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La tragedia di Rana Plaza

Il Rana Plaza era un edificio commerciale di otto piani situato a Savar, alla periferia di Dacca,
capitale del Bangladesh, che ospitava al suo interno diversi negozi, una banca e numerose
fabbriche di abbigliamento pagati da prestigiosi marchi occidentali di abbigliamento, che davano
impiego a circa 5.000 persone.
L’edificio crollò il 24 aprile 2013 alle 8.45 circa provocando la morte di quasi 1.200 persone e
ferendone più di 2.500, molti dei quali tuttora disabili.
Una disgrazia che si poteva, e doveva, evitare; giorni prima dell’accaduto, infatti, era stato dato
l’allarme che l’edificio non era in condizioni di sicurezza ed erano state rilevate numerose crepe.
L’intera struttura nasceva infatti con l’intento di ospitare solo negozi e uffici, non fabbriche e il
palazzo, quindi, non era potenzialmente in grado di reggere il peso e le vibrazioni di macchinari
pesanti.
I negozi e la banca ai piani inferiori furono immediatamente chiusi, ma gli operai delle aziende
tessili, per lo più donne e ragazzine, furono costretti a lavorare e occupare le proprie postazioni.
Dopo un totale blackout tutto cominciò a tremare e l’enorme palazzo si richiuse su sé stesso.

L'ondata di indignazione, provocata anche dalle responsabilità morali delle grandi firme che si
servivano dello stabilimento, a maggio 2013 permise alla Clean Clothes Campaign (in Italia
“Campagna Abiti puliti”) formata da ong e sindacati, a spingere 220 aziende tessili bengalesi a
sottoscrivere l'Accordo per la prevenzione degli incendi e sulla sicurezza degli edifici.
Un accordo quinquennale che finalmente, grazie alle ispezioni indipendenti e alla formazione dei
lavoratori, ha contribuito in modo significativo a migliorare la sicurezza sul lavoro.

Al 1° marzo 2018 infatti l'85% degli interventi riparatori segnalati durante le ispezioni, in tema di
sicurezza, sono stati completati. Gli ispettori indipendenti hanno esaminato più di 1.900
fabbriche e 97 mila situazioni di rischio individuate, per pericolo di incendio, problemi elettrici e
strutturali, sono stati corretti. Grazie all'accordo del 2013, 183 reclami dei lavoratori sono stati
risolti. Ma la strada per assicurare sicurezza sul lavoro e un sistema infortunistico e previdenziale è
ancora lunga.

Ora è alla firma un'estensione di un altro Accordo di transizione di altri cinque anni , un nuovo
patto che, nell'ambito del meccanismo legalmente vincolante, impegna i marchi internazionali a
versare 2,3 milioni di dollari per la messa in sicurezza di oltre 150 fabbriche che lavorano per le
grandi firme.  Ma se ci sono ancora molti marchi che non hanno mai sottoscritto nemmeno la
prima parte dell’accordo.

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