
Kennik è molto grossolano, in quanto da per scontato che il compito dell’estetica sia quello di
decidere cosa è un’opera d’arte. Le cose infetti stanno anche così. L’estetica non è critica d’arte, il
suo compito non è quello di occuparsi delle singole opere d’arte, non le deve valutare, non le deve
inquadrare, non deve riconoscere o negare la loro artisticità, come fa la critica d’arte. Vero è ben che
alcuni critici dell’arte sono anche filosofi e teorici dell’estetica, la storia ci offre molti esempi in
proposito: Gotthold Lessing, Fredrich Schlegel o Arthur Danto. La critica d’arte è volta a dare un
giudizio, obiettivo che non ha l’estetica. Alle affermazioni di Kennik si può rispondere anche
dicendo che noi non decidiamo cosa è arte e cosa non lo è in base ad una definizione generale di
arte. Tuttavia questa risposta solleva un polverone di ulteriori domande, ovvero che cos’è una
definizione e a cosa serve. In ogni caso è difficile rispondere a Kennik con una risposta diretta.
Bisogna domandarsi se la filosofia, e quindi l’estetica, possano fornire risposte dirette, quello che è
certo che tutte queste possibili risposte mostrano quanto sia in realtà complicato il problema
sollevato da Kennik, e che l’estetica, utile o non, si pone dei problemi che effettivamente sono
problemi. Immaginiamo solo per un secondo il nostro visitatore del magazzino, si troverebbe
probabilmente in imbarazzo, egli infatti non avrà degli impulsi immediati che lo condurranno a
scegliere quell’oggetto piuttosto che quell’altro. Se egli si trova in questa situazione dopo aver visto
un museo di arte contemporanea, sarà ancora più in imbarazzo. Se ha un po’ di cultura saprebbe che
molti artisti hanno lavorato nel design e che molti designer sono considerati degli artisti. Potrebbe
pensare al famoso spremi-agrumi di Philippe Starck, che è inutile e bello come “un’opera d’arte”.
Un’esperienza simile la farebbe nei reparti di gioielli e di carte da parati, dopotutto molti scultori
sono stati anche orefici, pensiamo a Ghiberti o a Cellini. Vi sono interi musei dedicati alle arti
applicate, o musei di arte antica dove sono esposti bicchieri e monete. Pensiamo alle carte da parati
di William Morris o ad una stoffa di Mariano Fortuny. Se la nostra cavia è incline a speculazioni di
questo tipo si renderebbe conto che lo stile di queste ornamentazioni varia in sintonia con gli stili
stilistici. CI possiamo riferire a questi manufatti con il nome di art déco, moderna o art noveau. Lo
stesso imbarazzo sarebbe provato dentro alla libreria del grande magazzino. Che fare? Prendere tutti
i libri di poesia e letteratura? O prendere tutto, in quanto letteratura? Non sarebbero messi sullo
stesso piano ricettari e manuali del computer? Non accadrebbe lo stesso nella sezione musica? Con
le filastrocche per bambini e i concerti per clavicembalo di Bach? I problemi sorgerebbero anche
nella sezione di fotografia, pensiamo alle fotografie celebri come i pretini di Mario Giacomelli o il
miliziano di Robert Copa, prese insieme a fotografie documentarie comuni. Vi è qualche
discriminante tra una foto scattata da nostro zio e quelle di Gabriele Basilico? Dio non voglia che
FILOSOFIA DELL’ARTE?
L’esperimento di Kennik ci permette di familiarizzare con l’idea comune che si ha dell’estetica. Si
tratta di un modo di vedere l’estetica come filosofia dell’arte. All’ingrosso, se diciamo che l’estetica
è quella parte della filosofia che riflette sulla natura, le funzioni, e i destini dell’arte. Così come
parti della filosofia si occupano di linguaggio, della scienza, della religione, l’estetica si occupa di
quei particolari prodotti che sono le opere d’arte. Si parla di una filosofia specialistica e non
generale. L’idea che ha Kennik dell’estetica, come filosofia dell’arte è frutto di una idea di lunga
tradizione. L’estetica, ha un contatto indissolubile con l’arte, fornisce definizioni che decidono cosa
è arte e cosa no. Kennik proveniva dai ranghi della filosofia analitica, filosofia che prende in esame
il linguaggio con il quale discorriamo di filosofia. Era ovvio quindi che per dare una definizione di
estetica, la risposta sarebbe stata filosofia della critica dell’arte. Diversi titoli danno questa
interpretazione, per esempio Beardsley Aesthetics: Problems in the Philosophy of Criticism. Il
problema di questo modo di intendere l’estetica è che si tralascia e non si vede uno dei campi più
antichi di questa filosofia, ovvero: la bellezza naturale. Non si deve trascurare il fatto che si possono
fare delle esperienze estetiche anche nella natura. Negli anni Sessanta Ronald W. Hepburn ha
segnalato questa limitazione, che in seguito è stata attenuata sull’onda dei movimenti ecologici.
Immanuel Kant è stato l’ultimo filosofo per il quale si poteva discutere di bellezza davanti ad un
fiore, o un animale, oltre che davanti ad un’opera d’arte. Questo concetto per secoli è stato dato per
scontato, successivamente l’arte è diventata rappresentazione del bello della natura. Dopo di lui il
Romanticismo ha portato la definizione sempre verso una concezione relegata all’ambito dell’arte.
Primo su tutti Schelling, fu il primo ad intitolare le sue lezioni la filosofia dell’arte. Nell’Ottocento
l’idea che l’arte sia più di un prodotto della cultura umana, sullo stesso piano di molti altri, ma una
via di conoscenza della filosofia. L’estetica in un ragionamento di tale guisa sull’arte, diventa una
religione di essa. Nell’epoca contemporanea l’arte ha smesso di “cambiare le vite” ma inizia ad
essere un mezzo di intrattenimento. L’estetica continua ad essere la filosofia dell’arte, ma cambia il
modo di rapportarsi ad essa.
CAPITOLO SECONDO
I PREDICATI ESTETICI
Possiamo allontanare l’idea dell’estetica come scienza generale della sensibilità anche scegliendo
un percorso diverso. Se tutti i giudizi che chiamiamo estetici fossero giudizi dei sensi, e se tutti i
giudizi dei sensi fossero estetici non coglieremmo le diverse qualità di un determinato oggetto.
Guardando un albero possiamo, con i sensi, osservare il colore della chioma, lo spessore della sua
corteccia, giudicare se ha i rami a palco o rivolti verso l’alto. Da un punto di vista estetico possiamo
dire che è cupo e contorto, oppure nobile e sereno, maestoso o delicato. Lo stesso si può dire di una
scultura, di una tela, di una tavola o di un mobile. Per vedere le prime qualità basta avere gli organi
sensoriali che funzionino, diversa è la questione per le seconde qualità. Mentre se una persona ci
contesta una delle prime qualità, come per esempio il colore di una rosa, siamo indotti a pensare che
questa persona abbia una visione distorta dei colori, se qualcuno invece giudica tozzo un albero che
io giudico slanciato, la discussione che ne segue è radicalmente diversa, si può invitare la persona a
giudicare il rapporto con altri alberi, o con la figura umana. I secondi termini sono estetici in quanto
hanno a che fare col nostro modo di reagire a certi oggetti e di considerarli soddisfacenti o
insoddisfacenti. L’esperimento di Kennik ha il limite di considerare le opere d’arte come se non ci
fosse nessuna differenza tra i predicati sensibili e quelli estetici. Possiamo dire che vi sono qualità
sensibili che non hanno a che vedere con l’estetica. Per esempio possiamo avere la sensazione di
pesantezza vedendo una statua, un pesantezza che si esprime in kg mentre vedendo un quadro di
Tintoretto o di Botero avere un’altra concezione di pesantezza. Vale anche la proprietà inversa,
ovvero che ci sono giudizi estetici che non sono giudizi del senso. Un’esempio sono i versi di una
poesia che si possono trovare molli e dolci, le qualità di un’opera letteraria non si avvertono tramite
i sensi. Un’opera come L’isola dei morti di Bocklin fa vedere la sua cupezza nella mente di chi
guarda l’opera, in sintesi l’arte, la musica, ci possono offrire stimoli che non sono sensibili.
Abbiamo fino ad ora evitato la distinzione tra proprietà relazionali e quelle intenzionali. Le
proprietà intenzionali sono quelle che possono essere colte soltanto facendo riferimento alle
intenzioni dell’autore. Bisogna sempre considerare il punto di vista dell’autore o non si possono
cogliere delle proprietà estetiche come l’ironia. Come potremmo valutare nella sua interezza i
Viaggi di Guliver, senza fare riferimento alle intenzioni di Swift? Passando invece alle proprietà
relazionali, possiamo dire che con esse ci si riferisce a tutte quelle proprietà che un’opera d’arte
possiede per i suoi rapporti con altri oggetti, come per esempio persone, tempo e opere del passato.
Di questo tipo fanno parte le accezioni come barocco o gotico, liberty o art déco, musica techno o
house. D’ Angelo fa l’esempio dei falsi per distinguere i dati sensibili da quelli non sensibili, che
hanno una forza maggiore. Fa l’esempio dei falsi nell’arte, un dipinto di Vermeer può esprimere
l’amore per il particolare direttamente colto, la passione per gli interni borghesi. Un dipinto del
falsario di Vermeer Han van Meegeren, non può esprimere tutto questo, qui si valuterà la sua
capacità di immedesimarsi in Vermeer.
CAPITOLO TERZO
VALUTAZIONE E SCELTA
Torniamo ora al grande magazzino di Kennick, le persone incaricate di tirare fuori solo e tutte le
opere d’arte, avranno a che fare con predicati estetici, essi saranno usati come giustificazioni delle
loro scelte. Diranno di aver scelto quel dipinto perché vivace, quella statuetta perché piena di
movimento e così via. Il disaccordo in questo caso potrebbe nascere dalla contestazione della
fondatezza del valore attribuito all’oggetto. Non si discuterebbe quindi se il dipinto scelto è arte
oppure non lo è, si discuterebbe se il dipinto è vivace oppure no. Tutto questo per dire che non
esiste una categoria sicura e chiusa di oggetti vivaci, delicati, graziosi eccetera, i clienti del
magazzino di Kennick dovranno quindi discernere di volta in volta gli oggetti in base ai predicati
estetici. La cavia dell’esperimento deve quindi fare una scelta, egli deve scegliere tra una gamma
indefinita di oggetti. Questo forse è il concetto dal quale far partire l’estetica, non si parla di questo
o di quello, ma di questo piuttosto che quello. Nella scelta estetica i criteri entrano secondo i
principi che andranno definiti, tra questi criteri non rientra quello che Kennick prende come cardine
del suo esperimento, ovvero la definizione di arte. Si può immaginare uno che cerca di capire se
l’opera che ha davanti è arte oppure no, sulla base di una definizione? Nel passato i prodotti artistici
mostrano segni dichiarati di artisticità, nel senso che le opere di letteratura erano scritte in versi e/o
con un linguaggio elevato, la scultura aveva una sua dichiarazione artistica già nella scelta del
materiale. Oggi un romanzo può essere scritto tranquillamente in prosa e la scultura può essere fatta
con sedie e pezzi di automobile pressati. L’esempio di Kennick sembra essere ambientato in
un’epoca passata quando era facile capire se si trattava di arte oppure no, grazie ad una semplice
occhiata. Questo esperimento non si può attirare in un’epoca come la nostra dove le opere d’arte
fanno di tutto per dissimulare il loro essere arte. Capire se un’opera contemporanea è arte oppure no
è un lavoro molto più concettuale e difficile. Per capire cosa è arte e cosa non lo è si è tentato di
dare una definizione di arte. Queste definizioni volevano caratterizzare l’arte rispetto alle altre
attività umane, volevano esplicitarne la funzione, chiarire i bisogni ai quali l’arte risponde. Mentre
le vacche definizioni di arte, la esprimevano come conoscenza, come imitazione, come espressione,
le nuove definizioni sono più ambiziose in quanto vogliono classificare le opere che sono riuscite e
quelle che non lo sono, vogliono quindi definire l’arte e decidere quali rispettino i criteri artistici e
quali no.
DEFINIRE L’ARTE?
Intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso si è tentato, specie in ambienti anglosassoni, di
definire l’arte. Il problema dell’estetica analitica ruotava intorno ala definizione di arte. Si sono
seguite diverse opere che tutto sommato costituiscono una rassegna delle varie definizioni dell’arte.
Alla base di questo dibattito vi è il diffuso scetticismo circe la possibilità di poter definire l’arte
sulla base di condizioni necessarie e sufficienti. Si argomentava che l’arte è un concetto aperto,
ovvero continuamente incrementato dall’apparire di opere nuove. Presumere di poterne afferrare
l’essenza racchiudendola in un numero finito di proprietà significa tradire l’aspetto creativo e
innovativo dell’arte. Si possono enumerare le condizioni necessarie e sufficienti solo dei concetti
chiusi. Per aggirare l’ostacolo si è obbiettato che l’aspetto comune delle opere d’arte non deve
essere una qualche caratteristica manifesta. Si può trattare di una proprietà relazionale, non visibile,
delle somiglianze di famiglia. Per quanto riguarda queste ultime si è osservato che per sapere che si
tratta di somiglianze di famiglia io devo sapere che coloro che presentano queste somiglianze sono
DEFINIZIONE E VALUTAZIONE
Queste definizioni più che affrontare il problema sembrano trovare un escamotage teorico. La
definizione di Dickie ha un carattere circolare, dato che so che cos è un mondo dell’arte solo se già
so che cos è arte, e viceversa. Inoltre è poco chiaro il concetto di apprezzamento, che tipo di
apprezzamento? Le cose possono essere apprezzate per la loro utilità, per il loro valore economico
oppure per il loro valore affettivo. L’apprezzamento che stabilisce se è arte oppure no dovrebbe
essere un apprezzamento estetico. Anche Levinson che dice che l’arte ha sempre un rapporto con
l’arte passata rischia di far fare un viaggio all’infinito verso il passato, arrivando alle origini e
dovendo ammettere che nel tempo è stato stabilito cosa fosse arte senza avere nulla alle spalle al
quale riferirsi. Sembra così di dover dare ragione a Nietzsche che affermava che si può definire solo
ciò che non ha una storia. Non si può quindi fare a meno di una valutazione che stabilisca cosa sia
arte e cosa no, bisogna riconoscere nell’arte un valore estetico, è impensabile dare un giudizio a
priori
CAPITOLO QUARTO
CONOSCENZA ED EMOZIONE
Se ci chiediamo quali siano gli aspetti del nostro comportamento che vengono attivati
dall’esperienza estetica diciamo che mettiamo in atto le attitudini conoscitive ed emotive. Torniamo
davanti al quadro di Friedrich. Dopo una lunga sosta davanti l’opera si osserva la posizione
singolare della roccia e del sole. Al tempo stesso l’opera ha prodotto in me una reazione emotiva,
facendomi sentire la solitudine della croce. Arte come conoscenza e arte come sentimento sono solo
due aspetti dei modi in cui l’arte è stata a lungo vissuta. Per due millenni l’arte è stata imitazione,
dove il piacere era nel riconoscere. Baumgarten fonda la disciplina filosofica dell’estetica dove
l’arte diventa conoscenza sensibile. Con i romantici l’arte diventa un mezzo per conoscere il
noumeno, un’intuizione intellettuale che ci permette di comprendere territori nascosti al senso
comune. Secondo Nelson Goodman l’arte è un modo di vedere il mondo, così come la scienza è un
altro modo. In tutti questi esempi l’arte rimane sempre uno strumento di conoscenza, così come è
sempre legato all’ambito dei sentimenti. Lev Tolstoj in Che cos’è l’arte sostiene che “l’arte è una
CAPITOLO QUINTO
CAPITOLO SESTO
CAPITOLO SETTIMO
CAPITOLO OTTAVO
CAPITOLO NONO
OPERE E COSE
Torniamo un’ultima volta nel ragionamento di Kennick, abbiamo detto che il suo esperimento
consisteva nel tirare fuori da un magazzino soltanto le opere d’arte. Questo esperimento da per
scontato il fatto che le opere d’arte siano cose in mezzo ad altre cose. Prima di spiegare quanto sia
grossolana questo modo di intendere l’arte, diciamo subito che non è solo a Kennick che è venuta in
mente un’idea del genere; dopotutto le opere d’arte si comprano e si vendono, si imballano, sia
appendono alle pareti, invecchiano, si rompono, come tutti gli altri oggetti. Anche Hegel infatti
aveva un parere non troppo dissimile: egli sostiene nella Enciclopedia delle scienze filosofiche del
1830 che “l’arte è un dirompersi in un’opera di esistenza esterna e comune”, ovvero una cosa che
esiste come le altre cose. Nella Fenomenologia dello Spirito del 1807 ribadisce questo concetto.
Heidegger nello scritto del 1936 L’origine dell’opera d’arte, comincia la sua indagine dall’esser-
cosa dell’opera, dice che un quadro si trova appeso alla parete allo stesso modo di un fucile o di un
cappello, come i quartetti di Beethoven sono disposti nei magazzini della casa editrice come patate
in cantina; sembra di stare nel magazzino di Kennick. Tuttavia, dice D’Angelo, se i magazzini della
casa editrice si allagassero, noi non perderemmo i quartetti di Beethoven, a parte che non è chiaro
se i quartetti siano la loro forma scritta o la melodia che essi simboleggiano, ma ad ogni modo, testi
di musica, libri, almeno che non siano opere uniche in tutto il mondo mai riprodotte, non saranno
mai perdute. Diverso è il discorso per un quadro e una statua. Il problema che sorge quando si
intendono le opere come cose è che questa idea si addice bene per delle cose e affatto per altre.
Anche le opere strettamente materiali, come quadri e statue hanno delle proprietà rappresentative:
ovvero il fatto che l’opera raffiguri un’azione, un personaggi; e delle proprietà espressive: il fatto di
comunicare tristezza, felicità, angoscia eccetera. L’idea che l’opera sia un’immagine interna della
mente dell’artista che finisce nella mente del fruitore. Quest’idea dell’arte come immagine interna
la troviamo nelle posizioni del filosofo inglese Collingwood per il quale l’opera è un oggetto
interamente immaginativo: quando ascoltiamo una melodia, noi udiamo i suoni della mente del
compositore che passano nella mente di chi ascolta. Quando ascoltiamo una conferenza non
sentiamo suoni e basta, ma diamo un senso alle parole, la stessa cosa che fa la nostra
immaginazione con gli aspetti materiali delle opere. Questa sua tesi deriva da quella esposta da
Croce in Estetica del 1902 dove l’opera è compiuta nella mente dell’artista e la sua traduzione in
suoni, colori, forme, è solo un estrinsecazione (espressione di un fatto psicologico) materiale che
serve a scopi comunicativi. L’opera è presente quando l’artista ha espresso in modo adeguato la sua
intuizione. Chi fruisce l’opera fa un processo a ritroso, risale all’intuizione dell’artefice. Un altro
filosofo, Sartre afferma che l’opera d’arte è l’immagine e non la materia in cui viene fissata. Questa
idea dell’opera d’arte come immagine interna la troviamo anche in Plotino, il quale dice che la
materia rilutta ad essere investita dalla forma, un blocco di marmo non è bello in quanto pietra ma
perché l’artefice gli da una forma che già esiste nella sua mente. Questa concezione torna in
Leonardo che vede nell’arte una interpretazione soggettiva, un fatto mentale. Anche Lessing dirà lo
stesso, facendo riferimento a Raffaello, e Friedrich Schleiermacher che in Estetica del 1819 dirà che
l’opera d’arte è un’immagine interna e che la sua esecuzione è una cosa che avviene dopo, è un
qualcosa in più. A questa teoria dell’immagine interna che passa dall’artefice al fruitore si muovono
solitamente due obiezioni. La prima obiezione è che l’arte sembra un’esperienza solipsistica, in
quanto non si capisce come il fruitore possa essere certo di aver riprodotto nella sua mente
l’immagine, l’intuizione come l’aveva in mente l’artista. La seconda obiezione si oppone al
ONTOLOGIA DELL’ARTE
Per ontologia si intendeva in origine scienza dell’ente in generale, ciò che studia l’ente in quanto
ente. Oggi per ontologia si intende lo studio dei modi di esistenza dei vari oggetti che incontriamo
nel mondo. Nel mondo esistono oggetti materiali e oggetti ideali come numeri, teoremi,
costituzioni, figure geometriche, contratti eccetera. Fare ontologia dell’arte significa quindi
riflettere sui modi di esistenza delle opere d’arte. L’ontologia dell’arte si è sempre fatta a
cominciare da Plotino che si chiedeva se l’opera era il loco di pietra o la fama data dall’artista,
anche Platone che vedeva nell’arte una imitazione dell’imitazione. È nata con il tempo l’esigenza di
dare una definizione dell’arte. Le risposte che si sono date sono innumerevoli. Nella parte
precedente si è posto il problema se le opere d’arte siano oggetti materiali, ideali o una via di
mezzo, per quanto decisivo sia questo punto è solo uno dei tanti lati della faccenda. Accanto alle
opere d’arte che sono singole ve ne sono alcune che sono multiple, L’Amor Sacro e L’Amor
Profano è uno solo, Padri e figli di Ivan Turgenev è solo un loro che sta in uno scaffale di cui
esistono innumerevoli edizioni e traduzioni. Idem una sinfonia di Beethoven che la si può ascoltare
su YouTube, su un CD o su l’Ipod. Nel 1968 Nelson Gooodman distingue le arti autografiche da
quelle allografiche. Le prime sono quelle che non si possono riprodurre, ogni loro possibile
riproduzione costituirebbe un falso, mentre le seconde possono essere riprodotte, ogni edizione del
Porto Sepolto è un esemplare nuovo che convive con tutte gli altri esemplari. Un dipinto del
Seicento è autentico perché fatto in un determinato periodo storico, con dei determinati materiali, su
un determinato supporto. Un’opera d’arte per essere definita autografica dovrà essere tale che la
storia della sua produzione, cioè le circostanze materiali, metodi con cui è stata composta siano
rilevanti per la sua identità, sarà allografica se la sua identità non dipende affatto da questi aspetti.
La distinzione tra arti allografiche e arti autograifche non coincide con quella delle arti che sono
singole o multiple. Le acquaforti producono dei multipli sono autografiche.
CAPITOLO DECIMO
CAPTILO UNDICESIMO
“ETICHAL CRITICISM”
In anni a noi più recenti, la separazione tra estetica e morale è stata revocata in duo da molte
prospettive differenti. Etica è una parola che si è iniziato a pronunciare sempre più spesso nei
discorsi sulle arti. Un arte consacrata alla ricerca di valori puramente estetici è stata sempre
considerata una riprovevole evasione. Ecco che un’arte del genere diventa arte di massa, votata
unicamente all’intrattenimento, chiusa ai veri problemi del mondo. Passo decisivo è quello
compiuto da orientamenti che rivendicano la necessità di un giudizio di ordine morale affinché si
CAPITOLO DODICESIMO
PROGETTARE O COMPRENDERE
Sino ad ora abbiamo considerato l’esotica come una riflessione metodica sull’origine e le forme
dell’esperienza estetica, non come un sapere volto a sostenere questo o quel tipo di produzione
artistica, essa vuole comprendere i fenomeni, non influenzarli. Questa scelta di riflettere sull’arte e
sull’esperienza estetica senza intenti di orientamento operativo, la troviamo in Kant, per esempio.
L’esotica si muove su un piano speculativo, non su un piano operativo, i programmi d’arte vengono
fatti dagli artisti, dai movimenti, dai critici. Essa non dice come bisogna fare arte, ma cosa significa
che la si faccia. Abbiamo tre ordini di considerazione dei fatti artistici:
- una teoria estetica generale, che prescinde dalle singolarità che si presentano nelle singole arti.
- una teoria delle singole arti (teoria della musica, teoria della letteratura eccetera).
- una riflessione operativa che mira ad indirizzare concretamente la produzione artistica.
La critica, sebbene sia rivolta all’analisi e alla valutazione delle opere, si intreccia con altri piani del
discorso, in particolare collabora con il terzo, con la riflessione operativa. Proprio per distinguere la
comprensione dalla progettualità, si è usata la distinzione tra estetica e poetica. Il termine poetica
non indica una ricerca delle regole e dei caratteri della composizione letteraria. Esso indica una
riflessione che chi è direttamente impegnato nella produzione artistica (quindi l’artista), compie la
sua attività seguendo delle norme, dei progetti. Il termine poetica deriva da Aristotele, e da Boileau,
esso intende teoria di... essa si pone come rapporto opposto all’estetica, che vuole indirizzare il
fenomeno artistico. Questa divisione funzione su piano teorico ma è en più complicata su quello
pratico. Essi pensare a quante volte le attività del critico e quelle del teorico si sono sovrapposte,
mescolate. È difficile dire dove finisca il propagandista militante e dove cominci il filosofo
comprendente. A partire dal Romanticismo, l’esotica si propone prevalentemente come una filosofia
dell’arte. I modi fondamentali di intendere l’estetica sono:
Teoria della percezione
Filosofia dell’arte
Teoria della bellezza
Filosofia dell’esperienza (D’Angelo)
Filosofia della storia dell’arte (indagine storica sulle arti
OLTRE LA FINE
Entrambe queste due teorie hanno dato all’arte il potere si assorbire in sé le altre forme del sapere.
L’arte diventa una via suprema di accesso al reale. Bisogna tenere a mente che queste due teorie
sono frutto di un parto avvenuto nell’Ottocento. Ha davvero senso chiedersi quali saranno gli
sviluppi dell’arte? La risposta è no, D’Angelo punta ad una estetica senza pretese che deve fare i
conti, oggi, con la fine delle avanguardie e con la diffusione di un’arte di massa. l’Avanguardia è la
parte finale di un modo di intendere l’arte iniziato con il romanticismo, oggi fa parte del passato,
sono scomparsi anche i manifesti. È finita una fase dell’arte? Si. È finita l’arte? No. Si è diffuso il
termine post-moderno. Bisogna dire che mai come oggi si fruisce l’arte, non bisogna dimenticare
che siamo all’inizio di un’epoca dove per la prima volta sono quasi tutti alfabetizzati. Di solito si
connette il fenomeno dell’arte di massa alla nascita delle arti usate su forme di riproducibilità
tecnica, come la fotografia e soprattutto il cinema. Oggi circolano pochissime opere alte, moltissime
opere basse, di massa. (vedi Greenberg Avanguardia e kitsch).