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3 LIBRO: FRONTIERA INTERNA

43) definizione frontiera interna e perché si usa questo termine


La frontiera è interna perché si esclude il diverso dall'interno della società. Il Fascismo tende a buttare fuori la
popolazione povera dal centro città e ad escluderlo nelle borgate. La frontiera oggi è simile ma si ingloba all'interno il
diverso per tenerlo il più possibile sotto controllo. esempi di frontiera interna sono ad esempio nel fascismo le famiglie
moralmente irregolari (titolo 52), bambini moralmente abbandonati (titolo 53), baracche (titolo 51), e nella Roma attuale
l’esempio riguarda le popolazioni rom (titolo 57).

44) DESTRUTTURAZIONE / STRUTTURAZIONE E LE DUE FORME DI ALTERITA’


Lotman sostiene che la cultura si costituisce producendo massa amorfa, ossia attraverso una destrutturazione operata
dai linguaggi, di qualcosa che è già semiotizzato attraverso un altro sistema di valori, sconosciuto. Così si inverte il
processo di formatività linguistica delineato da Hjelmslev, poiché per Lotman la cultura nasce dalla destrutturazione
dell’altro, concedendo alla semiotica di pensare la nascita della cultura stessa come un processo di produzione
dell’alterità come differenza regolata. La riflessione di Lotman ha messo in evidenza almeno due forme di alterità:

- Alterità radicale, tipica dei processi di “costruzione dell’altro” nel medioevo russo, in cui il
rapporto tra cultura e extracultura si concretizza in un rovesciamento completo (ovvero due
culture si relazionano come opposte, l’una si presenta come un’inversione speculare
dell’altra);
- Alterità ‘più radicale’, che vede le strutture poste all’esterno della semiosfera come “non – strutture”, pura negazione
dell’ordine e della regolarità.

Secondo Lotman, ogni cultura crea il proprio sistema dei reietti. L’apparizione della cultura come sostanza formata non
può avvenire che destrutturando contemporaneamente un’altra cultura che viene ad occupare la posizione di
extrasemiotico. Per Lotman, la strutturazione della cultura e la destrutturazione di un’altra, sono elementi
complementari di uno stesso processo. La trasformazione urbanistica di Pietroburgo è considerata da Lotman e
Uspenskij come una manifestazione della fase di ristrutturazione semiotica della cultura russa che si definisce nel 1703
fondando Pietroburgo e facendole sostituire Mosca come capitale. Comparando lo spazio di questa città a quello di
Mosca, Lotman sottolinea come lo spazio urbano, denso di “simbolicità culturali”, sia sempre ‘orientato’, costruito
secondo il punto di vista di un osservatore ideale e riferito a qualche altro insieme – concreto o astratto – che ne
costituisce il modello.
Lotman riconosce che Mosca e Pietroburgo esprimono due concezioni opposte dello spazio:
- Mosca è centripeta: organizzata per centri che circondano e tendono al Cremlino, il ‘centro dei centri’, cioè tende verso
l’interno.
- Pietroburgo: è orientata verso il suo esterno, fuori di essa e fuori dalla stessa Russia, verso
l’Europa.

45) LA PROPOSTA ANALITICA DI HAMMAD/narratività


La proposta analitica di Hammad supera le aporie proprie della semiotica dell’architettura, perché – basandosi sulla
semiotica di Greimas – mette al centro della riflessione le azioni che possono compiersi, e dunque lo spazio vuoto. È il
vuoto ad essere fondamentale in quanto spazio dell’azione narrativa, unico “luogo” in cui sia possibile compiere delle
azioni.
Ad essere centrale nella semiotica dello spazio di Manar Hammad è, quindi, lo spazio prossemico e delle azioni, non
l’edificio architettonico. È proprio grazie alla narratività che un agglomerato di frammenti torna ad essere capace di
produrre un effetto di senso unitario grazie ad una concezione narrativa delle sequenze delle azioni da compiere nello
spazio sacro dell’antica configurazione archeologica. Lo spazio ha la stessa funzione del racconto, ovvero essere una
successione di stati modali. Nella riflessione di De Fusco si cercano di individuare elementi del significante architettonico
che possano esplicitare un significato minimo espresso dall’autore prima dell’analisi. Gli elementi minimi, ovvero i segni
che De Fusco considera, non possono essere definibili come manifestazioni selezionate dal contenuto.
La riflessione, nonché critica, di Emilio Garroni è volta verso i rifiuti aprioristici di considerare il
tema della significazione di oggetti non verbali – dato il loro carattere di continuità o di ineffabilità – e negare una
aprioristica comparabilità tra linguaggio verbale e i cosiddetti linguaggi non verbali.
L’alternativa che Garroni propone, è quella di considerare le relazioni tra elementi linguistici e non
linguistici, ossia di mettere – da un punto di vista Hjemsleviano – la distinzione tra forma e sostanza
attraverso la considerazione globale degli oggetti significanti senza scomporli in singoli elementi
assimilabili a quelli del linguaggio verbali o riconducibili ad una descrizione verbale tale da permettere l’identificazione
surrettizia di un “segno architettonico”.
46) ROMA – ZOLA
Prima della sua designazione come capitale d’Italia, la Roma misteriosa dei papi appare ai viaggiatori europei
impegnati nel Grand Tour – in particolare ai francesi – come una città radicalmente diversa dalle altre capitali europee.
Descrivono enfaticamente il contrasto fra l’aspetto decadente dello spazio urbano romano, i giganteschi monumenti del
passato e la povertà della vita ordinaria. Assemblaggio eterogeneo, misto unico e contraddittorio, di naturale e costruito,
di popolazione povera e ricca, di rovine del passato e di recenti costruzioni. Gli stranieri visitatori vedono la Roma dei papi
come una città amorfa, capitale dell’indistinzione. La massa indifferenziata dalla città, che tanto colpisce i viaggiatori del
Grand Tour, ha una funzione scenografica, funzionale alla città-spettacolo del barocco

ZOLA: Roma gli appare confusa e irregolare, e gli unici elementi di grandezza sono rilevati, dallo scrittore, all’interno degli
edifici.
La grandiosità dei saloni e degli ambienti si oppone – in modo stridente – allo spazio pubblico della città, infatti Zola parla
di Piazza di San Pietro alle 22, triste e deserta, parla del foro come un
monumento in rovina, grigio e desolato, o ancora, il Campidoglio, il Corso, gli provocano un effetto
di “strettezza”, anche per via dei quartieri e delle abitazioni occupate malamente, visti i “panni appesi alle finestre.
Edmond About parla di Piazza Farnese così come Taine parla del Pantheon di Agrippa, ed è proprio il carattere “quasi
agreste” della città dei Papi a colpire i francesi, ovvero le vigne e le coltivazioni che circondano e rendono irriconoscibili il
Colosseo e altri resti romani eccezionali.
Ancora, Louise Colet osserva la Fontana di Trevi e vede contadini che, in quella piazza stretta,
vendono verdure.
Jean Jacques Ampère nota la differenza tra luoghi monumentali del passato e loro uso nel presente, come Piazza
Navona, uno degli angoli di Roma che hanno una fisionomia a sé, dato che si tratta di un mercato di ferraglie e di pascolo,
vecchi vasi e vecchi libri. La Roma del fascismo si definirà attraverso una rottura con questa città.
L’immagine della Roma papalina sottesa alle parole di Bernini è quella di una somma di microcentri
senza centro unico. ciò che per Bernini era potenza scenografica, per Zola era vuoto, deserto, contraddizione. Birindelli e
Ingersoll sottolineano che la città dei Papi possedeva una struttura urbanistica e viaria, altamente articolata che
connetteva in un unico percorso particolare le basiliche maggiori. Lo storico Labrot sostiene che Roma è stata strutturata
in questo modo per agire come un’arma semiotica contro la riforma protestante. Predisposizione di un impianto urbano
scenografico pensato sulla base del percorso dei pellegrini. Il caso più visibile è quello delle decine di sarcofagi trasformati
in fontane pubbliche nelle strade, in quel processo di esaltazione dell’acqua che per Labrot era teso a colpire i pellegrini
che arrivavano da tutta Europa, dopo aver viaggiato per tanto tempo in condizioni di scarsità d’acqua. Così come le
colonne e gli antichi imponenti monumenti posti di fronte alle basiliche o al centro delle piazze e “cristianizzati” e ancora
ampiamenti visibili nei quartieri medievali e rinascimentali. La città doveva diventare la rappresentazione della grandezza
del cattolicesimo.

47) ROMA DOPO L’UNIFICAZIONE


Dopo l’unificazione, la Roma italiana si costruisce lontano dalla città antica , infatti i governi italiani
hanno deciso di costruire la città nuova all’esterno della vecchia città medievale e rinascimentale.
Dotato di un valore semiotico importantissimo, è il monumento al (primo) re d’Italia Vittorio Emanuele II, posto
all’interno del sistema visivo e viario e scandito da obelischi, risalente al governo dei Papi. In particolare, l’operazione di
costruzione della centralità di Piazza Venezia, che evidenzia la connessione viaria tra luoghi monumentali, il suo essere un
nodo di percorsi significativi.
L’operazione di Depretis è tesa a far sì che il monumento ovvero la statua del primo re d’Italia fosse posto direttamente
in asse, in relazione con uno dei monumenti che scandivano il percorso di accesso dei pellegrini alla Roma dei Papi
(l’obelisco di Piazza del Popolo, una delle piazze fondamentali della Roma dei Papi), inserito nel sistema delle vie
sistine. Frontalità necessaria tra i 2 monumenti. L’Italia sabauda non è mai riuscita a costruire un nuovo modello di città.
Occorrerà aspettare l’esplosione culturale della Prima Guerra Mondiale per una vera trasformazione compiuta.
Dopo il grande sconvolgimento della Prima guerra Mondiale, con l’avvento del fascismo inizia un profondo processo di
metadescrizione modellizzante dell’identità italiana.
In questo contesto di trasformazione dei modelli, matura una preoccupata e costante attenzione alle istituzioni fasciste di
Roma alla popolazione povera e senza casa, come medicanti, immigrati e
baraccati che popolavano le strade della città. L’obiettivo era solo quello di controllare la loro
precarietà attraverso il loro inserimento in alloggi temporanei, scoraggiandone la presenza in strada. la rivista
Capitolium (strumento di propaganda del regime fascista), che riporta in modo dettagliato le operazioni di
trasformazione della città di Roma e le azioni capillari del regime di osservazione della popolazione.
Si occupa di informazioni bibliografiche e storiche sulla città di Roma, delle trasformazioni
urbanistiche o di eventi mondani e politici più recenti, prestano un’importante attenzione alla
statistica della vita quotidiana, quantificata in termini di costo della vita, delle abitazioni, del cibo,
della quantità degli elementi in entrata e uscita dalla città.

48) INIZIO DEL REGIME FASCISTA


L’inizio del regime fascista è caratterizzato da una trasformazione coerente della rete di metafore
utilizzate per definire l’identità nazionale, tutte orientate sulla base di un’idea del passato romano
centrata sull’identità imperiale romana e sulla sua supremazia, in un’ottica radicalmente selettiva
rispetto alla molteplicità potenziale che essa contiene.
Un termine chiave del riorientamento generale delle metafore usato nel discorso politico intellettuale è romanità. La
diffusione del termine è avvenuta durante l’esplosione culturale caratterizzata dalla Prima guerra Mondiale, infatti già nel
1925 venne inserito all’interno della rivista Capitolium, all’interno di testi urbanistico-archeologici.
Il termine romanità si potrebbe definire come una metafora grammaticale per indicare la
sostantivizzazione di un aggettivo da romano a romanità, o la nominalizzazione di un sintagma quale “l’essere romano”. Il
discorso si caratterizza per la sua componente passionale e per essere centrato sul destinatario e si evince come, alla base
delle differenze di superficie presenti nel discorso di Bacchiani, si trovi un’isotopia dell’origine, ovvero che gli italiani siano
l’unica discendenza diretta dell’Impero romano.
Dunque, l’uso della “romanità” e di Roma è intimamente connesso al passato imperiale romano:
l’idea di gerarchia è l’altra isotopia (22) discorsiva ad essere presente nelle parole di Mussolini, resa dal punto di vista
tematico attraverso le figure della grandezza.
Roma e la “romanità” sono il fulcro di una vasta narrazione che ha una funzione paradigmatica che
serve a differenziare l’Italia dalle altre nazioni europee, posizionando il fascismo in relazione di
filiazione dall’Impero Romano e così differenzialmente rispetto alle altre ideologie religiose e
politiche italiane.

La trasformazione del territorio è l’elemento più visibile attraverso cui il fascismo si è iscritto nella storia italiana.
L’accento è posto sulla risemantizzazione generale dello spazio urbano, finalizzata a esprimere una nuova identità
italiana che abbia inizio con l’Impero Romano e culmine ordinativo nel fascismo.
La trasformazione di interesse semiotico è quella in cui i monumenti antichi sono iscritti in una rete
di nuovi percorsi e punti di vista.
Kallis ad orientare la sua indagine è il concetto di “ricodifica” dello spazio urbano, per far emergere un nuovo livello
visibile nella città in cui le gigantesche rovine del passato monumentale siano connesse in un tessuto unitario
propriamente romano, che non ha spazio per i nuovi edifici fascisti.

49) MEMORIA MONUMENTALE/prossemica della distanza - LA SELEZIONE DELLA MEMORIA


CULTURALE - E IL CAPITOLIUM
MEMORIA MONUMENTALE: il fascismo è l’esito coerente e puntuale necessario di una storia italiana coerente che
inizia con l’impero romano e nonostante tutte le fratture risorge nel 1924 proprio col fascismo, è una grande
produzione di tipo semiotico che consiste nel ristrutturare una piazza con un punto metonico in cui voltandosi e
girando un passante può fare esperienza dei monumenti fondamentali della storia italiana selezionati dal punto di vista
del presidente: la Roma religiosa, la Roma dei papi, la Roma sabauda (o della guerra)- Mussolini aveva una chiara
immagine di Roma voleva riportare alla luce l’impero ma ricostruendo la storia dal punto di vista del presente e quindi
del fascismo in Italia. Ad esempio crea una rete di punti notevoli in cui i monumenti si danno del tu e in cui questa
strada porterà poi a via della conciliazione che anch’essa subisce quel processo di abbattimento, quindi creazione di
un punto di vista immediato che connette per esempio anche l’entità religiosa con San Pietro.
Un altro fattore importante per quanto riguarda la memoria monumentale è il recupero della materialità della lingua
Latina, in tutti i palazzi dal 26 c’è l’obbligo di usare le lettere in caratteri latini per indicare l’anno di costruzione a
partire dall’inizio dell’era fascista, sono slogan, frasi banali. L’accento infatti non è sul contenuto di queste frasi ma
proprio sull'uso della materialità della lingua, cioè l’uso della materialità del significante per esprimere come diceva
Greimas la verità e il significato, ossia fare una connotazione verdittiva, proprio a indicare che noi siamo romani, cioè
in questo modo il fascismo si iscrive nella vita quotidiana delle persone, gli edifici erano tutti uguali con queste scritte,
il problema è la credibilità di questa operazione che sarà creduta innanzitutto dagli immigrati, quando arriveranno a
Roma negli anni 50 e costruiranno le loro case abusive fuori dalla città, nel territorio esterno perché il fascismo
struttura la città come un sistema che è dotato di inizio e di fine e che quindi ha iscritta al suo interno una memoria
per cui è capace di distinguere tra sé e altro da sé e quando gli immigrati arrivano a Roma si rendono conto che quel
sistema è dotato di confini fortemente riconoscibili e si mettono fuori, quindi questo vuol dire che una volta creato il
sistema di significazione fascista questa inizia a funzionare e inizia a produrre significati al di là del regime. Si viene a
costruire una nuova marginalità. L’identità non si costruisce soltanto pensando a un modello ma anche all’anti
modello, cioè il fascismo dice anche ciò che noi non siamo, ad es. non siamo italiani poveri che abitano nelle
baracche, loro diventano per il governati fascisti un problema, un pericolo, peggio ancora un disordine di tipo morale,
anzi l’effetto di quello che in un altro discorso, il discorso politico amministrativo scolastico, verrà chiamata malattia
morale e verrà pensato come a una malattia famigliare ereditaria il cui segno manifestato era deformazione del corpo
dei bambini e la loro sporcizia oltre a danni celebrali, danni fisici e incapacità di concentrazione ragionamento,
sembra una follia ma l'altra grande enorme metafora che prende corpo in questi anni è la metafora di malattia morale,
morbo morale Mentre prima del fascismo la vicinanza tra monumenti romani e case
povere era normale, cioè non c’era una prossemica della distanza, durante il fascismo si viene a creare
un’incompatibilità tra queste case e i grandi monumenti, alla distanza sociale dovrà corrispondere una distanza
spaziale, ma la distanza sociale sarà chiamata distanza morale, cioè una gerarchia morale. Il fascismo inventa una
gerarchia morale, non più di sangue ma di nobiltà d’animo e poi troverà l’immorale nelle famiglie baldaccate e nei
bambini di strada (questa sarà la forma di irregolarità a cui il fascismo si opporrà). sì differenza dagli altri stati europei
ma chi veramente disprezza e chi veramente lo spaventa sono degli italiani, cioè il fascismo si pone in relazione con
gli italiani poveri come una relazione di razzismo interno, guardare uno strato stesso della sua stessa nazione con
l'atteggiamento di chi guarda i selvaggi e saranno i bambini delle scuole. Le baracche le chiamavano i villaggi abissini.
L’alterità per eccellenza era quella dei popoli nel corno d’Africa che si voleva colonizzare. l’extra semiotico con
questa operazione sono i poveri, sono diventati i vermi
LA SELEZIONE DELLA MEMORIA CULTURALE - E IL CAPITOLIUM

Nello spazio urbano si cercherà di rendere gli effetti di senso del discorso politico-archeologico,
attraverso gli effetti di materialità della pietra. La manipolazione della storicità iscritta materialmente nel corpo vivo della
città, avrà esiti estetici più affascinanti del ripetitivo discorso degli pseudointellettuali del regime.
Il primo numero della rivista ufficiale del governatorato, Capitolium, esce volutamente il 21 aprile
1925, in coincidenza con l’anniversario della fondazione di Roma ed è in larga parte dedicato alla descrizione dei
progetti e dei primi di lavori di scavo dei resti romani che il tessuto urbano cela sullo svelamento dei resti della
“Roma imperiale”.
La rivista presenta una sequenza ininterrotta di azioni unitarie, raccontata come un unico processo
definito “ricostruzione”, “riscoperta”, “isolamento”, “disvelamento”, in cui la sequenza degli articoli
è un lungo elenco del serbatoio di memorie che la città contiene. Il fascismo manipola la “memoria culturale” espressa
dallo spazio urbano. Infatti, la descrizione dei monumenti diventa una valutazione normativa delle diverse “età” della
storia italiana: quella imperiale, quella dell’età di mezzo, del Rinascimento.
Non si manca di sottolineare come il periodo del Rinascimento abbia arrecato enormi danni al passato imperiale,
producendo un vero spettacolo di rovine quale si incontra dopo il più grave cataclisma e a cui ci si propone di porre fine
attraverso “l’isolamento della costruzione, oggi. All’interno della rivista si susseguono ricostruzioni di monumenti su
disegni e incisioni d’epoca, vedute fotografiche profonde. Ad essere in scena, invece, è la trasformazione culturale. Le foto
non raccontano che la storia muta delle cose, ed è proprio il racconto di questa storia muta ad implicare che le stesse
pietre siano costruite nel discorso come pezzi di memoria da ricomporre e presentati dalle immagini come luoghi vuoti in
attesa di una nuova attenzione futura. I luoghi sono pezzi di una storia da muovere a piacimento, come se nessuno li abiti
o li viva affinché il passato possa essere reso visibile e dicibile. L’autore Paluzzi propone di diffondere attraverso la
scuola, una sorta di “pedagogia del passato”, inserendo nei programmi scolastici alcuni temi che riguardano quali sono i
monumenti più importanti del quartiere oppure perché le strade che si percorrono hanno tutte dei titoli e nomi di
persona. Questo tipo di pratiche sono finalizzate a “far guardare” i monumenti messi in visibilità.
Si pensi ai quartieri di Roma le cui vie riportano i nomi dei “condottiere italiani” del medioevo e del rinascimento, degli
“eroi dell’aria”, al progetto di quartiere degli artigiani, al comunemente chiamato “quartiere africano”. Quella che è
definita una forma di “educazione” al passato, è in realtà una forma di “attualizzazione”, iscrizione di una memoria
culturale altamente selezionata nel presente della vita quotidiana.

50) DISCORSO MEDICO e discorso politico urbanistico


L’operazione di trasformazione urbana è vista come una pratica di risanamento di un corpo malato che ha l’aspetto di una
purificazione: opera di selezione, separata e filtraggio. Il discorso medico
fornisce il lessico e le figure che permetteranno al discorso urbanistico-archeologico di motivare la necessità delle
demolizioni: la metafora dell’infezione, per esempio.
Questo discorso medico permette di pensare le operazioni urbanistiche come un intervento articolato in atti di selezione,
rimozione ed eliminazione “degli elementi estranei che potrebbero compromettere la qualità di un insieme”, cioè un
processo di “purificazione”. L’igiene è la figura del discorso che permette di connettere il presente al passato, ma anche di
produrre lo slittamento fondamentale che permetterà la creazione di una gerarchia completamente nuova in un
panorama di rovine dissepolte e svelate. Lo spazio della capitale si “politicizza” e le relazioni visive e prossemiche sono
valorizzate in modo molto diverso dal passato. La risemantizzazione delle relazioni prossemiche riguarda tanto i
baraccamenti quanto le case delle aree “povere” da demolire nel centro monumentale della città. Il discorso medico
renderà visibili le malattie imputate alla sporcizia e alla promiscuità e ritenute segni della malattia morale ed il discorso
politico-scolastico considererà i sintomi sul corpo dei bambini come segni delle malattie di una anomalia morale che si
costituisce intorno al corpo: i segni del nuovo “sistema di reietti”.

51) LA TRASFORMAZIONE FASCISTA/enunciazione Colosseo e fori romani


Mussolini si voleva liberare di quegli elementi incompatibili di cui i viaggiatori francesi avevano stigmatizzato la presenza
e vedeva il centro di Roma come sistema di luoghi monumentali in una selezione dello spazio analoga al processo
di selezione della memoria culturale in corso. I più antichi monumenti romani devono essere resi non solo visibili ma
anche connessi da percorsi visivi e viari ai luoghi del potere politico (Piazza Colonna / Pantheon).
Cremonesi, al discorso di Mussolini, rispose ribadendo il principio della emblematicità dello spazio urbano di Roma
(“immagine e fondamento del nuovo stato italiano”), della sua collocazione all’apice di una gerarchia e della sua
organizzazione stessa come gerarchia.
Emerge l’immagine dello Stato come forma gerarchica e della sua capitale come apice di questa
gerarchia. La città capitale è valorizzata come luogo del potere politico.
La trasformazione fascista prevedeva l’eliminazione di tutti gli edifici sovrastanti i fori romani e la loro ricopertura per la
costruzione di un'ampia strada, ovvero la Via dell'Impero, tra piazza Venezia e il Colosseo, ideale punto di arrivo della
nuova Via del Mare che porta ad Ostia. Infatti, la creazione della Via dell'Impero modificherà il sistema di relazioni in cui
era stato inserito il monumento al re Vittorio Emanuele II, stabilendo un'ulteriore relazione visiva, diretta e di frontalità, tra
la posizione che avrebbe occupato il capo del governo e il Colosseo. Sembra che Mussolini sia stato informato nei
dettagli di tutto ciò che riguardava i monumenti. Infatti, il Duce ha definito piazza Venezia il cuore di Roma e quindi cuore
d'Italia, ed è apertamente indicata come il centro politico della città. Il centro di Roma è il luogo in cui si incrociano
dunque il Risorgimento, la Prima guerra mondiale, l'Impero Romano, il fascismo. Mussolini si inserirà direttamente in
questo sistema di relazioni, spostando, nel settembre nel 1929, il suo ufficio di capo del governo nel palazzo San
Marco in piazza Venezia, esattamente di fronte al punto in cui sfocerà la nuova via dell'impero, ponendo così in
relazione di frontalità il Colosseo e l'Ufficio del capo del governo. Il Presidente del Consiglio italiano Depretis aveva
voluto mettere in relazione di frontalità, il monumento nazionale dell'Italia monarchica con quella dei Papi a cui essa
succedeva, e Mussolini nel 1932 ha posto direttamente in relazione di frontalità, la sede del potere fascista con il
monumento più rappresentativo dell'Impero Romano (Colosseo).
Mussolini inserisce, in questo sistema di relazioni, il luogo del potere politico direttamente collegato alla sede del passato
imperiale romano, attraverso il suo monumento più rappresentativo. In questo modo sono direttamente in connessione
l'antico passato imperiale romano ed il presente fascista della nazione. Il potere del passato più antico e quello del
presente più moderno, si pongono in relazioni di frontalità, ma contemporaneamente in questo modo instaurano
un legame quasi equivalente a quello della relazione io/tu dell'enunciazione linguistica. Si potrebbe anche pensare
che l'Altare della patria “medi” tra il fascismo e l'impero. Non si tratta solo dunque della creazione di una strada, ma di
una trasformazione di tutte le relazioni significative nell'ottica di una risemantizzazione sistemica della memoria
culturale espressa dallo spazio urbano, riletta dal punto di vista del presente. La trasformazione fascista non
costituisce soltanto di un’operazione di approvazione rivolta verso il passato, ma un'opera di risemantizzazione globale e
sistematica del significato degli elementi della città capitale che diventa un simulacro metadescrittivo di un universo
culturale.
È nel territorio della città nuova che il progetto di espressione della società fascista prenderà forma attraverso la
romanizzazione della lingua e la pietrificazione dello spazio. La lingua latina
ed il travertino vengono inscritti nella vita quotidiana della popolazione. L'uso del travertino nei rivestimenti delle facciate
degli edifici pubblici sembra particolarmente emblematico poiché rappresenta un'operazione imponente di pietrificazione
della città nuova. Kallis ha sottolineato come gli edifici nuovi costruiti durante il fascismo nel centro della città e in
particolare quelli pubblici, siano quasi sempre ricoperti interamente dal travertino e da scritte in latino: esprimono la verità
della continuità tra impero e fascismo attraverso l'analogia ridondante tra antico e moderno.

52) I VILLAGGI ABISSINI sporcizia, distruzione baracche/famiglie, individui marginali (60 rom)
Alla fine del 1927, Mussolini e il Presidente dell’istituto Case Popolari – Calza Bini – intrattengono
una corrispondenza sulla celebrazione del V anniversario della “rivoluzione fascista” e lo stesso
Mussolini volle assicurarsi che fosse possibile spostare alcune centinaia di baraccati in nuove case.
Stilò un documento, nel 1927 – sempre – il cui titolo era “Lavori di sbaraccamenti di urgenza
compiuti in occasione del V anniversario della Marcia su Roma” a cui Carla Bini risponde con una lettera, in cui si
prospetta un’operazione di sparizione di un numeroso nucleo di baracche nel
quartiere San Lorenzo, approvando e supportando la proposta del Duce.
Si trattava di un vero e proprio spettacolo della distruzione.
Zucca nel 1931, sempre su Capitolium, parlerà della trasformazione “morale” che inizia dopo la
necessaria distruzione delle baracche. In questo caso, la mancanza morale degli abitanti delle
baracche è il punto di partenza delle narrazioni. L’articolo non manca di sottolineare l’“asepsi non
garantita” dei bambini abitanti nelle nuove case, una mancanza di pulizia fisica considerata segno di mancanza morale e
famigliare che solo il fascismo possiede la competenza per colmare.
Il direttore dell’ufficio di Assistenza sociale, Raffaello Ricci, parlò della demolizione delle baracche
in relazione alla “lotta antitubercolare”. In questo passaggio, le unità minime di costituzione della
popolazione – le famiglie – diventano l’oggetto dello sguardo del governatorato come “focolai di
infezione morale”, iscritti all’interno di un “immaginario epidemico”.
Nel discorso politico fascista, la famiglia sarà identificata come il “focolaio” di propagazione della
“malattia morale”. La SPORCIZIA è l’indice visibile della trasmissione di una “infezione morale” che è direttamente
collegata alle infezioni fisiche.
Alla grandezza ereditaria dei monumenti che esprimono la nuova / antica identità romana, si
contrappone una malattia morale ereditaria, familiare, complementare alle malattie epidemiche dell’epoca. La
popolazione baraccata sarà costante oggetto di preoccupazione e repressione. Si provvederà alla distruzione delle loro
baracche attraverso un regolamento preciso dal centro monumentale verso la periferia.
Invece, le borgate governatorali, gli alberghi per sfrattati e i ricoveri provvisori, condividono – dal
punto di vista dell’articolazione spaziale – alcune caratteristiche comuni. Si collocano in uno spazio
vuoto, in aperta campagna, non visibile dalla città. La borgata non ha storia, non c’è un tempo precedente alla sua
creazione iscritto o ricostruito in essa, a differenza della città storica la cui memoria è riorganizzata con cura maniacale,
mentre la borgata si caratterizza proprio per questa assenza di ogni segno commemorativo. Furono graduate su una
scala differenziata, partendo dai poverissimi alle borgate rurali, semirurali e per famiglie numerose. Poi, vennero
differenziate secondo le tipologie di case che le compongono come rapidissime, rapide, ultrapopolari, popolari, per
famiglie numerose, rurali, fino alle “baracche in muratura” delle borgate governatorali, le peggiori.
La differenza tra borgate migliori e borgate peggiori dà origine a un sistema spaziale di premi e punizioni legati al
luogo di abitazione. Nelle borgate migliori, dieci famiglie di inquilini in regola coi pagamenti degli affitti potevano
partecipare ad una lotteria annuale e potevano vincere lo “spostamento” nelle borgate migliori, mentre in quelle
peggiori venivano minacciati di essere inviati gli abitanti morosi e restii alla disciplina fascista. Vi era dunque un sistema
di punizioni “morale”, legato sempre al mancato pagamento degli affitti e alla violazione delle regole.
Villani cita due dei provvedimenti punitivi adottati all’interno degli alberghi per sfrattati:
- lo sfratto disciplinare
- il lucchetto disciplinare: consisteva nella possibilità di trovarsi la casa chiusa senza preavviso
con cui si punivano i morosi impedendo senza preavviso l’accesso alle abitazioni, fino ad
arrivare allo spostamento – attraverso lo sfratto – nei borghetti più poveri e marginali
Attraverso questi premi e punizioni, si attua un’opera di rieducazione e civilizzazione.
Ricci propone un modello medico di gerarchia morale in cui le operazioni politiche e urbanistiche sono tematizzate
come operazioni volte a condurre un “risanamento morale” della popolazione. Risanamento morale da ottenere
attraverso un provvedimento medico-poliziesco come individualizzazione, cellularizzazione e separazione preventiva
temporanea e rieducativa degli irregolari. Si tratta di un modello di una spazializzazione politica della popolazione che
emerge nel Piano regolatore del 1931 dedicato e ispirato direttamente da Mussolini.

53) PIANO REGOLATORE DI MUSSOLINI


Questo Piano regolatore può essere letto come una serie di disposizioni tecniche ma anche come un piano politico che
implica una nuova topologia delle figure marginali la distanza dal centro dei baraccamenti, nella scelta di mantenerli
spostandoli in periferia per non renderli visibili, ma anche attraverso lo spostamento in periferia degli ospizi per i “vecchi
accattoni”. Il cuore di questa operazione è, oltre alla costruzione delle borgate, la marginalizzazione della popolazione
con precedenti morali non buoni. Il progetto sarà quello di spostare separandola da un vuoto. Tutta la popolazione che
costituisce la periferica semiotica, come i vecchi malati, gli accattoni, le famiglie moralmente irregolari. Nella
strutturazione del territorio, il vuoto è fondamentale: le borgate saranno separate dal resto della città da una “terra di
nessuno”, una fascia di terreno incolto estesa per chilometri. Si tratta di spostare, in uno spazio naturale illimitato, ciò che
si oppone allo spazio culturale ormai delimitato. La costruzione delle borgate è fondamentale in quanto permette di
pensare la città come una totalità omogenea e chiusa dal punto di vista spaziale e morale / sociale.
Collocano l’alterità sociale estrema, rendendo visibile il confine della città, come esterna alla capitale di cui si valorizzano
l’inizio e la fine, fissati univocamente attraverso due monumenti, uno fascista moderno e uno antico, ovvero il Foro
Mussolini a nord e la romana Porta Maggiore a sud-est, l’imponente monumento che avrebbe dovuto costituire il punto di
accesso all’area della stazione Termini.
Nel 1925, l’archeologia e il discorso medico sulla popolazione sono i due grandi ambiti indicati da
Mussolini, come i due livelli di azione del governo fascista:
- l’operazione di messa in visibilità del passato imperiale, resa invisibile dalla stratificazione
edilizia medievale;
- l’operazione medica di “assistenza sociale”.

Nel XVI secolo si scopre per la prima volta che anche le città hanno le loro malattie: epidemie, carestie, rivolte, e si cerca
di curarle politicizzando lo spazio, quindi normando le costruzioni, gli usi, ecc, Capitolium vuole operare nel corpo
collettivo della popolazione. Anche le popolazioni hanno malattie – che si spostano: dal corpo architettonico che le
ospita, ai corpi che li vivono. Il governatorato della città di Roma, nel 1925, inizia un’opera dettagliata di indagine sulla
Popolazione. Una grande quantità di dati statistici eterogenea, aggiornata, aggregata e pubblicata ogni mese, riguarda il
movimento di popolazione, il costo della vita e del cibo, i trasporti pubblici, la “lotta antimalarica” e il numero dei biglietti
dei mezzi pubblici emessi, ecc…

54) I BAMBINI MORALMENTE ABBANDONATI e MARIA CAPOZZI/bambina


Uno dei nuovi attori che emerge nelle riflessioni di addetti all’educazione è il “bambino moralmente abbandonato” o
orfano morale. La figura sociale di questo bambino appare spesso su Capitolium nelle considerazioni di maestre e uomini
politici all’inizio del regime fascista.
Il “bambino moralmente abbandonato” è individuato attraverso una perdita – di “purezza” e
“innocenza” – legata ad una apparizione della sessualità.
Maria Capozzi si basa sull’idea che nel comportamento infantile ed adolescenziale sia già visibile il
futuro personale. A questi bambini sarà destinata un’intensa attività di “assistenza” da parte
delle istituzioni cittadine. Venne analizzato un testo scritto dalla Capozzi e che venne
pubblicato a sostegno del Governatorato di Roma, con l’obiettivo di documentare l’attività dei
Padiglioni “Infantiae Salus”. La prefazione dell’avv. Ricci – delegato del Governatorato di Roma –
chiarisce subito la natura pubblica ed ufficiale del testo.
Ambientato nel febbraio del 1921 a Trastevere, racconta la trasformazione di un soggetto in un altro: il passaggio dalla
misera vita quotidiana di una “piccola vagabonda” ad una bambina cui “una vita nuova” si dispiega davanti. Si
dipana la storia di una mancanza morale familiare iniziale compensata da un destinante manipolatore che, attraverso una
“dolce violenza”, sottopone all’opera di soggetti competenti un piccolo corpo da trasformare, corpo da socializzare, da
culturalizzare – attraverso una semiotica corporea, la pettinatura, e vestimentaria, il camice, capaci di renderlo civile e
quindi conforme dal punto di vista morale e fisico.
I tratti caratterizzanti il processo di culturalizzazione della bambina possono essere evidenziati
analizzando la sua storia. All’inizio la bambina è sporca, scalza, non curata e soprattutto sola. Il testo descrive dei bambini
segnati dai gesti della cura, ossia sottoposti all’azione di un soggetto competente che li considera dotati di valore e quindi
li protegge. I vestiti che indossano possono ripararli dal freddo, mentre la bambina – protagonista – del racconto è scalza.
La bambina poi viene notata e l’incontro con gli altri bambini ha il sapore del primo contatto con
l’altro radicale, ma dall’orientamento rovesciato, è infatti colui che occupa la posizione dell’alterità
ad osservare stupefatto e quasi attonito la bambina, chiamata “la piccola osservatrice”.
Dopo essere apparsa una “signorina” – soggetto competente operatore della trasformazione – la
bambina viene invitata a divenire alunna di una scuola attraverso la “dolce violenza”. Curata da altri
bambini e dalla maestra, si compie una trasformazione radicale per la bambina che prima era sudicia e intirizzita, ora
assume lo stesso candore e ordine dello spazio in cui si è inserita.
Occorre notare come la bambina resti del tutto passiva e in qualche modo resista addirittura al bene che le è “offerto”:
vorrebbe fuggire ma resta inchiodata e ritrosa, rapita dal fascino. La bambina appare guidata da istinti primari: evitare il
freddo, soddisfare la fame. Il racconto ricorda molto da vicino la semantizzazione dei “selvaggi” operata da Darwin
Incapacità di scegliere della bambina: la bambina vagherà senza meta, chiedere l’elemosina come fa tutti i giorni, sarà
incapace di decidere se entrare o meno nella scuola, in modo opposto rispetto al comportamento normato, organizzato
dei bambini nella scuola. Interessante, quindi, è la sua condizione di “ritorno alla natura” che non ha nulla di naturale, dato
che si costruisce per negazione o per contrarietà rispetto alle norme pratiche e morali valorizzate socialmente.
Già nel 1925 sono attivi medici scolastici che visitano mensilmente i bambini nelle scuole. Infatti nelle scuole verrà
istituita la figura della “vigilanza scolastica”, una figura ibrida tra una sorvegliante e un’infermiera . Sia nelle colonie che
nelle scuole verranno istituite delle “gare d’igiene”, e ambulatori per le cure “elioterapiche” per bambini “gracile” nei
quartieri popolari. I bambini saranno dunque il punto di ingresso di questo sguardo medico nella vita quotidiana delle
famiglie, che si può presumere fossero il vero obiettivo dell’osservazione. Iniziata valutando la pulizia del bambino, la
pratica di controllo si chiudeva attorno alla pulizia della casa, ma al suo interno dal singolo individuo, si passa alla famiglia
e alla salute fisica e morale. (CORPO DEL BAMBINO NEL TITOLO 56)

55) L’ISOTOPIA FAMILIARE


Grazie al lavoro delle vigilatrici scolastiche, verranno preparate e compilate delle schedature familiari in cui, accanto al
nome del bambino, veniva registrato il grado di qualità e di pulizia dell’abitazione.
Capozzi descrive il funzionamento del suo lavoro, elencando e descrivendo le osservazioni svolte
nelle case dei bambini “moralmente abbandonati” di cui si occupa. L’intero libro racconta il
cambiamento di questi bambini e le descrizioni delle visite domiciliari effettuate dalla scrittrice, costituiscono
anche un esempio emblematico del nesso tra forme di vita marginale e forme del corpo infantile.
’Individuo “anormale”: caratterizzato da vizi, che porta alla perdizione coloro che lo seguono e trasmette ai discendenti
la propria immoralità e la propria degenerazione psichica. L’anormale, non indica un difetto ma il discostamento da
una norma comportamentale sociale, una morale. La forma del corpo del bambino diventa l’espressione della forma di
vita anormale della famiglia. L’irregolarità, l’inferiorità e l’indefinibilità che caratterizzano lo spazio vengono infatti
manifestate nel corpo dei bambini da cui è possibile “leggere” i segni delle mancanze morale dei genitori. Possono,
dunque, manifestare una forma anormale di vita, i cui segni sono i sintomi delle malattie infantili. L’anomalia psichica è
uno dei grandi estranei che, durante la Prima guerra mondiale, irrompono nel discorso psichiatrico italiano.
Le categorie di classificazione dei bambini, in particolare quella “politico-scolastica” del “bambino moralmente
abbandonato”, e quella “medico-diagnostica” dei “falsi anormali psichici”, sono categorie neuropsicologiche che hanno
come componente fondamentale i fattori ambientali e sociali e nel discorso medico sono connesse alla dimensione
“morale” delle condotte di vita. In un testo di De Sanctis, l’anormale psichico falso è definito brevemente come un
malato grave ma
la cui malattia non è circoscrivibile all’individuo ma è inseparabile dall’ambiente in cui esso vive e
cresce. L’anormale psichico falso si configura come una sorta di “anormale ambientale”. Sarà la figura dello “specialista
degli anormali”, che si occupa degli anormali psichici (veri e falsi). Gli anormali psichici falsi APF sono di nuovo sempre
in numero molto maggiore rispetto a quello degli anormali psichici veri APV. Nel 1942 verranno visitati anche i “normali”,
ossia gli alunni visitati “senza rilievi”, e infatti da quel mese di quell’anno, l’ufficio assistenza anormali non indicherà più i
bambini individuati come anormali psichici, veri o falsi, e i dati si limiteranno ad indicare le visite effettuate sui bambini già
iscritti alle classi differenziali. Il sistema di osservazione medica è arrivato in questo momento alla sua massima
espansione, arrivando ad effettuare un numero di visite mensili addirittura superiore alla totalità degli iscritti.

56) LA RAPPRESENTAZIONE DEL BAMBINO (foto)/corpo del bambino significante


In questo processo, il corpo del bambino diventa il significante che esprime i significati di irregolarità individuati nel
discorso politico – scolastico. Il discorso medico è il luogo di una traduzione intersemiotica che condurrà a gerarchizzare i
bambini anche nelle scuole. Attraverso una comparazione tra la documentazione del trattamento dei bambini nelle
colonie infantili e delle visite mediche svolte nelle scuole, è possibile analizzare le immagini dei bambini attraverso il
metodo della semiotica dell’arte, e anche attraverso le osservazioni di che indaga, in particolare, sulle modalità di
costruzione del rapporto osservatore-osservato, che si realizzano attraverso meccanismi di articolazione del testo
fotografico. Attraverso la considerazione di questi elementi, sarà possibile comparare le immagini dei bambini classificati
come normali e affetti da deficienze “morali” e fisiche.
La rappresentazione dei bambini sani è tesa alla rappresentazione della massa uniforme e non del singolo bambino. Il
corpo dei bambini è rappresentato in modo da costruire un collettivo omogeneo, in cui le differenze individuali non sono
più pertinenti e in cui i corpi individuali sono assemblati in composizioni tali da diventare singolarmente irriconoscibili.
Anche i bambini in buona salute erano destinati ad attività assistenziali su segnalazione delle scuole all’interno di un
Progetto di aumento della salute collettiva realizzato attraverso la trasformazione del corpo individuale, all’insegna della
“eugenetica migliorativa” e non selettiva.
La fotografia dei bambini malati (Tracoma e Adenoidi= indicate come malattie pericolose perché capaci di causare
numerosi problemi fisici ai bambini e di influire negativamente sull’andamento scolastico, causato dalla mancanza di
pulizia delle abitazioni. Le due malattie possono essere visibili sul corpo e in particolare sul viso, i loro sintomi sono
considerati correlati alla condotta e oggetto di valutazione morale. Si tratta però, di malattie molto diverse, infatti il
tracoma non ha alcun effetto sul funzionamento del sistema celebrale ma può rendere ciechi, mentre l’effetto negativo
delle adenoidi è solo indiretto poiché possono ridurre l’attenzione, la capacità di concentrazione in caso di difficoltà
respiratorie che impediscano di dormire. Sono rilevati in connessione con la sindrome adenoidea: disturbi psichici,
intelligenza limitata, disattenzione, svogliatezza, stanchezza al lavoro fisico e intellettuale, irritabilità, emotività esagerata.)
Questo tipo di fotografia è invece individualizzante, basata sulla competenza di un soggetto osservatore che rende i
bambini dei tipi di malattie specifiche e di una esplicita classificazione morale. In esse il corpo del bambino è sottoposto
ad un processo di “singolarizzazione” opposto a quello all’opera nella rappresentazione dei bambini sani. Cambia
profondamente la concezione dell’immagine del volto, poiché è concepita per rendere visibile non il tratto di insieme ma
piuttosto dei segni particolari.
La fotografia di gruppo riprende i bambini di un'intera classe, riunifica infine gli individui in una massa articolata come
una gerarchia secondo la sanità fisica e morale. La fotografia diventa una sanzione politica basata sulla salute delle
bambine, che istituisce un processo di “gerarchizzazione” fisico-morale delle bambine in un ambiente che non è più
biologico-sociale come la famiglia, ma interamente sociale, ossia la classe. La disposizione spaziale della classe traduce
visivamente il modello elementare di una società “media” gerarchizzata sulla base della salute fisica e morale, in cui
esistono una élite, una “classe dei “difettosi” normali, sani sono una netta minoranza che nella foto è l'unica degna di
esprimere l'identità politica coerente col potere dominante. Le bambine in piedi sono articolate fra quelle malate “in forma
lieve” e quelle più in alto che raggiungono un livello ottimale di sviluppo. Quelle sane, infatti, sono quelle in alto con la
mano alzata. Quelle sedute sono affette da adenoidismo grave.
Il discorso medico renderà visibili le malattie imputate alla sporcizia e alla promiscuità e ritenute segni della malattia
morale ed il discorso politico-scolastico considererà i sintomi sul corpo dei bambini come segni delle malattie di una
anomalia morale che si costituisce intorno al corpo: i segni del nuovo “sistema di reietti”.

57) COM’E’ USATO IL QUADRATO SEMIOTICO NEL LIBRO LA FRONTIERA INTERNA?


Il quadrato semiotico nel libro la frontiera interna lo troviamo verso la fine del libro in una descrizione della foto chiamata
“le alunne della classe” dove vi erano rappresentate queste bambine. In basso c’erano le bambine adenoidee gravi e la
didascalia della foto sottolinea che erano anche ripetenti, poi in alto in una posizione sovrastante abbiamo le bambine
normali che facevano anche il saluto fascista e poi sempre sotto ma in piedi abbiamo le bambine adenoidee non gravi. Si
crea questo quadrato semiotico tra il nomale e l’anormale (termini contrari), dove il normale erano queste bambine
normali che rappresentavano l’identità del regime fascista e non erano malate. Il termine contraddittorio, cioè quel
termine che nega la categoria del termine contrario era il termine “anormale difettoso” che erano queste bambine
adenoidee gravi, mentre il termine contraddittorio dell’anormale era il normalizzabile, cioè quelle bambine adenoidee
non gravi che erano viste come le correggibili, quelle che potevano diventare normali. Quindi possiamo vedere come i
crea un sistema di gerarchia anche nella classe, che presuppone l’esistenza della classe dell’élite, dei normali e degli
anormali difettosi.
Si crea poi anche un altro quadrato semiotico che oppone ciò che è corretto, cioè il normale, e ciò che viene negato
dallo scorretto che è il normale falso. Ma a sua volta c’è un’altra opposizione fondamentale che è quella del corretto con
l’incorreggibile, cioè con quello che non si può correggere, con quello su cui il potere statale non può avere nessun tipo di
presa perché è il modello dello scorretto, è quello che lo scorretto implica. L’incorreggibile è il selvaggio, che è l’altro per
eccellenza su cui non si può intervenire si può solo governarlo, costringerlo, conquistarlo ma non migliorare. Quindi
avremo un corretto che si oppone all’incorreggibile, l’incorreggibile è negato dal migliorabile che è appunto correggibile
semanticamente, mentre il corretto è negato da quello che è scorretto, cioè difettoso, il normale difettoso.

58) UNA NUOVA GERARCHIA


Il potere fascista si riferisce a un prototipo di società gerarchizzata di tipo nuovo dal passato. Nel passato essa prevedeva
un’élite, ma questa è caratterizzata da una morale tematizzata attraverso il valore militare, la capacità di generare.
Possiamo definire il fascismo come una ortopedia morale: una forma di potere politico capace di
frantumare e riassemblare la capitale e la popolazione per esprimere una nuova gerarchia adeguata
all’autodefinizione della cultura italiana che vuole imporre.
Tutte le operazioni di descrizione e narrazione dei bambini moralmente abbandonati, costituiranno la grande operazione
di “traduzione” intersemiotica, una correlazione di differenze articolate, capace di mettere una serie di gerarchie
correlazionali in correlazione reciproca.

59) EMERGENZA NOMADI


Nel 2008 il governo italiano ha dichiarato uno stato di emergenza nazionale in riferimento a
“immigrati clandestini” che hanno manifestato una “presenza” e “comunità nomadi” che si sono
insediati stabilmente in alcune aree del territorio italiano, tra cui Roma, applicando delle norme
emergenziali previste per calamità e catastrofi naturali.
Questa dichiarazione avvenne a ridosso di due gravi e diversi casi di cronaca nera che corrispondono a due stereotipi
presenti nell’ambito delle migrazioni e specificamente dei Rom: lo stupro e il rapimento di bambini. Donne violentate e
uccise da uomini rom, bambini rapinati sotto gli occhi delle madri. Tutto questo avvenne principalmente nel Napoletano,
nella zona Ponticelli – dove vi era il campo rom. Infatti, nel maggio del 2008, il campo rom di Ponticelli viene assediato e
dato alle fiamme dagli abitanti del quartiere e in varie parti d’Italia si svolgono manifestazioni e marce organizzate da
movimenti politici dell’estrema destra per chiedere lo sgombero dei “campi Rom. Vennero applicate delle strategie per cui
i campi abusivi vennero fatti spostare nei campi di massa situati fuori dalle grandi aree urbane, per i quali vengono
prodotti regolarmente specifici applicati solamente ai Rom. Questa trasformazione diacronica delle definizioni dei Rom
mostra il progressivo ritorno di alcuni dei tratti della vecchia figura del soggetto pericoloso definito durante il
fascismo. Si tratta di alcuni dei moralmente abbandonato e poi dell’anormale “morale” che si ripresentano quasi tratti
del bambino con le stesse caratteristiche figurative.
Il “primo incontro”, l’arrivo dei cingani, avvenne in Italia all’inizio del 1400. Il più antico documento è quello scritto da
Fra Bartolomeo della Pugliola a Bologna nel 1422, la Cronica Rampona. È il racconto di una alterità che si presenta
spontaneamente nel luogo proprio dell’Europa continentale. I “cingani” stupiscono le popolazioni locali per una identità
ossimorica, identificati come “saraceni”, a causa del colore della pelle, fanno battezzare i figli. Sono poverissimi e la loro
lingua è indecifrabile ma riescono a comunicare con le popolazioni locali. Un professore di medicina sociale, Semizzi
pensa che gli zingari siano di “razza ariana” e che antropologicamente non porterebbero variazioni nell’incrocio con gli
italiani ‘se non nel colore della pelle’.
Gli zingari sarebbero anche portatori di una “disgenia” anche a causa della loro “contaminazione
costante con gli strati più poveri della popolazione” e non possono pertanto essere “ammessi
all’onore dell’incrocio” in quanto, essendo psichicamente minorati, potrebbero generare individui con tendenze criminali e
nomadi più spiccate che non nei figli di genitori italiani”.
Dunque, gli zingari sono identificati come un tipo “degenerato” della razza ariana – in quella che si potrebbe definire
una “biologia morale”, l’alterità zingara è una versione degenerata dell’identico.
Dopo la Seconda guerra mondiale saranno emesse solo alla fine del 900, delle leggi regionali di
protezione delle minoranze Rom, leggi basate sulla concezione del nomadismo dei Rom come un tratto culturale
distintivo. La definizione di nomade è risemantizzata in relazione alla violazione di una frontiera: è un soggetto che
arriva dall’esterno, che non rispetta le regole e confini individuali e collettivi, la cui stessa presenza configura “gravi
criticità”, il portatore di una differenza capace di distruggere. Il soggetto del pericolo è definito solo da alcuni ossimori, è
un ‘clandestino’, è definito ‘nomade’ ma si precisa che è ‘insediato stabilmente’ e per questo è portatore di gravi
criticità. Inoltre, si fa riferimento a desso come un’unità ma è definito come un soggetto collettivo. È dunque un attore
collettivo definito unicamente da una mancanza di territorio ma che in un territorio si è insediato stabilmente. Proprio in
quel periodo, numerosi furono i manifesti che evidenziavano come la chiusura dei campi nomadi e l’espulsione dei Rom
mettesse al sicuro le donne – all’epoca considerate dal punto di vista dei ruoli ‘madre, moglie, figlia’.

60) FORME DI CONTROLLO/(52 famiglie, individui marginali)/barbaro e buon selvaggio


L’obiettivo primario dei provvedimenti è quello di identificare e censire la popolazione fluttuante e l’assicurazione di
“mezzi certi di identificazione” avverrà attraverso il monitoraggio dei campi autorizzati in cui sono presenti comunità
nomadi ed individuazione degli insediamenti abusivi. Altro obiettivo è quello di identificare e censire le persone,
anche minori di età, e dei nuclei familiare presenti nei luoghi.
Questo sapere costituito servirà a spostare la popolazione attraverso la “costruzione di quattro
villaggi della solidarietà” in aree attrezzate, in grado di ospitare circa 1000 persone e disciplinati da
specifici regolamenti di gestione.
Così inizia il processo di spostamento dei Rom al di fuori della città. I nuovi campi saranno divisi in unità elementari
tutte uguali, disposte generalmente a scacchiera, e ad ogni famiglia verrà assegnata una piazzola individuale. I
regolamenti pongono particolare attenzione all’identificazione, al controllo dei movimenti dentro e fuori dal campo e
all’articolazione del tempo di sosta.
I regolamenti prevedono che le uscite e gli ingressi dei Rom presenti nei campi siano registrati e verificati come tutti gli
ingressi degli ospiti. Era prevista anche la probabile installazione di telecamere e videosorveglianze per rafforzare i
controlli e la sicurezza del villaggio. Si tratta di un vero e proprio controllo dei confini, non una semplice registrazione
delle entrate e delle uscite.
La recinzione di uno dei campi presi in considerazione presentava, al momento delle osservazioni, dei buchi e infatti una
piantina mostrava dove fossero posizionati i buchi nella recinzione, e spesso le telecamere di sicurezza venivano distrutte
e non permettevano di riconoscere gli abitanti.
Il regolamento dei campi mima un sistema di controllo ma è in realtà una strategia di fuoriuscita da condizione di
individualità degli abitanti, che riconduce alla massa indistinta e senza regole, affiancando in questo modo alla doppia
marginalità spaziale e alla provvisorietà temporale, una sorta di condizione di non-personalità. I “nomadi” non saranno
mai sedentari perché all’interno dei campi di sosta, l’assegnazione di posti è sottoposta a vincoli temporali rigidi. La
temporalità specifica del nuovo campo-sosta introduce una provvisorietà permanente dei soggetti autorizzati che avrà
come esito: l’impossibilità di una qualunque sistemazione permanente.
Infatti, se si entra nel villaggio, si è tendenzialmente tenuti a restarvi continuativamente, sulla base
degli articoli del regolamento relativi ai viaggi, ma sarà comunque necessario uscirne, prima o poi.
Questa temporalità, la definizione di nomade- clandestino come “non attore” impegnato solo a rendersi invisibile e la
condizione di aterritorialità, sono modi di esclusione dei “nomadi” dalla relazione con la società cui vivono ma anche di
costruzione discorsiva della pericolosità e della minaccia.
La tematizzazione dei Rom come nomadi insediati stabilmente, diventa la giustificazione per
l’espulsione. La collocazione dei nuovi campi rom in aree doppiamente marginali, rispetto alla città di Roma e alle
aree urbanizzate dei comuni limitrofi, è coerente con la tematizzazione discorsiva del soggetto pericoloso. In questo
quadro normativo è avvenuto lo sgombero di tutti i “campi nomadi” esistenti nell’area centrale e semicentrale della città
di Roma e si è proceduto alla distruzione delle abitazioni di fortuna e alla segnalazione con foto e impronte digitali di tutti
gli abitanti. Distruzione che, secondo Amnesty International, ha violato i diritti umani poiché non sono stati avvertiti prima
della distruzione delle proprie abitazioni.
I Sinti sono stati spostati “provvisoriamente” con i loro camper nei pressi del Gran Raccordo anulare, in attesa di una
nuova sistemazione ma orami ci vivono da 10 anni, altri hanno accettato di spostarsi in alcuni dei nuovi campi, i villaggi
della solidarietà. La posizione dei campi si situa al di fuori del nuovo confine della città in un luogo di “doppia
marginalità”, ovvero rispetto allo spazio e alla popolazione. Dopo l’inizio degli sgomberi, nel 2007, il numero dei campi
abusivi inizia ad aumentare.
Nel 2008, 133 campi erano irregolari e spontanei, abitati da 4179 persone, privi di luce, acqua, servizi igienici e il contatto
con le strutture assistenziali era nullo. Dopo due anni, i campi erano arrivati ad essere 153 e negli anni successivi
continuava a salire il numero.
I Rom hanno dovuto e voluto mettere in atto una serie di tattiche di risemantizzazione e ridefinizione identitaria.
Per esempio, alcuni di loro hanno scelto di andare a vivere nelle occupazioni abitative o di fare domanda per ottenere
un'abitazione di edilizia residenziale pubblica. Il che significa, in entrambi i casi, andare a vivere in una “casa fissa”, una
grande trasformazione che configura una rottura con l'abitare messo in atto da alcune persone e alcuni campi Rom.
Altre scelte hanno riguardato una affermazione dell'identità nella scelta dell’anonimato. Scelta che ha riguardato due
azioni di grande valore politico: la prima è stata il ricorso al Consiglio di
Stato contro i regolamenti emergenziali dei “Villaggi della solidarietà”, in cui si cercava proprio
quella relazione di riconoscimento con le istituzioni che le pratiche del controllo e
dell'autosegregazione negavano. L'altra è stata una occupazione simbolica della Basilica di San Paolo.
a Roma, realizzata dopo il venerdì di Pasqua, quando alcune famiglie rom furono sgomberate da un
campo vicino alla via Tiburtina e rifiutarono di disperdersi e formare altri microcampi, così il giorno
stesso si recarono tutte insieme nella Basilica, restandoci fino al giorno successivo. Sia i Sinti
che i Rom in modi diversi, si sono presentati come “identici”, riducendo le differenze con
l'autorappresentazione identitaria del paese ospitante. La loro somiglianza si è costruita dunque
sull'immagine non di sé stessi ma dell'altro, in funzione della quale hanno modificato la propria
modalità di “presentazione” di sé stessi.
(Nel 1995 ci fu un primo censimento nei campi rom abusivi e si contavano circa 60 campi abusivi; alcuni
furono chiusi, altri vennero attrezzati (alla bene e meglio) e presero il nome di “campi tollerati”. Inizio un
processo di sviluppo in cui i bambini dovevano iniziare ad integrarsi e ad andare a scuola.
Nel frattempo, lo stato italiano ha dato una prima definizione di questi rom, ma non in modo ufficiale: nella
costituzione italiana i rom non vengono riconosciuti come minoranza culturale, perché per esserlo devi avere
alcune caratteristiche fondamentali quali la lingua, la cultura di riferimento e un territorio. Se non hai un
territorio non hai un riferimento culturale. Per esempio, in Italia il latino, che è un ebraico spagnolo che
parlavano gli ebrei scacciati dalla Spagna nel 500, è considerato minoranza.
Questo ha fatto sì che non ci fosse mai una legislazione specifica per i rom, in Italia, è solamente un diritto
secondario che si è occupata della loro definizione, che fu data dalle leggi regionali negli anni 80. In
quest’ultime i rom sono identificati e tematizzati come “buon selvaggio”, cioè quello che eravamo noi prima
della cultura industriale.
Nei campi ci sono dinamiche di clan, tutto il contrario di controllo e convivenza civile e questo crea lo
stereotipo del barbaro invasore)

61) parallelismo tra la rappresentazione dei prussiani come un collettivo e la rappresentazione dei bambini
“sani” ai tempi del Fascismo
I soldati prussiani rappresentano una collettività gerarchizzata perché c’è l’ufficiale e ci sono gli altri che eseguono gli
ordini che sono de-individualizzati ed essendo tali si presentono sempre a coppie (8-12-6-4-2): nessuno di loro è un
attore individuale. I bambini nelle foto di gruppo visti come insieme compatto, coerente e sano sono tutti de-
individualizzati perché fanno le stesse cose nello stesso momento nello stesso ambito e mai nessuno è ripreso come
singolo e individualità. È riprese solo la massa di elementi dove il singolo può essere soltanto un ingranaggio di un grand
insieme che deve conformarsi agli altri. Così come i prussiani anche la foto dei bambini sacri è spersonalizzante.

62) IMPLICAZIONE, COME FUNZIONA


A proposito dell’implicazione possiamo fare l’esempio della distinzione fra maschile e femminile che viene chiamata
contrarietà perché uno è l’opposto dell’altro. In linguistica esiste un’altra importante differenza che è la contraddizione:
rispetto al maschile, il sema contradditorio è “non maschile”, per ogni sema io posso identificare un contrario e un
contradditorio. Questa per Greimas è la categoria della sessualità, che ha 4 termini: oppone il maschile al femminile ma
anche al non maschile; oppone il femminile al maschile ma anche al non femminile: quindi abbiamo un QUADRATO
SEMIOTICO, infatti appunto Se su un sema si proiettano contrarietà e contraddizione si ottengono sistemi a quattro
termini che uniranno maschile e femminile in contrarietà; maschile e non maschile / femminile e non femminile in
relazione di contraddizione. Esistono poi termini dati dalla somma di entrambi i semi (es. ermafrodita- unisex). Se le
categorie semantiche vengono articolate sia in contrarietà che in contraddizione emerge un modello a più termini, che
prevede per esempio l’uomo, la donna, l’androgeno e l’angelo.
quindi per quanto riguarda la relazione che c’è fra maschile - non femminile e femminile – non maschile Greimas dice che
il non femminile deve contenere il maschile e viceversa: ossia dentro il termine che nega un termine ci deve essere anche
l’opposto di quel termine (come non maschile che nega il maschile). Questa relazione si chiama implicazione. Quindi
uomo, donna, androgeno, angelo, maschiaccio (negazione del femminile). (è la relazione tra un sema e il contraddittorio
del suo contrario)

63) LINGUISTICA SINCRONICA E LINGUISTICA DIACRONICA


LINGUISTICA SINCRONICAsi interessa allo stato e alla struttura di una lingua in un determinato momento
LINGUISTICA DIACRONICA invece studia la dimensione storica e l’evoluzione della lingua e le sue componenti.

64) SEGNO/piano del contenuto, espressione


nel linguaggio, comunque, la parola segno indica quello che noi chiamiamo significante. Per Saussure, invece il segno è la
relazione esistente fra 2 entità:
- il significato, ovvero il piano del contenuto
-il significante, ovvero la forma che rinvia al piano del contenuto (espressione)
È arbitrario anche il rapporto (orizzontale) esistente fra le unità dei singoli piani. Per esempio ogni cultura “taglia” il
mondo che la circonda (per esempio l’insieme dei concetti che hanno a che fare con gli alberi) in modo diverso. Questo la
porta vedere il mondo in modo diverso. La stessa cosa vale anche per il piano dell’espressione.

65) IL LETTORE MODELLO


è colui che è capace di cooperare all’attualizzazione testuale come egli credeva e pensava. Egli utilizza tre mezzi
importanti per decodificare un testo: la scelta di una lingua, di un tipo di enciclopedia adeguata e di un patrimonio
lessicale e stilistico. Il lettore modello, infatti deve utilizzare UNA COMPETENZA ENCICLOPEDICA che gli viene fornita dal
testo stesso. È il lettore modello a stabilire che mezzi utilizzare per l’interpretazione, egli non è una figura in carne ed ossa
ma, un’immagine a cui si danno correlazioni di interpretazioni. Il ruolo del lettore diventa quindi quello di capire ciò che
non è stato detto all’interno del testo. Il testo richiede dei movimenti cooperativi attivi e coscienti ai fini
dell’attualizzazione lessicale. Questa cooperazione avviene tra quello che Eco definisce L’AUTORE EMPIRICO E IL LETTORE
MODELLO. Il primo non è altro che una strategia testuale capace di relazioni semantiche. Egli deduce un’immagine di
qualcosa che è stato precedentemente verificato. Il lettore modello invece postula qualcosa che non esiste all’interno del
testo attraverso una serie di operazioni testuali. Entrambi devono lavorare all’unisono affinché un testo sia interpretato
completamente. Eco la definisce STRATEGIA TESTUALE. Il processo di interpretazione è quindi un corpo a corpo tra autore
e lettore modello in un universo testuale. La verità INTENSIONALE cioè quella verità che si trova solo in profondità è
quella che deve scoprire il lettore modello.

66) I MONDI POSSIBILI


Il mondo possibili narrativo è quel mondo dove tutte le regole del lettore modello sono concretizzate. I mondi possibili
per essere tali devono essere “AMMOBILIATI”: l’esistenza e la sua reale concretizzazione devono coesistere e le condizioni
di somiglianza devono entrare in quello reale. Tutti i mondi possibili sono costruzioni di quello reale. Eco si chiede quali
caratteristiche deve avere il mondo possibile per essere accettato da quello reale ed Eco a questo risponde con il concetto
delle COMBINAZIONI DI PROPRIETA’: queste vengono divise in proprietà necessarie o essenziali e proprietà accidentali. Le
prima sono caratteristiche fondamentali che non possono essere modificate, da queste si possono capire quelle
accidentali definendole come l’esatto opposto: cioè proprietà che possono essere modificate. Le proprietà necessarie a
loro volta si dividono in altre proprietà che vengono strutturate dal testo stesso. Per Eco il mondo possibile è un costrutto
culturale: gli insiemi di proprietà che definiscono il mondo possibile è lo strumento che serve al mondo reale per accettare
quello possibile. I mondi narrativi vengono definiti come un qualcosa di precostruito accettabile dal mondo reale. Eco
definisce il mondo narrativo come parassitario del mondo reale perché il primo ha l’obbiettivo di copiare e attuare il
secondo. Il mondo narrativo, infatti, diventa forte quando è carico delle proprietà necessarie. Infine, Eco, definisce il
processo che si innesta nel passaggio da un mondo all’altro come “ACCESSIBILITA’”. A tal proposito egli afferma che vi è
la possibilità di entrare nel mondo possibile partendo da quello proprio di riferimento e non viceversa proprio perché il
primo è un costrutto del secondo. Il lettore modello non ha gli strumenti per avviare tale processo.

67) PIERCE
Il punto di partenza della semiosi (cioè del processo di creazione, di formazione del significato) c’è la realtà esterna:
l’oggetto dinamico. L’oggetto dinamico è il dato bruto dell’esperienza, di per sé inconoscibile. Il segno rinvia a, a sta per
un oggetto dinamico. Il segno, per Pierce, non è composto da espressione e contenuto, come nella linguistica di Saussure.
Anche se nel tempo il significato del termine non è costante, sembra coincidere di più con quello di espressione. In
generale, però, Pierce usa un altro termine per indicare quello che abbiamo chiamato il Significante: Representamen.
Se il Representamen è l’espressione, il contenuto è il cosiddetto oggetto immediato. L’oggetto immediato non
corrisponde con l’oggetto dinamico (che è invece l’oggetto di per sé, quello presente nella realtà). Questo accade perché
un segno rappresenta qualcosa sempre da un determinato punto di vista. Peirce chiama ground l’aspetto dell’oggetto
dinamico che viene colto e veicolato da un determinato Representamen.
L’oggetto immediato è il modo in cui l’oggetto dinamico è focalizzato, e consiste nella somma degli attributi dell’oggetto
dinamico resi pertinenti dal segno.

68) LE INFERENZE
In Pierce e in molti filosofi e logici contemporanei il termine inferenza indica, in modo molto generale, un ragionamento
che porta da certe premesse a una conclusione.
- la deduzione non comporta alcun rischio interpretativo, perché si limita a calcolare una conseguenza logica.
- l’induzione ci permette di generalizzare e di scoprire nuove regole. Non è però mai certa e quindi comporta un rischio.
- l’abduzione parte da un risultato e da una regola e ricostruisce il caso che ha determinato il risultato. Si tratta del
procedimento alla base di ogni tipo di indagine, ma è molto rischioso. L’elemento cardine dell’abduzione è la regola che
viene scelta, ma anche se la regola spiega il risultato, non è detto che sia l‘unica spiegazione possibile.

69)ROM - INDIVIDUI MARGINALI/FAMIGLIE DURANTE IL FASCISMO


I rom venivano trattati come individui marginali e venivano spostati ai limiti della città, in questo caso parliamo soprattutto do Roma,
la stessa cosa venne fatta con le famiglie non agiate durante l’epoca del fascismo che sono state spinte nelle aree periferiche. Sono
quindi due categorie (quella delle famiglie nel fascismo e quella dei rom nei tempi moderni) che sono state emarginate all’interno
della società. Oggi i rom non vengono portati dalla nostra parte, non si vuole far diventare conforme un bambino rom, mentre
durante il fascismo questo veniva fatto, i bambini moralmente abbandonati, gli orfani morali, venivano presi per essere salvati dalla
moralità per farli diventare conformi a quello che voleva il fascismo, mentre oggi sembra quasi che a nessuno importi della
condizione dei rom, nessuno vuole uniformare i rom.

FAMIGLIE DURANTE IL FASCISMO


Alla fine del 1927, Mussolini e il Presidente dell’istituto Case Popolari – Calza Bini – intrattengono
una corrispondenza sulla celebrazione del V anniversario della “rivoluzione fascista” e lo stesso
Mussolini volle assicurarsi che fosse possibile spostare alcune centinaia di baraccati in nuove case.
Stilò un documento, nel 1927 – sempre – il cui titolo era “Lavori di sbaraccamenti di urgenza
compiuti in occasione del V anniversario della Marcia su Roma” a cui Carla Bini risponde con una lettera, in cui si
prospetta un’operazione di sparizione di un numeroso nucleo di baracche nel
quartiere San Lorenzo, approvando e supportando la proposta del Duce.
Si trattava di un vero e proprio spettacolo della distruzione.
le unità minime di costituzione della
popolazione – le famiglie – diventano l’oggetto dello sguardo del governatorato come “focolai di
infezione morale”, iscritti all’interno di un “immaginario epidemico”.
Nel discorso politico fascista, la famiglia sarà identificata come il “focolaio” di propagazione della
“malattia morale”. La sporcizia è l’indice visibile della trasmissione di una “infezione morale” che è direttamente collegata
alle infezioni fisiche.
La popolazione baraccata sarà costante oggetto di preoccupazione e repressione. Si provvederà alla distruzione delle loro
baracche attraverso un regolamento preciso dal centro monumentale verso la periferia.
La borgata non ha storia, non c’è un tempo precedente alla sua creazione iscritto o ricostruito in essa, a differenza della
città storica la cui memoria è riorganizzata con cura maniacale, mentre la borgata si caratterizza proprio per questa
assenza di ogni segno commemorativo.
La differenza tra borgate migliori e borgate peggiori dà origine a un sistema spaziale di premi e punizioni legati al
luogo di abitazione. Nelle borgate migliori, dieci famiglie di inquilini in regola coi pagamenti degli affitti potevano
partecipare ad una lotteria annuale e potevano vincere lo “spostamento” nelle borgate migliori, mentre in quelle
peggiori venivano minacciati di essere inviati gli abitanti morosi e restii alla disciplina fascista. Vi era dunque un sistema
di punizioni “morale”, legato sempre al mancato pagamento degli affitti e alla violazione delle regole.
Villani cita due dei provvedimenti punitivi adottati all’interno degli alberghi per sfrattati:
- lo sfratto disciplinare
- il lucchetto disciplinare: consisteva nella possibilità di trovarsi la casa chiusa senza preavviso
con cui si punivano i morosi impedendo senza preavviso l’accesso alle abitazioni, fino ad
arrivare allo spostamento – attraverso lo sfratto – nei borghetti più poveri e marginali
Attraverso questi premi e punizioni, si attua un’opera di rieducazione e civilizzazione.
Ricci propone un modello medico di gerarchia morale in cui le operazioni politiche e urbanistiche sono tematizzate
come operazioni volte a condurre un “risanamento morale” della popolazione. Risanamento morale da ottenere
attraverso un provvedimento medico-poliziesco come individualizzazione, cellularizzazione e separazione preventiva
temporanea e rieducativa degli irregolari. Si tratta di un modello di una spazializzazione politica della popolazione che
emerge nel Piano regolatore del 1931 dedicato e ispirato direttamente da Mussolini.
Questo Piano regolatore può essere letto come una serie di disposizioni tecniche ma anche come un piano politico che
implica una nuova topologia delle figure “marginali la distanza dal centro dei baraccamenti, nella scelta di mantenerli
spostandoli in periferia per non renderli visibili, ma anche attraverso lo spostamento in periferia degli ospizi per i “vecchi
accattoni”. Il cuore di questa operazione è, oltre alla costruzione delle borgate, la marginalizzazione della popolazione
con precedenti morali non buoni. Il progetto sarà quello di spostare separandola da un vuoto. Tutta la popolazione che
costituisce la periferica semiotica, come i vecchi malati, gli accattoni, le famiglie moralmente irregolari. Nella
strutturazione del territorio, il vuoto è fondamentale: le borgate saranno separate dal resto della città da una “terra di
nessuno”, una fascia di terreno incolto estesa per chilometri. Si tratta di spostare, in uno spazio naturale illimitato, ciò che
si oppone allo spazio culturale ormai delimitato. La costruzione delle borgate è fondamentale in quanto permette di
pensare la città come una totalità omogenea e chiusa dal punto di vista spaziale e morale / sociale.
Collocano l’alterità sociale estrema, rendendo visibile il confine della città, come esterna alla capitale di cui si valorizzano
l’inizio e la fine, fissati univocamente attraverso due monumenti, uno fascista moderno e uno antico, ovvero il Foro
Mussolini a nord e la romana Porta Maggiore a sud-est, l’imponente monumento che avrebbe dovuto costituire il punto di
accesso all’area della stazione Termini.

I ROM
Ci fu un processo di spostamento dei Rom al di fuori della città. I nuovi campi saranno divisi in unità elementari tutte
uguali, disposte generalmente a scacchiera, e ad ogni famiglia verrà assegnata una piazzola individuale. I regolamenti
pongono particolare attenzione all’identificazione, al controllo dei movimenti dentro e fuori dal campo e all’articolazione
del tempo di sosta.
I regolamenti prevedono che le uscite e gli ingressi dei Rom presenti nei campi siano registrati e verificati come tutti gli
ingressi degli ospiti. Era prevista anche la probabile installazione di telecamere e videosorveglianze per rafforzare i
controlli e la sicurezza del villaggio. Si tratta di un vero e proprio controllo dei confini, non una semplice registrazione
delle entrate e delle uscite.
La recinzione di uno dei campi presi in considerazione presentava, al momento delle osservazioni, dei buchi e infatti una
piantina mostrava dove fossero posizionati i buchi nella recinzione, e spesso le telecamere di sicurezza venivano distrutte
e non permettevano di riconoscere gli abitanti.
Il regolamento dei campi mima un sistema di controllo ma è in realtà una strategia di fuoriuscita da condizione di
individualità degli abitanti, che riconduce alla massa indistinta e senza regole, affiancando in questo modo alla doppia
marginalità spaziale e alla provvisorietà temporale, una sorta di condizione di non-personalità. I “nomadi” non saranno
mai sedentari perché all’interno dei campi di sosta, l’assegnazione di posti è sottoposta a vincoli temporali rigidi. La
temporalità specifica del nuovo campo-sosta introduce una provvisorietà permanente dei soggetti autorizzati che avrà
come esito: l’impossibilità di una qualunque sistemazione permanente.
Infatti, se si entra nel villaggio, si è tendenzialmente tenuti a restarvi continuativamente, sulla base
degli articoli del regolamento relativi ai viaggi, ma sarà comunque necessario uscirne, prima o poi.
Questa temporalità, la definizione di nomade- clandestino come “non attore” impegnato solo a rendersi invisibile e la
condizione di aterritorialità, sono modi di esclusione dei “nomadi” dalla relazione con la società cui vivono ma anche di
costruzione discorsiva della pericolosità e della minaccia.
La tematizzazione dei Rom come nomadi insediati stabilmente, diventa la giustificazione per
l’espulsione. La collocazione dei nuovi campi rom in aree doppiamente marginali, rispetto alla città di Roma e alle
aree urbanizzate dei comuni limitrofi, è coerente con la tematizzazione discorsiva del soggetto pericoloso. In questo
quadro normativo è avvenuto lo sgombero di tutti i “campi nomadi” esistenti nell’area centrale e semicentrale della città
di Roma e si è proceduto alla distruzione delle abitazioni di fortuna e alla segnalazione con foto e impronte digitali di tutti
gli abitanti. Distruzione che, secondo Amnesty International, ha violato i diritti umani poiché non sono stati avvertiti prima
della distruzione delle proprie abitazioni.
I Sinti sono stati spostati “provvisoriamente” con i loro camper nei pressi del Gran Raccordo anulare, in attesa di una
nuova sistemazione ma orami ci vivono da 10 anni, altri hanno accettato di spostarsi in alcuni dei nuovi campi, i villaggi
della solidarietà. La posizione dei campi si situa al di fuori del nuovo confine della città in un luogo di “doppia
marginalità”, ovvero rispetto allo spazio e alla popolazione. Dopo l’inizio degli sgomberi, nel 2007, il numero dei campi
abusivi inizia ad aumentare.
Nel 2008, 133 campi erano irregolari e spontanei, abitati da 4179 persone, privi di luce, acqua, servizi igienici e il contatto
con le strutture assistenziali era nullo. Dopo due anni, i campi erano arrivati ad essere 153 e negli anni successivi
continuava a salire il numero.
I Rom hanno dovuto e voluto mettere in atto una serie di tattiche di risemantizzazione e ridefinizione identitaria.
Per esempio, alcuni di loro hanno scelto di andare a vivere nelle occupazioni abitative o di fare domanda per ottenere
un'abitazione di edilizia residenziale pubblica. Il che significa, in entrambi i casi, andare a vivere in una “casa fissa”, una
grande trasformazione che configura una rottura con l'abitare messo in atto da alcune persone e alcuni campi Rom.
Altre scelte hanno riguardato una affermazione dell'identità nella scelta dell’anonimato. Scelta che ha riguardato due
azioni di grande valore politico: la prima è stata il ricorso al Consiglio di
Stato contro i regolamenti emergenziali dei “Villaggi della solidarietà”, in cui si cercava proprio
quella relazione di riconoscimento con le istituzioni che le pratiche del controllo e
dell'autosegregazione negavano. L'altra è stata una occupazione simbolica della Basilica di San Paolo.
a Roma, realizzata dopo il venerdì di Pasqua, quando alcune famiglie rom furono sgomberate da un
campo vicino alla via Tiburtina e rifiutarono di disperdersi e formare altri microcampi, così il giorno
stesso si recarono tutte insieme nella Basilica, restandoci fino al giorno successivo. Sia i Sinti
che i Rom in modi diversi, si sono presentati come “identici”, riducendo le differenze con
l'autorappresentazione identitaria del paese ospitante. La loro somiglianza si è costruita dunque
sull'immagine non di sé stessi ma dell'altro, in funzione della quale hanno modificato la propria
modalità di “presentazione” di sé stessi.

70)concetto di isotopia ritrovato all’interno del libro la frontiera interna, ovvero, dove secondo te è
possibile trovare la ridondanza all’interno del testo
Possiamo trovare varie isotopie come l’Isotopia morale (=Titolo 54) isotopia dell’igiene (=Titolo 52 sporcizia) e isotopia
dell’ereditarietà (=guarda sotto!) che si intrecciano continuamente

ISOTOPIA DELL’EREDITARIETA’chi sono gli italiani? Sono i romani perché in qualche modo l’essenza romana è
qualcosa di sopito nel tempo ma che si può risvegliare con i segni immortali del foro. L’uso del latino vuole porre
l’accento sulla materialità della lingua. C’è un’enorme proliferazione di segni che riguardano il rapporto tra l’Italia e il
passato romano e che tendono sostanzialmente a dire l’Italia di oggi è l’impero romano di ieri, i romani sono gli italiani di
oggi. quali segni? Ad es. I nomi, Mussolini si fa chiamare duce che deriva dal latino. Poi abbiamo anche una ripresa
dell’archeologia perché l’archeologia manifesta l’identità attuale, cioè lo spazio è un segno dell'identità attuale. poi gli
inni, i canti, le uniformi sono armi, il fascismo ci tiene molto, ritorna l’isotopia della guerra ma tutto è mischiato attorno
all’isotopia tematica, ma anche all’isotopia dell’origine, isotopia biologica, isotopia appunto dell’ereditarietà, tutti questi
segni risvegliano la componente ereditaria imperiale romana degli italiani che si è sopita in tanti secoli di dominazione e
che ora il fascismo può risvegliare. I segni vengono diffusi dappertutto. Lotman chiama questi segni commemorativi. Vuol
dire spargere per tutta la società un’unica significazione ossia come dicevo che gli italiani sono romani, l’identità italiana è
l’impero romano a prescindere da tutto quello che c’è stato tra il fascismo e l’impero, che vuol dire fare una grande
ristrutturazione dell’identità della semiosfera, cioè trasformare il modo in cui la cultura pensa a se stessa, tutta questa
proliferazione di segni che dicono la stessa cosa è la celebrazione di un significato unico, a forza di essere ripetuto in
continuazione viene celebrato.

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