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BUONANOTTE CAPITALE UMANO

Capitale umano: accumulazione delle conoscenze e delle competenze maturate


dagli individui nalizzate al raggiungimento di obbiettivi sociali ed economici.

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Premessa

Senza l’arroganza di poter pensare di risultare esaustivo e con la consapevolezza che quanto qui
scritto sarà solo un tentativo di spiegare un fenomeno tanto complesso quanto oscuro, cercherò di
articolare un pensiero sorretto da alcuni degli innumerevoli dati che potrebbero essere citati in moda
da compiere un’analisi che potremmo de nire positiva (cioè tesa a descrivere il mondo per com’è).
Un fenomeno che, a causa della sua estrema complessità, può e deve essere analizzato da più punti di
vista, adottando metodologie appartenenti alla branchie più diversi cate (economico, giuridico,
sociologico, architettonico, antropologico, storico, sanitario, politologo ecc.), metodologie che devono
essere applicate senza che ciò comporti una sovrapposizione fra di esse, per potere analizzare,
studiare, commentare il fenomeno migratorio, fenomeno che, per quanto esso possa essere
sviscerato, scoperto e analizzato, rimarrà ai nostri occhi incomprensibile nella sua totalità: una
impenetrabile black box, a causa di una delle sua principali caratteristiche fondanti: la dinamicità.
Cambiano le culture, i popoli, le rotte, i governi, le politiche, i sentimenti che hanno caratterizzato la
storia di questo fenomeno nel corso dei secoli.
Nonostante il continuo evolvere di queste metodologie, l’essere umano si è sempre trovato a
“rincorrere” il fenomeno migratorio, senza avere la capacità di poterne prevedere i suoi effetti. A causa
di cosa? Domanda retorica dalla risposta scontata: la sua dinamicità.
Queste caratteristiche fondanti mi portano a ribadire con fermezza quanto sia necessaria una continua
ricerca, una continua messa alla prova delle informazioni in nostro possesso con una essibilità
mentale tale che ci porti nel riuscire in una delle imprese più ardue che l’essere umano conosca:
cambiare idea quando ciò risulti necessario.
Non sono qui per proporre soluzioni al fondamentale problema di una nuova accoglienza, ma per
affermare che se non affronteremo questa s da con senso di equità e con quella costante virtù che, da
Aristotele in poi, i loso chiamo prudenza (nel senso classico di phronesis la prudenza è capacità di
governare e disciplinare mediante l’uso della ragione) continueremo inesorabilmente a subire il
fenomeno migratorio.
Dunque, che questo pensiero abbia inizio, in fondo è solo una delle tante realtà.

Capitolo I

“La terra è proprietà comune”

L’essere umano, per sua stessa natura, è sempre alla ricerca di nuove terre spinto dai sentimenti più
lontani: sentimenti di scoperta o pura sopravvivenza.
Il continente africano ha sempre conosciuto situazioni di forte instabilità sociale ed economica che
hanno portato, nel corso della sua storia, a grandi spostamenti di massa. Ad oggi sono costanti e
consistenti ussi di rifugiati somali ed eritrei che lasciano il corno d’Africa tra con itti perenni, come
nel caso somalo, e dittature sanguinarie, come quello eritreo. Situazioni simili se non peggiori si

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trovano anche in altre regioni del continente africano come nella Repubblica democratica del Congo e
nella Repubblica Centroafricana. A dimostrazione dell’instabilità economica si registra, nella
repubblica Sud Africana, un coef ciente di Gini profondamente elevato. Ri esso delle politiche
segregazioniste abolite in anni recenti che hanno generato un forte divario fra i cittadini appartenenti
alle fasce più povere rispetto a quelle più ricche che stente ancora oggi a ridursi.
Questa constante situazione del continente africano può portarci a dedurre che questi continui
spostamenti di massa, che hanno attraversato la storia delle nazioni e dell’uomo, siano diretti verso il
continente europeo, in quanto il più geogra camente vicino, e in quello Americano, la nazione più ricca
che vende il proprio sogno a tutto il mondo. Eppure, al di là della nostra percezione, in Europa e negli
Stati Uniti si registra una ridotta minoranza rispetto ai milioni di persone che costantemente si
spostano.
L’85% dei migranti mondiali trova rifugio in un paese limitrofo a quello di partenza. Le due nazioni che
più accolgono rifugiati mondiali sono il Libano, che conta oggi la presenza di migranti provenienti da
Etiopia, Sri Lanka, Filippine, Nepal e Bangladesh che lavorano e vivono nel paese tant’è che in Libano
si trovano più di 300mila palestinesi e oltre un milione di siriani, e la Turchia, che conta il maggior
numero di rifugiati nei propri con ni con oltre 3 milioni di persone. Numeri incrementati anche dalle
politiche e dagli accordi dell’Unione Europea che ha contrattato con la Turchia una serie di misure di
sostegno economico intervenendo sui ussi migratori diretti verso la Grecia e, di conseguenza, anche
verso gli altri paesi Europei.
Questi accordi hanno portato la Turchia in una posizione tale da potersi permettere di minacciare
l’Unione Europea (da ora in avanti UE) strozzando i ussi migratori diretti verso il proprio paese che
con uirebbero nuovamente verso la Grecia. Ricatti effettivamente perpetuati, iniziati pochi mesi fa,
quando l’UE si oppose alla barbarie degli eserciti turchi durante le invasioni di alcune zone dei territori
Siriani, che vede oggi più di 120.000 migranti accalcati davanti i con ni Greci.
Mi limito momentaneamente a dire questo tralasciando tutte le implicazioni morali che sorgono nel
trattare con un governo, quello di Tripoli, che, dopo il fallito colpo di stato, può essere innegabilmente
descritto come una semi-dittatura

Capitolo II

“Il razzismo nasce da un quasi e da questo quasi prospera”

Nonostante la ridotta minoranza di spostamenti di massa verso il continente Europeo risulta innegabile
la presenza di grosse ondate di migranti diretti verso il nostro continente. È a seguito di questa ondata
che sono iniziati i problemi organizzativi e, si dice, gli “immani” costi nel nostro paese.
Se concentriamo l’attenzione sulle rotte che portano i migranti dall’Asia e dall’Africa in Europa,
vedremo che nel corso degli ultimi anni gli andamenti dei ussi di viaggi attraverso il Mediterraneo,
soprattutto per quanto riguarda gli arrivi con i famosi barconi, dipendono molto dagli accordi presi con
i governi di Turchia e Libia, entrambe nazioni cui è stato attribuito il ruolo del gatekeeper, cioè del

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guardiano al di fuori dei territori europei. Ma cosa comportano questi accordi che, nel corso delle
legislature, i Governi europei, come il nostro, stipulano con tali nazioni?
C’è chi semplicemente cerca di migliorare la propria condizione, i cosiddetti migranti economici e c’è
chi fugge da un paese in guerra, da persecuzioni politiche, religiose o da situazioni di violenza. La
convenzione ONU, siglata a Ginevra nel 1951, è quella che ha introdotto il concetto di diritto di asilo e
ha quindi de nito lo status di rifugiato. I profughi possono appellarsi alla Convenzione, cui aderiscono
144 paesi, incluso il nostro, che prevede la possibilità di fare richiesta di asilo per chiunque si senta in
pericolo di vita, ottenendo lo status di rifugiato. Tuttavia le norme approvate successivamente a livello
internazionale e nazionale non hanno facilitato il rispetto di questo diritto.
E’ innegabile affermare come le politiche di molti paesi appartenenti all’UE, anche quelle di Roma,
abbiano creato un mercato illecito che alimenta un business da milioni di dollari: quello dei cosiddetti
traf canti di persone. Contemporaneamente a ciò si è statisticamente ostacolata l’adozione di
strategie a lungo respiro che permetterebbero di coordinare il fenomeno migratorio con i paesi
appartenenti all’unione e stipulare accordi con paesi al di fuori di essa, utilizzando politiche
propagandistiche che cavalcano sentimenti popolari al solo scopo di poter accrescere il proprio
bacino elettorale.
L’Italia è stata una di quelle nazioni in Europa che ha visto accrescere sentimenti di indifferenza e
intolleranza verso il fenomeno migratorio. Sentimenti costantemente sfruttati dal mondo politico che
non ci ha permesso di poter vedere quelle che sono le reali opportunità che l’immigrazione ci propone
additandolo come unico male del paese o, quanto meno, come fenomeno da limitare se non soffocare
a causa della precaria instabilità economica, adottando argomenti pseudo - scienti ci, cioè fondati su
presupposti che solo in apparenza hanno le caratteristiche ed il rigore propri della scienza.
Un andamento di tal fenomeno risulta dall’accordo tra Italia e Libia, stipulato dal governo Gentiloni e in
particolare voluto dal Ministro dell’Interno Marco Minniti nei primi mesi del 2017, che ha portato a una
netta diminuzione dei viaggi verso la Sicilia e il Sud Italia, andamento confermato anche dai ussi
dell’estate 2018. Ma qual è l’altra faccia della medaglia? La detenzione in condizioni inumane di
centinaia di migliaia di persone nei centri libici. Scenari paragonabili a quelli vissuti nei capi di
concentramento del ’45 che hanno portato più volte le organizzazioni internazionali che lavorano in
difesa dei diritti umani a denunciare queste detenzioni.
Su questa scia prosegue il ministro dell’interno Matteo Salvini che, il 4 ottobre 2018, ha emanato i tanti
dibattuti “decreti sicurezza”, che si propongono di introdurre “una serie di novità in materia di
immigrazione e protezione internazionale, di sicurezza pubblica e di prevenzione e contrasto al
terrorismo e alla criminalità ma osa”. L’impatto di questo ulteriore tassello di regolamentazione italiana
ha esordito alcuni dei suoi effetti in questi suoi sedici mesi di vita. Innumerevoli politologi, economisti
ed esperti del settore amministrativo hanno in massa esposto il loro sentimento riguardante la natura
di questi decreti bollandoli come inef cienti alla gestione, ma anche alla limitazione del fenomeno
migratorio, utili solo ad una propaganda che alimenta l’incrocio perverso fra la cogenza dei propulsori
migratori e la coazione a mentire, eccitando gli xenofobi italiani che dipingono le migrazioni quali
anticamera dell’apocalisse e a inculcare un sentimento di paura all’interno del tessuto sociale,
utilizzando l’impropria quanto potente equazione migranti = invasori = terroristi. Una sempli cazione

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tanto eccessiva quanto forviante per un fenomeno che n dall’inizio abbiamo dipinto come oscuro e
misterioso.
Si registrano forti pressioni sociali nei confronti della politica al punto che i governi si ritrovano, chi
prima chi dopo, come dimostrato, a cavalcare sentimenti popolari talvolta anche di natura estremista,
facendosi trascinare piuttosto che guidare, uno dei peggiori fallimenti della politica.
Rimane senza dubbio la necessità di lavorare di più a livello europeo e internazionale per rivedere
accordi non più attuali e inadeguati (come la Convenzione di Dublino) per poter trovare una risposta
civile alla realtà e dimensione del fenomeno migratorio di questi anni.
Ma questa necessità viene messa sempre più a rischio da sentimenti e politiche d’intolleranza che si
registrano in Italia come in molti altri paesi europei e nel resto del mondo.

(Limes, 2016)

Capitolo III

“L’armonia fa prosperare le cose, mentre l’uniformità le fa deperire”

Per fomentare questa guerra tra poveri si sono usati gli argomenti più disperati: il Governo privilegia gli
stranieri, li accoglie in hotel di lusso, li soccorre di fronte le coste libiche.
Bufale dure da estirpare in un contesto di estrema paura, dif denza ma anche xenofobia che avvolge
l’Italia e la sua popolazione.


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Molti politici e giornali hanno rilanciato nel corso degli ultimi anni innumerevoli slogan sui “clandestini
ospitati in alberghi di lusso” con decine di euro elargiti dallo Stato spendibili giornalmente. Urlano che i
quasi cinque miliardi utilizzati per nanziare le politiche migratorie sono troppi, sono uno “spreco”,
vanno a “loro” invece che essere spesi per “noi”. Non è così.
Sia perché questi quasi cinque miliardi vengono nanziati attraverso il de cit consentitoci dall’UE, ma
anche perché, quando va bene, a ciascun migrante arrivano due euro e mezzo al giorno per le piccole
spese. Vengono alloggiati e nutriti, questo è vero; d’altra parte, non gli è consentito lavorare. Ma, dato
che l’accoglienza è diventata un business con molte ombre, c’è gente che si è arricchita, e molto,
viene da chiedersi quante di queste persone si sforzino per non cambiare questa situazione.
Fortunatamente sono stati anche molti i giornalisti che si sono impegnati per smentire la favola della
accoglienza di prima classe (un esempio particolarmente interessante è rappresentato dall’operato del
Post); è vero che alcune volte i rifugiati sono stai ospitati in alberghi e pensioni, ma si tratta di
situazioni eccezionali e non certo di sistemazioni lussuose. Ma la vera domanda che dovremmo porci
non è se ciò accade, ma chiederci piuttosto perché ciò accade.
Dopo lo sbarco, i migranti vanno identi cati, alloggiati, nutriti, in molti casi curati. E poi? Ormai la
maggior parte chiede asilo e protezione umanitaria. È una procedura che in Italia può durare anni. Nel
frattempo i richiedenti non hanno diritto a un permesso di circolazione o lavoro. Vengono perciò tenuti
nei centri d’accoglienza. Ed è qui che casca l’asino.
Per funzionare, l’accoglienza richiede organizzazione. Inoltre costa, in particolare quando è
inef ciente. Sulla carta, l’Italia ha un sistema ben disegnato (si chiama SPRAR - Sistema di Protezione
per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Consiste in una rete di enti locali che, accedendo ad un Fondo
nazionale, dovrebbero realizzare progetti di integrazione e formazione, insieme a cooperative esterne.
Ma tantissimi comuni non vogliono questo nel proprio giardino, facciano gli altri. Il risultato è che la
stragrande maggioranza dei migranti viene parcheggiata in centri d’accoglienza straordinaria, gestiti
direttamente dalle prefetture, già saturi in quanto ogni qualvolta i posti Sprar non sono suf cienti
(com’è accaduto sistematicamente negli ultimi anni) entra in gioco il sistema di accoglienza
straordinaria (Cas).
Come più volte denunciato, l’accoglienza nei Cas lascia insoddisfatti gli stessi esperti del settore in
quanto, come afferma in una intervista Daniela Di Capua (direttrice del servizio centrale Sprar), si tratta
di soluzioni che nascono come temporanee e tali non sono. Secondo una recente indagine della Corte
dei Conti, qui succede un po’ di tutto. Strutture residenziali fuori norma, sovraffollamento, in ltrazioni
ma ose, standard igienici sotto soglia, pochi controlli ma, in particolare modo, poco o nulla da fare.
Molti scappano mentre altri entrano ed escono senza che nessuno gli insegna l’italiano. In questo
sonnambulo limbo di attesa per il responso dei giudici ci sono circa trecentocinquantamila persone, un
grande fascio di erbe indistinte. Oltre tutto la mancanza di un coordinamento centrale rende la qualità
dei servizi offerti molto variabile, per cui la reale accoglienza e l’integrazione dei rifugiati cambieranno
signi cativamente in relazione alle strutture nelle quali saranno ospitati.
Queste informazioni ci dipingono un quadro delle politiche migratorie italiane poco coordinate e
sistematicamente incompiute. Politiche che piuttosto che trovare coordinamenti interni e internazionali
coll’obiettivo di integrare e, di conseguenza, far fruttare il fenomeno migratorio per il benessere della

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collettività non solo da un punto di vista umanitario, ma anche e sopratutto a livello economico,
alimentano sentimenti d’odio, se non addirittura di vera xenofobia.
Sono di recente avvenimento i casi di Capalbio e Albano, dove il solo annuncio dell’arrivo di alcune
decine di profughi ha suscitato vive proteste di sapore razzista. In altri casi la chiusura è stata totale:
prima ancora di varcare i con ni comunali, i rifugiati sono stati accusati di bighellonare e ridurre
l’attrattiva turistica dei luoghi. Fino ad arrivare al caso di Torre Maura a Roma dove i residenti inferociti
hanno prima protestato insultando i nomadi, per poi sequestrare e calpestare, come atto simbolico, il
pane per il centro.
Questi sentimenti di xenofobia spingono gli esponenti politici, indifferentemente dal proprio colore, ad
adottare strategie propagandistiche in modo da attrarre porzioni sempre maggiori di popolazione per
puri interessi elettorali, abbandonando l’idea di amministrare il fenomeno migratorio perché ciò
comporterebbe l’adozione di politiche economiche, sociali, normative, di ricalibrature del Welfare per
poter sfruttare il fenomeno migratorio ma che sembrano inevitabilmente suscitare ribellioni nel tessuto
sociale.
Nonostante tutto, il nostro paese ci permette di citare atti che potremmo de nire “anticorpi” che
creano eccezioni ai sentimento e alle politiche che più vanno per la maggiore nel nostro paese. Esempi
provenienti dalle politiche d’integrazione adottate da singole regioni o enti locali sparsi nel territorio
nazionale che sfruttano il proprio potere legislativo, amministrativo e gestionale e che
sistematicamente trovano scarsa visibilità mediatica.

(Dati Ministero dell’Interno, 2018)


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Capitolo IV

Prefetti, Comuni, Cooperative, hanno davvero fatto tanto: corsi di formazione, lavori socialmente utili,
stage e ripopolazione di bellissimi borghi dei nostri Appennini. Ma, come sempre, in Italia il
funzionamento medio del sistema è scadente, con punte di indecenze ma, fortunatamente, anche con
alcuni punti di eccellenza come il caso di Legnano, dove Il sindaco ha agganciato una ventina di
comuni della zona per ripartire in maniera più frazionata, dignitosa ed ef ciente l’accoglienza.
Ci sono tanti esempi di integrazione che hanno coinvolto singoli rifugiati o intere comunità. Se ne
trovano molti nel rapporto pubblicato da Sprar e Cittalia, dove vengono raccontate le storie di rifugiati
che hanno sfruttato le loro conoscenze per aprire nuove attività commerciali, dalla sartoria alla
ristorazione. Non solo, in molti casi i profughi hanno contribuito a valorizzare il territorio (come nei casi
dell’Orto botanico di Bergamo) e le sue produzioni caratteristiche, organizzando insieme alle
cooperative locali start-up agricole, come quelle di Asti e Rieti.
A dimostrazione dei bene ci dell’accoglienza per le piccole comunità troviamo (nonostante il
polverone mediatico che ha creato, dovuto in particolare modo dalle costanti azioni di manipolazione
dell’informazione da parte di coloro che si schierano contro l’accoglienza) il caso di Riace, comune
della Calabria, che a metà degli anni Novanta ha cominciato a risentire gli effetti di un pesante
spopolamento. La massiccia accoglienza di profughi praticata dal tre volte sindaco, Domenico
Lucano, posizionatosi terzo nel 2010 nella World Mayor (un consorzio mondiale organizzato da City
Mayors Foundation) che stila, con cadenza biennale, la classi ca dei migliori sindaci del mondo e,
sempre nello stesso anno, comparso al 40° posto nella lista dei leader più in uenti, dettata dalla rivista
americana Fortune, ha consentito non solo di ripopolare, ma anche di far rivivere il paese, tanto da
diventare modello di integrazione e rilancio. A causa delle manipolazioni dell’informazioni riguardante
la gura di Lucano, col principale obiettivo di infangare il modello Riace, ricordiamo che nell’ottobre
del 2017 il sindaco viene indagato dalla procura di Locri in merito alla gestione del sistema
d’accoglienza. I reati contestai sono: truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai
danni dello Stato e dell’UE, concussione e abuso d’uf cio, accuse che, durante il 2018, vengono
dichiarate infondate dal giudice. Permangono le accuse per aver collaborato per l’organizzazione di un
matrimonio combinato in modo da permettere l’ottenimento del permesso di soggiorno ad una donna
nigeriana con l’obiettivo di rimanere a Riace e di aver forzato le procedure per assegnare la gestione
dei ri uti di Riace alle cooperative Ecoriace e Aquilone, che vedono al proprio interno un gran numero
di extracomunitari. Accuse per le quali verrà sospeso da sindaco. Ad ognuno di noi la libertà di
giudicare queste azioni come meglio vuole, ma senza trascurare, nella valutazione morale di tali
accuse, il contesto amministrativo che i sindaci Italiani si trovano a dover affrontare nel tentativo di
costruire politiche d’integrazione.
Sulla scia del modello di Riace, diversi comuni della Calabria hanno deciso di partecipare ai bandi
Sprar per l’accoglienza ordinaria come Gioiosa, Africo, Camini e altri piccoli centri spopolati che
rivivono grazie all’apporto dei rifugiati che hanno adottato una moneta complementare per il
pagamento: delpocket money.

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L’ultimo Atlante Sprar riporta diversi esempi di rilancio del patrimonio artistico italiano ad opera di
migranti, come nel caso di Capua, dove molti rifugiati e italiani collaborano dal 2014 per il recupero di
mobili antichi e il restauro delle chiese della zona.
Per quanto riguarda gli effetti dell’accoglienza sul turismo, il progetto “Sulle vene della Puglia” ci
fornisce un grande insegnamento: i rifugiati hanno collaborato con alcune cooperative locali per la
promozione turistica della zona, contribuendo a mappare il territorio per percorsi ciclabili e a tradurre
in diverse lingue le audio - guide.
Nonostante questi numeri, risulta innegabile la situazione di molte grandi città Italiane, specialmente
del Nord, che vedono un affollamento di extracomunitari occupati nel lavoro sommerso (esposti a ogni
genere di angherie e sfruttamento). Altri girano lavando i vetri delle macchine, vendono cianfrusaglie,
chiedono l’elemosina e camminano con pile di libri che parlano di posti lontani. Nessuno li vuole,
neppure i paesi da cui sono partiti. C’è chi si ferma ad ascoltarli, chiedendosi se non ci sia un modo
migliore per poter sfruttare tutto questo per il bene della collettività e, pertanto, anche per il loro bene.
Certamente qualcuno commette reati, ma è un caso che innegabilmente succede in tutte le comunità.
Il tasso di criminalità tra i detenuti non italiani vede la maggior parte tra marocchini (17,2%), rumeni
(15,3%) albanesi (13,3%), seguiti dai tunisini (10,9%). Ma, visti i dati presentati, viene da chiedersi
quanto questa microcriminalità e questo “bighellonare” per le strade sia anche causa delle politiche
legiferate in tema d’immigrazione nel corso delle varie legislature che non ci hanno permesso di
percepire, ne tanto meno sfruttare, le opportunità che il fenomeno migratorio ci propone adattandole
alle necessita del bel paese. Necessità tanto evidenti quanto ignorate.

Capitolo V

“La strategia è l’arte d’agire rispetto a situazioni di cui non si


conoscono tutti i connotati”

In un’Europa che invecchia rapidamente, in un’Europa dove non si fanno più gli, la forza lavoro
immigrata sarà sempre più rilevante. Tuttavia, la gestione delle migrazioni legali, ovvero l’ingresso di
migranti economici, non sembra una delle priorità dei governi del continente, ne tantomeno quella del
nostro governo. L’ultimo esempio di una politica migratoria che porta il nostro paese a subire il
fenomeno piuttosto che gestirlo è stata quella di non rmare il Global migration compact dell’Onu
(testo che può verosimilmente essere considerato il primo tentativo intergovernativo per abbracciare il
concetto di migrazione come diritto per tutti, tutelando i valori sanciti dalla Dichiarazione universale
dei diritti umani)
Ma in questa Europa che ignora le problematiche che la af iggono, troviamo una nazione che va
contro tendenza rispetto alla maggior parte dei governi dell’UE: la Germania.
Nonostante l’immigrazione sia uno dei temi più discussi all’interno della fragile coalizione, come
abbiamo dimostrato nel secondo capitolo ha portato il Governo di Berlino a ripristinare controlli alle
frontiere (Limes, 2016), nel 2018 il governo tedesco ha raggiunto un’intesa per la riforma di legge che

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regola i ussi migratori, introducendo un nuovo strumento per attrarre manodopera straniera,
adottando scelte che mettono al centro l’integrazione lavorativa in dialogo con le politiche del passato.
Passato iniziato dopo il tanto atteso crollo del muro di Berlino che ha permesso una ricongiunzione
della parte Est con quella dell’Ovest portando la Germania in uno dei suoi momenti più bui sotto
l’aspetto economico con tassi di disoccupazione ben peggiori rispetto a quelli che oggi vediamo in
Italia, causati dalla popolazione proveniente dalla Berlino Ovest, che in massa si è diretta verso i centri
di collocamento. Politiche che gli hanno in prospettiva permesso di registrare grandi numeri,
portandola ad essere una delle nazioni più ricche d’Europa.
Nel corso del 2018 la Germania ha raggiunto la cifra record di 45 milioni di occupati (+ 15 per cento
rispetto ai 39,3 milioni del 2005) e, contemporaneamente, l’ef ciente sistema informativo tedesco del
lavoro segnala ancora 750 mila posti vacanti che le imprese non riescono ad occupare in particolare
nei settori della logistica, dei trasporti, della metalmeccanica ma anche posti lavoro provenienti dal
settore medico-sanitario, dato simile a quello Italiano, punto particolarmente delicato in uno dei paesi
che registra, ancora una volta, un dato simile a quello Italiano: quello riguardante il tasso della
popolazione anziana destinato inesorabilmente ad aumentare.
In Germania verrà introdotto un permesso di soggiorno per sei mesi per ricercare lavoro a determinate
condizioni quali: livello di educazione, età, competenze linguistiche, offerte di lavoro e sicurezza
nanziaria. Il nuovo strumento, nelle intenzioni del governo di Berlino, avrebbe due principali effetti:

a) consentirebbe di separare in modo chiaro i percorsi dell’asilo e della migrazione economica,


riducendo l’uso improprio dello strumento della protezione internazionale, fenomeno diffuso in
Germania come nel resto d’Europa;

b) lo sforzo del governo sarebbe quello di accelerare le procedure di asilo in modo da poter favorire
l’integrazione nel mercato del lavoro

Appaiono ancora più nette le differenze tra Roma e Berlino nel monitoraggio degli indicatori
d’integrazione. In Italia l’ultimo rapporto sul tema è stato fatto dal Cnel nel 2013 (con dati provenienti
dal 2011). In Germania, l’Uf cio federale di statistica ha incorporato alcuni indicatori di integrazione
curandone periodicamente il monitoraggio. Tra questi indicatori possiamo elencare il tasso di
naturalizzazione, il numero di abbandoni scolastici, il numero di laureati, la partecipazione alla forza
lavoro, il tasso di dipendenza dai “bene t” del welfare, la quota di lavoratori di origine straniera
impiegati nel settore pubblico, il tasso di proprietà delle abitazioni e la quota di persone di origine
straniera ammesse al voto elettorale.
Di certo non possiamo negare la profonda distinzione geogra ca, oltre a quella economica, fra Italia e
Germania. Ma risulta altrettanto innegabile affermare che il governo tedesco (pur non essendo un
paese di con ne) si è ritrovato a gestire un grande usso d’immigrati nel corso degli anni, essendo lo
sbocco della rotta balcanica.
Nel complesso la politica migratoria tedesca appare dunque orientata all’integrazione lavorativa, sia
dei rifugiati sia dei migranti economici, riducendo i tempi per le procedure amministrative e di

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conseguenza i costi di gestione: analisi dei fabbisogni del proprio mercato del lavoro in tempo reale,
chiarezza di obiettivi nella gestione del fenomeno dei profughi, grande attenzione all’integrazione
sociale degli immigrati con appositi monitoraggi, sicurezza con poca o scarsa propaganda e piena
sostanza, in un paese abituato ad esigere il rispetto delle leggi dai propri cittadini che lo porta ad
essere preparato a chiedere e ricevere lo stesso anche dagli stranieri.
Tutte strade che l’Italia ha dimostrato, ancora una volta, di non voler percorrere non rmando il Global
migration compact dell’Onu, differentemente dal governo di Berlino.

Capitolo VI

Italia e Germania condividono un altro dato: sono in questo momento i paesi dell’Unione Europea più
in crisi dal punto di vista demogra co, con saldi naturali profondamente negativi (differenza tra nati e
morti, rispettivamente -190 mila e -148 mila), ma nel 2017 la popolazione in Germania è cresciuta (+328
mila), mentre quella italiana è complessivamente diminuita (-105 mila). Risulta evidente, nonostante la
debole maggioranza governativa tedesca, che da un punto di vista politologo risulta molto simile alla
nostra, che la situazione è nettamente opposta rispetto a quella Italiana. Questo perché Berlino e
Roma differiscono su un aspetto che possiamo descrivere come cardinale: l’integrazione sociale e
lavorativa, attraverso pacchetti legislativi che permettono una coordinamento e una gestione
dell’organizzazione dei ussi iniziata ben prima di qualche anno, risulta una priorità. Una priorità che
permette alla Germania di cogliere le opportunità che gli vengono proposte dal fenomeno migratorio.
Politiche di lungo respiro, che tanto abbiamo osannato come necessarie al nostro sistema durante
queste poche righe, per un fenomeno che non può essere eliminato ma solo gestito attraverso una
sensata e cauta regolamentazione. Politiche decennali che portano la Germania, da un punto di vista
occupazionale, a 17 punti percentuali di differenza nel tasso di occupazione rispetto all’Italia (75,2 per
cento contro 58) e oltre 7 punti di differenza sul tasso di disoccupazione (3,8 per cento rispetto a 11,2).
E in Italia?
L’Italia viene da una lunga crisi iniziata nel 2008 che ha portato molti italiani ad un peggioramento delle
proprie condizioni di vita. Il lavoro scarseggia, il welfare è diventato meno generoso e un maggior
numero di connazionali vive oggi sotto la sogli di povertà.
Tutto questo ha cristallizzato molti pensieri e sentimenti nella mente degli italiani: se arrivano “loro”, ci
perdiamo “noi”. Da questo alla noncuranza rispetto alle morti in mare il passo è breve: “loro sono di
un’altra razza, qui non devono proprio venire”. Intolleranza estremamente pericolosa in quanto sorge
in assenza di qualsiasi dottrina, a opera di pulsioni elementari. Per questo risulta così dif cilmente
criticabile, mantenuta a freno con ragionamenti razionali.
Nell’ultimo ventennio l’Italia si è rapidamente trasformata da un Paese di emigrazione (intere umane
di connazionali sono partiti per gli Stati Uniti d’America, l’Argentina, Germania e Belgio) a un Paese
d’immigrazione. Oggi ci sono più di 5 milioni di persone non nate in Italia (fra cui un milione di minori),
che rappresenta oggi l’8,3% della popolazione residente. Vivono a nostre spese? No, vediamo perché.
Se sono adulti lavorano. Due milioni e mezzo hanno un regolare contratto. Se consideriamo anche il

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lavoro sommerso (ad esempio molte/i badanti) possiamo dire che la sotto-popolazione immigrata ha
un tasso di occupazione più alto della media. Si stima che il lavoro degli immigrati regolari generi
valore aggiunto pari a più di 130 miliardi di euro l’anno, circa 9% del Pil. Ci sono mezzo milione di
piccole e medie imprese fondate e gestite da immigrati, che danno lavoro ad altri immigrati ma anche
a molti italiani. Il loro gettito Irpef è pari a 7,5 miliardi, quello dei loro contributi sociali pari a 11 miliardi
e mezzo.
Ha ragione da vendere Tito Boeri, presidente dell’INPS, quando si e ci domanda come si
pagherebbero le pensioni ogni mese se non ci fossero “loro”. Su circa quindici milioni di trattamenti
pensionistici, solo 43.000 vanno a immigrati, il resto va a “noi”. Ma molti ribattono.
Si ribatte affermando che anche “loro” andranno un giorno in pensione. Vero, ma teniamo conto che le
famiglie di immigrati, almeno quelle di prima generazione, fanno più gli. Visto che questi bambini
diventeranno grandi, da italiani ci auguriamo, lavoreranno. Saranno i loro contributi a nanziare le
pensioni dei loro genitori e magari resterà un avanzo anche per “noi”.
Sì ribatte degli immigrati che si curano nei nostri ospedali, che ottengono gli alloggi popolari, persino
sussidi e agevolazioni dai Comuni. Ma la verità è che se sono regolari usano un welfare che è
largamente nanziato da tasse e contributi di altri immigrati, esattamente come succede per i “nostri”
anziani, disoccupati, o disabili.
Se solo il nostro stato, come la nostra società civile, avesse una maggiore capacità organizzativa e un
po’ più di lungimiranza riusciremmo ad adottare, ma in particolare accettare, pacchetti di politiche a
lungo respiro (politiche amministrative, politiche del lavoro, politiche sociali, politiche sanitarie e
politiche giudiziarie) che permetterebbero al sistema normativo di aprire le porte ai ussi migratori
verso la nostra società ed economia in modo da poter trarre i bene ci che la sotto-comunità immigrata
regolarmente soggiornante ci dimostra di possedere; ricordiamo ancora una volta che in Italia ci sono
poco più di cinque milioni di immigrati regolari, fra cui un milione di minorenni. Il loro lavoro genera 130
miliardi l’anno, il 9% del Pil. Hanno fondato e gestiscono 500mila aziende, versano 7,5 miliardi di Irpef.
Su un totale di 15 milioni di pensioni, solo 43mila vanno agli stranieri. Lungimiranza per poter guardare
e comunicare come il terzo settore (che sta diventando attraverso le politiche di esternalizzazione dei
servizi socio-assistenziali sempre più colonna portante del nostro Welfare) ha potuto crescere e
rafforzarsi potendo dare, attraverso appalti per i progetti, reddito e lavoro a molti disoccupati nativi,
portando a un sorprendente aumento dell’occupazione femminile nelle regioni del Sud, dati che sono
stati maggiormente “tirati” dal fenomeno migratorio.
Lungimiranza per capire che molti di questi migranti potrebbero fare lavori che noi italiani non
vogliamo più fare nel mondo dell’agricoltura, dell’edilizia, nelle fabbriche.
Lungimiranza per capire che alcuni sono istruiti e che potremmo impiegarli nella sanità e nel sociale,
senza dimenticare che abbiamo un grande bisogno di nuovi contribuenti per pagare le nostre pensioni.
Se cosi fosse la s da dei migranti non sarebbe così drammatica.
Da problema intrattabile potrebbe trasformarsi in soluzione, anzi in un ventaglio di soluzioni: per
affrontare il calo demogra co, la sostenibilità delle pensioni, il rilancio dei servizi sociali,
dell’agricoltura e il depopolamento delle aree interne e via via scorrendo. Problemi fortemente
persistenti come dimostrato nei precedenti paragra .

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Di certo, come più volte ribadito, è giusto quanto necessario chiedere ai paesi europei, attraverso le
più razionali e diplomatiche forma di cui disponiamo, nanziamenti economici per le emergenze e
distribuzione dei migranti. È anche ora che l’Unione europea si svegli e lanci un grande piano Marshall
per lo sviluppo dell’Africa in moda da riuscire a stabilizzare un continente profondamente sotto
sviluppato così da poter permettere ai suoi abitanti di poter sopravvivere, vivere, stabilizzarsi e
crescere nella propria terra natia.
Ma se il sistema d’accoglienza italiano è un colabrodo inef ciente dobbiamo prendercela solo con noi.
I politici si riempiono la bocca di molti slogan senza mai sottolineare le colpe del nostro sistema,
causate dalle politiche che loro hanno legiferato difendendo le accusa, dopo accusa.

(Dati Istat, 2018)

Conclusione

“E che la cultura non ha senso se non ci aiuta a capire gli altri”

Se l’Italia negli ultimi anni ha “subito” l’immigrazione anziché gestirla (ne è prova la ripetuta gestione
dell’accoglienza in continua emergenza) è solo causa della nostra chiusura al fenomeno migratorio che
non ci permette di cogliere le opportunità che ci vengono proposte potendole sfruttare al ne di
risolvere alcune delle problematiche che il bel paese presenta da anni. Keynes ha già dimostrato che la
spesa in de cit (non dimentichiamo che l’UE ci ha autorizzato a nanziarli in de cit i costi provenienti
dall’accoglienza come se fosse un investimento sociale per il futuro, cosa che in parte lo è o lo
sarebbe) risulta accettabile quando i fondi vengono utilizzati per preparare il terreno.
Contemporaneamente a ciò risultano necessarie preparazione, strategia di attuazione, grandi progetti,
coordinamento, monitoraggio, valutazioni razionali per non parlare di onestà intellettuale e

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responsabilità istituzionale per poter sfruttare il fenomeno migratorio. Tutte azioni che l’Italia sembra
avere a priori deciso di scartare portando la politica, come la società, a focalizzarsi su un asse polare
dal quale non sembra riuscire a sfuggire pronunciando generici verdetti: bisogna accoglierli, no
bisogna respingerli; sono utili qui da noi, no se ne stiano a casa loro. Nessun esponente politico, come
del resto la società (vedremo quale sarà l’andamento del movimento popolare soprannominato “le
sardine”) sembra sia in grado di esporre, ne tanto meno attuare, strategie pragmatiche supportate da
empirici ragionamenti.
Antipodo di comportamento della Germania che versa oggi in uno dei suoi più oridi momenti sotto
l’aspetto economico, occupazionale e amministrativo, anche grazie all’adozione di pacchetti di
politiche migratorie, occupazionali, demogra che adottate nel corso degli anni, accompagnati da una
tolleranza, senso d’accoglienza e capacità di convivenza provenienti dal tessuto sociale che ha saputo
sostenere l’azione politica (naturalmente anche in Germania troviamo eccezioni a tal sentimento che ci
hanno portati a commentare barbari fenomeni di stampo razzista). Azioni che ci dimostrano
prepotentemente quanto possa essere pro cuo e gestito il fenomeno migratorio.
Un fenomeno che, senz’altro, non andrà riducendosi a breve, anche considerando l’impatto che le
conseguenze dei cambiamenti climatici potranno avere in molti territori del Sud del mondo a partire
dalla riduzione delle risorse idriche che porterà a una riduzione delle terre coltivabili. Cambiamento
climatico al quale il continente Africano ha solo marginalmente preso parte data la sua economia
profondamente sotto sviluppata, a causa del continuo sfruttamento colonizzatore perpetuatosi nel
corso dei secoli che tuttora persiste (grande esempio ne è la Francia).
Eppure, anche in Italia si registrano forti eccezioni che si discostano dall’andamento prevalente.
Prefetti, Comuni e Cooperative del nostro territorio ci danno un’ottima base di partenza per poter
costruire qualcosa che possa risultare simile all’ef ciente modello tedesco.
Ma queste azioni vengono messa sempre più a rischio da una forma di illusione che considera i nuovi
casi di antisemitismo come una malattia marginale che riguarda solo una frangia impazzita della
società. Molti episodi ci dimostrano quanto il fantasma di questa ossessione millenaria sia ancora
persistente all’interno del nostro tessuto sociale. La s da da affrontare sembra sempre più quella di
dover combattere l‘intolleranza attraverso un’educazione costante che inizi dalla più tenera infanzia
prima che diventi crosta comportamentale troppo spessa e dura. Educazione che permetta di capire
quanto l’accettazione di culture diverse (necessaria per comprendere e, di conseguenza, gestire il
fenomeno migratorio) non signi chi valutare ciò cui ciascuno deve rinunciare per arrivare ad essere
uguali, bensì capire reciprocamente ciò che ci separa e accettare questa diversità.
Insomma, delle due una: o cominciamo a gestire questo inevitabile fenomeno sociale con quella virtù
che abbiamo chiamato prudenza o, abbassiamo la voce in moda da non svegliare l’assopito capitale
umano.

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(Limes, 2019)

(Istat, 2018)

(Istat, 2018)

(Limes, 2018)

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“Questa Italia non ha colto né le opportunità della geogra a,


né le lezioni della storia”

A mio zio
M

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