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1 LA DEFINIZIONE DI IMPRENDITORE
1.1 La nozione di imprenditore: l’attività economica
“È imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o di servizi” art. 2082 c.c. Questa definizione
viene scomposta in quattro elementi costitutivi:
• L’esercizio di un’attività economica;
• La professionalità di tale esercizio;
• L’organizzazione;
• Il fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi;
Nel primo e più elementare senso, l’attività si può qualificare come economica quando
coinvolge operazioni con cui viene creata un’utilità pratica: produzione o scambio di un
bene o di un servizio.
Il concetto di attività economica si compone, in primo luogo, dell’idea generale per cui
deve esservi uno scambio di ricchezza. Rilevante però la forma in cui avviene questo
scambio, che deve uniformarsi ad un criterio di economicità, cioè l’impresa deve trarre da
se stessa i suoi mezzi di sopravvivenza.
1.2 Segue: attività economica e attività di godimento
La distinzione è talora problematica: mentre è agevole contrapporre il locatore di una
molteplicità di appartamenti (che svolge attività di puro godimento) all’albergatore (che
svolge un’attività economica), più difficile diventa fissare il confine del puro godimento
quando gli appartamenti sono locati ammobiliati o viene offerto qualche servizio
collaterale. Il problema assume rilevanza quando si esaminano attività come quelle di
gestione dei patrimoni investiti in titoli o in quote societarie.
La funzione di detenzione e gestione è spesso svolta da società (holdings) che non
esercitano alcuna altra attività: l’esercizio di poteri derivanti dal possesso di azioni,
mediante l’organizzazione e la professionalità, determinano l’acquisto della qualità di
imprenditore in capo a chi li eserciti.
(Attività economica: per attività si intende una serie di atti finalizzati ad uno scopo. L’attività
economica è diretta alla creazione di nuove utilità. Quindi di nuove ricchezze; essa deve
essere lecita, cioè non contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon
costume. Dal punto di vista giuridico, il requisito dello scopo di lucro non fa parte degli
elementi costitutivi dell’impresa, per aversi impresa è essenziale che l’attività produttiva sia
condotta con metodo economico, cioè secondo modalità che consentono almeno la
copertura dei costi).
1.3 Segue: la professionalità
Questo requisito di cui all’art. 2082, esclude che si configuri un’attività d’impresa il
compimento occasionale di qualche atto di produzione o di scambio. Non si richiede che
l’attività sia svolta necessariamente in modo continuativo, neppure che l’attività sia diretta
alla realizzazione di più affari, né che quella esercitata sia l’attività esclusiva o prevalente
del soggetto in questione.
L’esistenza di un’impresa non è esclusa dall’assenza di uno scopo di lucro in senso stretto
(è sufficiente che l’attività copra i costi). La nozione di professionalità ha comunque una
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valenza oggettiva: si tratta di un attributo dell’attività, piuttosto che del soggetto che la
esercita.
(Professionalità implica che l’attività sia abituale, stabile, duratura, svolta
sistematicamente. Non occorre però che l’attività sia svolta in permanenza e senza
interruzione: possono costituire oggetto di impresa le c.d. imprese stagionali. È
imprenditore anche chi realizza un unico affare, purché esso di concretizzi in un’attività
protratta nel tempo che richieda l’impiego di un’adeguata organizzazione di mezzi).
1.4 Segue: l’organizzazione
Il legislatore del 1942 concepiva l’impresa come un’organizzazione sotto due profili: come
organizzazione di persone e come organizzazione di mezzi.
L’organizzazione di persone è rappresentata dall’imprenditore e dai sui collaboratori:
l’imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori
(art. 2086).
Era presente anche un’idea dell’impresa come un’organizzazione di mezzi di produzione:
L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa
(art. 2555).
In realtà l’organizzazione del lavoro è un’organizzazione che in un’impresa normalmente
esiste, ma che non è assolutamente essenziale (es. un imprenditore che ha alle sue
dipendenze cinque collaboratori e che sostituisce la loro opera con un nuovo
macchinario).
Ci si è poi accorti che in realtà anche l’organizzazione dei mezzi non è essenziale, perché
ci sono delle figure, che sono ricomprese nella categoria degli imprenditori che non hanno
né organizzazione del lavoro, né organizzazione dei mezzi: es. il mediatore professionale.
A risultati analoghi, si può giungere estendendo oltremodo i concetti di organizzazione del
lavoro e dei mezzi, e facendo rientrare qualunque attività.
(Organizzazione: per realizzare le finalità dell’impresa è necessario che vi siano mezzi
patrimoniali da impegnare e uomini che lavorino. L’organizzazione ha per oggetto i fattori
della produzione, capitale – proprio o altrui – e lavoro. Tale elemento serve per individuare
il confine fra attività produttive che, se organizzate, assumono il carattere di impresa e
attività che, pur essendo dirette alla produzione o allo scambio di bei o servizi, non
assumono il carattere di impresa: lavoro autonomo).
1.5 Segue: il fine della produzione o dello scambio
“Il fine della produzione o dello scambio di beni e servizi”: l’espressione è pleonastica dal
momento che quando si parla di attività economica già si fa riferimento ad un’attività rivolta
alla produzione o alla scambio di beni o di servizi.
1.6 Imprenditore e professionista intellettuale: l’organizzazione
Gli artt. dal 2229 al 2238 parlano dell’esercizio delle professioni intellettuali e distinguono
chiaramente l’esercizio di tali professioni dall’attività d’impresa. L’attività del professionista
rimane distinta dall’attività organizzata in forma di impresa: se un medico esercita la sua
professione in una clinica di sua proprietà che egli stesso gestisce, la sua attività di
medico rimane un’attività professionale che però si inserisce in un’attività d’impresa.
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fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare che il
momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine.
[Nella normativa codicistica sull’attività imprenditoriale manca un’autonoma definizione
dell’impresa, la quale si desume in via derivata dalla definizione di imprenditore di cui
all’art. 2082. L’impresa è dunque l’attività economica organizzata ed esercitata
professionalmente dall’imprenditore al fine della produzione o dello scambio di beni e
servizi. L’imprenditore si presenta come colui che utilizza i fattori della produzione
organizzandoli, a proprio rischio, nel processo produttivo di beni o servizi. Due elementi
fondamentali caratterizzano l’imprenditore: l’iniziativa, cioè il potere di organizzare
l’impresa, di indirizzarne l’attività decidendone la politica economica e di dirigere la
produzione; il rischio economico, cioè la sopportazione di tutti gli oneri inerenti alla
conduzione dell’impresa. Il compenso per tale rischio costituisce il profitto imprenditoriale].
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2 LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI
2.1 Il sistema del codice: l’impresa sociale
Il legislatore del 1942 ha dettato una norma generale che definisce l’imprenditore, l’art.
2082, ed una serie di norme che distinguono gli appartenenti alla categoria di base a
differenti criteri:
- Dimensioni (imprenditori piccoli o medio-grandi);
- Caratteristiche dell’attività esercitata (commerciale o agricola);
- Natura dell’ente che lo esercita (privato o pubblico);
Combinando i diversi criteri si ottengono le diverse figure di imprenditore: piccoli
imprenditori privati agricoli, grandi imprenditori commerciali pubblici, ecc.
Queste distinzioni dovrebbero servire per individuare le diverse discipline in concreto
applicabili (c.d. statuti): disciplina rimasta disapplicata per più di 50 anni in conseguenza
della mancata istituzione del registro delle imprese.
La Legge istitutiva del registro delle imprese (L. 580/1993) e il regolamento attuativo (DPR
581/1995) prevede l’iscrizione in sezioni “speciali” degli imprenditori agricoli, dei piccoli
imprenditori di cui art. 2083, e delle società semplici.
Le distinzioni tra imprenditori commerciali e imprenditori agricoli e tra grandi e piccoli, sono
rilevanti, soprattutto al fine di stabilire se un certo imprenditore è assoggettabile alle
procedure concorsuali.
Con L. 155/2006 il legislatore ha introdotto una nuova figura di impresa denominata
impresa sociale: il legislatore chiama “impresa” il soggetto che esercita l’attività,
precedentemente identificato come imprenditore.
Possono acquisire la qualifica di impresa sociale “tutte le organizzazioni private, ivi
compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale
un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi
di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di
cui agli articoli 2, 3 e 4”.
Nella definizione, rispetto all’art. 2082, viene omesso il requisito della professionalità,
sostituito con quelli della stabilità e della principalità, e per aver aggiunto una ulteriore
qualificazione dei beni (di utilità sociale), quest’ultimi diretti a finalità di interesse generale.
Altra peculiarità in base alla definizione, è che un soggetto persona fisica non potrebbe dar
vita ad una impresa sociale. Va segnalato che l’impresa sociale non può avere scopo di
lucro. In merito alla qualificazione della principalità, che si misura in termini di rapporto tra
ricavi derivanti da diverse attività, va segnalato che per l’impresa sociale devono
rappresentare più del 70% dei ricavi complessivi.
2.2 Imprenditori commerciali e imprenditori agricoli
Tale distinzione è essenziale nel nostro sistema, perché il secondo, indipendentemente
dalle dimensioni, non è soggetto al fallimento e non è soggetto neppure all’obbligo di
tenere alcuni libri contabili.
Secondo alcuni la definizione di imprenditore commerciale si ricava dalle categorie di
attività indicate dall’art. 2195 e la definizione di imprenditore agricolo dall’art. 2135. Le due
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numerose norme che definiscono l’impresa artigiana. Secondo gli autori si afferma
l’irrilevanza delle definizioni dell’impresa artigiana utilizzate nelle leggi speciali, al fine di
derivare dall’art. 2083 una nozione privatistica dell’artigiano.
2.10 L’impresa pubblica
Nel codice si trovano pochissime norme sull’impresa pubblica; ed esse tendono ad
escludere l’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale (es. art. 2221 che le
sottrae al fallimento e al concordato preventivo). Invece, per l’obbligo di iscrizione nel
registro delle imprese, è prevista una distinzione di carattere soggettivo tra gli enti
inquadrati nelle associazioni professionali (art. 2093), e gli altri che ne sono esentati.
2.11 La “privatizzazione”: definizione e problemi
A partire dagli anni ’90 si assistito ad un forte ridimensionamento del settore pubblico
nell’economia. Per inquadrare meglio il problema si rivela utile la distinzione tra
privatizzazione formale e sostanziale.
Per privatizzazione formale si intende l’adozione di una forma giuridica di carattere
privatistico (es. spa), in luogo di una forma di stampo pubblicistico.
La privatizzazione in senso sostanziale descrive il passaggio della proprietà (o del
controllo) di imprese o di settori di imprese da un soggetto pubblico a soggetti privati.
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della società; secondo l’art. 2217 il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite deve
dimostrare con evidenza e verità gli utili o le perdite conseguiti.
Questa diversità emerge con ulteriore evidenza nella disciplina delle sanzioni comminate
per l’ipotesi di mancata o irregolare redazione del bilancio.
È opportuno evidenziare che comunque le scritture contabili sono oggetto di una disciplina
di carattere fiscale, che è quella che nella prassi realmente influenza la materia.
3.5 L’efficacia probatoria delle scritture contabili
Il Codice distingue tra efficacia probatoria contro l’imprenditore che ha redatto le scritture
contabili ed efficacia a suo favore.
In base all’art. 2709: “I libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a
registrazione fanno prova contro l'imprenditore . Tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può
scindere il contenuto”. Se il mio contraente ha scritto nelle sue scritture che mi deve 1000€
e poi il giorno dopo ha scritto che mi ha pagato, non posso giovarmi della prima
scritturazione ed ignorare la seconda.
Significativa novità rispetto al normale regime dei mezzi probatori è contenuta all’art. 2710:
“I libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti possono fare
prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa”.
Mentre i libri comunque (anche irregolarmente) tenuti possono sempre far prova contro
l’imprenditore, quando siano regolarmente tenuti possono far prova anche a suo favore:
un soggetto può far valere come titolo di prova a suo favore un documento tenuto da lui
stesso, però solo nei confronti di altri imprenditori e per rapporti inerenti l’impresa.
Dal punto di vista dei modi di acquisizione delle scritture al processo si distingue tra
comunicazione ed esibizione. La comunicazione riguarda tutte le scritture contabili.
L’esibizione riguarda singole scritture contabili. La comunicazione è concessa soltanto in
tre casi: scioglimento della società, comunione dei beni e successione per causa di morte.
Se invece si tratta di singole controversie allora sarebbe evidentemente eccessivo
ricorrere alla comunicazione, e si ricorre quindi all’esibizione.
3.6 La rappresentanza dell’imprenditore
Tra gli ausiliari dell’imprenditore si distinguono quelli autonomi (agenti, mandatari,
professionisti) e quelli subordinati. Tra quest’ultimi rientrano in particolare alcuni ausiliari
che normalmente stipulano contratti per conto dell’imprenditore, ed i cui poteri sono
soggetti ad apposita disciplina.
Il problema principale relativo all’attività di questi ausiliari riguarda gli effetti degli atti che
assi stipulano con i terzi, ovvero delle condizioni che rendono l’atto compiuto dagli ausiliari
vincolante per l’imprenditore. Nell’ambito della disciplina sulla rappresentanza (art. 1387 e
ss) questo problema è risolto accollando al terzo che contratta con il rappresentante i
rischi relativi all’accertamento dell’esistenza del potere rappresentativo e dei suoi limiti.
È tuttavia evidente che una simile valutazione di interessi e la disciplina conseguente
difficilmente possono essere accettate quando riferite alla rappresentanza di imprenditore.
Il legislatore ha pertanto introdotto deroghe rilevanti ai principi che ispirano le norme
generali sulla rappresentanza.
Invariata resta la disciplina relativa agli effetti dell’atto compiuto dal rappresentante senza
poteri (il terzo ha contrattato con l’ausiliario, privo di poteri, di un imprenditore commerciale
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avrà solo il diritto al risarcimento del danno da parte del falsus procurator e purché sia in
buona fede). Il terreno su cui il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire è quello invece
quello dei meccanismi da cui dipende l’entità del rischio di errore e, in parte, quello
dell’allocazione del rischio stesso. Il più importante degli strumenti è costituito dalla regola,
valida per tutte le figure (procuratori, commessi) di cui all’art. 2203 ss; per cui i soggetti
investiti di determinate mansioni acquisiscono il potere rappresentativo che la mansione
loro assegnata comporta, senza necessità di un’ulteriore, autonoma manifestazione di
volontà da parte dell’imprenditore. Un atto specifico sarà necessario solo quando
l’imprenditore intenda restringere il potere rappresentativo del collaboratore.
Il legislatore si preoccupa di garantire una tendenziale coincidenza tra potere di gestione
ed il potere di rappresentanza. Questa regola riduce i rischi a carico dei terzi poiché
l’esistenza di un potere di gestione trova manifestazioni visibili e difficilmente contestabili a
posteriori. La regola in esame è rilevante anche quando la procura è stata conferita,
facilitando l’attività di interpretazione del testo della procura.
3.7 L’institore
“È institore colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale. La
preposizione può essere limitata all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo
particolare dell'impresa. Se sono preposti più institori, questi possono agire
disgiuntamente, salvo che nella procura sia diversamente disposto” (art. 2203).
Corrisponde a quella dei soggetti chiamati direttori. Posizione elevata nella scala
gerarchica, al di sopra della quale vi è solo l’imprenditore.
“L'institore può compiere tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto,
salve le limitazioni contenute nella procura. Tuttavia non può alienare o ipotecare i beni
immobili del preponente, se non è stato a ciò espressamente autorizzato. L'institore può
stare in giudizio in nome del preponente per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti
nell'esercizio dell'impresa a cui è preposto” (art. 2204).
L’art. 2204 applica all’institore la regola secondo la quale il potere di rappresentanza è
connesso e coestensivo al potere di gestione; la procura serve a limitarlo, non a crearlo.
La legge pone comunque dei limiti espliciti sul potere di rappresentanza dell’institore,
escludendo l’alienazione e l’ipoteca sui beni mobili (i limiti sono di fronte ad atti estranei
alla sua funzione).
Quando all’institore è conferita una procura “con sottoscrizione del preponente autenticata
deve essere depositata per l'iscrizione presso il competente ufficio del registro delle
imprese. In mancanza dell'iscrizione, la rappresentanza si reputa generale e le limitazioni
di essa non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al
momento della conclusione dell'affare” (art. 2206). Analoga disciplina per le modificazioni
o la revoca della procura.
3.8 Segue: la responsabilità per le obbligazioni contratte
Per le obbligazioni contratte dall’institore nell’esercizio dei compiti affidatigli dal
preponente, risponde normalmente quest’ultimo: i terzi potranno far valere le loro pretese
nei confronti del rappresentato e non nei confronti del rappresentante. L’art. 2208
stabilisce però che “l'institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al
terzo che egli tratta per il preponente; tuttavia il terzo può agire anche contro il preponente
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per gli atti compiuti dall'institore, che siano pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è
preposto”. L’omessa spendita del nome del rappresentato determinerebbe la
responsabilità esclusiva del rappresentante che ha contratto in nome proprio.
3.9 I procuratori e i commessi
L’art. 2209 dispone che le disposizioni relative alla pubblicità e delle sue modifiche si
(2206 e 2207) “si applicano anche ai procuratori, i quali, in base a un rapporto
continuativo, abbiano il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio
dell'impresa, pur non essendo preposti ad esso”. È opinione diffusa che anche i
procuratori siano titolari di un potere di gestione, sia pur ristretto, rispetto a quello
dell’institore, a una certa funzione o ad un certo settore.
I commessi “dell'imprenditore, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della
rappresentanza, possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle
operazioni di cui sono incaricati. Non possono tuttavia esigere il prezzo delle merci delle
quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non sono d'uso, salvo
che siano a ciò espressamente autorizzati” (art. 2210). In mancanza di autorizzazione
scritta non possono derogare alle condizioni generali di contratto o alle clausole stampate
sui moduli dell’impresa (art. 2211). Per gli affari da essi conclusi “sono autorizzati a
ricevere per conto di questo le dichiarazioni che riguardano l'esecuzione del contratto e i
reclami relativi alle inadempienze contrattuali. Sono altresì legittimati a chiedere i
provvedimenti cautelari nell'interesse dell'imprenditore” (art. 2212).
Quanto ai commessi preposti alla vendita nei locali dell’impresa, questi “possono esigere il
prezzo delle merci da essi vendute, salvo che alla riscossione sia palesemente destinata
una cassa speciale. Fuori dei locali dell'impresa non possono esigere il prezzo, se non
sono autorizzati o se non consegnano quietanza firmata dall'imprenditore” (art. 2213).
3.10 L’esercizio di impresa da parte di incapaci
Norme particolari sono state dettate per regolare l’esercizio da parte di soggetti incapaci
di un’impresa commerciale, mentre l’esercizio di un’impresa agricola è regolato dalle
norme generali sulla capacità di agire, ed è pertanto possibile che un’attività agricola sia
esercitata per conto e nell’interesse di un incapace o di un soggetto limitatamente capace
di agire.
Gli artt. 320 e 370 cc consentono al minore emancipato l’esercizio di un’impresa
commerciale (previa aut. del Tribunale). Se ne deduce che l’inizio di una nuova impresa
commerciale nell’interesse del minore non sia consentito e che egli possa (tramite
rappresentante legale) esercitare un’impresa commerciale solo quando questa pervenga
al suo patrimonio per donazione o per successione.
Regole analoghe valgono per l’interdetto. Anche per l’inabilitato vale il divieto di iniziare
l’impresa, mente, una volta autorizzato alla continuazione, egli può esercitare l’impresa
personalmente.
3.11 L’azienda: nozione
L’art. 2555 definisce l’azienda come “il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore
per l'esercizio dell'impresa”.
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Nel contratto di società lo schema è diverso. Tutti i partecipanti conferiscono beni o servizi,
che confluiscono in un patrimonio comune; attraverso questi mezzi si esercita un’attività,
che produce utili che vengono ripartiti tra i soci. Mentre nel contratto di scambio le parti
sono contrapposte, qui le prestazioni sono dirette verso un nucleo comune volto
all’ottenimento di benefici destinati ai partecipanti.
Anche in tale schema esiste tuttavia un conflitto di interessi almeno in due momenti: quello
del conferimento e quello della divisione degli utili.
Lo schema presenta una struttura di interessi diversa rispetto a quella propria dei contratti
di scambio; non nel senso che manca un conflitto di interessi, bensì nel senso che,
accanto al conflitto di interessi, vi è anche uno scopo comune.
4.4 Segue. La comunione di scopo e i conferimenti
Il conferimento va fatto ad un nucleo comune ed è strumentale all’esercizio dell’attività
economica. Ciò significa che mentre nel contratto di scambio deve esservi una certa
equivalenza fra la prestazione dell’una e la prestazione dell’altra, nel contratto di società
non è affatto detto, e nessuno pretende, che i conferimenti dei soci debbano essere
equivalenti. La proporzionalità economica, non si pone tra le prestazioni dei soci, ma tra le
prestazioni dei soci e l’utile, nel senso che l’utile sarà normalmente proporzionato al
conferimento effettuato (regola peraltro derogabile dall’accordo delle parti).
4.5 Segue. L’esercizio in comune di un’attività economica
Tale espressione acquista un significato molto diverso nelle società di persone e in società
di capitali.
Normalmente si intende per attività economica un’attività di impresa; però non è affatto
certo che tutte le società siano necessariamente delle imprese. È infatti oggi ammessa la
costituzione di società tra professionisti. Esempio: la società tra avvocati è regolata dalle
norme sulle SNC: hanno per oggetto esclusivo l’esercizio in comune della professione dei
propri soci; l’incarico professionale è conferito alla società, ma il cliente può pretendere
che la prestazione venga eseguita da un socio da lui scelto, per le obbligazioni sociali
rispondono personalmente e illimitatamente tutti i soci, mentre per l’attività professionale
svolta solo i soci incaricati. Essa non è soggetta fallimento: tale ipotesi consente di
considerare la società tra avvocati come un’ipotesi di società senza impresa.
4.6 Lo scopo di divedere gli utili
Lo scopo di dividere gli utili, di cui all’art. 2247, pone delicati problemi in relazione all’art.
2511. Che riguarda le società cooperative: “le cooperative sono società a capitale variabile
con scopo mutualistico”.
Confrontando i due articoli si trovano due finalità diverse, da un lato lo scopo di dividere gli
utili, dall’altro lo scopo mutualistico. Nelle cooperative viene perseguito lo scopo di far
ottenere ai soci della cooperativa vantaggi diversi dalla ripartizione degli utili. Mentre
quando si parla di scopo di lucro, si intende che la società consegue un plusvalore e lo
ripartisce successivamente tra i soci.
Il problema è che nell’evoluzione pratica di questi istituti la distinzione non è così netta.
Non sono infrequenti società costituite secondo uno dei tipi c.d. lucrativi che assicurano
vantaggi ai soci non costituenti nella distribuzione degli utili, esistono, per contro, società
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all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi
esercita la potestà su di essi”. Quindi la norma attribuisce diritti “corporativi”, l’impresa
familiare tuttavia non assume il carattere di società: la tesi dominante nega ai familiari
partecipanti una posizione assimilabile a quella dei soci di società di persone ed
attribuisce la titolarità dell’impresa esclusivamente al familiare che la esercita. Si tratta
normalmente di un’impresa individuale il cui titolare sarà tenuto a consultare i suoi familiari
relativamente ad alcune decisioni rilevanti ed a riconoscere loro alcuni diritti sul patrimonio
investito nell’impresa. In questa prospettiva i rapporti tra l’imprenditore ed i suoi familiari
hanno rilevanza esclusivamente interna e non incidono sulla posizione dei terzi.
L’ambito dei parenti considerati familiari è circoscritto al coniuge, dei pareti entro il terzo
grado e degli affini entro il secondo.
Alla cessazione della prestazione lavorativa resa dal familiare, ed in caso di trasferimento
dell’azienda, “il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile […] Esso può
essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del
lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell'azienda. Il pagamento può avvenire in più
annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice. In caso di divisione ereditaria o di
trasferimento dell'azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione
sull'azienda. Le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli
usi che non contrastino con le precedenti norme”.
4.9 Impresa coniugale e azienda coniugale
Altre complicazioni suscita l’ipotesi dell’esercizio in comune di un’impresa da parte di
coniugi. L’art. 177 prevede che “costituiscono oggetto della comunione: d) le aziende
gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio”. Mentre per le “aziende
appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la
comunione concerne solo gli utili e gli incrementi”.
Quindi la norma prevede due ipotesi: aziende che rientrano nella comunione legale e che
sono gestite da entrambi, e aziende che sono gestite in comune, ma appartengono ad uno
solo dei due.
4.10 La tipicità
L’art. 2249, intitolato “Tipi di società”, dispone: “le società che hanno per oggetto l'esercizio
di una attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e
seguenti di questo titolo. Le società che hanno per oggetto l'esercizio di una attività
diversa sono regolate dalle disposizioni sulla società semplice a meno che i soci abbiano
voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei capi III e seguenti di
questo titolo. Sono salve le disposizioni riguardanti le società cooperative e quelle delle
leggi speciali che per l'esercizio di particolari categorie di imprese prescrivono la
costituzione della società secondo un determinato tipo”.
La norma pone il problema relativo al significato che si deve riconoscere alla nozione di
“tipo” di società e alla possibilità di costituire società non appartenenti ad un determinato
tipo. L’opinione prevalente è quella che considera obbligatoria per gli operatori la scelta di
un tipo specifico per la costituzione della società. In materia societaria non si applica il
principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322. La disciplina del tipo di società
riguarda essenzialmente i rapporti della società con i terzi. Nell’autonomia contrattuale gli
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interessi coinvolti sono solo quelli delle parti; viceversa la disciplina societaria riguarda si
le parti, ma anche si proietta all’esterno nei rapporti con i terzi, che devono poter contare
su determinate garanzie in ragione del tipo societario scelto.
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Es: supponiamo una società i cui soci conferiscano 1000€, che vengono impiegati
nell’acquisto di materie prime. La società ottiene inoltre un finanziamento bancario di
300€, con cui paga i dipendenti. Alla fine dell’esercizio ha trasformato tutta la materia
prima e vendendola ha ottenuto 1300€. Il bilancio della società avrà un’unica voce in attivo
pari a 1300€. Se al passivo non figurasse il capitale sociale, ma solo il finanziamento di
300€, il bilancio metterebbe in evidenza utili pari a 1000€, che i soci potrebbero distribuirsi.
Ciò condurrebbe a questi risultati: la garanzia per la banca che ha concesso il
finanziamento sarebbe gravemente ridotta; la società di troverebbe a iniziare il nuovo ciclo
produttivo con meno di un quarto delle risorse che aveva in precedenza (300€ contro i
precedenti 1300€). La presenza al passivo del capitale sociale di 1000€, produce
l’equivalenza tra attivo e passivo, l’assenza di utili distribuibili e la conservazione di tutte le
risorse con le quali la società aveva iniziato la sua attività.
Mentre è certo che la disciplina del capitale sociale svolge questa funzione conservativa, è
discusso se la conservazione delle risorse originariamente investite tenda ad assicurare ai
creditori una garanzia supplementare oppure tenda ad assicurare la permanenza nel
patrimonio sociale degli strumenti necessari all’esercizio dell’attività.
Da queste diverse concezioni del capitale sociale derivano una serie di questioni tra loro
strettamente connesse: quali beni possono essere conferiti in società? Quali beni possono
figurare all’attivo?
Come vedremo esiste una differenza di disciplina tra le società di persone e le società di
capitali: beni conferibili nelle prime non sono conferibili (o sono conferibili solo se
accompagnati da specifiche garanzie) nelle seconde. Diversa è anche l’autonomia che
spetta ai soci nei diversi tipi di società. Esigenze di tutela dei creditori impongono in certi
tipi sociali vincoli molto più rigidi che in altri. Nel complesso sembra tuttavia che il capitale
sociale svolge un ruolo marginale: non esistendo un minimo imposto dalla legge è ben
difficile che i creditori e i terzi possano far affidamento sulla sua conservazione.
5.8 La società di fatto
Come tutti i contratti, anche quello di società può essere concluso non solo per mezzo di
dichiarazione espressa, ma anche tacitamente, con il compimento di atti significativi della
volontà di concludere il contratto. Questa possibilità è priva di rilievo nelle società di
capitali, il cui atto costitutivo è soggetto a requisiti di forma e che vengono ad esistenza
solo con la registrazione.
È invece molto importante nelle società di persone, e nelle società in nome collettivo:
accade spesso che più persone svolgano attività in comune senza aver preso un
preventivo accordo, espresso in formali dichiarazioni. In queste ipotesi esiste una società
(c.d. società di fatto) in tutti i casi in cui dal comportamento tenuto dai presenti soci risulti
che essi vollero gli elementi essenziali del contratto di società. Questi elementi essenziali
sono: formazione con i conferimenti dei soci di un fondo comune (nelle società di persone
il socio può conferire solo la sua attività); partecipazione dei soci ai guadagni e alle
perdite; l’intenzione dei contraenti di costituire un vincolo di collaborazione allo scopo di
conseguire un interesse comune nell’esercizio collettivo di attività imprenditoriale.
Date tali premesse, la prova dell’esistenza di una società risulta molto problematica per i
terzi che non hanno partecipato alla sua (tacita) stipulazione.
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Il contenuto dell’onere probatorio che deve essere assolto per provare l’esistenza di una
società di fatto è differenziato: nei rapporti interni, ovvero nelle controversie in cui un
soggetto accampa nei confronti di un altro pretese invocando un rapporto sociale tra loro
esistente la prova deve essere completa e deve anche riguardare la sussistenza
dell’affectio societatis. Nei rapporti esterni, ovvero nelle controversie in cui un terzo
accampa pretese nei confronti di altri soggetti tra i quali sostiene intercorrere un rapporto
sociale è sufficiente una prova meno intensa: basta provare che i soggetti tra i quali si
vuole l’affermazione di un rapporto sociale si sono comportati come se fossero soci. È
l’ipotesi della c.d. società apparente.
5.9 La società apparente
La società apparente è una creazione giurisprudenziale. Quando due o più persone di
comportano come se fossero soci (es. i fornitori trattano indifferentemente con l’uno o con
l’atro; i dipendenti ricevono ordini dall’uno o dall’altro) il terzo non è gravato dall’onere
diabolico della prova dell’affectio societatis. La società, nei rapporti esterni, si considera
esistente e non è possibile la prova contraria.
5.10 La partecipazione di società di capitali a società di persone
La giurisprudenza era nettamente orientata nel senso di negare la possibilità che una
società di capitali partecipi ad una società di persone in veste di socio illimitatamente
responsabile. Attualmente l’art. 2361 prevede invece che “l'assunzione di partecipazioni in
altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime
deve essere deliberata dall'assemblea”, legittimando così la partecipazione di SPA a
società di persone. Tale previsione è contemplata anche dall’art. 147 Legge Fall.,
prevedendo il fallimento dei soci “pur se non persone fisiche” illimitatamente responsabili.
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Altra questione è quella relativa alle modalità con cui devono essere prese le decisioni dei
soci. L’alternativa è tra l’obbligatorietà o meno del metodo collegiale.
6.6 L’attribuzione del potere di amministrazione
Amministratori della società sono i soggetti investiti del potere di amministrazione, cioè del
potere di prendere le decisioni inerenti l’esercizio dell’attività economica oggetto del
contratto di società. L’attività di amministrazione deve essere distinta dalla
rappresentanza, che è il potere di manifestare all’esterno la volontà sociale e quindi di
compiere atti che creano rapporti giuridici tra la società e i terzi. I due poteri possono
essere concentrati nello stesso soggetto; può accadere che il potere di decisione spetti al
alcuni soggetti e il potere di agire per conto della società ad altri.
L’art. 2257 prevede che “Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a
ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri”. Da ciò si ricava che il potere di
amministrazione, nelle società di persone, è naturalmente connesso alla qualità di socio. Il
socio può essere privato di tale potere solo con l’introduzione di una clausola derogatoria,
e quindi con il suo consenso. In assenza di un esplicito conferimento dell’amministrazione
ad alcuni soci soltanto, con implicita rinuncia da parte degli altri, tutti i soci sono investiti
del potere di amministrare.
La dottrina legge in questa disciplina delle società di persone la volontà di istituire un
legame indissolubile tra il potere di gestione e la responsabilità personale illimitata per i
debiti societari, garantendo un equilibrato esercizio del potere stesso. Questa premessa si
pone come presupposto per l’inammissibilità nelle società di persone di amministratori non
soci.
6.7 Il preteso legame tra potere e responsabilità
Le norme in materia di responsabilità illimitata proteggono certamente un interesse poco
disponibile da parte dei soci: quello dei creditori sociali. La protezione di questo interesse
è assicurata nelle società di persone dalla necessaria e inderogabile presenza di un
soggetto personalmente responsabile per i debiti della società. Quanto questa presenza è
assicurata, e l’interesse del creditore gode di protezione, i soci sono liberi di disciplinare
come meglio credono la c.d. responsabilità interna ed i legame tra potere e
responsabilità. Essi possono stabilire che l’amministrazione sia affidata a uno di loro,
responsabile verso i creditori, ma non responsabile nei rapporti interni.
6.8 L’esercizio del potere di amministrazione
L’esercizio in forma disgiunta del potere di amministrazione, consentendo a ciascun
amministratore di prendere tutte le decisioni da lui ritenute opportune senza necessità di
consultazione degli altri, assicura al processo decisionale snellezza e rapidità. Crea però
evidenti problemi di coordinamento delle decisioni.
L’art. 2257, risolve questo problema: “Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della
società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri. Se l'amministrazione spetta
disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all'operazione
che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta. La maggioranza dei soci,
determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull'opposizione”.
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utili. Può agire solo su beni già usciti dal patrimonio sociale, oppure su un’aspettativa
relativa a beni che usciranno dal patrimonio sociale (quota liquidazione).
“Se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, il creditore
particolare del socio può inoltre chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo
debitore. La quota deve essere liquidata entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia
deliberato lo scioglimento della società”: questa è l’incidenza massima consentita al
creditore particolare del socio (previsioni analoghe non sono dettate né nelle società di
capitali, né nelle altre società di persone).
L’art. 2271 prevede infine che “non è ammessa compensazione fra il debito che un terzo
ha verso la società e il credito che egli ha verso un socio”.
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dell’eredità comporta l’accettazione della qualità di socio, chi accetta diventa responsabile
di tutte le obbligazioni preesistenti in forza di tale acquisita qualità.
7.4 Il recesso
Provoca lo scioglimento del vincolo per volontà unilaterale del socio. È ammesso dall’art.
2285, senza limiti, quando la società è contratta a tempo indeterminato o per tutta la
durata della vita di un socio. Altrimenti deve ricorrere uno dei casi eventualmente previsti
dal contratto sociale oppure deve sussistere una giusta causa. Nei primi due casi il socio
può recedere in qualsiasi momento: egli è tenuto solo a dare un preavviso di tre mesi.
La manifestazione della volontà di recedere non è soggetta a particolari forme e può
avvenire anche tacitamente mediante il compimento di fatti concludenti: destinatari della
comunicazione sono tutti i soci.
La giusta causa che consente il recesso senza preavviso in caso di società a tempo
determinato, si identifica con eventi che non consentono la normale prosecuzione del
rapporto e non implica necessariamente inadempimenti da parte dei soci o eventi che
determinano l’impossibilità della continuazione. La fattispecie più discussa è il dissidio
insanabile tra i soci.
L’atto costitutivo può disciplinare il diritto di recesso prevenendo altre cause o specificando
la nozione di giusta causa. Meno chiari sono i limiti entro i quali il diritto di recesso può
essere limitato: di sicuro non può essere eliminata la facoltà di recedere da società a
tempo indeterminato; un obbligo può essere quello di dare ampio preavviso.
7.5 L’esclusione
L’esclusione del socio può avvenire per volontà degli altri soci o come conseguenza,
imposta dalla legge, per il verificarsi di alcuni eventi.
L’esclusione di “diritto” si ha quando il socio è dichiarato fallito o quando il creditore
particolare del socio ottiene la liquidazione della quota del suo debitore.
L’esclusione facoltativa può aver luogo “per gravi inadempienze delle obbligazioni che
derivano dalla legge o dal contratto sociale, nonché per l'interdizione, l'inabilitazione del
socio o per la sua condanna ad una pena che importa l'interdizione anche temporanea,
dai pubblici uffici” (2286).
L’art. 2287 regola il procedimento di esclusione: “è deliberata dalla maggioranza dei soci,
non computandosi nel numero di questi il socio da escludere, ed ha effetto decorsi trenta
giorni dalla data della comunicazione al socio escluso. Entro questo termine il socio
escluso può fare opposizione davanti al Tribunale, il quale può sospendere l'esecuzione”.
Se la società si compone di due soci, l'esclusione di uno di essi è pronunciata dal
Tribunale, su domanda dell'altro: mentre normalmente l’esclusione deliberata dalla
maggioranza ha effetto immediato, nel caso di società di due soci è il Tribunale che deve
decidere e questa avrà effetto solo quando la sentenza sarà definitiva.
La maggioranza prevista dall’art. 2287 è per teste e non per quote.
7.6 La liquidazione della quota del socio uscente
In base all’art. 2289: “Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio,
questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il
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valore della quota. La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale
della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento”.
La regola persegue il fine di impedire lo smembramento del patrimonio sociale.
Il calcolo della quota di liquidazione richiede la redazione di una situazione patrimoniale ad
hoc nel cui attivo rientra anche l’avviamento. Inoltre “se vi sono operazioni in corso, il socio
o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime”.
Il pagamento delle quote deve avvenire entro sei mesi dal giorno in cui si è verificato lo
scioglimento del rapporto.
Problemi può suscitare l’ipotesi in cui il valore della quota di liquidazione sia negativo: il
socio avrebbe perso l’intero conferimento ed avrebbe inoltre maturato un debito
corrispondente alla quota di perdite.
7.7 Scioglimento ed estinzione della società
Bisogna opportunamente distinguere lo scioglimento della società dalla sua estinzione. Lo
scioglimento della società apre la fase della c.d. liquidazione. Quando si verificano le
cause di scioglimento si producono alcune conseguenze di rilievo:
- Gli amministratori conservano il potere di amministrare, ma solo gli affari urgenti;
- La società si trova in uno stato di congelamento, non si persegue più l’esercizio di
un’attività economica per dividerne gli utili, ma lo scopo di liquidare i beni per soddisfare in
primo luogo i creditori, e nell’ipotesi di avanzo, i soci.
Liquidazione significa trasformazione dei beni sociali in denaro.
L’estinzione della società, cioè la sua cessazione come soggetto di diritto, si verifica alla
fine della liquidazione. Secondo l’art. 2312: “Approvato il bilancio finale di liquidazione, i
liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Dalla
cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far
valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei
liquidatori, anche nei confronti di questi”.
7.8 Le cause di scioglimento
Tra le cause che determinano l’apertura del procedimento di liquidazione e di
conseguenza la fine dell’attività normale della società, ve ne sono alcune che riguardano
tutte le società di persone, mentre altre riguardano singoli tipi.
Le cause generali sono previste dall’art. 2272:“La società si scioglie: 1) per il decorso del
termine; 2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di
conseguirlo; 3) per la volontà di tutti i soci; 4) quando viene a mancare la pluralità dei soci,
se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita; 5) per le altre cause previste dal
contratto sociale”.
In merito al decorso del termine, si può aggiungere che si ammette una proroga tacita.
Il conseguimento dell’oggetto sociale in realtà è ipotizzabile solo quando l’oggetto è
un’attività che si esaurisce in sé (es. costruzione di una singola diga).
La sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, può essere un’impossibilità
giuridica: es. nazionalizzazione ENEL. Può riguardare un’impossibilità di fatto, ad esempio
l’insanabile dissidio tra i soci.
Lo scioglimento per volontà di tutti soci non necessita approfondimenti.
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Altra ipotesi è quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi
questa non è ricostituita.
Nelle società in nome collettivo (SNC), fermo restando le cause generali di scioglimento, vi
è un’altra ipotesi che dipende dal fatto che la SNC esercita normalmente un’attività di
impresa commerciale. L’art. 2308 prevede che “La società si scioglie, oltre che per le
cause indicate dall'articolo 2272, per provvedimento dell'autorità governativa nei casi
stabiliti dalla legge, e, salvo che abbia per oggetto un'attività non commerciale, per la
dichiarazione di fallimento”.
Il fallimento delle SNC e, più in generale di tutte le società c.d. commerciali, si ha soltanto
se esercitano un’impresa commerciale.
Per le Società in Accomandita Semplice (SAS) vi è un’altra ipotesi di scioglimento prevista
all’art. 2323: “La società si scioglie, oltre che per le cause previste nell'articolo 2308 [rif.
2272], quando rimangono soltanto soci accomandanti o soci accomandatari, sempreché
nel termine di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno”.
7.9 Lo stato di liquidazione
Le cause di scioglimento operano di diritto, cioè dal momento in cui si verificano, e non dal
momento in cui la loro esistenza è formalmente accertata. Con il verificarsi di una causa di
scioglimento la società è automaticamente in stato di liquidazione.
I liquidatori dovranno astenersi dal compimento di nuove operazioni, pena l’assunzione di
responsabilità personale e solidale per gli affari intrapresi.
7.10 Il procedimento di liquidazione
L’art. 2275 dispone che “Se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio
sociale e i soci non sono d'accordo nel determinarlo, la liquidazione è fatta da uno o più
liquidatori, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente
del Tribunale”.
Dalla norma emerge la derogabilità del procedimento di liquidazione previsto dalla legge:
esso avrà luogo solo se il contratto sociale non dispone diversamente. I limiti entro cui i
liquidatori possono discostarsi dal modello legale sono tuttavia discussi: l’art. 2279 e l’art.
2280 rimangono inderogabili (I liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure
parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori della società o non siano
accantonate le somme necessarie per pagarli).
I liquidatori sono nominati dai soci all’unanimità o dal Presidente del Tribunale (I liquidatori
possono essere revocati per volontà di tutti i soci e in ogni caso dal Tribunale per giusta
causa su domanda di uno o più soci): non debbono essere necessariamente soci, in tal
caso i loro doveri e obblighi sono regolati dalle norme relative agli amministratori.
La nomina del liquidatore deve essere iscritta nel registro delle imprese con il deposito
delle firme autografe.
I liquidatori ricevono in consegna i beni e i documenti sociali e redigono, insieme agli
amministratori, un inventario dal quale risulti l’attivo e il passivo del patrimonio sociale.
Provvedono alla conversione in denaro del patrimonio sociale, almeno per la parte
necessaria al pagamento dei creditori. A tal fine possono compiere tutti gli atti necessari
“per la liquidazione e, se i soci non hanno disposto diversamente, possono vendere anche
in blocco i beni sociali e fare transazioni e compromessi”. “Se i fondi disponibili risultano
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insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci i
versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote e, se occorre, le somme necessarie, nei
limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite.
Nella stessa proporzione si ripartisce tra i soci il debito del socio insolvente”.
L’attivo residuo, dopo l’estinzione dei debiti sociali, è destinato al rimborso dei
conferimenti; mentre l’eventuale eccedenza è ripartita tra i soci in proporzione.
L’art. 2311 relativo alle SNC, prevede che i liquidatori devono redigere, al termine delle
operazioni, un bilancio finale ed un piano di riparto, che devono essere comunicati ai soci
e si intendono approvati se non sono impugnati entro due mesi dalla comunicazione.
Con l’approvazione del bilancio i liquidatori sono liberati di fronte ai soci.
L’art. 2312 dispone, per le SNC, che “Approvato il bilancio finale di liquidazione, i
liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Dalla
cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far
valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei
liquidatori, anche nei confronti di questi. Le scritture contabili ed i documenti che non
spettano ai singoli soci sono depositati presso la persona designata dalla maggioranza. Le
scritture contabili e i documenti devono essere conservati per dieci anni a decorrere dalla
cancellazione della società dal registro delle imprese”.
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L’art. 2311 prevede che “Compiuta la liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio
finale e proporre ai soci il piano di riparto. Il bilancio, sottoscritto dai liquidatori, e il piano di
riparto devono essere comunicati mediante raccomandata ai soci, e s'intendono approvati
se non sono stati impugnati nel termine di due mesi dalla comunicazione. In caso di
impugnazione del bilancio e del piano di riparto, il liquidatore può chiedere che le questioni
relative alla liquidazione siano esaminate separatamente da quelle relative alla divisione,
alle quali il liquidatore può restare estraneo. Con l'approvazione del bilancio i liquidatori
sono liberati di fronte ai soci”.
L’art. 2312 prevede che “Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono
chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Dalla cancellazione della
società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei
confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei
confronti di questi. Le scritture contabili ed i documenti che non spettano ai singoli soci
sono depositati presso la persona designata dalla maggioranza. Le scritture contabili e i
documenti devono essere conservati per dieci anni a decorrere dalla cancellazione della
società dal registro delle imprese”.
8.6 Le altre differenze rispetto alla disciplina delle società semplici
A) L’art. 2294 prevede che la partecipazione di un incapace alla SNC è subordinata in ogni
caso all’osservanza della disciplina relativa all’esercizio da parte di incapaci (artt. 371,
397, 424 e 425). In generale l’incapace non può partecipare alla costituzione di una SNC,
così come non può iniziare un’attività d’impresa individuale.
B) La presenza di un sistema di pubblicità legale destinata ad incidere sulla disciplina
dell’opponibilità ai terzi dei limiti posti ai poteri dei rappresentanti. L’art. 2298 dispone che
“L'amministratore che ha la rappresentanza della società può compiere tutti gli atti che
rientrano nell'oggetto sociale, salve le limitazioni che risultano dall'atto costitutivo o dalla
procura. Le limitazioni non sono opponibili ai terzi, se non sono iscritte nel registro delle
imprese o se non si prova che i terzi ne hanno avuto conoscenza”.
C) L’art. 2301 prevede che “Il socio non può, senza il consenso degli altri soci, esercitare
per conto proprio o altrui un'attività concorrente con quella della società, né partecipare
come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente. Il consenso si
presume, se l'esercizio dell'attività o la partecipazione ad altra società preesisteva al
contratto sociale, e gli altri soci ne erano a conoscenza. In caso di inosservanza delle
disposizioni del primo comma la società ha diritto al risarcimento del danno, salva
l'applicazione dell'articolo 2286”.
D) L’art. 2302 impone agli amministratori di tenere i libri e le altre scritture contabili
prescritte (libro giornale, libro inventario e fascicolo della corrispondenza).
8.7 La società in nome collettivo irregolare
L’art. 2297 stabilisce che “Fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese
i rapporti tra la società e i terzi ferma restando la responsabilità illimitata e solidale di tutti i
soci, sono regolati dalle disposizioni relative alla società semplice”.
Nei rapporti tra i soci non vi è differenza fra la disciplina applicabile alla società regolare e
quella applicabile alla società irregolare (non iscritta).
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Nei rapporti con i terzi le discipline differiscono. Ne deriva ad es. che i creditori sociali
potranno escutere direttamente i patrimoni dei soci ed a costoro spetterà la facoltà di
indirizzare i creditori verso i beni sociali di agevole apprensione.
La regola dell’applicazione della disciplina delle SS alle SNC non iscritte subisce due
eccezioni: la prima è che anche per la SNC irregolare nessun socio può limitare, con
effetto nei confronti dei terzi, la sua responsabilità per i debiti sociali. La seconda riguarda
la rappresentanza: in forza del comma 2 art. 2297, “si presume che ciascun socio che
agisce per la società abbia la rappresentanza sociale, anche in giudizio. I patti che
attribuiscono la rappresentanza ad alcuno soltanto dei soci o che limitano i poteri di
rappresentanza non sono opponibili ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a
conoscenza”.
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Qui il conflitto è tra soci di minoranza e gruppo di controllo, visto non più nel suo ruolo di
socio di maggioranza, ma in quello di gestore del patrimonio e dell’attività sociale.
Questo conflitto si manifesta principalmente su due terreni. Il primo è quello relativo ai
criteri generali cui la gestione deve ispirarsi: in particolare legato alle diverse preferenze
dei soci-investitori rispetto ai gestori circa le sorti della società.
Il secondo terreno di conflitto attiene la possibilità che i gestori (e il gruppo di controllo che
li ha nominati) realizzino operazioni dalle quali traggono un guadagno esclusivo, non
soggetto a ripartizione con gli altri azionisti.
11.4 I conflitti tra i soci e il funzionamento del mercato
La disciplina del funzionamento del mercato su cui le azioni sono scambiate pone una
serie di specifici problemi di protezione dei soci, visto il loro ruolo di risparmiatori disposti
all’investimento.
Rilevante è anche il problema di vedere se la presenza di un mercato efficiente, nel quale
le azioni possono essere agevolmente scambiate, induca rilevanti modificazioni nei
rapporti interni tra i soci e tra questi ed i gestori della società.
Ad esempio, in un sistema in cui le imprese possono disporre di credito a basso costo ed
in cui le maggioranze delle azioni delle SPA sono saldamente possedute da singoli
individui o da gruppi compatti, le scelte del singolo socio di minoranza lasceranno il gruppo
di controllo pressoché indifferente.
Invece, in un sistema in cui le imprese hanno bisogno di capitali ingenti, le banche
erogano finanziamenti solo a costi elevati ed in cui le maggioranze nelle società sono
instabili, i gestori e i gruppi di controllo devono prestare molta attenzione al
comportamento degli azionisti di minoranza. Se molti azionisti di minoranza, scontenti
delle politiche del gruppo di controllo, decidono di abbandonarla in massa, i motivi di
preoccupazione sono rilevanti. Se poi il gruppo di controllo non possiede il 51% la
diminuzione del prezzo delle azioni e la fuga dei piccoli azionisti, renderanno più agevoli le
scalate con la conseguente perdita del controllo della SPA. Per questi motivi, i dirigenti
delle SPA non possono ignorare i riflessi che le loro scelte avranno sul mercato dei titoli.
Correlativamente i soci risparmiatori godranno di una serie di possibilità: potranno
approfittare di eventuali scalate ostili, segnalare la loro insoddisfazione vendendo i titoli,
imporre congrue politiche dei dividendi.
11.5 Il conflitto tra soci e creditori sociali
La presenza della responsabilità limitata sposta alcuni rischi dai soci ai creditori.
Quest’ultimi in caso di insolvenza del patrimonio conferito in società, dovranno sopportare
una perdita definitiva del loro credito. Sotto questo profilo la posizione del creditore e
quella dei socio non divergono per aspetti rilevanti: entrambi corrono un rischio limitato e
la sola differenza è che il creditore deve essere soddisfatto prima del socio. Quest’ultimo
può pretendere la restituzione dei suo apporto solo dopo che siano stati soddisfatti tutti i
creditori.
Sotto altri profili la situazione tra socio e creditore diverge profondamente. Il socio, in
quanto tale, ha la possibilità di concorrere all’assunzione di decisioni in ordine alla
gestione del patrimonio. Il creditore, in quanto tale, non ha questa possibilità.
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Per procedere alla costituzione di una società, oltre all’atto costitutivo, è necessario ai
sensi dell’art. 2329:
“1) che sia sottoscritto per intero il capitale sociale;
2) che siano rispettate le previsioni degli articoli 2342, 2343 e 2343-ter relative ai
conferimenti;
3) che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la
costituzione della società, in relazione al suo particolare oggetto”.
12.2 L’oggetto sociale
Il c.d. oggetto sociale è costituito dall’attività che la società si propone di svolgere. La
mancanza di ogni indicazione relativa all’oggetto sociale o l’indicazione di un oggetto
illecito determina la nullità della società (art. 2332). Oggetto di una SPA può essere sia
un’attività commerciale sia un’attività agricola.
L’oggetto sociale è preso in considerazione anche in altre parti della disciplina delle SPA:
- art. 2361: L'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista
genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della
partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo
statuto”.
- art. 2437: “Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non
hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: a) la modifica della clausola dell'oggetto
sociale, quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società”;
Dal punto di vista dei rapporti interni (tra soci e tra soci e amministratori) il compimento di
un atto estraneo all’oggetto sociale costituisce un’irregolarità (fonte di invalidità della
delibera assembleare che l’avesse autorizzato o di responsabilità per gli amministratori
che l’avessero compiuto). Dal punto di vista dei rapporti esterni (società-terzi) l’oggetto
sociale è stato assimilato agli altri eventuali limiti al potere degli amministratori. Esso
risulta assoggettato al regime di tendenziale inopponibilità ai terzi per tutte le limitazioni al
generale potere di rappresentanza degli amministratori.
12.3 I patti parasociali
Tra i soci possono intervenire accordi non inseriti nell’atto costitutivo, e però ad esso
collegati, essendo destinati ad incidere sulla concreta organizzazione societaria. I fatti che
determinano la stipulazione di tali patti sono molteplici: l’intenzione di vincolare solo una
parte dei soci, per es. gli azionisti di maggioranza dal desiderio di segretezza).
Caratteristica dei patti parasociali è la loro efficacia puramente obbligatoria, che
coinvolge il socio come singolo e non coinvolge, giuridicamente, sul funzionamento della
società. I soci inadempienti potranno essere tenuti al risarcimento del danno
eventualmente provocato dal loro inadempimento. La disciplina della validità dei patti
parasociali non incide sulla loro efficacia nei confronti della società e di soggetti diversi dai
contraenti, ma solo sulla loro idoneità a creare un vincolo per coloro che li hanno stipulati.
I patti parasociali sono oggetto di una disciplina differenziata in base al fatto che la società
sia quotata sia una di quelle che ricorrono al mercato dei capitale dei rischio, o non
appartengano né all’una né all’altra categoria (società chiuse).
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I patti inerenti le società non quotate sono regolati dall’art. 2341-bis in quale dispone: “I
patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il
governo della società: a) hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per
azioni o nelle società che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative
azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; c) hanno per oggetto o per
effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società, non possono
avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se
le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza. Qualora
il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un
preavviso di centottanta giorni”.
Per patti stipulati con altre finalità valgono le regole generali: essi saranno ammissibili,
come ogni contratto atipico, previa verifica della meritevolezza dell’interesse che sono
diretti a realizzare, e non saranno assoggettati a specifici limiti di durata.
Altra eccezione riguarda la durata di “patti strumentali ad accordi di collaborazione nella
produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai
partecipanti all'accordo”.
Questa disciplina si applica anche ai patti inerenti a società che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio.
I patti parasociali relativi a società quotate sono disciplinati dal TUF (Testo Unico della
Finanza artt. 122 e 123): si tratta di una disciplina autosufficiente che non si integra con
quella codicistica.
L’art. 122 TUF è espressamente prevista la categoria dei patti che istituiscono obblighi di
preventiva consultazione sull’esercizio del voto. In sintesi la principale differenza è
costituita dall’indicazione, presente nel codice e assente nel TUF, del fine che i patti
devono perseguire per poter essere considerati parasociali.
Relativamente alla disciplina, la differenza principale deriva dal fatto che i patti afferenti a
società quotate sono soggetti ad un obbligo di pubblicazione, di deposito presso il registro
delle imprese e di comunicazione alla Consob, la cui violazione comporta la nullità del
patto. È prevista la possibilità di recedere dal patto senza preavviso per gli azionisti che
intendano aderire ad un’offerta pubblica di acquisto o di scambio.
Fatta salva la necessità di adempiere agli obblighi fissati i patti parasociali sono in linea di
massima validi. Problemi sorgono quando il patto miri a realizzare obiettivi incompatibili
con la disciplina delle società.
12.4 Controllo da parte del notaio rogante. Deposito dell’atto costitutivo e iscrizione
nel registro delle imprese
L’atto costitutivo, assieme ai documenti comprovanti l’avvenuto versamento dei decimi in
denaro, nonché le eventuali autorizzazioni governative e la relazione giurata di stima dei
conferimenti di beni in natura o di crediti, deve essere depositato entro 20 giorni dalla sua
stipulazione presso l’ufficio del registro delle imprese, nella cui circoscrizione è stabilita la
sede sociale.
L’art. 2330 prevede che sia il notaio rogante, contestualmente a predetto deposito, a
richiedere l’iscrizione della società nel registro, cui l’Ufficio provvede dopo aver eseguito
un controllo sulla documentazione.
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Con l’iscrizione la società acquista personalità giuridica. Per quanto riguarda gli effetti
della mancata iscrizione l’art. 2331 prevede che: “Per le operazioni compiute in nome della
società prima dell'iscrizione sono illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi
coloro che hanno agito. Sono altresì solidalmente e illimitatamente responsabili il socio
unico fondatore e quelli tra i soci che nell'atto costitutivo o con atto separato hanno deciso,
autorizzato o consentito il compimento dell'operazione”. Gli atti compiuti potranno poi
essere ratificati dalla società iscritta, che acquisterà i diritti e gli obblighi relativi.
12.5 La nullità della società
L’art. 2332, contiene un’ampia serie di deroghe alla disciplina generale della nullità. Esso
si applica solo dopo l’avvenuta iscrizione della società e comporta:
a) Una restrizione dei possibili vizi, tassativamente elencati;
b) Una disciplina degli effetti della dichiarazione di nullità tale per cui la società entra in
fase di liquidazione (la causa di nullità opera come causa di scioglimento);
c) La possibilità che la causa di nullità venga eliminata sanando il vizio.
La dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in suo nome dopo
l’iscrizione nel registro delle imprese.
“Avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere
pronunciata soltanto nei seguenti casi:
1) mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico;
2) illiceità dell'oggetto sociale;
3) mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della
società, o i conferimenti, o l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale.
La dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società
dopo l'iscrizione nel registro delle imprese” (art. 2332).
La nullità opera come causa di scioglimento: ne deriva che “I soci non sono liberati
dall'obbligo di conferimento fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali” e che
occorre nominare i liquidatori. Infine “La nullità non può essere dichiarata quando la causa
di essa è stata eliminata e di tale eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel
registro delle imprese”.
L’art. 2332 tutela due interessi. Il primo è quello del gruppo di controllo, tutelato
dall’indicazione tassativa di un ristretto numero di possibili cause di nullità e, soprattutto,
dalla possibilità di deliberare a maggioranza una modifica dell’atto costitutivo che ne eviti
la nullità. L’altro interesse è quello dei terzi, che possono comunque fare affidamento
sull’efficacia degli atti stipulati con la società e sulla garanzia offerta dal capitale sociale
statutario.
12.6 I conferimenti
I conferimenti possono essere distinti in base al loro oggetto (denaro, natura, crediti). L’art.
2342, dispone che “Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento
deve farsi in danaro”. Nell’ambito della società di persone possono essere conferiti beni o
servizi di qualsiasi natura e non esistono particolari vincoli alla loro valutazione. Nella
società di capitali, invece, sono posti dei limiti ai possibili oggetti dei conferimenti ed ai
valori loro attribuiti (ciò a tutela dei creditori sociali). È comunque certa la non conferibilità
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di prestazioni d’opera o di servizi. I crediti devono essere sottoposti alla stessa procedura
di valutazione cui sono sottoposti i conferimenti di beni in natura.
12.7 La disciplina dei conferimenti in natura: gli interessi tutelati
Il pericolo preso in considerazione dal legislatore è quello della sopravvalutazione dei beni
oggetto di conferimento in natura, cioè che i soci attribuiscano a tali beni un valore
superiore a quello che realmente possiedono.
Se uno dei soci si impegna ad effettuare conferimenti in natura è verosimile che la sua
posizione contrattuale sia quella prevalente. Si può supporre che costui disponga di una
forza economica superiore a quella degli altri soci: o il bene in natura è essenziale per la
società e quindi la sua forza economica è conseguenza dell’infungibilità della sua
prestazione; oppure il bene promesso è in realtà di scarso valore per la società e il fatto di
farlo accettare ai soci rappresenta un indizio significativo della sua forza.
Gli interessi che possono essere pregiudicati dalla sopravvalutazione sono prima di tutto
quelli dei creditori sociali. I conferimenti in natura, come quelli in denaro, concorrono a
formare il capitale sociale e il bene così acquisito verrà inscritto in bilancio per il valore di
stima. Se tale valore è superiore a quello reale il creditore sociale, che fa affidamento sul
capitale sociale, quando si rendesse necessaria un’esecuzione sui beni potrebbe subire
una delusione. La tutela dell’interesse dei creditori richiede una disciplina che eviti la
formazione di una garanzia illusoria.
Quanto all’interesse dei soci che conferiscono denaro, bisogna fare alcune distinzioni. Essi
hanno un interesse che coincide con quello dei creditori sociali. Questo interesse è
particolarmente vulnerabile quando il conferimento in natura avviene in occasione di un
aumento di capitale. Quando avviene al momento della costituzione della società, e quindi
non in seguito ad una decisione della maggioranza, il pericolo di una sopravalutazione dei
beni in natura si attenua, in quanto oggetto di trattative.
Dopo la riforma del 2003 è espressamente consentito che un socio riceva più azioni di
quelle che gli spetterebbero in base al valore del bene da lui conferito a condizione che
qualcuno degli altri soci ne ricevano meno. In sostanza i soci possono pattuire che un
certo bene (es. un brevetto) abbia un certo valore nei rapporti tra loro, e un altro valore ai
fini della formazione del capitale sociale.
12.8 Segue – il procedimento di valutazione e la revisione della stima
Dal 2008 esistono due discipline differenti, una relativa ai conferimenti di beni in natura e
crediti oggetto di relazione giurata di stima (art. 2343), l’altra relativa al conferimento di
beni in natura e crediti senza relazione giurata di stima (art. 2343-ter e quater).
In sostanza la stima giurata non è più imprescindibile.
Art. 2343: “Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un
esperto designato dal Tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente la
descrizione dei beni o dei crediti conferiti, l'attestazione che il loro valore è almeno pari a
quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale
soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti. La relazione deve essere allegata all'atto
costitutivo”. Vengono previste particolari garanzie: un esperto, nominato dal Tribunale e la
relazione deve essere giurata.
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Il punto delicato è quello relativo alla valutazione dei beni oggetto di conferimento in
natura. Se il bene ha una valutazione di mercato la valutazione può essere abbastanza
semplice; ma se il bene è un’azienda, i criteri di valutazione sono diversi (misti,
patrimoniali, reddituali).
Al perito, rispetto alla precedente normativa, non si richiede più di dichiarare il valore
attribuito ai singoli beni, ma solo di attestare che il valore del bene è almeno pari a quello
loro attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale. La seconda novità, è che il
perito non deve accertare la corrispondenza tra il valore dei beni e il valore delle azioni
emesse a fronte del conferimento. Ciò che resta inderogabile è solo la corrispondenza tra
il valore complessivo dei conferimenti e il valore complessivo delle azioni emesse. Quindi
se il capitale è 100, niente impedisce ai soci di stabilire che chi conferisce 30 avrà azioni
del valore nominale pari a 60, alla sola condizione che chi conferisce gli altri 60 si
accontenti di avere azioni solo per 40.
“Nel termine di centottanta giorni dalla iscrizione della società, controllare le valutazioni
contenute nella relazione indicata nel primo comma e, se sussistano fondati motivi,
devono procedere alla revisione della stima. Obbligatorio è quindi l’esame della stima,
mentre al rinnovo della valutazione si dovrà procedere solo in presenza di fondati motivi.
Fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni corrispondenti ai
conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società”.
“Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello
per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre il capitale
sociale, annullando le azioni che risultano scoperte. Tuttavia il socio conferente può
versare la differenza in danaro o recedere dalla società”.
Per i conferimenti di crediti e di beni in natura è dettata un’altra regola particolare: “Per i
conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e
2255. Le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al
momento della sottoscrizione”.
Per evitare facili elusioni “L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o
superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei
soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle
imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria”.
12.9 I conferimenti in natura senza relazione giurata di stima
La disciplina di cui sopra impone obblighi stringenti ed è piuttosto garantista nei confronti
dei creditori sociali e dell’interesse dei soci che conferiscono beni in denaro. Tutto ciò ha
però dei costi, legati al rispetto di una procedura rigida (anche dalla scarsa elasticità
perito).
Il legislatore ha perciò deciso di consentire alle società di ridurre questi costi ed ha
previsto che possano effettuare conferimenti in natura senza ricorrere alla procedura di
stima giurata. Ciò è possibile quando:
1) Oggetto del conferimento siano valori mobiliari o strumentali del mercato monetario cui
sia attribuito un valore pari o inferiore al valore medio ponderato al quale sono stati
negoziati su uno o più mercati regolamentati nei sei mesi precedenti il conferimento;
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13 LE AZIONI
13.1 Le azioni: caratteristiche generali
L’art. 2346 prevede che: “La partecipazione sociale è rappresentata da azioni; salvo
diversa disposizione di leggi speciali lo statuto può escludere l'emissione dei relativi titoli o
prevedere l'utilizzazione di diverse tecniche di legittimazione e circolazione”.
La divisione del capitale in azioni è elemento essenziale e caratterizzante le SPA. La
presenza di titoli circolanti è puramente eventuale: lo statuto può escludere l’emissione dei
relativi titoli. Le azioni (intese come partecipazioni) costituiscono frazioni del capitale di
identico ammontare, conferiscono ai loro possessori eguali diritti e sono indivisibili.
Un titolo azionario, invece, può essere rappresentativo di una o più azioni e nella stessa
società possono coesistere certificati di diverso ammontare.
13.2 Natura giuridica dei titoli azionari
I titoli azionari devono indicare: “1) la denominazione e la sede della società; 2) la data
dell'atto costitutivo e della sua iscrizione e l'ufficio del registro delle imprese dove la
società è iscritta; 3) il loro valore nominale o, se si tratta di azioni senza valore nominale, il
numero complessivo delle azioni emesse, nonché l'ammontare del capitale sociale; 4)
l'ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate; 5) i diritti e gli
obblighi particolari ad essi inerenti” (art. 2354).
I titoli azionari incorporano oppure rappresentano la partecipazione nella società. Si tratta
tuttavia di stabilire se essi sono titoli di credito e, quindi, se la loro disciplina sia quella dei
titoli di credito. Per analizzare il problema si deve innanzi tutto comprendere a cosa ci si
riferisca con l’espressione titolo di credito: può indicare sia un documento dotato di certe
caratteristiche, sia un insieme di norme che si applicano a determinati documenti. In
quest’ultima prospettiva si deve confrontare la disciplina specifica delle azioni con quella
dei titoli di credito, per verificare se siano compatibili.
13.3 Azioni nominative e al portatore
Per quanto riguarda la legge di circolazione, le azioni possono essere distinte in azioni
nominative e al portatore. L’art. 2354 dispone che “I titoli possono essere nominativi o al
portatore, a scelta del socio, se lo statuto o le leggi speciali non stabiliscono
diversamente”.
Attualmente in Italia solo le azioni di risparmio possono essere al portatore, mentre le
azioni ordinarie non possono essere al portatore.
13.4 Il trasferimento delle azioni
La negoziazione delle partecipazioni azionarie è un’attività che interviene tra i soci, a cui la
società non partecipa in quanto tale, ma dalla quale scaturiscono effetti che la riguardano.
Si tratta di stabilire in base al diritto comune o al diritto che si applica ai titoli di credito le
condizioni di validità del trasferimento di azioni, ovvero definire i presupposti in base ai
quali il trasferimento può assumere rilevanza nei confronti della società.
A tal fine occorre distinguere l’ipotesi in cui sono stati o meno emessi titoli azionari. In caso
negativo l’art. 2355 prevede che il trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della
società dal momento dell’iscrizione nel libro dei soci: è possibile che un soggetto sia
titolare delle azioni per averle regolarmente acquistate in base al diritto comune, e non
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abbia tuttavia il diritto di esercitarne i poteri sociali a lui spettanti per difetto di iscrizione nel
libro dei soci.
Se i titoli azionari sono stati emessi, occorre ancora distingue se si tratta di titoli al
portatore o di titoli nominativi. Nel primo caso, le azioni si trasferiscono con la consegna
del titolo. Chi ha acquistato e ne detiene il possesso potrà esercitare i poteri sociali.
In caso di titoli nominativi la prima possibilità è che il trasferimento avvenga mediante
girata autenticata (notaio). Il questo caso il giratario, se è in grado di dimostrarsi il
possessore in base ad una serie continua di girate, ha il diritto di ottenere l’annotazione
del trasferimento nel libro dei soci ed è comunque legittimato ad esercitare i diritti sociali.
La seconda possibilità è che il trasferimento avvenga mediante la contemporanea
annotazione del nome dell’acquirente sul vecchio titolo, all’uopo esibito alla società e sul
libro dei soci. In questo caso, l’esecuzione di tali formalità consentirà al nuovo intestatario
di esercitare i diritti sociali, e l’acquisizione della titolarità della partecipazione.
Il trasferimento della titolarità della partecipazione avviene: secondo il diritto comune, in
caso di mancata emissione di titoli; con la consegna in caso di titoli al portatore; con la
girata autenticata o con il transfert, in caso di titoli nominativi.
L’acquisto della legittimazione nei confronti della società avviene: con l’iscrizione nel libro
dei soci, in caso di mancata emissione dei titoli; con l’acquisto del possesso in caso di titoli
al portatore; con la serie continua di girate o con il transfert nel caso di titoli nominativi.
I sostenitori della teoria consensualistica ritengono che in caso di acquisto del titolo da
colui che ne è proprietario il consenso delle parti sia sufficiente a trasferire la proprietà del
documento e quindi la titolarità del diritto. La teoria opposta, c.d. realista, considera invece
le formalità previste dagli artt. 2022 e 2023 cc come costitutive dell’effetto reale.
13.5 Il sistema di gestione accentrata e la “dematerializzazione”
Sulle regole relative alla circolazione delle azioni incidono le norme che hanno creato un
sistema di gestione accentrata di strumenti finanziari che consente la circolazione delle
azioni in maniera svincolate dal materiale trasferimento dei documenti relativi.
La c.d. dematerializzazione comporta la non incorporazione delle azioni in titoli cartacei
ed è obbligatoria per tutti gli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione sui
mercati regolamentati, è invece eventuale per gli strumenti finanziari diffusi tra i pubblico e
facoltativa per gli altri.
Questo sistema è caratterizzato dalla presenza di società di gestione accentrata alle quali
determinati soggetti intermediari affidano le azioni ricevute in gestione dai loro clienti. A
nome e su richiesta degli intermediari, la società di gestione apre, per ognuno di questi,
conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari. A sua volta l’intermediario
accende presso di sé conti sui quali registra, per ogni titolare, gli strumenti finanziari di sua
pertinenza, nonché il trasferimento.
Il trasferimento degli strumenti finanziari dematerializzati e l’esercizio dei relativi diritti
patrimoniali possono effettuarsi soltanto tramite l’intermediario finanziario. Il trasferimento
avviene mediante registrazione sui conti. La società di gestione accende per ogni
intermediario conti destinati a registrare i movimenti. Effettuata la registrazione il titolare
del conto ha la legittimazione piena ed esclusiva dei diritti relativi agli strumenti finanziari in
esso registrati.
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Colui che ha ottenuto la registrazione in suo favore, in base a titolo idoneo e in buona
fede, non è soggetto a pretese o azioni da parte dei precedenti titolari.
13.6 Le condizioni alla circolazione delle azioni: la clausola di gradimento
L’art. 2355-bis prevede che “Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata
emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro
trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della
società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento. Le
clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di
organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli
altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante; resta ferma
l'applicazione dell'articolo 2357. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di
liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo
2437-ter. La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che
sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo
che sia previsto il gradimento e questo sia concesso. Le limitazioni al trasferimento delle
azioni devono risultare dal titolo”.
Le azioni sono naturalmente destinate alla circolazione. Ciò non esclude che i soci
possano avere interesse a vietare o almeno a limitare la circolazione delle azioni. La
norma tende a risolvere i problemi che possono sorgere in queste situazioni.
Il primo principio è che il blocco totale e permanente della circolazione delle azioni non è
ammesso (la norma consente un divieto di alienazione ma solo per 5 anni).
Il secondo principio è quello della liceità, senza limiti di tempo, delle clausole che
sottopongono a particolari condizioni il trasferimento delle azioni nominative o di quelle per
le quali non si è proceduto alla emissione di titoli.
Dalla combinazione dei due principi risulta la necessità di evitare che clausole che
sottopongono l’alienazione a condizioni, possano avere effetti simili al divieto.
È il caso delle c.d. clausole di mero gradimento: si intendono quelle clausole che non
definiscono in anticipo i criteri in base ai quali il gradimento deve essere concesso o
negato e attribuiscono, perciò, a chi ha il potere di esprimere il gradimento, un’elevata
discrezionalità.
Tali clausole non vietano l’alienazione delle azioni, ma non ammettono che l’acquirente
possa presentarsi alla società in qualità di socio ed esercitare i relativi diritti se non ha
ricevuto il gradimento del consiglio di amministrazione o dell’assemblea.
Gli interessi lesi da un clausola di gradimento possono essere di due tipi: un interesse
generale al ricambio dei gruppi di controllo realizzato tramite scalate. L’altro, un interesse
privato particolare: l’interesse del socio a non restare prigioniero del suo titolo. Una
clausola di gradimento che consente di negare l’ingresso in base a giudizi discrezionali
può comportare che il socio non possa più vendere le sue azioni, poiché nessun
potenziale acquirente riesce ad ottenere il gradimento.
La norma si è data carico di proteggere quest’ultimo interesse, sanzionando l’inefficacia
delle clausole che subordino il trasferimento al mero gradimento. Quanto all’altro
interesse, quello della libera competizione tra gruppi di controllo, esso è tutelato dalla
libera trasferibilità delle azioni richiesto per l’ammissione alla quotazione in borsa.
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ripartizione del patrimonio sociale residuo dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore
nominale”.
14.5 Azioni a favore dei prestatori di lavoro
L’art. 2349 dispone che, se lo statuto lo prevede, “l'assemblea straordinaria può deliberare
l'assegnazione di utili ai prestatori di lavoro dipendenti delle società o di società controllate
mediante l'emissione, per un ammontare corrispondente agli utili stessi, di speciali
categorie di azioni da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro, con norme
particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento ed ai diritti spettanti agli azionisti. Il
capitale sociale deve essere aumentato in misura corrispondente”.
14.6 Le obbligazioni
Rappresentano un prestito effettuato alla società e conferiscono al sottoscrittore la
posizione di creditore. La disciplina prevede la possibilità di emettere obbligazioni
postergate (i cui diritti sono subordinati alla soddisfazione di altri creditori della società) o
con interessi la cui entità è collegata all’andamento economico della società.
Le obbligazioni possono essere emesse al portatore. Nelle società medio-piccole
l’emissione di obbligazioni non serve a raccogliere capitali, ma è uno strumento con cui gli
stessi soci di maggioranza decidono di prelevare sotto forma di interessi denaro che
altrimenti dovrebbe essere dichiarato come utile.
Le obbligazioni sono titoli di credito.
La delibera di emissione del prestito è assunta, salvo diversa disposizione, dagli
amministratori. Essa è soggetta a iscrizione nel registro delle imprese a cura del notaio
che ha verbalizzato la deliberazione.
14.7 I limiti all’emissione di obbligazioni
L’ipotesi tenuta in considerazione dal legislatore è quella dell’offerta di obbligazioni a
finanziatori esterni, dettando una serie di norme dirette a tutelare i risparmiatori che
investono in obbligazioni e comunque a regolare i rapporti tra obbligazionisti e società.
Esiste un limite soggettivo: le obbligazioni possono essere emesse esclusivamente dalle
società per azioni e in accomandita per azioni.
L’art. 2412 fissa un limite quantitativo: “La società può emettere obbligazioni al portatore o
nominative per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale,
della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. I
sindaci attestano il rispetto del suddetto limite”.
In una serie di casi, tassativamente indicati, questo limite generale può essere superato:
- se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di
investitori professionali;
- quando le obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi
multilaterali di negoziazione ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero
di sottoscrivere azioni.
- Quando ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale, la società
può essere autorizzata con provvedimento dell'autorità governativa, ad emettere
obbligazioni per somma superiore a quanto previsto nel presente articolo, con
l'osservanza dei limiti, delle modalità e delle cautele stabilite nel provvedimento stesso.
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controllante usi il suo potere sulla controllata per costringerla ad accettate condizioni
contrattuali che una società indipendente non accetterebbe. Questo danneggia i soci di
minoranza della controllata.
Analogo problema è quello relativo ai creditori. Sino a quando i rapporti interni al gruppo si
limitano alla ridistribuzione di utili tra le società che la compongono, le conseguenze
ricadranno sui soci della società sfavorita. Quando la ridistribuzione delle risorse tende ad
impoverire la società sfavorita sino a renderla insolvente, anche i creditori avranno
conseguenze.
Infine esiste un interesse ad evitare le manipolazioni che potrebbero derivare dagli
investimenti che le società del gruppo avessero a fare le une nelle azioni delle altre.
Questi problemi diventano particolarmente gravi in caso di società quotate in borsa.
15.8 Segue: la fattispecie “società controllata”
L’art. 2359 definisce le società controllate, che sono: “1) le società in cui un'altra società
dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui
un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante
nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra
società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”.
Resta ferma la distinzione fra i due tipi di controllo, quello azionario e quello contrattuale.
Relativamente al primo, l’ipotesi 1) si riferisce solo ai casi in cui si dispone della
maggioranza legalmente necessaria ad influenzare le delibere delle assemblee (51%);
mente l’ipotesi 2) comprende i casi in cui, a causa dell’assenteismo degli azionari, risulta
possibile influenzare le delibere dell’assemblea con maggioranze inferiori.
L’ipotesi del controllo contrattuale si verifica quando tra una società ed un’altra esistono
legami tali per cui la seconda è di fatto priva di autonomia. Con l’espressione influenza
dominante ci si riferisce alla situazione che sussiste quando esiste un potere, anche se
questo non viene di fatto esercitato. Se la società A possiede una percentuale di capitale
tale da assicurarle la possibilità di nominare e revocare gli amministratori, deve essere
considerata controllante anche se non partecipa mai alle assemblee di B. Si devono
pertanto distinguere le situazioni in cui esiste il rapporto di controllo ma non di effettiva
direzione, e situazioni in cui esiste la direzione effettiva.
La norma distingue le due situazioni, e detta una disciplina specifica solo per le società
che sono soggette alla “direzione e coordinamento” di un’altra.
Infine la norma considera “collegate le società sulle quali un'altra società esercita
un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere
esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in
mercati regolamentati”.
15.9 Segue: la disciplina
Dall’esistenza del rapporto di controllo derivano numerose conseguenze sul piano della
disciplina. La principale norma in materia è l’art. 2359-bis che prescrive: “la società
controllata non può acquistare azioni o quote della società controllante se non nei limiti
degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente
approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate”.
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La norma richiama per assonanza quella relativa all’acquisto di azioni proprie. Anche in
questo caso l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea; in nessun caso il valore
nominale delle azioni o quote può eccedere la decima parte del capitale della società
controllante. Inoltre la società controllata non può esercitare il diritto di voto nelle
assemblee della controllante.
Anche in questo caso il legislatore ha ritenuto di dover tutelare due interessi: quello
relativo alla conservazione del capitale sociale e quello relativo all’alterazione dei
meccanismi di formazione delle maggioranze assembleari.
La norma si completa con riguardo alla sorte delle azioni della società controllante
acquistate in violazione delle disposizioni.
15.10 L’attività di direzione e coordinamento
Il controllo non implica necessariamente che la società controllante eserciti effettivamente
il potere di direzione. Per tale motivo è prevista una disciplina che non si applica a tutte le
fattispecie di controllo, ma solo alle fattispecie in cui una società è soggetta a direzione e
coordinamento da parte di un’altra.
L’esercizio da parte di una società di un’attività di direzione e coordinamento di un’altra
società non è di per sé illecito. L’illiceità si verifica solo quando vengano violati quelli che la
norma chiama i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale per cui ogni
società deve essere amministrata nel suo proprio interesse.
L’art. 2497 dispone che “Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e
coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in
violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società
medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio
arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei
creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è
responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo
dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di
operazioni a ciò dirette. Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo
e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio”.
L’effetto complessivo di questa disciplina dipenderà tuttavia dal maggiore o minore rigore
con cui la giurisprudenza valuterà l’effettività e la concretezza dei benefici ricavati dalla
società “diretta”, l’equivalenza tra i benefici, la contestualità temporale tra i secondi e i
primi.
Ma cosa succede se una società che non esercita la direzione e coordinamento sfruttando
il suo potere, impone comunque ad un’altra società decisioni contrarie ai principi di
corretta gestione?
Di fatto l’esistenza di un’attività di direzione e coordinamento deve essere esercitata caso
per caso. La direzione e coordinamento è un fatto la cui esistenza si riscontra là dove un
terzo prende le principali decisioni relative alla gestione dell’impresa della società
sottoposta a direzione. Quando, invece, le decisioni sono prese all’interno degli organi
della società, senza la partecipazione di estranei, la società non è considerata sottoposta
alla direzione e coordinamento della controllante.
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nell’assemblea nonché in materia di aggiornamento del libro soci nelle società con azioni
ammesse alla gestione accentrata”.
La norma introduce una netta contrapposizione tra società le cui azioni sono ammesse
alla gestione accentrata e quelle che non vi sono ammesse. Quest’ultime possono
conservare una disciplina simile a quella antecedente la riforma del 2010 e possono
richiedere il preventivo deposito delle azioni e la permanenza del deposito sino allo
svolgimento dell’assemblea. Questo adempimento, volto a garantire che chi vota sia
effettivamente socio, risulta particolarmente sgradito a certi investitori che vedono bloccata
la circolazione dei titoli.
Tale adempimento non può invece essere richiesto dalle società ammesse alla gestione
accentrata (società quotate): per quest’ultime vige la legislazione speciale, la cui principale
caratteristica è quella di stabilire un criterio di legittimazione alla partecipazione
all’assemblea che non garantisce che l’avente diritto alla partecipazione e al voto sia,
necessariamente, al momento della partecipazione, socio.
La disciplina prosegue con le norme che prescrivono le modalità di convocazione. Essa è
convocata dagli amministratori o, se la società ha scelto il sistema dualistico, dal consiglio
di gestione, nel comune dove ha sede la società mediante avviso contenete l’indicazione
del giorno, ora e del luogo dell’adunanza e l’elenco delle materie da trattare e che deve
essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale o in almeno un quotidiano indicato nello statuto
almeno 15 giorni prima di quello fissato per l’assemblea.
L’assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta all’anno, entro 120 giorni
dalla chiusura dell’esercizio sociale (lo statuto può stabile un termine maggiore non
superiore a 180 giorni).
L’assemblea deve essere obbligatoriamente convocata quando ne è fatta domanda da
tanti soci che rappresentino almeno 1/10 (1/20 per le società che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio) del capitale sociale (quota anche inferiore stabilita dallo statuto) e
nella domanda sono indicati gli argomenti da trattare. In caso i preposti alla convocazione
non provvedano, la convocazione è ordinata dal Tribunale. La convocazione non è
ammessa per argomenti sui quali l’assemblea delibera, a norma di legge, se proposta
degli amministratori o sulla base di un progetto da essi proposto.
L’assemblea si reputa regolarmente costituita, anche in assenza di convocazione, quando
siano presenti l’intero capitale sociale, e la maggioranza dei componenti degli organi
amministrativi e di controllo (c.d. assemblea totalitaria).
Quando l’assemblea sia stata convocata regolarmente, un rinvio, non superiore a 5 giorni,
può essere chiesto dai soci che rappresentano 1/3 del capitale sociale.
All’assemblea possono intervenire gli azionisti cui spetta il diritto di voto.
17.3 Svolgimento dell’assemblea
L’assemblea è presieduta che è indicata nello statuto o, in mancanza, da chi è eletto dal
voto della maggioranza dei presenti. Il presidente è assistito dal segretario. La redazione
del verbale è ad opera del notaio ed è obbligatoria in caso di assemblea straordinaria.
L’art. 2371 si occupa della presidenza e dispone che “L'assemblea è presieduta dalla
persona indicata nello statuto o, in mancanza, da quella eletta con il voto della
maggioranza dei presenti. Il presidente è assistito da un segretario designato nello stesso
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18 GLI AMMINISTRATORI
18.1 La funzione amministrativa
La SPA è caratterizzata da un’organizzazione corporativa funzionale al migliore governo
dei conflitti e all’esercizio più efficiente dell’attività di impresa.
Visto com’è articolata l’assemblea dei soci, si tratta ora di analizzare il sistema di
amministrazione e di controllo.
Per comprendere la disciplina dell’amministrazione delle SPA, occorre tener presente due
considerazioni fondamentali:
a) Gli amministratori di SPA agiscono nell’interesse di altri (quando essi stessi azionisti
agiscono anche nell’interesse di altri);
b) Essi esercitano un potere che è caratterizzato da margini amplissimi di discrezionalità.
Alla discrezionalità nelle scelte imprenditoriali che caratterizza la gestione della società, si
contrappone la necessità di articolare un sistema di controlli interni ed esterni in grado di
minimizzare il rischio che i soggetti preposti alla gestione possano da un lato non
rispettare i principi di corretta amministrazione e, dall’altro, violare gli obblighi di diligenza
nel perseguire l’interesse sociale.
La complessità dei problemi descritti suggerisce l’inesistenza di un unico assetto che
possa contemperare gli interessi in gioco. Si è rilevato che la dimensione e la natura della
compagine sociale (n. soci, entità investimento, coinvolgimento nella gestione), il rapporto
tra la proprietà e la gestione, il fatto che la società possa rivolgersi al mercato del capitale
di rischio o intenda conservare una compagine azionaria chiusa, incidono in modo
significativo sul modello di governo societario e sui sistemi di controllo interni ed esterni.
In conseguenza di ciò il legislatore ha offerto ai soci, in funzione delle loro esigenze, la
scelta fra tre modelli alternativi, fissando una serie di elementi vincolanti, in particolare con
riferimento ai controlli.
Le diverse alternative si caratterizzano per il modo in cui sono distribuite le funzioni di
amministrazione e di controllo. Se lo statuto non dispone diversamente, la società è
organizzata con il sistema di amministrazione e controllo c.d. tradizionale. Il tale
sistema gli organi di gestione e controllo sono nominati dall’assemblea dei soci; l’organo di
gestione può essere uninominale (amministratore unico) o collegiale (consiglio di
amministrazione), mentre l’organo di controllo è necessariamente collegiale. A
quest’ultimo, nei casi previsti dalla legge, possono essere affidati sia i controlli gestionali
sia quelli contabili; negli altri casi il controllo contabile deve essere affidato a un revisore
esterno.
Lo statuto delle società può optare per il sistema di amministrazione e controllo c.d.
dualistico. L’organo di controllo (consiglio di sorveglianza) è nominato dall’assemblea dei
soci, mentre l’organo di gestione, da un lato è necessariamente collegiale, dall’altro
l’organo di gestione viene nominato dal consiglio di sorveglianza (non dall’assemblea dei
soci).
L’ultima alternativa è il sistema di amministrazione e controllo c.d. monistico.
Entrambe gli organi sono necessariamente collegiali, ma mentre l’organo di
amministrazione (consiglio di amministrazione) è nominato dall’assemblea dei soci,
l’organo di controllo (comitato per il controllo della gestione) è nominato (salvo diversa
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lato l’oggetto, limitato al compimento di atti giuridici nel mandato, è più complesso nel
contratto di amministratore; dall’altro, a differenza che nel mandato nel quale il mandatario
deve seguire le istruzioni impartite dal mandante, nello svolgimento della sua attività
l’amministratore non è assoggettabile alle istruzioni di alcun organo societario.
Il contratto tra amministratore e società è a tempo determinato che vincola le parti per una
durata pattuita e che ha natura onerosa. In virtù della sussistenza di un rapporto fiduciario
tra l’assemblea e gli amministratori, l’assemblea può revocare gli amministratori in ogni
momento (art. 2383).
La revoca può essere anche del tutto immotivata, ma in questo caso, come nel caso di
motivazione infondata, produce quale conseguenza l’obbligo di risarcimento del danno.
Tale obbligo di risarcimento non sussiste se la revoca è per giusta causa: un’ipotesi
codificata è la revoca dell’amministratore per violazione del divieto di concorrenza (art.
2390).
Oltre che per revoca, ovviamente, per morte, la cessazione del rapporto può avvenire per
rinunzia all’ufficio o per scadenza del termine.
La rinunzia, comunicata per iscritto, ha effetto immediato se permane in carica la
maggioranza degli amministratori, mentre in caso contrario ha effetto nel momento della
ricostituzione della maggioranza.
Nel caso di scadenza del termine, la cessazione ha effetto dal momento in cui il consiglio
è stato ricostituito. Per entrambe i casi sembra abbia effetto il regime di prorogatio.
Lo statuto può inoltre prevedere che la cessazione di alcuni amministratori faccia cessare
l’intero consiglio.
In assenza di norme statutarie, la regola generale comporta la nomina dell’intero consiglio
di amministrazione da parte della maggioranza. L’art. 2368 prevede la possibilità di norme
particolari per tali nomine: può essere introdotto un sistema di votazione che consenta alla
minoranza di nominare alcuni amministratori.
18.4 Il compenso
L’art. 2389 stabilisce che “I compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione
e del comitato esecutivo sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea. Essi possono
essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di
sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione. La rimunerazione degli
amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal
consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo
prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di
tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche”.
Si ritiene che gli amministratori abbiano diritto di essere compensati per l’opera da essi
svolta, e che l’assemblea non provveda alla determinazione del compenso, o vi provveda
in misura manifestamente inadeguata, l’amministratore può ottenere una determinazione
giudiziale del dovuto.
L’amministratore può anche essere un dipendente della società, pur se vi sono degli
oggettivi problemi nel riscontrare di fatto l’esistenza di un vincolo di subordinazione.
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parte, il consiglio “sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto
organizzativo amministrativo e contabile della società”.
Il modello sembra distinguere il momento dell’azione, che spetta normalmente agli organi
delegati, rispetto al momento dell’esame e della valutazione, che rimane appannaggio del
consiglio.
18.7 Gli interessi degli amministratori e le operazioni con parti correlate
Tema delicato è quello della sussistenza in capo agli amministratori di un interesse in
relazione ad un’operazione della società. L’art. 2391 dispone che l’amministratore deve
dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse di cui è
portatore, per conto proprio o di terzi, in relazione ad una determinata operazione della
società, precisando la natura dell’interesse, il suo contenuto, l’origine e la portata. Il
consiglio nell’adottare la delibera di approvazione dell’operazione, in presenza di un
conflitto di interressi, deve adeguatamente motivare.
L’amministratore delegato che si trovasse nella medesima situazione non soltanto deve
fornire le informazioni al consiglio, ma deve altresì astenersi dal compimento dell’atto,
investendo dello stesso il consiglio.
Nel caso di amministratore unico, la legge si limita a disporre che lo stesso debba dare
notizia dell’interesse “anche alla prima assemblea utile”.
Se l’amministratore è titolare di un interesse proprio o di terzi che è suscettibile di entrare
in gioco nell’esercizio della funzione, egli non deve preoccuparsi se l’interesse della
società e il proprio siano in conflitto, ma deve solo dichiarare il proprio interesse in modo
circostanziato, avendo cura, se si tratta di un amministratore delegato, di astenersi dal
compimento dell’operazione, spetta poi al consiglio il valutare il da farsi e adottare una
delibera motivata che individui le ragioni per cui l’operazione è nell’interesse della società.
Nel caso il cui l’amministratore violi l’obbligo di informativa, ovvero la delibera del consiglio
sia priva della motivazione richiesta, ovvero sia adottata con il voto determinate
dell’amministratore in conflitto di interessi, e sempre che possa esse recare danno alla
società, la deliberazione può essere impugnata.
Sono in ogni caso fatti salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base agli atti
compiuti in esecuzione di una deliberazione annullabile. L’amministratore risponde dei
danni derivanti alla società dalla sua azione od omissione.
18.8 Potere di gestione e potere di rappresentanza
Il potere di gestione è il potere di dare contenuto alla volontà sociale, cioè di assumere
decisioni in ordine alla conduzione degli affari sociali.
Il potere di rappresentanza è il potere di manifestare la volontà sociale nei confronti dei
terzi, e di creare rapporti giuridici tra essi e la società.
I due poteri possono spettare allo stesso soggetto o a due soggetti distinti.
Nelle SPA il potere di gestione spetta all’amministratore unico o al consiglio di
amministrazione; spetta anche ai singoli consiglieri (amministratori delegati), mentre poteri
decisori più circoscritti possono essere attribuiti a dipendenti (direttori, funzionari).
Il potere di rappresentanza non è attribuito dalla norma ad alcun organo specifico. Lo
statuto può determinare l’assegnazione di tale potere (spesso legato alla carica di
presidente del consiglio di amministrazione).
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Nelle SPA la coincidenza nello stesso soggetto del potere di gestione e del potere di
rappresentanza può verificarsi nei casi di amministratore unico e di amministratore
delegato.
18.9 Rappresentanza senza potere e tutela del terzo
In materia di rappresentanza il problema è quello della sorte degli atti stipulati dal
rappresentante al di là dei poteri che gli erano stati conferiti. Qui il legislatore deve
necessariamente sacrificare l’interesse di una delle due parti: o quello del terzo che aveva
confidato nell’efficacia del contratto, oppure quello del falso rappresentato.
Nella disciplina generale della rappresentanza viene compiuta una scelta a favore del
secondo: l’onere di accertare l’esistenza ed i limiti della procura grava sul terzo che, in
caso di errore, anche incolpevole, non potrà obbligare il falso rappresentato all’esecuzione
del contratto.
Questa disciplina generale sulla distribuzione dei rischi viene attenuata per la
rappresentanza degli imprenditori commerciali e delle società di persone, attraverso il
sistema della pubblicità legale della procura, e la tendenziale coincidenza tra il potere di
gestione e il potere di rappresentanza.
Nelle società di capitali la protezione del terzo viene ulteriormente rafforzata. L’art. 2384,
con riferimento al rapporto tra la società e i terzi, dispone che il potere di rappresentanza è
generale. Le eventuali limitazioni contenute nell’atto di nomina non sono opponibili ai terzi,
salvo che non si sia in grado di provare che il terzo abbia agito intenzionalmente a suo
danno.
Il compimento da parte degli amministratori di atti che esulano dai loro poteri è rilevante a
fini interni: da un lato può giustificare la revoca della nomina dell’amministratore e,
dall’altro, da diritto alla società di agire per il risarcimento dell’eventuale danno patito.
18.10 La peculiarità della tutela assicurata al terzo dall’art. 2384
La norma va raffrontata con l’art. 2298 relativo alla rappresentanza delle SNC; esso
prevede l’opponibilità ai terzi di tutte le limitazioni al potere di rappresentanza che siano
state iscritte ed anche quelle non iscritte, di cui si provi che il terzo ha avuto ugualmente
conoscenza.
L’art. 2384 prevede, al contrario, la non opponibilità di tutte le limitazioni volontarie al
potere di rappresentanza, anche se pubblicate ed anche se note al terzo (la conoscenza
della limitazione, se non accompagnata all’intento di pregiudicare la società, non è
sufficiente a rendere l’atto non vincolante per la società).
Nella prassi l’amministratore dotato di un potere di rappresentanza limitato, conclude
sostanzialmente i contratti, con il consenso di tutti gli altri amministratori, che vengono
regolarmente eseguiti e, quindi, tacitamente ratificati. Qualora tuttavia il contratto si
rilevasse successivamente un cattivo affare, la società avrebbe sempre la possibilità di far
valere la limitazione data all’amministratore. Per ovviare a tale ipotesi, l’art. 2384
impedisce alla società di opporre ai terzi queste limitazioni.
18.11 I limiti di applicazione della norma
L’art. 2384 menziona le limitazioni ai poteri di rappresentanza “che risultano dallo statuto o
da una decisione degli organi competenti”, compreso l’atto di nomina. Sono tuttavia
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Quindi quando si parla di responsabilità degli amministratori si allude alla possibilità che
essi siano tenuti a risarcire un danno cagionato dal loro comportamento. Affinché tale
possibilità ricorra in concreto occorrono tutte e tre le ipotesi previste dalla legge:
1) La violazione colpevole di un obbligo imposto agli amministratori;
2) Un danno;
3) Un nesso di causalità tra violazione e danno.
18.14 La responsabilità verso la società: presupposti
La norma cardine è l’art. 2392, che fissa il parametro di diligenza che deve essere
osservato dall’amministratore nell’adempimento dei propri doveri: gli amministratori
devono adempiere ai doveri essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza
richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Non basta la
diligenza dell’uomo medio: per determinarla si dovranno considerare la dimensione della
società e dell’impresa esercitata, la tipologia di quest’ultima e le qualità individuali
dell’amministratore che costituiscono la base per la sua nomina.
La responsabilità che fa capo agli amministratori è solidale, a meno che si tratti di
attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni attribuite in concreto a uno o più
amministratori: in queste ipotesi gli amministratori rispondono solidalmente se, essendo a
conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano fatto quanto poteva per impedire il
compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
Il legislatore inoltre concede la possibilità di sottrarsi alla responsabilità a quegli
amministratori che, essendo esenti da colpa (cioè avendo fatto tutto quanto in loro potere
in adempimento dei loro doveri), abbiano fatto annotare senza ritardo il loro dissenso sul
libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, dandone
comunicazione scritta al presidente del collegio sindacale.
18.15 La responsabilità verso la società: l’esercizio dell’azione sociale
L’azione sociale di responsabilità può essere esercitata dalla società direttamente (art.
2393), o dai soci in nome proprio, ma nell’interesse della società (art. 2393-bis). Nel primo
caso, l’azione può essere promossa a seguito di specifica deliberazione assembleare
ovvero a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei
2/3 dei sui componenti.
Con l’azione di responsabilità la società promuove un giudizio finalizzato ad ottenere la
condanna dell’amministratore inadempiente al risarcimento dei danni arrecati dalla
società.
L’azione può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione dell’amministratore dalla
carica.
La promozione dell’azione non comporta automaticamente la revoca dell’amministratore,
salvo che la delibera venga assunta con il voto favorevole di almeno 1/5 del capitale
sociale.
L’azione sociale di responsabilità può essere oggetto di rinuncia da parte della società o di
accordo transattivo con l’amministratore a condizione che rinunzia e transazione siano
deliberate dall’assemblea e non vi sia un voto contrario che rappresenti 1/5 del capitale.
La società è parte necessaria nel giudizio, che viene gestito dai soci mediante nomina di
uno o più rappresentanti comuni che esercitano l’azione e compiono gli atti necessari.
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19 I CONTROLLI
19.1 Controlli “interni” e controlli “esterni”
Le decisioni che la maggioranza, e gli amministratori che ne sono espressione, assumono
in ordine alla gestione della SPA sono soggette ad una serie di possibili controlli che si
distinguono in “interni” ed “esterni”.
All’interno della società può svolgere una funzione oggettiva di controllo anche l’azionista
di minoranza (per lo più per la tutela dei propri interessi).
In ogni caso la SPA è dotata di un organo specificatamente dedicato ai controlli. Nel
sistema tradizionale è il collegio sindacale, mentre nel sistema monistico è il comitato di
controllo sulla gestione e nel sistema dualistico è il comitato di sorveglianza.
In generale questi organi sono preposti ai controlli, tuttavia esistono significative differenze
con riguardo alle modalità di nomina e di revoca, alle funzioni, ai poteri e agli obblighi.
Inoltre l’attività della società viene costantemente tenuta sotto controllo dal punto di vista
contabile mediante un revisore esterno; nelle società con una struttura organizzativa poco
complessa le funzioni di controllo contabile possono essere svolte dal collegio sindacale.
Esiste poi un controllo “esterno” che consiste nel controllo giudiziario sull’amministrazione
della SPA.
19.2 Il collegio sindacale: composizione e nomina
Il collegio sindacale ai sensi dell’art. 2397, è composto da tre o cinque membri effettivi
(possono essere nominati due sindaci supplenti). I sindaci possono essere soci o non soci.
Al fine di assicurare che i membri del collegio sindacale possono svolgere la loro funzione
di controllo con efficacia essi debbono soddisfare i requisiti di professionalità e
indipendenza.
Con riguardo alla professionalità almeno un membro effettivo ed uno supplente devono
essere scelti tra revisori legali iscritti nell’apposito registro, mentre i restanti membri,
devono essere iscritti in appositi albi professionali. Se al collegio sindacale è attribuita la
funzione di revisori dei conti, tutti i membri devono essere iscritti all’albo dei revisori legali.
Quanto all’indipendenza sono fissati precisi vincoli al fine di evitare interferenze da parte
degli amministratori. L’art. 2399 prevede che “Non possono essere eletti alla carica di
sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio: a) coloro che si trovano nelle condizioni previste
dall'articolo 2382 (ineleggibilità, interdizione, inabilitazione, fallimento, pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici); b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado
degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il
quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la
controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società
o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a
comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di
prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne
compromettano l'indipendenza”.
Le cause di ineleggibilità, così come la mancanza dei requisiti soggettivi e il difetto di
indipendenza, sono causa di decadenza dalla carica.
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Lo statuto, inoltre, può prevedere il limite al cumulo degli incarichi in collegi sindacali di
altre società. Indipendentemente da ogni previsione statutaria, al “Al momento della
nomina dei sindaci e prima dell'accettazione dell'incarico, sono resi noti all'assemblea gli
incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società” (art. 2400).
I primi Sindaci, come i primi amministratori, sono nominati dall’atto costitutivo, mentre
successivamente la nomina spetta all’assemblea.
I Sindaci restano in carica per tre esercizi, ma a differenza di quanto previsto per gli
amministratori, lo statuto non può modificare il termine di durata.
Per garantire l’indipendenza la legge prevede che i sindaci possono essere revocati
dall’assemblea esclusivamente per giusta causa e che la relativa deliberazione debba
essere approvata dal Tribunale sentito l’interessato. La revoca sembra presupporre la
nomina di un nuovo sostituto, anziché l’automatica sostituzione da parte del supplente.
La retribuzione dei sindaci, stabilita nello statuto, deve essere determinata dall’assemblea
per l’intero periodo di durata del loro ufficio.
19.3 Funzioni e poteri
I doveri del collegio sono stabiliti dall’art. 2403: “Il collegio sindacale vigila sull'osservanza
della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in
particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato
dalla società e sul suo concreto funzionamento”.
Controllo di legalità: nel caso di una deliberazione assunta da un organo della società
che non sia ritenuta legittima è fatto obbligo al collegio di intervenire, se del caso
promuovere l’impugnazione, o attivare ogni altro rimedio (denuncia Tribunale e/o organo di
controllo esterno);
Rispetto dei principi di corretta amministrazione: il collegio è chiamato a fare una
costante verifica metodologica relativamente al procedimento adottato dagli amministratori
per l’assunzione delle scelte gestionali e sulla loro opportunità.
Adeguatezza e concreto funzionamento dell’assetto organizzativo, amministrativo e
contabile: il collegio non solo è chiamato a valutare l’adeguatezza dei sistemi adottati
dall’organo amministrativo, ma anche il loro concreto funzionamento.
A differenza di quanto avviene per gli organi di controllo di sistemi alternativi, il collegio
sindacale può essere chiamato a svolgere anche la funzione di controllo contabile.
Nell’espletamento dei propri doveri, i sindaci sono dotati di poteri individuali e collegiali.
Singolarmente possono procedere ad ispezioni e controlli, avendo accesso ad ogni
informazione relativa alla società (contabile, organizzativa e strategica).
Al fine di essere costantemente informati “I sindaci devono assistere alle adunanze del
consiglio di amministrazione, alle assemblee e alle riunioni del comitato esecutivo. I
sindaci, che non assistono senza giustificato motivo alle assemblee o, durante un
esercizio sociale, a due adunanze consecutive del consiglio d'amministrazione o del
comitato esecutivo, decadono dall'ufficio” (art. 2405).
Il diritto di informativa concerne non soltanto la società nella quale essi ricoprono la carica,
ma anche le società da questa controllate.
È infine previsto, che il collegio sindacale e i soggetti incaricati della revisione legale dei
conti si scambino le informazioni acquisite.
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Nell’esercizio dei poteri, i sindaci possono avvalersi di propri dipendenti e ausiliari che non
si trovino nelle condizioni di ineleggibilità applicate ai sindaci stessi.
Di tutte le attività di accertamento condotte dal collegio e dai suoi componenti deve essere
dato conto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale.
A prescindere da accertamenti individuali, il collegio deve riunirsi almeno ogni 90 giorni,
anche con mezzi telematici. Affinché possa validamente deliberare è necessaria la
presenza della maggioranza dei suoi membri effettivi e la deliberazione è adottata a
maggioranza assoluta dei presenti. Il sindaco dissenziente ha diritto di far annotare il
proprio dissenso e la relativa motivazione. Della riunione viene redatto un verbale che
viene trascritto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio.
Salvo la totale mancanza dell’organo amministrativo, il collegio non è dotato di alcun
potere di gestione.
Al di fuori della violazione dell’obbligo di convocazione da parte degli amministratori, il
collegio sindacale può convocare l’assemblea soltanto qualora ravvisi “fatti censurabili di
rilevante gravità” e vi sia “urgente necessità di provvedere”.
Nell’ambito dei poteri funzionali alla restaurazione della legalità il collegio ha il potere di
impugnare le deliberazioni dell’assemblea e del consiglio di amministrazione; di
denunciare gravi irregolarità al Tribunale e di promuovere l’azione sociale nei confronti
degli amministratori.
19.4 La responsabilità dei sindaci
I sindaci devono adempiere ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta
dalla natura del loro incarico (art. 2407). Essi sono responsabili, da un lato, della verità
delle loro attestazioni, dall’altro, della conservazione del segreto sui fatti e documenti di cui
hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. Sono inoltre responsabili, solidalmente con
gli amministratori, per i fatti e le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe
prodotto se essi avessero vigilato in conformità all’obbligo della loro carica.
Un secondo profilo di responsabilità è connesso all’esercizio da parte del collegio
sindacale di tutti i poteri attribuitigli per ripristinare la legalità gestionale e attenuare le
conseguenze dannose degli atti illeciti eventualmente compiuti dagli amministratori.
Essi rispondono nei confronti delle stesse categorie di soggetti verso cui rispondono gli
amministratori e sono soggetti alle stesse azioni.
19.5 L’organo di controllo nel sistema dualistico: il consiglio di sorveglianza
È l’organo di controllo del sistema dualistico, ma gli sono attribuite anche competenze che
nel sistema tradizionale sono dell’assemblea, come l’approvazione del bilancio e la
nomina degli amministratori, o al consiglio di amministrazione, l’approvazione dei piani
strategici e finanziari se previsto dallo statuto. Di conseguenza la disciplina del consiglio di
sorveglianza è in parte ispirata a quella del consiglio di amministrazione e in larga misura
a quella del collegio sindacale.
Il consiglio di sorveglianza è un organo collegiale composto da non meno di 3 membri,
anche non soci, che sono nominati dall’assemblea. I soci che sono membri del consiglio di
gestione non possono votare nelle deliberazioni assembleari riguardanti la nomina, revoca
o responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.
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L’assunzione della carica può essere subordinata dallo statuto a particolari requisiti di
onorabilità, professionalità e indipendenza (almeno 1 componente deve essere iscritto
all’albo dei revisori contabili).
Le cause di ineleggibilità e decadenza sono individuate mediante un richiamo a quelle
previste per i consiglieri di amministrazione nel sistema tradizionale, con l’aggiunta di due
ulteriori elementi di indipendenza: non essere membri del consiglio di gestione e non
avere rapporti di lavoro/consulenza con la società e/o società controllate.
Come membro del consiglio di sorveglianza può essere revocato dall’assemblea in ogni
momento, fatto salvo il risarcimento del danno se la revoca risulta non fondata su una
giusta causa.
Nel consiglio di sorveglianza non sono previsti meccanismi di cooptazione, né membri
supplenti; in casi di necessità i membri vengono sostituiti mediante deliberazione
dell’assemblea.
Le competenze del consiglio di sorveglianza sono articolate, essendogli attribuiti compiti
che nel sistema tradizionale spettano all’assemblea dei soci, al collegio sindacale e al
consiglio di amministrazione.
Due sono le funzioni che sono attribuite al consiglio di sorveglianza e che nel sistema
tradizionale sono di competenza dell’assemblea:
a) Nomina, revoca e fissazione del compenso dei componenti del consiglio di gestione;
b) Approvazione del bilancio di esercizio, e ove redatto, del bilancio consolidato.
Il consiglio di sorveglianza ha anche funzioni attribuite al collegio sindacale:
a) Controllo della società svolgendo le medesime funzioni del collegio sindacale, compresi
il potere di promuovere l’azione sociale nei confronti del consiglio di gestione e di
denunciare al Tribunale i compimento di gravi irregolarità da parte di quest’ultimo.
b) Per le società non quotate l’attività di controllo del consiglio di sorveglianza è privata dei
poteri di controllo e di ispezione, e pertanto la sua attività si limita a chiedere al consiglio di
gestione notizia l’andamento delle operazioni sociali.
Con riguardo alle funzioni attribuite al consiglio di amministrazione è disposto che, ove
previsto dallo statuto:
a) “se previsto dallo statuto, delibera in ordine alle operazioni strategiche e ai piani
industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione, ferma in ogni caso
la responsabilità di questo per gli atti compiuti” (art. 2409 terdecis).
19.6 L’organo di controllo nel sistema monistico: il comitato per il controllo sulla
gestione
Nel sistema monistico i controlli interni, con esclusione del controllo contabile di
competenza di un revisore esterno, sono affidati al comitato per controllo sulla gestione
costituito in seno al consiglio di amministrazione.
Il comitato è composto da un numero minimo di 2 componenti. Possono farne parte gli
amministratori che siano indipendenti, abbiano i requisiti di onorabilità e professionalità
previsti dallo statuto, non abbiano incarichi operativi all’interno della società; almeno uno
dei due deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili.
Il comitato per il controllo deve:
a) Eleggere al suo interno il presidente;
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comprarne il controllo offrendo agli azionisti un prezzo superiore al valore che le azioni
hanno raggiunto con l’attuale gestione.
L’art. 92 TUF enuncia il principio secondo il quale gli emittenti quotati “ assicurano il
medesimo trattamento a tutti i portatori degli strumenti finanziari quotati che si trovino in
identiche condizioni e […] garantiscono a tutti i portatori degli strumenti finanziari quotati
gli strumenti e le informazioni necessari per l'esercizio dei loro diritti”.
L’art. 93 TUF definisce che cosa si intende per imprese controllate.
20.3 L’appello al pubblico risparmio. L’offerta pubblica di sottoscrizione e vendita
Il TITOLO II APPELLO AL PUBBLICO RISPARMIO CAPO I Offerta al pubblico di
sottoscrizione e di vendita del TUF si occupa della disciplina dell’appello al pubblico
risparmio. Il CAPO II si occupa delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio.
Le operazioni sulle azioni (o altri prodotti finanziari) che consistono in offerte di vendita
indirizzate a tutto il pubblico di risparmiatori o in offerte indirizzate a tutti i risparmiatori
proprietari di determinati titoli, pongono problemi di protezione degli interessi coinvolti. Il
principale è quello di evitare che i risparmiatori possano essere ingannati, in particolare in
mancanza di una serie di informazioni sullo stato attuale dell’impresa.
Un elemento di differenza tra le ipotesi disciplinate nel TITOLO II è quella in cui il
risparmiatore è destinatario di un’offerta di vendita proveniente da un soggetto che ha una
conoscenza esatta e completa della società (nel caso di obbligazioni la società stessa o il
socio che la controlla CAPO I), e quella in cui l’offerente è un terzo che si offre di comprare
i titoli posseduti dal risparmiatore (offerta di acquisto disciplinata nel CAPO II).
Nel primo caso esiste un’asimmetria informativa in cui una delle parti di potenziale
contratto possiede informazioni che l’altra parte non ha. Si pone pertanto l’esigenza di
disciplina non solo per proteggere la parte disinformata, ma anche di prevenire il rischio di
una sottovalutazione di tutti i prodotti sul quel mercato. Si spiega la disciplina degli artt. Dal
93-bis al 101 TUF che ruota intorno all’obbligo per l’offerente di redigere il prospetto
d’offerta: documento che deve contenere una serie di informazioni e che deve essere
preventivamente comunicato alla CONSOB, che “verifica la completezza del prospetto
nonché la coerenza e la comprensibilità delle informazioni fornite”.
20.4 Le offerte pubbliche di acquisto o di scambio. Definizioni e problemi generali
Il Capo II contiene la disciplina delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio (OPA). Se i
titoli acquisti attraverso l’adesione all’OPA hanno come corrispettivo un prezzo in danaro,
ci si trova di fronte ad un’OPA in senso stretto. Qualora il corrispettivo consista in
strumenti finanziari o altri beni, si parla di OPS (offerta pubblica di scambio). Entrambe si
caratterizzano per aver ad oggetto beni (azioni) la cui valutazione dipende da un insieme
di fattori di difficile valutazione sia per il gran numero di destinatari che per l’ammontare.
Le offerte più importanti e delicate sono quelle connesse al trasferimento del controllo
della società. Se un soggetto possiede il 51% del capitale il trasferimento potrà avvenire
solo con il suo consenso: in questa ipotesi il trasferimento potrebbe avvenire senza alcuna
OPA. Nonostante ciò l’art. 106 TUF ha imposto a “chiunque, a seguito di acquisti ovvero di
maggiorazione dei diritti di voto, venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia
del trenta per cento ovvero a disporre di diritti di voto in misura superiore al trenta per
cento dei medesimi promuove un'offerta pubblica di acquisto rivolta a tutti i possessori di
111
titoli sulla totalità dei titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato in loro
possesso”.
La funzione di questa norma è quella di assicurare ai soci di minoranza un “premio” simile
a quello pagato dallo scalatore al vecchio gruppo di comando.
La situazione si presenta in termini molto diversi quando il gruppo di comando possiede
meno del 50% del suo capitale. In questo caso si danno diverse possibilità:
1) Lo scalatore può tentare di acquistare dal gruppo di comando le azioni da questo
possedute (se meno del 30% il discorso si conclude);
2) Se sono più del 30% scatta l’obbligo di promuovere un’offerta totalitaria.
3) Lo scalatore può anche tentare di comprare la maggioranza da altri soci mediante
un’offerta pubblica volontaria. In questo caso nulla esclude una competizione tra gruppo di
controllo e scalatore.
In queste ipotesi il compito del legislatore è predisporre norme che non favoriscano in
modo iniquo ne l’uno o l’altro dei contendenti.
Il legislatore ha scelto di non disciplinare la materia in modo cogente, ma rimettendo agli
statuti la scelta tra un regime più favorevole alle scalate e uno più favorevole alla difesa
dei gruppi di comando (art. 104 TUF).
20.5 L’offerta volontaria
Le OPA o le OPS possono essere volontarie o obbligatorie. La disciplina dell’OPA
volontaria contiene regole applicabili a tutte le fattispecie di OPA. L’art. 102 TUF dispone
che la decisione o il sorgere dell’obbligo di promuovere un’offerta sono senza indugio
comunicati alla CONSOB e resi pubblici. L’offerente deve promuovere tempestivamente
l’offerta e deve presentare alla CONSOB il documento di offerta destinato alla
pubblicazione. La CONSOB può indicare le informazioni integrative e le garanzie da
prestare. In presenza di determinate condizioni la CONSOB può sospendere l’offerta o
dichiararla decaduta.
L’art. 103 TUF dispone che l’offerta è irrevocabile e che ogni clausola contraria è nulla;
essa è rivolta a parità di condizioni a tutti i titolari del prodotti finanziari che ne formano
l’oggetto; vi è infine l’obbligo per la società emittente di un comunicato contenente ogni
dato utile per l’apprezzamento dell’offerta e la propria valutazione dell’offerta.
20.6 Le offerte obbligatorie
La sezione II “Offerte pubbliche di acquisto” riguarda l’ “Offerta pubblica di acquisto
totalitaria”; l’ “Offerta pubblico di acquisto preventiva” e l’ “Obbligo di acquisto”.
L’offerta pubblico di acquisto totalitaria deve essere promossa da “Chiunque, a seguito di
acquisti ovvero di maggiorazione dei diritti di voto, venga a detenere una partecipazione
superiore alla soglia del trenta per cento”. L’art. 105 TUF precisa che per partecipazione
“si intende una quota, detenuta anche indirettamente per il tramite di fiduciari o per
interposta persona, dei titoli emessi da una società di cui al comma 1 che attribuiscono
diritti di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o revoca degli
amministratori o del consiglio di sorveglianza”.
Chi si trova in tale situazione deve promuovere l’offerta entro 20 giorni dal verificarsi
dell’evento “a un prezzo non inferiore a quello più elevato pagato dall'offerente e da
persone che agiscono di concerto con il medesimo, nei dodici mesi anteriori alla
112
comunicazione di cui all'articolo 102, comma 1, per acquisti di titoli della medesima
categoria”.
20.7 L’informazione societaria
Oltre all’informazione periodica (bilancio, situazioni trimestrali) ed a quella legata al
verificarsi di particolari eventi (pubblicazione del prospetto in caso di sollecitazione
all’investimento) la società quotata è tenuta ad fornire al pubblico un’informazione
privilegiata continuativa.
Per “informazione privilegiata si intende un'informazione di carattere preciso, che non è
stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti
strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire
in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari” (art. 181 TUF).
L’informazione si ritiene di carattere preciso se si riferisce ad eventi già verificatisi o
ragionevolmente prevedibili e sia sufficientemente specifica; per informazione che se resa
pubblica potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi “si intende un'informazione che
presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui
fondare le proprie decisioni di investimento”.
20.8 Gli assetti proprietari
Sotto questa epigrafe viene raggruppata la trattazione di vari argomenti. Il primo riguarda
gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti (art. 120 TUF); il secondo
riguarda l’ipotesi in cui le partecipazioni divengano reciproche (art. 121 TUF).
20.9 219-bis L’assemblea e i diritti degli azionisti
Per le società quotate è stata introdotta una disciplina volta a rinforzare i diritti dei soci e,
soprattutto, a facilitarne l’esercizio.
L’art. 83-sexis TUF prevede che l’intermediario effettui una comunicazione all’emittente in
cui attesta chi sia il soggetto cui spetta il diritto di voto, sulla base di quanto risulta dalla
scritture contabili. Le registrazioni in accredito e in addebito sui conti successive al settimo
giorno di mercato precedente alla data fissata per l’assemblea non rilevano ai fini della
legittimazione all’esercizio del diritto di voto.
La nuova disciplina (D.Lgs. 27/2010) prevede inoltre:
- Una nuova disciplina dell’avviso di convocazione della assemblea;
- L’obbligo per gli amministratori o soci che abbiano chiesto la convocazione
dell’assemblea, di porre a disposizione una relazione per ciascuna delle materie all’ordine
del giorno;
- La possibilità per i soci che rappresentano almeno 1/40 del capitale sociale di chiedere
l’integrazione delle materie da trattare;
- Il diritto di porre domande sulle materie all’ordine del giorno anche prima
dell’assemblea.
20.10 La sollecitazione e la richiesta di deroghe
Nelle società quotate il fenomeno della rappresentanza dei soci in assemblea ha
connotazioni proprie molto diverse da quelle della rappresentanza in generale.
Nelle SPA quotate la rappresentanza può servire non a rendere possibile al rappresentato
socio l’esercizio di quel diritto di voto che materialmente non è in grado di effettuare
113
114
- Nel sistema tradizionale “almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione,
ovvero due se il consiglio di amministrazione sia composto da più di sette componenti,
devono possedere i requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall'articolo 148, comma
3, nonché, se lo statuto lo prevede, gli ulteriori requisiti previsti da codici di comportamento
redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria” (art.
147-ter TUF);
- Nel sistema dualistico, qualora il consiglio di gestione sia composto da almeno quattro
membri, almeno uno deve possedere i requisiti di indipendenza;
- Nel sistema monistico non sono previste particolari norme; tuttavia il membro
espressione delle liste di minoranza, deve essere in possesso dei requisiti di onorabilità,
professionalità e indipendenza.
Al fine di offrire garanzie al mercato che i soggetti posti al vertice delle società quotate
sono di comprovata onestà, è disposto che essi devono possedere i requisiti di onorabilità
stabiliti per i membri degli organi di controllo.
20.13 L’organo di controllo
Per quanto concerne l’organo di controllo delle società per azioni quotate la disciplina
speciale è più articolata e complessa rispetto all’organo di gestione. Il TUF ha disciplinato
specificatamente una serie di aspetti, talvolta riproducendo le regole generali, talaltra
dettando regole diverse. Infine ha individuato norme del codice civile non applicabili
all’organo di controllo delle società quotate.
Per il modello tradizionale il numero di sindaci effettivi non può essere inferiore a tre; è
previsto che la regolamentazione relativa alla nomina dei membri del collegio sindacale
non è rimessa allo statuto, ma a uno specifico regolamento CONSOB; è inoltre previsto
che il presidente del collegio sindacale è nominato dall’assemblea tra i sindaci eletti dalla
minoranza.
Nel modello dualistico è prevista la nomina dei membri di minoranza, mentre non vi è
alcun vincolo per la nomina del presidente del consiglio di sorveglianza (art. 148 TUF).
Nel modello monistico, le regole per la nomina del rappresentante della minoranza sono
quelle previste in materia di amministratori, ma il presidente del comitato di controllo sulla
gestione deve essere scelto tra i membri del comitato indicati dalla minoranza.
Fra le cause di ineleggibilità di decadenza dei membri degli organi di controllo la disciplina
per le società quotate ricalca quella dell’art. 2399 con alcune varianti che ne rafforzano
l’indipendenza: assenza di legami patrimoniali e professionali.
Nelle società quotate, al fine di assicurare l’efficacia dei controlli interni, con regolamento
CONSOB sono stabiliti limiti al cumulo di incarichi di amministrazione e controllo; è inoltre
previsto che i componenti degli organi di controllo siano tenuti a dare pubblicità di tutti i
loro incarichi informando CONSOB e il pubblico.
I doveri degli organi di controllo delle società quotate sono disciplinati in modo
sostanzialmente simile a quello che avviene per le altre società.
20.14 La revisione legale dei conti
Nelle società quotate la funzione della revisione legale assume particolare rilevanza in
virtù della importanza che le informazioni contabili rivestono nella determinazione
all’investimento da parte del mercato. Per tale motivo il legislatore ha rafforzato l’apparato
115
dei controlli, l’indipendenza dei revisori e reso l’informazione contabile sempre più
accurata e conforme agli standard internazionali.
Le società quotate sono considerate ai fini della disciplina della revisione legale degli enti
di interesse pubblico. Ciò comporta l’applicazione di alcune regole contenute nella Legge
sulla revisione [DECRETO LEGISLATIVO 27 gennaio 2010, n. 39] che prevede regole
più stringenti in materia di indipendenza del revisore, l’obbligo del revisione di una
relazione periodica di trasparenza, particolari obblighi di rapporto con gli organi di
controllo, la sottoposizione del revisore alla vigilanza della CONSOB.
116
21 IL BILANCIO
21.1 I libri sociali obbligatori e l’informazione dei soci
L’art. 2421 prevede che la società deve tenere oltre i libri e le scritture quali libro giornale,
libro degli inventari, fascicolo della corrispondenza e altre scritture richieste in base alla
natura e dimensione dell’impresa, anche:
“1) il libro dei soci, nel quale devono essere indicati distintamente per ogni categoria il
numero delle azioni, il cognome e il nome dei titolari delle azioni nominative, i trasferimenti
e i vincoli ad esse relativi e i versamenti eseguiti;
2) il libro delle obbligazioni, il quale deve indicare l'ammontare delle obbligazioni emesse e
di quelle estinte, il cognome e il nome dei titolari delle obbligazioni nominative e i
trasferimenti e i vincoli ad esse relativi;
3) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, in cui devono essere
trascritti anche i verbali redatti per atto pubblico;
4) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o del
consiglio di gestione;
5) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale ovvero del consiglio di
sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione;
6) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, se questo esiste;
7) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti, se
sono state emesse obbligazioni.
8) il libro degli strumenti finanziari emessi ai sensi dell'articolo 2447-sexies”.
Alcuni dei libri indicati nella norma non sono obbligatori per tutte le società; la norma indica
i soggetti obbligati a tenere i singoli libri e le relative modalità.
L’art. 2422 attribuisce ai soci “il diritto di esaminare i libri indicati nei numeri 1 e 3
dell'articolo precedente e di ottenerne estratti a proprie spese”.
In generale, tuttavia, l’unica fonte di informazioni per il socio risulta essere il bilancio
d’esercizio. Il bilancio è un documento pubblico di cui può prendere visione qualsiasi
socio e qualsiasi terzo.
“Entro trenta giorni dall'approvazione una copia del bilancio, corredata dalle relazioni
previste dagli articoli 2428 e 2429 e dal verbale di approvazione dell'assemblea o del
consiglio di sorveglianza, deve essere, a cura degli amministratori, depositata presso
l'ufficio del registro delle imprese o spedita al medesimo ufficio a mezzo di lettera
raccomandata.
Entro trenta giorni dall'approvazione del bilancio le società non aventi azioni quotate in
mercati regolamentati sono tenute altresì a depositare per l'iscrizione nel registro delle
imprese l'elenco dei soci riferito alla data di approvazione del bilancio, con l'indicazione del
numero delle azioni possedute, nonché dei soggetti diversi dai soci che sono titolari di
diritti o beneficiari di vincoli sulle azioni medesime. L'elenco deve essere corredato
dall'indicazione analitica delle annotazioni effettuate nel libro dei soci a partire dalla data di
approvazione del bilancio dell'esercizio precedente” (art. 2435).
117
Il meccanismo di difesa del patrimonio per il capitale funziona analogamente per le riserve.
21.4 La disciplina del bilancio: i problemi principali
L’art. 2423 indica i principi generali di redazione del bilancio: “Il bilancio deve essere
redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio”.
Il bilancio offre un’immagine convenzionale della situazione economica (patrimoniale e
finanziaria) della società e a seconda dell’interesse che si ritiene meritevole di tutelare, il
principio di verità potrà essere limitato, o diversamente articolato, dalle norme che fissano
specifici criteri di redazione in relazione alle singole categorie di beni.
In questa prospettiva, i problemi principali sono tre:
1) Quello della valutazione dei vari elementi dell’attivo e del passivo, ovvero l’esistenza di
valori considerati oggettivamente veri da iscrivere a bilancio;
2) Quello dell’analiticità dei bilancio;
3) Quello dei beni iscrivibili a bilancio.
21.5 Segue: i criteri di valutazione e gli interessi in gioco
La soluzione dei problemi indicati spetta al legislatore, e dipende dalle norme che
disciplinano il bilancio.
Uno dei criteri più utilizzati dalla disciplina vigente, è il criterio del costo. L’art. 2426
stabilisce che tutte le immobilizzazioni devono essere iscritte al costo di acquisto o di
produzione o, ricorrendo certe circostanze (utilizzazione limitata nel tempo, diminuzione
reale di valore) ad un valore inferiore e che le rimanenze devono essere iscritte anch’esse
al costo o, se minore, al valore di realizzazione.
Questa disciplina adotta un criterio prudenziale, ovvero restringe i margini di
discrezionalità dei redattori del bilancio.
Questa impostazione prudenziale e vincolante fa sì che il bilancio possa risultare opaco,
ovvero fornisce informazioni il cui contenuto è imposto in maniera standardizzata, d’altra
parte esalta la funzione protezionistica, nel senso che la società, tendenzialmente
impossibilitata a sopravvalutare certi beni, e costretta a sottovalutarne altri, risulta
sottoposta al rigore di norme che le impongono di non distribuire utili, in caso di perdite.
Un’impostazione completamente diversa è adottata nei principi contabili internazionali, con
la sostituzione del principio del costo con il criterio del c.d. fair value (valore equo), che
tende ad identificarsi con il valore di mercato. La finalità dichiarata di questo sistema è
quella di utilizzare il bilancio esclusivamente come strumento di informazione degli
investitori.
Con il D.Lgs. 38/2005 è stata avviata nel nostro ordinamento l’introduzione di questi
principi contabili internazionali, che progressivamente sostituiranno le norme del codice
civile.
21.6 Le norme in tema di redazione del bilancio
Il bilancio si compone di tre parti, del cui contenuto si occupano l’art. 2424, che detta uno
schema di stato patrimoniale, l’art. 2425 che contiene lo schema del conto economico
e l’art. 2427 che descrive il contenuto della nota integrativa. L’art. 2426 indica invece i
criteri per le valutazioni.
119
ii) l'immobilizzazione che, alla data della chiusura dell'esercizio, risulti durevolmente di
valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale
minore valore. Il minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono
venuti meno i motivi della rettifica effettuata;
Regole particolari valgono per le immobilizzazioni finanziarie, per le partecipazioni in
imprese controllate, per la valutazione dei crediti.
Il costo dei beni fungibili (c.d. magazzino) “può essere calcolato col metodo della media
ponderata o con quelli: "primo entrato, primo uscito" o: "ultimo entrato, primo uscito" ; se il
valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura
dell'esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota
integrativa” (art. 2426 com. 10).
21.8 Il passivo
La disciplina del passivo dello stato patrimoniale appare, rispetto alla parte attiva,
notevolmente più sintetica.
Le voci del passivo sono raggruppate in categorie:
1) Cat. Sub A), indicata come patrimonio netto (passivo ideale), non consiste in una
passività vera, ma adempie la funzione di garantire i terzi creditori da una distribuzione di
utili non consentita.
2) Cat. Sub B) va riferita ad “accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a
coprire perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali
tuttavia alla chiusura dell'esercizio sono indeterminati o l'ammontare o la data di
sopravvenienza”.
3) Cat. Sub C) risulta un debito (trattamento di fine rapporto subordinato) certo, ma da
determinarsi nel suo importo.
4) Cat. Sub D) vanno indicati tutti i debiti certi e di ammontare determinato,
5) Cat. Sub E) “Nella voce ratei e risconti attivi devono essere iscritti i proventi di
competenza dell'esercizio esigibili in esercizi successivi, e i costi sostenuti entro la
chiusura dell'esercizio ma di competenza di esercizi successivi”.
21.9 Le deroghe alle norme sul bilancio
L’art. 2423 prevede che “Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli
articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la
disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e
deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria
e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in
una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato”.
Il legislatore prende atto della possibilità che indicazioni formulate in maniera così
generale possano risultare in casi particolari inadeguate ed obbliga, con cautela, a
discostarsene.
21.10 Le competenze dei diversi organi sociali nella redazione del bilancio di
esercizio
Il bilancio viene redatto dagli amministratori (si tratta di una attribuzione che non può
essere delegata ad alcuni soltanto di essi).
121
“Il bilancio deve essere comunicato dagli amministratori al collegio sindacale, e al soggetto
incaricato della revisione legale dei conti, con la relazione, almeno trenta giorni prima di
quello fissato per l'assemblea che deve discuterlo.
Il collegio sindacale deve riferire all'assemblea sui risultati dell'esercizio sociale e
sull'attività svolta nell'adempimento dei propri doveri, e fare le osservazioni e le proposte in
ordine al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riferimento all'esercizio della
deroga di cui all'articolo 2423, quarto comma. Il collegio sindacale, se esercita il controllo
contabile, redige anche la relazione prevista dall'articolo 2409-ter.
Il bilancio, con le copie integrali dell'ultimo bilancio delle società controllate e un prospetto
riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio delle società collegate, deve restare
depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori,
dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, durante i quindici
giorni che precedono l'assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne
visione” (art. 2429).
Normalmente deve essere sottoposto all’approvazione dell’assemblea dei soci. Nelle
società che hanno adottato il sistema dualistico, l’approvazione è tendenzialmente di
competenza del consiglio di sorveglianza.
21.11 L’invalidità della delibera di approvazione del bilancio
La delibera di approvazione del bilancio può essere viziata (oltre che dalle ordinarie cause
comuni) sia da irregolarità relative alla formazione del bilancio stesso, sia al suo
contenuto. Nel primo caso, vizi del procedimento, la sanzione è quella dell’annullabilità
della delibera. Nel secondo caso, vizi del contenuto, in caso di vizi particolarmente gravi,
la sanzione è la nullità.
È comunque stato imposto in limite generale alla proponibilità delle azioni, sia di
annullamento sia di nullità, dei bilanci, che si aggiunge a quelli loro propri di 90 giorni e di
3 anni e che coincide con l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo.
Un ulteriore limite è stabilito nel fatto che la legittimazione ad impugnare la delibera di
approvazione di un bilancio su cui i revisori non hanno formulato rilievi spetti solo ai soci
che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale.
21.12 La destinazione degli utili
L’art. 2433, dispone che la decisione sulla distribuzione degli utili è presa dall’assemblea
che approva il bilancio o in caso di approvazione da parte del consiglio di sorveglianza da
un’assemblea appositamente convocata.
Questa disciplina differisce profondamente rispetto a quella delle società di persone, dove
è previsto che il socio ha diritto alla quota di utili dopo l’approvazione del rendiconto. Nelle
società di capitali, il diritto del socio nasce solo se, e quando, la distribuzione degli utili
venga deliberata dall’assemblea.
Il terreno della divisione degli utili è quello di maggior conflitto tra soci di maggioranza e
soci di minoranza. La mancata distribuzione degli utili potrà essere sanzionata con
l’annullamento della delibera solo quando il socio dissenziente sia in grado di dimostrare
un intento abusivo del gruppo di comando.
122
Non tutti gli utili risultanti dal bilancio possono essere distribuiti. Se il capitale sociale ha
subito negli esercizi precedenti una perdita “non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a
che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente”(art. 2433).
Dagli utili deve essere prelevata la 20 parte per costituire una riserva (riserva legale), “sino
a quando tale riserva non abbia raggiunto un quinto del capitale sociale”. Possono esservi
inoltre norme statutarie che prevedono particolari destinazioni degli utili.
Altre regole sono stabilite in base alle quali “Non possono essere pagati dividendi sulle
azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente
approvato. I dividendi erogati in violazione delle disposizioni del presente articolo non sono
ripetibili, se i soci li hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente
approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti” (art. 2433).
21.13 Il bilancio consolidato
L’art. 25 del D.Lgs. 127/1991 - Imprese obbligate a redigere il bilancio consolidato,
sancisce che: “Le società per azioni, in accomandita per azioni, e a responsabilità limitata
che controllano un'impresa debbono redigere il bilancio consolidato secondo i criteri
stabiliti dalle disposizioni degli articoli seguenti. Lo stesso obbligo hanno gli enti di cui
all'art. 2201 del c.c., le società cooperative e le mutue assicuratrici che controllano una
società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata”.
Il bilancio consolidato deve offrire una rappresentazione veritiera e corretta della
situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico del complesso delle imprese
costituito dalla controllante e dalla controllata.
Esso consente di valutare il valore e la redditività del gruppo, rimuovendo gli ostacoli ad
una corretta informazione sull’andamento del gruppo.
I confini dell’area di consolidamento devono anche tener conto dei casi di esonero e di
esclusione. Sono esonerati: i gruppi di minori dimensioni identificati in base a parametri
(attivi degli stati patrimoniali, ai ricavi delle vendite e prestazioni; ai dipendenti occupati);
sono esonerate le imprese a loro volta controllate.
L’esclusione (facoltativa) dal consolidamento riguarda ipotesi in cui: il consolidamento
sarebbe irrilevante; l’esercizio dei diritti della controllante è soggetto a gravi e durature
restrizioni.
21.14 Segue: i principi di consolidamento
Il bilancio consolidato è redatto dagli amministratori dell’impresa controllante. L’art. 31
D.Lgs. 127/1991 stabilisce che “Nella redazione del bilancio consolidato gli elementi
dell'attivo e del passivo nonché i proventi e gli oneri delle imprese incluse nel
consolidamento sono ripresi integralmente”.
21.15 Il bilancio in forma abbreviata
La norma impone alle società oneri per la redazione dello stato patrimoniale, del conto
economico e degli altri documenti che formano il complesso dei conti annuali. È tuttavia
possibile redigere il bilancio in forma abbreviata. Tale possibilità è riservata alle società
che nel primo esercizio, o successivamente per due esercizi consecutivi, non abbia
superato due dei seguenti limiti.
a) Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 €;
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24 LA SOCIETÀ EUROPEA
24.1 Origine, nozione e obiettivi
La società europea (SE) è stata introdotta nell’ordinamento degli stati europei con
Regolamento del 2001. La normativa ha dato origine ad una nuova forma di società per
azioni a responsabilità limitata, dotata di personalità giuridica e nella quale verrà
gradualmente ad attuarsi il coinvolgimento dei lavoratori ai problemi e alle decisioni che
incidono sulla vita della SE.
Lo stesso regolamento individua con chiarezza gli obiettivi perseguiti:
a) Favorire la ristrutturazione dei fattori produttivi in dimensioni adeguate a quella della
Comunità, per completare il mercato interno;
b) Mettere in comune il potenziale di imprese esistenti in diversi stati membri e consentire
la riorganizzazione delle imprese su scale comunitaria;
c) Consentire la costituzione di società che sono regolate da una disciplina uniforme
direttamente applicabile in tutti i stati membri.
Oltre alla SE esiste anche una Società Cooperativa Europea ed è in via di introduzione un
Società Privata Europea.
24.2 Norme applicabili: rilevanza della sede della SE
La SE è disciplinata:
a) Dalle disposizioni del regolamento;
b) Ove espressamente previsto dal regolamento, dalle disposizioni dello statuto della SE;
c) Per le materie non disciplinate dal regolamento: 1) dalle leggi nazionali adottate in
applicazione delle norme comunitarie concernenti le SE; 2) dalle leggi nazionali che si
applicherebbero ad una SPA che avesse sede nello Stato membro ove ha sede la SE; 3)
dallo statuto della SE nella misura in cui ciò sarebbe consentito dalla legge nazionale.
Ai fini della determinazione delle regole applicabili acquista decisiva rilevanza il luogo ove
la SE ha la sua sede, ovvero ove è situata l’amministrazione centrale.
24.3 Funzione della Se e modalità di costituzione
La SE è uno strumento giuridico creato per perseguire gli obbiettivi sopra descritti ed
assolvere a funzioni specifiche: essa non può essere utilizzata al solo scopo di creare
iniziative imprenditoriali a carattere locale, ma devono ricorrere fattispecie indicate dal
regolamento.
Le norme per la costituzione di una SE sono tutte fondate sul requisito della
partecipazione di almeno due imprese aventi sede in diversi stati UE per dar luogo a
processi di crescita, integrazione, aggregazione e ristrutturazione e la creazione di joint
ventures (associazione temporanea di impresa).
a) Fusione di due o più società per azioni, aventi la sede sociale e l’amministrazione
centrale nella UE che può essere realizzata esclusivamente qualora almeno due di esse
siano soggette alla legge di due stati membri differenti.
b) Costituzione di una holding comune.
c) La costituzione di una SE affiliata.
132
d) Trasformazione di una SPA. Una SPA avente sede sociale e amministrazione nella UE
può trasformarsi in una SE qualora abbia almeno da due anni una affiliata soggetta alla
legge di un altro stato.
Per il resto la costituzione di una SE è disciplinata dalla legislazione applicabile alle SPA
dello stato in cui la SE stabilisce la sua sede legale.
24.4 La struttura della SE
La SE ha un assetto organizzativo variabile in funzione del sistema di amministrazione e
controllo adottato. È presente in ogni caso un’assemblea generale degli azionisti,
affiancata da un organo di gestione (organo di direzione) e da un organo di controllo
(organo di vigilanza) nel sistema dualistico, o soltanto da un organo di gestione (organo di
amministrazione) nel sistema monistico.
24.5 Il coinvolgimento dei lavoratori nella SE
Al fine di promuovere gli obiettivi sociali della UE e garantire che, nella prassi, gli obblighi
concernenti il coinvolgimento dei lavoratori siano disattesi, è stata adottata una specifica
direttiva che possa su tre cardini:
a) Procedura di negoziazione. All’atto della costituzione di una SE, gli organi delle società
partecipanti devono avviare una negoziazione con i rappresentati dei lavoratori circa le
modalità di coinvolgimento dei lavoratori stessi nella SE;
b) Diritti di informazione e di consultazione. All’esito delle negoziazioni le parti raggiungono
un accordo in merito. In caso di fallimento devono comunque essere garantiti ai lavoratori i
diritti di informazione minimi.
c) Partecipazione dei lavoratori agli organi della SE. Se almeno una delle società
partecipanti era soggetta a disposizioni per la partecipazione dei lavoratori agli organi
sociali, tale prerogativa deve essere conservata nella SE.
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costituisce l'oggetto sociale; 4) l'ammontare del capitale, non inferiore a diecimila euro,
sottoscritto e di quello versato; 5) i conferimenti di ciascun socio e il valore attribuito crediti
e ai beni conferiti in natura; 6) la quota di partecipazione di ciascun socio; 7) le norme
relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la
rappresentanza; 8) le persone cui è affidata l'amministrazione e l'eventuale soggetto
incaricato di effettuare la revisione legale dei conti; 9) l'importo globale, almeno
approssimativo, della spese per la costituzione poste a carico della società”.
Tra le differenze rispetto all’atto costitutivo della SPA vi sono:
a) Il capitale sociale deve essere non inferiore a 10000€ (50000€ Spa);
b) Il capitale sociale non è, e non può essere, diviso in azioni;
c) L’atto costitutivo deve contenere le norme relative al funzionamento della società,
indicando quelle concernenti l’amministrazione e la rappresentanza.
d) Non è espressamente previsto che debba indicarsi un termine di durata o che la società
è contratta a tempo indeterminato.
25.3 Conferimenti e finanziamenti
L’assetto finanziario della SRL può essere strutturato dai soci con una certa libertà. La
prima essenziale fonte di finanziamento è rappresentata dalla formazione del capitale
sociale che i soci devono effettuare in sede di costituzione della società mediante
conferimenti (che possono essere in ogni momento incrementati).
Come nelle SPA, “il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore
all’ammontare globale del capitale sociale” (art. 2464), e dunque i soci possono farsi
carico in maniera non proporzionata dell’obbligo di conferimento purché sia assicurata
l’intera copertura del capitale sociale.
Quanto ai beni conferibili, nella SRL possono essere conferiti tutti gli elementi all’attivo
suscettibili di valutazione economica. Due sono gli elementi caratterizzanti del
conferimento: da un lato la sua possibilità di essere inserito tra le poste dell’attivo dello
stato patrimoniale; dall’altro la sua idoneità ad essere valutato economicamente (ovvero
che si traduca in un’utilità per la società).
Elementi caratterizzati dall’immaterialità (know-how, l’avviamento, una concessione)
possono costituire oggetto di conferimento.
Se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente il conferimento deve farsi in denaro,
con obbligo, contestualmente alla sottoscrizione delle quote, di un versamento del 25% del
conferimento (l’obbligo si estende al 100% nel caso di costituzione con atto unilaterale).
Nelle SRL è data la possibilità di sostituire il versamento in danaro con “la stipula per un
importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione
bancaria”.
Peculiarità della SRL tra le società di capitali è che i soci possono anche conferire la
prestazione d’opera e di servizi a favore della società, purché il conferimento sia assistito
da una polizza assicurativa o da una fideiussione bancaria che garantisca, in caso di
inadempimento da parte del socio, la corretta e completa formazione del capitale sociale.
Anche per le SRL è dettata una disciplina specifica con riguardo alla stima dei
conferimenti in natura.
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La seconda fonte di finanziamento è costituita dal finanziamento dei soci in forma diversa
dal conferimento. I soci possono ritenere più conveniente apportare risorse finanziarie
anziché con la forma del conferimento, con ciò vincolando le relative risorse alla rigida
disciplina del capitale sociale, mediante la concessione di finanziamenti alla società
(attuabili in diverse forme).
Il rimborso dei finanziamenti attuati dai soci a favore della società, prevede un regime di
post-erogazione del credito dei soci, rispetto agli altri creditori sociali e un obbligo di
restituzione di ogni importo eventualmente rimborsato dalla società ai soci nell’anno
anteriore alla dichiarazione di fallimento della società stessa. Si tratta di quei finanziamenti
“che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività
esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al
patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe
stato ragionevole un conferimento” (art. 2467).
A differenza della SPA la SRL non può emettere obbligazioni, tuttavia è consentito alla
SRL un limitato accesso al mercato dei capitali mediante l’emissione dei titoli di debito,
che possono essere sottoscritti solo da investitori professionali: nel caso questi titoli di
debito venano trasferiti dagli investitori professionali a terzi, gli investitori professionali
risponderanno della solvenza della società.
25.4 Le quote di partecipazione
Nella SRL le quote di partecipazione dei soci “non possono essere rappresentate da
azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari” (art. 2468).
La titolarità della partecipazione non è collegata al possesso di alcun titolo materiale, ma è
soltanto il risultato dell’originaria attribuzione nell’atto costitutivo e, successivamente, degli
eventuali accordi per il suo trasferimento.
Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le quote di partecipazione dei soci sono
determinate in modo proporzionale al conferimento, e in misura proporzionale alla quota di
partecipazione posseduta da ciascun socio spettano i diritti sociali, salvo che l’atto
costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti
l’amministrazione o la distribuzione degli utili. Tali diritti particolari possono essere
modificati soltanto con il consenso di tutti i soci.
Le partecipazioni dei soci sono di norma liberamente trasferibili sia per atto tra vivi sia per
mortis causa; l’atto costitutivo può prevedere l’assoluta intrasferibilità delle stesse, sia
particolari clausole che condizionano l’efficacia o la validità del trasferimento
all’espletamento di particolari procedure preventive, quali le clausole di prelazione e di
gradimento.
La legge attribuisce però al socio un vero e proprio diritto all’uscita dall’investimento
effettuato nella società. L’art. 2469 dispone che “Qualora l'atto costitutivo preveda
l'intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi
sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti
che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi
possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2473”.
Il diritto di recesso può essere limitato dall’atto costitutivo per un periodo massimo di due
anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della quota.
136
statutarie, deve avvenire con raccomandata spedita ai soci almeno 8 giorni prima della
riunione; l’atto costitutivo può determinare modi alternativi di convocazione.
In mancanza di regolare convocazione “In ogni caso la deliberazione s'intende adottata
quando ad essa partecipa l'intero capitale sociale e tutti gli amministratori e sindaci sono
presenti o informati della riunione e nessuno si oppone alla trattazione dell'argomento”(art.
2479-bis).
Con riguardo alla rappresentanza in assemblea, in assenza di specifiche disposizioni, il
socio può nominare un delegato, ma l’atto costitutivo può restringere questa facoltà
imponendo che la delega sia conferita esclusivamente ad altro socio.
L’assemblea, che si tiene normalmente presso la sede sociale, è costituita regolarmente
con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale e
delibera a maggioranza assoluta (dei presenti). Essa è presieduta dalla persona indicata
nell’atto costitutivo o in difetto da quella designata dagli intervenuti.
La disciplina dell’invalidità delle decisioni dei soci è ispirata a quella delle SPA. È prevista
una forma di invalidità (annullabilità) per le decisioni dei soci non conformi alla legge e
all’atto costitutivo, da farsi valere mediante impugnazione da proporsi, entro 90 giorni
dall’iscrizione della delibera sul libro delle decisioni dei soci, ad opera dei soci assenti o
dissenzienti, da ciascun amministratore e dal collegio sindacale (sono comprese le
deliberazioni adottate con il foto favorevole del socio portatore di interessi propri).
L’impugnazione dei vizi può indurre il Tribunale, “qualora ne ravvisi l'opportunità e ne sia
fatta richiesta dalla società o da chi ha proposto l'impugnativa, può assegnare un termine
non superiore a centottanta giorni per l'adozione di una nuova decisione idonea ad
eliminare la causa di invalidità” (art. 2479-ter).
Un’ipotesi di nullità è quella che riguarda le decisioni aventi oggetto illecito o impossibile e
quelle prese in assenza assoluta di informazione, per le quali l’impugnazione può essere
proposta da chiunque vi abbia interesse entro 3 anni. Senza termine di prescrizione e
decadenza è l’impugnativa delle deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo
attività impossibili o illecite.
Infine, le decisioni dei soci devono essere documentate, a cura degli amministratori, nel
libro delle decisioni dei soci, nel quale sono trascritti senza indugio sia i verbali delle
assemblee, anche se redatti per atto pubblico, sia quelle adottate dai soci mediante le
modalità consentite. La relativa documentazione è conservata dalla società.
25.6 Amministrazione e controlli
Salvo diversa disposizione dello statuto, l’amministrazione della società è affidata a uno o
più soci nominati con decisione dei soci. A differenza della SPA, la carica di
amministratore può essere ricoperta soltanto da uno o più soci. Quindi la gestione
dell’impresa non spetta esclusivamente agli amministratori, visto il rilevante ruolo riservato
alle decisioni dei soci.
Le uniche materie riservate per legge alla competenza esclusiva dell’organo
amministrativo sono la redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione o
scissione, le decisioni sull’aumento di capitale (quando l’atto costitutivo ne assegni il
potere).
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La pubblicità della nomina degli amministratori è disciplinata dalle norme sulla SPA;
l’invalidità della nomina degli amministratori dotati di potere di rappresentanza, non è
opponibile ai terzi salvo che si provi che questi ne erano a conoscenza.
L’organo amministrativo può essere uni-personale (amministratore unico) o composta da
più persone; in quest’ultimo caso l’organo può operare sia in maniera collegiale (consiglio
di amministrazione), sia quando l’atto costitutivo lo prevede, con meccanismi congiuntivi
e/o disgiuntivi. Lo stesso consiglio di amministrazione può subire deroghe rispetto al
modello di stretta collegialità: al fine di assicurare speditezza nelle decisioni, è previsto che
le stesse siano adottate con consultazione scritta o sulla base di un consenso espresso
per iscritto.
La disciplina della rappresentanza ricalca quella della SPA: gli amministratori dotati di
rappresentanza hanno un potere generale e le eventuali limitazioni pubblicate non sono
opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi hanno agito intenzionalmente a danno della
società. “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni
derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per
l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che
dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per
compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso” (art. 2476).
Rilevante peculiarità della SRL è che l’azione (sociale) di responsabilità può essere
promossa da ciascun socio, indipendentemente dalla quota di partecipazione. Nel caso di
azione promossa dal singolo socio è data la possibilità a quest’ultimo di chiedere, qualora
lamenti gravi irregolarità, che sia adottato da giudice un provvedimento cautelare di revoca
degli amministrazione. “In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo
diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio
e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti. Salvo diversa disposizione dell'atto
costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di
rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza dei
soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano
tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale”.
È poi prevista una responsabilità diretta degli amministratori nei confronti dei singoli soci e
dei terzi.
Peculiarità della SRL, è la responsabilità, in solidarietà con gli amministratori, dei “soci che
hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i
soci o i terzi”.
Sul fronte dei controlli l’art. 2477 dispone che la SRL debba dotarsi di un collegio
sindacale se “la società: a) è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; b) controlla
una società obbligata alla revisione legale dei conti; c) per due esercizi consecutivi ha
superato due dei limiti indicati dal primo comma dell'articolo 2435-bis. L'obbligo di nomina
dell'organo di controllo o del revisore di cui alla lettera c) del terzo comma cessa se, per
due esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati”.
È inoltre previsto che “L'atto costitutivo può prevedere, determinandone le competenze e i
poteri, ivi compresa la revisione legale dei conti, la nomina di un organo di controllo o di un
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soci”. I soci di SRL sono posti tutti sullo stesso piano e partecipano alle perdite in maniera
rigidamente proporzionale alla propria partecipazione.
25.8 Recesso ed esclusione del socio
La disciplina sul recesso gioca un ruolo importante nella SRL, più che nella SPA. L’art.
2473 si apre con l’enunciazione del principio che l’atto costitutivo determina quando il
socio può recedere dalla società e le relative modalità. Massimo spazio concesso
all’autonomia contrattuale.
L’atto costitutivo può attribuire il diritto di recesso per ogni modifica dell’atto costitutivo;
possono legittimamente essere inserite clausole che attribuiscono il diritto di recesso a
seguito di scelte gestionali; ecc.
Probabilmente non ammissibili, nelle società contratte a tempo determinato, clausole che
consentano il recesso ad notum, cioè esercitabile in ogni tempo liberamente.
La norma prosegue elencando i casi nei quali il diritto di recesso è assicurato dalla legge:
“In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al
cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca
dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o
più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che
comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto
costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci.
I soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria
partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato
tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in
caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto
nominato dal Tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più
diligente; si applica in tal caso il primo comma dell'articolo 1349. Il rimborso delle
partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro
centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo fatta alla società. Esso può avvenire
anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro
partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi.
Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in
mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest'ultimo caso si
applica l'articolo 2482 e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della
partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione. Il recesso non
può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la
delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società”. (art. 2473).
Inoltre l’atto costitutivo può prevedere la possibilità di specifiche ipotesi di esclusione del
socio per giusta causa, ovvero di circostanze anche esterne alla vita della società idonee a
minare il rapporto fiduciario che sta alla base del contratto sociale. Il procedimento di
liquidazione per esclusione del socio è avviene sulla base del norme sul recesso.
25.9 La documentazione dell’attività sociale
L’attività della società deve essere documentata mediante la tenuta, oltre che dei libri e
delle scritture contabili, di alcuni libri sociali specificati all’art. 2478.
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“2) il libro delle decisioni dei soci, nel quale sono trascritti senza indugio sia i verbali delle
assemblee, anche se redatti per atto pubblico, sia le decisioni prese ai sensi del primo
periodo del terzo comma dell'articolo 2479; la relativa documentazione è conservata dalla
società; 3) il libro delle decisioni degli amministratori; 4) il libro delle decisioni del collegio
sindacale nominato ai sensi dell'articolo 2477 . I libri indicati nei numeri 2) e 3) del primo
comma devono essere tenuti a cura degli amministratori; il libro indicato nel numero 4) del
primo comma deve essere tenuto a cura dei sindaci”.
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della causa di scioglimento, debbono convocare l'assemblea dei soci perché deliberi, con
le maggioranze previste per le modificazioni dell'atto costitutivo o dello statuto, su:
a) il numero dei liquidatori e le regole di funzionamento del collegio in caso di pluralità di
liquidatori;
b) la nomina dei liquidatori, con indicazione di quelli cui spetta la rappresentanza della
società;
c) i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori, con
particolare riguardo alla cessione dell'azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di
singoli beni o diritti, o blocchi di essi; gli atti necessari per la conservazione del valore
dell'impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del
migliore realizzo.
Se gli amministratori omettono la convocazione di cui al comma precedente, il Tribunale vi
provvede su istanza di singoli soci o amministratori, ovvero dei sindaci, e, nel caso in cui
l'assemblea non si costituisca o non deliberi, adotta con decreto le decisioni ivi previste.
L'assemblea può sempre modificare, con le maggioranze richieste per le modificazioni
dell'atto costitutivo o dello statuto, le deliberazioni di cui al primo comma.
I liquidatori possono essere revocati dall'assemblea o, quando sussiste una giusta causa,
dal Tribunale su istanza di soci, dei sindaci o del pubblico ministero”.
L’art. 2487-ter prevede che “La società può in ogni momento revocare lo stato di
liquidazione, occorrendo previa eliminazione della causa di scioglimento, con
deliberazione dell'assemblea presa con le maggioranze richieste per le modificazioni
dell'atto costitutivo o dello statuto. Si applica l'articolo 2436. La revoca ha effetto solo dopo
sessanta giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della relativa deliberazione, salvo
che consti il consenso dei creditori della società o il pagamento dei creditori che non
hanno dato il consenso. Qualora nel termine suddetto i creditori anteriori all'iscrizione
abbiano fatto opposizione, si applica l'ultimo comma dell'articolo 2445”.
26.5 Poteri e obblighi dei liquidatori
L’art. 2487 lett. c) prevede che l’assemblea che nomina i liquidatori determina altresì “i
criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori, con particolare
riguardo alla cessione dell'azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o
diritti, o blocchi di essi; gli atti necessari per la conservazione del valore dell'impresa, ivi
compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore
realizzo”.
L’assemblea può inoltre disporre che i liquidatori non siano vincolati a compiere solo atti di
liquidazione, ma prevedere che gli stessi possano compiere veri e propri atti di gestione.
Compiuta la liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio finale, indicando la parte
spettante a ciascun socio nella divisione dell’attivo. Il bilancio deve essere depositato e dal
momento dell’iscrizione, decorrono i 90 giorni per proporre opposizione al Tribunale.
Decorso il termine, il bilancio si intende approvato; i liquidatori quindi devono chiedere la
cancellazione della società dal registro delle imprese.
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soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili; in ogni caso al socio che
non ha concorso alla decisione spetta il diritto di recesso” (la norma introduce
un’eccezione al principio dell’unanimità dei consensi dei soci per le trasformazioni dell’atto
costitutivo).
Una seconda norma attiene alla formazione del capitale della società risultante dalla
trasformazione.
L’art. 2500-quater si occupa della assegnazione delle quote nella società trasformata:
proporzionale alla sua partecipazione.
Ultimo aspetto riguarda la responsabilità dei soci: “La trasformazione non libera i soci a
responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali sorte prima degli
adempimenti previsti dal terzo comma dell'articolo 2500, se non risulta che i creditori
sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione.
Il consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata
comunicata per raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto
ricevimento, non lo hanno espressamente negato nel termine di sessanta giorni dal
ricevimento della comunicazione” (art. 2500-quinques).
27.3 La trasformazione da società di capitali
La trasformazione è deliberata con le maggioranze previste per le modifiche dello statuto.
Gli amministratori devono redigere una relazione motivata che illustri gli effetti e porla a
disposizione dei soci.
In tutti i tipi di società di persone esiste sempre almeno un socio illimitatamente
responsabile per le obbligazioni sociali. La trasformazione non può quindi avvenire senza
il consenso dei soci che con la trasformazione assumono una responsabilità illimitata, che
si estende anche alle obbligazioni sorte prima della trasformazione. I creditori preesistenti
vedono così sostituita la garanzia rappresentata dal capitale sociale con quella offerta
dalla responsabilità illimitata dei soci.
Le società di capitali possono anche trasformarsi in consorzi, associazioni riconosciute.
27.4 La fusione: nozione
Essa comporta l’integrazione tra patrimoni di due o più società, e sostituisce
un’organizzazione unitaria alla precedente pluralità.
La dottrina inquadra il fenomeno nell’ambito delle modificazioni del contratto sociale: la
fusione si configura come un mutamento delle caratteristiche delle organizzazioni
coinvolte.
L’art. 2504-bis (effetti della fusione) dispone che “La società che risulta dalla fusione o
quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione,
proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.
27.5 I limiti alla fusione. Il procedimento di fusione: fase preparatoria
“La partecipazione alla fusione non è consentita alle società in liquidazione che abbiano
iniziato la distribuzione dell'attivo” (art. 2501).
Il complesso procedimento prescritto dalla legge per la fusione di articola in tre fasi: a)
preparatoria; b) deliberativa; c) attuativa.
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28 LE COOPERATIVE
28.1 La nozione di mutualità
L’art. 2518 stabilisce che “Nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde
soltanto la società con il suo patrimonio”. Si tratta quindi di una forma di società che
consente la limitazione di responsabilità di tutti i soci.
L’art. 2511 dispone che “le cooperative sono società a capitale variabile con scopo
mutualistico”. L’art. 2515, prevede che “l’indicazione di cooperativa non può essere usata
da società che non hanno scopo mutualistico”.
Il concetto di mutualità si identifica nella fornitura di beni o di occasioni di lavoro
direttamente ai soci, a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato.
Nella prassi tuttavia si è assistito ad un progressivo degrado della categoria cooperazione,
e nella sua ibridazione con forme societarie che esercitano attività di tipo economico.
Di questa situazione ha preso atto il legislatore introducendo una distinzione tra
cooperative a mutualità prevalente e cooperative a mutualità non prevalente.
28.2 Le cooperative a mutualità prevalente
Si identificano in base alla contemporanea presenza di due caratteristiche: una attinente
alle modalità di svolgimento dell’attività (prevalentemente con soci o risorse fornite da
soci); l’altra attinente all’introduzione di determinate clausole statutarie. Sono cooperative
a mutualità prevalente quelle che svolgono la loro attività prevalentemente a favore dei
soci, o si avvalgono prevalentemente delle prestazioni dei soci, o si avvalgono
prevalentemente degli apporti dei soci.
Tali cooperative devono prevedere nei loro statuti il divieto di distribuire dividendi oltre un
certo massimo (corrispondente all’interesse dei buoni postati aumentato di due punti); il
divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci oltre un certo
limite; il divieto di distribuire le riserve tra i soci cooperatori; l’obbligo di devoluzione in caso
di scioglimento dell’intero patrimonio sociale ai fondi mutualistici per lo sviluppo della
cooperazione.
Anche per le cooperative a mutualità non prevalente la legge pone una serie di vincoli alla
possibilità di distribuire gli utili. Nel complesso tuttavia la disciplina è ispirata a finalità
diverse.
28.3 La regola “una testa un voto”
Se sul piano degli scopi perseguiti esiste una certa sovrapposizione tra società
cooperative e società lucrative, la differenze strutturali sono marcate.
L’art. 2538 prevede che ciascun socio cooperativo ha un voto, qualunque sia il valore della
quota o il numero delle azioni possedute. I quorum deliberativi sono determinati dall’atto
costitutivo e si calcolano secondo il numero dei voti spettanti ai soci. Con tale sistema
nessuno può acquisire da solo una posizione di stabile controllo.
L’art. 2542 stabilisce che la maggioranza degli amministratori debba essere scelta tra i
soci cooperativi o tra le persone indicate dai soci cooperatori persone giuridiche.
L’art. 2545-bis introduce un diritto di informazione: “Nelle società cooperative cui si applica
la disciplina della società per azioni, oltre a quanto stabilito dal primo comma dell'articolo
2422, i soci, quando almeno un decimo del numero complessivo lo richieda ovvero almeno
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