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Gestione delle attività e delle passività nelle banche

JURGEN DENNERT

Gestione delle attività e delle passività nelle banche

LUISS – School of European Political Economy 1


Gestione delle attività e delle passività nelle banche

Sommario
1 GESTIONE DEL RISCHIO NON COPERTO ................................................................................................. 3

1.1 TEOREMA DI MODIGLIANI – MILLER ......................................................................................................................... 3

1.1.1 Senza imposte ed imperfezioni ............................................................................................................. 3

1.1.2 Con imposte ed imperfezioni ................................................................................................................. 5

1.1.3 Implicazioni del Teorema per una struttura di indebitamento ottimale ............................ 7

1.1.4 Le Banche sono le imprese più indebitate........................................................................................ 8

1.2 REGOLAMENTAZIONE PILLAR 1 E PILLAR 2 ............................................................................................................. 9

1.2.1 Basilea 3.......................................................................................................................................................... 9

1.2.2 CRR – Capital Requirements Regulation ........................................................................................... 9

1.2.3 CRD IV – Capital Requirements Directive .......................................................................................10

1.2.4 Solidità bancaria in ambito europeo e nazionale ........................................................................11

1.2.5 Strumenti ibridi .........................................................................................................................................13

1.2.6 Il futuro TLAC / MREL requirements ...............................................................................................14

2 GESTIONE DEL RISCHIO COPERTO ......................................................................................................... 17

2.1 RISCHIO DI LIQUIDITÀ ................................................................................................................................................ 17

2.1.1 NSFR ...............................................................................................................................................................17

2.1.2 LCR ..................................................................................................................................................................19

2.2 RISCHIO DI TASSO ........................................................................................................................................................ 21

2.2.1 Tecniche di Asset Laiability Management ......................................................................................23

2.2.2 Gestione operativa del rischio di tasso: strategie di hedging .................................................24

3 RISK APPETTITE FRAMEWORK .............................................................................................................. 28

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1 GESTIONE DEL RISCHIO NON COPERTO

1.1 Teorema di Modigliani – Miller

1.1.1 Senza imposte ed imperfezioni

Il teorema di Modigliani – Miller (di seguito MM) è un utile punto di partenza per analizzare l’impatto
delle scelte di finanziamento sul valore delle imprese. Si ipotizza che le aziende operino in un modo
ideale, privo di imperfezioni.1

In un mondo avente queste caratteristiche, ci si chiede se la politica di finanziamento adottata dal


management può influenzare il valore dell’azienda.

I PROPOSIZIONE

In un mondo privo di imposte ed altre imperfezioni, il valore dell’impresa indebitata (VL o


levered) è esattamente uguale al valore di un’impresa priva di debito (VU o unlevered)

V L = VU

Figura 1

1 Le ipotesi che reggono questo modo privo di imperfezioni ipotizzato nel teorema di MM sono le seguenti: le
fonti di finanziamento sono solo debito e capitale proprio (azioni); il mercato opera in concorrenza perfetta
(prezzi e quantità sono determinati solo dalla forza di domanda/offerta; non esistono monopoli-oligopoli);
aziende e privati possono indebitarsi allo stesso tasso di interesse; non vi sono costi di transazione (commissioni,
spese legali); non esistono costi di fallimento; nessun soggetto ha vantaggi informativi; il management opera
solo nell’interesse degli azionisti.

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La Figura 1 mostra la struttura delle Stato Patrimoniale (SP) di due aziende perfettamente identiche,
ad esclusione appunto della struttura finanziaria. L’azienda Alfa è finanziata esclusivamente con
capitale proprio (E), mentre l’azienda Beta sia con capitale proprio (E – equity) che con debito (D). In
assenza di imposte l’Economic Value (EV) si ottiene come somma del debito e dell’equity: EV = D + E.
L’azienda Alfa ha un EV= € 100, tutto finanziato da capitale proprio (azioni), mentre l’azienda Beta
ha egualmente un EV= € 100, ma in parte finanziato dal capitale proprio ed in parte con denaro preso
a prestito (debito). Ma l’EV non cambia, è sempre € 100 per entrambe.

È possibile osservare che i flussi totali destinati a remunerare i finanziatori restano invariati,
qualunque sia il rapporto di indebitamento. Nel caso dell’azienda Alfa tutti i flussi sono destinati agli
azionisti (sotto forma i dividendi). Nel caso dell’azienda Beta la composizioni dei flussi varia, perché
parte dei flussi va agli azionisti e parte ai creditori. Aumentando il livello del debito si produce infatti
solo una redistribuzione dell’ammontare spettante agli azionisti (sotto forma di dividendi) ed ai
creditori (sotto forma di oneri finanziari), ma non un cambiamento del valore complessivo
dell’impresa. Modigliani espresse questo concetto con una frase celebre «è la dimensione della torta
che conta! Non il numero di fette in cui è tagliata»

Questo significa che i vantaggi e gli svantaggi del debito sono inesistenti e quindi le decisioni di
investimento possono essere slegate dalle decisioni di finanziamento, proprio perché il valore di ogni
attività finanziaria o reale permane invariato, qualunque sia il modo con cui tale attività è finanziata.
Equivale a dire che il costo medio ponderato del capitale (WACC) non cambia al variare del leverage.

Abbiamo appena detto che il WACC non cambia al variare del leverage, ovvero il costo medio
ponderato del capitale non aumenta, anche se il leverage (Debito/Equity) aumenta. Ma come è
possibile? Le ipotesi ci dicono che KD fisso (dato che non si può fallire, il costo del debito non aumento
al crescere del livello di indebitamento), pertanto al crescere del leverage (D/E) il costo medio
ponderato del capitale (WAAC) dovrebbe diminuire (dato che il debito al numeratore ha un costo fisso
KD): prendo a prestito altri soldi (faccio debito), il costo del debito è fisso (non aumenta), il costo
dell’equity (KE è maggiore rispetto a quello del debito), il costo medio ponderato del capitale dovrebbe
chiaramente ridursi ! Eppure non è così perché:

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II PROPOSIZIONE

In un mondo senza imposte, il costo del capitale azionario di equilibrio KE


aumenta al crescere dell’indebitamento

Ecco perché, in questo mondo, il WACC non cambia, qualunque sia il rapporto di indebitamento
prescelto dall’azienda.

1.1.2 Con imposte ed imperfezioni

Ma cosa accadrebbe al nostro modello se cambiassimo le ipotesi ? Supponiamo adesso che le aziende
operino in presenza di tasse, commissioni e fallimento.

Tasse – Benefici fiscali del debito: vediamo cosa accade se nell’analisi introduciamo le imposte sui
redditi societari. In presenza di imposte, la torta del valore aziendale (EV) deve essere ripartita fra tre
commensali: azionisti, creditori e Stato (a cui spettano i flussi d’imposta). L’obiettivo degli azionisti è
ridurre la fetta destinata allo Stato, dal momento che la quota di flusso a esso sottratta contribuisce
ad aumentare la propria. I creditori non dispongono di analogo privilegio, poiché la remunerazione è
fissa, qualunque sia l’ammontare di imposte pagato. Per perseguire tale scopo, gli azionisti hanno
convenienza ad indebitarsi maggiormente, al fine di sfruttare la deducibilità degli oneri finanziari dal
reddito imponibile, da cui consegue un minore esborso per imposte (riducendo così la fetta devoluto
allo stato). L’aliquota (%) d’imposta sul debito nel modello la chiamiamo Tc

I OPPOSIZIONE

Il valore dell’azienda indebitata è superiore a quello dell’azienda senza debito (unlevered)


per effetto della deducibilità fiscale degli interessi passivi

VL= VU + TC × D

L’impresa indebitata (Beta – riprendendo l’esempio del paragrafo precedente) genera flussi maggiori
dell’impresa non indebitata (Alfa) per effetto del vantaggio dovuto alla deducibilità dal reddito
d’impresa degli interessi passivi legati al debito. Il maggiore valore = TC × D. Secondo il modello MM
con imposte societarie, aziende ed azionisti hanno quindi convenienza ad incrementare il proprio
indebitamento quanto più possibile per poter sfruttare al massimo la deducibilità fiscale degli oneri
finanziari (interessi passivi).

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Proviamo a rimuovere anche le altre ipotesi e supponiamo adesso che le aziende operino anche in
presenza di commissioni e fallimento, chiamandoli “financial distress” per semplicità.

Commissioni: Azionisti ed obbligazionisti spesso non sono d’accordo su quali azioni l’impresa
dovrebbe intraprendere. Poiché in genere gli azionisti controllano la gestione dell’impresa, i loro
interessi tendono a prevalere su quelli degli obbligazionisti, a meno che questi ultimi non
intraprendano azioni protettive, che però comportano dei costi per l’azienda (maggiori commissioni).

Fallimento: Prendere a prestito denaro può esporre l’impresa ad inadempienza ed eventuale


liquidazione.

Considerando nel nostro mondo ideale anche tasse e financial distress, la principale conseguenza è che
il costo del debito adesso sarà legato al peso relativo del debito nella struttura finanziaria.

II OPPOSIZIONE

Man mano che l’azienda contrae ulteriori debiti, i costi di financial distress aumentano
e con essi il costo complessivo del debito.

Figura 2

Quanto detto sopra porterebbe a pensare che è consigliabile utilizzare sempre e solo denaro preso a
prestito minimizzando i mezzi propri, ma è opportuno considerare il rischio e i costi del dissesto legati

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ad un alto livello di indebitamento, pertanto possiamo affermare che il rischio e i costi del dissesto
influiscono negativamente sul valore dell’impresa, non bisogna quindi considerare solo l’effetto
positivo dato dalla deducibilità degli interessi passivi.

La Figura 2 mostra la dinamica del WACC all’aumentare del livello di debito, in un mondo con financial
distress. Il costo medio ponderato del capitale (WACC) prima diminuisce per effetto del risparmio
imposte sul debito, ma poi aumenta a causa dell’incremento del costo del capitale proprio legato al
rischio di fallimento ed alle maggiori commissioni. Il WACC assume così un tipico “andamento ad U”.

DEDUZIONI

La soluzione del trade-off tra vantaggio fiscale e svantaggio derivante dalla probabilità di
insolvenza determinerà una struttura ottimale del capitale.

Il livello di indebitamento ottimale è dato dal rapporto di indebitamento in corrispondenza


del quale il costo medio ponderato del capitale raggiunge il punto di minimo.

Un aumento del debito innescherà inevitabilmente dei costi, derivanti ad esempio da un aumento
parallelo della probabilità di insolvenza dell'impresa, che andranno a bilanciare i vantaggi fiscali. È
bene però chiarire una cosa, il modello non è volto a stimare un punto di indebitamento ottimale, non
si cerca nella realtà il minimo del WACC, bensì un intervallo di valori in cui è presumibile che il
rapporto di indebitamento ottimale si ritrovi.

1.1.3 Implicazioni del Teorema per una struttura di indebitamento ottimale

• Le imprese che operano in settori con utili e flussi di cassa (CF) volatili dovrebbero indebitarsi
di meno di imprese simili ma con flussi di cassa stabili.
• Se le imprese sono in grado di strutturare il debito in modo che i CF sul debito siano correlati
ai CF operativi, esse potranno indebitarsi di più.
• Se un’entità esterna fornisce protezione contro il fallimento, le imprese potranno indebitarsi
di più.

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1.1.4 Le Banche sono le imprese più indebitate

Prima della crisi il livello di Equity per le banche grandi era pari a circa il 5% del Totale Attivo, oggi
siamo intorno al 8%, anche grazie all’introduzione del RWA per il calcolo dei requisiti patrimoniali.
Nel caso delle banche commerciali, il fenomeno è almeno parzialmente spiegabile dalla natura del
debito, ovvero prevalentemente depositi, ed in parte da incentivi distorti per il management, basati su
una “short-term compensation” (bonus legati al ROE, ma non rettificato per il rischio/leverage
assunto). La Figura 3 pone a confronto una banca G-SII universale come Unicredit con una banca
specializzata piccola come IBL.

Figura 3

Si osservano due trend diversi:

Grandi banche universali: riduzione leva, aumento capitalizzazione, riduzione rischiosità

Piccole banche specializzate: allineamento col settore generale (si noti la riduzione del CET1 ratio)

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1.2 Regolamentazione Pillar 1 e Pillar 2

1.2.1 Basilea 3

I requisiti di capitale stabiliti da Basilea 2 sono risultati inadeguati a fronteggiare i rischi inattesi
generati dalla crisi finanziaria del 2008. Si decise quindi di innovare il processo di regolamentazione
del capitale delle banche, avviando i lavori di Basilea 3, con lo scopo di conseguire una maggiore
stabilità finanziaria del sistema bancario europeo attraverso criteri più stringenti.

Nel 2013 l’Unione Europea avvia l’implementazione di Basilea 3 attraverso l’emanazione di un nuovo
quadro normativo: CRR, CRD IV, Norme tecniche di attuazione (ITS).

1.2.2 CRR – Capital Requirements Regulation

Regolamento CRR stabilisce requisiti prudenziali in materia di fondi propri, liquidità e rischio di
credito per le imprese di investimento e gli entri creditizi (Banche), facendo obbligo alle banche di
accantonare capitale sufficiente per coprire perdite inattese e restare solvibili in caso di crisi. Si tratta
del Pillar 1. Il principio è che gli attivi devono crescere in relazione alla consistenza di CET 1, ovvero
il requisito patrimoniale in materia di fondi propri è espresso in percentuale delle attività ponderate
per il rischio (RWA). Per le attività più sicure è attribuita una allocazione di capitale minore, mentre
𝝏 𝑹𝒊𝒔𝒄𝒉𝒊𝒐
per quelle più rischiose una allocazione maggiore. Algebricamente 𝝏 𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒂𝒍𝒆
<𝟎

La CRR, attraverso il requisito patrimoniale in materia di Fondi Propri (Patrimonio di Vigilanza)


definisce la classe, la qualità, la funzione e la misura del capitale in relazione al rischio

• Tier 1: capitale in situazione di continuità aziendale


• CET 1: capitale di qualità elevatissima (almeno 4,5% RWA)
⇨ Patrimonio di base: Tier 1 + CET 1 (almeno 6% RWA)
Buffer di conservazione del CET 1 – CCB: almeno 2,5% RWA
Patrimonio di base + Buffer: almeno 8,5% RWA
• Tier 2: capitale in situazione di cessazione attività. Consente di rimborsare depositanti e
creditori privilegiati in caso di insolvenza (almeno 2% RWA)
⇨ Patrimonio di vigilanza: Patrimonio di base + Tier 2 (almeno 10,5% RWA) “Total TierRatio”
• Buffer di conservazione anticiclico – CCyB: 0 - 2,5% RWA (Unicredit 2,5%)

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• Buffer di conservazione G-SII: oscilla 1-3,5% RWA (Unicredit 1%)


• Buffer di conservazione O-SII: oscilla 0-2% RWA (Unicredit 1%, BPM 0,19%)
• P2R – Pillar 2 Reserve: discrezionale in funzione dell’esito SREP fino a 2,5% RWA

Requisiti di capitale medi del settore bancario

Ratio Banche grandi (G-SII) Banche minori

CET 1 9% - 11% Inferiore

T1+T2 12,5% - 14,5% Inferiore


(Patr. Di Vigil).

NB: CET 1 utilizzato per il raggiungimento dell’8%, oltre la soglia minima del 4,5% non può essere
utilizzato per la copertura dei vari buffer di capitale (incentivo implicito ad emettere strumenti AT1
e AT2)

Inoltre sono stati introdotti dei requisiti di liquidità:

⇨ Liquid Coverage Ratio – LCR ≥ 100% Stock di attività liquide di elevata qualità sufficienti a
coprire i deflussi netti di liquidità in condizioni di forte stress su un periodo di 30 giorni.
⇨ Net Stable Funding Ratio ≥ 100% Stock di attività sufficienti a far resistere la banca ad
eventuali crisi di liquidità su un periodo di 12 mesi.
⇨ Leva Finanziaria ≥ 𝟑% Requisito minimo di capitale che considera tutte le attività della
banca.
𝑻𝒊𝒆𝒓 𝟏
𝑰𝒎𝒑𝒊𝒆𝒈𝒉𝒊 𝒏𝒐𝒏 𝒑𝒐𝒏𝒅𝒆𝒓𝒊𝒂𝒕𝒊+𝑨𝒕𝒕.𝒇𝒖𝒐𝒓𝒊 𝒃𝒊𝒍𝒂𝒏𝒄𝒊𝒐
≥ 𝟑%

1.2.3 CRD IV – Capital Requirements Directive

Direttiva CRD IV stabilisce norme in materia di riserva di capitale, remunerazione e bonus dei
banchieri e vigilanza prudenziale. Per facilità di comprensione, nel paragrafo CRR – Capital
Requirements Regulation abbiamo inserito anche i buffer di capitale, che in realtà sono previsti
dalla CRD IV. In questa sede ci limiteremo a precisare solo alcuni aspetti.

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• Capital Conservation Buffer – CCB: per preservare i livelli minimi di capitale regolamentare
in fasi congiunturali avverse, accantonando riserve di capitale di qualità elevata.
• Countercyclical Capital Buffer – CCyB: per contrastare gli effetti del ciclo economico sulle
attività di prestito delle banche
• Global Systemically Important Institutions – G-SII Buffer: per compensare il rischio di
squilibri nel sistema finanziario globale in caso falliscano. (solo per banche di rilevanza
globale)
• Others Systemically Important Institutions – O-SII Buffer: per compensare il rischio
sistemico (macro prudenziale) nel sistema finanziario nazionale.

Inoltre la Direttiva IV stabilisce che il bonus ai banchieri è limitato ad un rapporto 1:1 tra
remunerazione fissa e variabile. Tale limite si può elevare fino ad un massimo di 2:1 se approvato a
maggioranza qualificata.

Si rafforza il ruolo delle Autorità di Vigilanza, che possono verificare la sostenibilità economica del
modello di business, sulla base di due processi di analisi:

• Autovalutazione interna – ICAAP & ILAAP: la banca valuta le condizioni di equilibrio


economico-patrimoniale in una logica “forward looking”.
• Autovalutazione esterna – SREP: l’Autorità di Vigilanza esprime una valutazione complessiva
circa la realizzabilità e sostenibilità del modello di business nel breve e lungo termine, anche
in condizioni di stress.

1.2.4 Solidità bancaria in ambito europeo e nazionale

La Figura 4 mostra la dinamica del requisito patrimoniale di CET 1 a livello europeo. In blu sono
riportate le prime dieci banche europee, in rosso le prime quattro italiane. Utilizzando il parametro
Cet1 Ratio nel primo trimestre del 2019 la banca più solida d’Europa è però la finlandese OP
Financial Group che ha un Cet1 Ratio del 19,5%. La prima cosa da notare è che tra le prime 7 banche
europee più solide, in base al criterio del CET1 sono di Paesi scandinavi e una è olandese.

Le banche italiane, come sembrerebbe indicare il grafico, non sono certo in testa a questa
graduatoria. Unicredit, per esempio, è al 25esimo posto e Intesa San Paolo al 27esimo con Cet1 Ratio
rispettivamente di 13,22% e 13%. Questo non vuol dire che non siano banche sicure, vuol dire che

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prendendo come parametro quello della Bce che consiglia almeno 10,5% (, hanno abbastanza capitale
per far fronte a una crisi finanziaria dei clienti, ma che in Europa altri istituti di credito ne hanno di
più. Dopo Unicredit e Intesa tra le italiane viene proprio Banco BPM, che è 28esima e terza tra le
italiane con un CET1 ratio del 12,9%. Si capisce, alla luce di questi dati, quindi anche il problema della
Banca Popolare di Bari, che il governo ha deciso di salvare dal crack con 900 milioni di euro che,
attraverso Invitalia, finiranno al Mediocredito e che serviranno per ricapitalizzare la più grande banca
del Sud. Il problema sta proprio nell’indice Cet1 ratio: se le banche italiane più solide sono a oltre
l’11%, la Popolare di Bari mostra un Cet1 ratio al 6,22%.

Significa che i prestiti concessi dalle banche nordiche sono concentrati su soggetti più solidi. Il motivo?
Il principale è che in Italia ci sono poche multinazionali alle quali prestare soldi, dato che
l’economia nazionale si basa soprattutto su piccole e medie imprese.

Figura 4

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1.2.5 Strumenti ibridi

L’evoluzione dei mercati dei capitali e delle necessità delle aziende ha portato alla nascita di nuovi
strumenti finanziari, le cui caratteristiche contrattuali sono in parte simili a quelle del debito ed in
parte simili a quelle del capitale proprio (strumenti ibridi). Pertanto il profilo di rischio di tali
strumenti è intermedio tra il profilo di rischio del capitale di credito e quello del capitale proprio. La
riforma del diritto societario ha favorito anche in Italia l’espansione del mercato di simili strumenti,
in quanto è permesso alle aziende di emettere strumenti finanziari atipici

Vantaggi

• Interessi passivi deducibili (come cap. debito)


• Utilizzabili anche per acquisto di azioni proprie
• Non alterano la percezione del rischio di imbresa (banca) che ha il mercato, se utilizzati in
percentuale ridotta.
• Disponendo di uno strumento aggiuntivo, probabilmente l’allocazione del rischio sarà più
efficiente, riducendo il costo del capiatale.

Figura 5

Riprendiamo l’esempio della struttura di capitale delle aziende Alfa e Beta esposta nella dimostrazione
del teorema di Modigliani-Miller. L’azienda Alfa, continua ad avere una struttura patrimoniale
totalmente finanziata da capitale proprio, mentre Beta, oltre ad essere finaziata da capitale proprio e
debito, supponiamo emetta degli strumenti ibridi. Il costo medio del capitale di Beta è più basso
rispetto a quello di Alfa.

Proviamo a capire che differenza c’è, in termini tecnici tra azioni ordinarie (Equity), tidoli di debito
(Debts), Strumenti ibridi (Hybrids).

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Strumento Durata Subord. Cap Remunerazione Diritto di prop.

Azioni ordinarie Perpetuo Junior Variabile Pieno

Variabile
Titoli di debito Perpetuo Junior Nessuno / debole
privilegiata

Senior rispetto Fisso, ma solo se


Ibridi Perpetuo Nessuno
Equity c’è capacità redd.

1.2.6 Il futuro TLAC / MREL requirements

Il “Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities” – MREL, è un requisito introdotto
dalla direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche (Bank Recovery and Resolution
Directive; BRRD, art. 45), il cui scopo è assicurare il buon funzionamento del meccanismo del bail-
in, assicurando il rispetto dei requisiti minimi perché la banca possa accedere a Bail-
In. È definito banca per banca e per adesso è obbligatorio solo per le banche sistemiche, mentre per le
altre lo sarà dal 2024. Il MREL è calcolato ad hoc per ogni banca proprio per garantire che la specifica
banca sia eleggibile a bail-in. 

Le passività selezionabili ai fini MREL sono un sottoinsieme di


quelle potenzialmente coinvolte in caso di bail-in, al fine di
aumentare la presenza di strumenti ad elevata capacità di
assorbimento delle perdite

Le passività ammissibili sono quelle con durata residua di


almeno un anno, che non risultino da un derivato e che non
siano coperte da alcun tipo di garanzia (ad es: esclusi i
covered bond e i finanziamenti ricevuti dalla BCE). Il requisito
MREL si sovrappone ai requisiti di Basilea 3, sulla
dotazione di capitale. Infatti, le banche, per rispettare il nuovo requisito, potranno imputare il capitale
conteggiato ai fini dei requisiti di capitale.

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La “Total loss-absorbing capacity” – TLAC riguarda solo le G-SIB ed è stato disciplinato dal Financial
Stability Board. Il nuovo standard è stato costruito al fine di garantire che le G-SIB abbiano sufficiente
capacità di assorbimento delle perdite e di ricapitalizzazione, di modo che le autorità di risoluzione,
nel caso di insolvenza, possano utilizzare gli strumenti di risoluzione delle crisi bancarie,
minimizzando i rischi per la stabilità finanziaria, mantenendo la continuità delle funzioni essenziali
dell'istituto di credito, ed evitando che siano utilizzate risorse pubbliche per il salvataggio. In ragione
di ciò, il TLAC consiste essenzialmente in un requisito patrimoniale minimo di passività che possano
essere prontamente soggette a bail-in nel caso di risoluzione dell'istituto bancario.

Proprio alla luce di tale definizione, è opportuno notare come la TLAC sia una trasposizione a livello
globale del MREL.

Tuttavia, nonostante lo scopo sia il medesimo, il TLAC e il MREL differiscono per natura e ambito di
applicazione. Infatti, TLAC è rivolto unicamente alle G-SIB, ed è calcolato sulla base delle attività
ponderate per il rischio (RWA), il MREL si applica a tutte le banche Europee - indipendentemente dalla
rilevanza sistemica - con una calibrazione da effettuarsi in relazione ai fondi propri e alle altre
passività totali dell'istituto di credito. Minimum requirement for TLAC: 16% RWA (dal 2022): 18%

Figura 6

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2 GESTIONE DEL RISCHIO COPERTO

2.1 Rischio di liquidità

Il rischio di liquidità esprime l’incapacità della banca di far fronte tempestivamente ed in modo
economico agli obblighi di pagamento e rimborso nei tempi contrattuali previsti. Si tratta del rischio
di incorrere in difficoltà nel rimborso delle proprie passività a vista (depositi) e a breve termine. le
banche sono esposte al rischio di liquidità in modo particolare perché i prestiti sono attività
prevalentemente non negoziabili e, a fronte di essi, i depositi sono una passività a vista, soggetta a
rischio di prelievo.

In seguito alla crisi sono stati elaborati, a livello internazionale nell’ambito di Basilea 3, due misure di
controllo regolamentari del rischio di liquidità: Liquidity Coverage Ratio (LCR) e Net Stable
Funding Ratio (NSFR).

La gestione del rischio di liquidità è indirizzata a conseguire un tendenziale equilibrio finanziario di


breve termine, attraverso il rispetto dell’indicatore LCR, e di medio-lungo termine con il NSFR.

2.1.1 NSFR

Il “Net Stable Funding Ratio” – NSFR esprime la capacità di superare la crisi di liquidità in un periodo
di 12 mesi.

𝑃𝑟𝑜𝑣𝑣𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑑𝑖𝑠𝑝𝑜𝑛𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒


≥ 100%
𝑃𝑟𝑜𝑣𝑣𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑜𝑏𝑏𝑙𝑖𝑔𝑎𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎

Tratta esplicitamente il rischio di funding legato al fenomeno della trasformazione delle scadenza,
ovvero il mismatch tra breve e lungo.

La provvista stabile disponibile è definita come porzione di patrimonio e passività che si ritiene
risulti affidabile nell’arco temporale di un anno. L’ammontare di provvista stabile richiesto a una
istituzione specifica dipende dalle caratteristiche di liquidità e dalla vita residua delle varie attività
detenute dall’istituzione, nonché delle sue esposizioni fuori bilancio (off-balance sheet, OBS). Gli
importi di provvista stabile disponibile e obbligatoria sono calibrati in modo da riflettere il grado
atteso di stabilità delle passività e quello di liquidità delle attività:

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Passività

• Le passività a più lungo termine sono considerate più stabili di quelle a breve termine
• I depositi a breve termine (con scadenza inferiore all’anno) collocati dalla clientela al dettaglio
e la provvista fornita dalla clientela di piccole imprese è considerata più stabile della provvista
all’ingrosso di pari scadenza fornita da altre controparti

Attività

• Resilienza della creazione del credito – L’NSFR richiede che una parte del credito
all’economia reale sia finanziata da fonti di provvista stabile, al fine di assicurare la continuità
di questo tipo di intermediazione
• Comportamento delle banche – L’NSFR è calibrato in base all’ipotesi che le banche cerchino
di rinnovare una quota significativa dei prestiti in scadenza al fine di mantenere il rapporto
con la clientela
• Scadenza delle attività – L’NSFR si basa sull’ipotesi che alcune attività a breve termine (con
scadenza entro un anno) richiedano una quota inferiore di provvista stabile poiché le banche
dovrebbero essere in grado di lasciare che una parte di tali attività giunga a scadenza, anziché
essere rinnovata
• Qualità e grado di liquidità delle attività – L’NSFR ipotizza che le attività di elevata qualità
non vincolate cartoralizzabili o negoziabili, che quindi possono essere prontamente stanziate
in garanzia per ottenere finanziamenti addizionali o vendute nel mercato, non debbano essere
necessariamente finanziate integralmente mediante fonti di provvista stabile

Diamo qualche informazione in più sul numeratore del rapporto, ovvero sull’ ammontare di
provvista stabile disponibile (Available Stable Funding, ASF):

È misurato in base alle caratteristiche generali della stabilità relativa delle fonti di provvista di
un’istituzione, compresa la scadenza contrattuale delle sue passività e la diversa propensione dei vari
prestatori a ritirare i finanziamenti erogati. Il totale della provvista stabile disponibile corrisponde
alla somma degli importi ponderati per i fattori ASF elenco dettagliato, vedi slide 63)

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Diamo qualche informazione in più sul denominatore del rapporto, ovvero sull’ ammontare di
provvista stabile obbligatoria (Available Stable Funding, RSF):

L’ammontare della provvista stabile obbligatoria è misurato in base alle caratteristiche generali del
profilo di rischio di liquidità delle attività e delle esposizioni Off Balance Sheet di un’istituzione. I fattori
di provvista stabile obbligatoria (Required Stable Funding, RSF) attribuiti alle varie tipologie di
attività sono parametri volti ad approssimare l’importo di una particolare attività che occorrerebbe
finanziare, o perché destinata a essere rinnovata, o perché non smobilizzabile attraverso la vendita o
lo stanziamento in un’operazione di prestito garantito durante il corso dell’anno senza incorrere in
costi significativi. Il totale della provvista stabile disponibile corrisponde alla somma degli importi
ponderati per i fattori RSF. (elenco dettagliato, vedi slide 65-66)

2.1.2 LCR

Il “Liquidity Coverage Ratio” – LCR esprime lo stock di liquidità necessario per coprire un deflusso di
30 giorni senza al finanziamento.

𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à 𝑙𝑖𝑞𝑢𝑖𝑑𝑒 𝑑𝑖 𝑒𝑙𝑒𝑣𝑎𝑡𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑖𝑡à


≥ 100%
𝐷𝑒𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑖𝑛 30 𝑔𝑔

È incentrato sulla liquidità a breve, ovvero entro 30 giorni, sul presupposto che entro tale periodo le
banche centrali interverrebbero comunque a livello di sistema. La BCE ha specificato che il LCR è volto
ad assicurare che una banca mantenga uno stock adeguato di HQLA (High Quality Liquid Assets) non
vincolate, composto da contanti o da attività che possano essere convertite in contanti nei mercati
privati con una perdita di valore modesta o nulla, per soddisfare il suo fabbisogno di liquidità nell’arco
di 30 giorni di calendario in uno scenario di stress di liquidità.

Lo stock di HQLA non vincolate dovrebbe come minimo consentire alla banca di sopravvivere fino al
30° giorno dello scenario, entro il quale si presuppone che possano essere intraprese appropriate
azioni correttive da parte degli organi aziendali e delle autorità di vigilanza, oppure che la banca
possa essere sottoposta a un’ordinata liquidazione.

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Gestione delle attività e delle passività nelle banche

Lo scenario per questo requisito simula la combinazione di uno shock idiosincratico e di mercato
che comporti (elenco non esaustivo): il prelievo di una quota di depositi al dettaglio; una parziale
perdita della capacità di raccolta all’ingrosso non garantita; deflussi contrattuali aggiuntivi che
discenderebbero da un declassamento fino a tre gradi (notchs) del rating creditizio pubblico della
banca, tra cui la costituzione obbligatoria di garanzie; un aumento delle volatilità di mercato.

Diamo qualche informazione in più sul numeratore del rapporto, ovvero sulle HQLA:

Le HQLA sono considerate liquide e di elevata qualità se possono essere convertite in contanti in
modo facile e immediato, con una perdita di valore modesta o nulla. Idealmente dovrebbe trattarsi di
attività anche stanziabili in garanzia presso le banche centrali per soddisfare il fabbisogno di liquidità
infra-giornaliera e ottenere linee di liquidità overnight. Le HQLA si dividono in livelli, in relazione alla
qualità e liquidabilità delle attività considerate. Le attività di Primo Livello e di Secondo Livello
dovrebbero rappresentare almeno il 40% del totale HQLA, tuttavia le autorità di vigilanza potranno
scegliere di inserire fra le attività di secondo livello attività di Secondo Livello B fino al massimo del
15%. La regolamentazione è estremamente dettagliata circa i vari strumenti eleggibili per le attività
di primo livello e di secondo livello, in grandi linee:

• Primo Livello: essenzialmente cash, riserve presso le banche centrali, alcune eccezioni per
titoli sovereign in paesi non-zero-weight (e.g. Bot Argentina).
• Secondo Livello: essenzialmente titoli con peso 20% e corporate (>= AA-) che hanno track-
record storico di pronta liquidabilità ed accesso a mercati P. È previsto hair-cut del 15%
(ovvero: se il titolo vale 100, lo puoi contar per 85).
• Secondo Livello B: essenzialmente titoli corporate (>=BBB-) e RMBS (>= AA-) che hanno
track-record storico di pronta liquidabilità ed accesso a mercati. È previsto un hair-cut del
50% e 25% rispettivamente.

Diamo qualche informazione in più sul denominatore del rapporto, ovvero sul totale dei deflussi di
cassa netti nei 30 giorni successivi:

Totale dei deflussi di cassa netti per i 30 giorni di calendario successivi = Totale dei deflussi di cassa
attesi – Min {totale degli afflussi di cassa attesi; 75% del totale dei deflussi di cassa attesi}.

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Gestione delle attività e delle passività nelle banche

Il massimale del 75% mira ad evitare che le banche dipendano unicamente dagli afflussi attesi per
soddisfare il requisito di liquidità e per assicurare inoltre un livello minimo di HQLA pari al 25% del
totale dei deflussi di cassa. La regolamentazione è ugualmente dettagliata circa i vari strumenti
sottostanti i deflussi ed afflussi considerati nel periodo rilevante, per questo non la esponiamo.

2.2 Rischio di tasso

Il rischio di tasso d’interesse del portafogli bancario (banking book) è definito come l’esposizione
della situazione economico-patrimoniale della banca alla variazione sfavorevole dei tassi d’interesse.
Misura il rischio di revisione del tasso (repricing book), ovvero il rischio legato agli sfasamenti:

• Nelle scadenze per le poste a tasso fisso


• Nelle date di revisione del tasso per le poste a tasso variabile

Cominciamo col dare qualche definizione:

Euribor: acronimo di EURo Inter Bank Offered Rate, tasso interbancario di offerta in euro) è un tasso
di riferimento variabile (giornaliero), che indica il tasso di interesse medio delle transazioni
finanziarie in Euro tra le principali banche europee.

Contratto SWAP: è un contratto sul tasso d’interesse in cui le parti scambiano il pagamento di un
interesse a tasso fisso contro il pagamento di un interesse a tasso variabile, determinato sullo stesso
ammontare nozionale.

Interest Rate Swap (IRS): è quel tasso fisso che rende nullo il valore attuale del contratto di swap,
determinato per ogni scadenza.

Curva SWAP: sintetizza i comportamenti degli operatori di mercato per operazioni a tasso fisso
per scadenze fino a 30 anni.

Al pari dell’Euribor, il tasso Swap rappresenta quindi un benchmark di mercato ma a differenza di


questo: è un tasso fisso e determinato anche per scadenze di lungo termine.

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Gestione delle attività e delle passività nelle banche

Nell’analisi del rischio di tasso, il perimetro da considerare è il Banking Book. Adesso, che abbiamo
definito quindi il perimetro di azione su cui impatta il rischio di tasso d’interesse, si introducono le
categorie in cui esso risulta suddivisibile:

Gap Risk è un rischio che si riferisce al cambiamento dei prezzi degli strumenti nel corso del tempo
connesso al movimento dei tassi. Dal momento che le date di revisione dei tassi sono tutte diverse tra
loro, il rischio per una banca aumenta quando il tasso d’interesse corrisposto sulle passività cresce
prima che faccia altrettanto il tasso ricevuto sulle attività.

Basis Risk si manifesta tipicamente quando due investimenti con segno opposto in una strategia di
copertura subiscono delle variazioni di prezzo non perfettamente equivalenti. Questa imperfetta
correlazione tra i due investimenti crea i presupposti per un eccesso di guadagno o di perdita rispetto
a quanto preventivato dalla strategia di hedging, aggiungendo pertanto rischio alla posizione.

Option Risk componente di rischio derivante dagli elementi opzionabili presenti negli assets, nelle
liabilities o negli strumenti fuori bilancio di una banca, dove quest’ultima detiene la possibilità di
modificare il volume ed il timing dei suoi flussi di cassa. Ciò implica una potenziale risposta non-lineare
al cambiamento dei tassi.

Tutti e tre le tipologie di rischio hanno un impatto potenziale sulla determinazione futura dei flussi
finanziari della banca. Il monitoraggio dell’esposizione avviene attraverso la valutazione ed il calcolo
di due principali metriche: NII e EVE.

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Gestione delle attività e delle passività nelle banche

2.2.1 Tecniche di Asset Laiability Management

Le analisi numeriche sul rischio tasso si svolgono all’interno delle banche con modelli proprietari. Le
risultanze di tali modelli sono in primis alla base delle decisioni operative del management ma sono
anche condivise e monitorate dai supervisor.

NII – prospettiva degli utili correnti: misura la variazione del margine di interesse a seguito di
prestabiliti movimenti nelle strutture a termine dei tassi d’interesse. È calcolato come differenza tra
gli interessi attivi e gli interessi passivi generati dagli strumenti finanziari in bilancio all’interno di un
orizzonte temporale lungo 12 mesi.

EVE – prospettiva del valore economico: misura la variazione di valore dei prodotti finanziari del
banking book a seguito di prestabiliti movimenti nelle strutture a termine dei tassi d’interesse.

Entrambe queste misure possono risultare di difficile trattamento all’interno delle strategie di
copertura, dato che generalmente:

uno scenario di rialzo dei tassi provoca un effetto positivo sul Net Interest Income

ma negativo sull’Economic Value of Equity

Infatti, se si registra per esempio uno shock di +100 punti base sul tasso d’interesse (ovvero r +1%),
l’EVE diminuisce. Questo perché la maggior parte dei mutui erogati sono a tasso fisso e su lunghe
scadenze, per cui il present value del singolo cash flow considerato diminuirà all’aumentare del tasso
di attualizzazione e della distanza nel tempo. Per bilanciare tale decremento, la banca potrebbe
negoziare un Interest Rate Swap in cui riceve il variabile e paga il fisso, cosí da riequilibrarne la
sensitività. Tuttavia, tale strategia di copertura altro non fa che aumentare il valore del NII, a causa
del più ristretto orizzonte temporale. Aumentando infatti l’esposizione in flussi variabili, e avendo

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Gestione delle attività e delle passività nelle banche

questi una revisione del tasso nel breve termine, il nuovo flusso riprezzato dopo lo shock entra
nell’orizzonte temporale del NII, aumentandone il delta rispetto allo scenario di partenza. Pertanto,
notevole attenzione va dedicata alle strategie di copertura (hedging), che se non risultano calibrate
adeguatamente possono incrementare il rischio ed ottenere un effetto inverso rispetto a quello
desiderato.

L’evidenza empirica sembra confermare quanto esposto sopra e dimostrato algebricamente nelle
slides di Dennert (per semplicità non abbiamo riportato i calcoli algbrici).

2.2.2 Gestione operativa del rischio di tasso: strategie di hedging

Una volta individuato il mismatch di tasso e decisi i target da raggiungere, gli interventi possono essere
di diversa natura: l’emissione di strumenti finanziari, l’acquisto/vendita di attività liquidabili, la
cartolarizzazione di determinati attivi, comunque in grado di raggiungere il tasso prefissato. In
generale, esistono due macro-categorie di strategie di hedging: (si riportano alcune delle principali
strategie)

Strategie Plain Vanilla

• Emissioni di bond con caratteristiche idonee

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• Vendita asset, in particolare NPL2

Strategie Complesse

• ABS (Asset Backed Securities: emissioni di bond con cessione dell’attivo sottostante)

• Cartolarizzazione
o gli Assets vengono ceduti dall’Originator ad un veicolo (SPV). Gli Assets sono separati dal
patrimonio del veicolo.
o Il veicolo provvede ad emettere le securities (notes) e provvede al pagamento degli
interessi e del capitale di queste con i flussi di cassa generati dal portafoglio di Assets
acquistato dall’Originator
o In caso di reale trasferimento dei rischi sottesi al portafoglio ceduto, gli Assets “escono” dal
bilancio dell’Originator (offbalance)

• Covered Bond (segregazione degli asset critici ed emissione di bond garantiti dall’attivo
sottostante)
o Gli Assets restano di proprietà dell’Originator e vengono da questo segregati
all’interno del proprio patrimonio
o L’Originator emette le securities (covered bond) garantite dagli Assets segregati

2 NPL è sempre a tasso fisso anche se origina a tasso variabile

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Gestione delle attività e delle passività nelle banche

o L’originator provvede al pagamento degli interessi e del capitale dei bond con i flussi
di cassa della sua gestione complessiva e gli Assets a garanzia servono solo in caso di
default dell’emittente per garantire il rimborso del capitale
o Gli assets “non escono” dal bilancio dell’Originator (in-balance)

Figura 7 – Struttura classica della cartolarizzazione

Le strategie di hedging sono volte ad immunizzare il rischio di tasso, ma non è detto che siano efficaci.
Potrebbe, infatti, aversi un trasferimento del rischio di scadenza a soggetti inadatti.

CREDIT DERIVATIVES

Sono strumenti che consentono di trasferire il rischio di credito, ma per le loro caratteristiche sono
anche utilizzabili per l’immunizzazione del rischio di tasso.

I credit derivatives sono strumenti progettati per separare e quindi trasferire il rischio di un debitore
societario o sovrano, trasferendolo a un'entità diversa dal debtholder. Si deve tenere presente che nel
credit derivative, il sottostante è rappresentato dal rischio di credito connesso all’intera esposizione
verso un determinato debitore (reference entity), e non al singolo strumento emesso dal debitore.

Il credit derivative presuppone l’esistenza di due controparti:

• Protection Buyer: si protegge dalla perdita che potrebbe derivare dal deterioramento del
merito creditizio del proprio debitore (finalità assicurativa).

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• Protection Seller: vende protezione all’acquirente, cercando di monetizzare una propria


aspettativa sulla qualità creditizia del debitore (finalità speculativa)

I credit derivatives più comuni sono i credit default swaps, strumenti che attribuiscono al buyer il
diritto a ricevere dal seller una copertura (default payment) al verificarsi di determinati credit events
(ristrutturazione, bancarotta, mancato pagamento).

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3 RISK APPETTITE FRAMEWORK

Nel “rischiare per progredire”, c’è un limite che le banche non devono superare: il Risk Appetite
Framework (RAF) rappresenta proprio il perimetro di riferimento entro cui agire. Il RAF è il sistema
che definisce gli obiettivi di rischio degli istituti bancari, con cui si valutano anche le soglie da non
oltrepassare; ecco perché si connota come uno strumento indispensabile di governance del rischio.

La regolamentazione in materia di vigilanza ha introdotto il RAF nel con la Circolare n. 263 del 27
dicembre 2006 poi aggiornata nel 2013 e si applica alle Banche e non alle finanziarie ex 106 e 107
TUB, almeno sino a che non è completato il riordino della disciplina di vigilanza di queste ultime.

Si forniscono, di seguito, le definizioni dei concetti rilevanti ai fini del RAF:

• Risk Capacity (massimo rischio assumibile): il livello massimo di rischio che una banca è
tecnicamente in grado di assumere senza violare i requisiti regolamentari o gli altri vincoli
imposti dagli azionisti o dall’autorità di vigilanza;

• Risk Appetite (propensione al rischio): il livello di rischio (complessivo e per tipologia) che la
banca intende assumere per il perseguimento dei suoi obiettivi strategici;

• Risk Tolerance (soglia di tollerenza): la devianza massima dal risk appetite consentita; la
soglia di tolleranza è fissata in modo da assicurare in ogni caso alla banca margini sufficienti
per operare, anche in condizioni di stress, entro il massimo rischio assumibile. Nel caso in cui
sia consentita l’assunzione di rischio oltre l’obiettivo di rischio fissato, fermo restando il
rispetto della soglia di tolleranza, sono individuate le azioni gestionali necessarie per
ricondurre il rischio assunto entro l’obiettivo prestabilito;

• Risk Profile (rischio effettivo): il rischio effettivamente assunto, misurato in un determinato


istante temporale;

• Risk Limits (limiti di rischio): l’articolazione degli obiettivi di rischio in limiti operativi,
definiti, in linea con il principio di proporzionalità, per tipologie di rischio, unità e o linee
di business, linee di prodotto, tipologie di clienti;

Il RAF tipicamente include una serie di Key Performance Indicator (KPI) con propri livelli di obiettivo,
trigger e limite, che sono regolarmente monitorati e portati periodicamente all’attenzione degli organi
aziendali deputati.

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Gestione delle attività e delle passività nelle banche

Le metriche RAF si inseriscono nel più ampio contesto del processo interno ICAAP (Internal Capital
Adequacy Assessment Process), un'autovalutazione che per legge la banca deve compiere sulla propria
adeguatezza patrimoniale. Il processo di controllo prudenziale è stato articolato dall’Autorità di
vigilanza in due fasi:

1. ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process) processo interno che consente
all’istituto finanziario di valutare in autonomia la propria adeguatezza patrimoniale
ILAAP (Internal Liquidity Adequacy Assessment Process) processo interno che consente
all’istituto finanziario di valutare l’adeguatezza del sistema di governo e gestione del rischio
di liquidità
Le banche devono effettuare dunque un’autonoma valutazione, attuale e prospettica, circa
l’adeguatezza patrimoniale e del sistema di governo e gestione del rischio di liquidità, in
relazione ai rischi assunti e alle strategie aziendali adottate.

2. SREP (Supervisory Review and Evaluation Process) l’Autorità di Vigilanza valuta e misura i
rischi delle banche e successivamente formula un giudizio complessivo sulla banca,
attivando, ove necessario, misure correttive.
Nello specifico, lo SREP mette a fuoco la situazione dell’intermediario in termini di requisiti
patrimoniali nonché di gestione dei rischi. Nella decisione SREP, che l’autorità di vigilanza
invia alla banca a conclusione del processo, si definiscono gli obiettivi fondamentali per
fronteggiare le problematiche riscontrate. La banca deve quindi effettuare un intervento
correttivo nei tempi previsti.

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