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LEZIONE 1 – 29\09\21

PRIMA LETTERA AI CORIZI SCRITTA TRA 54 E 56, QUINDI PRIMA DELLA REDAZIONE
FINALE DEI VANGELI. Documenta una consapevolezza delle comunità cristiane dopo la Pasqua
di Gesù ma prima del vangelo di Marco che è del 70 d.C.. affronta temi legati alle prime comunità
cristiane.
Questioni di Antropologia teologica ed ecclesiologia: cosa dice la teologia a proposito dell’uomo e
della donna (antropologia) e cosa dice a proposito della chiesa.
Rapporto tra teologia e filosofia: il senso della teologia va trovato nel fatto che nella cultura
occidentale ci sono due discipline che si occupano del senso delle cose, ovvero filosofia e teologia.
La riflessione sul senso trae vantaggio dallo studio delle questioni pratiche e analitiche. Conoscere
l’origine dell’universo è utile per capire l’origine della vita umana. Un conto è guardare le stelle,
un conto è chiedersi il perché. La filosofia si interroga sul senso di tutto ciò che esiste (uomo, dio,
parola) usando la ragione. È la riflessione sul senso delle cose alla luce della propria riflessione
razionale. È autocomprensione di sé, della propria esistenza.
La teologia usa la ragione però usa anche una fonte in più nella ricerca del senso delle cose, ovvero
ciò che all’interno dell’esperienza religiosa si può definire rivelazione. La rivelazione è un modo di
intendere l’intera realtà come rivelazione di dio all’interno di un’esperienza religiosa. Il creato è la
rivelazione più grande, all’interno vi è l’esperienza umana, come uomo e donna a immagine e
somiglianza di Dio, e ancora più al centro vi sono la Bibbia e i vangeli. La teologia quindi si
interroga sul senso delle cose, intrecciandosi con scienza e filosofia, ma avanzando l’ipotesi che
l’intera realtà fino a Gesù può essere intesa come rivelazione del punto di vista di Dio per
comprendere la realtà nell’ipotesi che dio abbia parlato.

LEZIONE 2 30\09\2021
SCHEDA 1, INTRODZUIONE
DEFINIZIONE DEI SACRAMENTI NEL MEDIOEVO: segni efficaci della grazia, il contenuto è
la grazia che è Gesù, Dio per il cristianesimo, per evitare la critica che spesso viene fatta alla
definizione che la vede come reificata, come se fosse cosificata, resa materiale. Quindi viene
definita per i cristiani come una relazione di comunione con Gesù e con Dio, è un dono gratuito ma
anche una relazione, non un oggetto. Questo rapporto può essere espresso attraverso dei segni,
indispensabili per avere la relazione. I segni non sono però il contenuto definitivo. Si vede questo in
genesi 22, con il sacrificio di Abramo: Abramo non doveva confondere il dono del unigenito Isacco
con il donatore, cioè Dio. Non si deve ridurre la relazione ai solo doni ai soli oggetti che vengono
dati. Si deve trovare un equilibrio. Spesso il dono è tale che prende il posto del donatore, ma non
dovrebbe essere così.

I sacramenti sono segni efficaci della grazia, che è la rappresentazione della relazione con Gesù, il
dono di Dio in Gesù e nel suo spirito. Gesù ne è segno efficace (i 7 sacramenti), che realizza oltre
ad indicare, crea una comunione. I sacramenti hanno parole, gesti che si compiono e i segni che si
mettono in atto, si dice che sono performativi, che comunicano, rafforzano, ricostituiscono la grazia.
Il sacramento della riconciliazione ricostituisce il rapporto.
Come interpretare i 7 sacramenti: il principio analogato (princeps analogatum), ovvero il
sacramento fondamentale secondo il concetto medioevale, è l’eucarestia in quanto tra i segni
efficaci della grazia, quello che esprime meglio il suo contenuto è la comunione. Gli altri 6
sacramenti estendono il senso dell’eucarestia all’intera esistenza. 7 come numero della perfezione, e
i 6 oltre all’eucarestia, estendono il senso di questa ad altri aspetti dell’esistenza. Il battesimo è
l’ingresso consapevole nella vita cristiana che permette di arrivare alla comunione con Gesù
attraverso l’eucarestia. L’acqua purifica, da vita e sostiene, così come la relazione con l’altro è
vitale. L’azione del battesimo deve essere intesa come azione d’amore, non come rito magico. La
magia opera di per se, magicamente per l’appunto; la relazione di fede non pensa così, perché il
cambiamento si opera non solo cambiando le parole ma modificando anche la relazione. Le parole
operano tanto più uno è coinvolto nelle azioni che compie. Condividere la propria esistenza con
l’altro è il concetto di base.
La cresima permette di avere un sacramento anche in età adulta.
Riconciliazione riallaccia un legame rotto, un legame d’amore che a volte può infrangersi. Il
peccato è l’interruzione di un rapporto d’amore. I rapporti possono infrangersi, perché sono veri,
reali. Quindi ogni rapporto può avere momenti di difficoltà. Il rapporto poi può diventare anche più
forte di prima, il rapporto ritorna più saldo di prima. La riconciliazione è anche più forte del
peccato. È un dono formidabile. Sbagliare e poter ricominciare è dal punto di vista antropologico
una bella esperienza perché permette di redimersi e di essere migliori di prima. Non si è infallibili,
l’errore contiene un messaggio. La riconciliazione spesso viene maltrattata tra i sacramenti, in
quanto molto delicata e profonda: nemmeno il male o il peccato interrompono la forza dell’amore.
E io posso trovare la forza di ristabilire quella grazia al di là dell’errore che commetto. La finalità è
quella di ristabilire il rapporto con Dio e con gli altri. Ad esempio nel racconto della samaritana lei
incontra da sola Gesù, e dopo averlo incontrato e dopo aver avuto un rapporto con lui, sente il
bisogno di parlare con la folla e raccontare del rapporto che ha avuto con il Messia. Così succede
anche nel caso di Zaccheo.
Unzione degli infermi: altro grande limite della nostra esistenza sono malattia e morte fisica, nemici
della vita. L’unzione estende la forza dell’eucarestia anche ai momenti della malattia e della morte.
Ordine e matrimonio: due delle scelte fondamentali della vita. Matrimonio è costruire una famiglia,
ordine mettersi a disposizione della comunità cristiana. Attraverso questi si può vivere l’eucarestia.
Il matrimonio è la possibilità di farlo in due, marito e moglie. L’ordine è viverla attraverso il
servizio reso la comunità. Nel matrimonio i ministri del sacramento non sono i sacerdoti ma i
coniugi, il sacerdote assiste e benedice, i testimoni testimoniano che sia avvenuto, ma i ministri del
sacramento sono gli sposi. Questo rafforza l’idea che la decisone viene fatta in prima persona da
coloro che hanno deciso di sposarsi, di passare la loro vita insieme. Il segno è fatto dalla vita dei
due. La vita di quelle due persone è segno efficace della grazia. Per chi crede è difficile pensare ad
una relazione ancora più profonda di questa.
Tutto si può accettare o rifiutare ma il bello è il fatto di poter avere una relazione in cui ci si può
confrontare.
SCHEDA 1, VANGELO GIOVANNI
13, 21-30
Composto verso la fine del primo secolo dopo cristo. È l’ultimo dei vangeli scritti dato che il più
antico è quello di Marco, poi viene Matteo, poi Luca e infine Giovanni. I vangeli apocrifi non sono
stati ritenuti dai primi cristiani i più attendibili per raccontare la vicenda umana.
Samaritana, le nozze di Canaan, il cecconato, la resurrezione di lazzaro.
Nei primi 12 capitoli abbiamo i segni di Gesù.
Dal 13 al 17 al abbiamo il vangelo dell’ora, con ora intesa come la Pasqua, l’ora nella quale si
compie la manifestazione di Gesù. Tutto ruota attorno alla Pasqua. Quindi qua vi sono i discorsi
dell’ultima cena fatti da Gesù. Il discepolo amato appare solo nella seconda parte del vangelo di
Giovanni quindi, dal capitolo 13 con la lavanda dei piedi. Dopo la lavanda dei piedi appare il
discepolo amato  primo testo

Prima riga  Gesù sa che uno di loro lo tradirà. Uno dei temi chiave è la differenza tra l’amore di
Gesù, la sua consapevolezza, e la fatica degli altri. Lui ha appena compiuto un servizio, cioè la
lavanda, e sa che uno lo tradirà, non nasconde la difficoltà. Non condanna nessuno, ma non ignora il
fatto allo stesso tempo. Confronta il suo amore alla fatica degli altri. Nella prospettiva di Gesù
diventa occasione per crescere, ovvero sperimentare l’amore di Gesù e la fatica ad amare allo stesso
modo. Questa fatica è un buon elemento per crescere. Se fosse imparare dai propri errori serve
quindi riconoscere tali errori, o farsi aiutare a riconoscerli, e correggersi. Se uno non prende atto del
proprio errore e non manifesta desiderio di superarlo allora non potrà crescere. La vita stessa è però
invito a crescere quindi dovremmo comprendere i nostri errori e correggerli per migliorare e,
appunto, crescere. Nella prospettiva teologica c’è rapporto tra esperienza fisica e lo stile
evangelico\la proposta di Gesù, c’è una nostra crescita e un collegamento con la proposta del
vangelo? Gesù non nega la verità del suo amore e la fatica dei discepoli. Il discepolo amato ci aiuta
a capire qual è l’antropologia del rapporto con Gesù. Il discepolo rappresenta diversi elementi del
genere umano.
Linea 23, Discepolo amato: discepolo amato da Gesù, di cui non viene mai fatto il nome, perché si
pensa che tutti sapessero di chi si parlava. Ma dato che il vangelo scritto per tutti viene fatto per
mettere l’accento sulla caratteristica fondamentale: al di là del nome ciò che conta è l’amore
reciproco con Gesù, non dice il più, bello, il più ricco o così via, ma dice colui che Gesù amava.
Non sente l’esigenza di dire il nome ma la caratteristica fondamentale, così che tutti possano
confrontarsi con questa qualità, di relazionarsi a chi ha questa caratteristica e paragonarsi a lui. Il
discepolo amato potrebbe essere Giovanni, figlio di zebedeo e fratello di Giacomo, mai nominato
nei vangeli. Però non si sa con certezza. Il titolo di discepolo amato non viene dato da Gesù ma
dalla comunità, perché avvertono il rapporto di sintonia che ha con Gesù.
Seconda indicazione è che si trova a tavola al fianco di Gesù (analogia con l’espressione che dice
che Gesù siede alla destra del padre, nel seno del padre). Non è espressione solo cronachista, spesso
i dettagli mantenuti hanno un contenuto. Viene sottolineato quanto il rapporto tra discepolo e Gesù
sia simile a quello tra Gesù e Dio.

Linea 24, Pietro: lui spesso viene citato insieme al discepolo amato. Domanda imbarazzante
chiedere chi tradirà Gesù. Facendo leva sul rapporto che ha con Gesù Pietro non vuole porre la
domanda, per quello manda avanti il discepolo amato, sapendo il suo rapporto con Gesù e pensando
che a lui sia concesso fare una domanda del genere. Tutti sono consapevoli del rapporto tra
discepolo e Gesù. Capo e relazione personale: il capo non ha tutti i ruoli. Al centro della cristianità
c’è il rapporto che si ha con Gesù, non è importante essere un capo. Non interessa qua la
descrizione di ciò che sta intorno, ma ciò che interessa a Giovanni, ovvero l’avvicinarsi a Gesù. La
teologia orientale ha delle icone che rappresentano queste discepolo con l’iscrizione “colui che si è
chinato sul petto di Gesù” per indicare la vicinanza, il rapporto stretto che si ha con Gesù. Qua il
gesto è importante: vi è intenzione di stare più vicino a Gesù.
Riga 25  Altro aspetto importante è la domanda che viene fatta a Gesù: chi è che ti tradisce? La
relazione ci fa capire come l’amore ha una grande quantità di effetti. La parabola ha questo
interrogativo all’inizio, come per intendere un interrogativo più ampio, ovvero signore come è il
nostro rapporto o te, chi è il più fragile che ti tradirà? L’altra espressione è il riconoscimento della
fede dopo la pasqua, che ripresa di un rapporto. Vi è un percorso tra tradimento riconoscimento
della vicenda di Gesù. Nella sua Pasqua tutti possono trovare l’itinerario della propria vita.
Espressione successiva indica come Gesù indica il traditore : Gesù non era il peccato k il
tradimento, non per esprimere ere un giudizio finale ma per sottolineare che lui lo stesso vuole bene
e per educare a voler bene. Nel caso di Gesù né il peccato né la morte mettono fine alla capacità di
Gesù di amare, cuore dell’esperienza umana. Il discepolo amato è il più vicino in questa logica, ma
è molto vicino a Gesù. Uno dei discepoli può incrociare il cammino di Gesù.
Riga 26  Gesù con il traditore non ha un rapporto di condanna ma bensì mangia insieme a lui,
condivide un boccone. Non nega, indica il traditore, ma condivide un boccone in comunione con
questo.

LEZIONE 3 6\10
Riferimento a Nicodemo, anche lui appare solo 3 volte nel vangelo di Giovanni. Va a chiedere il
corpo di Gesù nonostante fosse uno dei capi dei giudei.
Amore = legame appropriato con Gesù.
CAPITOLO 19, 25-42
Riga 25 Siamo ai piedi della croce. Presenza delle donne, che non erano al centro della vita
politica ma di quella famigliare. Intorno alla pasqua di Gesù ruotano principalmente figure
femminili. Si vogliono eliminare gli schemi, gruppi e classificazioni nel rapporto con Gesù. Chi è
più vicino al Gesù? Non c’è un gruppo di appartenenza che è più vicino a Gesù o una classe sociale.
Si vuole evidenziare il valore della persona in quanto persona. La fede è capire di avere ricevuto un
dono, la consapevolezza della relazione con Gesù.

Riga 26  appare ancora il discepolo amato. Appare per la reciprocità dell’affidamento 


affidamento del discepolo amato a Maria. “Ecco tuo figlio”  Gesù fa entrare il discepolo nella sua
famiglia, esplicitamente è quindi considerato fratello i Gesù e figlio di Maria  tutti quelli che
entrano nella vita di Gesù entrano nella sua famiglia.
Riga 27  responsabilità del discepolo per la madre di Gesù e per la sua famiglia. Il testo vuole
indicare che il discepolo e i discepoli entrano nella famiglia di Gesù ma si assumono le
responsabilità della famiglia di Gesù. L’obiettivo di Gesù è quello di far entrare i discepoli nella sua
famiglia ma con un duplice scopo: far si che Maria si prenda cura di loro e che i discepoli si
prendano cura della sua famiglia. I discepoli entrano a far parte della famiglia di Dio.
La religiosità proposta mette in luce la reciprocità del rapporto tra Dio e i suoi discepoli. Idea
dell’uomo e della donna di grande rilievo.
Riga 28-34  versetto 31  episodio dello spezzare le gambe agli altri e non a Gesù è presente
solo nel vangelo di Giovanni. Idea che lui tiene conto della testimonianza del discepolo amato per
raccontare la vicenda di Gesù. Questo è confermato dai versetti successivi.
Riga 35  ipotesi che chi ha visto sia esattamente il discepolo amato. Indica 3 ulteriori compiti del
discepolo amato (prima viene detto che è vicino a Gesù, si china verso di lui, è responsabile per la
famiglia di Gesù):
1. vedere  essere presenti e vedere è importante, è compito dell’umanità. Scopo:
testimonianza e che altri credano.
2. Dare testimonianza  La testimonianza deve essere vera, anzi quella del discepolo amato è
vera. Si deve vedere ed essere veri per dare testimonianza ad altri. Che gli altri credano
significa che devono vedere, essere presenti, essere veri e dare testimonianza.
3. Credere  condividere l’esperienza del discepolo amato. Condividere la propria
testimonianza, la propria esperienza come ha fatto il discepolo amato, che ha avuto una
relazione con Gesù basata su incontro, testimonianza e presenza.
I vangeli non parlano molto degli aspetti esteriori della Pasqua di Gesù, mentre il vangelo di
Giovanni si occupa di una persona che vede e testimonia così che altri possano avere un’esperienza
e un rapporto con Gesù. Il discepolo amato ha desiderio di condividere quello che ha visto e vissuto
con Gesù.
Gesù è al centro ma interessante sono anche i personaggi che ruotano attorno a lui, a come entrare
in relazione con la vicenda di Gesù, con la fede.
CAPITOLO 20, 1-10,30-31
Siamo alla scoperta del sepolcro vuoto, quindi sospetto della resurrezione di Gesù.
Riga 1 Il primo giorno della settimana è la Domenica, perché era il sabato il giorno di festa per
gli ebrei.
Riga 2  ancora accanto a Pietro c’è il discepolo amato. Si insiste sulla presenza dei due per
sottolineare il rapporto tra loro.
Riga 4  il discepolo amato arriva prima di tutti ma non è il primo che entra bensì il primo che
capisce.
Il discepolo amato c’è ancora, ma Giovanni mettendolo di fianco a Giovanni vuole sottolineare che
rispetta l’autorità di Pietro (arriva per primo ma non entra), però entra per secondo capendo per
primo cosa è successo. Vede e capisce. Capisce per primo perché è il discepolo amato. C’è intreccio
tra essere presenti e capire. Va contro quel pregiudizio razionale per cui tra ragione e amore ci sia
conflitto. Invece per il testo ci può essere una bella relazione tra i due elementi. Fede è
innamoramento. L’amore non è l’intelligenza ma si concilia bene con questa. Amare è importante
per avere il coraggio di conoscere ma anche capire, intelligere una realtà ci aiuta ad amarla. Il
discepolo amato è modello di autorità ma anche ???????
Riga 9  il discepolo capisce non solo perché più vicino a Gesù ma perché quello che intuisce è
confermato dalla sacra scrittura. Vede confermato ciò che la scrittura dice. Intuisce che per gesù la
morte non fosse il passo finale.
LEZIONE 4 7\10
L’amore accompagna il percorso della conoscenza. Nei rapporti famigliari si verifica questo. Il
rapporto di amore consente di capire l’altro, educarlo, perdonarlo. Amore, conoscenza e libertà:
quando si conosce si è liberi di scegliere che cosa fare. La libertà però non è il fine, è una
condizione essenziale. Il fine vero e proprio è la conoscenza.
Esperienza umana, mettere in luce le qualità e le caratteristiche dell’esser umano. Dio si rivela
nell’esperienza umana al centro della quale c’è una relazione di affetto, vicinanza, vedere e capire.
È un bel modo perché sembra corrispondere al vero dell’esperienza umana. Non è un’illusione,
perché riconosciamo le qualità della nostra esperienza. Sembra che nell’esperienza descritta
dall’evangelista non sia difficile esprime l’esperienza umana in relazione al rapporto con Dio.
Riga 30  rivelazione di Gesù fatta in presenza. L’evangelista ha fatto delle scelte per illustrare la
vicenda affinché si possa credere, quindi avere un rapporto con Gesù così come lo hanno avuto
alcuni sui interlocutori, alcuni suoi contemporanei. Detemporalizzazione della vita eterna  tema
della promessa ad Abramo che prevede terra e discendenza, entrare nella vita nello spazio e nel
tempo. La terra era lo spazio e la discendenza era la continuità nel tempo. Nel nuovo testamento
questa promessa si concretizza nei confronti di Gesù, si è più vicini alla relazione con Dio
attraverso Gesù. Non si esclude che la vita eterna sia in un altro spazio e in un altro tempo ma lo è
anche nel nostro spazio e nel nostro tempo. Nell’antico testamento viene perso il contatto con il
presente. Giovanni narra la vicenda, condivide la relazione con Gesù, perché abbiamo la vita nel
suo nome. Vita è momento di relazione con Gesù così come ha fatto il discepolo amato. Lo scopo è
farci capire quale può essere secondo il suo punto di vista il senso e la profondità del senso della
vita. Lo scopo è l’incontro con Dio. Se la vita è dono di Dio allora questa è il primo luogo di
accesso che porta alla divinità. La nostra vita non è un punto di partenza zero ma un dono. Se dio
c’è, allora dà a ciascuno i mezzi necessari per trovarlo. Il dono che ci fa, ovvero il dono della vita, è
il punto di partenza per l’incontro con lui. Non si rimanda solo all’escatologia, gli ultimi tempi.
L’evangelista non sta parlando solo del paradiso, parla della vita così come la viviamo. La città è il
luogo dell’incontro tra uomo e Dio e quindi la vita è il luogo dell’incontro.
Capitolo 21, conclusione del vangelo di Giovanni. Il discepolo incontra il Signore risorto,
accompagna tutta la Pasqua.
Riga 1  vi è anche il discepolo amato in questo gruppo. Un’ipotesi è che il figlio di zebedeo sia il
discepolo amato perché non viene mai citato in altre parti del vangelo. Adesso è il discepolo amato
che parla a Pietro. Nei vangeli non si ha traccia della resurrezione. Non inventano una resurrezione
a cui non hanno assistito. Il discepolo amato ancora intuisce per primo, e dice che è il Signore
(professione di fede). Pietro che è presente è più lento nel capire, quindi si vedono due figue della
comunità: non è detto che chi è il capo sia il primo a credere e a capire. Cornice teofanica che
richiama e attira l’attenzione sul centro che è l’incontro, il riconoscimento.
Riga 14  è il terzo incontro.
Riga 15-19  mostrano l’esito, uno degli esiti, del rapporto tra Gesù e Pietro. Rinnegare è il
peccato peggiore. Anche l’incontro tra Gesù e Pietro ricalca un tema importante ovvero un amico
che dice di amare ma che rinnega quello che è successo. Gesù invece non nega la verità di quello
che Pietro ha fatto ma lo sfrutta per farlo crescere. Pietro sbaglia ad amare ma Gesù sfrutta questo
per fargli imparare ad amare nel modo giusto e a migliorarsi. Noi veniamo amati per imparare ad
amare a nostra volta. Giovanni racconta con 3 volte per esprimere la compiutezza della domanda di
Gesù: Mi ami (in greco viene usato un verbo che significa amore intenso) mentre dove c’è ti voglio
bene si usa un verbo greco per indicare un amore meno intenso. Questa progressione fa capire
l’intenzione di Gesù. Riga 15 usa il verbo per indicare un amore intenso (mi ami intensamente più
di tutti gli altri?) mentre Pietro risponde dicendo ti voglio bene, e quindi qui viene usato il verbo che
indica un amore meno intenso per indicare che Pietro non vuole sbilanciarsi. Ancora Gesù per la
seconda volta usa il verbo per amore intenso e Pietro invece usa ancora il verbo per amore meno
intenso. Pietro capisce che Gesù non era soddisfatto della prima risposta ma non ha il coraggio di
cambiarlo. Terzo passaggio  avviene un cambiamento. Gesù usa in questo caso il verbo per
amore meno intenso, Pietro capisce questo, però è addolorato non solo per l’insistenza ma anche
perché capisce che Gesù ha abbassato i toni. L’amore di Pietro non è stato all’altezza. L’amore di
Pietro è fragile, Gesù lo sa, per quello abbassa i toni. Però per la terza volta Gesù gli affida una
missione (pasci le mie pecore = prosegui la mia missione, guida la chiesa). Questa missione viene
affidata dopo la pasqua, dopo che Pietro ha sbagliato. Questo loro rapporto ricalca quello che è il
rapporto tra Dio e l’uomo. Pietro è maturato sbagliando. Diverso rispetto alla genesi dove Adamo
ed Eva vivono male la relazione perché loro vorrebbero prendere il posto di Dio, il dono diventa più
importante del donatore. La cacciata dal paradiso non è un castigo ma rappresenta la vita dell’uomo.

Solennità della conclusione: in verità vi dico  Gesù sottolinea che dovranno seguire un destino
che non si erano aspettati, un percorso che non avrebbero mai percorso (riferimento ai vestiti non
intesi come vestiti ma appunto percorso inaspettato). Altra parola importante è seguimi, quel
destino di essere condotto a donare la propria vita così come ha fatto Gesù, è un camminare
insieme, non lontani. Segui il percorso che faccio prima di te ma anche poi insieme a te.
Riga 20  ultima volta che appare il discepolo amato. Rimanda al capitolo 13.
Il testo può essere interpretato nel modo che si diffonde la voce che il discepolo amato non sarebbe
mai morto  collocazione della morte e della continuità della vita. Per paolo è chiaro ch e morte e
resurrezione di Gesù non esonera nessuno nel percorso della vita e della morte, bensì Gesù invita a
credere e seguire il percorso anche di fatica e dolore. Vuole correggere l’idea che la resurrezione di
Gesù avrebbe esonerato qualcuno dal percorso della vita. Non ha mai detto Gesù che chi sarebbe
stato vicino a lui non sarebbe morto. Gesù invece invita ad appoggiare a lui le scelte prese nella
vita. Infatti dice di seguirlo. Questo fa capire il senso del rapporto con Gesù come se fosse la
condivisione di un cammino. Non siamo esonerati dal nostro compito ma possiamo affrontarlo
insieme a lui. “Tu seguimi”  espressione sintetica ma che sottolinea il messaggio dei vangeli.
Dal punto di vista della comparazione religiosa è interessante in quanto la vita dell’uomo viene
vista in rapporto con la divinità, come un cammino condiviso con la divinità. Si personalizza il
rapporto.
Il discepolo amato appare per l’ultima volta e arricchisce la sua vita futura. Non è esonerato dal
vivere intensamente la sua vita.
Riga 24  sembra che l’evangelista sembra appoggiare una parte del suo testo sulla testimonianza
del discepolo amato. Il discepolo amato sembra cercare una certa verità  il cammino è una ricerca
della verità.
LEZIONE 5 13/10
Prima lettera i corinzi
Offre spunti sull’uomo e sulla chiesa. A livello di tematiche andiamo avanti rispetto al vangelo appena
analizzato, e anche cronologicamente andiamo avanti perché San Pietro fonda la prima comunità cristiana 20
anni dopo la morte di Gesù. Da un altro punto di vista facciamo un passo indietro perché San paolo tra il 50 e
il 56 scrive la prima lettera, da Efeso, quindi prima rispetto a quando viene scritto il vangelo di Giovanni. Poi
Paolo muore a Roma tra il 64 e il 67 e quindi tutti i suoi scritti stanno tra il 50 e la sua morte. Mentre il
vangelo di giovani ha la sua redazione finale verso la fine del primo secolo. Paolo non possiede il testo
definitivo di nessuno dei vangeli, ma non vuol dire che non abbia dei brani dei vangeli. Nel capitolo 11 della
prima lettera ai corinzi cita le parole dell’ultima cena così come sono citate da Luca, Marco e Matteo nel
vangelo. Quindi non ha il testo finale dei vangeli ma già circolavano delle parti dei vangeli. Questo ci
avvicina molto alla morte di Gesù. Paolo è stato informato della morte di Gesù poco dopo la sua
conversione, avvenuta nel 36. Tra la Pasqua di Gesù e la messa per iscritto dei testi che ne parlano passano
pochissimi anni. Ci sono fonti diverse, molto vicine all’esperienza storica di Gesù.
La prima lettera ai corinzi (Corinto è in Grecia) è anche un brano che mette a confronto la mentalità greca
con l’esperienza di Gesù. Loro ritengono la croce scandalosa rispetto alla potenza che si erano immaginati
avesse il Messia. Un Messia che muore in croce è deludente. Permette di veder come il cristianesimo si
confronta con la religione ebraica e quella greca. Nell’epoca moderna vivere alla corinzia significava vivere
in modo immorale (adagio 3168 di Erasmo da Rotterdam (siamo nel 1536): fare come i corinzi, coloro che
indulgevano in bordelli e cortigiane. Il mestiere della cortigiana non aveva solo un connotato negativo, ma
ovviamente non era il comportamento più morale.).

Capitolo 1

Versetto 1 paolo non ha mai incontrato Gesù nella sua vita terrena, quindi non è mai stato chiamato da
Gesù stesso. Lui si definisce apostolo in virtù di quell’evento sorprendete che viene descritto negli atti degli
apostoli dove viene detto, in 3 circostanze diverse, della conversione di paolo, che avviene sulla via da
damasco, cadendo da cavallo. Se comparati i 3 racconti ci accorgeremmo che gli aspetti miracolosi di quella
conversione non sono concordi. Si dice che i presenti hanno visto, ma non sentito la luce che fa cadere paolo
da cavallo. Tutti e tre condividono però l’espressione che fa Gesù: sono io Gesù che tu perseguiti. Quindi
l’elemento centrale della conversione di Paolo è l’aver avuto in maniera personale un incontro con Gesù.
L’elemento della conversione è quindi non il miracolo, non Gesù che gli si presenta ma l’incontro stesso con
Gesù. Paolo capisce chi è Gesù e chi è lui in relazione a Gesù, ovvero uno dei persecutori. Sarà 10 anni dopo
la sua conversione che comincerà la sua opera di fondazione della comunità cristiana. Elemento interessante
per capire paolo ma anche le comunità future e per capire come il cristianesimo cambierà. Ecco perché la
chiesa si dice apostolica, perché non è che morendo l’ultimo apostolo allora non ce ne saranno più, perché il
messaggio di Gesù e della cristianità continueranno ad essere diffusi.

Cristo Gesù, Gesù è il suo nome del battesimo mentre cristo è per indicare la sua importanza, il suo essere
messia.
Santi non fanno riferimento ai santi proclamati moralmente e canonicamente ma sono santi
ontologicamente, non per ciò che hanno fatto ma per ciò che sono. I santi per chiamata sono coloro che sono
stati battezzati, che hanno ricevuto attraverso questo un segno dell’appartenenza a Gesù.
Pace  condizione che nasce dall’incontro con dio
Grazia  introduce il tema dei doni. Grazia e pace auspicano che la comunità cristiana di Corinto abbia un
incontro continuo con Gesù.
Versetto 4 doni o carismi che la comunità di Corinto ha. Uno dei temi centrali della lettera sarà come
gestire questi molteplici doni che la comunità ha  tema della carità. Paolo prende spunto dalla difficile
convivenza ella comunità per sottolineare come debbano vivere secondo uno spirito di carità e unità in
presenza dei doni di Dio.
Tema dell’attesa  c’era un modo erroneo di pensare a Gesù ovvero di essere convinti di esser già nel regno
dei cieli. Ma è sbagliato perché si, il regno dei cieli c’è, esiste, ma bisogna camminare lo stesso e non da soli
ma con la grazia e la presenza di Gesù. Si cerca di combattere il millenarismo, coloro che pensavano che
dopo l’anno mille non ci sarebbe stato più nulla.
San Paolo mette in luce il primo problema nella prima lettera ai corinzi: il problema delle divisioni, tema
molto realistico. Definisce santi ma comincia con una questione  sono bravi ed intelligenti ma litigano tra
loro. La soluzione ai problemi è cristiana: confrontarsi con Gesù. Fonda la soluzione nella relazione con
Cristo.
LEZIONE 6
Versetto 10 siamo 4\5 anni dopo la fondazione di Corinto, mentre Paolo è a Efeso (Turchia). Aveva
ricevuto informazioni da qualcuno che veniva da Corinto e con queste scrive questa prima lettera. Parte
sottolineando i problemi, nonostante la lettera inizi parlando di santi, che però sappiamo esser chiamati così
non perché sono santi moralmente (vedi Paolo che prima di convertirsi perseguitava i cristiani).
Come Gesù e Paolo affrontano i problemi: Gesù vuole che paolo si renda conto dei suoi problemi e da questo
migliori e si corregga. Gesù non fa finta di niente ma si caratterizzata per quello che paolo ha fatto ( io sono
Gesù colui che perseguiti). Esempio della samaritana e del buon ladrone. Il tema è come riconoscere i nostri
errori\il male, fare un percorso di approfondimento e poi cambiare e correggere la propria vita. Nel capitolo
quinto abbiamo un caso di scomunica di un giovane che vive con la matrigna. Questo si vanta del rapporto
che hanno, e quindi viene scomunicato perché il suo corpo sia dato a satana ma il suo spirito sia salvato. Lo
scopo è quello di riconoscere il male per potersi correggere.
Paolo nella lettera parte dalla considerazione di uno dei problemi della comunità di Corinto quindi suggerisce
di correggere gli errori per capire cos’è il cristianesimo e il confronto con Gesù. Sottolinea quanto sia
importante il rapporto con il male per conoscerlo e poi correggerlo. Per il cristianesimo Gesù stesso è venuto
per sconfiggere il male, e da qua parte la strada per la salvezza.
Uno degli errori fondamentali di Corinto sono le divisioni. “Il nome del signore nostro…” dove nome indica
umanità e divinità. Il Signore allude alla resurrezione di Gesù. Paolo vuole riflettere con la comunità di
Corinto in rapporto a Gesù che riconosce la vicenda umana e il quale ha questa caratteristica messianica e
divina. Nel nome lui confronta Gesù e la comunità che è divisa sia nel pensare che nel sentire, quidni nel
rapporto affettivo e delle scelte.
Versetto 11: Paolo riceve una lamentela  ci sono divisioni delle comunità in piccole fazioni con ciascuna
un proprio capo. La comunità appena creata si divide già in tanti piccoli gruppi. Non vuole nascondere la
realtà ma affrontarla. Così si crea una prima teoria cristiana: lui è così cristiano che qualunque problema
incontri lo affronta basandosi su ciò che ha imparato attraverso l’incontro con Gesù. Lui mette l’accento sulla
croce per l’aspetto di amore che vi è dietro, non per l ‘aspetto doloroso. La crocce rappresenta l’amore di
Gesù.
Versetto 13  Paolo confronta le divisioni della comunità con la figura di Gesù. Il cristo era diviso? Per
mostrare la sua unità usa due riferimenti della vita di Gesù: la croce e il battesimo. Paolo intende, con la
croce, sottolineare come Gesù con il suo gesto sia simbolo dell’unità e dell’uguaglianza. Tutti siamo uniti
perché uniti a Gesù, in quanto per i cristiani il punto di riferimento è essere stati amati da Gesù nel momento
della sua crocifissione. L’altro riferimento, quello del battesimo, che all’epoca veniva somministrato in un
fiume, con l’immersione in questo, e simboleggiava l’immergersi nella vita di Gesù. L’acqua era simbolo di
purificazione, di vita, e significava che l’adulto che si faceva battezzare entrava nella vita, morte e
resurrezione di Gesù. Ultimo elemento di unità è proprio la croce di Gesù. L’essere amati d Gesù nel
momento della sua morte dovrebbe essere un messaggio di unità per tutti i cristiani. Quindi non possono dire,
le comunità, di essere state battezzati da Paolo in quanto tutti sono stati battezzati da diverse persone ma il
messaggio di fondo è che con il battesimo si è tutti uniti nell’amore di Gesù.
Versetto 17  nel momento della croce c’è un messaggio di unità. Gesù al momento della morte accoglie
tutti nella sua famiglia, sottolinea il legame di unità, fondato sull’appartenenza al genere umano e sul
rapporto personale di tutti con Dio. Questo tema permette il passaggio al tema successivo  lui non ha
battezzato tutti quindi a Corinto non è andato per battezzare, ma lo scopo era annunciare il Vangelo. Lo
scopo della chiesa è quello di annunciare la croce di Gesù  espressione sintetica in quanto la croce indica,
per Paolo, non la sofferenza ma l’amore di Gesù, la carità. Nei vangeli il tema della sofferenza della croce
c’è ma è molto contenuto. Il racconto della pasqua vuole indicare la differenza tra l’amore di Gesù che
consapevolmente e dolorosamente vive e l’incomprensione degli altri. Al centro della croce di Gesù c’è la
differenza tra l’amore di Gesù e quello degli altri. Ma l’amore di Gesù è così forte d superare la sofferenza e
la morte. A paolo questo sembra molto vicino al senso dell’esperienza umana. Essere amati e amare, un
amore più forte di ogni altra cosa, è un modo per presentare la vicenda umana, con tutti i problemi che la
comunità ci presenta. Se Gesù è il figlio di Dio allora lui risponde a questo desiderio umano, un amore che
vince contro ogni cosa. Paolo incontrando Gesù ha capito la grandezza del suo amore. Per questo al centro
della sua predicazione c’è la croce di Gesù. Dio è rivelazione e amore.
-“non con sapienza di parola” sta scrivendo ad una comunità greca quindi vuole mettere una divisone con
la visione mitologica greca e il pensiero sapiente del cristianesimo. Si apre la polemica con i due grandi
mondi dell’epoca: greci ed ebrei. Vi è rapporto tra vangelo cristiano e le due culture a cui Paolo appartiene.
In ogni epoca viene fatto un confronto tra le culture di quell’epoca e il vangelo cristiano. Individualismo,
materialismo, sono opposti al concetto di carità del vangelo. Non si deve diventare cristiani a caso ma
bisogna accettare il confronto.
Versetto 18  alcuni ritengono stolta la croce. Citazione Isaia paolo cita l’antico testamento e mostra
continuità tra la tradizione ebraica e il cristianesimo. I primi cristiani vedevano continuità tra la novità e la
tradizione. La novità è che nel leggere il nuovo testamento si vedono molti elementi di continuità. Isaia se la
prende con coloro che guardano a Dio con una religiosità formale, in modo esterno e superficiale. Dio non ce
l’ha con l’intelligenza ma con la presunzione e il formalismo di coloro che pensano di esser intelligenti e
sapienti ma in realtà ne sanno poco. Paolo volge questa considerazione nei confronti delle comunità degli
ebrei e greche. Paolo vuole mostrare ciò che apparentemente è stolto ma in realtà è più profondo. La vera
sapienza non è nella sapienza umana ma nella debolezza e ????
San paolo nell’incontro personale con Gesù ha intuito che Dio è amore e la logica umana è essere amati da
Dio e amarlo. Sembra anche corrispondere a quello che viene detto nei vangeli  si rimane colpiti nel
momento in cui si incontra Dio.
Chi ha meno pregiudizi incontra Gesù. Se Gesù è il salvatore lo si capisce dall’incontro personale con Gesù
piuttosto che con la sapienza. Tutte le scienze servono ma nessuna può sostituire la relazione personale. Per
paolo il compimento della sapienza e delle teorie greche va ricercato sempre nell’’incontro.
Versetto 20 ss paolo sintetizza il rapporto con le culture dell’epoca. I giudei cercano dei prodigi, si
aspettano un messia che li salvi dall’oppressione dei romani, assiri, babilonesi, tolga Israele dalla sua
piccolezza. I greci cercano sapienza, che è filosofica intellettuale, pensiero che a volte tende ad essere fine a
se stesso al punto di separarsi dalla materialità. La crocifissione è scandalosa per i giudei e solto per i pagani.
Ma sia per i giudei che per i pagani(greci) cristo sembra debole ma è in realtà potente, sembra stolto ma è
sapiente. Dio si rivela così, mostra il suo amore attraverso la croce e per paolo questo è più forte e sapiente di
quanto le due comunità possano pensare. Compito di sempre: chi crede nel Vangelo lo propone e chi non ci
crede dovrebbe avere questo confronto con Gesù.
I primi quattro capitoli presentano la concezione delle comunità cristiane che ha San Paolo.
A Corinto esaltavano la propria esperienza  paolo non è di quel pensiero. Per far capire che la logica della
croce può esser vista come semplice dice alla comunità cristiana ??
Versetto 26  argomento a sostegno della propria tesi: volete avere una delle possibili prove che la logica
della croce è debole ma è vera potenza di dio, allora guardatevi. Quelli che riconoscano la propria fragilità
cercano un fondamento più forte quindi il fondamento alla propria vita. Se la chiesa ha potenza e forza allora
questa si trova nell’essere deboli. Non sempre questo però coincide con come la chiesa nei secoli si è
presentata. Tema dell’antico testamento, piccolo popolo di Israele schiacciato dalle grandi potenze. Cos’
accade anche per Corinto e la chiesa di sempre.
Versetti 30-31  tema del vanto che attraversa più passaggi delle lettere di Paolo. La considerazione che i
cristiani siano semplici non esclude l’idea di un certo vanto. Però non si basa sulla grandezza propria ma di
quella di Gesù. Trovare la propria grandezza non in se stessi ma in Dio. Si deve conoscere ciò che Dio ci ha
donato. Vi è consapevolezza che la propria forza e grandezza è nei doni ricevuti, nella grazia e nella pace,
nella consapevolezza che già la vita è grazia, e l’inizio di un dono. Consapevolezza di sé e dei doni ricevuti.
Altro aspetto del versetto 30 è la costruzione di una prima teologia. Progressivamente Paolo cerca di
costruire un vocabolario che aiuti a dire questo. Ci sono 4 sostantivi che indicano 4 modi di indicare Gesù e
il suo rapporto con Dio.

LEZIONE 7 20\10
CAPITOLO 2
Dopo aver precisato la difficoltà delle culture dell’epoca di conoscere Gesù, ora rivela la potenza dell’amore
in Dio e negli uomini. Il secondo capitolo va vanti nel ragionamento. Se la figura di Gesù può sembrare
scandalosa allora si deve avere una conoscenza più profonda. Per capire Dio si deve andare più in profondità
rispetto al solo aspetto materiale e corporeo. Lo spirito non si vede, ma è ciò che muove la realtà e la
persona. Però dire nel dettaglio cosa sia lo spirito è difficile. San paolo sembra dire che per conoscere più
profondamente la fede e la propria vita non ci si deve fermare solo alla conoscenza delle cose materiali. Lui
non ensa che la carne sia un male, ma pensa che sia la sola superficie. Per comprendere la realtà umana non
ci si deve fermare sulla superficie soltanto, si deve andare più in profanità. Avvicina il tema dello spirito alla
realtà di Dio. Dio è come spirito vitale. Dio e Gesù donano qualcosa di profondo, reale e costitutivo per la
vita. L’idea cristiana di Dio si articola in tre persone: Gesù, Dio e il dono che essi fanno di Dio ovvero il
donno spirituale nella nostra vita di Dio. La presenza di Dio è profonda come lo spirito ed è a pieno titolo
Dio. Dio quindi non è solo il padre.
Versetto 1 la lettera stessa rimanda a Paolo che è andato a Corinto. Lui è in poleica con il mondo greco e
giudaico. Anche lui per non sentirsi distante dalla comunità dice di non essersi presentato con la virtù della
sapienza e della parola.
Versetto 2 ss introduce lo spirito. Non gioca sulla potenza umana ma sulla verità di Dio e del Vangelo che
interpreta come manifestazione nello spirito. Dai dotti del mondo può essere disprezzata ma in realtà rivela la
forza dello spirito. Allarga la sua considerazione sullo spirito nei versetti 6 e ss.
Versetto 6 e ss contrapposizione tra sapienza mondana di chi si ritiene sapiente e sapienza di cui parla lui.
Gli esseri perfetti sono i cristiani, non perché sono moralmente perfetti, ma perfetti perché battezzati, perché
hanno fatto maturare nel battesimo il loro rapporto con dio. Lui qua parla della sapienza di Dio
Versetto 7  sapienza di Dio  contrapposiizone tra la sapienza dei dominatori del mondo che è carnale,
eocnomica, materiale, e sapienza più profonda e nascosta di Dio che Paolo ritiene di aver ritrovato in Gesù.
Sintetizza la sapienza divina che ha queste caratteristiche: non è oggetto di esperienza sensibile non si vede
né si sente. Non ha le caratteristiche di ciò che si percepisce con i sensi umani. Non è mai entrata nel cuore
dell’uomo, cuore che è luogo dell’interiorità dell’uomo. Non è quindi oggetto dell’interiorità umana. Si cerca
di entrare nle mistero di Dio. Dio preparar la sapienza per coloro che lo amano, che amano lui e Gesù. Così
fa capire quanto l’amore sia il legame pertinente dell’amore con Dio. Poi parla dello spirito: la sapienza di
dio che ancora non è oggetto di esperienza, è preparata per coloro che lo amano per mezzo dello spirito.
Spirito che nemmeno paolo sa descrivere. Lo spirito sa ogni cosa, anche l eprofondità di Dio (v.10 e ss).
Allora lo spirito fa riferimento all’uomo, anche nell’esperienza umana ci sono segreti che solo lo spirito
dell’uomo conosce (la profondità dell’uomo e della donna, anche nella vicneda umana ci sono avvenimenti
ch enon si vedono, sono interiori, e sono comunque importanti quanto la realtà corporea). Lo spirito va verso
un qualcosa che è interiore e verso nell’uomo. Lo applica a Dio, il cui spirito conosce ogni cosa. La strada
non è solo materiale ma anche quella dello spirito di Dio.
Fa contrapposizione tra modo mondano e modo cristiano per dare un’interpretazione spirituale, ovvero vera,
profonda e personale. Si può fare riferimento a Di nell’uomo ma anche nello spirito del mondo, ovvero un
modo per intendere l’esperienza ma senza lo spirito di dio. Versetto 12  lo spirito di dio serve per
conoscere ciò che Dio ci ha donato. Lo spirito di Dio ha una caratteristica sintetica ma centrale, ovvero lo
spirito di Dio ci aiuta a conoscere ciò che Dio ci ha donato. Tutto ciò che esiste è spirito di dio, tutto ciò che
esiste dio ce lo ha donato. Chiave centrale della rivelazione cristiana. Nel momento della conversione paolo
capisce che Gesù rivela che tutto ciò che esiste è un dono di amore suo e di Dio. Il dono di Dio viene donato
da Gesù, addirittura donando se stesso sulla croce. Nel versetto 12 paolo testimonia il ribaltamento della sua
esistenza. Paolo metterà molto accento sul tema della grazia. Ciò che abbia è un dono gratuito di Dio. Nella
croce di Gesù si compie il dono dell’amore di Dio. Grazie a questa intuizione spirituale ha una conoscenza
più vera della realtà materiale. Cambia la prospettiva. Parlare in termini spirituali significa parlare in modo
più profondo a differenza che parlare solo di cose carnali.
Ad alcuni certi aspetti del cristianesimo possono sembrare folli. Se l’uomo ragiona solo sulla sua
componente corporea allora no si può capire il dono di Gesù che si offre per salvare l’umanità, non lo si
intende come dono di Gesù che si offre per salvare dal peccato e dalla morte. V.14  ci vuole una certa
profondità.
v.15 chi giudica la propria vita solo materialmente non riuscirà ad incontrare il pensiero di chi invece
guarda alla vita attraverso il dono di Dio.
Pr paolo la vera caratteristica è esser autenticamente cristiano.
I capitoli da 5 a 11 illustrano i casi concreti che dimostrano cosa significa seguire il pensiero di cristo ed
essere cristiano. Spirituale non significa evanescente e carnale non significa odiare la carne ma limitarsi a
certi aspetti della realtà.
Lezione 8 21\10
idea dello spirito è il di più, il non soffermarsi isolo sulla componente fisica e materiale. Fondamentale per
l’esperienza dell’uomo è il pensiero di Cristo, così come Paolo nell’incontro con Gesù lungo la via per
Damasco ha capito più profondamente l’esperienza. Lo scopo della teologia e della religione è capire il di
più. Lo spirto è la verità e la profondità che aiuta ad avere una comprensione più profonda ed integrale. Paolo
presenta Cristo come il logos, il pensiero, la ragione e la verità ai greci.
Capitolo 3°
Versetto 1  paolo applica ciò che ha appena detto ai suoi destinatari della lettera. Spirituali non significa
come angeli, ma significa uomini e donne maturi che hanno una visione complessiva dell’esistenza. Carnali
non vuol dire peccatori ma con visione parziale dell’esistenza, quasi materialisti e parziali. Essere neonati è
un inizio. È formidabile essere neonati in Cristo. Nell’esperienza si ha la percezione degli elementi iniziali,
non si comprende la dimensione spirituale dell’esperienza, quella che ci unisce a Dio perché Dio stesso è
spirito. Meglio essere in comunione con lui nello spirito e vicino nella carne. La vicinanza fisica non
istituisce un legame profondo. Lo spirto aiuta a capire ciò che Dio ci ha donato. Essere spirituali non
significa ripudiare la carne.
Versetto 2  siete carnali nel senso che sono rimasti infantili. Essere carnali significa che vi è invidia e
discordia, appartenenza ad un gruppo tra i lettori della lettera. Due esempi per capire cosa si intende per
carnali. Le relazioni umane non sono buone. Alla luce di Cristo questi devono diventare carità, che per San
Paolo è un valore spirituale che riguarda il valore dell’uomo e della donna. Persone mature tendono a volersi
bene. L’incontro con Gesù pone in sa Paolo l’evidenza della carità e dell’amore di Gesù. Anche Paolo ha
scoperto di essere amato proprio come lo era il discepolo amato. C’è sintonia tra gli incontri (vedi il caso di
Zaccheo anche). Tutto ciò che abbiamo è un dono, non è un caso, già la nostra vita è un dono. Non è
nemmeno un male. Tutto è dono, tutto ciò che esiste non è un caso né un male ma un dono iniziale. Tutto
questo è simile alla nascita, perché la nascita rappresenta il dono della vita.
Versetto 4  non è un male essere uomini o donne, ma non significa che non si ha ancora una visione
profonda.
Versetti 5 e ss applica la considerazione alla comunità cercando di inserirvi anche il suo compito come
apostolo. Il compito degli uomini e delle donne è quello di considerare il dono ricevuto da Dio come
fondamento su cui costruire. L’inizio del dono di Dio richiede collaborazione partecipazione con la donna. È
un modo per interpretare l’esperienza umana: tutto è dono ma non tutto è ancora stato donato, e il dono è
inizio della vita. Vi è idea che al centro dell’esperienza ci sia la nostra vita. Vi è idea che il futuro non finisce
mai, può cambiare ma non finire.
Versetto 10 e ss edificio da costruire: inizio è coltivare il campo, irrigare. Il fondamento è sempre cristo,
ciò che riceviamo è un dono e dono è anche la comunione con lui.
Il compito degli uomini e delle donne è costruire sul fondamento. Ci sarà poi un giudizio, una valutazione,
per cui l’opera potrà finire bruciata oppure no. L’immagine del fuoco non è legata al fuoco dell’inferno, si
parla di un edificio e di un incendio che potrebbe bruciare la paglia. Parla di un qualcosa che è la qualità
della costruzione. Per san Paolo ciò che può provare la qualità dell’esistenza, nell’esistenza il ruolo del fuoco
viene affidato alla carità. La funzione di determinazione della qualità della vita viene svolta dalla carità.
Questa può suscitare una voglia di amore. Se l’uomo impara ad amare allora si può intuire la forza
dell’immagine: unire il fuoco all’amore. Per due motivi si accosta bene il fuoco all’amore: chi ama si sente
bruciato e chi smette di amare si sente come se il fuoco lo purificasse. Il fuoco di cui parla Paolo è il fuoco
dell’amore. Successivamente la tradizione cristiana lo associa all’inferno. Ma in questo caso non lo è.
Ciascuno di noi messo davanti alla verità dell’amore di Dio e delle persone amate e di se stesso, più
facilmente opera un giudizio. Il giudizio finale non è fuoco dell’inferno ma è un essere messi davanti alla
verità dell’amore, così come succede a Paolo nel momento della sua conversione. Il fuoco purifica, toglie
l’odio che c’è per purificare. Noi spesso dobbiamo essere protetti dal giudizio che noi abbiamo di noi stessi.
Versetti 14-15 il fuoco dell’amore è più efficace di quello dell’inferno. Meglio un premio fatto di pura
relazione d’amore. Paolo intuisce l’amore di Gesù nel momento della conversione. L’opera di qualcuno può
assumere un passaggio di essere bruciata. Tuttavia anche chi brucia si salverà. Anche l’esperienza dell’amore
che brucia ciò che in sé amore non è, è salvezza. Anche a Pietro sarà bruciato un po’ il dialogo con Gesù
(quando Gesù chiedeva se Pietro gli volesse bene), ma viene bruciato per la salvezza. Essere messi davanti
alla propria incapacità di amare viene fatto per la nostra salvezza.
Vesretto 16  perché passare per l’esperienza del fuoco per la salvezza? Per il nostro valore, perché siamo
costruito con oro, argento e pietre preziose. Qua però si usa un’altra immagine cioè quella del tempio. Molto
coraggioso, persino rivoluzionario. Perché passare attraverso l’esperienza del racconto di dio purificandovi
ma salvandovi? Perché si è il tempio di Dio. Coerente con l’idea della reincarnazione. Si è tempio di Dio e lo
spirto di Dio abita in noi come dire che la profondità e la verità di Dio, il suo spirto, abita in noi. È difficile
riconoscere un valore più grande oltre questa espressione. Dio abita in noi in una comunione spirituale con
noi. Non deve essere però un rapporto facoltativo. Pietro sa linguaggio bellico per indicare la forza. Santo è
il tempio di Dio che siamo noi. Il valore della persona poggia sul suo rapporto con Dio. Dio è più grande di
noi. Interpretiamo meglio la nostra esperienza come l’inizio di un dono e per questo è tempio di Dio, non
solo perché lo troviamo lì ma anche perché ciò che noi siamo contiene un certo valore. Noi siamo tempio
dello spirito non significa solo che siamo abitati ma indica anche una relazione con Dio.
Paolo usa tutte queste immagini perché parla di qualcosa di cui non abbiamo conoscenza attraverso immagini
più comuni, per esprimersi attraverso qualcosa di noto. Anche Gesù fa così, come per esempio quando Gesù
dice che Dio è padre. Noi siamo figli e questo ci può aiutare a capire il nostro rapporto con Dio.
Capitolo 5 versetti da 1 a 8 lievito che corrompe. Necessità di creare una vita basata sulla verità.
Considerazione utile e capire come i primi cristiani intendevano la loro esperienza che doveva essere
soggettivamente onesta e vera. Stesso tema affrontato con il discepolo amato. La ricerca della verità è uno
edegli elementi fondamentali della vita della comunità cristiana.
LEZIONE 27\10
Sa paolo è stato capace di cambiare la direzione della sua vita, prendendo quella della verità.
Versetto 9 vi ho scritto enlla lettera: esiste un’altra lettera che viene prima di questa. È la prima per noi ma
per loro vi è un’altra lettera. Il tema dell’immoralità non era marginale. Le lettere non dipingono una realtà
chee non c’è san paolo vuole intervenire. Da quella lettera ripredne alcuni temi: parlava dell’immoralità non
per coloro fuori dalla comunità ma un discorso per i membri della comunità. Se non si avesse contatto con
persone immorali si dovrebbe uscire dal mondo. La sua lettera non è scritta per gli altri ma soprattutto per i
cristiani e chi lo segue. I primi cristiani non sono diversi dalle altre persone di Corinto, si possono trovare
ovunque persone che fanno fatica a realizzare ciò che ritengono giusto. Coloro che vivono il cristianesimo
non sono già santi, non è parte dell’esperienza di nessuno. Anche i santi sono peccatori. Sono santi perché
hanno esercitato in maniera eroica qualcosa nella loro vita. Coloro che vivono il cristianesimo sarebbero
meglio se vivessero meno il cristianesimo. San paolo vuole far concentrare i cristiani verso il bene, sarebbero
stati migliori se non avessero sempre seguito san Paolo ci deve essere maggior consapevolezza e tensione
verso il bene. Paolo vuole proprore l’insegnamento di Gesù così che possano conoscerlo e seguirlo. Vi è una
maggiore esigenza dei cristiani, una maggiore responsabilità, rispetto a colo che non lo sono.
Siamo ai primi casic he san paolo affronta. Vi è l’esempio del giovane che vive con la compagna del padre.
San paolo dice che si deve cercare verità e giustizia anche perché pure per la comunità critstiana il cammino
nn è facile.
Altro caso affrontato nei capitoli capitolo sesto
Versetto 12: parte da un modo di dire\prioverbi abbastanza diffuso nella comunità di Corinto. È messo tra
virgolette perché forse san paolo cita un’espressione che circolava nella comunità, detta da chi considerava
in maniera enfatica il cristianesimo nel senso di essere liberi di poter fare qualsiasi cosa, che si ritengono
immortali, interpretazione enfatica e troppo entusiasa ed ingenua del cristinesimo, come se questo esonerasse
dalla morte o non comportasse l’onere del discernimento cioè scegliere cos’è giusto e cosa sbagliato. Si dice
proprio che per il cristianesimo tutto è lecito, che in cristo sono liberi.
San apolo immagina un disborso con degli interlocutori: san paolo non dice che il principio è sbagliato, però
precisa due condizioni; 1 non tutto giova, 2 non si farà dominare da nulla.
1) san paolo non nega la libertà ma la afferma non come assoluto ma come condizione. Non è assoluto la
libertà, fare qualsiasi cosa per affermare la libertà è comportamento adolescenziale. Concezione matura: la
libertà è indispensabile, deve essere vista in relazione ad un bene più grande. La libertà serve per raggiugere
ciò che giova, per raggiungere il bene. La libertà non è il fine perché il fine è il bene e la libertà è un mezzo
per arrivare a questo bene. Non tutto giova, non tutto concorre al bene, non tutto aiuta ad amare. La libertà è
condizione necessaria per amare e volere bene. Se uno non è libero non è in grado di amare. Il fine è ciò che
giova.
2)san paolo intende che se la libertà diventa il fine allor ciò rischia di limitare la libertà stessa. Se il fine è
affermare la libertà andando contro ogni regola e buon senso, il timore è che uno poi diventi schiavo
dell’affermazione della libertà. Se devo abbattere ogni ostacolo questo va oltre all’esercizio della libertà. La
libertà diventa difficile da gestire quando diventa il fine perché perde il suo contenuto.

Versetto 13  I cibi sono il ventre e il ventre sono i cib8i: c’è corrispondenza. Se uno è fatto per l’altro non
serve misura. La libertà diventa l’assoluto. San paolo non lo nega ma aggiunge una condizione: non nega la
corrispondenza tra corpo e ventre ma la innalza\va in profondità, va nel riferimento cristiano ovvero ventre e
corpo sono di Dio. Il signore è all’origine del corpo e del ventre. Esperienza umana non solo in se stessa ma
in relazione con Dio. C’è corrispondenza tra Dio e ciò che è ventre e cibi. Il rapporto tra cibo e ventre non
può lasciare fuori chi vi è all’origine. La corporeità non è fine a se stessa ma anche in relazione a Dio. Non si
nega rapporto ma si int? a leggerli in relazione a Gesù e alla rivelazione di Gesù (versetto 15). L’esperienza
non si esaurisce in corpo e cibo, non deve essere uomini e donne solo carnali, ma anche spirituali cioè che
vivono la corrispondenza tra corpo e cibo ma lea leggono anche in relazione al fondamento che si manifesta,
che non è visibile come lo spirito ma che ne è manifestazione.
Versetti 15-16  riferimento alla prostituzione, riconosce valore all’unione sessuale. San paolo cita la genesi
dicendo che i due diventeranno carne. Vi è lettura profonda: chi si unisce al signore forma con lui un solo
spirito. Immaginate il valore di un’unione più profonda di quella spirituale con Gesù. San paolo ritiene più
importante l’unione spirituale perché è più profonda. Molto ricca è l’unione si spirituale che carnale. Lui non
pensa allo spiritualismo angelico. Fa capire che ancora più autentica e personale, è quella spirituale. Il
matrimonio dovrebbe essere unione di spirto e corpo. La vicinanza fisica completa l’unione spirituale.
Versetti 18-19  esplicita un altro principio di corporeità: un peccato lontano è marginale, ma se l’atto
coinvolge noi stessi allora lo spirito diventa più grave. La partecipazione è tanto più importante quanto più è
la nostra partecipazione. La relazione è tanto più forte quanto più spirito e corpo insieme sono coinvolti,
tanto più sono espressione del bene. È il corpo che è il tempio dello spirito santo, quindi del nostro in
comunione con quello di Gesù e Dio.
Glorificare dio nel nostro corpo a condizione che lo si viva nella profondità del suo spirito. Non si pu dire
che san paolo non abbia una buona valutazione del corpo.
LEZIONE 28\10
CAPITOLO 7
Paolo parte da 4 quesiti; c’erano delle questioni sul tema matrimonio e verginità all’epoca dopo la
resurrezione di Gesù. La Pasqua di Gesù porta diversi cambiamenti: c’erano molti entusiasti che ritenevano
che la vita degli uomini e delle donne fosse cambiata completamente e quindi anche le pratiche della vita
quotidiana fossero cambiate, perché tanto il regno dei cieli sarebbe arrivato. Tutto era lecito, nessuna legge
da seguire, anche sul tema delle relazioni affettive e matrimoniali. Vi è anche l’interrogativo su come
valorizzare la corporeità, se uno da meno valore allora valuta di più la verginità del matrimonio, mentre se
vige il contrario la maternità viene più valorizzata così come viene indicato nell’antico testamento. Qualcuno
valutava la verginità nella critica al corpo, altri invece legati alla maternità e alle famiglie numerose, visione
anche legata all’economicità. La questione matrimonio e verginità era vissuta con intensità e sensibilità
diverse. In questo contesto si capisce che tutti si interrogano inviando a Paolo delle domande scritte.
Versetto 1  qualcuno è andato da Poalo o una lettera gli è stata portata. Si mandavano lettere per questioni
di rilievo. Da versetto 1 a 9 abbiamo una risposta ad una prima domanda: pone l’interrogativo e la scelta di
alcuni primi cristiani, di fronte alla pasqua di Gesù, scegliere di non spossarsi e non avere rapporti sessuali. È
la questione di coloro che si interrogavano su quello che fosse meglio fare dopo la Pasqua di Gesù a
vantaggio della verginità, che è una novità comunque per la vita ebraica. Ciò che prima era visto come una
difficoltà, una situazione non desiderata alla quale reagire, ora invece e non c’è più bisogno di ciò. Chi pone
la domanda era favorevole alla verginità, e Paolo sembra dire che è d’accordo con questo, dice che è cosa
buona per l’uomo non toccare la donna, la verginità rispetto all’antico testamento ed altre scelte e quella
plausibile. Paolo però vuole portare equilibrio, la verginità deve essere vissuta senza però dimenticare il
matrimonio e la famiglia. Sono possibili entrambe le scelte; è una novità per la comunità cristiana valorizzare
la verginità come non assolutizzazione della generazione. È possibile essere cristiani e vivendo il rapporto
con Dio senza sposarsi. Però paolo vuole mantenere l’equilibrio quindi dice che entrambe le scelte sono
possibili. Paolo sembra dire di non farsi scrupolo, di fare quello che si è, perché in ogni caso è possibile
diventare cristiani. Quando si diventa cristiani si può rimanere sia vergini che spostati, schiavi o liberi, ricchi
o poveri, giudei o stranieri. Paolo relativizza molto, in ogni situazione è possibile essere cristiani. Nella sua
convinzione ogni condizione è provvisoria. Al versetto 2 vi è una stretta complementarità: ciò che è della
moglie è del marito, ciò che è dell’uomo è anche della donna. Spesso tornerà questa complementarità, per far
capire che ciò che vale per uno vale anche per l’altro, non tanto nella sfera pubblica, ma davanti a Dio. Lui
stesso non è sposato e capisce il valore della verginità ma nonostante questo non esclude il matrimonio.
Torna la reciprocità. Versetti 3 e 4  non è che uno sia schiavo dell’altro ma l’idea è quella della
comunione. La moglie non è padrona del proprio corpo, vi è comunione dei due, una comunione spirituale, i
corpi sono in prospettiva della relazione, ognuno non è padrone di se stesso, il tutto è in comunione.
Collegamento con capitolo 6, tutto mi è lecito. La libertà non è però criterio ultimo dell’esistenza. Lo scopo è
essere libero anche per servire l’altro. Se si trova l’amore si trova l’equilibrio.
Da una parte si può privilegiare la verginità ma dinanzi a casi di immoralità è anche corretto orientarsi verso
il matrimonio, con attenzione verso il tema della reciprocità. Confronta anche i temi con la sua esperienza.
Rimanere vergini è legittimo, non è che agli esasperati dice che sbagliano. Se uno vuole può sposarsi
altrimenti può non farlo
Versetti da 10 a 16  come devono comportarsi coloro che sono già sposati e diventano cristiani. Precetto
non solo apostolico, ma divino. Il tema qua è quello per coloro che diventano cristiani, diventando cristiani
non si deve cambiare lo stato familiare. La moglie non deve separarsi dal marito e viceversa. Versetti 10 e 11
 non è necessario separarsi, è un precetto divino. Dopo propone altri casi viste secondi precetti apostolici,
quindi leggermente meno vincolanti. Se un fratello ha una moglie non credente non deve essere ripudiata, e
viceversa. Solo uno della coppia diventa cristiano, quindi ci si chiede che cosa si deve fare; versetti 12 e 13
 se uno dei due non è credente e si vuole stare insieme si può fare, non cambia nulla. Il coniuge non
credente è reso santo da quello credente. La santità non era quella morale ma l’appartenenza a Dio. È come
se ci fosse accetazione di immergersi nella vita di Gesù nel momento in cui si resta una coppia. Il coniuge
non credente è reso santo da quello credente. Vi è riconoscimento che anche il non credente è santo, è di Dio
anche se non crede. La relazione personale con un credente porta ad essere vicino a Dio. L’appartenenza a
Dio non si verifica con l’essere parte della comunità cristiana solamente. Lui vuole estendere la forza
dell’appartenenza a Dio anche nella relazione con i figli. Versetti 15 e ss  precetto\privilegio paolino: se si
è sposati nessun problema, ma tuttavia, se il non credente quando la coppia dovesse diventare cristiana, vuole
separarsi allora si separi. Il privilegio è che la coppia può separarsi se il non credente, poiché l’altro coniuge
si converte, vuole separarsi. Solo uno dei due non è credente, e decide che non vuole restare nella coppia. Se
restano insieme il matrimonio, la coppia diventa cristiana. Ma se il non credente vuole rimanere tale allora
può anche lasciare la coppia senza problemi. Pur essendo il matrimonio cristiano indissolubile, solo in questa
eccezione si può confermare o meno il matrimonio precedentemente celebrato non all’interno del
matrimonio cristiano. Privilegio o concessione. Interessante la motivazione del versetto 16 che toglie la
presunzione di chi si vuole porre come salvatore del mondo. Timore di chi diventa cristiano e teme per la
salvezza del suo coniuge. Questo resta salvo non solo se si resta coniugi, perché si è liberi di scegliere. Ciò
che c’è in gioco non è la salvezza eterna del coniuge. I versetti da 17 a 24 sembrano alla luce di quanto detto,
proporre e puntualizzare un tema, quello che ora della fine, qualsiasi sia la fine, quello che conta è il rapporto
con Gesù e Dio. Puntualizza una cosa già presente nei primi due casi. Quelli allarmati e un po’ enfatici e
centrati su di se si interrogavano su cosa sarebbe successo nel passaggio al cristianesimo. Se uno diventa
cristiano uno continua la propria vita come quando dio l’ha chiamato, non cambierà nulla con il passaggio al
cristianesimo. Versetti 18 e 19 fa esempio della circoncisione, rito della religione ebraica. Allora fa qualche
esempio, al versetto 18, come la circoncisione. Sono valide entrambe le condizioni, come il matrimonio e la
verginità, anche la circoncisione e non. Ciò che conta è il rapporto con Dio, nei valori della carità e della
coerenza. Dal punto di vista religioso, qualsiasi condizione è legittima e permette di passare alla fede
cristiana. Dal versetto 20 prende in considerazione il punto di vista sociale: schiavi o liberi. Per Paolo è
possibile essere cristiani in entrambe le condizioni. Non contrasta la condizione di schiavitù. Lo schiavo che
è stato chiamato nel signore è un uomo libero. È possibile essere schiavi ed essere liberi nel Signore. Nel
Signore si è uomini liberi. Anche lo schiavo è figlio di Dio. Il valore fondamentale per valutare è il
fondamento del rapporto con Cristo, su cui si può costruire.

Lezione 3\11
CAPITOL OTTAVO dedicato ad un tema più lontano da noi. È lontano perché è dedicato all’idolatria, uno
dei punti più radicati in Grecia ai tempi di San Paolo. È uno dei temi su cui la Bibbia interviene più spesso
perché c’è differenza radicale tra idolo e divinità cristiana. Gli idoli sono realtà materiale costruite dagli
uomini, mentre per quanto riguarda Dio è lui che ha creato l’uomo e l’uomo è immagina e somiglianza di
Dio. Nel cristianesimo c’è l’idea di Dio al centro di ogni cosa, Dio con cui però è possibile avere una
relazione. All’idolatria vi partecipavano ancora in molti al tempo di San Paolo pur sapendo che gli idoli non
sono nulla. La critica all’idolatria è sullo sfondo perché i due temi fondamentali sono quelli della conoscenza
(i cristiani sanno che gli idoli sono nulla) e poi i l secondo è l’attenzione ai piccoli e ai deboli, coloro che
potrebbero risentirne maggiormente di questa idolatria. Per quanto riguarda il primo tema si deve sottolineare
l’importanza non solo della conoscenza ma come questa debba essere usata. Versetto 2  tutti sanno che il
culto idolatrico è fragile e vuoto, ma basta questo per essere liberi di fare quello che si vuole nei confronti del
culto idolatrico? La conoscenza da sola non basta, rischia da sola di riempire di orgoglio, quindi serve anche
l’amore. L’amore è il senso dell’esistenza, la conoscenza non è il fine ma ciò che serve per amare. Se non
sono libero, se non conosco non posso amare. Sono temi che già sono stati affrontati nel capitolo 6. San
paolo non nega il valore della conoscenza: immagina il rapporto con cristo come un incremento del rapporto
con Gesù. Chi ama Dio è da lui conosciuto: si capisce il cuore del cristianesimo ovvero l’amore per Dio e chi
è ama Dio capisce di essere conosciuto egli stesso da Dio. Il primo modo di conoscere è che a mano a mano
che si amplia la propria conoscenza allora cresce la consapevolezza di non essere l’origine della conoscenza
ma si intuisce che c’è qualcosa o qualcuno prima di lui ovvero essere conosciuto da Dio. La conoscenza non
è l’assoluto, c’è qualcosa che precede. Lo spirito di Dio permette di capire ciò che Dio ha donato. Elemento
importante della conoscenza è comprendere che la vita è un dono e che c’è qualcuno che ci conosce ancora
prima di conoscerlo. La conoscenza umana arriva fino ad un certo punto, perché c’è qualcuno che precede,
ch ha donato tutto e che ci conosce.
Versetto 4  proposto un elemento della conoscenza e teologia cristiana del vecchio testamento ovvero non
esiste alcun idolo al mondo e non c’è alcun dio se non uno solo.
Versetto 5 prende posizione nei confronti dell’idolatria greca, dove ci sono dei sia nel cielo che sulla terra.
Anche se ne contesto in cui siamo, ovvero c’è chi dice che ci sono divinità sia in cielo che in terra, non è che
questi ci sono ma paolo usa una forma ironica. Sembra prendersela con coloro che fano parte della comunità
cristiana che si considerano dei e signori.
Versetto 6  sintetizza la fede cristiana  una delle più antiche professioni di fede opposta all’idolatria. Dio
pè uno solo, il Padre (tema della paternità) dal quale tutto proviene (riprende il tema che tutto è dono di Dio,
tutto viene da lui e della relazione ovvero noi siamo per lui. Un dio che dona ogni cosa e che ci chiama alla
relazione, ci propone di essere suoi figli). Partecipazione di cristo alla creazione per associare Gesù al padre.
Noi esistiamo grazie a lui. Di fronte all’idolatria la diversa idea di Dio è sufficiente per far capire la
differenza teologia tra l’idolatria e il culto cristiano. Se uno conosce questo capisce l’insensatezza e il vuoto
dell’idolatria e si allontana.
Secondo tema  importanza del rispetto dei deboli che non hanno la conoscenza. Versetto 7  attenzione
perché se uno ha conoscenza matura del cristianesimo non corre pericolo di ricadere nell’idolatria, ma c’è chi
fa più fatica ad entrare nella logica cristiana e ad avvicinarsi a Dio. Fa un passo verso i colti. Anche se si fa
un passo verso gli idoli non sarà questo ad avvicinarci da Dio.
Versetto 9  attenzione alla coscienza dei più deboli. Se chi ti vede pensa che sei tornato all’idolatria allora
bisogna stare attenti. Se il cattivo esempio legittimo e rischioso per i più fragili rischia di fare un danno. Per
la tua conoscenza giusta e colta va in rovina il debole, un fratello per cui cristo è morto. Non essendo attenti
allo scandalo che si potrebbe creare, e al comportamento da seguire, non tenendo conto della fragilità
dell’altro, si fa danno alla coscienza di questa persona e per questo è possibile avere conoscenza (versetto 13)
ma si deve porre attenzione ai più fragili per far si che anche loro non cadano nella tentazione dell’idolatria.
La conoscenza non è l’assoluto e si accompagna bene all’amore. Il criterio di ogni cosa è la carità.
CAPITOLO 10
Ritorna ai temi affrontati al capitolo 6. Il cristianesimo ci ha resi liberi, però non tutto giova, non tutto
edifica. Giova ed edifica, come detto al capitolo 6 ed 8, la carità. Tutto è lecito ma attenzione che il senso
della libertà è scegliere ciò che giova e ciò che edifica. Bisogna cercare l’interesse altrui. Versetto 28  non
cadere nell’inganno non per la propria coscienza ma per quella dei più deboli. Stesso tema di come la
conoscenza e la libertà devono confrontarsi con amore, attenzione all’altro. Serve una certa responsabilità,
quella di chi ama. TEMA DELLA LIBERTA’ E DELLA LEICITA’

LEZIONE 4\10
Versetto 27 capitolo 10  se si viene invitati da un pagano ad un banchetto, con senso di libertà, allora si
può partecipare a questo. Nella convinzione che il culto idolatrico è vuoto e non è cibo che allontana da Dio.
La libertà però non è l’unico valore ma una condizione, se il valore è l’amore allora se la libertà viola
l’amore ??
Versetto 28  se la partecipazione può essere fraintesa allora non andate. Coscienza intesa come non la
propria coscienza ma quella dell’altro perché l’affermazione della propria libertà potrebbe essere fraintesa.
Vi è in paolo desiderio di amare, proteggere e non ferire il proprio fratello. La propria conoscenza non è
l’assoluto. È un dono che può essere condiviso.
Versetto 31  sembra sintetizzare quello che detto fino a d’ora: qualsiasi cosa si faccia, il punto di
riferimento per paolo è la gloria di Dio  la gloria nel nuovo testamento non è il successo, ma è idea di
pesantezza, è presenza pesante, solida, punto stabile significativo, un punto di riferimento di Dio. Nell’antico
testamento si vedeva nell’esodo, quando si manifesta sul Sinai. Nel vangelo di Giovanni il momento della
glorificazione di Gesù è il momento della croce, che è glorificazione perché è il momento della presenza,
della glorificazione, pesante di Dio. Quando Gesù muore in croce si manifesta meglio la presenza e la gloria
di Dio. Anche in questo versetto fate tutto per la gloria di Dio non è per il successo di Dio ma per la
presenza e il dono che Dio fa di sé. Fate tutto nella relazione con Dio, nella comunione con Dio anche
confrontandosi con lui, coerentemente con ciò che del Dio cristiano viene compreso.
Versetto 33  amore fraterno. Spesso san Paolo si pone come modello. Infatti si collega al capitolo 11
primo versetto
CAPITOLO 11
Versetto 1 non è vanitoso Paolo ma desidera che la comunità cristiana segua il suo sforzo. San paolo sa di
non essere perfetto ma sa di metterci tutto l’impregno. Diventate miei imitatori nello sforzo che paolo ci
mette per capire l’amore di Gesù, la comunità dovrebbe seguire il suo sforzo come lui ha seguito quello di
Gesù.
Due casi:
1. Velo sul capo delle donne durante la preghiera fino al versetto 16.
2. Da 17 alla fine si ha il caso della prima comunità cristiana che si unisce per la cena dell’eucarestia,
della comunità cristiana; chi porta tanto si alza sazio e chi porta poco si alza con la fama. Vengono
rimproverati da Paolo perché non viene condiviso ciò che viene portato.
L’esistenza è un dono che contiene un compito. Già sarebbe tanto avere la consapevolezza che la vita è un
dono.
1. Da 2 a 16: uso delle donne di portare il velo durate la preghiera. Simo a Corinto dove qualche donna
forse si lamentava e volva innovare. Versetto 3  affermazione del principio della cultura
dell’epoca, che era gerarchica (Dio  Cristo  l’uomo  la donna). Sicuramente le donne non
avevano un ruoo centrale. Nel capitolo settimo si cerca di mostrare la reciprocità nelle relazioni
affettive e matrimoniali. Sicuro nella famiglia avevano un ruolo centrale ma non nella vita politica o
economica. Versetto 4 l’uomo prega o parla nell’assemblea; se lo fa con il capo coperto lo fa con
mancanza di rispetto nei confronti del proprio capo, ovvero Cristo. Per San Paolo il capo dell’uomo
è quello di Cristo quindi non deve coprirlo. Versetto 5  la donna se non copre il proprio capo allora
non è in contatto con Dio. Spesso erano le prostitute che andavano a capo scoperto. Versetto 6  se
non vanno con il velo allora si dovrebbero tagliare i capelli. Se la dona profetizza a capo scoperto
rischia di mancare di rispetto all’uomo; è come se fosse rasata. Andare in giro a capo scoperto nella
preghiera era un comportamento equivoco. È un testo che dipende dalla cultura dell’epoca. La
comunità di Corinto voleva avere un atteggiamento moderno ed innovativo quindi paolo cerca di
affrontare questo argomento.
San Paolo non contesta i costumi sociali, ma propone 3 motivazioni per affrontare i temi affrontati.
Per giustificare la prassi propone 3 argomenti
a. Versetti da 7 a 10  fa parte della tradizione ebraica (fa riferimento alla genesi infatti).
Racconto della creazione: prima viene creato Adamo, che si sente solo e quindi viene creata Eva
dalla costola di Adamo. Quindi secondo questa logica Eva è creata dopo Adamo. La comunità
ebraica quindi vede l’uomo come capo famiglia secondo questa logica. Per questo la donna deve
avere il capo coperto a motivo del rapporto con Dio come viene descritto nel libro della Genesi
b. Versetti 11-13  vengono scardinati alcuni elementi della tradizione ebraica e cristiana in un
contesto tradizionale come quello in cui vive Paolo. Il suo modo di intendere il rapporto con Dio
rischia di scardinare l’esito del racconto della genesi. Al testo biblico della genesi, elemento
tradizionale, aggiunge la novità cristiana: nel signore tuttavia ci sono reciprocità e dipendenza da
Dio. Né la donna è senza uomo né l’uomo è senza la donna. L’uomo ha origine dalla donna nella
vita quotidiana perché è lei che partorisce l’uomo nella vita quotidiana. Si pensi anche solo al
fatto che ai piedi della croce c’erano le donne. Tutto poi però proviene da dio, che sembra
riequilibrare il rapporto. Tutto viene da Dio sia uomo che donna (tema della dipendenza)
Ci sono 2 interpretazioni, quella ebraica e tradizionale, coerente con il testo della genesi, e
l’apertura cristiana più aperta alla reciprocità
c. Natura e cultura dell’epoca insegna che era indecoroso per l’uomo avere i capelli lunghi, mentre
per la natura e cultura era un vanto, una gloria per la donna lasciarsi crescere i capelli. Se
guardiamo natura e cultura allora è per questi che la donna ha i capelli lunghi quasi come fossero
un velo. Versetto 16  paolo fa valere il peso della cultura tradizionale dicendo che non si ha il
potere di contestare.
paolo attribuisce una certa forza alla teologia cristiana.
Cattivo comportamento nella cena che la comunità cristiana faceva per celebrare la partecipazione all’ultima
cena di Gesù (versetto 17). Versetto 19  difficoltà diventa necessità utile. Le fazioni sono utili perché sono
occasione per superarle ed approfondirle. Utilizza come criterio per interpretare lo stile di incontro cristiano
l’ultima cena di Gesù. L’aver affrontato quelle difficoltà ci aiutano a capire e a interpretare l’ultima cena di
Gesù. Paolo voleva rimproverare la comunità di Corinto di essere disattenti.
Versetto 23  lga a consapevolezza dell’ultima cena all’incontro con Gesù o quello che possono avergli
detto gli apostoli quando li ha incontrati. Quello che lui ha trasmesso gli è arrivato prima, qualcuno gli aveva
parlato di Gesù e dell’eucarestia. Siamo 10 anni dopo la morte di Gesù. La tradizione che Paolo ha ricevuto
riporta gli elementi centrali dell’ultima cena id Gesù. Il pane e il vino sono corpo e sangue di Gesù. Corpo
costituisce l’identità della persona, non siamo solo corpo, ma siamo dove è il nostro corpo. Lo dice per
indicare se stesso. Il sangue era il principio vitale. Ciò che da vita è il sangue. Gesù prende spunto dalla
Pasqua ebraica per dire che con se stesso, il proprio corpo e il proprio sangue, li dona per mostrare il proprio
amore. Il dono di sé e del proprio amore vincerà la morte e il peccato. Tutti lo abbandonano ma lui dona la
propria vita. Il proprio amore rappresentato dal dono del proprio corpo e del proprio sangue sconfigge la
morte e il peccato. I primi cristiani la celebrano e la ripetono, cioè ne fanno tradizione, perché vi è
partecipazione a quel gesto. Non è una vera e propria ripetizione ma è più una partecipazione vera e propria
al gesto dell’ultima cena. Non è la ripetizione come se l’ultima cena non fosse stata sufficiente. Si tratta del
gesto ultimo e definitivo della vita di Gesù. È il gesto che rivela l’intenzione di Dio, amare fino a vincer il
peccato e la morte. Si tratta di un amore che vince ogni cosa, proponendolo per chi lo vuole accettare.
Celebrare l’eucarestia significa non perché il gesto di Gesù non sia sufficiente ma per consentire la
partecipazione a quell’unico gesto, in luoghi diversi e a persone diverse. Consente a tutti sempre e ovunque
di prendervi parte. San Paolo rimprovera la comunità di Corinto perché non si vogliono bene tra loro, sono
incoerenti con il gesto che compiono. Vorrebbero celebrare l’amore ma fanno poi l’opposto.
Ci sono 4 racconti dell’ultima cena nel vangelo. Le 4 versioni hanno piccole differenze, ma 2 sono grandi
ovvero sono a coppie, ci sono 2 elementi che appaiono: invito alla reiterazione\ripetizione (versetto 24,
ripetuto al versetto 25). Versetto 25 nuova alleanza. Due coppie: luca e paolo hanno ritenuto necessario
esplicitare qualcosa contenuto nel testo ovvero l’alleanza nuovo, esplicitata perché si riferiscono ad un
pubblico greco che quindi non conoscono la cristianità, mentre marco e Matteo fanno riferimento solo ad una
comunità cristiana. Per i lettori ebraici di Matteo e marco la ripetizione della Pasqua c’era, avveniva ogni
anno. Le due esplicitazioni, ovvero alleanza e gesto ripetuto, sono più opportune per un pubblico di lingua e
cultura greca. Infatti paolo scrive per la comunità di Corinto, mentre luca per un pubblico di lingua greca.
Matteo e Marco scrivono per un pubblico che arriva dalla tradizione ebraica. Luca e paolo fanno parte della
tradizione ellenistica mentre marco e Matteo a quella ebraica. Paolo riceve la tradizione ellenistica ad
Antiochia, dove c’era una comunità cristiana. Vive qua dopo la sua conversione.
versetto 24Cita le parole di Gesù nell’Ultima cena, dal versetto 24. Il senso del gesto di Gesù e
dell’eucarestia è trasmesso con le parole di Paolo: il pane diventa il simbolo del corpo ed il vino il sangue. Il
corpo ed il sangue indicano la persona ed il principio vitale. Gesù vuole donare ste stesso e la sua vita, a
disposizione di tutti. Il dono di sé è espresso simbolicamente dal pane e dal vino, viene compiuto il senso
della sua vita, del suo dono e della sua morte. Il gesto di Gesù è un sacramento, un segno che realizza in
modo efficace ciò che succede in una forma sacramentale che ha un valore vicino alla relazione teologica.
Paolo non vuole ripetere questa storia come una storia ma come un segno efficace della grazia, il dono che
Gesù fa di sé. La prima celebrazione eucaristica, testimoniata dalla comunità di Corinto, permette di
prendervi parte non solo come un ricordo ma attraverso un segno efficace, il sacramento. Consente a tutti,
sempre ed ovunque, di partecipare all’Ultima cena di Gesù, al suo unico e vero sacrificio. Paolo interpreta
così la storia, immagina quindi che per tutti sia possibile partecipare sacralmente, attraverso le scritture e con
una partecipazione reale all’Ultima cena. Il senso della celebrazione è il prendere parte al sacrificio ed al
dono. Sono quattro le testimonianze dell’Ultima cena, Paolo e Luca si distinguono per differenti elementi:
l’invito alla reiterazione del gesto, ovvero il ripetere il gesto “fate questo in memoria di me”, l’aggettivo
nuova in riferimento all’alleanza. Paolo e Luca introducono questi elementi, per far capire la presenza di una
vecchia unione ed alleanza, ma anche per invitare alla ripetizione. Di fronte alla mancanza di condivisione e
di gentilezza della comunità, Paolo utilizza uno dei capitoli fondamentali per il cristianesimo. Inserisce
l’eucarestia tra il ricordo della Pasqua ed il compimento. Dal versetto 27 sembra esserci quasi un tono
minaccioso, rimprovera la comunità non tanto con un linguaggio di condanna ma di responsabilità: la
coerenza del gesto. Chi vive con superficialità il rapporto con Gesù, senza consapevolezza, non lo condivide:
è la condanna di chi si distanzia e viene meno al rapporto. Il versetto 30 non va interpretato in modo
materialista, forse è meglio considerarla come un riferimento alla storicità dell’esperienza umana. Se non
possiamo vivere una condivisione con il Signore, la nostra vita si traduce nelle nostre condizioni, non in un
rapporto causa- effetto ma nelle conseguenze di un rapporto non profondo con il Signore. L’invito di Paolo è
quello di esaminare sé stessi, come dice nel versetto 31, invita a dare una valutazione obbiettiva di sé, per
prepararsi al giudizio del Signore, non per una condanna ma per la salvezza. L’ultima parte del versetto 34
chiude questa sezione, chiudendo gli esami di singoli casi per passare a ricapitolare alcuni temi di fondo
della lettera.
Lezione 10\11
Dai capitoli 12 a 16 raccoglie delle considerazioni di carattere generale e più sintetico. Riflette sulla varietà
della comunità di Corinto, riflettendo ed interpretando l’esperienza cristiana come una serie di doni che nella
comunità di Corinto erano vivaci. Nel capitolo 12 fa una riflessione generale sulla comunità di Corinto e su
come intrepretare questi doni.
Riflessione su idoli che devono esser muti. Si deve riconoscer la divinità di Gesù. Paolo vuole aprire un
dialogo sull’intera esistenza. Lo spirito aiuta a non interrompere e aiuta a render profonda l’esistenza. Indica
l’azione dello spirito santo, ne indica i due estremi. Lo spirito garantisce la comunione con Dio.
Nei versetti successivi vi è analisi del rapporto tra Dio e i cristiani.
Nei testi antichi vi era riferimento alla trinità. Attribuisce alla funzione dello spirito, che è invisibile e reale,
la diversità di doni della comunità di Corinto. Sembra che faccia riferimento al ministero e al servizio
attribuendoli a Gesù. I doni per essere usati bene allora si deve fare riferimento a come Gesù ha servito
l’umanità e i suoi discepoli. Complessivamente colui che opera in tutto e tutti è il padre che attraverso lo
spirito dona i carismi e sull’esempi di Gesù questi sono usati per diversi possibili servizi. Il corpo è il tempio
dello spirito santo. L’intero corpo ecclesia è corpo di Cristo.
- ritorna il tema della libertà, che prima si lasciavano trascinare senza controllo. Il cristianesimo è una
condizione di libertà che non trascina ma rende liberi, l’incontro con Gesù rianima la libertà delle persone. È
un trascinare senza ragione, quello dei pagani. Si intuisce che dietro c’è un confronto tra cristianesimo e
paganesimo, una rappresentazione molto triste dell’esperienza idolatrica ma interessante per la fede cristiana.
Nel versetto 3 persiste quasi una contrapposizione tra le due vie. Se il versetto due sembrava indicare i limiti
dell’esperienza idolatrica, in questo verso abbiamo la qualità dell’esperienza cristiana caratterizzata da più di
un elemento. Innanzitutto, si parla, non come il mutismo del paganesimo, è una parola nella comunione con
lo Spirito. Il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo e quindi può avere una comunione profonda con Dio,
un modo diverso di vivere l’esperienza religiosa senza essere trascinati senza logica ma una vera e propria
condivisione profonda che permette di parlare ed assumere un atteggiamento personale. Vengono espressi
due estremi uno positivo ed uno negativo:
- Gesù è anàtema: l’offerta per un sacrificio malefico, per propiziare una maledizione, allontanamento da
Gesù come dire che lui è maledizione. Uno degli errori più gravi del cristianesimo è quello di vederci il male
e quindi allontanarsi. La prima opera che lo Spirito realizza nel credente: lo aiuta a non allontanarsi e non
maledire Gesù.
- Gesù è Signore: riconoscere che è risorto, la sua divinità. Sul versante positivo, è possibile riconoscerlo
come divinità solo in una comunione con lo Spirito
Per san paolo è difficile esprimere e comprendere l’esperienza umana senza fare riferimento alla figura di
Gesù che dona se stesso.
San paolo mostra la continuità del dono ricevuto dallo spirito santo e la continuità nell’usare questo dono.
Attraverso l’azione dello Spirito è aiutato a non allontanarsi ed a riconoscere Gesù come Signore. Nel
versetto 4 dettaglia l’azione dello Spirito. Se il cristianesimo è caratterizzato da questi due estremi come un
arco, come si realizza l’azione dello Spirito? Paolo vuole sottolineare come ci siano differenti attività,
manifestazioni e ministeri, molteplici sono i carismi. I versetti 4-6 hanno una radice di una prima teologia
trinitaria. Lo Spirito di Dio opera molti servizi, attività e uomini, quasi per indicare le tra grandi categoria
delle vicende umana, forse riconducendo il dono al dono dello spirito, i ministeri ed i servizi sul modello del
signore Gesù e le attività come un’opera che il Signore fa in tutti. I temi si intrecciano molto tra di loro, che
vivono all’interno di una relazione profonda. Dal versetto 8 fa un elenco di tutto ciò che è operato da un
unico e solo Spirito, che corrisponde ad alcune caratteristiche vissute nella prima comunità cristiana. Ora
utilizza l’immagine del corpo e delle sue membra per indicare la pluralità e l’unità, fornendo anche criteri
interessanti per interpretare questa varietà. Dopo aver detto che tutte le vicende dell’uomo possono essere
ricondotte a Dio ed alla relazione con lui, anche la comunità può essere ricondotta all’immagine del corpo.
Al capitolo 14 ritornano i doni di cui si parla qui, e vi è confronto tra due doni ovvero quello delle lingue e
quello delle profezie. Quello delle lingue fa riferimento al dono di chi negli incontri di preghiera usa delle
formule strane o esoteriche per esprimere un pensiero. Era un esprimersi in forma mistica, con modi molto
intesi o singolari, come manifestazione di un’emozione, gesto. Il dono della profezia invece non fa
riferimento alla predizione del futuro, ma profezia è la capacità di dire le parole che istruiscono, consolano,
la parola non prevede il futuro ma è parola che costruisce. Il profeta interviene sulle condizioni del proprio
tempo per aiutare a capirle ed interpretarle. Gli abitanti di Corinto amavano i doni più stravaganti. Più
semplice il dono della parola ovvero vi sono parole che possono aiutare. Il dono della profezia permette di
dire delle parole semplici e utili, che possono aiutare la missione di carità. San paolo invita la comunità di
Corinto a fare riferimento ai doni più utili che possono aiutare di più.
Versetto 11 tutti i don hanno come origine dio e lo spirito. Ma tutto ciò lo opera lo spirito distribuendo i
doni come vuole. L’azione dello spirito è invisibile ma efficace. Unico è Dio che attribusice alle persone
doni e caratteristiche diverse.
Nei versetti seguenti si spiega come vivere questi doni. I doni sono 6 e sono utili non solo per la comunità di
Corinto ma per tutte e comunità.
Versetto 12  il corpo ha la sua molteplicità ma anche una sua unicità e fa riferimento al Cristo. Il rapporto
tra genere umano e Gesù è rafforzato dal battesimo. Nel battesimo e nello spirito, siamo tutti uniti neella
diversità. Come dice nel versetto 13 il battesimo ci permette di partecipare a questo corpo. Ritorna anche il
tema della relativizzazione dei ruoli, schiavi e liberi, l’immagine della sete aiuta a capire come lo Spirito
risponde alle nostre necessità.
I versetti dal 14 al 26 forniscono sei interessanti criteri per gestire i rapporti all’interno della comunità
cristiana ed umana, specificando alcune caratteristiche del rapporto tra le membra
Versetto 14  il corpo è fatto da membra.
Versetti 15 e 16  primo criterio per gestire la varietà: criterio della diversità. Paolo vuole sostenere che
piede e mano sono diversi ma appartengono allo stesso corpo. Il modo in cui paolo si esprime: afferma il
principio prendendo la parte del più debole. Il piede e la mano, la mano è più utile e il piede è a servizio, se il
piede, con senso di inferiorità, dicesse di non essere mano che è più nobile allora non è vero che non sarebbe
parte del corpo. Primo criterio è appartenenza con attenzione a tutti, anche i meno apprezzati. Stesso discorso
tra orecchio e occhio. Appartenenza ma difesa del debole. Anche se uno non si sente partecipe lo è.
Secondo criterio versetti 17-19  criterio dell’identità. Ciascuno è se stesso, l’appartenenza è comune ma
importante è l’affermazione della propria identità. Tutti apparteniamo allo stesso corpo ma non tutti siamo
uguali. Anche qua vi è attenzione al debole. Se tutto fosse occhio, dove sarebbe l’udito? E viceversa. Il
principio dell’identità è importante perché non sarebbe saggio un corpo fatto di sole parti nobili, perché il
corpo non sarebbe armonico. Ciascuno è se stesso e non deve valere il principio che tutti sono la parte più
importante. Deve esserci spazio per tutti, anche chi svolge un ruolo di minore importanza.
Terzo criterio versetti 20-21  si mette dalla parte di colui che è più importante e che no può dire all’altra
parte che è più importante. Quindi criterio del bisogno: ciascuno ha bisogno dell’altro, la parte più nobile ha
bisogno di quella più debole.
Quarto criterio 22-24  discernimento, ci vuole discernimento per apprezzare la differenza delle parti e la
loro importanza e la capacità di soccorrere al momento del bisogno. Versetto 22: le parti del corpo che
sembrano le più deboli sono le più necessarie. A volte c’è mancanza di equilibrio nel riconoscimento
dell’importanza delle parti. Ci vuole discernimento per valutare importanza delle parti.
Versetto 25 quinto criterio  criterio della cura che indica una delle finalità del corpo, ovvero quella del
prendersi cura di sé. Prendersi cura gli uni degli altri è un principio fondamentale. Fin dalla nascita c’è
qualcuno che si prende cura di noi nella speranza che quando cresciamo saremo noi a prenderci cura di
qualcun altro. È inscritto nella natura dell’uomo prendersi cura.
Sesto criterio se un membro soffre tutti soffrono. Nel bene e nel male, sia nella sofferenza che nell’onore,
importante è la reciprocità e condivisione dell’esperienza.
Versetto 27  solo qua appare l’espressione corpo di Cristo. Il corpo di cristo viene visto in ua comunità
ricca di doni e anche litigiosa come quella di Corinto. Paolo legge in profondità l’esperienza umana, litigiosa
e divisa, ricca di peccatori ma anche di doni.
Di questi doni ce n’è uno più grande di tutti? Ne risponde al capitolo 13.
LEZIONE 11/11
Nei primi tre versetti confronta la carità con grandi valori dell’epoca.
Versetto 1 primo confronto con il dono culturalmente importante e apprezzato. Importanza della
comunicazione come legame sociale. che sia la lingua quotidiana o quella degli angeli, senza la carità
(riferimento agli strumenti), il linguaggio sarebbe non chiaro e fastidioso. Quindi il dono della
comunicazione molto apprezzato, anche in forma straordinarie, se è senza la carità non comunica e
infastidisce. La comunicazione non è sufficientemente attenta alla qualità delle relazioni personali e frose
non raggiunge il proprio scopo. Crea un rumore di sottofondo.
Confronto tra carità e altri doni:
- Profezia non è prevedere il futuro ma dire parole che hanno significato
- Conoscenza di tutti i misteri,
- Fede che opera prodigi
Senza la carità però san paolo dice che sarebbe nulla, ovvero qualsiasi cosa fosse cpaace di fare, senza un
criterio di reciprocità dell’amore, quindi senza carità, sarebbe nulla.paolo non ha paura di confrontare il
criterio fondamentale della carità con le grandi ambizioni e prospettive della sua ecpoca. Non si può dire hce
la carità sia cosa che riguarda solo il piccolo recinto della vita religiosa o solo la vita matrimoniale. Riguarda
la vita di tutti e di tutto.
Versetto 3  terzo confronto e ultimo. Lo confronta agli effetti che la carità potrebbe produrre ovvero dare
in cibo i propri beni e consegnare se stesso. Ciò che qualifica i due gesti è la carità. Per Paolo la carità,
ovvero amare come ha fatto Gesù, è principio ispiratore di tutta l’esistenza e se questa c’è da senso ad ogni
atto umano altrimenti questo non manifesta tutto il suo senso. Ad essere amati e nell’impegno ad amare c’è
molto della nostra esistenza. Per san paolo il contesto socioculturale non pone centralità al tema dell’amore
ma da importanza a temi più pratici ed economici. I doni della vita vanno letti nel loro senso più profondo. Si
deve essere sia carnali che spirituali, uomini e donni che a partire dalla materialità della vita ne trovano il
senso. Il senso della rivelazione di dio è quello di portare gli uomini ad accoglierlo. Interessante l’invito a
leggere la vita non solo nell’immediatezza materiale ma anche nel suo senso più profondo.
Dal versetto 4 prova a descrivere una definizione di carità, attraverso la sua esperienza. La accosta ad alcuni
aggettivi: magnanima, un animo grande come quello di Gesù che riguarda tutta l’esistenza, benevola, cerca
sempre il bene soprattutto degli altri, non è invidiosa, contrapposizione negativa che crea un parallelo tra ciò
che è cercare il proprio bene ed il suo opposto ovvero cercare di trarne un vantaggio. Utilizza sette verbi nel
versetto 5, elementi legati alla vita di comunità, sembra di vedere atteggiamenti della comunità di Corinto ma
che potrebbero anche essere della comunità di Gesù. È da sottolineare la caratteristica della quotidianità della
vita della comunità, non da interpretare solo in modo soprannaturale. Lo stile di Gesù si vede anche dalle sue
relazioni quotidiani. Si rallegra della verità, in questo unico verbo positivo Paolo sintetizza la carità: la verità
è quella dell’amore di Dio che ha conosciuto con l’incontro con Gesù, che da gioia dell’amore e della verità
di Dio. Sintetizza sul versante positivo tutti gli altri difetti, sia nel rapporto stretto con Dio ma anche nel
riflesso che può avere sulla vita della comunità. La gioia di trovarsi in un autentico rapporto di amore.
Nel versetto 7 prevale l’idea della totalità, riprende i concetti dell’agire dei versetti precedenti ma inserisce
un elemento che ricerca il bene proprio con la comprensione dell’altro, in una prospettiva orientata a Dio:
tutto crede, tutto spera. San Paolo sembra poi proporre una sintesi della sua riflessione, come esprimere il
valore della carità?
Nel versetto 8 introduce il confronto con la vita umana, la carità è il valore fondamentale che non avrà mai
fine che illumina ogni elemento di esperienza umana. Ciò che costruisce in una relazione umano è la carità, è
un costruire solide che non avrà mai fine, costruendo nella logica di Dio.
Nei versetti 8-11 spiega il tema dell’eternità, della stabilità della carità. Al principio ci sono profezie e
conoscenze che svaniranno, il dono delle lingue perirà e sarà meno apprezzata. Cerca di illustrare questo
compimento e processo verso la carità e la perfezione utilizza questa sorta di metafora del pensiero di un
bambino, che però poi svaniscono ma non per forza sono negative. È la concezione di una vita in cammino,
riconosce le fragilità della comunità e le inserisce in un percorso in progressione nell’esperienza, ciò che fa
progredire è la carità.
Nel versetto 12 illustra con un altro esempio il passaggio dall’imperfezione alla perfezione, attraverso il
simbolo di uno specchio ed il vedere faccia a faccia. Le differenze stanno nell’incontro personale, lo
specchio non è una visione diretta ed è confusa. Il tema faccia a faccia sottolinea molto l’importanza
dell’incontro personale. A mano a mano che costruisce un rapporto personale è sempre più faccia a faccia
con Dio. Sottolinea anche un ulteriore modalità per far svanire gli elementi imperfetti della nostra esperienza,
riprende il tema di rendersi conto che la nostra conoscenza è preceduta dall’essere conosciuti da Dio,
all’interno di una relazione personale.
Il versetto 13 sembra concludere questo inno alla carità, sottolineando i criteri fondamentali dell’essere
cristiani. Indica tre elementi: fede, speranza sono due modalità che accompagnano il vivere l’amore ed il
vivere la carità, la strada vincente. Fede speranza e carità indicano il pensiero, il desiderio e l’azione orientati
a dio. La fede è il pensare orientato a Dio, un modo id affidarsi a Dio. la carità è l’agire secondo l’amore di
Dio. quando sono indicate queste caratteristiche si indicano allora cose importanti dell’agire di una persona.
La teologia successiva dirà che sono virtù teologali. Qua paolo vuole dire questa cosa, che l’esistenza umana
si articola introno a queste tre grandi aeree, pensiero, desiderio e azione. La più grande di queste è l‘amore, la
carità che è contenuto delle altre due  avere fede nella carità e sperare nella carità. Fede e speranza
convergono nella centralità dell’amore. Sono oggetto del desiderio. Non viene meno pensiero o desiderio,
non viene meno la persona. La carità diventa l’orizzonte comprensivo di ogni pensiero e ogni gesto. Diventa
l’orizzonte nel quale l’uomo vive. Il senso di ogni cosa è la carità. La carità resta ma non è che il resto viene
cancellato. Paolo elabora un modo di vedere l’esistenza che cresce nella consapevolezza cristiana
dell’esistenza, che individua nell’amore il suo centro.
QUATTORDICESIMO CAPITOLO
Il tema centrale continua ad emergere, la carità come lo stile di vita e l’esperienza di Gesù. In questo capitolo
prende spunto con il confronto tra due doni: - quello delle lingue, dono esoterico di moda dell’epoca,
esprimere con dei gesti ciò che il soggetto vuole esprimere in profondità ma che gli altri non riescono bene a
percepire - il dono della profezia, non come il dono di prevedere il futuro ma quello di dire parole che
edificano e che confortano, parole che costruiscono una comunità Paolo propone un confronto tra questi due
doni, per capire cosa sta alla base di questi concetti, come si costituiscono e qual è il dono più importante: la
carità. La risposta di Paolo è facile da intuire, il dono più utile è quello che corrisponde di più alla carità,
quello che può aiutare l’altro, probabilmente il dono della profezia. Il suo ragionamento vale su questi due
doni ma si può applicare a tutti i carismi della qualità. I doni più apprezzabili sono quelli che si traducono
meglio nella carità, che non mettono al centro. Con questo capitolo, abbiamo una sorta di passaggio da un
inno alla carità verso ad un’applicazione pratica e profonda. Prende in esame, in particolare, la profezia.
Dal versetto 2 ritorna il dono delle lingue, dono attraverso cui ci si può avvicinare a Dio, un dono di
ispirazione e quasi mistico nel quale colui che diceva le parole si sentiva quasi ispirato dall’alto, sensazioni
molto diffuse in quella cultura. Per noi è difficile avere esempi concreti, ma si fa riferimento al dono della
lingua con una sorta di mistero e profondità. Lo confronta con il dono della profezia: la possibilità di parlare
e farsi capire in confronto ad una parola che edifica e che costruisce, che nel cammino esorta e conforta.
Anche il dono delle lingue è cosa buona ma è più personale, la profezia è utile per la comunità. Dove sta la
grandezza del poeta? La grandezza della carità e delle parole di colui che si esprime per gli altri. Il dono delle
lingue a volte può servire, se è volto a comunicare qualcosa di utile. La carità aiuta a comunicare ed a
condividere, come si esprime nei versetti dal 6 al 9 dove utilizza anche il suono degli strumenti musicali
come mezzo di comunicazione di un segnale specifico, con la comprensione del sentimento più profondo.
Successivamente introduce un ulteriore tema importante: il senso, quello di interpretare la comunicazione ed
il suo significato più misterioso e profondo, come attribuire un significato ad un suono che da solo sarebbe
incomprensibile. Il dono delle lingue, Paolo, esprime delle parole che sottolineano la profondità dello spirito
che però fanno fatica a farsi comprendere dagli altri: è necessaria la totalità, coinvolgere non solo la
profondità del mio sentire ma anche la mia intelligenza e l’attenzione verso gli altri. Nel capitolo
quattordicesimo troviamo un ulteriore elemento interessante sul loro modo di pregare, a partire dal versetto
26. Paolo da qualche indicazione anche per disciplinare il momento di preghiera all’interno della comunità.
Ognuno ha un dono, un insegnamento, nella comunità troviamo elementi molto differenti. Successivamente
dal versetto 33 possiamo fare una riflessione sulla figura delle donne nella preghiera. Se prima nel capitolo
undicesimo, le donne erano portate a pregare con il volto coperto, in questo capitolo le donne sono esortate a
stare in silenzio. Che cosa le era vietato, secondo Paolo? Porre domande, come dice nel versetto 35, il
silenzio viene applicato al fare domande all’interno dell’assemblea, attività riservata ai maestri ed agli
uomini. Per tutto il resto dell’assemblea, le donne potevano pregare ma anche profetizzare. Il ruolo del
maestro era legato al capo famiglia, figura maschile. Il versetto 36 chiude con delle ultime parole il capitolo.
Paolo sembra fare delle ultime considerazioni in modo sintetico su questo disordine nella modalità di
preghiera, si capisce il fermento della comunità di Corinto anche nel loro modo di pregare. Chiude il capitolo
con un’esortazione nei confronti dei membri orgogliosi e controversi della comunità, Paolo sottolinea che
devono tenere conto del loro punto di origine, di ciò che sta prima soprattutto di quello che possiamo
ricavare dalla volontà di Gesù. L’esperienza di Gesù è un criterio per indirizzare la propria vita nella sua
immagine ed in relazione con lui. In quel periodo non c’erano ancora i Vangeli, che nasceranno con la stessa
logica: testimonianza dell’incontro con Gesù affinché tutti possano attingere all’intelligenza della propria
esistenza in una relazione personale con il Signore. È la stessa logica di Paolo che ritorna in questa lettera,
invitare alla reciprocità e ad attingere all’esperienza di Gesù per incontrarlo ed essere consapevoli di ciò che
ci ha preceduto. È un processo di conoscenza all’interno di un rapporto di reciprocità. Sintetizza il suo
ragionamento negli ultimi versetti: sono possibili entrambi i doni, capisce che la profezia ha un particolare
valore in più che però non è un motivo in meno agli altri doni, l’importante è avere criteri buoni per
esercitarli, ovvero il decoro, l’ordine e la carità.

CAPITOLO QUINDICESIMO
In questo capitolo, riflette su uno dei temi centrali della fede e del cristianesimo: la resurrezione dei corpi.
San Paolo difende questo tema, che i Greci vedevano come un limite perché valorizzavano di più lo spirito.
Egli invece difende per due argomentazioni che abbiamo analizzato:
- la fedeltà a Gesù, ha un rapporto così profondo con lui che la comunione deve essere totale sia nel corpo
che nello spirito
- la totalità, se l’uomo è composto da carne e spirito, l’esperienza deve comprendere la completezza
dell’uomo in un incontro profondo con Gesù
Egli vuole sottolineare la condivisione piena e totale del rapporto con Gesù ed il suo destino. Nei versetti 1-
11 si affronta un primo tema: richiama il valore della tradizione ricevuta, estendendolo all’intero Vangelo.
Per intervenire nei confronti di una comunità, Paolo fa appello alla tradizione. Invita a restare saldi nel
Vangelo, per far capire alla comunità che il cristianesimo non nasce da loro, possono solo costruirlo strada
facendo, confrontarsi e credere, ma non possono ignorare ciò che li precede: le precedenti comunità cristiane
ed il confronto con Gesù. Paolo richiama il senso e l’importanza della tradizione, sintetizzandola nei suoi
contenuti. Come i cristiani sintetizzato il contenuto fondamentale di questa tradizione da trasmettere? Qual è
il contenuto di questa antica professione di fede? Tre elementi, li notiamo nei versetti 3-5. In questa profezia
di fede, viene utilizzato il nome di Cristo nella sua umanità, con la sua morte: accenna subito alla divinità ma
anche all’umanità di Gesù. La seconda sfumatura indica la finalità della sua morte, per vincere i nostri
peccati: muore per perdonare tutti, per vincere la separazione tra gli uomini. La morte di Gesù vince i due
grandi nemici dell’umanità: peccato e morto. L’espressione secondo le Scritture torna due volte, come per
capire che attraverso le scritture antiche si riesce a percepire la continuità della vita di Gesù. Si intuisce la
continuità e la novità tra Gesù e le scritture precedenti. Il testo sottolinea la centralità della Pasqua, la morte
innocente ed autentica che salvifica. Sia morte, resurrezione e le Scritture sono in un rapporto di continuità.
La resurrezione vince il grande nemico dell’uomo: la morte. Le apparizioni sono simbolo dell’autenticità
della sua resurrezione, il ruolo centrale del sepolcro e l’attestazione dell’autorità, Pietro e gli apostoli che
attestano il percorso Pasquale di Gesù incontrandolo dopo la sua morte. Nei versetti 6-7 descrive le
apparizioni agli apostoli, per poi introdurre anche la sua presenza nel collegio apostolico: anche se non l’ha
mai conosciuto in vita, gli apparve e ne riconobbe il dono. Paolo è sincero e consapevole delle sue colpe e si
colloca all’interno di questo dono ricevuto. Si riconosce il merito di collaborare con la grazia, sia nel
momento dell’incontro ma anche nel percorso che ne segue e nello stesso momento che sta vivendo ora
scrivendo quelle lettere. L’impegno che ci ha messo, le lettere lo attestano, il dono ricevuto non è stato
invano. A partire dal versetto 12, Paolo riprende il tema della resurrezione, applicandolo alla comunità a cui
sta scrivendo. Paolo lo utilizza come metodo di riflessione. L’incertezza non riguarda la resurrezione di
Gesù ma bensì la presenza, con il corpo, dei credenti al suo momento di resurrezione.
Nel versetto 13, immagina con talmente tanta importanza e profondità il rapporto con Cristo che non riesce a
concepire una differenza di destino tra il Signore e gli uomini. La carità di cristo vince i limiti dell’esperienza
umana ed i suoi grandi nemici, se così non fosse anche la fede sarebbe vuota come la preghiera (versetto 14).
L’amore di Cristo è in grado di trovare una logica vincente in tutte le vicende e sfaccettature dell’esperienza
umana. La Pasqua riesce ad edificare e costruire qualunque situazione dell’esperienza, come abbiamo visto
persino nell’incesto e nella scomunica persiste una possibilità edificatrice. Ma se questo amore venisse
messo in discussione, i grandi nemici della morte e dei peccati rimarrebbero tra noi. La questione non è la
credibilità della resurrezione di Gesù ma bensì la partecipazione stessa dei tutti i cristiani. Paolo ci tiene
molto, per lui è inconcepibile la non partecipazione alla vita ed alla morte da parte dei cristiani. Il secondo
tema riguarda sicuramente l’unità dell’uomo, l’unione non si limita al lato corporeo ma è una relazione
profonda e spirituale. Dal versetto 29 fa riferimento ad una prassi in vigore nella comunità di Corinto, che
secondo lui credevano nella resurrezione. Una loro abitudine era quella della pratica di farsi battezzare da
morti, unirsi al cristianesimo, quindi, da adulti. Nasceva quindi la questione: coloro che sono morti prima
della vicenda cristiana, possono comunque partecipare alla comunità cristiana? Ecco che nacque tale
abitudine, come a favorire e dare un segno della loro partecipazione alla fede cristiana. È un segno di forte
condivisione dell’esperienza cristiana, con gli stessi cari defunti. Paolo allora prende spunto da questa
abitudine per riflettere sul fatto che la comunità credesse veramente alla resurrezione, nonostante lo mettano
in discussione.
La seconda argomentazione, a partire dal versetto 30-31, pratica riguarda il comportamento stesso di Paolo,
che mette a rischio la sua stessa vita, esponendosi e credendo alla resurrezione. Il fatto di mettere in pericolo
la propria vita, contro le belve intese come i suoi nemici, è dimostrazione del credere alla resurrezione dei
corpi e dello spirito: un modo totalmente differenti di affrontare la vita rispetto a chi vede la vita come chiusa
in sé stessa. Per ammonire la comunità di Corinto, cita varie frasi: le cattive compagnie violano i buoni
costumi, intesi come le comunità greche che non credono in una vita ultraterrena finendo quindi a vivere una
vita allo sbando, legata al presente e fiduciosa solo nel corpo.
Nei versetti 35-44 fornisce almeno quattro elementi per riflettere sul senso della resurrezione e le modalità.
Sembra raccogliere domande pertinenti dai suoi interlocutori ed offre degli elementi di riflessioni.
1) Il primo elemento riguarda la necessità della morte, intesa come un passaggio importante del percorso, per
risorgere, come un seme. (versetto 35-36)
2) Il secondo elemento riguarda la novità, il percorso del seme che cresce, non nasce subito il corpo ma pian
piano germoglierà. (versetto 37)
3) Il terzo elemento riguarda la fede e la comunione in Dio, che guida. Dio è la guida, il criterio e compagno
di questo percorso. (versetto 38)
4) Il quarto elemento fa riferimento alla singolarità, a ciascun seme il proprio corpo. Ognuno ha le proprie
specificità, nonostante questo processo sia caratterizzata universalmente. È un percorso che rispetta e segue
le caratteristiche dell’uomo e della donna. Paolo elenca gli elementi del cosmo donati da Dio, ogni elemento
risorge a modo proprio con le sue caratteristiche (versetto 39-40-41)
Il versetto 42 chiude il ragionamento, indica caratteristiche del corpo umano sulla scia di questi quattro
elementi. Non ci dice mai di cosa si tratta e che cos’è la resurrezione, ma ci fornisce degli elementi per
rifletterci, elementi del percorso.
Con il versetto dal 51 si va concludendo il capitolo. La morte sarà solo un passaggio, parte della nostra stessa
trasformazione. Attraverso questo processo di trasformazione, risorgeremo incorruttibile, immortali. Cita
ancora delle frasi delle Sacre scritture.
Il versetto 56 potrebbe anche essere letto al contrario. Parte dal male fondamentale, la morte, come essa
punge e genera il suo effetto negativo? Attraverso il peccato. E se il peccato ci separa da Dio ed ha il suo
esito ultimo la morte, entrambi grandi nemici dell’uomo. La morte è frutto del peccato, che si genera perché
qualcuno trasgredisce la legge. Si potrebbe leggere al contrario: la legge quando trasgredita porta al peccato,
effetto negativo che se generato porta al grande nemico della morte.
Chiude il capitolo quindicesimo con una sorte di esortazione ad affidarci alla vittoria che ci è data dal
rapporto con Cristo. Come lo stesso Paolo, che nella comunione piena con Dio, riesce a trovare la propria
via, riesce a cambiare attraverso un nuovo criterio per leggere l’esistenza, ma soprattutto trova la salvezza.

CAPITOLO SEDICESIMO
In questo capitolo, Paolo propone dei criteri per la corretta modalità delle collette. Invita alla carità, invita a
non esibirsi davanti a lui, non deve essere motivo di vanto. Sottolinea l’importanza dell’aiuto economico, che
non deve essere incoerente con la carità ma deve essere gestita da qualche forma di controllo.
In questo capitolo, anche i beni economici diventano uno strumento per vivere quel principio fondamentale
della carità. Esprime dei criteri interessanti per soffermarci su questo tema: - non utilizzare la colletta per
esibirsi davanti all’apostrofo - la necessità del controllo, i soldi saranno accompagnati da una lettera oppure
da Paolo I versetti 13-14 sembrano totalmente riassumere e soffermarsi sui temi fondamentali della lettera.
Hanno quasi un sapore sintetico nei confronti dell’intera lettera, nei confronti del lettore e dei temi centrali. Il
versetto 14 riassume tutte le argomentazioni importanti legate alla carità, trattate in molti passaggi della
lettera. Alla luce del quale possiamo leggere il versetto 13 precedente, che riguarda le conseguenze
fondamenti della carità. Innanzitutto, sottolinea l’importanza di essere vigili dentro la comunità, proprio
come lui fa in veste di fondatore della comunità di Corinto. Ma anche la salvezza nella fede, per Paolo la
fede è l’affidamento e la relazione con Gesù, vivere sulla base della sua esperienza e sul suo stile di vita in
cui la carità è la prospettiva vincente. Non solo rimprovera la comunità, ma Paolo vuole soprattutto mostrare
l’efficacia del tema della carità. Vediamo anche il tema della forza, non la forza fine a sé stessa ma bensì
tutta quella perseveranza e determinazione che viene dall’amore, la forza del dono di sé. Tutto viene
applicato alla carità. Nel versetto 21 possiamo interpretare questa espressione, capiamo questa aggiunta
perché probabilmente questa lettera all’epoca era stata dettata, Paolo aggiunge di proprio pugno il saluto
finale. L’anatema era una specie di scomunica, di sensazione di condanna: viene citata nel versetto 22 in
modo positivo, il fine ultimo è l’amore per il Signore. Lo dice in modo di ammonimento, è importante la
serietà d’applicazione di questi principi, chi non ama il Signore va allontanato. In lingua aramaica, Maràna
tha, può essere interpretata in modo diverso: può essere analizzata come un invito ed un’invocazione del
Signore “Vieni Signore”, oppure si
potrebbe leggere con un valore più presente “Il Signore viene”, entrambe sono corrette. L’invocazione nasce
dalla consapevolezza della presenza del Signore. In questo versetto finale, l’auspicio di Paolo è che la
presenza e
la relazione con il Signore possa portare a compimento la comunione e maturazione di tale comunità. Nel
versetto 23, la grazia è il dono, ovvero Gesù. Con l’ultimo versetto 24, aggiunge anche la posizione
dell’apostolo, colloca il proprio ruolo sempre all’interno della comunione con Gesù. Nonostante tutti i
rimproveri, come un grande educatore e pastore, ama la comunità: li educa, insegna ed ammonisce i loro
errori. Ogni esperienza d’amore è quasi espressione del rapporto con Gesù. Il suo rapporto d’amore con la
comunità Corinto si realizza nel fatto di essere un unico corpo, come in Cristo Gesù. La vita della comunità è
una specie di conferma, per Paolo, del suo rapporto con Gesù.
A DIOGNETO
Con questo testo, vogliamo documentare un punto di vista antico del cristianesimo, presentato come una
novità. Diogneto in greco significa generato da Dio, potrebbe essere un nome fittizio immaginato per ogni
lettore: un modo per raccontare il cristianesimo a tutti. Non conosciamo l’autore, il testo ha subito una
vicenda singolare nella sua trasmissione. Possiamo collocarla nel II e III secolo dopo Cristo, per poi essere
andato perso, abbiamo notizie di questo testo solo successivamente nel 1436, ritrovato a Costantinopoli. Lo
stesso testo sarà distrutto nel 1470 nell’incendio della biblioteca di Strasburgo. Abbiamo avuto delle copie
grazie alle edizioni del XVI secolo. Non conosciamo né l’autore né il destinatario. A volte viene chiamata
lettera, ma più che una lettera sembra più un trattato dedicato a Diogneto.

I – Esordio
Il testo si apre con una specie di indice, si apre all’esigenza di presentare il cristianesimo, promette la
trattazione di cinque temi, che troviamo nel primo paragrafo.
1) A quale Dio credono e come lo venerano, riflessione sulle caratteristiche del cristianesimo
2) Perché tutti disdegnano il mondo e disprezzano la morte, riflessione sullo stile di vita cristiano
3) Non considerano quelli che i Greci ritengono dei, non osservano la superstizione degli ebrei, critica le
superstizioni e le idee dei movimenti religiosi dell’epoca
4) Quale amore si portano tra loro, tema della carità che caratterizza la vita cristiana
5) Perché questa nuova stirpe e maniera di vivere siano comparsi ora al mondo e non prima, il rapporto del
cristianesimo con il temo, perché ora e non prima?
II - L’idolatria
Terminata l’introduzione, ecco il testo. Parte con il confronto tra le due esperienze religiose dell’epoca,
paganesimo e cristianesimo. Il secondo paragrafo è quindi dedicato a questo confronto e critica nei confronti
dell’idolatria del paganesimo. Il cristianesimo pare ancora come una novità e l’interlocutore deve essere
disposto a conoscerla e comprenderla. Dal punto di vista della sostanza, difficilmente gli idoli pagani
possano essere visti come divinità. Ma anche dal punto di vista della forma, sono più plasmabili dagli uomini
che il contrario: critica alla forma troppo umana degli dei pagani. Gli idoli sono corruttibili, sordi e materiali.
Tutti i riti del culto idolatrico sono pensati per idoli sordi che non sentono e non provano, se fosse il contrario
non accetterebbero mai con i propri sensi e sensibilità quei riti. I loro idoli sono privi di sensibilità ed
intelligenza umana, se ce l’avessero non sopporterebbe quello stesso culto. Nella sua critica possiamo vedere
tutti i valori ed i principi che si celano dietro l’esperienza cristiana. Il testo vuole sottolineare la novità
cristiana rispetto al culto pagano del passato, criticando e cogliendo dei punti critici anche dell’ebraismo.
III - Il culto giudaico
In questo terzo paragrafo, troviamo un confronto con lo stesso ebraismo. Gli ebrei hanno un’idea di Dio
diversa da quella pagana, che si avvicina a quella cristiana ma che allo stesso tempo se ne allontana: critica
sostanziale al sacrificio. Gli ebrei si donano a Dio, pensando che ne abbia bisogno quando invece è esso
stesso il Signore dono del sacrificio che si offre all’altro, secondo il culto cristiano. Gli ebrei si avvicinano ai
pagani nel loro culto di sacrificare ed offrire beni materiali al Signore che li ha creati. In questo modo il culto
idolatrico e l’ebraismo si avvicinano, seppur avendo l’idea di un Dio totalmente differente.
IV - Il ritualismo giudaico
Troviamo la critica del grande numero di norme che caratterizzano il culto ebraico, il riposo del sabato, la
circoncisione, l’osservanza del digiuno. Come attraverso una caricatura, critica le norme ebraiche e ne
mostra il lato fragile se assunte in una forma fine a sé stessa. La critica si base sull’esagerata somiglianza
umana dei riti e delle norme del culto ebraico.
V - Il mistero Cristiano

fondamentale del cristianesimo per l'autore di questo testo ora della fine la rivelazione di Dio in Gesù Che
Dio in Gesù si è rivelato buono

Nei capitoli quinto e sesto vediamo indicato lo stile di vita cristiano, il cui fondamento viene presentato nel
capitolo settimo: Dio rivela il suo amore negli uomini, rivela in Gesù il suo amore per gli uomini. Se prima
abbiamo visto dei confronti, ora vengono enunciati i fondamenti dell’esperienza religiosa. I cristiani non si
differenziano e non si identificano con nessuna società. Hanno uno stile di vita che appare diverso dalla
società in cui vivono, senza rivelare il perché, che riguarda la carità di Cristo, ma ne descrive i fondamenti.
Vivono in modo diverso rispetto alla loro epoca, ma non si distinguono dagli altri uomini. Vivono nella loro
stessa terra ma come stranieri, si sposano e generano figli, vivono nel proprio corpo ma non secondo il
proprio corpo.
Mostra come il cristianesimo non si distingua dagli altri uomini e prova ad elencare degli elementi della loro
singolarità. Sono stranieri e distaccati, non perché escludano la cittadinanza ma perché auspicano ad una
cittadinanza superiore. Esplicita il rapporto tra patria terrena e patria celeste. Il contesto in cui vivono è
decisivo ma non criterio ultimo da perseguire nel vivere. Possono vivere ovunque. Altro elemento che li
distingue è relativo alla famiglia, tratti della vita familiare: l’accoglienza dei figli anche se con dei problemi,
l’indissolubità del matrimonio ed il rifiuto della poligamia. Non sono formalisti, capiscono il valoro delle
leggi ma comprendono il bisogno di andare oltre per avvicinarci ai valori che la legge diffonde. Sono
condannati e perseguitati, basti pensare anche all’esperienza di Paolo. Sono uccisi ma riprendono a vivere,
sia nell’ottica della resurrezione ma anche all’interno della comunità. Testimoniano anche le esperienze di
incomprensioni. Sembra una religione nuova rispetto al ritualismo ed alla materialità degli idoli. Nel
Versetto 17, giudei e greci sono ancora presi come punti di riferimento di quel contesto, entrambi
perseguitano e considerano stranieri i cristiani. Non si sa nemmeno il motivo dell’odio, spesso è
un’incomprensione legata più a una reazione emotiva e personale e non fondata sui contenuti della vita
cristiana.
VI - L’anima del mondo
In questo paragrafo sceglie l’immagine dell’anima del mondo per sottolineare come il cristiano è nel mondo.
Qui si prende spunto al contrasto tra l’anima, come parte spirituale, ed il corpo inteso in un contesto più
materiale e lontano ai valori cristiani.
Individua otto caratteristiche:
1) Versetto 2, non si comprende il luogo specifico dove l’anima vive, come la patria dove vivono i
cristiani.
2) Versetto 3, la patria terrena è una patria passeggera e non è esattamente la casa ed il luogo di
cittadinanza dei cristiani, come il corpo per l’anima.
3) Versetto 4, come una forza invisibile l’anima muove il corpo, anche i cristiani nel mondo
4) Versetto 5, come il principio spirituale lotta la materialità della vita anche i cristiani nel mondo
5) Versetto 6, il corpo sembra allontanarsi dai valori dell’anima ma non per questo ci odiamo, seppur
la carne faccia diventare più faticoso il cammino. Non per questo, i cristiani odiano il mondo, anzi lo
sostengono
6) Versetto 7, a volte come in una prigione (materiale ma anche spirituale), l’anima è racchiusa nel
corpo come i cristiani nel mondo
7) Versetto 8, l’anima non muore, è il corpo che muore e risorge. Anima e corpo hanno un inizio,
passando anche nella fase della morte per risorgere. Così anche i cristiani, nei confronti del mondo,
hanno una caratteristica di incorruttibilità: le cose materiali, come il corpo, terminano ma i loro valori
rimangono e sopravvivono alla carne
8) Versetto 9, anche attraverso le difficoltà che incontrano, i cristiani crescono nelle vicende della
comunità, senza abbandonare il mondo.

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