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Recensione della mostra “Amedeo Modigliani. Opere dal Musée de Grenoble”, fino al 18
luglio 2021 alla Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo (Parma).
Anche se il curatore della mostra, Stefano Roffi, ci dice che “più che il riferimento a opere
precise, per Modigliani valgono le caratteristiche condivise dalle figure femminili senesi di quel
tempo; dita, collo, occhi, tratti allungati, affusolati, grande eleganza. Si tratta di un’influenza in
qualche modo ‘costituzionale’ acquisita fin dall’infanzia, quando, grazie alla colta madre,
Amedeo ebbe la possibilità di visitare chiese e pinacoteche della sua Toscana (e oltre),
restando affascinato dalle Madonne. Più avanti appenderà le riproduzioni di queste opere ai
muri dei suoi ateliers; il linearismo toscano si sedimentò nella sua arte fino a riemergere nello
stile maturo della sua pittura”.
Illuminanti sono in tal senso le parole di Lamberto Vitali, tratte da Disegni di Modigliani, del
1929: “Gli è che la chiave dell’arte di Modigliani, la ragion d’essere delle deformazioni cui
assoggetta i suoi modelli (dai volti allungati, inclinati sui colli cilindrici che sostengono le teste
quasi a modo di colonna), il senso di spirituale levità che emana dalle sue opere, godimento
che io non so paragonare se non a quello delle armoniose figurazioni d’una danza lenta,
hanno un solo nome: arabesco. Per questo mi sembra che Modigliani [...] sia della stessa
famiglia dalla quale sono usciti i giapponesi e due italiani che si sono espressi con lo stesso
linguaggio pittorico: intendo Simone Martini e Sandro Botticelli. Ma soprattutto al senese mi
piace avvicinare Modigliani: a Simone Martini, quando abbandona la narrazione, per farsi
pittore decorativo (decorativo, nel senso berensoniano)... il disegno d’un pittore è come il
diario intimo d’un letterato; in esso l’artista ti si rivela schietto, nei suoi caratteri essenziali,
senza infingimenti e senza trucchi, che del resto l’aristocratico contrasto del bianco e del nero
mal tollererebbe... Di rado vi si ritrovano preoccupazioni chiaroscurali; molto spesso è un
segno uguale e sottile, che si snoda filato leggero, con singolare purezza, chiudendo le forme
in un ben ritmato giuoco d’arabeschi di una squisita eleganza. Le curve s’intrecciano e si
combinano via via con un senso quasi musicale, fra pause e riprese, incroci e sospensioni,
suggerendo più che descrivendo, sintetizzando e non analizzando. E come il motivo d’un
flauto pastorale evoca con le sue modulate cadenze tutto un mondo nostalgico ideale, così
l’arabesco di Modigliani supera la realtà minuta del modello, innalzandolo in un mondo diverso
e superiore, dove donne nutrite d’uno strano languore hanno corpi di una virginea purezza”.
Ruota tutt’attorno al prestito della Femme au col blanc il fulcro della mostra curata da Roffi,
perché da lì non soltanto si dipana il gioco d’influenze, giustificando la presenza delle altre
opere e dei disegni, ma si dissolvono anche i dubbi su un’esposizione così apparentemente
cursoria, che rischiava di passare in second’ordine o di non essere del tutto compresa. Quanto
emerge è quindi un prezioso condensato del pensiero artistico di Modigliani, come esito di un
processo interiorizzato nel tempo attraverso il trasferimento dell’artista dall’Italia (Livorno,
Firenze, Venezia, ecc.) in Francia, a Parigi, nel 1906.
Amedeo Modigliani, Portrait d’homme (1915 circa; matita su carta; Grenoble, Musée de Grenoble)
Amedeo Modigliani, Portrait de Gillet (1917-1919 circa; matita su carta; Grenoble, Musée de Grenoble)
Amedeo Modigliani, Portrait de Paul Dermée (1918-1920 circa; matita su carta; Grenoble, Musée de Grenoble)
Paul Cézanne, Arbres (1887-1890; acquerello su carta; Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani Rocca)
Parigi è una città che Modigliani vivrà con grande entusiasmo, e infatti andrà assiduamente
al Bateau-Lavoir, la celebre residenza d’artista (frequentata da André Salmon, Guillaume
Apollinaire, Max Jacob e pure Pablo Picasso che disprezzò Modigliani per le sue origini
ebree), al quartiere di Montmartre, frequenterà anche il café Lapin Agile, punto di contatto per
molti artisti e intellettuali, che è il luogo dove conosce Suzanne Valadon e suo figlio Maurice
Utrillo (suo grande amico, assieme a Chaïm Soutine), e sarà infine ospite, per intermediazione
di Doucet, alla casa-atelier di rue Delta, dove farà la preziosa conoscenza di Paul Alexandre,
mecenate grazie al quale cambierà per sempre il suo destino d’artista.
La Ville Lumière, nei primi del Novecento, è soprattutto la culla delle grandi Esposizioni
Universali, dove appunto, sarà possibile vedere, studiare e finalmente apprezzare altre arti del
mondo che elaboravano un concetto estetico diverso, per i “parigini” e per Modigliani
risuonava dentro, in particolare, l’arte proveniente da terre lontane, come quella tribale della
Costa d’Avorio. L’enigmatica lingua del Gu, simbolo di bellezza femminile, l’antico richiamo
esotico erano state dal 1915 la sua Africa in terra di Francia.
Il pregiudizio dell’artista maledetto, Modi-maudit, motivato dall’uso eccessivo di alcool e
droghe e dall’irruenza del suo modo di dipingere e scolpire, e che da sempre circonda questo
artista, non trova sempre ragione d’essere. E questo dato di verità si riverbera anche nella
perizia e meticolosa acribia con cui si adopera nei disegni che spesso regalava senza firmare.
I sei ‘fili di linee’ presenti in mostra ne danno superbamente prova. Soprattutto quello di Dérain
per i contorni morbidi e l’uso della carta Vélin.