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Fonte: fiorigialli
I moderni servizi sanitari hanno fallito nel produrre i beni promessi commenta Edward Goldsmith, che dà la colpa del
fallimento alla guerra chimica contro le malattie e alla nostra decisione, come società, di subordinare i bisogni della
salute agli imperativi dell'economia e dell'industria.
La spesa per i servizi sanitari in tutto il mondo industriale è sfuggita di mano. In molti paesi aumenta più
rapidamente del Prodotto Interno Lordo. Ovviamente occorrono drastici provvedimenti per ridurla. Ma come fare?
Generalmente si dà per scontato che si tratti di un problema organizzativo. Alcuni critici appoggiano il sistema
americano della libera impresa medica, altri la nazionalizzazione dei servizi medici come nel Regno Unito, mentre altri
ancora sono favorevoli a una soluzione intermedia come quella francese. A guardare un po' più a fondo, diventa
evidente che il problema non è l'amministrazione dei nostri servizi sanitari bensì quali servizi debbano
essere forniti.
"uno dei più strabilianti paradossi che si trovano ad affrontare coloro che studiano la moderna cultura medica
consiste nel contrasto fra l'entusiasmo per gli attuali sviluppi e la realtà dei rendimenti decrescenti degli investimenti
sempre crescenti per la salute."
E' certo che la medicina moderna ha allungato la vita, ma questo risultato viene molto
esagerato. Il Dr. R. Logan, già direttore della medical research unit del Regno Unito, sosteneva che "un uomo oggi
può aspettarsi di vivere tre anni più del suo omologo del 1841" e la gran parte di questo miglioramento sarebbe
avvenuta prima dell'introduzione della medicina scientifica. Nel periodo di rapida crescita delle spese per il progresso
delle cure mediche, l'aspettativa di vita sarebbe rimasta più o meno stazionaria.
Per aumentare il prestigio e la credibilità della medicina moderna è stato fatto poco
più del suo evidente successo nell'eliminazione delle malattie infettive, ma questo successo si è dimostrato di breve
durata. Stiamo infatti assistendo oggi a una nuova diffusione di malattie infettive nel mondo, in particolare di malaria,
gonorrea, tubercolosi, polmonite e colera, mentre altre come la schistosomiasi e lafebbre dengue si stanno
diffondendo in zone dove finora erano sconosciute.
E' evidente a tutti la totale impotenza della moderna scienza medica nel ridurre l'incidenza delle cosiddette "malattie
della civiltà" come il cancro, le ischemie cardiache, il diabete, le diverticoliti, l'ulcera peptica, le appendiciti, le vene
varicose e la carie dentaria. La loro incidenza, nonostante tutti gli sforzi dei medici, continua ad aumentare seguendo
l'aumento del Prodotto Interno Lordo.
La sola conclusione realistica da ricavare da tutto ciò è che la scienza medica sta
seguendo una strada sbagliata e occorre urgentemente una nuova politica sanitaria.
Ma che forma dovrebbe assumere? Sembra chiaro che, prima di poter rispondere, dobbiamo ripensare concetti
fondamentali come salute, malattia, medicina e servizi sociali.
Salute e malattia
La salute, secondo la visione tecnologica del mondo, è assenza di sintomi clinici e
malattia la presenza di tali sintomi. Ma cosa intendiamo con l'espressione "sintomi
clinici"? Di che cosa sono sintomi? Presumibilmente di malattie, ma questo non ci porta molto lontano, perché
molte delle malattie di cui soffriamo sono classificate puramente nei termini dei loro sintomi.
Ciò è vero ad esempio per i reumatismi, per l'artrite e per molte malattie della civiltà. E anche vero per malattie
psichiatriche come la psicosi, la nevrosi e la schizofrenia. Succede spesso anche che i sintomi non siano altro che
normali attività dei meccanismi di difesa dell'organismo e non veri stati patologici. Come sottolinea il Dr. Malleson,
per milioni di anni i nostri corpi e quelli dei nostri antenati hanno perfezionato dei meccanismi di difesa contro le
invasioni microbiche e le sostanze chimiche nocive.
Questi meccanismi sono molto sviluppati. Per esempio il muco, che può essere pericoloso se si accumula nella
trachea, si espelle con la tosse. Le sostanze tossiche nell'intestino vengono eliminate con la diarrea. L'invasione
microbica dell'organismo si accompagna a un aumento della temperatura, che probabilmente ha il compito di
aumentare il tasso con cui i meccanismi di difesa sono capaci di agire. Sopprimere la tosse, prevenire la diarrea,
ridurre la febbre significa contraddire fondamentali processi naturali.
Eppure è proprio ciò che molte pratiche mediche vogliono ottenere. Così, servono principalmente ad eliminare
i sintomi ed esacerbare o rendere croniche le malattie che dovrebbero curare. Per di più, se i farmaci usati sono
biologicamente attivi, possono provocare effetti collaterali e indurre malattie che prima non c'erano.
Certamente simili malattie iatrogene, come sono chiamate, costituiscono ora una fetta importante dell'intero peso
sanitario di una moderna società industriale. Curare i sintomi è spesso inutile per un'altra ragione. Le non poche volte
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che,
indipendentemente dalla cura medica fornita, i sintomi sono di una malattia che ha
fatto talmente presa su un paziente indebolito da essere comunque fatale, l'obbiettivo della cura è solo
l'allungamento della sopravvivenza umana in se stessa, senza riguardo per la qualita della vita prolungata:
un'impresa assurda e spesso immorale, se teniamo conto della sofferenza che il paziente deve subire come
conseguenza della cura, spesso drastica, necessaria per tenerlo in vita giorno per giorno.
Pochi si rendono conto di quale porzione del bilancio della sanità di un paese industriale viene spesa in
questo modo. Secondo il prof. Ross Hume Hall dell'Università McMaster in Canada, l'80% del bilancio sanitario di
quel paese viene speso per prolungare la vita di pazienti che, qualsiasi cura ricevano, moriranno nei prossimi dieci
mesi, e in questo il Canada non sembra un caso eccezionale. [4] Combattere i sintomi della malattia non basta anche
per un'altra ragione. L'assenza di "sintomi clinici" in un paziente non può essere necessariamente presa come segno
della sua buona salute. Il 75% dei pazienti
visitati dai medici oggi non soffrono di nessun sintomo clinico riconoscibile. Eppure si sentono malati e in un certo
senso lo sono.
La tesi di questo saggio è che per capire la salute e la malattia dobbiamo vederle alla luce di una concezione
del mondo molto diversa, che potremmo chiamare forse "concezione ecologica". Il che comporta, prima di
tutto, considerarle in un contesto molto più ampio. La moderna scienza medica, come tutte le altre discipline nelle
quali la conoscenza è stata divisa, si è sviluppata sull'esperienza dell'epoca industriale un periodo di circa 150 anni -
che è trascurabile rispetto all'esperienza complessiva dell'umanità su questo pianeta, che è di diversi milioni di anni.
Dobbiamo guardare alla salute e alla malattia nei termini di questa esperienza complessiva, ma non basta. Pensiamo
alla salute e alla malattia come a un qualcosa che colpisce gli esseri umani, eppure non siamo da soli, costituiamo
una speciale forma vivente in mezzo a moltissime altre.
La teoria generale dei sistemi naturali, negli ultimi decenni, ha dimostrato che le
entità viventi (come le molecole, le cellule, gli organismi, gli ecosistemi ecc.) le
quali possono apparire da fuori estremamente diverse sono, ad un dato livello di
generalizzazione, molto simili e, a quel livello, il loro comportamento è governato
dalle medesime leggi fondamentali. Sembra anche che questo principio si applichi ai
metodi di controllo dei sistemi viventi. Cercherò di applicare al problema della
salute un approccio da teoria generale dei sistemi naturali.
Stabilità
La tendenza oggi è considerare i processi vitali largamente casuali. Anche se la nozione di caso è sottoposta a
interpretazioni, può essere intesa come denotante uno stato di disordine al posto di un ordine e di mancanza di scopi
invece che di gerarchia o finalità. Ciò è molto fuorviante. Ordine e finalità, la seconda non è altro che ordine a quattro
dimensioni, sono i dati più sostanziali della biosfera. Certamente se la biosfera non avesse queste qualità non
potrebbe essere studiata dalla scienza, il cui ruolo è individuare regole e trame la cui stessa presenza deve
comportare ordine e finalismo. E non potrebbe nemmeno esistere una scienza come la cibernetica, la scienza del
controllo, dato che controllare un processo significa mantenerlo nel suo corso o traiettoria, cioè nella direzione del
suo scopo, un concetto usato perchè dinamico e non puramente statico.
La causa di una malattia non può più essere considerata l'evento immediatamente
precedente che l'ha innescata - per esempio, il microrganismo associato a una certa
malattia infettiva - ma la moltitudine di fattori che ha ridotto la resistenza
dell'organismo al punto da farlo cadere vittima di un'offesa che normalmente
provocherebbe soltanto sintomi relativamente blandi. Se consideriamo la causa e
l'effetto in questo modo, il criterio per stabilire se dei cambiamenti ambientali
possono influire negativamente sulla salute dev'essere anch'esso molto diverso da quello generalmente
applicato. Non basta più stabilire se tale cambiamento fa
sorgere sintomi clinici, ma se è capace di ridurre la resistenza globale degli esseri
viventi e quindi la loro stabilità o salute in modo da farli diventare più vulnerabili
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ad altri attacchi.
Bisogna anche rivedere gli obbiettivi della politica sanitaria. Invece di cominciare una guerra chimica contro i vettori
di malattie, cioè eliminare sintomi, essa dovrebbe creare quelle condizioni in cui le discontinuità sono ridotte al
minimo e la capacità degli individui di far fronte alle discontinuita è accresciuta al massimo.
Così stando le cose, l'attuale epidemia di cancro non è dovuta solo all'aumento del
numero di sostanze chimiche a cui siamo esposti, ma all'effetto di quelle sostanze
chimiche e di altri fattori sulla nostra capacità di eliminare le cellule danneggiate.
Imparare a convivere
Via via che i sistemi si sviluppano attraverso il processo evolutivo, diventano sempre più stabili. Così un ecosistema
pioniere è soggetto a ogni sorta di discontinuità, le quali vengono lentamente eliminate nel corso dell'evoluzione,
quando le specie pioniere sono sostituite un po' alla volta da specie più avanzate e viene raggiunto lo stato adulto o
"climax". Le foreste climax sono soggette a poche discontinuità. In una foresta climax normalmente non avvengono
le esplosioni demografiche e i deperimenti che caratterizzano un ecosistema pioniere; né si verificano siccità e
inondazioni, erosione e desertificazione.
Lo stesso vale per i sistemi viventi a tutti i livelli di organizzazione. Man mano che
l'evoluzione procede, essi diventano sempre meglio adattati ad particolare ecosistema in cui vivono e quindi alle varie
forme di vita che vi abitano.
E possibile farsi un'idea del tempo nel quale un animale è vissuto in un particolare
ambiente semplicemente valutando in che misura ha imparato a convivere con altre
forme di vita, compresi i parassiti e i microrganismi che vi abitano. Se vi ha vissuto a
lungo, le malattie dovute a tali parassiti, diventate endemiche, sono relativamente blande e la loro funzione è
semplicemente di eliminare gli individui vecchi e deboli, effettuando un controllo quantitativo e qualitativo sulle
popolazioni ospiti.
Prendiamo il caso della mixomatosi. La malattia era ben radicata tra i conigli in Brasile, tra i quali è endemica e
provoca solo sintomi blandi. Era sconosciuta tra i conigli europei, che appartengono a una specie diversa. Quando la
mixomatosi venne introdotta in Australia nel 1950, le popolazioni di conigli europei furono esposte a un virus del
quale non avevano nessuna precedente esperienza. Nel primo anno uccise il 99,8% della popolazione di conigli,
l'anno successivo il tasso di mortalità scese ad 90%, sette anni dopo si era abbassato ad 25%. La popolazione di
conigli sta chiaramente imparando a convivere con il virus, e viceversa. Questo rapporto tra i conigli e il virus è
quindi diventato progressivamente più stabile.
La stessa cosa è avvenuta alle popolazioni umane in tutto il mondo quando sono state
esposte a parassiti dei quali non avevano avuto nessuna precedente esperienza e con i
quali hanno gradualmente impanato a convivere.
Le popolazioni delle varie isole della Polinesia, per esempio, furono decimate dalle malattie introdotte dai colonizzatori
europei. I Maori in Nuova Zelanda scesero pressappoco da 160.000 a 30.000 individui e si pensò addirittura che si
sarebbero estinti. La popolazione delle isole Marchesi da circa 100.000 scese a non più di 3000. I polinesiani si sono
tuttavia adattati ad microrganismi introdotti, diventati una nuova componente del loro ambiente. Hanno imparato a
conviverci e la loro popolazione è così aumentata. In Nuova Zelanda, attualmente è due o tre volte quella
prececedente.
Tutto ciò rende evidente che, con l'evolversi i sistemi viventi diventano sempre più adattati ad loro ambiente e più
stabili, pertanto l'incidenza di discontinuità distruttive è corrispondentemente ridotta. Da ciò deriva il fondamentale
principio che segue: l'ambiente che più favorisce la salute di un essere vivente è quello in cui esso è stato
adattato dalla sua evoluzione e con il quale si è coevoluto.
Che le cose stiano necessariamente così e perfettamente chiaro nel caso degli animali. La maggior parte di noi
ammetterà che una tigre è stata adattata dalla sua evoluzione a vivere nella giungla che costituisce evidentemente il
suo ambiente ottimale. Le attività che essa è capace di svolgere nella giungla sono quelle che meglio soddisfano le
sue esigenze fisiche e psicologiche. Il cibo che vi trova è quello che più le piace e meglio soddisfa le sue necessità
biologiche. Lo stesso deve valere per tutte le forme di vita, compresi gli esseri umani. Tutti sono meglio adattati
all'ambiente con il quale si sono coevoluti.
E' vero anche il corollario di questo principio. Quando l'ambiente di un essere vivente viene fatto divergere da
quello con il quale si è coevoluto, e a cui si è adattato, diventerà sempre meno stabile, meno capace di affrontare le
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Stephen Boyden ha formulato questo principio molto chiaramente. Egli lo chiama "principio del disadattamento
filogenetico". Secondo il quale "se le condizioni di vita di un animale si scostano da quelle che prevalevano
nell'ambiente nel quale la sua Specie si è evoluta, è probabile che si dimostri meno adatto alle nuove condizioni e
conseguentemente sono prevedibili alcuni segni di disadattamento". Per quanto ovvio sia questo principio, e per
quanto ovvia la sua importanza, è raramente nominato nella letteratura e la sua importanza largamente ignorata.
Per citane ancora Boyden, "il termine disadattamento filogenetico (il disadattamento è filogenetico perché costituisce
una risposta caratteristica della specie alle mutate circostanze ambientali) si riferisce quindi a disordini che
rappresentano le reazioni degli organismi a condizioni di vita che differiscono da quelle alle quali la specie è diventata
geneticamente adattata nell'evoluzione attraverso i processi di selezione naturale. Questo principio comprende non
solo mutamenti ambientali di carattere fisicochimico, come mutamenti della qualita del cibo o dell'aria, ma anche vari
fattori ambientali non materiali, come certe pressioni sociali che possono influire sul comportamento."
L'ambiente ottimale
Quali sono allora il modo di vivere e l'ambiente a cui gli esseri umani si sono adattati
con l'evoluzione, e sono quindi più favorevoli al mantenimento della salute umana?
Per quanto siamo riluttanti ad ammetterlo, la riposta è: quelli dei nostri antenati
paleolitici cacciatori-raccoglitori. Come fanno notare Washburn e Lancaster, "i fattori comuni che hanno dominato
l'evoluzione umana e prodotto l'Homo sapiens erano preagricoli. Il modo di vita agricolo ha predominato per meno
dell'uno per cento della storia umana e non c'è nessuna prova di mutamenti biologici importanti durante quel periodo
di tempo ... l'origine di tutte le caratteristiche comuni va cercata nei tempi preagricoli."
In effetti, è facile vedere perché il modo di vivere e l'ambiente dei cacciatori -raccoglitori dovessero essere tanto
favorevoli. In primo luogo, questi gruppi umani si spostavano in continuazione, cioè non rimanevano a lungo a
contatto con i propri escrementi. Questo riduceva la vulnerabilità a molte malattie parassitarie. Vivevano a contatto
con la natura e avevano a loro disposizione un'ampia varietà di cibo fresco e non contaminato. I piccoli gruppi in cui
vivevano era dispersi su un'area ampia, il che preveniva la diffusione di malattie da una località all'altra. Questi
gruppi, inoltre, erano troppo piccoli per lo sviluppo di una popolazione di parassiti associati alle principali malattie
infettive.
Affinché il virus del morbillo si diffonda, per esempio, e necessaria una popolazione di 500.000 individui.
Inoltre, dato che i gruppi di cacciatori-raccoglitori potevano sopravvivere senza
disturbare il loro ambiente biotico, non interferivano con i rapporti stabiliti tra i parassiti e i loro ospiti non umani. La
peste bubbonica, per esempio, si è evoluta come malattia dei roditori; la febbre gialla e la malaria, come malattie
delle scimmie, l'idrofobia dei pipistrelli. Una volta che abbiamo distrutto l'habitat degli animali ospiti e modificato il
nostro in modo da creare una nuova nicchia per i microrganismi collegati, questi si sono rapidamente trasferiti negli
esseri umani. Anche la malaria è trasmessa dalla zanzara anofele, che originalmente predava le scimmie che
vivevano sulla cima degli alberi delle foreste tropicali e alle quali era ben adattata, provocando nell'ospite soltanto
sintomi blandi. Una volta abbattute le foreste, le zanzare dovettero trovare altri ospiti e quelli più
generalmente disponibili erano gli esseri umani.
In generale, con lo sviluppo dell'industria, l'ambiente in cui viviamo si allontana sempre di più da quello ad quale
siamo stati adattati dalla nostra evoluzione. Siamo costretti in conurbazioni industriali che hanno poca
somiglianza con l'ambiente in cui ci siamo evoluti. Viviamo in famiglie nucleari, per di più spesso troncate, in
una grande società atomizzata - ammesso che si possa parlare ancora di società - che ha poca somiglianza con le
famiglie estese e gli altri raggruppamenti sociali coesivi entro i quali siamo vissuti durante gli ultimi milioni di anni.
Mangiamo cibi coltivati con processi innaturali, facendo uso di una quantità di sostanze chimiche, ormoni,
antibiotici, pesticidi, compresi insetticidi, diserbanti, nematocidi, fungicidi, topicidi ecc., i cui residui si ritrovano
praticamente in tutti i prodotti alimentari attualmente in commercio. Gli alimenti vengono poi trasformati in grandi
fabbriche, con il risultato che la loro struttura molecolare è spesso totalmente diversa da quella dei cibi a cui ci siamo
adattati nella nostra evoluzione, e sono ulteriormente contaminati con migliaia di altre sostanze chimiche,
emulsionanti, conservanti, antiossidanti ecc. destinate a conferire loro le qualità richieste per aumentarne la
conservazione e di conseguenza la commerciabilità.
Non sorprende che, in tali condizioni, soffriamo di un'intera nuova gamma di malattie totalmente assenti tra i
popoli primitivi, né che l'incidenza di tali malattie cambi in proporzione diretta con il Pil pro capite, cioè
nella misura con cui il nostro modo di vivere e il nostro ambiente si sono scostati dalla norma. Queste malattie
vengono chiamate "malattie della civiltà", perché sono il risultato diretto di una quantità di trasformazioni portate
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ad nostro modo di vivere e al nostro ambiente, che, con lo sviluppo e l'industrializzazione crescenti, sono diventate
sempre più radicalmente diverse da quelle a cui siamo stati adattati dalla nostra evoluzione e che, come fa notare
Boyden, sono le più favorevoli alla conservazione della nostra salute.
Possiamo facilmente immaginare molti esempi del principio del disadattamento filogenetico operante nell'homo
sapiens. I "flagelli" tradizionali dell'umanità, come la peste e il tifo e le grandi malattie da carenza, come lo scorbuto,
il beriberi e la pellagra sono tutti esempi lineari di questo principio. Un esame dei rapporti sui motivi per i quali i
pazienti vanno attualmente dal medico nei paesi più sviluppati della società occidentale mostra chiaramente che la
maggior parte dei disturbi di cui si lamentano rientra in questa categoria, e sono "malattie della civiltà", nel senso che
sarebbero state rare o inesistenti nella società primordiale (per esempio, infezioni virali dell'apparato
respiratorio e digerente, ulcere gastriche, malattie cardiovascolari, obesità, diabete e probabimente
molte psiconevrosi)
Abbiamo perso di vista questo fatto ineluttabile soprattutto perché non sappiamo
affrontarne le cause. Tra l'altro, esso rende ridicola l'idea stessa di un progresso
identificato con lo sviluppo e l'industrializzazione: in particolare l'ultima fase delle sviluppo consiste nel
realizzare, nel modo più rapido e sistematico, in nome del miglioramento del benessere dell'umanità, quelle
trasformazioni che, per loro stessa natura, fanno sì che il nostro ambiente si scosti il più possibile da quello ad quale
siamo stati adattati dalla nostra evoluzione.
E' anche a causa della cieca fede quasi religiosa che nutriamo nell'onnipotenza della scienza e della
tecnologia, le quali, ci viene detto, possono tra l'altro conferire agli esseri umani il dono dell'infinita adattabilità. Ma
le trasformazioni che esse permettono sono adattative solo se questo termine viene usato in modo indiscriminato.
Il vero adattamento deve riferirsi alle trasformazioni che reagiscono alle discontinuità creando le condizioni che ne
riducano l'incidenza e la gravità, invece che limitarsi a eliminarne i sintomi, trasformazioni che, di fatto,
contribuiscono ad aumentare la stabilità invece che a favorire l'instabilità, trasformazioni che creino le condizioni
favorevoli alla salute invece che eliminare i sintomi della cattiva salute. La maggior parte dei cambiamenti resi
possibili dalla scienza medica non sono perciò veri adattamenti.
Il guaio è che quasi tutte le nostre strategie sanitarie rientrano in questa categoria. Nessuna di esse è
veramente adattativa, nessuna cerca di creare condizioni che minimizzino l'incidenza della malattia; cercano tutte
semplicemente di usare dei mezzi tecnologici per mascherare i sintomi di malattie le cui vere cause la medicina
moderna non sa affrontare.
Per ridurre l'incidenza del cancro, per esempio, dovremmo soprattutto smettere di
esporre la nostra popolazione a tutte le sostanze chimiche che attualmente giungono
fino ai cibi che mangiamo, all'acqua che beviamo e all'aria che respiriamo. Sappiamo
che è l'esposizione a tutte queste sostanze chimiche la causa prima del cancro. Come
abbiamo detto, gli studiosi seri e obbiettivi di questo importante argomento arrivano ad attribuire 1'80-90% dei casi
di cancro a questa causa. Ma realizzare i cambiamenti ambientali necessari significherebbe modificare radicalmente le
tecniche industriali e agricole e le stesse priorità della nostra élite politica e industriale, modifiche che sono
completamente al di là della portata dei responsabili della nostra salute.
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ovviamente, il fumo - fattori che non sono direttamente collegati con l'industrializzazione. Sopravvaluta quindi la
capacità della medicina moderna di curare singoli casi di cancro.
In realtà, non c'è nessuna prova che la chirurgia, la radioterapia o la chemioterapia, gli unici trattamenti che la nostra
società sa fornire (gli unici che sono politicamente opportuni ed economicamente convenienti), siano veramente
efficaci a lungo termine. II tasso di sopravvivenza delle donne colpite dal cancro delta mammella è lo stesso siano
esse operate o no, mentre quello delle persone operate per cancro al polmone è inferiore all' 1%. Nel frattempo,
l'incidenza del cancro va aumentando ogni anno e, mentre prima colpiva soprattutto le persone anziane e di mezza
età, ora è una delle principali cause di morte nei bambini.
E davvero ironico considerare i massicci sforzi fatti dai nostri servizi sanitari per curare in modo così inefficace il
numero crescente di vittime del cancro, quando i nostri leader politici e industriali sono impegnati in strategie che
possono solo aumentare ulteriormente il numero delle vittime. Un efficace servizio sanitario dovrebbe pertanto avere
una competenza illimitata. Dovrebbe poter porre il veto alle politiche governative in ogni campo se si può dimostrare
che esse hanno un effetto negativo sulla nostra salute. Dovrebbe, in effetti, poter affrontare la malattia al livello della
stessa società invece che solo a livello individuale.
Cura olistica
Esaminiamo alcuni dei più ovvi vantaggi di una simile vera cura olistica. Il primo è che quanto più alto è il livello di
organizzazione al quale la malattia è curata, tanto minore è il bisogno di intervento umano, tanto più il processo di
guarigione può essere assicurato dai meccanismi autoregolatori della natura.
In effetti, le cure più efficaci fornite dalla scienza medica moderna sono quelle che cercano di creare le
condizioni ottimali nelle quali il processo di guarigione può avvenire spontaneamente. Quando un chirurgo
sutura una ferita, per esempio, o
sistema un osso rotto, questa è la sola cosa che fa. La scienza è incapace di riprodurre
il processo biologico di guarigione, incredibilmente complesso, prodotto di
milioni di anni di "ricerca e sviluppo" evolutivo.
L'unico modo di curare la devianza sociale consiste nel ricreare le condizioni nelle quali possa aver luogo il
processo di socializzazione, portando allo sviluppo di famiglie e comunità sane, entro le quali l'incidenza della
devianza sociale sia ridotta al minimo.
Logistica
Curare sistematicamente i sintomi della malattia invece della malattia stessa
presenta inoltre insuperabili problemi logistici. Significa fornire costosi trattamenti tecnologici e ospedali a uso
intensivo per le orde di persone che inevitabilmente si ammalano nell'ambiente sempre più insalubre di una
moderna società industriale.
Nel Regno Unito, molti medici generici visitano un centinaio di pazienti al giorno.
Alcuni studi hanno mostrato che il medico medio del Servizio Sanitario Nazionale scrive una ricetta ogni sei minuti. In
tali condizioni i medici non possono in alcun modo diagnosticare accuratamente le "cause" dei malanni
dei loro pazienti. Tutto quello che possono fare è distribuire medicinali biologicamente attivi come antibiotici
e corticosteroidi, che probabilmente hanno un effetto immediatamente
visibile, che si spera eliminino i sintomi del paziente, anche se, a lungo andare, possono prolungare la durata della
malattia e provocare effetti collaterali di ogni tipo.
Gli ospedali, nonostante le grandi somme di denaro spese negli ultimi trent'anni per
costruirne di nuovi, sono ancora incapaci di accogliere il crescente numero di persone che hanno bisogno di
essere ricoverate, e c'è sempre una permanente lunghissima lista d'attesa. Con l'inevitabile declino economico che ci
sta di fronte, e probabile che sia disponibile sempre meno denaro per i servizi sanitari, e alla fine dovremo accettare
il fatto non eludibile che è finanziariamente e quindi logisticamente impossibile curare le malattie a livello individuale
invece che a livello di società e di ecosistema, il cui degrado ne è la vera causa.
Significativamente, non è solo la cattiva salute che dev'essere affrontata in questo modo. Nessuno dei problemi
fondamentali della nostra società può essere risolto senza radicali trasformazioni economiche e sociali. Prendiamo
l'agricoltura. Non esiste una sana politica agraria che si possa introdurre senza modificare tutte le caratteristiche
fondamentali della nostra società industriale. Aziende agricole più piccole, basate sulla policoltura invece che sulla
monocoltura, che adottino sane rotazioni invece di coltivare le stesse piante sulla stessa terra ogni anno, tutto
questo lo sappiamo bene. Ma formare queste aziende agricole e consentire loro di prosperare è impossibile nella
nostra società come è strutturata attualmente, e in cui considerazioni politiche ed economiche predominanti
impongono di adottare proprio il tipo di agricoltura meno desiderabile da un punto di vista biologico, sociale ed
ecologico.
Affinché sia possibile reintrodurre tecniche agricole sane, deve cambiare quasi tutto nella nostra società, comprese la
famiglia e le strutture sociali, il modo di vivere, l'educazione, i valori, le politiche fiscali, le reti di distribuzione dei
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Ovviamente, l'idea stessa che un ministro della sanità, per non parlare di un semplice medico, debbano essere in
grado di cambiare la struttura della società e il suo ambiente naturale, in quanto e l'unico modo per risolvere i
problemi sanitari dei singoli individui, sarebbe attualmente considerata irrealistica se non del tutto folle.
Ma questa idea è proprio tanto inconcepibile? Indubbiamente lo è, se consideriamo il problema nel contesto
dell'attuale società industriale. Se però la consideriamo alla luce dell'esperienza umana complessiva su questo
pianeta, appare perfettamente realistica. Nelle società primitive, e non dimentichiamo che oltre il 95% di tutti gli
esseri umani e vissuto in tali società, la salute era assicurata proprio in questo modo. Gli operatori sanitari
(sciamani, indovini ecc.) mantenevano la salute dei loro compagni di tribù spingendoli ad agire in modo
da conservare il loro ambiente umano e naturale nello stato che, tra le altre cose, era più favorevole al
mantenimento della salute umana.
Vediamo brevemente come ciò avveniva. Il modello di comportamento di una società è basato su quel particolare
rapporto con l'ambiente che di solito viene chiamato "visione del mondo". La visione del mondo di una società tribale
è formulata in un linguaggio con il quale pochi di noi hanno familiarità, quello della mitologia, e si occupa del mondo
degli dèi e degli spiriti. Questi non sono considerati però organizzati in modo casuale, ma in modo che il modello
che essi costituiscono rispecchi i rapporti delle persone con il loro ambiente, in base ai quali si possono mediare
risposte adattative.
Gli spiriti si possono suddividere in tre categorie: i primi sono gli spiriti degli antenati. Questi conservano la loro
identità sociale e sono quindi considerati ancora membri della rispettiva famiglia, schiatta, tribù e società. In questo
modo, la loro organizzazione rispecchia, con straordinaria precisione, quella dei loro discendenti, e serve a
sacralizzare la loro struttura sociale e a conservarla.
In secondo luogo, ci sono gli spiriti della natura. Tutte le piante, gli animali e persino gli oggetti inanimati, come le
rocce e i corsi d'acqua, sono considerati pervasi da tali spiriti. In questo modo, anch'essi sono sacri il che serve a
conservarli, o almeno a ridurre l'impatto su di essi delle attività, altrimenti distruttive, degli esseri umani.
Come ora è ragionevolmente ben noto, i cacciatori primitivi, prima di uccidere un animale, pregavano il suo spirito e
il dio della natura, la cui funzione era di proteggere gli animali selvaggi dalle depredazioni, e chiedevano loro perdono
per ciò che stavano per fare. Il sistema totemico, grazie al quale un particolare clan si identificava con un particolare
animale, assicurava che almeno nel territorio di questo clan fosse considerato sacro e quindi non molestato.
Ora, sacralizzare qualcosa è l'unico metodo culturale che ha sempre avuto successo ai fini della
conservazione, fatto che è perfino troppo facile verificare empiricamente alle luce del patetico fallimento di quasi tutti
gli sforzi dei protezionisti di preservare la nostra società desacralizzata e il suo ambiente desacralizzato dalle nostre
attività sempre più distruttive.
Una società, tuttavia, non è sola nel suo ambiente non umano. E circondata da altri
gruppi sociali, spesso ostili. Inoltre, una società non sempre presenta il grado ideale di ordine, perché non tutti i suoi
comportamenti sono sotto controllo. In altri termini, essa presenta una certa quantità di casualità, e quindi contiene
degli elementi antisociali. Questi elementi, assieme alle tribù vicine ostili, sono rappresentati dalla terza categoria, e
precisamente dagli spiriti maligni e dagli stregoni.
Va notato che il mondo non è considerato composto di spiriti nel modo in cui gli
scienziati lo considerano composto di molecole e atomi.
I popoli primitivi non hanno una visione del mondo riduzionistica. Piuttosto che componenti della biosfera, gli
spiriti sono considerati organizzati in modo da rispecchiarne la struttura gerarchica. Essi la rappresentano a ogni
livello di organizzazione, non solo a quello più basso, come fa il modello scientifico.
Un'altra caratteristica della visione del mondo primitiva è che i rapporti reciproci tra i vari spiriti che controllano la
società, i suoi nemici e il suo ambiente naturale, sono rigorosamente definiti dalla tradizione e accuratamente
spiegati nei termini della sua mitologia. Tali rapporti sono inoltre costantemente ricordati nei canti e in altre attività
rituali. Tra gli indiani Canelos Quicha dell'Ecuador, per esempio, come ci dice Whitten:
"La discussione fra Amasanga (che controlla il tempo, il tuono e il fulmine), Nangui (che controlla il suolo per le radici
degli ortaggi e l'argilla per il vasellame) e Shangui (che controlla l'acqua) è punteggiata dal suono di flauti, da canti e
dal racconto di miti. Queste attività sono, tra l'altro, meccanismi per collegare associativamente o analogicamente il
sapere cosmologico ed ecosistemico alle regole sociali, e la dinamica sociale a premesse cosmologiche."
Anche sotto questo aspetto, il modello primitivo è in netto contrasto con quello scientifico. Invece di essere suddiviso
in discipline a compartimenti stagni tra le quali è quasi impossibile stabilire dei rapporti, è totalmente
interdisciplinare, cosa che, in termini di teoria generale dei sistemi, è necessaria se si vuole che il modello consenta la
mediazione di un modello di comportamento integrato invece di quel mero accostamento di espedienti che è la
politica di un moderno stato nazionale. Va notato che il modello primitivo è formulato in un linguaggio che tutti
possono comprendere. Anche questo è in netto contrasto con la visione scientifica del mondo,
che tanto apprezziamo, formulata in un linguaggio esoterico che solo pochissimi specialisti sono realmente in grado di
comprendere.
Ciò è di particolare importanza se consideriamo che la stabilità implica autoregolazione. E ciberneticamente
impossibile che un sistema naturale sia governato dall'esterno, perché il suo fine sarebbe casuale per esso e, quindi,
per la biosfera di cui fa parte integrante, e rispecchierebbe soltanto quei fattori esterni che esercitano il "controllo",
come avviene attualmente nella nostra società industriale.
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Per un sistema, essere autoregolato significa, soprattutto, che il comportamento di ciascun sottosistema deve essere
sottoposto al controllo del sistema complessivo, e questo è possibile solo se tutti i suoi membri usano e comprendono
lo stesso linguaggio, cioè se il linguaggio con il quale è formulata la loro visione del mondo e demotico piuttosto che
ieratico.
E' nei termini di questa visione del mondo che una discontinuità come una malattia
viene interpretata. A volte si ritiene che essa sia causata dagli spiriti maligni che risiedono in stregoni e altri elementi
antisociali, oppure è considerata come una punizione comminata dagli spiriti degli antenati o da quelli della natura
per l'inosservanza della legge tradizionale e in particolare per la violazione di un tabù, che, in alcuni casi, e anche
considerata una maggiore vulnerabilità agli stregoni. Un esempio tipico è quello della concezione della malattia
propria dei Luo nell'Africa orientale. Tra di essi, come ci dice Whisson, "Si crede che la malattia sia causata da spiriti
che rientrano in diverse categorie; la più comune è quella degli spiriti dei genitori o dei nonni (vadzimu), degli spiriti
degli anziani o degli antenati e quelli degli stregoni (muroi). Mentre l'intervento degli antenati può essere capriccioso,
le malattie attribuite ad essi o a Dio sono generalmente avvertite come punizioni per i peccati commessi dai pazienti
o dalle loro famiglie. Un uomo che ha infranto una regola tribale può attendersi di essere punito per questo dagli
antenati o da Dio con una malattia. Un uomo colpito da una malattia si sentirebbe perciò obbligato a esaminare se
stesso e i suoi rapporti con gli antenati. Un disturbo organico del tutto secondario -come una costipazione che dura
diversi giorni - può creare un notevole senso di paura o di colpa e ridurre il paziente senza difesa finché non siano
eseguiti dei rituali e gli antenati non siano propiziati secondo le tradizioni della società e le direttive dell'indovino."
Dobbiamo ricordarci che anche nel Vecchio Testamento un disastro naturale, come una
carestia, un terremoto, un'epidemia o un'invasione da parte dei filistei era invariabilmente attribuita a una mancanza
da parte degli ebrei di adorare Jahvè nel
modo corretto, o peggio ancora all'adorazione del rivale Baal.
Le persone educate ai valori scientifici moderni tendono a beffarsi di una diagnosi di questo tipo. Essa è "non
scientifica" e quindi, secondo la nostra concezione del mondo, "irrazionale"; ma osserviamola un po' più da vicino. Le
regole che governano il comportamento di una società primitiva, giustificate nei termini della sua mitologia e imposte
dall'opinione pubblica, dal consiglio degli anziani e dagli spiriti degli antenati, non sono di carattere puramente
casuale. Si puo infatti dimostrare che esse sono altamente adattative.
Alla luce delle prove empiriche, questa tesi è irrefutabile, dato che le società tribali, in particolare i gruppi di
cacciatori-raccoglitori, hanno saputo raggiungere un ineguagliato grado di stabiità nel loro ambiente
naturale, nel quale avrebbero potuto sopravvivere e prosperare indefinitamente se l'uomo bianco non avesse
interferito con il loro modo di vivere e non avesse distrutto il loro ambiente.
Tale stabiità è mantenuta dalla rigorosa osservanza di un insieme di leggi che assicura soprattutto la conservazione
dell'ambiente sociale e fisico che più assomiglia a quello al quale la società e stata adattata dalla sua evoluzione
sociale.
Ovviamente, questi individui vengono anche curati con medicine. Per esempio, erbe e altre medicine tradizionali
possono essere somministrate come parte di una cerimonia, e spesso possono dimostrarsi efficaci. Ma curare
l'individuo non è l'obiettivo primario della cura; può perfino essere considerato un mero effetto secondario: la vera
funzione della cura è ripristinare la stabilità biologica o psicologica della persona colpita e il corretto
funzionamento dei sistemi biologici, sociali ed ecologici la cui disgregazione è la vera causa del problema.
Questa è la conclusione del professor Victor Turner a proposito degli Ndembu: "Sembra che il 'dottore' Ndembu
ritenga che il suo compito sia più quello di porre rimedio ai mali di un gruppo sociale che quello di curare un singolo
paziente. La malattia di un paziente è soprattutto un segno che 'qualcosa è guasto' nel corpo sociale. II paziente non
starà meglio finché non saranno portate alla luce ed esposte al trattamento rituale tutte le tensioni e le aggressioni
nei rapporti reciproci del gruppo. Il compito del dottore è quello di mettere sotto controllo le varie correnti di affetto
associate a questi conflitti e alle dispute sociali e interpersonali nelle quali si sono manifestate - e incanalarle in una
direzione socialmente positiva. Le energie conflittuali sono così addomesticate al servizio dell'ordine sociale
tradizionale."
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Questa è anche la conclusione dello studio del professor Reichel Dolmatoff sul modo in cui gli indiani tukano della
Colombia si adattano al loro ambiente. Uno sciamano tukano non considera la malattia come il risultato di un
semplice insulto biologico, come farebbe uno scienziato riduzionista, ma uno squilibrio socio-ecologico: "La sua
principale preoccupazione riguarda il rapporto fra la società e il soprannaturale Signore della caccia, della pesca e dei
frutti selvatici dal quale dipende il successo della raccolta e che comanda molti agenti patogeni. Per lo sciamano e
quindi essenziale diagnosticare correttamente la cause della malattia, identificare l'esatta natura del rapporto
inadeguato (se si tratta di adulterio, di eccesso di caccia, o di altra eccessiva indulgenza o spreco), e poi ripristinare
l'equilibrio comunicando con gli spiriti e ristabilendo contatti riconciliatori con gli animali selvaggi. In questo modo lo
sciamano, come guaritore di malattie, non interferisce tanto al livello individuale, ma opera al livello di quelle
strutture sovraindividuali che sono state disturbate dalla persona. Affinché la sua azione sia efficace, deve applicare
la sua cura alla parte disturbata dell'ecosistema. Si potrebbe dire che uno sciamano tukano non ha pazienti singoli: il
suo compito è quello di curare una disfunzione sociale. L'organismo malato del paziente e di secondaria importanza
sarà curato alla fine, empiricamente e ritualmente, ma ciò che conta veramente è il ristabilimento delle regole che
evitano l'eccesso di caccia, l'esaurimento di certe risorse vegetali e un incontrollato aumento demografico. Lo
sciamano diventa così una forza molto potente nel controllo e nella gestione delle risorse."
E essenziale rendersi conto che non sono soltanto le malattie, ma tutte le discontinuità a essere interpretate in
questo modo. Siccità, inondazioni e rovesci militari sono anch'essi considerati come segni di instabilltà socioecologica,
una tesi finora sostenuta con maggior forza da Roy Rappaport nel suo studio degli Tesembaga della Nuova Guinea:
"L'esecuzione dei rituali tra gli Tsembaga e altri Maring contribuisce a conservare un ambiente non degradato, limita i
combattimenti a frequenze che non mettono in pericolo l'esistenza della popolazioni della regione, corregge i rapporti
uomo-territorio, facilita il commercio, distribuisce le eccedenze locali di maiali a tutta la popolazione della regione e
assicura alla gente proteine di alta qualità quando ce n'è maggiormente bisogno."
Come ho già fatto notare, quest'autoregolazione richiede l'azione concentrata dell'intera società. Tutte le sue parti
devono contribuire attivamente. Ogni individuo dev'essere coinvolto nei rituali che assicureranno la stabilità della sua
società.
La nostra società industriale moderna non può funzionare in questo modo perché si è disintegrata in una
massa di individui isolati e alienati che non hanno la capacità di intervenire realmente sul corso delle loro attività.
In questo modo siamo diventati totalmente dipendenti da fattori esterni di controllo.
Allo stesso tempo, la nostra società è strutturata in modo tale che è impossibile curare una malattia a un
livello superiore a quello dell'individuo. Esperti in vari campi, educati alla conoscenza specialistica all'interno di
discipline a compartimenti stagni nelle quali è stata suddivisa la scienza moderna, sono impiegati per svolgere
compiti accuratamente definiti. Ogni specialista ha una competenza limitata, non può avventurarsi fuori di
quello che è considerato il suo legittimo campo di attività senza addentrarsi in un territorio di competenza di qualche
altro specialista.
Questo non vale solo per la professione medica, ma perfino per il ministro della sanità, il cui campo d'azione è
ben delimitato. Può ordinare la costruzione di più ospedali, sovvenzionare la produzione di più preparati farmaceutici,
incoraggiare l'assunzione di più dottori e infermieri. II ministro può anche apportare certi cambiamenti
all'organizzazione del suo dicastero, ma questo è quasi tutto. Contro le vere cause della malattia il ministro non
può fare nulla.
Ancora più grave è la difficoltà di vedere come, all'interno della nostra società, si possa porre rimedio all'attuale stato
di cose. La società tecnologica è impegnata in una direzione - quella dell'ulteriore sviluppo economico e
industrializzazione - che può solo aggravare tutti i problemi fondamentali che ha di fronte, compresa la crescente
cattiva salute dei suoi membri. A lungo andare, ovviamente, il problema sarà risolto, perché le condizioni stanno
diventando sempre meno propizie al processo industriale, tanto che andiamo incontro, in un futuro non troppo
remoto, all'inevitabile collasso socio-economico. Solo allora la nostra salute potrà avere una svolta per il
meglio, perché dalle rovine della nostra società industriale possiamo sperare di veder nascere società più
piccole e decentrate che potranno finalmente riprodurre le condizioni Climax.
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