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La sociologia è la scienza sociale che si occupa delle forme e dei processi della vita umana associata.
La visione sociologica si basa sulla capacità di liberarsi e/o essere consapevole dei condizionamenti delle abitudini
conoscitive del proprio ambiente socio-culturale.
Il sociologo è attento al “dato” (ossia all’effettivo manifestarsi dei fenomeni); Esercita l’onestà intellettuale (riflessività
su passioni e pregiudizi);Usa dei metodi validati e condivisi (o ne sperimenta dei nuovi); Usa quadri interpretativi
adeguati (modelli, teorie, ecc.); Combina rigore (precisione, competenza) e immaginazione (prospettiva,
interpretazione delle tendenze contrastanti, cammini possibili) e si impegna per obiettivi sociali rilevanti.
Lo studio sistematico del comportamento umano e della società inizia verso la fine del XVIII secolo in seguito al
rapido cambiamento sociale che definisce la “società moderna” in Europa. È favorito da quattro rivoluzioni:
- scientifica
- industriale
- politica: (francese e americana)
- culturale
Auguste Comte (1789-1857): Nel 1839 ideò la parola sociologia, presente nel suo Corso di filosofia positiva.
La sociologia è la scienza della società capace di svelare le leggi universali che governano il mondo sociale.
Il positivismo sostiene che la scienza si applica ai fenomeni osservabili e alle loro relazioni causali, direttamente
attingibili attraverso l’esperienza.
La sociologia è una scienza positiva, pertanto essa applica allo studio della società gli stessi rigorosi metodi scientifici
che la fisica o la chimica applicano allo studio del mondo fisico.
L’approccio positivista in sociologia comporta la produzione di conoscenza sociale basata sull’evidenza empirica
ricavata dall’osservazione, dal confronto e dalla sperimentazione.
La legge dei tre stadi afferma che gli sforzi umani per comprendere il mondo sono passati attraverso gli stadi:
-Teologico: la società è espressione della volontà di Dio;
-Metafisico: la società è spiegata da principi astratti;
-Positivo: la società è indagata con il metodo scientifico.
Emile Durkheim (1858-1917): La sociologia studia i fatti sociali. Essi sono elementi della vita sociale che
determinano le azioni individuali e sono esterni agli individui ed esercitano un potere di coercizione sugli individui.
La divisione sociale del lavoro (1893) Analisi del mutamento sociale: nell’era industriale si afferma un nuovo tipo di
solidarietà. Alla solidarietà meccanica (società tradizionali) in cui i membri della società si dedicano in prevalenza a
occupazioni simili tra loro; Prevalgono le esperienze comuni e le credenze condivise; La coesione sociale è garantita
da sanzioni repressive; viene sostituita la solidarietà organica (società moderna): I membri della società si dedicano
in prevalenza a occupazioni diverse tra loro; Prevale l’interdipendenza reciproca, come tra le componenti di uno
stesso organismo;
La coesione sociale è garantita da sanzioni restitutive.
Il suicidio è un fatto sociale che può essere spiegato solo da altri fatti sociali i quali sono integrazione sociale e
regolazione sociale.
Karl Marx (1818-1883): Studia i cambiamenti della società moderna legati allo sviluppo del capitalismo: un modo
di produzione radicalmente diverso dai suoi precedenti storici e costituito da due elementi: il capitale e il lavoro
salariato.
Il capitalismo è un sistema classista e nella società capitalista sono presenti due classi:
-la borghesia: i capitalisti proprietari dei mezzi di produzione
-il proletariato: la classe operaia priva dei mezzi di produzione.
Il rapporto fra classi è conflittuale, fondato sullo sfruttamento dove la borghesia è la classe dominante e il proletariato
è la classe subordinata.
Il processo storico poggia sulla concezione materialistica della storia: le cause del mutamento sociale non sono da
ricercare nelle idee o nei valori, ma nei fattori economici.
Le società cambiano a causa delle contraddizioni insite nei rispettivi modi di produzione.
Il sistema capitalistico è destinato a essere rovesciato da una rivoluzione dei lavoratori, che instaurerà una società
senza classi.
Max Weber (1864-1920): il mutamento sociale è condizionato, oltre che dalle condizioni economiche anche dalle idee
e valori.
La sociologia è comprendente: ha il compito di comprendere il significato dell’azione sociale.
L’etica protestante spinge l’individuo a impegnarsi per il successo delle proprie iniziative economiche, segno di
predestinazione divina. Lo spirito del capitalismo è quel complesso di orientamenti normativi che sono alla base della
società occidentale moderna.
Il tipo ideale è un modello concettuale utile a comprendere il mondo. L’aggettivo ‘ideale’ non è sinonimo di
desiderabile, ma designa la forma pura di un fenomeno. I tipi ideali non esistono nel mondo reale, ma aiutano a
comprendere i fenomeni concreti.
Il termine razionalizzazione indica l’affrancamento della società moderna dalle credenze radicate nella superstizione,
nella religione, nelle usanze, nelle abitudini tradizionali, cui vengono sostituite dal pensiero scientifico.
Lezione 2: Le organizzazioni
Un’ organizzazione è gruppo secondario, formalmente riconosciuto attraverso un atto costitutivo dotato di validità
legale che stabilisca i suoi fini istituzionali, dotato di una struttura interna fondata su criteri di specializzazione e
divisione del lavoro e capace di agire come attore collettivo per il raggiungimento di obiettivi comuni.
Organizzazioni importanti:
- Associazioni volontariato: L’appartenenza è volontaria, ossia non è obbligatoria né acquisita per nascita, ma si
aderisce per libera scelta. Viene costituita per promuovere gli interessi comuni dei suoi membri. Non è connessa con
istituzioni governative locali, statali, o federali.
- Associazioni burocratiche: I loro fini non sono stabiliti dai membri dell’organizzazione e hanno un carattere più
durevole. Si deve a Weber l’individuazione dei caratteri della burocrazia (dall’unione del francese bureau, ufficio, e dal
greco kratos potere), ossia «potere dei funzionari»: Divisione dei compiti, gerarchia degli uffici, ufficio pubblico,
specializzazione, remunerazione in denaro e regole generali.
Il modello burocratico (Weber): Spiegazione delle ragioni dell’affermarsi della burocrazia come prevalente modalità
di organizzazione del lavoro amministrativo nella società moderna.
Obiettivi: massima uniformità, rispondenza alla legge e prevedibilità dell’azione amministrativa. Parità di trattamento
tra tutti i cittadini. Impersonalità dell’agire burocratico.
Metafora: l’organizzazione come piramide.
La burocrazia consiste in ruoli ben definiti da regole e procedure precise secondo criteri di razionalità, imparzialità,
impersonalità. Per la sua spiegazione Weber ricorre al “tipo ideale”; cioè, una rappresentazione schematizzata del
mondo reale in cui ciascun elemento del modello rappresenta un fenomeno sociale, che ha elevate probabilità di
essere nella realtà. Il tipo ideale viene ricavato dalla realtà concreta, ma se ne discosta, perché il ricercatore seleziona
determinati elementi, ne accentua alcuni più di altri e crea un complesso di collegamenti più unitario e coerente di
quello che nei fatti esiste e costituisce un’esagerazione concettuale della realtà empirica. L’ ideale offre un parametro
di riferimento per inquadrare ciascun caso concreto, vedendo quanto se ne avvicina o discosta e fa da base
per instaurare confronti.
Elementi della burocrazia secondo Weber: divisione del lavoro, struttura gerarchica, procedure formali di
apprendimento, impiego stipendiato a tempo pieno, regole scritte prestabilite, fedeltà all’organizzazione, segreto di
ufficio.
Il funzionario secondo Weber: Deve seguire un corso di studi predeterminato e superare delle prove prescritte
come condizioni per l’assunzione; Deve mostrare fedeltà all’ufficio inteso in termini generali e astratti; Gode di una
posizione di «ceto»; È nominato da un’istanza a lui superiore; Gode di un impiego stabile, garantito a vita; È
remunerato con uno stipendio fisso; È inserito in una carriera, che muove dai posti inferiori a quelli superiori.
Ragioni della burocrazia: la produttività: la burocrazia riduce i margini di incertezza dell’agire umano;
il potere: la chiave per il controllo di una burocrazia è l’accesso alle informazioni; funzione delle regole attraverso:
a) la comunicazione: esse indicano ciò che la direzione si aspetta dai dipendenti;
b) il controllo a distanza: esse permettono ai dirigenti di controllare i comportamenti a tutti i livelli dell’organizzazione;
c) la legittimazione della punizione: esse forniscono criteri astratti in base ai quali vengono valutati i bassi rendimenti e
infrazioni; le punizioni non dipendono da sentimenti personali dei superiori;
d) la discrezionalità: esse possono essere uno strumento di negoziazione tra dirigenti e dipendenti.
Lati deboli delle organizzazioni: l’incertezza: sia gli obiettivi che i mezzi possono non essere chiaramente definiti.
Molte organizzazioni hanno obiettivi multipli e in qualche modo anche contrastanti, e spesso tutti da definire. Difficile
per un’organizzazione è anche fare previsioni sugli effetti delle iniziative che coinvolgono esseri umani;
la vulnerabilità alle influenze ambientali: le organizzazioni sono influenzate dal contesto in cui operano; la
complessità: dimensione, tecnologia, ambiente, professionisti: sono fattori che influenzano l’efficienza
dell’organizzazione; patologia: sempre presente il pericolo di aversi una sua fossilizzazione, un’osservazione acritica
delle regole e norme, una mancanza di flessibilità, resistenza alle innovazioni, ritardi nell’espletamento delle pratiche
e stagnazioni della routine; inoltre, il personale di un’organizzazione tende ad aumentare quasi automaticamente
perché ogni persona desidera moltiplicare i subordinati (legge di Parkinson). Da ciò, la continua crescita della
burocrazia, che genera più lavoro inutile e diventa sempre meno produttiva; obbedienza cieca: spersonalizzazione
dei rapporti umani – distanza psicologica; il conflitto che può essere irrazionale (quando caratteri e problemi
personali possono interferire con i ruoli ricoperti nelle organizzazioni) o relazionale tra soggetti (che competono
indirettamente, direttamente o in relazioni interne di gerarchia). Il conflitto può essere risolto predisponendolo come un
confronto. Per Weber la burocrazia ha «un’indiscutibile superiorità tecnica su qualunque forma precedente di
amministrazione». Tale superiorità, tuttavia, non è di per sé motivo di ottimismo. La sua razionalità allo scopo è uno
strumento neutro che può essere usato per fini vantaggiosi all’umanità, ma anche per fini distruttivi e di dominio (si
pensi allo sterminio nazista degli ebrei).
Due spiegazioni sulla disfunzione della burocrazia:
Il formalismo burocratico (Merton): l’adesione scrupolosa a regole e procedure come mezzo per raggiungere
determinati obiettivi diventa fine a se stesso, generando rigidità e mancanza di iniziativa.
Le relazioni di potere (Crozier): gli spazi di incertezza nel funzionamento effettivo delle organizzazioni si
trasformano in margini di autonomia e strumenti di potere per chi li controlla, siano essi singoli soggetti o gruppi.
Lezione 3: Il lavoro
Il lavoro è una manifestazione essenziale della vita umana, sia individuale che associata, l'insieme delle capacità
umane che possono essere messe a frutto da ciascun individuo è necessità.
Quindi, il lavoro è uno dei mezzi primari che l'uomo ha a disposizione per arrivare a soddisfare i propri bisogni.
Il lavoro consiste nello svolgimento di compiti che richiedono uno sforzo fisico o mentale, con l’obiettivo di produrre
beni o servizi destinati a soddisfare i bisogni umani.
Il lavoro è la base dell’economia = insieme delle attività concernenti la produzione e la distribuzione di beni e servizi.
Il lavoro può essere: retribuito = occupazione: (salario o stipendio) o non retribuito = economia informale: attività
esterne alla sfera dell’occupazione regolare.
Il lavoro retribuito permette di avere sicurezza del reddito (la soddisfazione delle nostre necessità dipende dalla
disponibilità di un salario/stipendio); acquisizione di competenze e capacità; diversificazione dell’esperienza (il
lavoro consente l’accesso ad ambiti di vita diversi da quello domestico); strutturazione del tempo (il lavoro
scandisce il ritmo delle attività quotidiane); contatti sociali (il lavoro aumenta le opportunità di stringere nuovi
rapporti); identità sociale (il lavoro è fonte di autostima).
Nonostante i lavoratori dell'industria non costituissero la maggioranza dei lavoratori, per tutto il XX secolo, il lavoro
che ha avuto un'azione diretta e determinante sulle istituzioni e sulla società è stato il lavoro della classe operaia
nell'industria.
La sociologia è "figlia" della grande rottura storica tra società preindustriale e società industriale. Nel
momento in cui c'è la fase di passaggio tra la società preindustriale e la società industriale si instaurano e vanno
studiate:
nuove relazioni sociali e ruoli sociali, modifica della struttura sociale, classi sociali, diseguaglianze sociali, nuove
identità sociali, problemi di integrazione sociale, maggior aspettative per gli individui e nuovi conflitti sociali
Caratteristiche della società preindustriale Caratteristiche della società industriale
- società statica e non dinamica - società dinamica e innovativa
- società ripetitiva - economia aperta
- economia chiusa fondata sull'autoconsumo - produzione in vista del profitto
- produzione in vista del consumo e non del profitto - maggiori possibilità di carriera per gli individui
- scarse possibilità di carriera per gli individui - ruoli sociali conseguiti
-ruoli sociali che si tramandano di padre in figlio
Il lavoro diventò oggetto di studio per la sociologia. A questo proposito è opportuno fare una distinzione tra:
1) Sociologia industriale (industrial sociology anglosassone) tesa a risolvere i problemi manageriali della grande
industria americana Orientamento: statunitense/anglosassone; Oggetto: azienda/micro
2) Sociologia del lavoro (sociologia lavorista europea) tesa alla comprensione delle trasformazioni del lavoro e delle
condizioni del mercato del lavoro. Orientamento: europeo; Oggetto: lavoro/macro.
Teorie e scuole di pensiero
Teoria di Adam Smith - > riguardante la divisione del lavoro. Come più volte abbiamo visto, l'assunto di Smith era
che la divisione del lavoro creava specializzazione e incideva favorevolmente sulla produttività.
In quale maniera?
- in ogni singolo operaio aumentava l'agilità, l'abilità, una prontezza nell'operare.
- con lo stesso tempo a disposizione, ogni singolo operaio, aumentava la quantità di prodotto evitando di
passare da un lavoro all'altro.
- incrementò sempre più l'invenzione di macchine che eliminavano ogni tipo di difficoltà e riducevano sempre
più i tempi di lavoro.
Quindi, secondo Smith, i fattori fondamentali per un aumento della produttività sono specializzazione e applicazione e
impiego di macchine.
Conseguenze: concentrazione di molti lavoratori in un'unica struttura, la manifattura (factory system);
Scomparsa della figura contadino-artigiano e comparsa dell’operaio di fabbrica; compiti di diversa difficoltà che
richiedono capacità diverse; il salario è diversificato si effettua una prima distribuzione articolata dei compiti nel
processo produttivo.
Taylorismo - > la miglior produzione si determina quando a ogni lavoratore è affidato un compito specifico.
Il compito deve essere svolto in un determinato tempo e in un determinato modo e qualsiasi operazione del ciclo
produttivo industriale può essere scomposta e studiata nei minimi particolari (studio scientifico).è compito dei
manager, su verifiche empiriche, stabilire: qual è il compito specifico di ogni lavoratore; in quanto tempo lo deve
svolgere e in che modo.
Conseguenze per il lavoratore
l 1) massima efficienza all'impresa 2) massimi profitti per l'imprenditore 3) massimo l tolse ogni tipo di discrezionalità (mentre in precedenza
benessere per i lavoratori. poteva scegliere i tempi e modi del suo lavoro).
l fu costretto ad adattarsi ai ritmi e ai metodi scelti dai
Conseguenze del taylorismo
dirigenti.
l razionalizzazione del ciclo produttivo. l sostituzione dell'operaio specializzato con l'operaio di
l finalizzazione a criteri di ottimalità economica. massa dequalificato ed intercambiabile.
l eliminazione di sforzi inutili. l perdita di autonomia.
l riduzione dei tempi. l suddito dell'automatismo delle macchine.
l incremento della produzione. l sistema di paghe differenziate e personalizzate.
l introduzione di sistemi di incentivazione. l scarsa attenzione agli aspetti psicologici e sociali dei
l gerarchizzazione interna. lavoratori.
l rigorosa selezione del personale. Proprio per questo il taylorismo fu duramente contestato dal
l scomparsa della figura dell'operaio qualificato. movimento dei lavoratori e dai sindacati (peraltro Taylor
li considerava inutili, nocivi e destinati alla
l le mansioni era talmente suddivise e semplici da non richiedere addestramento. dissoluzione).
l a causa della progressiva automazione la disoccupazione si avviava a diventare Per contro Taylor vedeva, invece, nell'incentivo economico lo
.
strutturale stimolo del lavoratore ad adattarsi alle condizioni del
lavoro (versione economicista del lavoro).
Fordismo - > nella produzione di massa e nella standardizzazione del prodotto in un contesto a elevata
meccanizzazione. L'innovazione sul piano dell'organizzazione del lavoro è rappresentata dalla "catena di montaggio".
Differenze tra taylorismo e fordismo- > Taylor era convinto che bisognasse far apprendere a ciascun operaio il
modo migliore di lavorare attraverso colloqui e lezioni; Ford invece abbandonò l'illusione di riuscire ad insegnare
all'operaio l'unico modo migliore e cercò di organizzare il lavoro in modo tale che fosse impossibile per gli operai
lavorare diversamente. Il massimo rendimento non lo si raggiungeva attraverso un'utopica unità di intenti ma
imponendolo collettivamente, attraverso l'utilizzo della tecnologia.
Lezione 4- Relazioni umane, job design e modello giapponese
Dottrina relazioni umane - > Le dottrine delle human relations determinarono il superamento del taylorismo e della
sua rigorosa ma limitata analisi del binomio uomo-macchina. A questo punto la fabbrica americana e soprattutto la
condizione operaia fu oggetto d'indagine della sociologia (scuola delle relazioni umane). Una ricerca fu eseguita negli
stabilimenti della Western Electric nell'area metropolitana di Chicago per misurare l'effetto dell'illuminazione sulla
produttività di un gruppo di operaie.
I principi fondamentali della scuola delle relazioni umane sono:
1) l'azienda è un complesso socio-tecnico.
2) l'uomo ha relazionalità, ha emozioni, ha socialità e lavora in base a quanto è motivato.
3) ridefinizione dei bisogni dell'uomo: l'uomo ha bisogno prima di tutto di sicurezza mentre il bisogno economico
(denaro) va in secondo piano.
4) sono importanti la quantità e la qualità del lavoro che l'uomo compie: bisogna trasformare le motivazioni
dell'individuo per farlo lavorare di più e meglio.
5) c'è bisogno di una azienda più funzionale e flessibile piuttosto che gerarchica.
Le relazioni sociali hanno un'influenza determinante sul morale, sul grado di soddisfazione o insoddisfazione dei
lavoratori e questo ha implicazioni sul livello di produttività.
Tale modello è stato ostacolato in Europa dai sindacati che l’hanno visto come una minaccia perché con esso il
datore di lavoro tendeva ad individualizzare il suo rapporto con il lavoratore; invece i sindacati puntavano ad un
rapporto che passasse attraverso la rappresentanza del sindacato.
Job design -> procedura di revisione delle mansioni dei lavoratori, adottata al fine di contenere e ridurre gli effetti
negativi connessi ad un eccessivo frazionamento dell'attività lavorativa, a sua volta determinata dall'adozione della
catena di montaggio e per realizzare la razionalizzazione del lavoro.
Con l'introduzione delle nuove tecnologie cambia l'organizzazione del lavoro, ridefinendo le mansioni in termini del
tutto nuovi e cioè riaccorpandole ciò che prima Taylor aveva puntigliosamente diviso. Di qui nascono i nuovi modi di
produrre e il Job design.
I fattori che hanno portato ad una evoluzione dell'organizzazione del lavoro sono:
1 ) matura la consapevolezza, intorno agli anni '70, che non esiste una ed una sola organizzazione del lavoro migliore
in assoluto (non esiste il "One best way“) ma varie organizzazioni tutte parallelamente e contemporaneamente
efficienti
2) l'avvento delle nuove tecnologie accorpa le mansioni lavorative e riorganizza il lavoro
La maggior parte degli esperimenti di nuovo job design effettuati in USA negli anni Sessanta sono basati
essenzialmente sulle tecniche di job rotation job enlargement e job enrichment.
1) Job rotation (rotazione del lavoro) 3) Job enrichment (o arricchimento verticale dei
2) Job enlargement (o ampliamento orizzontale dei
• consiste nella rotazione del lavoratore compiti)
compiti) • consiste in un approfondimento della mansione
nell'ambito di una stessa area attraverso un
attraverso una delega al lavoratore che prima
certo numero di posti di lavoro differenti. • consiste nell'accorpare più compiti di breve durata ed
svolgeva compiti puramente esecutivi, di alcune
• La rotazione "orizzontale" risulta costantemente assegnati ad operatori diversi in un solo compito funzioni, di programmazione, di organizzazione e di
usata all'interno delle aziende al fine di garantire assegnato ad un solo operatore. Sul piano controllo del proprio lavoro.
alla direzione un uso elastico della forza lavoro • In altri termini, mentre il Job enlargement tende ad
per far fronte alle diverse esigenze della dell'organizzazione del processo produttivo quindi, accorpare diversi compiti con eguali caratteristiche
produzione (assenteismo, turnover, ecc.). l'ampliamento dei compiti del singolo lavoratore viene (aggregazione orizzontale), il Job enrichment tende
a unificare compiti dotati di diversi e più complessi
• L'organizzazione del processo produttivo non ottenuto attraverso la modifica del suo posto di lavoro. contenuti professionali (aggregazione verticale)
cambia, così come non muta la tecnologia della
• L'obiettivo del Job enlargement quello di un aumento, • Tutte queste tecniche vanno valutate in una
produzione, restando identico ogni singolo posto prospettiva unificante che è quella di un aumento
di lavoro; muta soltanto, attraverso la all'interno di una stessa area professionale, della del grado di soddisfazione dei lavoratori e quindi di
rotazione, il contenuto dei compiti affidati a varietà e durata del lavoro, pur restando inalterata la una maggiore motivazione al lavoro determinata da
una riduzione della ripetitività e monotonia e quindi,
ciascun lavoratore (lavoro meno noioso e qualità intrinseca e la discrezionalità del lavoro. in definitiva, da un arricchimento reale dei contenuti
alienante). del lavoro stesso.
Fordismo Post-fordismo
Modello Giapponese (1970-1980)- > è un sistema produttivo messo a punto dalla Toyota e consiste nel reimpostare
i processi produttivi secondo criteri che puntano sulla responsabilizzazione, la flessibilità interna e la cooperazione dei
lavoratori.
Termini fondamentali:
1. fare economia di tutto (officina minima)
2. approccio "zero difetti" che comporta un sistema di verifica immediata dei problemi tecnico-produttivi e la
facoltà, attribuita ai lavoratori collocati sulla catena di montaggio, di fermare la linea qualora riscontrino
anomalie (principio di autonomazione)
3. perseguimento della "qualità totale" attraverso: qualità delle prestazioni dell'azienda; qualità del prodotto;
qualità dell'organizzazione; qualità dell'immagine sul mercato; qualità del lavoro.
4. produzione snella di piccole quantità di prodotti e flessibile alle richieste di mercato in modo da garantire la
simmetria tra la domanda proveniente dal mercato e l'offerta del prodotto grazie a processi produttivi
sincronizzati tra reparti diversi e aziende collegate con lo scopo di evitare accumulazione di scorte (principi
del Just in time)
5. conseguimento di tempi di produzione unitari sempre più ridotti attraverso l'ottimizzazione del flusso della
produzione (layout di stabilimento, movimento dei materiali)
6. rigorosa programmazione con previsione della produzione mensile ed obiettivo giornaliero
7. principi estesi anche alle imprese fornitrici, organizzate in una gerarchia, strettamente collegate con l'impresa
capofila
Lavoratori - > lavoratori organizzati in gruppi che hanno una professionalità polivalente; formazione ampia; sicurezza
occupazionale garantita "a vita"; benefici sociali dispensati dall'impresa, in un paese in cui il Welfare pubblico è
debole; i sindacati sono organizzati su base aziendale e si ispirano ad una filosofia consensuale e collaboratrice,
molto integrata con gli obiettivi aziendali; il controllo gerarchico esterno è sostituito da un controllo informale di gruppo
che comporta una pressione di conformità nei confronti dei comportamenti avvertiti come devianti.
Limiti:
- sistema fragile (funziona se tutto gira secondo i piani);
- ridurre le scorte significa aumentare la fragilità del sistema e la sua esposizione ad eventi imprevedibili
- forza lavoro troppo responsabilizzata
- Necessita di una collaborazione assoluta
- richiede un clima sociale interno assolutamente collaborativo
- una dedizione al lavoro pressoché incondizionata da parte degli operai.
- aumento dello stress fisico e mentale dei lavoratori
- una costante pressione causata dall'asservimento totale agli imperativi dell'azienda
- la scomparsa o la subordinazione del sindacato
- la centralità del lavoro ossessiva anche nella sfera della vita privata
- Il modello giapponese è accusato anche di taylorismo in quanto se da un lato supera il fordismo nei processi
produttivi (tramite la produzione snella) nei rapporti umani porta a ritmi ossessivi.
Lezione 5: Il mobbing
Il Mobbing (dall’inglese “to mob” = attaccare, accerchiare) consiste in attacchi sistematici, in abusi, oltraggi e soprusi
esercitati dal mobber (superiori gerarchici o colleghi) contro un lavoratore isolato (il mobbizzato) divenuto, per
svariate ragioni, indesiderato. Nessun luogo di lavoro è risparmiato dal mobbing, il quale colpisce sia a livelli bassi
sia a quelli intermedi della gerarchia. Più aumenta la competitività sociale e più le strategie di mobbing trovano un
fertile terreno di coltura. Il mobbing si rivela sia un ottimo strumento in mano alle aziende per disfarsi di elementi
ritenuti a vario titolo scomodi, oppure in esubero, sia un mezzo appropriato in mano a dipendenti sleali e gelosi, per
eliminare concorrenti pericolosi. Consta di piccoli ma ripetuti attacchi personali, di varie forme di ostilità, isolamento,
sabotaggio e atti di disturbo eseguiti con regolarità. Sono la sistematicità e la durata nel tempo gli elementi che
distinguono il Mobbing da qualsiasi altro scontro sul lavoro, per cui per sconfiggere il mobbing si richiede una
pratica di solidarietà e una mobilitazione sociale capaci di neutralizzare le coalizioni e le strategie dei mobbers.
Storia del mobbing - > Nell’800 mobbing era un termine usato dai biologi inglesi per descrivere il comportamento
degli uccelli, che difendevano il loro nido con manovre di volo minacciose contro aggressori.
Nell'900, l’etologo Konrad Lorenz l’ha impiegato per spiegare l’attacco coalizzato sferrato da un gruppo di animali ad
animali della stessa specie. Il primo ad applicare il termine alle società umane è stato Heinz Leyman, uno dei
maggiori esperti mondiali dell’ambiente lavorativo e lo studioso più sistematico del fenomeno mobbing in tutti gli anni
’80 e ’90. Tuttavia il mobbing, nella sua essenza, va ben al di là dello specifico lavorativo, aggredendo in radice
fondamentali diritti umani e civili. Alla base dell’esplosione della strategia di mobbizzazione vi è un conflitto di lavoro
che riesce a trovare canalizzazione e soluzioni istituzionalizzate. nel Mobbing esiste una costante: la vittima è sempre
in un status inferiore rispetto ai suoi avversari.
Fasi del mobbing:
1. Il conflitto mirato: in cui si individua una vittima e verso di essa si dirige la conflittualità generale. L'obiettivo
non è più solo quello di emergere, ma quello di distruggere l'avversario. Inoltre, il conflitto non è più oggettivo
e limitato al lavoro, ma sempre più adesso sbanda verso argomenti privati.
2. Fase iniziale: Gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi o malattie di tipo psico-somatico
sulla vittima, ma tuttavia le suscitano un senso di disagio e fastidio.
La vittima percepisce un inasprimento delle relazioni con i colleghi ed è portata quindi ad interrogarsi su tale
mutamento.
3. Primi sintomi psico-somatici: La vittima comincia a manifestare dei problemi di salute e questa situazione
può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza,
l'insorgere dell'insonnia e problemi digestivi.
4. Errori e abusi dell’amministrazione del personale: Il caso di Mobbing diventa pubblico e spesso viene
favorito dagli errori di valutazione da parte dell'ufficio del Personale.
Gli errori da parte dell'amministrazione, infatti sono di solito dovuti alla mancanza di conoscenza del
fenomeno del Mobbing e delle sue caratteristiche. La fase precedente, che porta in malattia la vittima, è la
preparazione di questa fase, in quanto sono di solito le sempre più frequenti assenze per malattia ad
insospettire l'Amministrazione del Personale.
5. Aggravamento della situazione psico-somatica: il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione.
Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un
effetto palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi. Conseguentemente,
i provvedimenti presi sono non solo inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col
convincersi di essere essa stessa la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie contro cui nessuno
può nulla, precipitando ancora di più nella depressione
6. Esclusione dal mondo del lavoro: l'uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie,
licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il suicidio, lo sviluppo di manie
ossessive, l'omicidio o la vendetta sul mobber.
Attori del mobbing -> Il mobbizzato: Il tratto tipico del mobbizzato è l´isolamento.
Non esiste una categoria di persone predestinata a diventare una vittima del Mobbing. Tuttavia, possiamo affermare
che ci sono situazioni in cui è più probabile venire mobbizzati. Pensiamo ad una persona in qualche modo diversa
dagli altri: una donna in un ufficio di uomini o viceversa, una persona più qualificata, più giovane, più brava nel lavoro,
oppure il classico caso della persona nuova, magari più qualificata e più giovane, addirittura assunta da subito come
capufficio: senz´altro le possibilità di subire Mobbing sono sicuramente maggiori.
Il mobber: Non dobbiamo stigmatizzare una persona indicandola a dito e accusandola di essere un classico mobber,
non dobbiamo cioè cadere nell´errore di generalizzare il mobber.
Gli spettatori: sono tutte quelle persone, colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale, che non sono
coinvolti direttamente nel Mobbing, ma che in qualche modo vi partecipano, lo percepiscono, lo vivono di riflesso.
La funzione che lo spettatore ricopre all´interno del posto di lavoro ha un´importanza cruciale per lo sviluppo del
mobbing. Mobbing orizzontale: colleghi; mobbing verticale: superiori; mobbing discendente: operato dai superiori
verso i dipendenti; mobbing ascendente: operato verso un capo.
Effetti del mobbing sul lavoro: si creano fazioni che disgregano la comunicazione e frammentano la produttività
della comunità lavorativa con serie ripercussione sull’azienda che rischia di assistere ad un abbassamento
dell’efficienza ed efficacia, della qualità e della quantità del prodotto o del servizio, un clima di generale dissenso e
tensione potenzialmente in grado di offuscare gli obiettivi e le strategie organizzative.
Mobbing strategico: Forma usata prevalentemente per promuovere l’allontanamento di soggetti che non rispondono
più agli obiettivi organizzativi: esubero di personale; personale di gestioni precedenti e diminuzione costo del lavoro.
Mobbing relazionale o emozionale: BOSSING: forma diffusa di mobbing. Nasce tra le singole persone
(capo/collaboratore) per i motivi più diversi: differenze di razza, di cultura e di religione; divergenza di opinioni, stile di
abbigliamento, ecc.; gelosie o rivalse.
Lo straining: situazione di Stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione ostile e
stressante, che ha come conseguenza un effetto negativo costante e permanente nell’ambiente lavorativo. Oltre a
questo, la vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo Straining che viene attuato
appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera discriminante. È una condizione di profondo
disagio lavorativo dovuto a dimensionamenti, privazioni degli strumenti di lavoro, isolamento professionale e
relazionale, trasferimenti illegittimi, etc: Si differenzia dal Mobbing in quanto le azioni ostili che la vittima subisce sono
poche e troppo distanziate nel tempo, spesso addirittura limitate ad una singola azione, come un dimensionamento
o un trasferimento disagevole.
In una situazione di Straining, l'aggressore (che chiameremo logicamente strainer) sottomette la vittima facendola
cadere in una condizione particolare di Stress con effetti a lungo termine.
Tale Stress può derivare dall''isolamento fisico o relazionale o dalla passività ed indifferenza generale nei confronti
della vittima, dalla privazione, dalla riduzione o dall'eccesso del carico lavorativo.
La persona strainizzata può ritrovarsi relegata in una stanza in fondo al corridoio dove nessuno passa o trasferita
nella classica filiale remota dove nessuno vorrebbe mai andare; può essere sottoposta ad un eccessivo carico di
lavoro o comandata a mansioni superiori per cui non ha preparazione adeguata; può venire deprivata nelle sue
mansioni e costretta a incarichi minori ed umilianti, se non addirittura all'inoperosità.
Tutte queste condizioni sarebbero identificabili ad ogni buon conto come Stress Occupazionale, se non fosse per il
particolare, cruciale, che tale trattamento è riservato solo a quel determinato lavoratore (o gruppo di lavoratori.
Lezione 6- La cultura
La CULTURA fa riferimento ai valori, ai simboli, alle credenze che un gruppo sociale condivide e che adotta come
guida per il proprio comportamento. è costituita dai modi di vita dei membri di una società o di un gruppo all’interno di
una società si tratta quindi di elementi APPRESI, sia MATERIALI, sia IMMATERIALI.
La socializzazione è il processo attraverso il quale l’individuo diventa un essere pienamente sociale e si integra, in
modo più o meno completo, in un gruppo o in una comunità più ampia. Essa comprende:
• Una trasmissione intergenerazionale, dalla generazione adulta a quella più giovane, che opera attraverso
istituzioni specifiche (scuola, famiglia ecc.)
• Una formazione personale che trasforma l’individuo in un essere morale, con una propria, specifica, identità.
La prospettiva del condizionamento: intende la socializzazione come un processo top-down, in cui i soggetti
apprendono in maniera piuttosto passiva i valori sociali condivisi (Parsons).
La prospettiva dell’interazione: considera la socializzazione come un processo di adattamento e apprendimento
attivo (Mead). Le agenzie di socializzazione sono la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari e i media.
Socializzazione primaria: avviene durante l’infanzia, principalmente in famiglia.
Socializzazione secondaria: inizia con l’ingresso nel mondo della scuola e in quello del lavoro. Senza cultura, le
persone sarebbero disorientate. Per alcuni autori, la cultura rappresenta un meccanismo di REPRESSIONE (Freud).
Gli elementi che costituiscono una cultura variano nel tempo e nelle società.
SUBCULTURA -> È un insieme di aspetti culturali (credenze, valori, espressioni linguistiche, regole di
comportamento, ruoli sociali, stili di vita, ecc.) creati o quantomeno condivisi da un segmento della società. Gli
appartenenti alla subcultura rispecchiano i tratti essenziali della cultura dominante, mentre se ne differenziano per
altri: CONCETTI: strumenti con cui le persone organizzano la propria esperienza,
RELAZIONI: ogni cultura ha delle credenze rispetto a come i concetti stanno in relazione tra loro nello spazio, nel
tempo, nel significato; VALORI: obiettivi verso cui gli esseri umani dovrebbero tendere; sono condivisi dalla
maggioranza delle persone. Sono idee che definiscono cosa è importante degno e desiderabile. NORME: regole di
comportamento che riflettono e incarnano i valori di una cultura.
Norme tecniche: ciò che facciamo per abitudine o per ragioni tecniche
Norme sociali: i comportamenti che derivano dalle norme sociali vengono sanzionati se disattendono tali norme.
Le norme assumono specificazioni diverse, che possono essere classificate in più di una tipologia;
a) norme d'uso: sono le usanze, le consuetudini, le maniere proprie di una certa società;
b) norme di costume: sono norme che si riferiscono a situazioni di maggiore rilevanza sociale come la
condotta pubblica e privata di un individuo.
c) norme morali: specificazione delle precedenti, sono le norme di costume più prossime ai valori fondamentali
che orientano i membri di un sistema sociale;
d) norme di diritto; sono le norme giuridiche
e) norme tecniche sono le norme che intendono regolare le attività produttive ed espressive di carattere
ricorrente, allo scopo di ottimizzare sia l'utilizzo delle risorse necessarie sia il risultato finale.
La cultura è al centro degli interessi di tre tradizioni della sociologia classica: La scuola di Chicago; La scuola francese
di sociologia; La tradizione tedesca.
Gli autori legati alla Scuola di Chicago:
• - sono interessati alla vita culturale nelle città americane
• - studiano i nuovi processi di integrazione, di comunicazione e mobilità sociale delle realtà urbane
• - subiscono molto l’influenza dell’antropologia culturale.
William Thomas (1863-1947) studia gli immigrati nelle città statunitensi e ritiene che:
- le differenze di integrazione siano legate alla cultura
- la cultura abbia un carattere interattivo e processuale.
Thomas delinea la teoria dell’uomo marginale che sarà poi approfondita da Park
L’uomo marginale sperimenta un’incongruenza tra il sistema culturale della comunità da cui proviene e quello della
società di arrivo vivendolo come una duplice perdita:
• di status, ossia di riconoscimento da parte del suo gruppo,
• e di senso del proprio sé, ossia di riconoscimento del suo ruolo all’interno del gruppo.
Robert Park:
- accentua gli aspetti conflittuali legati alla diversità culturale:
- applica il metodo etnografico, per studiare le zone e i quartieri in cui si articola una città (i vicinati).
La multidimensionalità è la molteplicità dei parametri (analitici e funzionali) occorrenti a precisarne i significati, e
pongono l'accento su diverse dimensioni.
a) La dimensione soggettiva: i modi di pensare, sentire, credere dell'individuo e che ne caratterizzano la
personalità e il comportamento.
b) La dimensione oggettiva: l'idea che la cultura esiste al di là dell’individuo, lo precede e lo supera come
maniera d’essere collettiva, eredità sociale, deposito del sapere.
c) La dimensione di riduzione della complessità: di fronte all’infinita complessità della realtà e alla sua
indeterminatezza la cultura, fornendoci le risorse necessarie,
d) La dimensione cognitiva: in quanto definisce e spiega la realtà la cultura consente di acquisire informazioni e
conoscenze, di stabilire modelli di pensiero in grado di soddisfare l’esigenza dell’essere umano di dare forma e
significato al mondo.
e) La dimensione prescrittiva: perché la cultura assolve il compito di regolazione dei rapporti tra i membri di una
determinata collettività. Così valori e norme orientano il modo in cui gli individui e le collettività agiscono, rendendo
prevedibile e integrabile il loro comportamento affinché sia possibile l'instaurarsi di un ordine sociale, qualunque
esso sia.
Tutte le dimensioni proposte sono nella realtà sociale strettamente intrecciate e trovano legittimità proprio nella loro
stretta dipendenza. Poiché però ogni modello culturale non è universale è facile registrare delle turbative, che
rendono difficile accettare la diversità.
L'interazione fra le culture, che provoca un mutamento culturale, sta diventando una costante in vari ambiti.
Tale fenomeno è definibile come acculturazione, cioè come accostamento fra culture che si misurano fra loro con
modalità diversificate (rispetto reciproco; tentativi di integrazione come per esempio quelli statunitensi chiamati
melting pot, cioè "contenitore di fusione", che crea amalgama ed assimilazione, e salad bowl, cioè "insalatiera", in
cui vari elementi sono presenti ma non del tutto uniti; assimilazione più o meno graduale ecc.).
Il concetto di inculturazione - che si riferisce al processo, consapevole o meno, in cui un individuo subisce
l'influenza della sua cultura di appartenenza è ancora più carico di grossolani travisamenti, se possibile, di quello di
cultura. L'inculturazione è diversa dall'acculturazione. Si parla di inculturazione quando si tratta di trasmettere un
modello culturale da una generazione a quella successiva mediante la socializzazione (soprattutto primaria in
famiglia e poi secondaria in società).
L'uso del termine subcultura non implica di per sé il conflitto con la cultura dominante, può esserne semplicemente
una variante differenziata o specializzata oppure un elemento storicamente costitutivo ma quando una subcultura
incorpora nella quasi totalità elementi che si presentano o vengono percepiti come radicalmente opposti alla
cultura che li ospita, si tende a chiamarla controcultura, intesa come rifiuto etico-comportamentale dell'insieme
dei valori e delle norme dominanti.
Si parla di cultura sostitutiva se ci si riferisce a elementi culturali che possono, nel tempo, diventare obsoleti ed
essere quindi sostituiti da elementi nuovi che li superano in efficacia o utilità oppure valore.
Si parla, invece, di cultura non sostitutiva quando ci si riferisce a elementi culturali - quali le lingue, la musica, la
religione, la filosofia che non subiscono processi di 'invecchiamento in quanto non possono essere messi in disuso.
Cultura implicita/cultura esplicita: Gli elementi culturali appresi senza intenzione consapevole da parte
dell'individuo che impara possono essere classificati come impliciti.
Cultura materiale/cultura non materiale
Un ulteriore, semplice modo per suddividere i componenti della cultura è quello di distinguere tra cultura materiale e
cultura non materiale. Possiamo classificare come cultura materiale gli oggetti, le cose, i manufatti prodotti dagli
esseri umani e cioè i mezzi di produzione, le monete, le armi, gli abiti, i mobili per la casa. A questi si possono
contrapporre i significati, i valori, i simboli, le norme, i linguaggi, le scienze, la musica, la religione, l'arte, la letteratura,
tutti prodotti umani non materiali.
Anche la cosiddetta «cultura materiale», dalla moda al consumo alle tecniche del corpo, rientra nella cultura in
quanto gli oggetti «materiali» veicolano significati «immateriali», ossia rappresentano qualcosa (norme, credenze,
giudizi morali o estetici) che va oltre l'utilità pratica che l'oggetto stesso riveste per l'individuo.
Punk per il vestirsi di nero, pettinarsi in fogge strane, con creste di vari colori, è un simbolo di appartenenza che
veicola un'idea di ribellione e di non conformismo. Douglas e Isherwood affermano a proposito del consumo:
Il consumo è il campo in cui viene combattuta la battaglia per definire la cultura e darle una forma. Sono tutte scelte
che esprimono e creano la cultura nel suo senso più generale. In ultima analisi, esse sono giudizi morali su che
cosa è un uomo o una donna, come si dovrebbero trattare i genitori anziani: quale contributo si dovrebbe dare ai
propri figli e figlie all’inizio della vita adulta, come si dovrebbe vivere la propria vecchiaia.
Capitolo 7: la famiglia
La famiglia è la prima e più immediata forma di associazione. Non esiste la famiglia in senso assoluto, esistono
diversi tipi di organizzazione familiare, a seconda delle civiltà e dei contesti storici specifici.
- La famiglia è un gruppo di persone direttamente legate da rapporti di parentela, all’interno del quale i membri adulti
hanno la responsabilità di allevare i bambini.
- La parentela è un sistema di rapporti fondati sulla discendenza tra consanguinei (nonni, genitori, figli ecc.) o sul
matrimonio.
- Il matrimonio è l’unione sessuale socialmente riconosciuta e approvata tra due individui adulti.
Nonostante la variabilità dovuta ai fattori socioculturali, la famiglia si caratterizza per l'organizzazione universale delle
sue relazioni, basate da un lato sulla differenza di genere, che ritroviamo nella relazione coniugale, e dall' altro sulla
differenza generazionale, che osserviamo nella relazione genitoriale.
L'intimità e l'intergenerazionalità sono gli aspetti fondamentali della famiglia che la rendono un gruppo sociale
particolare. Quindi la famiglia è un insieme di persone legate tra loro per discendenza, matrimonio/convivenza e
adozione.
L'antropologia culturale è lo studio delle espressioni culturali e sociali dell'uomo nei diversi gruppi etnici. Ha
affrontato la tematica della famiglia principalmente rifacendosi al concetto di parentela.
La famiglia, secondo gli antropologi, è l'istituzione fondante della società e le sue funzioni sono essenzialmente
l'allevamento dei figli e la regolamentazione delle relazioni sessuali.
Dal punto di vista antropologico, la famiglia si mostra sensibile alle influenze culturali della società da cui deriva e
nella quale è inserita.
Il legame matrimoniale che è alla base della famiglia può assumere forme differenti: si parla così di monogamia, di
poliginia (unione tra un uomo e più donne), di poliandria (unione tra una donna e più uomini) e di matrimonio di
gruppo (unione tra più uomini e più donne).
L'adozione, da parte di un popolo, di un modello matrimoniale piuttosto che di un altro dipende da variabili
economiche, geografiche, storiche e sociali, e condiziona anche alcuni aspetti strutturali del sistema di parentela, tra
cui il riconoscimento della discendenza.
Così, la matrilinearità costituisce un sistema di parentela nel quale i figli appartengono alla linea materna della
famiglia e l'autorità su di essi è detenuta dal fratello della madre; la patrilinearità, invece, prevede che la
responsabilità e la potestà sulla prole sia affidata alla linea paterna della famiglia, che fornisce anche il cognome.
Funzioni essenziali proprie della famiglia: Provvedere alle necessità, biologiche, psicologiche ed educative;
Sviluppare le capacità necessarie per vivere le relazioni sociali; Sostenere lo sviluppo delle capacità utili per affrontare
le avversità e i conflitti; Promuovere la trasmissione di valori, norme, esperienze; Assicurare funzione di riproduzione
economica e controllo della spesa.
La famiglia occidentale moderna i sociologi classici, da Durkheim a Toennies, sostenevano che l’industrializzazione
avesse provocato la scomparsa della famiglia tradizionale, con più unita conviventi, e l’affermarsi generalizzato della
famiglia nucleare. Questa descrizione della famiglia moderna è stata messa in discussione radicalmente dalle
ricerche condotte in Europa a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Emerge che non si può considerare
l’industrializzazione come lo spartiacque tra la famiglia tradizionale e quella moderna.
La famiglia nucleare: Uno degli aspetti fondamentali della storia della famiglia è il passaggio dalla famiglia
complessa alla famiglia nucleare, il cosiddetto processo di nuclearizzazione.
Secondo la teoria di Le Play di fine Ottocento, questo processo ha avuto la sua origine e causa dal regime
successorio, dall’industrializzazione e dalla urbanizzazione.
Egli distingueva tre tipi di famiglia:
- la famiglia patriarcale, dove i figli sposati coabitavano con i genitori;
- la famiglia instabile, in cui i figli ad una certa età andavano a risiedere al di fuori della casa paterna;
- la famiglia ceppo, in cui un solo figlio maschio, stabilito dal padre, dopo il matrimonio continuava a coabitare
con la famiglia di origine.
Questa teoria è stata messa in crisi dalle ricerche di Peter Laslett che ha condotto uno studio su un centinaio di
comunità inglesi del periodo che va dal 1574 al 1821.Tra gli elementi emersi, uno dei fondamentali è stato che il
numero dei componenti della famiglia, come pure la struttura familiare, è rimasto pressoché costante.
Laslett ha classificato le famiglie nel seguente modo:
- semplice o nucleare: famiglia con un’unica unità coniugale, che può essere completa o incompleta nel caso di
vedovo o vedova con figli.
- estesa: famiglie aventi una sola unità coniugale, con cui convivono uno o più parenti nel caso in cui il capofamiglia
sia il padre, viene definita verticale, se invece è il fratello viene denominata orizzontale
- multipla: famiglie con due o più unità coniugali; sarà verticale se sono presenti, ad esempio, il padre, la madre e il
figlio con la moglie; orizzontale nel caso in cui le due unità coniugali siano formate da due o più fratelli con le rispettive
mogli
- senza struttura: famiglie senza un’unità coniugale, dove convivono individui con altri rapporti di parentela o amicizia -
- solitario: dove c’è un unico componente
- complesse: quando si considerano le estese e le multiple insieme
Secondo Laslett, il passaggio da famiglia complessa a famiglia nucleare si è verificato molto prima del processo di
industrializzazione. Queste tesi, pubblicate negli anni Settanta, oltre ad aver avuto un grande successo, hanno anche
suscitato molte critiche. Siamo abituati ad associare la FAMIGLIA al MATRIMONIO ma oggi questo accostamento è
messo profondamente in crisi dalla presa di coscienza dell’esistenza di diversi tipi di matrimonio: MONOGAMICO e
POLIGAMICO. Inoltre il matrimonio può essere: ENDOGAMICO (stessa razza. cultura, lingua, religione, classe
sociale, livello d’istruzione...) o ESOGAMICO (unione tra esseri umani che hanno poche caratteristiche in comune
Oggi la FAMIGLIA si distingue sempre più dal MATRIMONIO
Il nostro tempo è quello della DEISTITUZIONALIZZAZIONE del MATRIMONIO provocata da 4 fattori
A) Aumento esponenziale del numero delle convivenze
B) Crescita numerica molto consistente del numero delle separazioni e dei divorzi
C) Decrescita del numero dei matrimoni religiosi
D) Aumento della pressione sociale a favore delle unioni tra omosessuali
In questo tempo la GIOSTRA DI RELAZIONI nella quale è catapultata la vita di ciascuno di noi pone il nostro essere
in una situazione esistenziale sinonimo di disagio piuttosto che di arricchimento.
La società liquida, così caratterizzata da flessibilità occupazionale e relazionale, precarietà economica, scarsa
significatività istituzionale GENERA Incapacità progettuale negli individui che sono centrati su se stessi, e sono
spesso protesi alla propria soddisfazione senza andare oltre e guardare all’altro/a come a qualcuno con il quale
costruire felicità condivisa. Cresce il numero dei SINGLE per scelta e non per “caso”. Sono tanti coloro che si
ritengono soddisfatti dall’occasionalità di incontri che non lasciano il segno e sono sempre più numerosi (siamo a
livelli epidemici) gli uomini e le donne che si relazionano solo attraverso social network impedendosi così di vivere
rapporti ben più appaganti. E’ in netta crescita anche il numero di coloro che compongono coppie che vivono
separate.
Appare un “nonsenso” ma sono sempre più numerosi coloro che possono definirsi parte di una coppia pur
conservando residenze distinte e non sentono l’esigenza di vivere insieme se non per periodi definiti
A ciascuno è consentito di conservare grandi spazi di autonomia che altrimenti sarebbero stati sacrificati
Da questo rappresentazione dell’oggi scaturisce un quadro che possiamo semplificare in 4 idealtipi di famiglia:
1. Famiglia nucleare tradizionale
2. Famiglia monoparentale
3. Famiglia ricostituita
4. Famiglia ricomposta
LA FAMIGLIA NUCLEARE TRADIZIONALE: È quella composta da marito, moglie e uno o più figli che vivono sotto lo
stesso tetto e che condividono, in linea di massima, le risorse economiche.
Questa tipologia resta ancora quella numericamente più consistente in Italia nonostante la consistenza del suo
primato si stia inesorabilmente assottigliando
LA FAMIGLIA MONOPARENTALE: quella che si costituisce in seguito alla rottura di un matrimonio con
l’allontanamento dalla casa coniugale di uno dei due coniugi (generalmente il marito).
LE FAMIGLIE RICOSTITUITE: Consistono di due adulti che sono sposati o conviventi, almeno uno dei quali ha uno o
più figli che vivono con loro e che provengono da un matrimonio o una convivenza precedente
LE FAMIGLIE RICOMPOSTE: Sono quelle in cui i due adulti sposati o conviventi generano nuovi figli che vivranno
con loro insieme ai figli provenienti dalle loro precedenti relazioni
Ciascuno di questi idealtipi di famiglia sperimenta al suo interno la dimensione del conflitto che non è
necessariamente da leggersi in chiave negativa dal momento che questo facilita la costruzione dell’identità e la
maturazione psicosociale degli individui.
Alla base del conflitto in famiglia possono esserci:
- l’assenza di comunicazione tra i suoi componenti
- una comunicazione non efficace tra di essi
- un’incapacità di gestione delle emozioni e dei propri bisogni
- preoccupazioni di natura economica
- necessità di “evasione” da un contesto reputato oppressivo
Gli esiti del conflitto sono di vario tipo:
1) Uno dei contendenti cede il passo
2) Si trova un compromesso
3) Si cerca una mediazione attraverso un “terzo”
4) Uno dei contendenti “fugge” e vive la famiglia nel disimpegno
5) Incapacità nel gestire il carico emozionale e comparsa della violenza (verbale, psicologica, fisica)
Il conflitto violento in famiglia va analizzato in maniera distinta se contestualizzato nella relazione genitori-figli o in
quella tra gli stessi genitori. Ad ogni modo, in entrambe le situazioni parliamo di VIOLENZA DOMESTICA
Lo studio della famiglia e della vita familiare è stato affrontato in maniera difforme da sociologi di scuole diverse.
Le principali interpretazioni teoriche della famiglia sono:
approccio funzionalista: la famiglia svolge compiti che contribuiscono a soddisfare i bisogni fondamentali della
società e a preservare l’ordine sociale;
approccio femminista: contesta la visione della famiglia come regno dell’armonia e dell’uguaglianza;
nuove prospettive: pongono attenzione alle recenti trasformazioni della famiglia.
L’approccio funzionalista: T. Parsons Le due principali funzioni della famiglia sono: socializzazione primaria
processo attraverso cui i bambini apprendono le norme culturali della società in cui nascono.
stabilizzazione della personalità ruolo svolto dalla famiglia nel fornire supporto emotivo ai suoi membri.
La famiglia nucleare è la struttura meglio equipaggiata per affrontare le richieste della società industriale: il marito può
lavorare fuori casa (ruolo strumentale di male breadwinner), mentre la moglie (ruolo affettivo) si occupa della casa e
dei figli. L’approccio femminista rivolge l’attenzione all’interno delle famiglie, per esaminare le esperienze delle donne
nella sfera domestica. Nella famiglia si riscontrano squilibri di potere e disparità di vantaggi. I principali argomenti
trattati da questo approccio sono:
- la divisione domestica del lavoro;- la disuguaglianza dei rapporti di potere;- le attività di cura e il “lavoro emotivo”.
Capitolo 8: Il turismo
Il turismo in senso stretto è l'insieme delle relazioni che nascono in seguito allo spostamento temporaneo di persone.
Oggi, questo fenomeno si presenta alquanto articolato e proprio da queste relazioni scaturiscono una serie di aspetti,
che lo contraddistinguono:
IL TERMINE TURISMO DERIVA DA GRAND TOUR, IL VIAGGIO INTRAPRESO, INTORNO AL DICIASSETTESIMO
SECOLO, PER MOTIVI CULTURALI DA ARISTOCRATICI, SOPRATTUTTO BRITANNICI, ATTRAVERSO I
PRINCIPALI PAESI EUROPEI. Da quel momento quote crescenti della popolazione intraprendono viaggi per le
maggiori città europee alla ricerca di nuove conoscenze, relazioni sociali, esperienze formative.
In questo modo, le famiglie cercavano di formare i propri figli al superamento
delle difficoltà della vita. I flussi originati dal Grand Tour spostavano singoli, famiglie e interi rami parentali da un
paese all’altro, ponendo le basi per scambi di ordine economico, politico, culturale e anche biologico/genetico
Il Turismo di massa trova le sue motivazioni nel Grand Tour, nel 1845 Thomas Cook organizza i primi viaggi in
treno e le prime vacanze di gruppo aperte ai ceti medi, e, in seguito anche agli operai, rendendo accessibile a tutti un
periodo di turismo perché economico.
Nella stessa scia si pone l’organizzazione fascista dei dopolavori e delle colonie estive (nel 1925).
Negli anni Sessanta, con l’organizzazione dei turisti, si dà vita a ciò che chiamiamo turismo di massa.
La branca della Sociologia che studia il fenomeno turistico prende il nome di sociologia del turismo.
Avvalendosi del metodo della ricerca scientifica, dell’analisi e dell'interpretazione dei fatti, anche con l'impiego
dell'indagine statistica, la Sociologia è in grado di affrontare, capire e spiegare la motivazione, il ruolo e le relazioni
sociali dei turisti; la struttura e la dinamica del sistema turistico, le istituzioni turistiche, l’incidenza del turismo sociale;
La sociologia del turismo ha origine negli anni Trenta con l’analisi del «movimento dei forestieri».
Veniva individuato il crescente flusso di viaggiatori/turisti che incominciavano a circolare per le diverse città e nazioni
agli inizi del Novecento.
L’esperienza turistica si basa su alcune formidabili esigenze: di uscire dalla routine del quotidiano; di rompere la trama
del vissuto faticoso e non sempre gratificante del lavoro e degli impegni di sperimentare nuovi stili di vita, nuovi
contenuti culturali, nuove regole relazionali
Cohen: caratteristica fondamentale del turismo di massa del secondo dopoguerra è quella di fare rimanere i
viaggiatori nella loro bolla ambientale trasferendo altrove la sicurezza degli schemi culturali di origine. In questo modo,
i turisti non entrano in contatto con le culture, i modi di vita, gli schemi mentali dei residenti, bensì rimangono nel luogo
turistico per il tempo della vacanza accontentandosi di vedere la facciata della vita del posto da visitare.
Falsa autenticità organizzata dai tour operator: accontenta i turistici di massa organizzati che, durante la visita
cercano di vedere il più possibile ma nel minore tempo possibile, e alla fine portano a casa i souvenirs necessari per
dimostrare che si è stati lì. Su questo punto Mac Cannell dice che il turista può essere soddisfatto ad uno dei
seguenti livelli di contatto con la realtà con la quale si incontra:
stage 1: corrisponde a quello che Goffman chiama palcoscenico, ed è ciò che il turista tenta di oltrepassare.
stage 2: è un palcoscenico fatto per i turisti che è stato allestito per sembrare, in alcuni dei suoi particolari, un
retroscena.
stage 3: è un palcoscenico completamente organizzato in modo da apparire come un retroscena,
stage 4: un retroscena aperto agli spettatori esterni
stage 5: un retroscena che può essere stato un po' ripulito o ritoccato, perché ogni tanto ai turisti sia consentito di
darvi un'occhiata
stage 6: è quello che per Goffman è il retroscena; il tipo di spazio sociale che dà un senso alla consapevolezza
turistica
Cohen: -turisti che viaggiano soltanto per andare in vacanza, per evadere dalla realtà, ma hanno l’obiettivo di
ritornare nella situazione originaria (turismo ricreativo) dove la ricerca dell’autenticità non esiste, e ci si accontenta di
una gratificante e poco destabilizzante front region;
-turisti che cercano esperienze di nuove realtà, perché insoddisfatti della propria di origine (turismo di evasione),
dove il turista cerca di rendere sopportabile l’alienazione della sua vita quotidiana, senza la speranza di trovare in un
altrove i significati giusti per costruire un nuovo centro di valori vitali;
-turisti che cercano disperatamente nuove esperienze senza fermarsi in alcuna di esse, perché sono più attratti dalla
quantità delle novità che dall’approfondimento di una o poche di esse. Qui si possono avere due modelli di turismo:
turismo esperienziale: esperienza estetica: si viaggia alla ricerca di significati in un altrove diverso dal proprio mondo
vitale quotidiano;
turismo sperimentale: turisti che non aderiscono più ai valori della propria civiltà, e che si impegnano attivamente
nelle situazioni di autenticità che trovano lungo il proprio viaggiare
-turisti che cercano il proprio centro di significati in luoghi e in culture diverse da quella di appartenenza, ma sanno
cosa cercano, e provano a trovarlo altrove (turismo esistenziale)
Aspetti del turismo: Aspetto ricreativo: evasione dal luogo abituale di residenza e di lavoro a fini di svago; Aspetto
culturale: scoperta di nuovi luoghi e conoscenza di nuove persone. Aspetto sociale: inteso come modificazioni
apportate dal turismo nei luoghi e nelle persone. Aspetto economico: inteso come trasferimento di reddito dal luogo di
origine a quello di destinazione. Aspetto giuridico: inteso come rapporti tra e con gli operatori turistici e con le autorità
locali. Aspetto tecnico: inteso come modalità di accoglimento, sistemazione, fornitura, di beni e servizi ai turisti e ciò
implica anche il discorso della professionalità degli operatori turistici.
Elementi del turismo: Al fine di mettere le basi per una analisi del turismo è possibile classificare il turismo in
funzione dei suoi principali elementi:
Scopo del trasferimento: -turismo di cura: già il più noto nel secolo scorso, era il soggiorno presso località termali,
oggi vi si aggiunge il soggiorno presso case di cura, alberghi per cure di bellezza, trattamenti di relax.. In questo caso,
accanto alla richiesta di cure terapeutiche e assimilate, vi è la richiesta di intrattenimenti, manifestazioni culturali
-turismo ricreativo: soggiorno al mare, presso località termali. in montagna, in località ove si possono praticare il
naturismo e l'agriturismo, ma anche la visita ed il soggiorno in località di interesse prettamente culturale, località in cui
si svolgono festiva, mostre, manifestazioni culturali di interesse nazionale e/o Internazionale, fino al viaggio
organizzato con visita e soggiorno in località diverse.
-turismo religioso: è una delle forme più antiche di turismo; riguarda non soltanto la visita di particolari località legate
al culto, ma anche la partecipazione a determinate solennità religiose (in Italia, esempio è l'Anno Santo);
-turismo sportivo: riguarda coloro che soggiornano in determinate località allo scopo di assistere a particolari
manifestazioni sportive; l'aspetto turistico è la visita di località che probabilmente non sarebbero state prescelte per
altri motivi al di fuori dello sport;
-turismo d'affari e congressuale: riguarda coloro che si recano e soggiornano in determinate località allo scopo di
concludere affari, partecipare a congressi, convegni, seminari; l'aspetto turistico è l'uso del tempo libero (rispetto alla
conclusione di un affare, alla partecipazione al congresso) per visitare i luoghi in cui queste persone vengono a
trovarsi;
-turismo sociale: lo scopo è di consentire viaggi o soggiorni a persone che non hanno i mezzi per farli, o che
comunque si vogliono aiutare economicamente; è finanziato solitamente da enti pubblici locali, associazioni ed enti di
beneficenza privati.
-turismo scolastico: riguarda propriamente viaggi e soggiorni organizzati dalle scuole di ogni ordine e grado, a scopo
culturale,
Per destinazione: -turismo nazionale: il viaggio e il soggiorno è circoscritto all'interno della nazione considerata -
turismo internazionale: il viaggio e il soggiorno avvengono in una nazione diversa da quella di appartenenza. E' qui
interessante osservare il deflusso e l'afflusso di valuta estera: dal paese di origine a quello di destinazione;
Per durata: -turismo di breve durata: viaggi e soggiorni in determinate località in occasione del week-end dei "ponti",
delle festività natalizie e pasquali. Rientrano in questa categoria anche le cosiddette escursioni, cioè le visite
effettuate nell'ambito di una sola giornata, senza pernottamento;
-turismo di lunga durata: viaggi e soggiorni in determinate località, in occasione del periodo di ferie. Vi rientrano anche
coloro che soggiornano per lunghi periodi, nel corso dell’intero anno, in certe località, perché li possiedono la
cosiddetta “seconda casa”;
Per modalità: -viaggi e soggiorni individuali: sono quelli effettuati e organizzati dagli individui, dalle famiglie;
-viaggi e soggiorni collettivi: sono quelli organizzati da agenzie di viaggi, da enti pubblici e privati
-con mezzi di trasporto individuali: sono i viaggi effettuati con l'automobile, la moto, la bicicletta, ma anche in voga
negli ultimi anni con imbarcazioni da diporto;
-con mezzi di trasporto collettivi: sono i viaggi effettuati con il treno, la nave, l'aereo, cioè con mezzi di trasporto gestiti
da imprese di trasporto pubbliche o private.
Capitolo 9: Migrazioni
La razza è un insieme di relazioni sociali che permette di classificare individui e gruppi, assegnando loro attributi o
competenze sulla base di caratteristiche biologiche.
La razzializzazione è il processo in base al quale il concetto di razza viene usato per classificare individui o gruppi.
L’etnia si riferisce ai tratti culturali che contraddistinguono una determinata comunità di persone le differenze etniche
sono completamente apprese. I principali fattori che distinguono un gruppo etnico sono: la lingua, la storia, la stirpe, la
religione, le usanze, l’alimentazione, l’abbigliamento, gli ornamenti.
L’etnia è un attributo di tutti gli individui che compongono una popolazione, ma solitamente l’etnia è associata alle
minoranze. I membri di una minoranza etnica (o di un gruppo minoritario) sono svantaggiati rispetto alla maggioranza
della popolazione e condividono un senso di solidarietà e di appartenenza comune.
Il termine ‘minoranza’ ha un significato non solo quantitativo, ma anche e soprattutto qualitativo esso indica la
posizione subordinata di un gruppo all’interno della società, piuttosto che la sua consistenza quantitativa.
I pregiudizi sono opinioni e atteggiamenti preconcetti dei membri di un dato gruppo verso gli appartenenti a un altro
gruppo, dettati dal ‘sentito dire’, piuttosto che dall’esperienza diretta e faticano a cambiare anche di fronte a nuovi
elementi di informazione.
I pregiudizi spesso di fondano sugli stereotipi (caratterizzazioni rigide e tendenzialmente immutabili di un gruppo).
Gli stereotipi possono contenere un fondo di verità (condito di esagerazioni) o derivare da un meccanismo di
dislocamento. Sentimenti di ostilità o di rabbia vengono diretti verso oggetti che non sono la reale fonte della tensione
(capro espiatorio).
La discriminazione riguarda comportamenti effettivi verso i membri di un determinato gruppo, che li escludono da
opportunità riservate ad altri. Il pregiudizio è spesso il presupposto della discriminazione, ma i due fenomeni possono
anche verificarsi separatamente: ci può essere pregiudizio senza discriminazione e ci può essere discriminazione
senza pregiudizio
Il razzismo è la credenza che certi individui siano superiori ad altri sulla base di differenze razzializzate.
Alcune esperienze di socializzazione sollecitano gli individui a usare il meccanismo della proiezione: inconscia
attribuzione ad altri di propri desideri o caratteristiche. Evidenziano i processi sociali che danno vita alle concrete
forme di discriminazione e utilizzano i concetti di:
- etnocentrismo: diffidenza verso i membri di altre culture, giudicate nei termini della propria e della sua presunta
‘superiorità’;
- chiusura di gruppo: processi attraverso i quali un gruppo preserva i confini che lo separano da altri gruppi
meccanismi di ‘esclusione’;
- allocazione differenziale delle risorse: distribuzione diseguale dei beni materiali l’intensità del conflitto etnico è
massima.
I modelli di integrazione etnica prevalentemente adottati nelle società multietniche sono:
- l’assimiliazione: prevede l’abbandono di usi e costumi tradizionali da parte degli immigrati e la loro adesione ai
valori e alle norme della maggioranza;
- il crogiolo (o melting pot): si cerca di mescolare le diverse tradizioni in nuove forme capaci di rielaborare i modelli
culturali esistenti;
- il pluralismo culturale: promuove lo sviluppo di una società genuinamente pluralistica, nella quale è riconosciuta
uguale dignità alle diverse subculture.
Oggi, molti dei conflitti che infestano il globo sono basati su divisioni etniche e nel corso di questi conflitti si verificano
tentativi di:
- pulizia etnica: creazione di aree etnicamente omogenee attraverso l’espulsione forzata delle altre etnie;
- genocidio: eliminazione sistematica di un gruppo etnico da parte di un altro.
Le migrazioni (o movimenti migratori) si compongono di due processi:
-Immigrazione: Afflusso in un paese di persone che hanno abbandonato altri paesi.
-Emigrazione: L’uscita da un paese di persone che intendono stabilirsi in altri paesi.
I movimenti migratori: accentuano la diversità etnica e culturale di una società e contribuiscono a determinare la
dinamica demografica, economica e sociale.
Gli studiosi hanno identificato quattro modelli migratori:
- modello classico: l’immigrazione è largamente incoraggiata e la promessa della cittadinanza è estesa a tutti i nuovi
venuti (es. Canada, Usa e Australia);
- modello coloniale: favorisce l’immigrazione dalle ex colonie (es. Francia e Gran Bretagna);
- modello dei ‘lavoratori ospiti’: prevede l’immigrazione su base temporanea, per rispondere a richieste del mercato
del lavoro, ma non la concessione dei diritti di cittadinanza (es. Germania, Svizzera e Belgio);
- modelli illegali: ingresso illegale di immigrati in un paese.
Le prime teorie delle migrazioni si sono concentrate su:
- fattori di push (spinta): problemi interni al paese d’origine (es. guerre, carestie, oppressione politica) che spingono
le persone all’emigrazione;
- fattori di pull (attrazione): caratteristiche dei paesi di destinazione (es. lavoro, libertà) che attirano gli immigrati.
Oggi gli studiosi delle migrazioni adottano un approccio ‘sistemico’ i modelli migratori globali sono considerati ‘sistemi’
prodotti da interazioni tra processi macro e micro.
Le principali tendenze capaci di caratterizzare i modelli migratori dei prossimi anni sono:
- accelerazione: aumenta il numero di migranti da un paese all’altro;
- diversificazione: molti paesi sono destinatari di un’immigrazione più diversificata che in passato;
- globalizzazione: le migrazioni assumono un carattere sempre più globale;
- femminilizzazione: aumento dell’emigrazione femminile legata ai cambiamenti del mercato del lavoro globale.
Diaspora: processo per cui un’etnia abbandona il luogo di insediamento originario per disperdersi in altri paesi,
spesso sotto costrizione o a causa di circostanze traumatiche.
A seconda delle forze propulsive che determinano la dispersione di una popolazione, Cohen distingue cinque
categorie di diaspore:
- di vittime (africani, ebrei e armeni);
- imperiale (britannici);
- di lavoratori (indiani);
- di commercianti (cinesi);
- culturale (caraibici).
Qualsiasi tipo di diaspora deve soddisfare i seguenti criteri:
- trasferimento, forzato o volontario, da una patria di origine a uno o più nuovi paesi;
- ricordo comune della patria di origine, impegno per la sua preservazione e speranza di tornarvi;
- senso di identità etnica più forte del tempo e delle distanze;
- senso di solidarietà verso i membri dello stesso gruppo etnico che vivono nell’area della diaspora;
- tensione nei confronti delle società ospiti;
- capacità di apportare un contributo creativo al pluralismo delle società ospiti.
Le migrazioni del XX secolo hanno trasformato il volto di molti paesi europei e si possono distinguere alcune fasi:
1-primi due decenni del secondo dopoguerra: i paesi mediterranei prestavano a quelli nord-occidentali manodopera a
buon mercato;
2- esaurimento del boom economico: rallentamento dell’immigrazione di lavoratori verso l’Europa occidentale;
3- caduta del muro di Berlino (1989): nuove migrazioni a seguito dell’apertura delle frontiere fra est e ovest;
4- guerra nella ex Jugoslavia: esodo di 5 milioni di rifugiati verso altri paesi europei.
L’immigrazione da paesi extra-Ue è oggi una delle questioni più pressanti dell’agenda politica di molti Stati dell’Unione
europea. I paesi che hanno aderito agli accordi di Schengen consentono il libero ingresso dagli altri paesi firmatari. Gli
immigrati irregolari che riescono a entrare in uno qualsiasi dei paesi aderenti possono poi muoversi senza
impedimenti in tutto lo spazio di Schengen. Oggi la maggior parte dei paesi dell’Ue limita fortemente l’immigrazione
legale gli episodi di immigrazione irregolare tendono a moltiplicarsi.
Il migrante è una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel
paese da più di un anno.
La definizione include tre elementi:
a) Attraversamento di un confine nazionale e lo spostamento in un altro paese.
b) Questo paese è diverso da quello in cui il soggetto è nato o ha vissuto abitualmente nel periodo precedente il
trasferimento.
c) Permanenza prolungata nel nuovo paese fissata convenzionalmente in un anno.
Migrazioni interne e migrazioni internazionali
• La migrazione costituisce innanzitutto una forma di mobilità territoriale.
• Una prima e fondamentale distinzione è quella tra migrazioni interne e migrazioni internazionali.
• Le prime derivano dalla cosiddetta mobilità interna, ossia da movimenti di popolazione entro i confini dello Stato.
• Le seconde, dalla mobilità internazionale.
Le migrazioni interne sono di norma libere, mentre quelle internazionali sono quasi sempre soggette a limitazioni,
ossia a una regolamentazione:
Si parla di politiche migratorie, un concetto che chiama in causa la prerogativa statale di decidere unilateralmente chi
può essere ammesso a risiedere e lavorare sul proprio territorio.
Le migrazioni internazionali, hanno in genere un effetto più traumatico, sia per il migrante, che si trova a vivere da
straniero in un paese straniero, a volte senza nemmeno padroneggiare la lingua, sia per la società ospite, che subisce
per questa via una trasformazione della sua composizione etnica. Esse sono spesso precedute da migrazioni interne,
in genere dall'ambiente rurale a una grande città, in cui è più facile stabilire i contatti utili a progettare l'emigrazione.
Dall'esistenza di norme giuridiche che limitano la mobilità internazionale deriva altre fondamentali distinzioni:
• I migranti regolari sono non-cittadini che sono stati autorizzati dall'ordinamento giuridico del paese in cui si trovano
ad entrarvi, risiedervi ed eventualmente lavorarvi;
• gli irregolari sono coloro che entrano, risiedono e/o lavorano in un paese senza esserne stati autorizzati.
- migrante clandestino è colui che attraversa i confini di uno Stato eludendo i controlli alle frontiere, per esempio
viaggiando nascosto dentro un container, oppure utilizzando dei documenti contraffatti.
Per arginare il fenomeno delle migrazioni clandestine, cresciuto enormemente negli ultimi decenni, i governi hanno
messo in campo una serie di misure di contrasto. La migrazione clandestina non è la principale responsabile della
migrazione irregolare. Gran parte dei migranti irregolari che risiedono nel nostro come in altri paesi hanno in realtà
varcato legalmente le frontiere, approfittando della possibilità di entrare senza dovere procurarsi un visto d'ingresso,
oppure esibendo un permesso per motivi turistici. Dopo qualche tempo, però, non possedendo un regolare permesso
di soggiorno si «trasformano» in irregolari, e qualora fossero fermati per un controllo da parte delle forze dell'ordine
verrebbe loro intimato un provvedimento d'espulsione.
Per certi versi ancora più problematica risulta la distinzione tra migrazioni volontarie e migrazioni forzate.
Tradizionalmente il termine migrante era riservato a chi lasciava volontariamente il proprio paese, mentre i
protagonisti delle migrazioni forzate, indotte per esempio da situazioni di guerra o dal rischio di persecuzioni, erano
definiti profughi o displaced persons. E’ utile tenere distinta la figura del migrante forzato da quella del rifugiato.
Quest'ultimo termine ha infatti un preciso significato giuridico, internazionalmente riconosciuto, per cui è corretto
utilizzarlo solo per definire coloro che hanno effettivamente ottenuto lo status di rifugiato politico, uno status che
implica il diritto alla protezione e all'assistenza da parte del paese che lo ha accolto: ai sensi della Convenzione di
Ginevra del 1951.Il rifugiato è una persona che «temendo con ragione di essere perseguitata a causa della sua
razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un certo gruppo sociale o delle sue opinioni,
si trova fuori del paese di cui ha la nazionalità e non può o, a causa di questo timore, non vuole richiedere la
protezione del paese». Infine, una forma decisamente peculiare di migrazione forzata è la migrazione coatta, che
riguarda coloro che vengono costretti con la forza a lasciare il proprio paese: l'esempio storicamente più clamoroso è
quello della tratta degli schiavi, ma anche in epoca contemporanea il fenomeno non è purtroppo scomparso del tutto e
sembra anzi assumere volti sempre più drammatici (come nel caso della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, tra le
cui vittime, nel mondo, ci sono centinaia di migliaia di minorenni).
Analoghi, per certi versi, i problemi posti da un'altra classica distinzione, quella tra labour migrations e non-labour
migrations. Quest'ultima espressione, oltre a comprendere le migrazioni di carattere umanitario, dovrebbe riguardare il
complesso dei movimenti migratori dettati da ragioni diverse dalla ricerca di un lavoro.
Sulle labour migrations è possibile introdurre ulteriori distinzioni.
Intanto, una forma peculiare di migrazione è quella stagionale, in cui si emigra per alcuni mesi, anche per più anni
successivamente, spesso per svolgere il medesimo lavoro (in genere in campo agricolo o turistico).
La migrazione frontaliera riguarda coloro che abitano nei pressi della frontiera e si recano nello Stato confinante
quotidianamente (o settimanalmente) per lavorare.
E ancora, l'espressione gente di mare designa i lavoratori impegnati come pescatori a bordo di uno scafo
immatricolato in uno Stato diverso da quello cui loro appartengono. Una categoria emergente è quella dei migranti ad
alta qualificazione, che oggi non solo rappresentano una quota significativa dei migranti internazionali, ma sono anche
oggetto di politiche d'attrazione da parte di molti paesi.
Una seconda tipologia è quella cui si è soliti riferirsi parlando di «fuga dei cervelli», specie riguardo ai migranti ad
elevata istruzione provenienti dai paesi in via di sviluppo e diretti verso quelli a sviluppo avanzato (ma a volte il
termine è usato anche, per esempio, per indicare i ricercatori italiani che si trasferiscono negli Stati Uniti d'America);
Un'altra ancora è la migrazione indotta dai governi, attraverso specifici dispositivi d'attrazione, e quella, in parte
sovrapposta, diretta dalle industrie che operano contemporaneamente in più paesi.
Migrazioni temporanee e permanenti: Quella tra migrazioni temporanee e migrazioni definitive è una distinzione
certamente utile a fini analitici anche se nella realtà le migrazioni pensate come temporanee (da parte di colui che
emigra, o anche della società che lo riceve) spesso finiscono col diventare permanenze definitive. Il cosiddetto mito
del ritorno è infatti ricorrente specie tra gli immigrati di prima generazione. I medesimi fattori che possono spingere al
rientro - per esempio il fallimento del proprio progetto migratorio possono incentivare una permanenza all'estero oltre i
termini inizialmente preventivati. Dunque, la durata «prevista» dell'immigrazione non necessariamente coincide
con quella effettiva; anzi, la storia è ricca di esempi di migrazioni pensate come temporanee e poi divenute
definitive, ma anche di «ritorni» inattesi, magari a distanza di generazioni. Spesso, quindi, l'intenzione d'emigrare per
sempre o per tornare dopo un certo tempo risulta molto diversa dall'effettivo risultato. Le aspettative di durata sono in
grado di influire sul comportamento del migrante, sulla propensione a investire in beni durevoli (come l'acquisto
dell'abitazione), sulle scelte formative e professionali, sulla richiesta di naturalizzazione.
La distinzione tra migrazioni temporanee e definitive ha dunque anche una rilevanza dal punto di vista economico:
la prospettiva di un ritorno a breve in genere scoraggia il migrante dall'acquisire qualifiche e competenze non
facilmente trasferibili, a partire dalla lingua del paese ospite. Essa inoltre induce a contenere i consumi e a trasferire
nel paese d'origine buona parte dei propri guadagni. E tuttavia, attualmente le migrazioni temporanee sono quelle di
gran lunga privilegiate dagli Stati di destinazione, che le vedono come una strategia per scoraggiare la
sedentarizzazione delle popolazioni immigrate e tutti i problemi che quest'ultima comporta.
Il motivo di maggiore interesse di tale distinzione è che la migrazione definitiva tende, per sua natura, a trasformarsi in
immigrazione da popolamento, dando vita sia alla formazione di minoranze etniche sia alle seconde generazioni,
composte dai discendenti dei migranti e che oggi costituiscono un universo di grande interesse per i sociologi delle
migrazioni.
Più precisamente, si possono distinguere:
-seconda generazione nativa o primaria: comprende coloro che hanno visto la luce nel paese d'immigrazione e che
quindi fin dalla loro nascita hanno sviluppato i loro rapporti con l'ambiente circostante;
- seconda generazione impropria: comprende coloro che sono nati in un altro paese, dal quale sono emigrati in
un'età fra uno e sei anni, per cui hanno iniziato il loro ciclo scolare nel paese d'immigrazione;
- seconda generazione spuria: comprende coloro che giungono nel paese d'emigrazione interrompendo il ciclo
scolare, o dopo averlo completato, cioè fra gli undici e i quindici anni, quando i meccanismi fondamentali di
socializzazione hanno già sviluppato la loro azione in un contesto sociale e culturale diverso.
Infine occorre menzionare le migrazioni di ritorno, che possono essere anch'esse temporanee o definitive, volontarie o
forzate (in questo caso è preferibile impiegare il termine rimpatrio).
In forma più analitica, è possibile distinguere, in base alla durata della permanenza nel paese d'origine, quattro tipi di
migrazioni di ritorno:
-i ritorni occasionali, di breve durata, per fare visita ai propri parenti o prendere parte a eventi familiari come i
funerali e i matrimoni;
-i ritorni stagionali: dettati dalla natura dell'attività lavorativa svolta
-i ritorni temporanei: seguiti da una permanenza prolungata nel paese d'origine, cui però succede un'ulteriore
migrazione
-i ritorni definitivi: che preludono a un reinsediamento a tempo indeterminato.
Il ritorno in patria è, da sempre, uno dei possibili esiti del progetto migratorio.
L'attuale fase delle migrazioni internazionali si sviluppa all'insegna di una profonda contraddizione.
Da un lato, un complesso intreccio di fattori d'attrazione e d'espulsione concorre a tenere alto il volume delle
migrazioni internazionali, imprimendovi anzi un ulteriore accelerazione.
Dall'altro, la preoccupazione prevalente nei paesi di destinazione è di contenere la pressione migratoria e le politiche
di reclutamento attivo non sono scomparse del tutto, ma riguardano solo categorie specifiche di lavoratori, oltre a
consentire l'ingresso di una quota di migranti infinitamente più piccola rispetto al numero di coloro che
desidererebbero migrare. Per le autorità di governo è oggi molto più difficile di un tempo ottenere il consenso
necessario ad ammettere numeri significativi di lavoratori stranieri, così come a far accettare normative «generose» in
tema di migrazioni familiari e umanitarie.
Tradizionalmente considerata una questione sostanzialmente economica, l'immigrazione è divenuta oggetto, negli
ultimi due decenni, di un'inedita politicizzazione, con l'effetto di esasperare i toni del dibattito su questa materia e
farne oggetto di polemica elettorale: su di essa si scaricano le ansie e le preoccupazioni tipiche di una società in
rapida trasformazione e alla ricerca di capri espiatori ai quali attribuire la responsabilità dei propri disagi.
Le cause che spingono ad abbandonare il proprio Paese: mancanza di prospettive per il futuro; peggioramento
delle condizioni di vita; cause economiche; degrado ambientale; cause demografiche; disgregazione della struttura
sociale tradizionale; instabilità politica; violazione dei diritti umani;
Le cause di attrazione verso un certo Paese: aspettative di migliori condizioni di vita; presenza di opportunità di
lavoro; minore densità demografica; cause psicologiche: curiosità e gusto per l’avventura; conoscenza di modelli di
vita occidentali e di sviluppo industriale; maggiore modernizzazione; divario tecnologico.
Gli effetti delle migrazioni nelle zone di esodo:
• squilibri tra le fasce d’età della popolazione;
• effetti economici: rimesse degli emigranti, alleggerimento del mercato del lavoro, nuovo mercato estero per i prodotti
locali;
• abbandono delle aree agricole; effetti sociali (diminuisce il conflitto ma aumenta la disgregazione);
• maggiori conoscenze acquisite da chi rientra in patria.
Nelle zone d’immigrazione questi effetti possono essere i seguenti:
-aumento demografico;
-effetti economici: gli immigrati spesso coprono settori abbandonati dalla manodopera locale, favoriscono la flessibilità
del lavoro impedendo a non poche fabbriche di chiudere e risultando così funzionali al sistema economico dei Paesi
di destinazione;
-conflitti tra generazioni; xenofobia;
-perdita dell’identità culturale.
• Teorie sull’avvio delle migrazioni internazionali: Secondo il paradigma neoclassico dell'economia, le migrazioni
sono determinate dall'esistenza, tra i vari paesi e territori, di differenze nei livelli della domanda e dell'offerta di lavoro,
a loro volta responsabili di differenziali salariali e dei tassi d'occupazione
Un primo tentativo di superare l'insoddisfazione nei confronti del paradigma neoclassico matura nell'ambito della
stessa scienza economica: è la cosiddetta nuova economia delle migrazioni. Rispetto all'approccio tradizionale,
questa teoria non si limita a considerare ciò che avviene sul mercato del lavoro, ma amplia l'attenzione ad altri mercati
che in vario modo influenzano gli orientamenti dell'offerta di lavoro.
La teoria del mercato duale del lavoro: Il punto di partenza è l'affermazione che le migrazioni internazionali sono
causate dal fabbisogno di lavoro immigrato espresso dalle economie delle nazioni sviluppate, ossia da fattori di tipo
pull.
La teoria del sistema mondo e la nuova divisione internazionale del lavoro: è la penetrazione delle relazioni
capitalistiche nelle aree periferiche del globo, a essere principalmente responsabile dei flussi di persone che si
originano da queste ultime e si dirigono verso i paesi più ricchi.
Teorie sulla perpetuazione delle migrazioni: La sociologia analizza le migrazioni come relazioni sociali che si
stabiliscono fra migranti e non migranti.
Teoria dei network. Nella prospettiva della network analysis, le persone sono considerate attori che partecipano a
sistemi sociali in cui sono coinvolti altri attori che in vari modi condizionano le loro decisioni.
La teoria istituzionalista: Alla perpetuazione delle migrazioni nel tempo contribuisce anche la nascita e/o la
trasformazione di istituzioni, sia legali sia illegali che consentono la migrazione e facilitano l'adattamento al contesto di
ricezione con l'effetto di rendere i flussi progressivamente indipendenti dai motivi che li hanno inizialmente originati e
sempre più «istituzionalizzati».
La teoria della causazione cumulativa: sottolinea le trasformazioni che hanno luogo, proprio per effetto delle
migrazioni, tanto nel paese d'origine quanto in quello di destinazione, generando ulteriori fattori sia di tipo pull sia di
tipo push.
La devianza viene definita in riferimento alle subculture di gruppi, i quali adottano norme che incoraggiano o premiano
il comportamento criminale.
Secondo Cohen, i ragazzi del ceto operaio più povero, frustati nella loro condizione di vita, tendono a organizzarsi in
subculture delinquenziali.
Cloward e Ohlin: i ragazzi più a ‘rischio’ provengono dalla classe operaia. Inoltre, hanno interiorizzato i valori del ceto
medio e sono stati incoraggiati a desiderare un futuro borghese, per poi scoprirsi impossibilitati a realizzare le proprie
aspirazioni.
Approccio sociologico: Teorie interazioniste
Le teorie interazioniste concepiscono la devianza come un fenomeno socialmente costruito. Esse si interrogano sul
modo in cui i comportamenti vengono definiti devianti e sul perché certi gruppi e non altri sono etichettati come
devianti.
Fra i principali esponenti:
- E.H. Sutherland: associazione differenziale: In una società che ospita molte subculture diverse, solo alcuni ambienti
sociali tendono a incoraggiare la criminalità.
Gli individui diventano criminali associandosi ad altri che sono portatori di norme criminali.
Il comportamento criminale viene appreso soprattutto all’interno dei gruppi primari, in particolare il gruppo dei pari.
- H. Becker: teoria dell’etichettamento: la devianza è interpretata come un processo di interazione tra devianti e non
devianti. Le etichette che definiscono le varie categorie di devianza esprimono la struttura di potere della società.
Il comportamento deviante non è il fattore determinante nella trasformazione di un individuo in ‘deviante’; piuttosto vi
sono processi non collegati al comportamento stesso che esercitano una grande influenza sull’etichettamento (es.
abbigliamento, modo di parlare, paese di origine).
L’etichettamento non condiziona solo il modo in cui si è visti dagli altri, ma anche la concezione di sé.
-E. Lemert: La devianza è un fatto comune e solitamente senza conseguenze per gli individui.
Devianza primaria: È l’atto iniziale di trasgressione. Solitamente rimane ‘marginale’ sul piano dell’identità individuale.
Devianza secondaria: Si ha quando l’individuo accetta l’etichetta che gli è stata imposta, vedendo se stesso come
‘deviante’.
Approccio sociologico: Teorie del conflitto
Le teorie del conflitto considerano la devianza una scelta: Gli individui scelgono attivamente di adottare un
comportamento deviante per reazione alle disuguaglianze del sistema capitalistico.
Il filone della New Criminology ha evidenziato come il comportamento criminoso si verifichi a tutti i livelli della società
e debba essere compreso nel contesto delle disuguaglianze e dei conflitti di interesse tra gruppi sociali.
deliberata e spesso di natura politica.
Secondo questo approccio, le subculture criminali nei centri urbani non nascono dalla povertà, ma dalla mancanza di
inserimento sociale.
La criminologia deve impegnarsi sui problemi concreti del controllo della criminalità e della politica sociale; inoltre
deve:
- avere un atteggiamento più sensibile nei confronti della comunità;
- dare più voce ai cittadini in merito alle priorità del controllo nell’area in cui vivono;
- sviluppare politiche di intervento ‘minimali’ attraverso funzionari di polizia locali, responsabili verso i cittadini;
- prestare attenzione alle vittime dei reati e alle indagini sulla vittimizzazione.
Approccio sociologico: Teorie del controllo
Le teorie del controllo postulano che il reato si verifichi in conseguenza di uno squilibrio tra impulso all’attività
criminosa e il controllo sociale o fisico che ne è il deterrente.
T. Hirschi sostiene che gli esseri umani sono essenzialmente egoisti e prendono decisioni calcolate a proposito degli
atti criminosi, valutandone i potenziali rischi e benefici. Egli individua quattro tipi di vincoli che legano l’individuo alla
società, promuovendo così un comportamento rispettoso della legge:
- l’attaccamento: vincolo di tipo affettivo;
- l’impegno: vincolo di tipo materiale;
- il coinvolgimento: vincolo di tipo temporale;
- le credenze: vincolo di tipo morale.
Per alcuni teorici del controllo, l’aumento dei reati deriva dall’aumento delle occasioni favorevoli alle attività criminose.
Per contrastare questo sviluppo negli ultimi anni si sono adottati due tipi di politiche:
- protezione del bersaglio: rende più difficile compiere il reato;
- tolleranza zero: mantenimento dell’ordine sociale.
Molti reati non vengono registrati per:
- mancanza di segnalazione del reato alla polizia;
- assenza di registrazione del reato;
- scetticismo della polizia sulla validità delle informazioni ricevute su un presunto reato.
Le statistiche ufficiali sulla criminalità forniscono i dati meno affidabili tra quelli pubblicati ufficialmente su temi di
carattere sociale, perché tengono conto solo dei fatti registrati dalla polizia.
Una risposta a questo problema sono le indagini sulla vittimizzazione rivolte a un campione di intervistati.
Esiste un rapporto tra genere e criminalità?
1. I tassi di criminalità femminili sono inferiori a quelli maschili, ma le ragioni di questa differenza devono ancora
essere accertate.
2. Esistono reati tipicamente femminili (es. prostituzione).
3. Esistono categorie di reati in cui le donne sono vittime e gli uomini gli aggressori (es. violenza domestica, abusi
sessuali).
Con l’espressione reati dei colletti bianchi si definiscono i reati compiuti da persone rispettabili e di elevata
condizione sociale nel contesto della propria occupazione. I reati aziendali sono quelli commessi dalle imprese e sono
capillari e diffusi. Esistono sei tipi di questi reati:
- amministrativi (irregolarità o non conformità di documenti);
- ambientali (inquinamento, assenza di autorizzazioni);
- finanziari (evasione fiscale, falsificazione di bilancio);
- occupazionali (condizioni di lavoro o assunzioni irregolari);
- produttivi (pericolosità dei prodotti, etichettatura mendace);
- commerciali (pubblicità ingannevole).
Altre forme di criminalità note e diffuse sono:
- la criminalità organizzata: fenomeni con caratteristiche analoghe a quelle delle normali attività d’affari, ma che
sono illegali (es. contrabbando, traffico di droga e armi).
- i reati informatici: atti criminosi perpetrati con l’aiuto della tecnologia informatica (es. intercettazione abusiva di
comunicazioni, istigazione alla violenza attraverso Internet, frodi telematiche).
Il carcere è un sistema di punizione di chi commette reati.
Il principio ispiratore del sistema carcerario è il recupero dell’individuo, poiché mira alla sua reintegrazione nella
società una volta rimesso in libertà. Prigione e condanne severe sono considerate anche un deterrente del crimine.
Tuttavia, i tassi di recidività sono alti chi ha commesso reati tende a ricommetterli: le carceri favoriscono la spaccatura
fra società e detenuti, poiché l’ambiente carcerario richiede atteggiamenti e abitudini totalmente diversi dal mondo
‘esterno’, rendendo così difficile la reintegrazione. Per alcuni è necessario passare da una giustizia punitiva ad una
riparativa, capace di accrescere nei condannati la consapevolezza degli effetti dei loro crimini attraverso sentenze da
scontare in ‘comunità’.
La socializzazione è quel processo attraverso il quale l’individuo diventa un essere pienamente sociale e si integra, in
modo più o meno completo, in un gruppo o in una comunità più ampia. Essa comprende:
•Una trasmissione intergenerazionale, dalla generazione adulta a quella più giovane, che opera attraverso istituzioni
specifiche (scuola, famiglia ecc.)
•Una formazione personale che trasforma l’individuo in un essere morale, con una propria, specifica, identità.
Le agenzie di socializzazione:
• Sono istituzioni specificamente, anche se non esclusivamente, dedicate alla socializzazione.
• Tipiche delle società industriali moderne e dovute alla crescita della differenziazione sociale.
• Le principali sono: la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari e i media.
Socializzazione primaria e secondaria
Nelle moderne società post-industriali il processo di socializzazione si allunga e non ha più un termine definito dalla
fine dell’adolescenza. Si tende così a distinguere la socializzazione in due fasi:
•Socializzazione primaria: avviene durante l’infanzia, principalmente in famiglia, ed è carica di componenti emotive. In
essa il bambino compie le acquisizioni cognitive di base.
•Socializzazione secondaria: inizia con l’ingresso nel mondo della scuola e in quello del lavoro, è molto meno
connotata emotivamente della fase precedente; in essa l’individuo acquisisce conoscenze legate a specifici ruoli.
L’analisi sociologica della scuola: la scuola è un’istituzione:
• volta a istruire e a educare gli allievi, secondo una struttura didattica organizzata in base a regole condivise e
guidata da specifiche figure professionali, gli insegnanti con l’indicazione di precisi obiettivi di apprendimento: istruire
ed educare.
Tra i compiti della scuola vanno distinti:
• L’istruzione: riguarda processi formalizzati di trasmissione delle conoscenze.
• L’educazione: comprende anche aspetti informali e impliciti, che tendono preparare il giovane ad assumere
orientamenti e comportamenti che ogni cultura ritiene adeguati alla convivenza sociale. Questa è proprio la parte più
direttamente legata alla scuola come agenzia di socializzazione.
Due spiegazioni della nascita dei sistemi scolastici nazionali:
• Teorie funzionaliste: i sistemi moderni di istruzione rispondono al più elevato livello di competenze tecniche e di
qualificazione richieste dallo sviluppo economico.
• Teorie conflittualiste: i sistemi moderni di istruzione derivano dall’interesse delle classi al potere a riprodurre le
disuguaglianze sociali e le ideologie dominanti.
La struttura del sistema scolastico è articolata su tre livelli:
• Scuola primaria: fornisce le competenze cognitive di base (lettura, scrittura, calcolo) e introduce all’acquisizione delle
principali regole di convivenza civile.
• Scuola secondaria: è finalizzata all’apprendimento di competenze cognitive intermedie e professionali.
• Istruzione terziaria: ha il compito di fornire competenze di tipo superiore, con percorsi di alta formazione e
specializzazione.
Questi tre livelli danno vita a un sistema integrato, perché i cicli di apprendimento si susseguono e ogni livello
superiore implica il precedente.
È al livello superiore di istruzione che permangono divari nella probabilità di accedere e completare la scuola.
A proposito vengono distinti due effetti:
✓L’effetto della classe sociale, che rimanda ai costi della scuola.
✓L’effetto del titolo di studio dei genitori, che rimanda all’«eredità familiare», ossia alla trasmissione di competenze
culturali e cognitive legate a un ambiente più ricco di risorse educative.
Il curriculum nascosto non è scritto, è informale e non è consapevolmente pianificato. Esso include norme, valori,
pratiche e relazioni di gruppo che tutte le persone coinvolte nel lavoro scolastico (in primo luogo insegnanti e studenti)
portano con sé e sviluppano in classe.
L’interazione in classe:
Gli studi sull’interazione in classe si sono concentrati sui meccanismi che tendono a riprodurre le diseguaglianze
sociali. I figli della classe operaia vengono premiati per comportamenti scolastici come la docilità e l’obbedienza,
corrispondenti all’acquisizione futura di status socio - occupazionali inferiori; i figli delle classi dirigenti lo sono per
qualità come l’assertività e l’iniziativa personale, doti necessarie a svolgere professioni di livello gerarchico superiore.
Dalla scuola d’élite alla scuola di massa
Con l’avvento della scuola superiore di massa:
➢ Il modello tradizionale di formazione delle élite, che funzionava in base al cosiddetto «programma istituzionale»,
entra in crisi (Dubet 2002).
➢ La scuola superiore, divenuta un crogiuolo di classi sociali diverse, deve fare i conti con culture giovanili estranee
ai tradizionali valori e norme scolastiche.
➢ L’enfasi si sposta sulla verifica dei risultati e sull’esigenza di stabilire un nuovo rapporto tra conoscenza e mercato
del lavoro.
Genere e sistema educativo: La scuola tende a riprodurre le differenze di genere: i testi scolastici perpetuano gli
stereotipi di genere; i programmi scolastici hanno spesso un’impronta maschile
Tra i caratteri più tipici della società postmoderna vi sono il rischio e l’incertezza. Crescono sia i rischi costruiti o
artificiali, sia quelli naturali, quest’ultimi si potenziano ancor più in seguito ad inadeguate politiche di gestione
territoriale.
Cos’è il rischio? La prospettiva quantitativa definisce il rischio come il prodotto tra il danno potenziale di un evento e la
probabilità che quest’ultimo ha di verificarsi. Quella costruttivista invece preferisce individuarlo come il risultato di
processi di negoziazione e dialettici tra i diversi attori sociali (gruppi, istituzioni, individui).
La percezione individuale del rischio: Alcune teorie hanno posto l’attenzione sulla dimensione “oggettiva” del rischio
altre su quella “soggettiva”, evidenziando il concetto di percezione individuale e le cause che la determinano. Di fronte
ad un stesso evento, reale o potenziale, le percezioni degli individui possono essere completamente differenti tra loro.
Lo stesso fenomeno può essere percepito in modo più o meno rischioso e ciò dipende dalle caratteristiche sociali,
culturali e psicologiche degli individui.
La costruzione sociale del disastro: l’importanza dell’aspetto percettivo è evidente anche nel concetto di disastro,
definibile come un evento traumatico che sconvolge le attività quotidiane della società sia per le conseguenze
prodotte sulle strutture, sia per la percezione dell’esistenza della possibilità di altri eventi causati da variabili
incontrollabili. Un disastro esclusivamente naturale non esiste, ogni disastro è sempre sociale, in quanto “consiste
nell’effetto che un evento catastrofico naturale produce sugli esseri viventi, ovvero, sono i comportamenti umani e le
loro conseguenze a far sì che un evento naturale abbia effetti disastrosi.
Differenza tra rischio e pericolo: la dimensione soggettiva emerge anche nella distinzione di Luhmann (1991) tra il
concetto di rischio e quello di pericolo: un osservatore percepisce un “rischio” quando un potenziale danno futuro
dipende da sue decisioni; una situazione di “pericolo”, quando il potenziale danno si lega a decisioni altrui. Lo stesso
Luhmann afferma che la società contemporanea tende a percepire il futuro sempre più in termini di rischio, piuttosto
che di pericolo. Lo spostamento dal pericolo al rischio è individuabile nell’aumento delle capacità tecniche e
scientifiche che a sua volta incrementa le possibilità decisionali dell’uomo.
Fattori d’influenza della percezione: In un analisi psicologica, sono stati individuati 47 fattori che influenzano la
percezione del rischio tra cui le convinzioni religiose, il livello di fiducia, la capacità di autocontrollo. Anche se non è
possibile realizzare un modello generale sempre valido, i principali fattori che determinano le diverse percezioni
individuali e la distanza tra queste e l’oggettività del rischio sono:
1. il potenziale catastrofico: la gente si preoccupa maggiormente di eventi i cui effetti sono concentrati nello spazio e
nel tempo (es. incidenti aerei) piuttosto che di quelli che comportano effetti “diluiti” (es. incidenti stradali);
2. la familiarità: ci si preoccupa più dei rischi poco familiari che di quelli con i quali si è abituati a convivere ma che non
per questo sono “oggettivamente” meno gravi (es. incidenti domestici);
3. la capacità di comprensione: le persone sono più spaventate dai potenziali danni derivanti da fenomeni che poco
conoscono (es. manipolazione genetica);
4. l’incertezza scientifica: le scarse conoscenze scientifiche o il disaccordo tra gli esperti incrementa i timori della
gente.
5. La possibilità di controllo personale e volontarietà: un evento che l’individuo non può controllare è percepito come
più rischioso rispetto ad altri più controllabili;
A questi andrebbero aggiunti molti altri fattori, tra cui la fiducia nelle istituzioni, la memoria storica di eventi simili, il
ruolo dei media.
La irreversibilità e la definitività spaventano l’uomo; talvolta anche in caso di eventi non negativi.
Il Disagio significa mancanza di agio, di comodità, ma anche di imbarazzo. Da un punto di vista etimologico il termine
disagio è costituito dal prefisso dis che indica contrasto e dalla parola agio dal provenzale aize che è il latino adiacens
(adiacente), participio presente di ad- iacere , cioè “giacere presso”. Pertanto disagio sta ad indicare il “non giacere
presso”, l’impossibilità di stare vicino, quindi di essere lontano. Riflettere sul termine disagio in termini di lontananza
implica individuare tra chi o tra cos
a esiste questa lontananza. La distanza percepita può essere lontananza tra sé e sé (ad esempio percepire una
lontananza tra il sé reale e il sé ideale), tra sé e gli altri, tra sé e il mondo circostante.
Nella letteratura sul disagio giovanile esso viene definito: come frutto dell’incapacità/impossibilità di trovare una
soluzione soddisfacente per l’identità personale;
Che rapporto vi è tra disagio e devianza?
Se si considerano sinonimi si commette un errore perché, si perde l’ottica di chi si sente a disagio senza per questo
assumere comportamenti devianti. Inoltre se è vero che la devianza può essere una conseguenza estrema del
disagio, non è vero l’opposto, non è detto che un soggetto considerato deviante si senta a disagio.
Il concetto di esclusione sociale: L’esclusione sociale è sempre relativa alla società in cui si vive, in questo caso ai
diritti e alle risorse che definiscono lo status e l’adeguatezza come cittadini.
Si possono sperimentare limitazioni di accesso a questi diritti e alle risorse relative per due ordini di motivi:
1. perché, per circostanze sociali o soggettive, si manca delle abilità o delle capacità di fruirne;
2. perché esistono barriere istituzionali all’accesso a questi diritti e risorse:
Si parla di esclusione insostenibile quando a questa situazione si aggiunge una crisi che compromette la
sopravvivenza morale e fisica di un individuo. L’esclusione sostenibile è quella dell’immigrato discriminato a causa di
pregiudizi razziali e che ha comunque un lavoro e persegue un progetto di inserimento lavorativo
Che rapporto vi è tra esclusione e devianza? La devianza può essere uno degli esiti di un processo di esclusione
sociale (teoria della deprivazione relativa per spiegare la criminalità degli immigrati), ma può anche favorire il
processo di esclusione (se si pongono soglie formali o informali di comportamento, di situazione familiare, ecc.).
Il concetto di marginalità: Il marginale è in primo luogo una metafora nata è diffusa soprattutto negli anni 70 che
indica: colui che non riesce a prendere parte ai vantaggi dello sviluppo economico; essere ai margini della società, ai
confini prima di essere escluso (Essere ai margini non significa difatti essere socialmente escluso); soggetti privi di
identità, passivi, moralmente disgregati. In questo primo significato la marginalità identifica l'esclusione oggettiva di
certi individui e gruppi dalla distribuzione dei beni prodotti da una società e dai centri di potere.
Somiglianze con il concetto di straniero di Simmel: L'uomo marginale è un uomo ambivalente che non sente di
appartenere pienamente ad una cultura.
In seguito il concetto ha acquisito una dimensione più vicina a quella di deprivazione.
Secondo alcuni studiosi è possibile identificare due dimensioni della marginalità:
1. marginalità come processo: comprende le cause e i fattori determinanti per il processo di marginalizzazione;
2. marginalità come situazione: si riferisce alla condizione soggettiva del soggetto che percepisce se stesso come
qualcuno ai margini.
La prima dimensione è quella della marginalizzazione che interessa i fattori economici, sociali, culturali che la
causano; mentre nella seconda ciò che interessa è la percezione soggettiva della situazione da parte degli individui
coinvolti.
A questo punto è possibile cogliere le differenze tra i concetti di emarginazione e marginalità: il primo definisce il
risultato di processi di esclusione sociale, disoccupazione, esclusione dai diritti, povertà;
il secondo indica la conseguenza soggettiva dell'emarginazione.
Dobbiamo sempre distinguere tra una dimensione oggettiva (emarginazione) da una soggettiva (marginalità).
Che differenze ci sono con il concetto di devianza si può essere ai margini senza essere definito deviante o senza
essere un trasgressore al contrario si può essere deviante senza essere marginale; si può invece dire che i due
fenomeni sono spesso compresenti e che l'uno può condurre all'altro, infatti situazioni di emarginazione possono
spingere il soggetto a violare le norme, cosi come violare le norme può portare soggetti a progressiva
marginalizzazione (carriera deviante)
Il concetto di disadattamento: Il disadattamento è il risultato di un processo attraverso il quale un individuo o un
gruppo di individui denuncia le proprie incapacità o difficoltà ad adeguarsi alle richieste sociali. Esso è la versione
negativa del concetto di adattamento che implica la capacità del soggetto di adeguarsi alle richieste e ai bisogni
dell'ambiente esterno. Ancora più specificatamente l'adattamento è quel processo attraverso cui l'individuo modifica i
suoi atteggiamenti e i suoi comportamenti in modo da raggiungere degli scopi, privati o sociali, utilizzando le risorse
rese disponibili dalla situazione in cui si trova ad agire.
Dobbiamo distinguere tra adattamento e capacità di adattamento: ad esempio quando noi compiamo delle azioni
sedimentate, abitudinarie potrebbe apparire che ci siamo ben adattati, ma invece vuol dire proprio il contrario ovvero
c'è una vera e propria incapacità di rispondere alle novità per cui ci si allinea su comportamenti dati per scontati.
Il concetto di adattamento di Merton: Questo significa che l'adattamento non è solo una caratteristica passiva di
adeguamento all'ambiente, ma adattarsi significa anche modificare l'ambiente che ci circonda e le sue relazioni per
realizzare i propri scopi. Infine l'adattamento non può essere disgiunto dalla capacità di autocritica, di non
sottovalutare né sopravalutare le proprie capacità. Detto ciò si può intendere il disadattamento come la somma di
incapacità o di inadeguatezze:
1. incapacità di modificare i propri comportamenti
2. incapacità di realizzare le risorse disponibili per la realizzazione degli obiettivi
3. incapacità di controllo attivo delle situazioni
4. incapacità di autovalutazione delle proprie capacità e di valutazione delle possibilità oggettive
Dal punto di vista della struttura psicologica e della personalità è possibile osservare due tipi di disadattati:
gli immaturi: individui non capaci di stabilire relazioni stabili e durevoli con difficoltà a reprimere gli impulsi, l'istinto.
Caratterizzati da instabilità emotiva, aggressività, violenza.
Gli ansiosi: caratterizzati da evasione delle responsabilità, chiusura in se stessi, forte senso di autocritica, scarsa
fiducia nei propri mezzi. Personalità rigida dipendente ed insicura. Si tratta di individui ipersocializzati con un super-io
troppo rigido e severo.
Fattori socio-ambientali: Condizioni di marginalità sociale sono spesso determinate da variabili:
- Economiche: La precarietà economica, la disoccupazione, le condizioni abitative suburbane, determinano un
contesto socio-familiare non dei migliori.
- Culturali: L'accentuazione della diversità culturale provoca emarginazione e produce frustrazione e reazioni violente.
I nomi del disagio:
Il disagio evolutivo appare costitutivo dell'attraversamento adolescenziale. Più che in una patologia, si manifesta
talvolta in disadattamenti, fughe, turbe sessuali, tossicodipendenze, violenza, criminalità.
Il disadattamento adolescenziale: Il disadattamento è un malessere diffuso e un'incapacità momentanea a superare i
compiti di sviluppo propri dell'età. Quattro sono le cause ricorrenti:
1. una limitata attenzione in famiglia alla personalità del ragazzo;
2. una scarsa abitudine da parte dei genitori a condividere le scelte dei figli, piccole o grande che siano;
3. una mancata attribuzione ai ragazzi di compiti di responsabilità familiare;
4. la carenza di un dialogo motivante da parte degli adulti:
Il disadattamento adolescenziale, trovando difficoltoso rispettare le norme sociali e assumere responsabilità, può
avere gravi conseguenze.
Il teppismo: Un 10% di adolescenti sono tentati di compiere atti di teppismo. Il desiderio di trasgressione aumenta in
modo preoccupante quando tra genitori e figli non c'è un rapporto soddisfacente. Iperprotezione e autoritarismo,
scarsa partecipazione sono il terreno fertile per gesti trasgressivi e inconsulti.
Il furto: Comportamento non abituale, ma frequente, il furto assume significati diversi a seconda delle motivazioni che
spingono i ragazzi a rubare. I ragazzi hanno una propensione marcata a sfidare il mondo adulto e le sue regole. Per il
furto la sfida non è rivolta solo agli adulti, ma anche a se stessi, nel senso che l'atto delinquenziale è una sorta di
verifica delle proprie capacità trasgressive.
La violenza: L'incremento di manifestazioni aggressive può essere causato dalla massiccia influenza dei mass media.
Nei soggetti più fragili la violenza diventa la modalità di riscatto della propria debolezza o situazione di disagio. La
violenza è un servirsi del linguaggio del corpo per manifestare il proprio malessere sociale e scaricare sugli altri le
proprie difficoltà esistenziali.
La depressione: Può condurre a stati mentali di solitudine e di disperazione che possono portar anche a gravi
conseguenze. In uno stato di equilibrio precario, un evento oggettivamente irrilevante può far scatenare nel ragazzo/a
una grave crisi di disperazione. Può essere provocata ad esempio da: lutti, delusioni, ecc.
Il linguaggio scurrile: E' un modo anaffettivo di vivere la sessualità, vissuto anche come motivo di ricerca della propria
identità sessuata. Utilizzato con i coetanei è semplicemente un forma gergale, con i genitori o con gli adulti manifesta
segnali di disagio e sofferenze.
Anoressia e bulimia: Disturbi del comportamento alimentare manifestano il disagio soprattutto nel sesso femminile. Il
rifiuto ostinato del cibo, il grave dimagrimento caratterizzano l'anoressia. L'ingestione di grandi quantità di cibo, in
modo impulsivo, vorace e disordinato caratterizza la bulimia. Alla base di tali comportamenti ci sono problematiche
affettive ed esistenziali irrisolte, che creano solitudine e sofferenza, fino alla ricerca esagerata di attenzione, con
comportamenti spesso antitetici rispetto a ciò che si vuole/vorrebbe.
Quali strategie educative? In passato l'atteggiamento educativo si fondava sul senso del dovere e spesso fin
dall'inizio maturava nei ragazzi inadempienti il senso di colpa. Le punizioni diventano la risposta correttiva degli adulti
per modificare comportamenti sbagliati Oggi Il "super io" si forma non tanto sul senso del dovere, quanto piuttosto
sulle "aspettative" da parte dei genitori nei confronti dei figli. Le punizioni non sono più un correttivo utile per coloro
che non si sentono in colpa. Il deterrente efficace contro i comportamenti erronei potrebbe essere il fare sentire la
"vergogna" di fronte a se stessi e agli altri. Tale posizione risulta pericolosa in quanto innesca con estrema facilità la
"vendetta" che prima o poi viene fuori. Più laborioso e produttivo è il puntare sulla "qualità delle relazioni".
Capitolo 19: La famiglia mista
Definizione di famiglia mista: consideriamo una relazione mista, o per usare la definizione più frequente, matrimonio
misto, quell’unione fra individui appartenenti a contesti culturali diversi, a paese diversi, interessati da un’esperienza
migratoria. La coppia mista viene considerata come un laboratorio in cui si deve elaborare una relazione inedita, con
un nuovo linguaggio. I matrimoni misti hanno subito una notevole espansione e tra i fattori che hanno contribuito a
questa crescita si riscontra:
• un consolidamento del fenomeno dell’immigrazione
•una certa diminuzione del pregiudizio verso altre razze
• maggiori possibilità di interazione tra appartenenti a razze diverse
• minor controllo delle famiglie sulle scelte matrimoniali.
Per ovvi motivi, i matrimoni misti sono più diffusi nelle aree di forte immigrazione, per l’Italia queste coincidono con il
Centro e il Nord.
Le motivazioni che spingono gli individui a contrarre un tipo di matrimonio misto sono i più svariati.
1. Il primo è il “matrimonio di convenienza” o per le carte: Quando il matrimonio è contratto per facilitare l’inserimento
nel paese accogliente, si parla di “matrimonio facilitatore”. Il caso delle donne filippine che si sposano con un uomo
italiano è un chiaro esempio di questo.
2. Il “matrimonio riparatore” è l’unione che avviene dopo la nascita di uno o più figli. Questo tipo pare sia più diffuso in
alcune comunità e quando il padre è un italiano.
3. Il “matrimonio elettivo” viene contratto da due partner con diversa nazionalità per affinità affettiva, in questo caso
viene dato molto spazio al sentimento.
4. Quando il partner straniero viene spinto al matrimonio per la voglia di raggiungere la modernità dei Paese
occidentali, per conoscere culture diverse dalla propria il matrimonio è denominato “intellettuale”.
5. Il “matrimonio d’agenzia” o “negoziato” è più raro, ma presente, e consiste nella scelta da parte di un individuo, più
frequentemente maschio italiano, di scegliere la propria moglie tramite catalogo o foto.
6. Il “matrimonio per motivi culturali” infine, costituisce una via di fuga dal proprio gruppo, dalla famiglia, non
condividendo più i valori tradizionali.
L’analisi degli studiosi sulla famiglia mista si è focalizzata principalmente su tre aspetti:
• l’identità culturale dei due partner,
• i rapporti con la famiglia di origine
• l’educazione dei figli.
1.L’appartenenza a due culture diverse è stata riconosciuta come alta fonte di stress; può essere causa di
insoddisfazione della relazione, in quanto ognuno ha aspettative non similari rispetto al matrimonio. Anche per questo
le unioni coniugali miste sono viste come più soggette a fallimento.
2. rapporti con le famiglie di origine: Le reazioni della famiglia di origine al matrimonio misto del proprio figlio sono,
alquanto differenziate da coppia a coppia. Parlando della famiglia d’origine dell’immigrato, si crea certamente una
doppia rottura, la prima perché il figlio si sposa, la seconda perché il matrimonio in terra straniera sancisce la
decisione di una permanenza all’estero se non definitiva, almeno molto lunga. La famiglia di origine di entrambe è
comunque coinvolta in prima linea nell’unione coniugale, non solo per l’adattamento alla nuova situazione, ma perché
spesso devono fungere da cuscinetto tra la nuova coppia e la società d’origine. In alcuni casi, infatti, il matrimonio
misto costituisce un vero e proprio scandalo, per questo alcune coppie decidono di contratte il matrimonio lontano
dalle terre di origine. Altri, invece, per non dover affrontare le reazioni dei genitori, si sposano a loro insaputa,
mettendoli al corrente della situazione in un momento successivo. Altre coppie decidono di convivere per non dover
incorrere in critiche e risentimenti da parte delle loro famiglie d’origine. Altre coppie, poi, fanno uso di intermediari per
comunicare la notizia. Quando non c’è un totale rifiuto, emerge però sempre la preoccupazione dei genitori che
ritengono il matrimonio misto come meno solido e duraturo.
3. L’educazione dei figli: La nascita di un figlio rappresenta un evento critico in ogni famiglia, tanto più in questo tipo di
famiglie dove l’arrivo di un bambino tocca ambiti che vanno al di là delle dinamiche di coppia. La gestione delle
diversità culturale della coppia relativamente all’educazione dei figli, non è stata oggetto di molte indagini. Di solito i
genitori della famiglia mista fanno in modo che i figli si confrontino con entrambe le culture, l’identità etnica è quindi in
funzione della composizione etnica del contesto in cui sono inseriti. Rispetto ai bambini cresciuti in contesti
monoculturali i figli di coppie miste mostrano più apertura nei confronti degli altri gruppi etnici e delle diversità in
genere. Il problema dell’identità culturale è anche gravoso perché non ci sono modelli educativi cui i genitori possono
ispirarsi, devono inventare nuovi modi di relazionarsi con i figli, di affrontare aspetti fondamentali quali la religione o la
lingua.
Sono state identificate tre modi con cui i genitori di famiglie miste gestiscono l’educazione dei propri figli:
• a. la scelta biculturale
• b. l’assimilazione
• c. la negoziazione conflittuale
La scelta migliore è sicuramente la scelta biculturale. Le famiglie vengono definite in questo caso famiglie
cosmopolite, ed hanno una posizione socioculturale piuttosto elevata; la doppia cultura è gestita come una risorsa.
I figli vengono educati al rispetto e alla valorizzazione delle due radici culturali. Nessuna delle due culture prevale
sull’altra. Le decisioni fondamentali, quali quelle sulla religione, vengono rimandate a un periodo in cui sia il figlio
stesso a poter scegliere autonomamente.
Nel secondo caso, dell’assimilazione, la cultura cui appartiene il coniuge immigrato viene accantonata perché
considerata sconveniente per il Paese in cui vive la famiglia mista. Quasi sempre in questi casi si è in presenza di un
coniuge, in genere la donna, in condizione di debolezza e la cui cultura è considerata inferiore, oppure il Paese
ospitante viene identificato come razzista e chiuso nei confronti degli stranieri.
Il nome del bambino, la lingua utilizzata, i riferimenti culturali e quotidiani sono tutti conformi al paese in cui risiedono.
La scelta di accantonare una cultura è una forma di difesa nei confronti del figlio, ma la contropartita è alta, perché
significa la negazione e l’invisibilità sociale da parte di un genitore, della propria cultura e quindi di una parte di sé e
della propria storia familiare. Altro problema significativo emerge quando il padre è islamico, sono state infatti
riscontrate difficoltà nell’assunzione del ruolo paterno in un contesto così diverso da quello di origine. Per questo
anche in caso di scelta educativa di assimilazione, i padri assumono un ruolo più rigido con un controllo maggiore.
Nel terzo tipo, della negoziazione conflittuale, si situano le famiglie miste che vivono le scelte educative in modo
ostile. Nella maggior parte dei casi si tratta di coppie in cui il marito è straniero rispetto al paese ospitante e più
specificatamente musulmano. I primi conflitti si hanno nella scelta del nome. Altri scontri si possono generare su
aspetti fondamentali, quali la lingua o la circoncisione, la religione ma anche su questioni più quotidiane, come
l’alimentazione. Per alcuni padri la lingua è un aspetto fondamentale e la non conoscenza del proprio idioma da parte
del figlio, crea un vuoto per loro inaccettabile. Non avendo tempo essi stessi a insegnarla si rivolgono, quando
possibile, alle scuole, dove i bambini possono imparare la storia, le tradizioni e anche la lingua del paese paterno.
Quando il padre è straniero, quindi, il monolinguismo del figlio è poco accettato. Al contrario, quando è la mamma a
essere straniera, sembra un fatto naturale abbandonare la lingua ritenuta non funzionale e tantomeno prestigiosa per
il paese in cui vivono.
La tipologia biculturale è quindi la migliore, qui la famiglia è vissuta come luogo di incontro di due culture. Accettando
il fatto che il figlio per alcuni aspetti sia differente dall’immagine ideale che si erano creati, meno rispondente alle
caratteristiche che l’origine doveva garantire, riconoscono la legittimità della sua storia e dei suoi progetti, nonostante
non siano conformi ai propri. E’ così che la storia di due generazioni si intreccia creando una continuità costituita non
solo da affinità, ma anche da differenze amalgamate dall’amore, dal rispetto e dalla reciprocità.