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Publications de l'École française

de Rome

La simbologia del potere nelle città comunali lombarde : i palazzi


pubblici
Giancarlo Andenna

Riassunto
La parola palatium indicò sino al XIV secolo la sede del potere politico. I palazzi dei comuni padani furono costruiti tra il
1183 ed il 1250; in precedenza nelle medesime città esistevano delle domus consulum, ο delle case Credentiae, in quanto
gli unici palazzi cittadini erano quelli dei vescovi, edificati quando i presuli erano divenuti effettivi signori delle città, tra il
1130 ed il 1150, su precedenti domus episcopali. Molti palazzi comunali, simbolo del potere acquisito dall'istituzione
politica, furono in origine innalzati accanto alle cattedrali e solo in un secondo momento, quando i comuni cercarono di
sottoporre le terre ecclesiastiche alla tassazione, essi furono trasferiti, come nei casi di Novara e di Milano, in aree
separate. Il palazzo comunale del Duecento, nella sua semplicità strutturale, imitava le sedi del potere imperiale, i palacia
regni, ο meglio le laubie, edifici aperti e porticati al piano inferiore, a cui si sovrapponeva un'ampia sala chiusa ed
illuminata da finestre a bifora, ο a trifora, al piano superiore.

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Andenna Giancarlo. La simbologia del potere nelle città comunali lombarde : i palazzi pubblici. In: Le forme della
propaganda politica nel Due e nel Trecento. Relazioni tenute al convegno internazionale di Trieste (2-5 marzo 1993)
Rome : École Française de Rome, 1994. pp. 369-393. (Publications de l'École française de Rome, 201);

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GIANCARLO ANDENNA

LA SIMBOLOGIA DEL POTERE


NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE
I PALAZZI PUBBLICI

Bonvesin de la Riva, autore nel 1288 del De magnalibus urbis


Mediolani, nell'elogiare la sua città per la bellezza degli edifici,
descrisse la curia comunis di Milano, cioè lo spazio quasi quadrato,
ampio 10 pertiche, circa 6500-7000 metri quadrati, in cui erano
poste le sedi del potere,*con queste parole : «In eius medio mirabille
constat palatium; turris quoque est in ipsa curia, in qua sunt quat-
tuor comunis campane. In parte horientali est palatium, in quo sunt
potestatis et iudicum mansiones, in cuius fine a parte septentrionali
est potestatis capella in honore patroni nostri beati Ambrosii fabri-
cata, cui continuatur aliud a septentrione palatium, deinde ab
occidente similiter. A meridie quoque est atrium ubi condemnatorum
sententie publiée declarantur»1.
La tipologia e la funzione della cuna comunis milanese,
racchiusa dai palatia di servizio e dominata dalla mole centrale del

1 Per la citazione del De magnalibus seguo l'edizione, seppur ormai cente-


naria, del Novati, soprattutto per la presenza di un apparato critico ben
strutturato, Bonvicini De Rippa, De magnalibus urbis Mediolani, ed. F. Novati, in Bullet-
tino dell'Istituto storico italiano per il Medioevo, 20, 1898, p. 7-188, in particolare
p. 68; esistono pure altre edizioni, quali Bonvesin de la Riva, Grandezze di
Milano, a cura di A. Paredi, Milano, 1967 (Fontes Ambrosiani in lucem editi cura
et studio Bibliothecae Ambrosianae, 38); e la successiva ripresa in Bonvesin de
la Riva, De magnalibus Mediolani - Le meraviglie di Milano, a cura di M. Corti,
trad, di G. Pontiggia, Milano, 1974 (Nuova Corona, 1). Sui problemi relativi
all'edizione critica si veda G. Orlandi, Note sul «De magnalibus Mediolani» di
Bonvesin de la Riva. A proposito di un'edizione recente, in Studi medievali, s. 3, 18,
1976, p. 863-906; ed anche P. Dabbene, Contributi al testo del «De magnalibus
Mediolani» , in Archivio storico lombardo, 107, 1981, ma 1984, p. 9-40; per uno
studio sull'autore e sulla sua opera B. Sasse Tateo, Tradition und Pragmatik in
Bonvesin «De Magnalibus Mediolani». Studien zur Arbeitstechnik und zum
Selbstverständnis eines Mailänder Schrifstellers aus dem späten 13. Jahrhundert ,
Francoforte S. M., 1991 (Europäische Hochschulschriften : Reihe 3, Geschichte und ihre
Hilfswissenschaften, 452); infine per una approfondita discussione sui temi
trattati dalla fonte e per un rimando esaustivo a tutta la precedente bibliografia si fa
riferimento al bel lavoro di P. Tomea, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a
Milano nel Medioevo. La leggenda di San Bamaba, Milano, 1993 (Bibliotheca
Erudita. Studi e documenti di Storia e Filologia, 2), p. 99-101 e n. 97.
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palatium comunis e dalla sua torre con le campane, che scandivano


il tempo del lavoro e le ore delle riunioni amministrative e delle
sedute processuali, sono evidenti : al termine degli anni di dominio
signorile dell'arcivescovo Ottone Visconti per il professore di
grammatica milanese quello spazio era legato solo all'attività dei giudici,
ai processi civili e penali, alla residenza del potere podestarile, alla
amministrazione dei beni comuni, ma non più all'attività politica e
legislativa dei cittadini. Era l'esito finale di un lungo processo di
decadenza di funzioni politiche, prima che, durante il periodo di
Matteo e Giovanni Visconti, scomparisse a Milano e nelle città
dominate dalla famiglia lombarda la medesima espressione di
palatium comunis, per essere sostituita dalla parola broletum. Tale
mutamento, che attuava un voluto scambio tra contenente e
contenuto, giacché il broletum, ο broilum, ο brolum, cioè spazio recintato,
era il luogo in cui sorgeva il palatium, concludeva in senso negativo
un lungo processo, iniziato subito dopo 1ä pace di Costanza, di
costruzioni di palazzi comunali come sedi del potere legislativo,
esecutivo e giudiziario dei Comuni, finalmente riconosciuti dal
Barbarossa all'interno dell'istituzione feudale dell'Impero.
Nel cinquantennio che va dalla dominazione di Ottone Visconti
a quella del nipote Giovanni, in parallelo con l'eliminazione dei
paratici e del loro ruolo politico, con la crisi e la fine dell'esperienza
del Comune di popolo, con la drastica riduzione del numero dei
rappresentanti nei consigli di Credenza, nelle città della Lombardia
viscontea scomparve per i palazzi comunali il loro significato
originario di luoghi demandati all'esercizio del potere politico,
soprattutto nella sua funzione legislativa, e pertanto essi persero
lentamente la qualifica di palatium comunis, con la quale erano stati
designati nella prima fase della loro esistenza, durata circa un
secolo e mezzo2. La parola «broletto», che ebbe la ventura di
sostituire il termine politicamente più rilevante di palacium, era presente
ed utilizzata da molto tempo ed anche nella prima fase del periodo
consolare, ma per i notai comunali del Duecento essa indicava solo
lo spazio recintato, entro il quale sorgeva il palacium, e mai la
medesima sede del potere3.

2 Per queste valutazioni relative al modo con cui i Visconti nella prima metà
del Trecento attuarono la loro signoria in contrasto con le istituzioni del
precedente mondo comunale rimando per ora alla lucida sintesi di G. Tabacco, La
storia politica e sociale. Dal tramonto dell'impero alle prime formazioni di stati
regionali, in Storia d'Italia, 2/1, Torino, 1974, p. 162-269; e allo studio
programmatico di G. Chittolini, La crisi delle libertà comunali e le origini dello stato
territoriale, in Rivista storica italiana, 82, 1970, p. 105 ss., ora ripubblicato in Id., La
formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado (secoli XIV-XV), Torino,
1979, p. 3-36.
3 Per il significato della parola «broletto» rimando alla scheda di C. Mana-
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 371

La storia dei palazzi comunali della pianura padana fu, come


tutte le vicende degli organismi viventi, inizialmente progressiva; le
più precoci testimonianze risalgono all'ultimo decennio del XII
secolo, ο agli anni iniziali del secolo successivo. Tuttavia la fase
progressiva durò sino agli anni 1220-1250, decenni in cui furono
edificati, a volte anche in luoghi diversi dal palacium vêtus, i manufatti
che le fonti indicano con l'espressione di palacium novum com-
munis; in seguito, dopo una fase di stabilità durata più di un
cinquantennio, la storia dei palazzi comunali divenne regressiva, sino
alla scomparsa, non dell'edificio, ma della funzione, e quindi anche
del concetto, del simbolo a cui la parola si riferiva.
Nella breve relazione che seguirà si cercherà di delineare questa
vicenda evolutiva dei palazzi comunali, che nella Lombardia
medievale è stata storia di una sconfitta; per la delineazione dell'area
geografica si terrà conto solo delle città che nei trattati politici della
Lega Lombarda furono indicate come civitates Lombardie e furono
dai contemporanei ben distinte dalle civitates Marchie Veronensis e
da quelle della Romania, ο Romandiola. Secondo questo criterio le
città della Lombardia medioevale furono : Alessandria, Tortona,
Asti, Vercelli, Novara, Pavia, Milano, Bergamo, Brescia, Lodi, Corno,
Cremona, Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Mantova e per certi
aspetti Bologna4.

resi, Sede degli uffici dei consoli del comune e del podestà, in Introduzione, in Gli
atti del Comune di Milano fino all'anno 1216, Milano, 1919, p. L-LIII; ma si veda
anche G. Soldi Rondinini, Evoluzione politico-sociale e forme urbanìstiche nella
Padania dei secoli XII-XIII : i palazzi pubblici, in La pace di Costanza. 1183. Un
diffìcile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero. Atti del Convegno Milano-
Piacenza 27-30 aprile 1983, Bologna, 1984, p. 85-98. La prima volta che a Milano
compare la parola broletto è in un documento pubblico del novembre 1021 :
«civitate Mediolanium ad broilum domui sancti Ambrosii in caminata maiore
prope balneum quod dicitur stuva». In quel luogo, posto davanti alla residenza
dell'arcivescovo Ariberto da Intimiano, che diede il proprio assenso, il marchese
Ugo, conte del «comitatus mediolanensi», pronunciò una sentenza, salva
querela, favorevole al monastero di Sant'Ambrogio; cfr. I placiti del «Regnum Ita-
liae», Ü7II, a cura di C. Manaresi, Roma, 1958 (Fonti per la Storia d'Italia, 96**),
p. 624-625. Dunque nel broletto dell'arcivescovo, almeno dai primi anni dopo il
mille, era abitudine celebrare i processi, infatti ancora nel 1125 «in broleto, iuxta
domum archiepiscopatus» fu risolta una causa ecclesiastica per cui si veda
C. Vignati, Codice diplomatico laudense, I, Milano, 1883, n. 85, p. 113. Per le
questioni terminologiche rimando ad una prima, seppur imprecisa analisi,
ordinata da F. Reggiori, Aspetti urbanistici ed architettonici della civiltà comunale, in
/ problemi della civiltà comunale. Atti del Congresso storico intemazionale per
IVIII centenario della prima Lega lombarda (Bergamo 4-8 settembre 1967), a cura
di C. D. Fonseca, Milano, 1971, p. 97-110, in particolare 104.
4 Un primo elenco di città di Lombardia, distinto da quelle della Marca
veronese, della Venezia e del Ferrarese si ritrova nel giuramento di alleanza del
1 dicembre 1167 Manaresi, Gli atti del Comune di Milano, cit., p. 84-85 : esse
sono Cremona, Brescia, Bergamo, Milano, Piacenza, Lodi, Parma, Mantova. Nel
372 GIANCARLO ANDENNA

Ma prima è necessario indicare quale sia stata la storia della


parola palatium : agli inizi del Novecento il Diepenbach ha
affermato che il termine ebbe, dal periodo tardo antico sino all'età
franca, ben undici significati. Sono troppi da illustrare entro una
relazione destinata a durare trenta ο quaranta minuti. Risulta
necessario allora servirsi dei lavori di Carlrichard Brühl, che, oltre alla
poderosa ricerca sul fisco del regno italiano dal titolo Fodrum,
gistum, servitium regis5, annovera anche nella sua produzione
scientifica un simpatico articolo dal titolo «Palatium» e «civitas» in Italia
dall'epoca tardoantica fino all'epoca degli Svevi6, il primo di una
lunga serie. In esso, dopo aver ricordato che palatium derivava
originariamente da Palatinum, cioè il colle di Roma in cui ebbero sede
durante l'età classica gli imperatori, l'Autore opera una perfetta
distinzione tra palatium, edificio che ospitava il massimo potere, e
praetorium, residenza dei praesides, ο governatori imperiali. Ad
esempio, sembra certo che Teodorico a Ravenna abbia solo
restaurato ed ampliato l'antico palazzo imperiale ad Laureta; al contrario a
Pavia e a Verona il re goto dovette trasformare dei precedenti prae-
torìa in palatia1.

1168 entrarono a far parte della Lega Novara, Comò, Vercelli, Asti, Alessandria,
Tortona, ibidem, p. 87-96; il 14 dicembre 1168 si fece menzione di una adesione di
Reggio e di Modena, ibidem, p. 97-98; nel 1170 anche Pavia accettò l'alleanza con
i Lombardi, ibidem, p. 114-115; Bologna è indicata tra le città della Lega, ma in
posizione intermedia tra Ferrara e le civitates di Lombardia nel marzo-aprile
1168, tuttavia il 3 maggio 1168 a Lodi essa appare come città lombarda, ibidem,
p. 91-96. La distinzione precisa tra «civitates Lombardie et Marchie et Venetie et
Romanie», appare per la prima volta in un atto rogato a Cremona il 24 ottobre
1169, ibidem, p. 99-100. Per questi problemi rimando all'ancor utile lavoro di
C. Vignati, Storia diplomatica della Lega lombarda, Milano, 1867, p. 98-188.
5 C. Brühl, Fodrum, gistum, servitium regis. Studien zu den wirtsschaftlichen
Grundlagen des Königtums im Frankenreich und in den fränkischen
Nachfolgestaaten Deutschland, Frankreich und Italien vom 6. bis zur Mitte des 14.
Jahrhunderts, Colonia-Graz, 1968.
6 C. Brühl, «Palatium» e «civitas» in Italia dall'epoca tardo-antica fino
all'epoca degli Svevi, in I problemi della civiltà comunale, cit. η. 3, p. 157-165; Brühl,
// «palazzo» nella città italiana, in La coscienza cittadina nei Comuni italiani del
Duecento. Atti dei Convegni del Centro studi sulla spiritualità medievale di Todi,
11-14 ottobre 1970, Todi 1972, p. 263-282; ma anche Brühl, Die Stätten der
Herrschaftsausübung in der frühmittelalterlichen Stadt, in Topografia urbana e vita
cittadina nell'alto Medioevo in Occidente. Atti della XXI Settimana di studio del Centro
italiano di studi sull'alto Medioevo, Spoleto, 26 aprile-I maggio 1973, II, Spoleto,
1974, p. 621-640. Per Milano, Brühl, Die Stätten der Herrschaftsausübung in
Mailand von der Spätantike bis zum hohen Mittelalter, in Atti dell'XI Congresso
internazionale di studi sull'alto Medioevo, Milano, 26-30 ottobre 1987, II, Spoleto, 1989,
p. 855-883.
7 Per questi problemi si veda anche K. M. Swoboda, Römische und
romanische Palaste, Vienna, 1969, 3a edizione; B. Thordemann, Was wissen wir von
den Palästen zu Ravenna?, in Acta archeologica, 37, 1966, p. 1 ss.; M. Cagiano de
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 373

Con il periodo longobardo i palazzi dei sovrani si moltiplica-


rono, poiché i diplomi regi testimoniano poiana a Pavia, Benevento,
Spoleto, Monza e Milano, quest'ultima città già sede di un
antichissimo palazzo del periodo della tetrarchia8. Per Verona la
testimonianza è fornita dalle pagine di Paolo Diacono9.
Anche i Franchi dopo il 774 mantennero in funzione in Italia gli
antichi palazzi dei re longobardi, anzi con un capitolare dell'832
Lotario I il sovrano ordinò ai suoi messi dominici di ricercare e di
restaurare nelle diverse città del regno palatia vel publicae domus10.
Nel suo studio il Brühl ritiene che con queste due ultime parole si
indicassero, ancora nei primi decenni del IX secolo, i vecchi prae-
toria del periodo tardo-antico11. Se fosse vera questa logica
supposizione, si potrebbe a buon diritto sostenere che molte città italiane
ebbero il loro palatium, derivato da antichi edifici pubblici, utilizzati
alla fine del periodo classico come residenze dei governatori.
Inoltre i medesimi Franchi svilupparono un nuovo modello di
palatium, la Klosterpfalz, ο palazzo abbaziale : i più celebri esempi di
queste residenze del potere regio ed imperiale furono quelli di Saint
Denis, di Farfa, di Nonantola12. Probabilmente di origine più tarda
furono i palazzi abbaziali di San Zeno di Verona, collocato sul
fianco sinistro della basilica13, e quello di Santa Giulia di Brescia,
ubicato, secondo testimonianze più recenti e non precedenti il XII

Azevedo, / palazzi tardo antichi e altomedievali, in Casa, città e campagna nel


tardo-antico e nell'altomedioevo. Scrìtti di Michelangelo Cagiano de Azevedo, a cura
di C. D. Fonseca, D. Adamesteanu e F. D'Andria, Galatina, 1986 (Università di
Lecce. Scuola di specializzazione in archeologia classica e medievale.
Archeologia e storia, 1), p. 265-278, in particolare p. 268-269. Infine C. Frugoni, Una
lontana città. Sentimenti e immagini nel Medioevo, Torino, 1983, p. 40-48.
8 Brühl, Die Stätten der Herrschaftsausübung in Mailand, cit., p. 866-867;
Brühl, Fodrum, gistum, servitium régis, cit., p. 355-356.
9 Si veda ancora Brühl, Fodrum, gistum, servitium régis, cit., p. 357; Pauli
Diaconi, Historia Langobardorum, éd. G. Waitz (MGH, Scriptores rerum lango-
bardicarum et italicarum), Hannover, 1878, 1. II, c. 28, p. 87-88: 1. III, c. 30,
p. 110.
10 Brühl, Fodrum, gistum, servitium régis, cit., p. 412-413; il capitolare di
Lotario I del febbraio 832, in Capitularia regum Francorum, ed. A. Boretius e
V. Krause, II, 2, Hannover, 1893, η. 202, c. 7, p. 67 (MGH, Legum sectio II). Il
capitolare fu ripreso da Ludovico II, in una riunione dell'850 a Pavia, ibidem,
n. 212, e. 7 «Qualiter palatia nostra, quae longa vetustate vel negligentia sunt
obsoleta, reparentur atque reficiantur, comitum nostrorum consultus inqui-
ritur».
" Brühl, «Palatium» e «civitas», cit., p. 160.
12 Ibidem.
" G. M. Varanini, G. Maroso, I palazzi abbaziali del monastero di San Zeno
di Verona nella documentazione d'archivio (XII-XIV secolo), in La torre e il palazzo
abbaziale di San Zeno. Il recupero degli spazi e degli affreschi, Verona, 1992,
p. 43-63.
374 GIANCARLO ANDENNA

secolo, entro le mura della città e nello spazio antistante la basilica


monastica, probabilmente sul lato sinistro, per chi guarda, dalla
facciata14. Gli altri palazzi abbaziali erano posti lontano dalle città,
come nei casi di Farfa e di Nonantola, ο fuori le mura, come quello
fatto costruire da Ottone I fuori porta San Lorenzo a Ravenna,
presso il cenobio di San Severo, ο quello eretto da Carlo Magno sul
colle Vaticano; ma in quest'ultimo caso la questione è più complessa
in quanto vi è implicato il Constitutum Constantini, con la pretesa
cessione fatta dall'imperatore al papa Silvestro I del Lateranense
palatium e con la proibizione per il sovrano di poter possedere uno
spazio per l'esercizio del potere là ove risiede, ed è stato posto da
Dio, il caput christianae religionist.
Ma non è qui il caso di seguire la questione dei palatia del tardo
impero; mette conto invece notare che nella prima metà dell'XI
secolo Milano, Ravenna, Verona, Lucca, città frequentate dalla corte
imperiale germanica, ebbero dei nuovi palazzi regi, non più ubicati
entro le mura, ma fuori dalle stesse16. Da questo spostamento
trassero concreti vantaggi sia le città, sia i sovrani : gli imperatori ed i re
evitavano infatti i pericoli di essere assediati, senza alcuna
possibilità di fuga, dai cittadini in rivolta. Si pensi alla distruzione nel 1024,
alla morte di Enrico II, del palazzo intramuraneo di Pavia17, ο alla
insurrezione del medesimo popolo pavese nel 100418, oppure alle
rivolte di Ravenna nel 1026 e di Parma nel 1037 19. Al contrario i
cittadini si liberavano dal gravame degli alloggiamenti della truppa e del
seguito imperiale ed acquisivano maggiore autonomia interna.
Seguendo questa logica Enrico V promise ai Cremonesi e ai Manto-

14 G. Andenna, II monastero e l'evoluzione urbanistica di Brescia tra XI e XII


secolo, in Santa Giulia di Brescia. Archeologia, arte, storia di un monastero regio
dai Longobardi al Barbarossa. Atti del Convegno storico di Brescia, 4-5 maggio
1990, Brescia, 1992, a cura di C. Stella e G. Brentegani, p. 93-118, in particolare
p. 115, n. 2.
15Brühl, «Palatium» e «civitas», cit., p. 161.
16 Per i palazzi regi nel X e nell'XI secolo in Italia centrosettentrionale
Brühl, Fodrum, gistum, servitium régis, cit., p. 485-487.
17 Ibidem, p. 491, per la distruzione del palazzo di Pavia nel 1024, di cui si
veda Wipo, Gesta Chuonradi II imperatorìs, ed. H. Bresslau (MGH, Scriptores
rerum Germanicarum), Hannover, 1915, e. 7, p. 30; A. Settia, Pavia nell'età
precomunale, in Storia di Pavia. IH. Dal libero Comune alla fine del principato
indipendente, I, Pavia, 1992, p. 9-25, in particolare p. 11-13.
18 F. Quintavalle, La sommossa e l'incendio di Pavia nell'anno 1004, in
Bollettino della Società pavese di storia patria, 1, 1901, p. 389-430, in particolare
p. 495-496.
19 Per le rivolte di Ravenna e Parma si veda Brühl, Fodrum, gistum,
servitium régis, cit., p. 490, η. 201.
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 375

vani di trasportare il palazzo regio dall'interno all'esterno delle


mura 20
Con la restaurazione del potere imperiale, perseguita da
Federico I, si ebbe nel 1158 una specifica legislazione sui palatici durante
l'assise di Roncaglia. «Palatia et praetorìa habere débet princeps in
locis in quibus ei placuerit»21, ma intanto il sovrano rivendicava
nell'elenco degli tura regalia i «palatia in civitatibus consuetis»22. Di
certo Federico I fece erigere numerosi palazzi, non solo in città, ma
anche entro castelli come Garda, Prato e Chieri, contribuendo con
forza alla diffusione dell'espressione palacium castri che, come ha
dimostrato il Settia, indica alla fine del XII secolo la parte più
munita, e pertanto sede del potere, delle fortezze23.
Il desiderio che il sovrano svevo ebbe di costruire palacia era
così noto che i Milanesi nel 1162, prima della capitolazione, gli
promisero di erigere a loro spese «palatium quantum et ubi vellet, sive
infra, sive extra civitatem»24. Era infatti abitudine che gli imperatori
risiedessero, quando si trovavano a transitare nelle città in cui non
possedevano il palazzo, nella residenza del vescovo e tale diritto
consuetudinario fu accampato negli anni cinquanta del XII secolo dai
legati del Barbarossa, tanto che nel 1159 Adriano IV contestò
l'abuso, ma ebbe come risposta dalla Cancelleria sveva una lettera in
cui, dopo aver accettato in parte le rimostranze papali, il sovrano

20 Per Cremona ibidem, p. 493, n. 215; il testo del precetto 3 giugno 1114 in Le
carte cremonesi dei secoli VIII-XII. IL Documenti dei fondi cremonesi (1073-1162),
ed. E. Falconi, Cremona, 1984, p. 90 (Ministero per i Beni Culturali e Ambientali,
Biblioteca Statale di Cremona, Fonti e sussidi, 1/2), «ut extra muros civitatis
eorum deinceps palatium et hospitium nostrum habeamus»; per Mantova,
Brühl, Fodrum, gistum, servitium régis, cit., p. 493, η. 216; l'edizione ultima del
privilegio del 10 maggio 1116 in Liber prìvilegiorum Comunis Mantue, a cura di
R. Navarrini, Mantova, 1988 (Fonti per la storia di Mantova e del suo territorio,
1), n. 6, p. 105-106, «Insuper palacii cum toto munimine destruendi et extra
civitatem deferendi in burgo Sancii Johannis Evangeliste damus potestatem».
21 Brühl, Fodrum, gistum, servitium regis, p. 605, 776-777; il testo della legge
in V. Colorni, Le tre leggi perdute di Roncaglia (1158) ritrovate in un manoscritto
parigino (Bibl. Nat. Cod. tat. 4677), in Scritti in memoria di Antonino Giuffré,
Milano, 1966, p. 3-60, in particolare p. 33.
22 Brühl, Fodrum, gistum, servitium regis, p. 606; vedi il testo in Fredericì I
Constitutiones , in Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, ed.
L. Weiland, I, Hannover, 1893, η. 175, p. 245 (MGH, Legum, sectio IV).
23 Brühl, Fodrum, gistum, servitium regis, p. 589-591; per Garda, Prato e
Chieri si veda ibidem, p. 613-614; inoltre A. Settia, Castelli e villaggi nell'Italia
padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli, 1984,
p. 384-390, in particolare p. 385.
24 Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, I, Hannover, 1893,
η. 203, p. 279 (MGH, Leges, sectio IV); A. Haverkamp, Herrschaftsformen der
Frühstaufer in Reichsitalien, I, Stuttgart, 1970, p. 106; Brühl, Die Stätten der
Herrschaftsausübung in Mailand, cit., p. 879.
376 GIANCARLO ANDENNA

stabiliva che il vescovo aveva diritto a rifiutare l'albergaria solo se il


palazzo episcopale fosse stato costruito « in suo proprio solo et non
in nostro», giacché in quest'ultimo caso la residenza edificata su
terra demaniale, ο fiscale, era da considerarsi di piena proprietà
regia25.
Anche i vescovi ebbero dunque alla metà del XII secolo dei
palazzi entro le città di cui erano domini, ο della cui diocesi erano
titolari; si pensi ai casi di Cremona26, di Milano27, di Parma28, di

25 Brühl, Fodrum, gistwn, servitium regis, p. 653-654, n. 374; il testo del


dibattito è in Ottonis et Rahewini, Gesta Frìderici I imperatoris, ed. G. Waitz,
Hannover, 1912 (MGH, Scriptores rerum germanicarum in usum scholarum, 46),
p. 276-278.
26 Per Cremona la documentazione permette di sostenere che si passa, prima
della metà del XII secolo, alla costruzione di un palacium episcopi, il quale
sostituisce l'antica domus episcopi. Infatti il 15 dicembre 1041 il vescovo di Cremona,
Ubaldo, agiva «in domo ipsius episcopio», detta anche il 25 settembre 1045
«domo ipsius civitatis», in quanto è luogo di attività economica e giuridica del
medesimo presule : cfr. Le carte cremonesi dei secoli VIII-XII, edizione a cura di
E. Falconi, I, Documenti dei Fondi Cremonesi (759-1069), Cremona, 1979
(Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Biblioteca Statale di Cremona. Fonti e
sussidi, 1/1), 15 dicembre 1041, n. 180, p. 456-459; 25 settembre 1045, n. 186,
p. 469-470. Invece il 24 gennaio 1120 il presule cremonese Oberto agiva per
interessi economici della sua Chiesa «in civitate Cremona, in caminata episcopi»;
giacché il termine caminata appare nel XII secolo come sinonimo di palacium, è
possibile sostenere che i presuli abbiano costruito un palazzo, tenuto conto
anche della testimonianza del 18 ottobre 1138, giorno in cui il medesimo presule
realizzò un breve di investitura «in palatio domini episcopi» : cfr. Le carte
cremonesi, cit., II, Documenti dei Fondi Cremonesi (1073-1172), Cremona, 1984 (Fonti e
sussidi, 1/2), 24 gennaio 1120, n. 277, p. 114-116; 18 ottobre 1138, n. 317,
p. 183-184.
27 Per Milano la domus archiepiscopatus è ancora testimoniata nel 1125,
come emerge dalla n. 3 del presente lavoro; al contrario nel documento giugno
1143, contenente la sentenza dei consoli di Milano nella causa tra canonici e
monaci di Sant'Ambrogio, l'originale parla di una «domo iamdicti archiepi-
scopi», mentre la copia, di qualche tempo posteriore, ha l'espressione «venerunt
cum ambabus partibus in palacio domini Robaldi Mediolanensis archiepiscopi»,
Gli atti del Comune di Milano, cit., η. IX, p. 16-18. Si tratta certamente del «pal-
latio veteri archiepiscopatus Mediolani», in cui il 17 aprile 1246 era attivo il
legato Gregorio da Montelongo, cfr. Gli atti del Comune di Milano nel secolo XIII
(1217-1250), a cura di M. F. Baroni, Milano, 1976, n. CDLXXI, p. 690-692.
Tuttavia un pallacium novum era già in funzione il 20 dicembre 1223, quando un
atto di una magistratura comunale fu scritto «in civitate Mediolani supra palla-
cium novum domini archiepiscopi», ibidem, n. CVIII, p. 166-167. Si veda inoltre
Brühl, Die Stätten der Herrschaftsausübung in Mailand, cit., p. 882-883, che
ricorda un intervento edilizio dell'arcivescovo Galdino, il quale «palatium, quod
inimici diruerant, longe excellentius miroque décore et ornatu reparavit», Vita
Sancii Galdini, e. 7, in Ada sanctorum, aprilis, II, col. 594.
28 Per la costruzione del palazzo episcopale di Parma si veda Salimbene de
Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, I, Bari, 1966, p. 99, 101 : «Anno domini
MCCXXXIII murabatur palatium Parmensis episcopi (...) super murum palatii
episcopi, quod tune temporis edificabatur». Si trattava di certo del secondo
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 377

Reggio29 di Vercelli30, di Verona31 e di Novara. In quest'ultimo


esempio un'ampia documentazione archivistica per i secoli X-XII
permette di sostenere che la residenza del vescovo, denominata
domus episcopi sino ai primi anni del XII secolo, dopo la
costruzione negli anni quaranta di un imponente edificio presso la
cattedrale, struttura tuttora esistente, fu indicata con l'espressione
solenne di palacium novum episcopi. In esso il vescovo Litifredo
risiedeva al piano superiore, ove era pure ubicata la caminata e la
loggia, ο laubia, dia eleganti bifore, in ampi ambienti le cui pareti
erano completamente dipinte con scene bibliche. Al pianterreno del
medesimo edificio erano state realizzate tre sale, adatte alle riunioni
delle curie ecclesiastiche e feudali del presule; nella prima si apriva
la cappella, dedicata a San Siro e interamente dipinta durante
l'episcopato del presule Bonifacio, tra gli anni settanta e gli anni novanta
del XII secolo, quando il vescovo ricoperse a lungo la funzione di
giudice imperiale per ordine di Federico I e di giudice ecclesiastico
per conto dei pontefici romani. Le pitture rappresentavano gli
episodi della vita del santo vescovo pavese Siro ed il pittore si
soffermava soprattutto sulle scene di incontro tra il presule di Pavia ed i
cittadini, mentre sullo sfondo erano delineate città turrite le cui
porte spalancate erano affiancate da torri gemelle. Nelle sale terrene
del palazzo, sulle cui pareti erano dipinti santi vescovi e milites, e nel
cortile antistante l'edificio, lungo il fianco meridionale della
cattedrale, il vescovo convocava i suoi vassalli, presiedeva la cuna dei
pares, amministrava l'alta giustizia con i suoi giudici, in quanto dal

palazzo episcopale, infatti il 15 settembre 1178 i rettori della Lega lombarda si


incontrarono a Parma «in pallatio episcopi Parme» per esaminare un processo
relativo ai problemi del territorio comasco e per pronunciare una sentenza
favorevole all'abate di Sant'Ambrogio di Milano, Gli atti del Comune di Milano,
n. CXVIII, p. 162-163.
29 Anche per Reggio esiste una notizia relativa al palazzo episcopale in
Salimbene de Adam, Cronica, p. 38, riferibile ad anni posteriori al 1211, durante
l'episcopato del padovano Nicola dei Maltraversi : «Maius palatium episcopii
Regini fieri fecit». Tuttavia anche in questo caso si trattava di un nuovo palazzo,
che sostituiva, ο integrava, quello precedente, testimoniato il 31 agosto ed il 23
ottobre 1199 come sede del vescovo Pietro, il quale pronunciò una sentenza
contro il Comune di Cremona, che aveva tolto la corte di Guastalla all'abate di
San Sisto di Piacenza : «in Regio, in pallacio domini episcopi, in porticu novo»,
cfr. Le carte cremonesi, cit., IV. Documenti dei fondi cremonesi, Cremona, 1988
(Fonti e sussidi, 1/4), nn. 834, 835, 836, p. 432-436.
30 II presule vercellese Alberto fu presente il 12 gennaio 1194 «in palatio ver-
cellensis episcopi » per assistere come testimone alla pace tra Cremonesi e
Milanesi, cfr. Gli atti del Comune di Milano, n. CLXXXII, p. 257-258.
31 Per il palazzo vescovile di Verona, testimoniato nel 1168, si vedano i lavori
di L. Simeoni, Documenti e note sull'età precomunale e comunale a Verona, in Id.,
Studi su Verona nel Medioevo, I, Verona, 1959, come volume da Studi storici
veronesi, VIII/I, 1957-1958, p. 56, n. 36.
378 GIANCARLO ANDENNA

periodo ottoniano egli era titolare dello ius distringendi sul territo-
rium civitatis, esteso per circa tre miglia fuori le mura32.
A Milano nel 1140 una sentenza dei consoli fu pronunciata «in
via publica ante portam domus archiepiscopi», ma nel documento
giugno 1143, contenente la sentenza dei consoli nella causa tra
canonici e monaci di Sant'Ambrogio, l'atto originale parla di una «domo
iamdicti archiepiscopi», mentre la copia, di qualche tempo
posteriore, presenta l'espressione «venerunt cum ambabus partibus in
palacio domini Robaldi Mediolanensis archiepiscopi»33. Inoltre nel
caso di Cremona si parla di un palatium episcopi almeno dal 1138,
mentre in precedenza la residenza del presule era indicata come
domus. 34 Anche a Verona la sede vescovile era espressa con la parola
palatium, almeno a partire dal 1168, ed è celebre la riunione dei
rettori di Milano, Brescia, Mantova, Vercelli, Novara, Verona e Treviso
tenutasi «in palacio episcopi Veronensis» il 27 aprile 119835.
Sembra dunque di poter affermare che durante il periodo di
carenza imperiale in Italia, tra gli anni trenta e gli anni cinquanta
del XII secolo, alcuni vescovi della Padania rafforzarono la propria
immagine di signori delle città, sia accettando la nascita del
Comune, sia sovraintendendo allo sviluppo della medesima
istituzione comunale, sia ponendosi al di sopra di essa con l'edificazione
presso la cattedrale di un loro palatium, ο con la ricostruzione, se la
risposta imperiale del 1159 ha un senso, di un antico edificio del
regno.
In questi cinquant'anni di profonde trasformazioni, che vanno
dal 1133 al 1183, erano pure attive, negli stessi spazi, le magistrature
consolari, le quali assumevano le più importanti decisioni politiche,
pronunciavano le sentenze e amministravano i beni comuni;
tuttavia questi rappresentanti del potere cittadino, cresciuti e
rafforzatisi all'ombra dell'episcopio, ebbero anch'essi, accanto alla catte-

32 Per Novara mi si permetta il rimando alle ricerche di G. Andenna,


Castello, strutture difensive, fortificazioni della città e dei borghi di Novara, in Castelli,
fortificazioni, rocche, ricetti del Novarese, in Da Novara tutto intorno, Torino,
1982, p. 76-81; Andenna, Honor et ornamentum civitatis. Trasformazioni urbane a
Novara tra XIII e XVI secolo, in Museo Novarese. Documenti, studi e progetti per
una nuova immagine delle collezioni civiche, a cura di M. L. Gavazzoli Tornea,
Novara, 1987, p. 50-73; Andenna, Un palazzo, una cappella, un affresco. Tre
indagini sulle rappresentazioni visive del potere ecclesiastico e civile a Novara tra XII e
XIV secolo, in L'oratorio di San Siro in Novara. Arte, storia, agiografia tra XII e XIV
secolo, Novara, 1988, p. 74-93, in particolare p. 74-84.
33 Vedi nota 27 del presente lavoro.
34 Vedi nota 26 del presente lavoro.
35 Vedi nota 31 del presente lavoro; per la riunione del 27 aprile 1198, Gli atti
del Comune di Milano, cit., η. CCIII, p. 287-288.
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 379

drale e alla dimora del vescovo la loro prima sede, spesso designata
con i termini di casella, ο di domus.
L.sl prima domus consulatus è attestata a Milano avanti il 1138
all'interno del broiletum dell'arcivescovo, presso la chiesa che da
sola personificava la tradizione apostolica della diocesi milanese,
quella dedicata a San Barnaba36. La domus dei consoli milanesi
consisteva in una costruzione probabilmente porticata e certamente
solariata, al cui piano superiore si accedeva per mezzo di una scala
esterna37. Tuttavia l'edifìcio non era in grado di ospitare molte
persone, né tantomeno la concio, ο assemblea di tutti i cittadini, che
veniva regolarmente convocata nel broilum dell'arcivescovo, presso
la domus consularie, cioè, per esprimersi con il linguaggio dei notai,
«iuxta ecclesiam Sancii Barnabe apostoli, intus broiletum», oppure
in caso di maltempo nella vicina chiesa cattedrale di Santa Teda38.
Anche a Novara la domus Credentie, ο casa consulum, era posta
avanti il 1208 lungo il fianco settentrionale della cattedrale, a pochi
metri dalla parete della chiesa : era probabilmente porticata ed era
dotata di una ampia sala al piano superiore, tuttavia la concio si
teneva anche in questo caso nella chiesa matrice della diocesi39. Tale
costume durò sin dopo la pace di Costanza, quando l'imperatore
riconobbe ai Comuni il diritto di eleggersi i consoli, di amministrare
la giustizia nelle cause di primo appello, di godere dei proventi degli
iura regalia.

36 Tra il 1119 ed il 1130 le riunioni politiche della città si tenevano «in theatro
publico ipsius civitatis», Gli atti del Comune di Milano, cit., η. Ill, p. 7,
continuando in ciò una tradizione di incontri civili e religiosi dell'XI secolo,
testimoniati da Arnolfo e da Landolfo Seniore, per cui si veda il bel saggio di H. Keller,
Gli imi del Comune in Lombardia : limiti della documentazione e metodi di ricerca,
in L'evoluzione delle città italiane nell'XI secolo, Atti della Settimana di Studio
dell'Istituto storico italo-germanico di Trento, 8-12 settembre 1986, a cura di R.
Bordone, J. Jarnut, Bologna, 1988 (Annali dell'Istituto Storico italo-germanico,
quaderno 25), p. 45-70. Prima del 10 novembre 1138 nel broiletum dell'arcivescovo i
consoli avevano edificato una «domus consulatus», Gli atti del Comune di
Milano, cit., η. IV, p. 9; cfr. anche Brühl, Die Stätten der Herrschaftsausübung in
Mailand, cit., p. 882. Tale domus non era lontana dalla chiesa di San Barnaba,
davanti alla quale furono pronunciate due sentenze nel 1141 e nel 1142, ibidem,
nn. VII-VIII, p. 12-15; ma si veda Tomea, Tradizione apostolica e coscienza
cittadina, cit. p. 62-63.
37 Si veda la sentenza pronunciata dal console Azo Cicerano il 17 gennaio
1150 «in broileto consularie iuxta scala solarii» e la dichiarazione del console
Arialdo da Baggio del 4 maggio 1151 «in solario consulatus Mediolani», Gli atti
del Comune di Milano, cit., η. XX, p. 31, e η. XXIV, p. 36. L'espressione casella
consularie, compare solo nell'atto 29 maggio 1173, ibidem, n. LXXXVIII, p. 124.
38 Si veda l'importante atto politico del 20 settembre 1170 con i patti tra i
proprietari e i coloni, rogato «in civitate Mediolani, in ecclesia Sancte Tegle in
publica contione», ibidem, n. LXXV, p. 111.
"Andenna, Honor et ornamentum civitatis, cit., p. 52.
380 GIANCARLO ANDENNA

II Comune si inseriva nella struttura feudale dell'Impero come


una istituzione politica esercitante potere e pertanto la sua sede
doveva assumere il nome di tutte le sedi del potere politico ed essere
chiamata non più domus, ma palatium.
Così a Milano la prima attestazione di un palatium comunis,
sempre ubicato nel medesimo broiletum dell'arcivescovo, risale al
1196, quando il 16 settembre «in palacio, palam in credencia» i
consoli di Milano ed i consoli di Corno conclusero una pace tra le due
città40. Una evoluzione diversa si registra a Cremona, città ove
sembra che il Comune trovasse la sua naturale espressione nel
medesimo palazzo del vescovo e non in una domus prossima alla
cattedrale, infatti le sentenze dei consoli furono sempre
pronunciate, tranne poche e non significative eccezioni, in palano episcopi,
oppure in sacrario ecclesie cathedralis, ο in ecclesia maiori41. Anzi,
dopo la pace di Costanza, nel 1188, i potestates e la credentia furono
sempre presenti e radunati nel palatium episcopi, detto anche
palatium civitatis Crémone. E tale era la consuetudine, poiché in un
documento del 20 gennaio 1189 la datano topica reca questa
significativa espressione : «in palatio episcopi Crémone ubi fit credentia,
in publica credentia Crémone»42. Ma tra il 1193 ed il 1209, dopo
alcuni anni di incertezze, anche terminologiche, si ebbe la scissione
tra episcopato e Comune : quest'ultimo mantenne per sé il palatium
del vecchio episcopio, in quanto i consoli di giustizia proclamavano
le loro sentenze «in palatio veteri Crémone, sive episcopii», mentre
il vescovo agiva in un «palacium novum episcopi cremonensis»43.

40 Gli atti del Comune di Milano, cit., η. CXCIV, p. 272, 279. Una descrizione
di questo palazzo e del Broletto vecchio, fatta da Galvano della Fiamma, ci è stata
conservata da G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla
descrizione della città e della campagna di Milano ne secoli bassi, IV, Milano, 1855, II
ed., p. 465 : «In alia parte civitatis est alia curia communis quae dicitur Broletum
vetus; et ista curia tempore Turrianorum (...) fuit tribus palatiis communita per
talem modum, quod cum Ecclesia maiori faciebat claustrum quadratum. Ab
oriente erat porta versus verzarium, in quo scilicet verzario erat forum victua-
lium. Et versus occidens erat alia porta versus arengum, ubi erat forum vesti-
mentorum. In Broleti palatio maiori habitabat potestas civitatis cum sua familia.
In latere Ecclesie maioris erat Collegium iudicum et sedes tabellionum».
41 Soldi Rondinini, Evoluzione politico-sociale, cit. η. 3, p. 91.
42 Le carte cremonesi, IV, cit. η. 29, η. 672, p. 104; che il palatium episcopi si
identifichi col palatium civitatis appare dal documento 10 giugno 1189 redatto «in
palatio civitatis Crémone et in credentia que tune erat in ipso palatio», ibidem,
n. 684, p. 131.
43 Per questa evoluzione rimando al lavoro di Soldi Rondinini, Evoluzione
politico-sociale, cit., p. 91-92.
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 381

Accanto alla chiesa cattedrale erano anche ubicate le prime sedi


del potere comunale di Lodi44, Bergamo45, Pavia46, Corno47,
Modena48, Novara49 e soprattutto Brescia, città in cui nel 1187 l'ente
politico acquistò dai canonici un terreno necessario alla costruzione
del pallacium comunis, posto a settentrione della basilica cattedrale
paleocristiana di San Pietro de Dom, chiesa in cui fu redatto dal
notaio l'atto di vendita dell'appezzamento e nella quale già da
numerosi decenni i consoli ascoltavano i testimoni, dibattevano i processi
e pronunciavano le loro sentenze50. Il Comune pensava di edificare
una laubia, ο pallatium lignorum, termini su cui dovremo ritornare,
al centro di una platea, che doveva essere recintata e che era
destinata ad ospitare la concio. L'edificio, ο meglio il palazzo, che era tale
non per la solidità e la forza delle murature, ma perché sede del
potere, era già utilizzato nel 1193, giacché in esso fu pubblicamente
proclamata la cartula pacti et concordie concessa da Enrico VI alla
città. Nel medesimo si riuniva la Credenza, organismo politico che
in un atto del 1198 regolò i rapporti tra il Comune ed i conti di
Martinengo. Con l'appellativo di pallatium lignorum la costruzione rimase
in funzione sino al 1223 51.
Anche a Pavia nel 1186 i rappresentanti del Comune si riunivano
in un non ben precisato palatio maiori, che nel 1191 era
probabilmente la sede istituzionale della Credenza, come si legge nella
datano della carta concordiae del 3 maggio 1191 : «in pallatio Papié
in quo fit credentia Papié»52. Ma solo a partire dal 24 luglio 1199

44 Si intende Lodi nuova, in cui la cattedrale fu edificata a partire dall'agosto


1158 e presso di essa fu edificato nel 1220 il palazzo comunale, A. Caretta,
L. Samarati, Lodi. Profilo di stona comunale, Milano, 1958, p. 75-76.
45 Reggiori, Aspetti urbanistici ed architettonici, cit. η. 3, p. 102, 104.'
46 II palatium novum communis sorse accanto alla cattedrale doppia di Santa
Maria e di Santo Stefano avanti il 1199; cfr. la successiva n. 50 in questo articolo.
47 Reggiori, Aspetti urbanistici ed architettonici, cit., p. 102; Soldi
Rondinini, Evoluzione politico-sociale, p. 94.
48 G. Bertoni, E.P. Vicini, Sulla iscrizione del palazzo vecchio del Comune di
Modena (1194), in Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia Patria per le
Province Modenesi, s. V, voi. IV, Modena, 1904, p. 3.
49 Vedi n. 39 del presente lavoro.
50 Per Brescia rimando a Soldi Rondinini, Evoluzione politico-sociale, cit.,
p. 93-94; ma si veda anche G. Panazza, Appunti per la storia dei palazzi comunali
di Brescia e Pavia, in Archivio storico lombardo, XCI-XCII, 1964-1965, p. 181-203;
G. Piovanelli, / capitelli dei mesi nel Palazzo del Broletto in Brescia, in Com-
mentari dell'Ateneo di Brescia, 169, 1970-1971, p. 237-250; A.M. Romanini, Arte
comunale, in Atti dell'XI Congresso Intemazionale di Studi sulVAlto Medioevo, cit.
η. 6, p. 41-42.
51 Ibidem.
52 L'espressione «in palatio Papié maiori» figura nell'atto 7 settembre 1186,
edito in Le carte cremonesi, IV, n. 646, p. 43-44. Per il documento 3 maggio 1191,
ibidem, n. 697, p. 151-154.
ι
382 GIANCARLO ANDENNA \

appare in pieno esercizio, come sede della Credenza e del potere


comunale, un palatium novum. Nella sua sala fu giurato l'accordo
con Cremona e Bergamo ed il notaio che stese l'atto datò in modo
solenne il documento : «in civitate Papié, in pallatio novo communis
in quo fit credentia Papié, in credentia collecta ad sonum
campane»53. Si tratta probabilmente del palazzo che ancora oggi appare
addossato alla cattedrale, la cui torre campanaria è di recente
crollata.
Il legame tra la cattedrale e la prima sede del Comune risulta
pertanto presente in molti casi di Lombardia, anche se non può
essere generalizzato, infatti non si verifica una simile situazione
topografica per Vercelli, Asti e Mantova. Inoltre nei casi in cui il
rapporto tra le due istituzioni è ben testimoniato occorre poi notare che
la giustificazione originaria era probabilmente legata a fatti
contingenti, quali la possibilità di utilizzare la chiesa per la celebrazione
dei maggiori processi, oppure per le riunioni della concio durante i
periodi dell'anno meno favorevoli ad un incontro sulla piazza, ο nei
resti degli antichi teatri romani ο delle vetuste arene. In rapporto
alla concio si pensi ad esempio che a Piacenza sino al 1179
l'assemblea di tutti i cittadini si teneva dinanzi alla antica cattedrale di
Sant'Antonino, ma che a partire da tale anno, in relazione ad un
intervento urbanistico dei consoli, essa venne trasferita presso la
cattedrale di Santa Maria54. E ancora il legame poteva essere
imposto dalla vicinanza della residenza del vescovo, che in numerosi
casi era giudice, a Brescia addirittura per le cause di secondo
appello, e dominas della città. Egli per antica tradizione e per
disposizione della legislazione canonica era tenuto ad abitare presso la

53 Le carte cremonesi, TV, η. 833, p. 428-431. Per la storia del palazzo


comunale pavese, iniziato secondo una epigrafe negli anni 1197-1198 si veda
G. Panazza, Appunti per la storia dei palazzi comunali di Brescia e Pavia, in
Archivio storico lombardo, XCI-XCII (1964-1965), p. 181-203; G. Berutti, Analisi
delle strutture originarie del Broletto di Pavia, in Bollettino della Società pavese di
storia patria, LXVII, 1967, p. 171-172; P. Hudson, Archeologia urbana e
programmazione della ricerca : l'esempio di Pavia, Firenze, 1981, p. 86; ed infine A. M.
Romanini, Arte comunale, in Atti dell'XI Congresso internazionale di studi sull'Alto
Medioevo, cit. η. 6, p. 23-52, in particolare p. 38-41.
54JoHANNis de Mussis, Chronicon Placentinum (Rerum Italicarum Scrip-
tores, XVI), Milano, 1730, col. 455; e Johannis Codagnelli, Annales Piacentini, a
cura di O. Holder-Egger {Monumenta Germaniae historica. Scriptores rerum
Germanicarum ad usura scholarum, XXIII), Hannover e Lipsia, 1901, p. 11 :
« Consules adamplaverunt plateam maiorem et contionem removerunt de Sancto
Antonino et ad maiorem ecclesiam fecerunt»; cfr. C.D. Fonseca, «Ecclesia
matrix·» e «conventus civium» : l'ideologia della cattedrale nell'età comunale, in La
pace di Costanza. 1183, cit., p. 144.
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 383

cattedrale, ο chiesa matrice, la quale diveniva tale proprio perché


accanto ad essa risiedeva il pastore spirituale della diocesi55.
Ma tale vincolo di opportunità, ο di contingenza, divenne in
seguito, prima ancora della edificazione dei palazzi comunali, un
legame di natura ideologica, come ebbe modo di ricordare il Fon-
seca, il quale in una sua specifica relazione non ritenne che si
potesse parlare per tale fatto di occasionali ed esteriori contingenze,
ο di semplici episodi urbanistici. «Ci sono ragioni» egli scrisse
«molto più profonde, che vanno ben oltre gli aspetti strutturali del
problema, sì da farci credere se non vada emergendo per questi
secoli dell'età comunale una rinnovata coscienza del ruolo della
cattedrale», ο meglio «se da tutto questo non traspaia un recupero della
ideologia della cattedrale, strettamente collegato al rafforzamento
delle libertà e delle istituzioni comunali seguito alla pace di
Costanza»56.
Si ricuperava lo «spirito cittadino» di cui aveva trattato, con
lucida intuizione, negli anni sessanta il Martini57, ma i fondamenti
dell'ideologia che identificava la Chiesa ed il Comune nella prima
età comunale e quindi accomunava la maggiore basilica cittadina
con gli spazi e con gli edifici del potere politico, si ritrovano in un
documento papale di Alessandro III del 1170, la lettera intitolata
Non est dubium, che fu indirizzata ai consoli e ai Consigli di
Credenza delle città di Lombardia. «Non vi è dubbio, ο incertezza, che,
toccati dall'ispirazione divina, voi avete concluso dei trattati di
alleanza e d'intesa per difendere la pace e la libertà della Chiesa di
Dio e vostra contro l'imperatore Federico; e ancora non esiste alcun
dubbio che voi siete così uniti da riuscire con coraggio a strappare
dal vostro collo il giogo della servitù. Inoltre noi sappiamo, noi che
identifichiamo la vostra pace con la nostra e con quella della Chiesa,
fino a qual punto voi siete uniti alla Chiesa e come ne condividiate la
buona e la cattiva sorte»58.

55 Sui diritti del vescovo di Brescia si veda quanto fu disposto a salvaguardia


della tradizione nel testo della pace di Costanza, al punto 10, Gli atti del Comune
di Milano, cit., p. 200; F. Falconi, La documentazione della pace di Costanza, in
Studi sulla pace di Costanza, Milano, 1984, p. 84.
56 Fonseca, «Ecclesia matrix» e «conventus civium», cit. nota 54, p. 138.
57 G. Martini, Lo spirito cittadino e le origini della storiografìa comunale, in /
problemi della civiltà comunale, cit., p. 137-156, in particolare 142.
58 M. Pacaut, La papauté et les villes italiennes (1159-1263), in I problemi della
civiltà comunale, cit., p. 33-46, in particolare p. 35-36; la traduzione della bolla in
G. Andenna, «Sia lecito alle città di Lombardia mantenere la magistratura
consolare». La politica del Barbarossa verso i Comuni della pianura italiana, in Federico
Barbarossa e i Lombardi. Comuni ed imperatore nelle cronache contemporanee, a
cura di F. Cardini, G. Andenna, P. Ariatta, Milano, 1987, p. 30.
384 GIANCARLO ANDENNA

Per rafforzare l'unità il pontefice proibì agli uomini di governo


di abbandonare la causa papale e minacciò le città che lo avessero
fatto di privarle della dignità diocesana spartendo il territorio tra le
diocesi circostanti. La libertà della Chiesa si identificava con la
libertà dell'istituzione politica comunale, pertanto la sede del
Comune non poteva essere separata dalla sede ecclesiastica, la quale
forniva anche una forte motivazione ideologica dell'unità. Il «fino a
qual punto voi siete uniti alla Chiesa» era dunque allo stesso modo
una idea ed una realtà materiale.
A partire tuttavia dai primi anni del XIII secolo intervenne un
processo opposto, che portò alcune città a rompere l'unità, sia sul
piano ideologico, sia su quello urbanistico. Era il momento in cui
vennero fondati i palacia nova communis, sia perché fu
abbandonato in alcune città il palacium vetus, sia perché in altre si decise
di passare dalla domus credenciae al palacium. La giustificazione
del dissidio era data dalla impellente necessità di sottoporre a
tassazione, per ragioni fiscali e di bilancio, quest'ultimo reso
fortemente passivo dalle feroci guerre tra le città padane degli ultimi
anni del XII secolo e dei primi del XIII, la proprietà ecclesiastica,
ritenuta immune da ogni imposta sin dal tempo di Costantino. Fu
proprio durante questi anni di intensa lotta tra Chiesa diocesana
e Comune, tra i vescovi e i primi podestà cittadini, che in alcune
città, fra cui Novara, Milano e Piacenza, si verificò la
separazione.
Nell'esempio novarese emerge bene come agli inizi del
Duecento, e più precisamente tra il 1208 ed il 1210, il Comune sia
passato alla edificazione di un palazzo in muratura in un luogo
separato dalla cattedrale, su di una piazza diversa. Il fatto avvenne in
un momento di grave crisi politica tra la Chiesa e l'organismo
comunale, quando il pontefice Innocenzo III, al fine di far cessare
le pesanti vessazioni contro le proprietà ecclesiastiche, minacciò,
in caso di continuazione del conflitto, che aveva come scopo
l'abolizione dell'immunità fiscale del clero, la soppressione della
diocesi con la conseguente perdita di dignità cittadina per Novara. La
politica fiscale antiecclesiastica fu abbandonata, ma il Comune
fissò la propria residenza in un luogo più lontano dalla
cattedrale59.

59 F. Cognasso, Storia di Novara, Novara, 1992, nuova edizione, sull'edizione


del 1971, con saggio introduttivo di Giancarlo Andenna, p. 175-180; Andenna,
Honor et omamentum civitatis, cit., p. 50-51; M.L. Gavazzoli Tomea, Villard de
Honnecourt e Novara. I «topoi» iconografici delle pitture profane del Broletto, in
Arte lombarda, 52, 1979, p. 31-52.
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 385

Uguali problematiche si ebbero alcuni anni più tardi anche a


Milano60 e a Piacenza61; tuttavia in molte altre città, tra cui
Bergamo, Brescia, e Corno, pur con l'edificazione di un palacium
novum, non avvenne alcuna separazione tra centro religioso e
centro politico.
In ogni caso la crescita edilizia elaborò uno schema di edifìcio a
pianta rettangolare, il quale fu immediatamente recintato con un
muro in cui si aprivano almeno due porte, in quanto il luogo era
considerato sacro, poiché destinato all'esercizio del potere politico.
Entro il medesimo recinto si ergeva la mole del palazzo, mentre al di
fuori dell'area chiusa si svolgevano le operazioni economiche e
commerciali, considerate attività poco consone al sacro, le quali furono
favorite nel loro sviluppo materiale dalla costruzione di portici, detti
anche coperti, dapprima in legno, con copertura di scandole, e
successivamente in muratura, con un tetto di coppi62. All'interno del
muro, nel cosiddetto broletum communis, si svolgevano gli atti
relativi al diritto e alla vita politica, quali la discussione delle proposte di
legge da inserire nel libro degli Statuti, la valutazione critica dei
capitoli di pace, ο dei trattati di alleanza con altri Comuni, il
ricevimento di ambasciatori di altre città, ο del papa, ο dell'imperatore, la
celebrazione dei processi con la conseguente solenne proclamazione
delle sentenze, la sottoscrizione di capitali a vantaggio del Comune
sotto forma di prestiti forzati, la vendita all'incanto delle proprietà
confiscate e le aste dei diritti di esazione daziaria e fiscale, nonché le
azioni di acquisto e di cessione dei beni privati, la sottoscrizione di
mutui e di prestiti ad interesse, le nomine di procuratori e di
rappresentanti legali. In quello spazio insomma la celebrazione del sacro
era affidata ad una importante categoria professionale, quella dei
giudici e dei notai. La complessità e l'elevato numero delle attività
che si svolgevano nel recinto comunale, tra le quali spiccavano le
funzioni dei consoli di giustizia63, magistrati eletti per un anno tra i

60 M.P. Alberzoni, Chiesa e Comuni in Lombardia. Dall'età di Innocenzo IH


all'affermazione degli Ordini mendicanti, in La Lombardia dei Comuni, Milano,
1988, p. 33-52; Ead., Nel conflitto tra papato e impero : da Guidino della Sala a
Guglielmo da Rizolio (1166-1241), in Storia religiosa della Lombardia. Diocesi di
Milano, a cura di A. Caprioli, A. Rimoldi e L. Vaccaro, I, p. 227-257, in
particolare per gli avvenimenti del 1202 e del 1203, culminati nella lettera dell'aprile 1203
di Innocenzo III all'arcivescovo Filippo da Lampugnano, p. 235.
61 La politica antiecclesiastica piacentina del 1206-1207 è testimoniata da
Johannis Codagnelli Annales piacentini, cit., p. 31.
62 Per lo schema edilizio A.M. Romanini, L'architettura gotica in Lombardia,
I, Milano, 1964, p. 40-60; Romanini, Le arti figurative nell'età dei Comuni, in I
problemi della civiltà comunale, p. 83-96, in particolare p. 90-92; Romanini, Arte
comunale, in Atti dell'XI Congresso intemazionale, cit. η. 6, p. 23-52; per la
recinzione e per i portici Andenna, Honor et ornamentum civitatis, cit., p. 51-55.
63 Solo a Milano i consoli di giustizia ebbero la stessa residenza dei consoli
386 GIANCARLO ANDENNA

cittadini più rappresentativi, e dei giudici del podestà, provenienti


da altre città ed attivi per sei, ο dodici mesi, richiesero la necessità di
realizzare nuovi edifici sui lati della recinzione in modo da serrare
con costruzioni l'intera area.
Milano giunse in fretta a chiudere il perimetro : nel 122 8 64 fu
approvato il piano regolatore del palacium novum, nell'attuale
piazza dei Mercanti. Ivi si raggnipparono nel corso di pochi decenni
tutti gli edifìci pubblici; a cominciare dal 28 novembre 1230 il
Consiglio generale di Milano poteva riunirsi per trattare con i Pavesi la
questione di Vigevano «in palacio communis Mediolani broleti
novi»65. Tuttavia le costruzioni non contemplavano ancora gli edifici
di abitazione del podestà, infatti nel 1232 il supremo magistrato
milanese, Pietro Vento, agiva a volte «in contrata Crucis Bordelle, in
hospicio in quo moratur potestas Mediolani»66. Ma nel palazzo
erano invece presenti più spazi di attività : il 15 settembre 1232
«supra palacium comunis» è ricordata una «camera notariorum
comunis Mediolani», che era probabilmente posta presso la sala in
cui si riuniva il Consiglio generale, formato da più di quattrocento
persone67. Il 9 marzo 1233 è anche testimoniata una «camera palacii
novi» in cui agiva il podestà68.
Il nuovo palazzo fu descritto da Galvano della Fiamma nel Chro-
nicon extravagans, ripreso dal Giulini, ed è necessario sottolineare
che esso non era posto su uno dei lati del perimetro, ma in mezzo
allo spazio recintato, per traverso69. Una simile tipologia insediativa

del Comune sino al 1188; a partire dal 1203 fu costruita una nuova sede solo per
questa magistratura, cfr. Annales Mediolanenses Minores (MGH, Scriptores,
XVIII), p. 398, «inceptum fuit palatium novum de broleto veteri». A partire dal
1213 i consoli di giustizia agirono sempre nel palacium novum Comunis
Mediolani, detto anche palatium consulum iustitie; cfr. Gli atti del Comune di Milano,
cit. η. CCCLXVI, 10 febbraio 1213; e n. CDI, 16 dicembre 1216, p. 533.
64 L'ultima notizia di atti podestarili realizzati in pallatio veterì comunis
Mediolani, è del 20 maggio 1228, Gli atti del Comune di Milano nel secolo XIII,
n. CCXII, p. 317-318. Gli ordini relativi alla costruzione in B. Corio, Historìa di
Milano, ed. 1503, ad annum; ma ora in Gli atti del Comune di Milano nel secolo
XIII, n. CCXrX, p. 324-327.
65 Ibidem, n. CCXL, p. 348-350.
66 Ibidem, n. CCLXXX, 6 settembre 1232, p. 398.
67 Ibidem, n. CCLXXXIII, p. 407, «Actum in camera notariorum comunis
Mediolani supra palacium comunis».
68 Ibidem, n. CCXCVII, p. 424.
69 La descrizione di Galvano è la seguente : «In medio per traversum est
Palatium magnum valde. In parte orientali est palatium longum quantum se
extendit quadratura muri. Ibi sunt sale, camere, atria pro persona potestatis et
familie. Ibi est capella Sancti Ambrosii. A septentrione est aliud palatium longum
secundum longitudinem quadrature muri Broleti. Ab occidente est aliud
palatium eiusdem longitudinis. A meridie est aliud atrium. Ibi est lobia marmorea,
quae attingit usque ad portam Santi Michaelis ad gallum. Ibi subtus sunt camp-
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 387

è ancora oggi visibile se si osserva il lato settentrionale del palacium


comunis duecentesco di Novara70. Nel dicembre 1232 era certamente
conclusa anche la costruzione nel broletto di Milano della loggia
degli Osii, detta anche arengo, dalla quale si proclamavano le
sentenze; infatti ben cinque atti relativi ai rapporti tra Milano e Genova
furono redatti il giorno 8 dello stesso mese sempre « in broileto novo
comunis Mediolani», ma quattro «supra lobiam ubi contionatur
potestas Mediolani», mentre uno «super arengum»71. Poi nel 1251 si
decise di edificare il palazzo per il podestà, per i giudici e i notai e
per i banchieri ed i cambiavaluta72, mentre la torre sorse nel 1272,
anche se in precedenza ne funzionava un'altra, nata come torre
privata della famiglia dei Faroldi73. Nel 1288, anno in cui Bonvesin de la
Riva descrisse il complesso, tutti gli edifici erano ultimati e l'insieme
si configurava ormai non più solo come un luogo sacrale, ma
soprattutto come un centro burocratico ed amministrativo per la
celebrazione dei processi e per il disbrigo delle fondamentali funzioni
organizzative e per il compimento delle pratiche economiche e fiscali,
nonché per la conservazione dei documenti, che assicuravano la
continuazione ordinata della vita associata, quali i libri degli Statuti
ed i libri degli Estimi.
Uguale evoluzione, anche se leggermente più dilatata nel tempo,
si ebbe a Brescia; qui nel 1227 la concio decise in publico consilio di
comperare le case con torre dai Poncarale74, una famiglia capita-
neale della città, che aveva anche rapporti vassallatici con il cenobio
femminile di Santa Giulia, ove erano presenti tra le monache delle
donne appartenenti al gruppo parentale. L'acquisto immobiliare del

sorum tabernacula plurima. In Broleto est turris alta ubi sunt quatuor
campane»; cfr. G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo e alla descrizione
della città e campagna di Milano ne' secoli bassi, IV, Milano, 1855, II ed., p. 466.
70 Andenna, Honor et ornamentum civitatis, p. 51-55.
71 Ibidem, n. CCLXXXV-CCXC, p. 409-415. Per la loggia degli Osii si veda
G. Biscaro, La loggia degli Osi e la 'Curia Comunis ' nel Broletto nuovo di Milano,
in Archivio storico lombardo, XXXI, 1904, p. 352-358.
72 Giulini, Memorie spettanti alla storia, cit., p. 470 sostiene che il podestà
Zanenrico da Riva, detto Giroldello da Mantova, «fecit destruere domos
existentes circa Broletum Comunis Mediolani et fecit fieri palatia, quae sunt circa
Broletum a tribus partibus, super quibus causantur causae comunis Mediolani».
73 Soldi Rondinini, Evoluzione politico-sociale, cit., p. 90. Secondo l'inedita
Cronica dei podestà di Milano, ripresa da G. Giulini, Memorie spettanti alla storia,
cit., IV, p. 312, nel 1228 il podestà Aliprando Faba da Brescia, mentre acquisiva il
terreno per il nuovo palazzo del Comune, acquistò dalla famiglia dei Faroldi la
loro altissima torre.
74 Liber Potheris Communis Brixie (Historiae patriae monumenta, XIX),
Torino, 1899, 1 febbraio 1227, col. 118; Soldi Rondinini, Evoluzione politico-
sociale, p. 93; per i Poncarale si veda F. Menant, Le monastère de S. Giulia et le
monde féodal. Premiers éléments d'information et perspectives de recherche, in
Santa Giulia di Brescia, cit., η. 14, p. 119-129.
388 GIANCARLO ANDENNA

Comune fu realizzato con la finalità di ricostruire nel medesimo


luogo il precedente edificio a laubia, detto anche pallacium
Hgnorum. Forse già nel 1233 e più sicuramente nel 1238 la nuova
costruzione, interamente realizzata in pietra, era ultimata e nel pala-
tium maius si riuniva il Consiglio di Credenza75; tuttavia la città
pensò subito di erigere un edificio sul lato adiacente del rettangolo
civico, così che nel 1253 fu costruita una scala «inter pallatium
novum maius comunis Brixie et pallatium novum minus»76. Intanto
a contrastare la torre dei Poncarale, inglobata in un angolo del
palazzo maggiore, fu innalzata la torre civica verso la piazza; il
palazzo minore ebbe un ulteriore sviluppo attorno agli anni set-
tanta-ottanta del Duecento, perché dovette ospitare la
rappresentanza del populus, che aveva preso il potere in città77. Infine, con la
signoria del vescovo Berardo Maggi, furono edificati in laterizio i
due palazzi sui due lati mancanti alla chiusura completa del
rettangolo, entro il quale si accedeva attraverso tre porte.
Un simile sviluppo ebbe anche lo spazio politico novarese, nel
quale il palazzo fu innalzato nel 1208, dopo l'abbandono della
precedente sede, ubicata presso la cattedrale, ο meglio addossata alla
navata settentrionale dell'edificio religioso. Un primo allungamento
della costruzione fu realizzato tra gli anni trenta e gli anni quaranta
del XIII secolo, periodo in cui sorsero pure un secondo palazzo a
levante della primitiva costruzione ed una torre, manufatti voluti dai
paratici, ο corporazioni, la cui forza politica era rilevante all'interno
della città78. La chiusura del rettangolo, con l'edificazione del
palazzo del podestà e del palazzo del referendario, avvenne nel tardo
Quattrocento, quando ormai il primitivo palacium comunis non
ospitava più il Consiglio di Credenza ed il palazzo dei paratici, dopo
l'abolizione dei medesimi, era passato nelle mani dei decurioni della
città79.
In altri casi, come a Bergamo, a Lodi, a Pavia e a Corno tali
processi si svilupparono con maggiore lentezza, in quanto furono
condizionati dal non avvenuto spostamento della primitiva sede dalle
immediate vicinanze della cattedrale; così nelle città appena
menzionate rimasero solo l'edificio rettangolare del primo palacium e la
torre.
Un'ultima annotazione riguarda la struttura formale dei palazzi

75 Gli atti del Comune di Milano nel secolo XIII, 20 agosto 1233, n. CCCVl,
p. 447, «Brixie in comuni palacio»; Liber Potherìs, 14 giugno 1238, col. 298.
76 Liber Potherìs, 9 settembre 1253, col. 825.
77 Ibidem, 1 giugno 1285, col. 1123, «pallatium populi comunis Brixie».
78Andenna, Honor et omamentum civitatis, cit., p. 57.
79 Ibidem, p. 65.
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 389

comunali : la Romanini, che ha più volte studiato il problema,


descrive il palacium di Milano, a cui riporta, secondo uno schema
fisso di edificio, quelli di Pavia, di Novara, di Corno e di Bergamo,
«come un semplice parallelepipedo in cotto, diviso, in altezza, in
due vani equivalenti (portico aperto a terreno, salone di adunanza al
primo piano) tra loro connessi da scale esterne»80. Inoltre la
medesima Romanini sostiene l'esistenza, «alla luce della clamorosa
novità delle forme di esso palazzo (di Pavia)», di «un taglio netto
con ogni tipo di tradizione locale». E aggiunge : «In ogni caso resta
certo che le forme del primo Broletto pavese fuoriescono come un
prodotto a sé dal quadro della produzione romanica più
propriamente locale, mentre bene si inseriscono in una storia edilizia
latamente cistercense e più esattamente nei suoi più precoci esiti
lombardi, a partire dagli esempi umiliati fine XII secolo»81. Ciò significa
che da un punto di vista costruttivo e di tecnica edilizia le
maestranze operative degli edifici comunali, come quelle cistercensi,
erano, a suo dire, capaci di utilizzare una modularità di strutture
spaziali e materiali.
Ma si può anche sostenere che l'iconografia e la
rappresentazione visiva non erano certamente inedite, così come non lo era lo
schema funzionale; infatti la forma degli edifici comunali si
differenziava da quella dei palazzi episcopali della metà del XII secolo, i
quali, pur rettangolari e con scala esterna, mancavano del porticato
aperto a terreno e dell'ampio salone di adunanza al piano rialzato82.
La forma dei palazzi comunali invece presentava forti similitudini
con le laubie del potere regio presenti nei secoli precedenti. La
laubia, attestata dalle fonti scritte per il palacium primitivo in legno
di Brescia, è stata ben studiata dal Cagiano de Azevedo : essa si
configurava originariamente soprattutto come «una struttura lignea, un
riparo, sotto il quale il sovrano, ο chi per lui, rende giustizia ο
compie atti amministrativi»83. Le tecniche edilizie più tarde
utilizzarono il mattone, ο la pietra, nobilitando l'aspetto della laubia e
«consentendole di sopportare più agevolmente le sovrastanti stanze, che
sembrano poi quasi costantemente accompagnarsi ad essa» e che
sono indicate con il termine di solarium**.
Con tali aggiunte la laubia si diffuse come edificio pubblico in
molte città dell'Europa, sopravvivendo al mondo germanico che

80 Romanini, Le arti figurative nell'età dei Comuni cit., p. 91.


81 Romanini, Arte comunale, cit. p. 40-41.
82 Si veda l'esempio di Novara studiato da Andenna, Un palazzo, una
cappella, un affresco, cit. η. 32, p. 74-80.
83 M. Cagiano de Azevedo, «Laubia», in Casa, città e campagna nel tardo
antico, cit. η. 7, p. 111-143, in particolare p. 142.
84 Ibidem
.
390 GIANCARLO ANDENNA

l'aveva originata, per poi passare con il nome di palacium comunis


nelle strutture edilizie della civiltà lombarda del Duecento85.
Questi palazzi, espressione compiuta del potere comunale,
furono dipinti, sia all'esterno che all'interno, ed ospitarono pure,
come nel caso di Milano, la statua equestre di un podestà, Oldrado
da Tresseno, supremo magistrato cittadino nel 1233, che, secondo
alcune ricerche di Grimoldi, di Lopez, di Grandi e della Romanini,
ebbe la fortuna di essere, lui personaggio quasi sconosciuto, uno dei
primi uomini a cavallo, posti in un luogo pubblico, dopo
l'imperatore Marco Aurelio86. Oldrado, se fu secondo a Nazario Ghirardini
da Lucca, podestà nel 1229 di Reggio, sulla cui porta cittadina egli
fece porre la sua immagine lapidea a cavallo87, precedette il
cavaliere di Bamberga, forse identifìcabile con Federico II88, e ciò indica
quale coscienza ebbero i Milanesi del loro palazzo e delle loro
magistrature politiche negli anni trenta del Duecento89.
Anche la striscia dipinta nel sottotetto del palazzo di Novara e le
pitture con le bandiere delle porte cittadine e gli uomini delle stesse,
studiati dalla Tornea, costituiscono nel medesimo torno di tempo,
cioè gli anni trenta del Duecento, un momento di esaltazione del-
l'ordo dei milites e della virtù della prouesse, per Novara, ο dei
milites e dei pedites, oppure in ogni caso dei gruppi responsabili
della vita politico-amministrativa delle porte, per Milano90.

85 Ibidem, p. 143.
86 Per la questione di Oldrado da Tresseno si veda A. Grimoldi, / luoghi
dell'autorità cittadina nel centro di Milano. Il Palazzo della Ragione, con saggio intro-
duttivo di M. Dezzi Bardeschi, Milano, 1983; R. S. Lopez, Dal mecenatismo del
Medioevo a quello del Rinascimento , in Quaderni medievali, 34, 1992/2, p. 123-130;
R. Grandi, Oldrado da Tresseno, in Millennio ambrosiano. La città del vescovo dai
Carolingi al Barbarossa, Milano, 1988, p. 240-249; e Romanini, Arte comunale,
p. 47-49.
87 Salimbene de Adam, Cronica, cit., p. 95 : «dominus Nazarus habet yma-
ginem lapideam super portam Bernonis, quam fecit fieri, et sedet ibi super
equum lapideum in civitate Regii». Per il sentimento cittadino in Salimbene
L. Gatto, // sentimento cittadino nella «Cronaca» di fra Salimbene, in La
coscienza cittadina nei Comuni Italiani del Duecento, cit. η. 6, p. 367-394.
88 Per il cosiddetto cavaliere di Bamberga si veda J. Traeger, Der Bamberger
Reiter in neuer Sicht, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, 33, 1970, p. 1-20;
Romanini, Arte comunale, cit. p. 45-46.
89 Su questo punto si veda A. Bosisio, Milano e la sua coscienza cittadina del
Duecento, in La coscienza cittadina nei Comuni italiani del Duecento, cit., n. 6,
p. 47-93, in particolare per Oldrado da Tresseno ed il nuovo Broletto, ο palazzo
del Comune p. 68-70.
90 M . L. Gavazzoli Tomea, Villard de Honnecourt e Novara. I «topoi»
iconografici delle pitture profane del Broletto, in Arte lombarda, 52, 1979, p. 31-52;
Gavazzoli Tomea, Le pitture duecentesche ritrovate nel Broletto di Milano,
documento di un nuovo volgare pittorico nell'Italia padana, in Arte medievale, IV, 1990,
p. 55-70.
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 391

Un caso a parte, in cui si scopre già il periodo di crisi del


Comune, ma nel quale la funzione del palacium è rimasta immutata,
è rappresentato dalle pitture infamanti di Brescia. Si tratta di due
strisce di dipinti, che corrono l'una sull'altra, lungo i due lati
maggiori del rettangolo del palazzo comunale della città. Rappresentano
dei cavalieri incatenati al collo e trascinati uno dietro l'altro verso
una meta ignota. Ciascuno di essi era ben identificato per gli
osservatori del Duecento dal nome e dallo stemma, presente sullo scudo,
e portava oggetti personali che lo qualificavano anche nei tratti
psicologici e nel suo aderire alla moda del tempo. Al di sopra delle
figure una lunga scritta in caratteri gotici narra che i personaggi
sono di esempio per coloro che intendono operare contra patrìam,
giacché il Brìxiensis populus, a cui per volontà di Dio era demandata
la difesa della città, vigilava per sventare i tradimenti91.
La parola populus indica in questo caso la matura esperienza
del Comune di popolo, che a Brescia potè realizzarsi solo negli anni
settanta del Duecento, e pertanto le figure vanno riportate a quel
periodo e sono una delle poche testimonianze figurative
dell'esperienza del fuoriuscitismo politico dell'Italia padana. D'altra parte,
durante l'età di Federico II e durante il dominio di Ezzelino da
Romano, che conquistò Brescia alla fine della vita sullo scorcio degli
anni cinquanta del Duecento, e quello successivo di Oberto Pelavi-
cino, terminato dopo la battaglia di Benevento, non era pensabile
che il populus Brixie potesse apporre una simile scritta sopra le teste
della maggiore nobiltà del distretto comunale. Tale proposta di
datazione, che si basa esclusivamente su dati storici, è in contrasto con
le ultime tesi degli storici dell'arte che, con argomentazioni
prevalentemente stilistiche, intendono riportare il ciclo figurativo agli
anni trenta-quaranta del medesimo secolo, sino al massimo del
124992.

91 Sugli affreschi di Brescia G. Panazza, Affreschi medioevali nel Broletto di


Brescia, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, CXLV-CXLVI, 1946-1947, p. 79-104;
Panazza, L'arte romanica, in Storia di Brescia, I, Brescia, 1963, p. 799-801;
Panazza, Appunti per la storia dei Palazzi Comunali di Brescia e Pavia, in Archivio
storico lombardo, XCI-XCII, 1964-1965, p. 181-203; M. Boskovits, Pittura e
miniatura a Milano; Duecento e primo Trecento, in // Millennio Ambrosiano, III, a
cura di C. Bertelli, Milano, 1988, p. 33-34.
92 Per le proposte degli storici dell'arte si veda Boskovits, Pittura e
miniatura, p. 33; con esclusione dei lavori del Panazza, che attribuisce il ciclo ad anni
prossimi al 1270. Per la datazione con criteri storici rimando a Andenna, La
storia contemporanea in età comunale : esecrazione degli awersari ed esaltazione
della signoria nel linguaggio figurativo : l'esempio di Brescia, in // senso della storia
nella cultura medievale italiana (1100-1350), Atti del XIV Convegno internazionale
dei studi del Centro italiano di studi di storia e di arte di Pistoia, Pistoia 14-17
maggio 1993, in corso di pubblicazione. Per ora si afferma semplicemente che gli
affreschi in questione e la scritta Brixiensis populus non avrebbero potuto restare
392 GIANCARLO ANDENNA

Occorre ancora notare che lo stesso palazzo comunale maggiore


è rappresentato come sfondo in una crocefissione della seconda
metà del Duecento, posta sulla parete di levante dell'edificio; nella
drammatica scena sacra il podestà appare con la sua familia nelle
vesti del centurione. La medesima iconografia è presente anche
nella cappella del palazzo episcopale di Novara in una crocefissione,
che è stata datata di recente da chi parla, con considerazioni
puramente storiche, al primo semestre del 1303, in quanto raffigura
come centurione il podestà novarese di parte guelfa Masnerio da
Lodi di Cremona93.
Infine, sempre nel medesimo palacium maius di Brescia, il
vescovo Berardo Maggi fece raffigurare, dopo il 1298, il trionfo della
pace e la sua presa di potere sulla città. Egli appare raffigurato
nell'atto di imporre ad un capo di una parte il giuramento di
sottomissione e di obbedienza al presule; il nobile è ritratto in atto di giurare
in ginocchio con le mani poste sul reliquiario dei santi patroni e
sugli oggetti liturgici della messa, quali il calice e la patena. Sullo
sfondo un notaio in piedi legge il contenuto di una lunga
pergamena, in cui era probabilmente redatto il testo del giuramento, che
fu scritto al di sotto della medesima scena in grossi caratteri gotici.
Attorno assiste, con atteggiamento di giubilo e di testimonianza, il
populus Brixie, che solo alcuni decenni prima era sovrano nella città
e nel palazzo, il quale ora era diventato semplice spazio per la
celebrazione del potere del dominus94.
I palazzi dei Comuni si estraniavano così dalla vita del populus
che un tempo li aveva prodotti95 : a metà Trecento infatti anche il
populus della città e dei borghifranchi di Novara non si identificherà
più nel palazzo comunale, che anche il dominus Galeazzo II
Visconti destituì di ogni signficato simbolico. Nel racconto di Pietro
Azario si narra infatti che nel 1356 il marchese di Monferrato

entro il palazzo del Comune, in quanto esaltanti la parte popolare contro i milites
e contro il mondo aderente al partito imperiale, durante la signoria di Ezzelino
da Romano e di Oberto Pelavicino, che ebbe termine a Brescia dopo la battaglia
di Benevento e quindi tra il 1266 ed il 1267.
93 G. Andenna, Un palazzo, una cappella, un affresco, cit., p. 74-93.
94 La medesima scena è riprodotta sull'arca funebre del Maggi nella
cattedrale rotonda di Santa Maria di Brescia, per cui si veda J. F. Sonnay, Paix et bon
gouvernement : à propos d'un monument funéraire du Trecento, in Arte medievale,
IV, 1990, fase. 2, p. 179-191. Sull'affresco del Broletto di Brescia, relativo al
giuramento della pace, si veda l'intervento di contenuto tecnico di B. Passamani, Le
arti figurative, in Brescia nell'età delle Signorie, a cura di V. Frati, Brescia, 1980,
p. 197-199.
95 Risulta importante sottolineare che a Brescia compare una delle prime
attestazioni del passaggio da palacium comunis a broletum : si veda il documento
27 luglio 1286, che reca una datazione topica ambigua, «pallatium sive broletum
comunis»; cfr. Liber Potherìs, n. CCXVII (XXII), col. 920.
LA SIMBOLOGIA DEL POTERE NELLE CITTÀ COMUNALI LOMBARDE 393

quistò la città ed in quel frangente il populus, unito ai rustici del


contado, penetrò nel perimetro del broletto, forzò le porte
dell'antico palacium e distrusse i banchi dei notai, le carte, i diritti, i
registri con i privilegi della città, gli iura aquisitionum, le condanne e i
libri degli Estimi. Tutto fu bruciato e gli avanzi furono gettati nel
pozzo96. Sorte simile si ebbe lungo il Trecento a Brescia e a Milano :
la perdita degli archivi determinò la scomparsa della memoria, che
già il mutamento di nome, da palacium comunis a broletum, con la
conseguente modificazione delle funzioni, aveva offuscato.
Nato come luogo del potere e strutturato in origine ad
imitazione delle laubie regie e quindi degli spazi destinati al regno e alle
sue liturgie, il palatium comunis durante il XIV secolo, con la crisi
dell'impero e con l'avvento dei regimi signorili, iniziò una parabola
involutiva. Da simbolo della vita politica cittadina divenne luogo
dell'amministrazione fiscale e della burocrazia, mentre la torre si
trasformava in carcere. Con questi nuovi connotati fu rifiutato dal
populus e dal mondo dei pauperes, degli artigiani e dei rustici. L'arco
involutivo era compiuto : i nuovi palazzi dei signori furono innalzati
in luoghi e con forme strutturali completamente diversi.

Giancarlo Andenna

96 Pétri Azarii, Liber gestorwn in Lombardia, a cura di F. Cognasso (Rerum


Italicarurn Scriptores nuova edizione di G. Carducci, V. Fiorini, P. Fedele,
,

XVI/4), Bologna, 1926, p. 81-84.

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