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L’ambiente, le aspettative della famiglia, i canoni, le immagini che mostra la

società rispetto al corpo hanno fatto nascere in me un disturbo che viene


definito come ‘sensazione soggettiva di deformità o di difetto fisico, per la
quale il paziente ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo aspetto
rientri nei limiti della norma”.
L’idea che abbiamo di noi stessi si riflette al nostro esterno, in tutto ciò che
facciamo e gli altri lo percepiscono.
Se ti vedi in un determinato modo, anche gli altri cattureranno il tuo
malessere, le cose negative che vedi in te stesso.
Noi ci vediamo attraverso gli occhi degli altri e diventa un problema quando
non vuoi più farti guardare, perché piano piano anche tu non guarderai più
te stesso allo stesso modo.
lo sviluppo della dismorfofobia deriva da sensazioni di rifiuto o
inadeguatezza provate in famiglia durante l’infanzia, e in seguito rafforzate
all’interno della propria sfera sociale. Quando tutto sembra porre alla radice
del nostro essere il modo in cui appariamo, diventa più difficile non
rischiare di sprofondare in un’inadeguatezza patologica.
Tutto ciò ricorda il famoso libro Uno, nessuno e centomila, scritto da Luigi
Pirandello, in cui il protagonista Vitangelo Moscarda comincia una
battaglia contro il suo naso dove alla fine ci sarà un rifiuto totale dello
specchio, oggetto-simbolo dell’identità dell’essere umano.
Ma se Moscarda poteva decidere di allontanarsi per sempre da uno specchio,
non è così per gli adolescenti impegnati senza sosta in una continua gara
all’esserci. La teoria sociologica della devianza di Merton ci fa pensare
che ciò di cui si ha paura sia il non poter raggiungere i modelli imposti dalla
contemporaneità.
In questo caso la sanzione sociale sarebbe l’emarginazione, non ci si sente
adatti, ci sente diversi, non adeguati e in molti casi all’individuo vengono
affibbiate delle etichette dove piano piano iniziamo a riconoscersi.
L’errore più grande è scambiare l’etichetta con l’identità, per questo
dobbiamo ripeterci : ’noi non siamo l’etichetta’, molte volte sono dovuta
diventare analfabeta per qualche istante per potermi scordare come si legge
quell’etichetta incollata alla fronte, ma anche cieca, per non vedere quella
foto che la società mi ha scattato nel mio momento più buio.
Si tratta di un comportamento completamente diverso dalla vanità e dal
voler apparire al meglio. I diffusissimi filtri-bellezza virtuali sviluppano nel
dismorfofobico un approccio ossessivo, infatti mai la società ha smesso di
plasmare, creare e orientare il corpo.
ll corpo deviante è l’ultima grande modalità del corpo come costrutto
sociale e rimanda al corpo costruito invase alla sua devianza morfologica,
fisiologica o
comportamentale. Per devianza si intende qui lo scarto del corpo rispetto al
modello di corpo dominante nella società infatti all’interno di una
formazione sociale un gruppo dominante può imporre
come corpo corretto il proprio corpo medio. All’interno di una società
appena
complessa, un corpo può essere considerato deviante all’interno di un
gruppo, e non esserlo
più in altri contesti, e viceversa.
Ci sono due modalità del corpo deviante: il corpo deviante caratterizzato da
stigma fisico che
genera l’attribuzione di devianza corporea; e il corpo del deviante, dove
prevale la devianza sociale, che produce secondariamente anche
l’invenzione di una devianza fisica, dietro lo stigma si cerca la colpa, con
risultati devastanti per l’individuo.
Nel 2018 sono stati spesi negli Stati Uniti oltre diciassette-miliardi in
operazioni di chirurgia estetica e plastica, il 98% delle quali sulle donne.
Il corpo femminile è da sempre oggetto di modifiche strutturate per farlo
arrivare a degli standard di bellezza culturali e sociali, pensiamo ad esempio
alla Cina Imperiale dove i piedi venivano costretti in calzatura minuscole
per risultare più piccoli, o il punto vita che durante il diciannovesimo secolo
doveva essere molto più piccolo della proporzione intera del corpo,
abitudine che ci portiamo avanti anche oggi, al tempo si utilizzavano busti
con fini estetici, ma è con l’avvento dei social-network che il nostro corpo è
iniziato a diventare qualcosa di diverso, infatti prima, un lavoro legato alla
propria immagine esteriore che corrispondesse ad un pagamento era
riservato ad una piccolissima parte della popolazione, quella delle donne che
intraprendevano la carriera di attrici e modelle.
Con l’avvento dei social-network qualunque ragazza in qualunque parte del
mondo ha potuto e può osservare, guardare, confrontarsi con standard quasi
impossibili da raggiungere, sentendosi sbagliate.
Questo sentimento di adeguatezza porta il desiderio di cambiamento del
proprio corpo per somigliare, per avvicinarsi ad una presunta ‘perfezione’
che in realtà non esiste.
Proprio per questo non sembra un caso il fatto che tale disturbo si stia
manifestando sempre più spesso perchè viviamo in una società che
potrebbe essere definita come ‘narcisista‘. Propone e spesso impone
degli standard estetici molto rigidi che se non vengono rispettati
portano all’esclusione ed alla svalutazione. C’è quindi una forte
discrepanza tra l’immagine reale e quella ideale, la quale porta a
sentimenti di insoddisfazione ed inadeguatezza, oltre che ad instabilità
emotiva. Il dismorfofobico infatti si sente diverso perché crede di
avere qualcosa che non va, visibile per giunta da tutti. Teme di essere
giudicato per quella sua invisibile imperfezione e prova
inevitabilmente vergogna, un sentimento che con il passare del tempo
costringe la persona a mettersi da parte a diventare grigio in un mondo pieno
di colori, esso infatti toglie ed elimina i pigmenti dal proprio essere perché
preferisce diventare niente che essere tutto.
Il corpo viene percepito solo come un involucro da plasmare per non sentirsi
anormali, il corpo è diventato in questi ultimi anni quasi uno strumento
dove l’individuo continua a controllare le cose che funzionano e quelle che
non funzionano, cambiando, sostituendo, aggiustando i pezzi considerati
fuori posto.
Coloro che soffrono di dismorfismo corporeo non hanno la
minima idea, non conoscono la vera realtà del loro corpo
perché ne hanno una visione distorta, si focalizzano su un
dettaglio, un particolare, una parte specifica del loro corpo
che giudicano troppo piccola , troppo grossa e così via.
Questi individui soffrono, vorrebbero scomparire e non
sopportano l’idea di essere osservati, di essere visti dagli altri
nello stesso modo in cui vedono loro stessi.
Essi evitano gli specchi perché appena vedono il proprio
riflesso iniziano ad osservare ed analizzare i loro presunti
difetti e in quell’istante è come se si dimenticassero del loro
corpo,
perché si staccano dalla realtà e vedono loro stessi come se fosse la prima
volta.
L’immagine del proprio io diventa immutabile e allo stesso tempo così
plasmabile che la persona crede che il suo involucro possa peggiorare di
giorno in giorno.
Tutto ciò porta all’isolamento,
Poiché il soggetto dismorfofobico è convinto di avere un problema estetico,
talvolta evita di mostrarsi in pubblico, di recarsi a lavoro, a scuola e di
partecipare alle attività sociali.
Alcuni di quelli che presentano sintomi gravi escono di casa solo
di notte, mentre altri non escono affatto. Pertanto, questo
disturbo spesso porta all’isolamento sociale. L’angoscia
e le difficoltà associate a questo disturbo possono
portare a depressione, a ripetuti ricoveri, a un
comportamento suicidario e al suicidio.
È sempre difficile conoscere ed avere
consapevolezza piena di sé stessi, per questo ci
chiediamo spesso : ‘ Chi sono io? Chi è lui/lei?’.
La risposta è sempre in-definita, in continuo
cambiamento e dipende dal combinarsi del
riconoscimento dell’individuo e della società
L’ identità personale è l’insieme di tratti identitari che
rendono ciascun individuo unico e differente da tutti gli
altri, mentre l’ identità sociale comprende i caratteri che rendono un
individuo simile ad altri individui e deriva dall’appartenenza a un
gruppo, ad una categoria sociale.

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