La derivazione raggruppa tre diversi processi e consta dell’aggiunta di una forma legata (affisso) ad una
forma libera: PREFISSAZIONE (aggiunge elementi all’inizio della parola), INFISSAZIONE (aggiunge
elementi all’interno della parola) e SUFFISSAZIONE (aggiunge elementi alla fine della parola).
In derivazione, ogni categoria lessicale maggiore come il nome, il verbo e l’aggettivo, può diventare
qualsiasi altra categoria lessicale maggiore.
L’ elemento che ci permette di capire qual è la categoria dei derivati è la testa.
2) Cosa si intende per struttura argomentale? Perché si può applicare non solo ai verbi?
Il sintagma ha una struttura che necessita della presenza di una testa e di eventuali modificatori tra i quali
troviamo gli argomenti e gli aggiunti (o circostanziali).
Il numero degli argomenti di una testa non è libero.
Scopo della struttura argomentale è proprio quello di stabilire il numero degli argomenti. Prendendo in
considerazione ad esempio il SV, sappiamo che i verbi impersonali sono zero argomentali, quindi non vi
sarà nessun argomento, i verbi intransitivi sono mono argomentali, quindi vi sarà un solo argomento, i
verbi transitivi sono biargomentali, quindi il sintagma avrà due argomenti e così via.
Per ogni tipo di sintagma è la testa che decide il numero degli argomenti; è per questo che la struttura
argomentale si può applicare anche ai nomi ad esempio, e non solo ai verbi. Se prendiamo in
considerazione ad esempio il nome deverbalizzato “ANALISI”, tale nome prevede lo stesso numero di
argomenti del verbo dal quale deriva, ossia ANALIZZARE, che è un verbo transitivo che regge quindi
due argomenti (es. analizzo i dati).
I verbi hanno bisogno di un determinato numero di altri elementi affinché la frase sia ben formata, e la
differenza tra i vari verbi sta proprio nel diverso numero di questi elementi, chiamati argomenti, che essi
reggono. Tale caratteristica viene denominata VALENZA.
I verbi intransitivi sono mono valenti, hanno quindi bisogno di un solo argomento, mentre i verbi
transitivi sono bivalenti, necessitano quindi di due argomenti, e sono gli unici a poter avere la forma
passiva in quanto subiscono un processo di detransitivizzazione.
La differenza tra loro sta quindi nella loro diversa valenza.
4) La forma passiva
Classificando una frase in base alla diatesi, vedremo che essa si distingue in frase attiva e frase passiva.
Tra queste due tipologie esiste una relazione opposta, in quanto, ciò che nella frase attiva svolge il ruolo
di complemento, nella frase passiva diventa soggetto. E ciò che nella frase attiva svolge il ruolo di
soggetto, ricopre il ruolo di agente nella frase passiva.
Il passivo si può fare solo in presenza di verbi transitivi. La frase passiva rispetto alla corrispondente frase
attiva ha una struttura speculare: il SN che svolge funzione di oggetto nella frase attiva, svolge invece
funzione di soggetto nella frase passiva. Il SN che svolge funzione di soggetto nella frase attiva, assume il
tema di agente della frase passiva. I ruoli tematici assegnati dal verbo non cambiano nel passaggio dalla
frase attiva a quella passiva: il SN con funzione di oggetto riceve il ruolo di tema sia nella frase attiva che
in quella passiva, e il SN con funzione di soggetto riceve il ruolo di agente in entrambe le frasi. Quello
che cambia sono quindi le posizioni dei SN che vengono rovesciate.
Chomsky, uno dei più grandi linguisti del ‘900, teorizza la distinzione tra competenza ed esecuzione, che
si basa principalmente sul livello nel quale vengono collocate; in particolare, la competenza (lingua
interna) si pone ad un livello astratto perché riguarda ciò che un parlante nativo “sa” della propria lingua,
cioè la sua capacità di dare giudizi di grammaticità, cioè sa se qualcosa è ben formato oppure no, mentre
l’ esecuzione (lingua esterna) si pone ad un livello concreto, riguarda cioè le situazioni pragmatiche in cui
il parlante mette in atto la propria lingua, ossia ciò che il parlante“ fa” .
Nonostante sia una vocale tonica, che dovrebbe essere quindi breve, viene allungata poiché facendo parte
di una sillaba aperta (senza coda), il posto della coda viene occupato dalla vocale stessa, quindi la vocale
diventa sia il nucleo che la coda, perché la sillaba minima in italiano deve essere formata da un incipit, un
nucleo e una coda. Quindi in assenza della coda, la vocale quindi il nucleo va a ricoprire il ruolo della
coda, ed è per questo che si allunga.
8) La frase è un sintagma?
La frase è un sintagma perché uno o più sintagmi formano una frase, quindi a sua volta la frase è un
sintagma poiché risponde positivamente ai test di costituenza. La frase è l’unione tra un soggetto e un
predicato messi in relazione tra loro dalla flessione che esprime l’accordo tra i due. La flessione dunque è
la testa del sintagma frase (Sfless).
Gli ausiliari (essere e avere) non sono verbi perché non hanno le stesse caratteristiche dei verbi: non
hanno significato semantico ma solo grammaticale perché danno informazioni sul tempo, sul modo, sull’
aspetto (perfettivo o imperfettivo) e determinano l’accordo. Non hanno struttura argomentale, ovvero che
non hanno un numero di argomenti da assegnare, e non assegnano ruoli tematici.
Gli ausiliari non sono inoltre una classe aperta ma sono un numero preciso e limitato.
La fase delle due parole si sviluppa tra i 18 e i 24 mesi della vita del bambino. Viene anche detta fase
sintattica, ed è la più interessante perché il bambino inizia ad esprimersi con i primi costrutti sintattici
accostando non più di due parole che però stanno quasi sempre in rapporto soggetto-predicato. Queste
due parole sono già in ordine (seguendo i parametri) e anche l’accordo tra nome e aggettivo è corretto. In
questa fase il bambino utilizza tre forme verbali: infinito, 3°pers.sing. (perché è la più facile da imparare e
coincide con l’imperativo) e participio passato (nel quale usa sempre verbi risultativi, ossia azioni che
avvengono nel passato ma che hanno ripercussioni sul presente perché il bambino non ha chiaro il
concetto di tempo).
11) Cos’è il soggetto e come si può individuare?
Il soggetto nella frase è sempre accordato con il verbo, inoltre è la persona di cui si parla ed è da
differenziare dalle definizioni scolastiche che ci insegnano che il soggetto è colui che compie l’azione,
perché in molti casi il soggetto della frase non corrisponde con questo ruolo di AGENTE (ES. Gianni fu
picchiato) in questo caso Gianni è il soggetto della frase ma non è la persona che svolge l’azione, ma
piuttosto è quello che la subisce. Il soggetto serve a completare il significato generale della frase.
Il parametro testa complemento è un parametro che specifica l’ordine di alcuni elementi di una lingua e
permette quindi di esprimere delle generalizzazioni sulla struttura dei sintagmi.
Ad esempio per rappresentare gli universali linguistici si usa lo schema x-barra.
Gli argomenti (esterni o interni) sono tutti quegli elementi necessari a saturare la valenza per esempio di
un SV, e sono obbligatori per fa sì che la frase abbia un senso. Gli aggiunti, che vengono chiamati anche
circostanziali, sono invece elementi accessori, che danno solo informazioni aggiuntive; essi non saturano
la valenza di nessuna testa. Gli aggiunti o circostanziali, nello schema x -barra vengono posizionati dopo
aver reduplicato il nodo del quale dà informazioni in più.
Il principio di località riguardala capacità che un elemento ha di spostarsi all’ interno della struttura. In
particolare, una posizione vuota in un albero attira a sé l’ elemento più vicino (la distanza viene calcolata
in base ai nodi). In base al principio di conservazione poi, una posizione vuota attira a sé l’elemento
“idoneo” più vicino (ad esempio in Fless non ci potrà andare una preposizione o un nome bensì un verbo).
SX
(SPEC)
X’
X’ (COMPL)
La funzione di argomento o di circostanziale viene svolta da una parola sola oppure da un gruppo di
parole che prende il nome di sintagma o costituente (che è l’oggetto di studio vero e proprio della
sintassi). I sintagmi si comportano diversamente dalla frase. Per capire quale raggruppamento di parole
sia un sintagma vengono usati vari criteri:
• Del movimento: le parole che fanno parte di uno stesso sintagma si “spostano insieme” all’
interno della frase;
• Dell’ enunciabilità in isolamento: le parole che formano un gruppo possono essere pronunciate
da sole, cioè non inserite in una frase completa
• Della coordinabilità: i sintagmi, dal momento che le parole appartengono a classi diverse, non
possono essere coordinati tra loro.
I sintagmi possiedono delle teste, che sono la parte più importante del raggruppamento, e a seconda della
classe alla quale la testa appartiene, avremo un SN (nominale che ha come testa un nome), SP
(preposizionale che ha come testa una preposizione), SV (verbale che ha come testa un verbo, SA
(aggettivale che ha come testa un aggettivo) etc.
È considerato un fono qualsiasi suono che l’apparato fonatorio riesce a produrre, i foni sono infiniti.
Un fonema, invece, è la più piccola unità di suono che contribuisce a dare valore distintivo, i fonemi sono
un numero finito e non hanno significato in sé. Ad esempio, la /v/ e la /f/ sono due fonemi dell’italiano
perché hanno una realizzazione simile ma il parlante nativo è in grado di distinguere nettamente i due
suoni. Ad esempio, un suono come la [R] (alla francese) nella lingua italiana è un fono ma non è un
fonema. Il fono è collocato ad un livello concreto di realizzazione (parole) al contrario il fonema si
colloca ad un livello astratto di competenza(langue).
La formazione delle coppie minime risulta utile per differenziare i foni dai fonemi; esse sono coppie di
parole che si differenziano a livello di semantica (di significato) solo per la presenza di un suono diverso
nella stessa posizione. Ad esempio, in italiano RANA con (r) (vibrante alveolare) e con al posto di R (l)
(liquida alveolare con pronuncia cinese) si viene a formare una coppia minima perché in italiano le due
parole hanno significato diverso (rana-lana).
Le lingue naturali sono quelle lingue che si imparano spontaneamente senza bisogno di venire esposti a
regole, e ad essere viene associato in particolar modo il linguaggio umano che è caratterizzato da tre
proprietà:
• Discretezza: il linguaggio umano è composto da unità discrete (fonemi) che sono diverse e
separate tra loro, e nonostante abbiano suoni simili, non posso generare comprensioni
“intermedie” perché danno origine a parole di significato diverso (ES. la p e la b);
• Ricorsività: riguarda la capacità del linguaggio umano di aggiungere nuove frasi a frasi già
date, potenzialmente all’ infinito. (doppia articolazione: le parole di ogni lingua umana non
costituiscono un insieme finito a differenza degli altri linguaggi o come quello degli animali);
• Dipendenza dalla struttura: le parole del linguaggio umano non sono organizzate come una
semplice successione lineare, ma seguono una struttura gerarchica più complessa.
La lunghezza è relativa alla durata temporale con cui vengono realizzati i suoni. In italiano la lunghezza
vocalica non ha valore fonologico perché non è distintiva, mentre lo è la lunghezza consonantica. Ad
esempio, le parole FATO/FATTO che hanno diversa lunghezza consonantica hanno significato diverso,
mentre la pronuncia più allungata di qualsiasi vocale non causano cambiamenti di significato, non hanno
quindi valore fonologico.
L’accento, invece, è uno dei tratti prosodici di una lingua e può svolgere più funzioni: far risaltare una
sillaba all’interno della parola (funzione culminativa) o indicare i confini di unità morfologiche o
sintattico-prosodiche (funzione demarcativa). Inoltre, la sua posizione può essere libera (o mobile) nelle
lingue, come l’italiano, in cui può riguardare qualsiasi sillaba, oppure fissa nelle lingue, come
l’ungherese, in cui occupa sempre la stessa posizione rispetto all’unità di riferimento.
Nelle lingue con posizione libera, oltre alla funzione culminativa l’accento ha funzione distintiva, e
quindi ha valore Fonologico, dato che può differenziare il significato e la categoria grammaticale delle
parole.
24) Cos’è la composizione? Classificazione dei composti
La composizione è quel processo che consente di creare parole nuove unendo due parole già esistenti. I
composti sono generalmente nomi e vengono classificati in base al tipo di unione o in base alla testa.
In base al tipo di unione possono essere:
- Lessicalizzati, unione stretta che ormai ci compare come una parola unica (es. pomodoro);
- Stretti, sono i composti veri e propri;
- Larghi, sono dati da una formazione più recente, spesso vengono scritti staccati ma vengono
comunque considerati una parola unica in quanto al loro interno non può essere inserito altro
materiale (es. Divano letto).
In base alla classificazione tipologica sintattica delle lingue, queste ultime vengono considerate tenendo
conto dell’ordine delle parole. Considerano ad esempio la posizione del verbo rispetto al soggetto e all’
oggetto, la presenza o assenza di preposizioni o post-posizioni, l’ordine del complemento di
specificazione (genitivo) rispetto al nome e la posizione dell’aggettivo rispetto al nome.
Esistono lingue che presentano tali correlazioni sintattiche:
• VSO/Pr/NG/NA
• SVO/Pr/GN/AN
• SOV/Po/GN/AN
• SOV/Po/GN/NA
Le lingue a livello sintattico vengono classificate in base all’ordine delle parole, in particolare si
considera
1) la presenza di preposizioni o posposizioni.
2) la posizione del verbo rispetto al soggetto e all’oggetto.
3) L’ordine dell’aggettivo rispetto al nome.
4) L’ordine del complemento di specificazione rispetto al nome.
Il linguaggio rappresenta la capacità comune a tutti gli esseri umani di sviluppare un sistema di
comunicazione, mentre la lingua rappresenta la forma specifica che questo sistema di comunicazione
assume nelle varie comunità, comprendente tutte le proprietà che differenziano ogni lingua.
28) La sillaba
La sillaba è un’unità fonologica che consiste almeno di un elemento sillabico detto nucleo, che in italiano
consiste nella vocale. Ciò che precede il nucleo è detto incipit sillabico e ciò che lo segue coda. Quando la
sillaba è priva di coda e finisce quindi in vocale viene detta aperta, negli altri casi è chiusa. La coda è sempre
una liquida o nasale. Le consonanti che fanno parte di una sillaba seguono la cosiddetta scala di sonorità che
ne stabilisce l’ordine. La sonorità massima si ha nel nucleo, e da lì si discende nelle due direzioni partendo dal
valore più alto a quello più basso. Il nucleo e la coda insieme formano la rima, che determina il peso sillabico,
esistono infatti sillabe pesanti (se finiscono per vocale lunga o consonante) e leggere (in tutti gli altri casi).
La sillaba rappresenta un’unità prosodica costituita da uno o più foni agglomerati intorno ad un picco di
intensità; ad ogni “picco” corrisponde una sillaba. La sillaba minima in italiano è costituita da una vocale,
che rappresenta il NUCLEO sillabico. Il nucleo può essere preceduto da un attacco (INCIPIT) e seguito
da una CODA. L’insieme del nucleo più la coda forma la RIMA.
Una sillaba è detta APERTA o LIBERA se è priva di coda (finisce quindi in vocale) altrimenti è detta
CHIUSA o IMPLICATA.
Per la costruzione della sillaba si adotta una SCALA DI SONORITA’, in cui si assegna il grado di
sonorità alle sue componenti. L’unica combinazione possibile è ostruente-sonorante-vocale (PRA è
possibile, RPA no).
I parametri insieme ai principi sono gli elementi che costituiscono la GU. I parametri sono le
differenziazioni sintattiche tra le varie lingue naturali e il bambino le acquisisce grazie all’ analisi dei dati
linguistici primari a cui è esposto fin dai primi anni di vita. Un esempio di parametro è il parametro del
soggetto nullo ovvero una lingua come l’italiano è una lingua che può non avere (o non deve avere in
certi casi) il soggetto (ES. Piove), al contrario l’inglese è una lingua che deve comunque avere una
componente che riempia il posto di soggetto (ES. It rains). It o there sono soggetti vuoti dell’inglese che
non hanno equivalenti nelle lingue a soggetto nullo, la presenza di questi elementi fornisce al bambino i
dati empirici positivi per capire che la sua lingua è a soggetto non nullo.
I test di costituenza sono verifiche che si mettono in atto per controllare se una parola o un gruppo di
parole costituiscono un sintagma. Ne esistono diverse tipologie.
Lo SPOSTAMENTO è la regola secondo la quale ciò che posso spostare soltanto tutto assieme è un unico
sintagma. (Es. (Gianni) (incontrò) (suo padre) (per la strada)).
Test della DOMANDA è la regola secondo la quale se a una domanda rispondo brevemente, le parole che
utilizzo per rispondere fanno tutte parte di un unico sintagma (Es. Chi incontrò Gianni? (suo padre)).
Test di COORDINAZIONE è la teoria secondo la quale se coordino 2 sintagmi devono essere 2
costituenti dello stesso tipo, ovvero che hanno lo stesso tipo di testa (Es. (Il ragazzo) SN incontra (Emma)
SN)
32) Cos'è un complementatore e a cosa serve?
È un elemento sintattico che indica il tipo di frase (principale, coordinata, subordinata, etc.) e la modalità
della stessa (dichiarative, etc.). Il compito del complementatore è trasformare una frase indipendente in
una frase complemento di un’altra. Un tipico esempio di complementatore è CHE utilizzato nelle frasi
subordinate (Es. Gianni ha detto CHE il treno è arrivato).
La frase “latte no caldo” è tipica nei costrutti sintattici del bambino alle prime armi. In questa fase il
bimbo comincia a produrre le sue prime frasi, semplici e coincise. Questo tipo di frase insieme a quelle
utilizzate dagli stranieri può classificarsi nella tipologia di frasi telegrafiche in cui mancano le parti
funzionali del discorso (come gli ausiliari, le congiunzioni, etc.).
Questo tipo di frasi sono spesso utilizzate nell’ ambiente della pubblicità in cui l’intento dei pubblicitari è
quello di lasciare che il lettore ricostruisca il testo e lo interpreti liberamente. Ma comunque la scelta
operata dal linguaggio pubblicitario rappresenta una possibilità ammessa dalle regole universali della
grammatica universale.
Un sintagma è una o un gruppo di parole che hanno un alto grado di autonomia e che svolgono una
funzione sintattica (soggetto, verbo, etc.) l’accostamento di più sintagmi costituisce la frase. Ogni
sintagma ha una testa che trasmette tutte le sue proprietà (categoria, distribuzione, etc.) all’ intero
sintagma. Per verificare se un gruppo di parole è un sintagma si mettono in atto i TEST DI
COSTITUENZA. I sintagmi possono essere di varie tipologie: Sintagma nominale (SN), sintagma verbale
(SV), sintagma preposizionale (SP), sintagma aggettivale (SA), sintagma avverbiale (Savv), etc.
35) Perché (E) è un fonema e non una variante (quando il significato non cambia)
Definiamo FONEMA la più piccola unità di suono che ha valore distintivo. E per capire se un suono è un
fonema o una variante in una data lingua ricorriamo all’ ausilio delle coppie minime. Infatti, se prendiamo
due suoni interscambiabili come [E] in [‘ pEska] e [e] in [‘peska] notiamo che la variazione di quel suono
anche se nella stessa posizione fa cambiare di significato all’ intera parola, se il significato fosse rimasto
lo stesso sarebbe stata una variante.
Si tratta di un fonema in quanto in base a questo suono si possono distinguere diverse coppie minime,
quindi è un suono distintivo, non una variante.
Alcuni esempi sono: peska/ pɛska o ancora venti/ vɛnti
la parola pescepalla è un composto endocentrico ovvero con la testa interna alla parola, molto spesso è
collocata a sinistra, come in questo caso, anche se non sempre. È un composto formato da 2 nomi.
Esistono altre tipologie di composti oltre agli endocentrici, ovvero gli esocentrici, nei quali nessuna parte
è classificata come testa (Es. portacenere) ed infine i dvandva in cui tutte le componenti sono teste (Es.
divano letto).
37) Il plurale dei composti/ pomodoro struttura (lessicalizzato)
Il plurale dei composti è più facile da dedurre in una lingua come l’inglese che è caratterizzata dalla
presenza della testa sempre a destra quindi si costruisce generalmente aggiungendo una /s/ alla testa e
quindi alla fine di parola, salvo eccezioni. In lingue come l’ italiano è più complicato generalizzare anche
se possiamo considerare che esistono diversi tipi di composto: esistono composti lessicalizzati ovvero che
sono considerati parole semplici il cui plurale segue generalmente le regole grammaticali (ES.
pomodoro-pomodori), ci sono poi composti detti stretti per i quali esistono più possibilità di formazione
del plurale però generalmente anche qui si pluralizza la testa (ES. Pescecane- pescicani o pescecani), per
quelli larghi, ancora scritti separatamente, si utilizzano tutte e due le possibilità (Es. divano letto –
divaniletto – divanoletti).
Spesso nella formazione del plurale dei composti si possono riscontrare delle ambiguità, in quanto i
composti non seguono le normali regole grammaticali a cui sono sottoposte le parole semplici, ma delle
regole proprie. Nel caso di pomodoro,
un composto lessicalizzato, che quindi ormai è quasi irriconoscibile in quanto è ormai canonizzato
all’interno della lingua, ad esempio il plurale si può formare in pomidoro/pomodori/pomidori. Tra questi
la formazione originaria era pomidoro, in quanto deriva da pomo d’oro, ma oggi è frequentemente
utilizzato il plurale in pomodori.
In italiano standard la [s] (fricativa dentale sorda) inizio di parola diventa [z] (fricativa dentale sonora) se
seguita da una consonante sonora e viceversa. s z /## (inizio di parola) C sonora].
La parola PIANOFORTE è un composto esocentrico, ovvero un composto in cui nessuna delle due parole
che lo compongono si riconosce come testa, si può considerare un composto generalmente lessicalizzato
ovvero una parola composta che sembra una parola semplice, infatti è scritto come un’unica parola, e che
forma il plurale seguendo e regole grammaticali. (pianoforte –pianoforti). Possiamo fare ancora un’altra
considerazione ovvero che si tratta di un composto formato da due aggettivi.
In un sintagma l’argomento interno è quello che occupa la posizione di complemento, ad esempio nel
sintagma verbale (SV) l’argomento interno è colui che subisce l’azione. L’argomento esterno è ciò che
occupa la posizione di specificatore, considerando ancora il SV, l’argomento esterno è il soggetto che
compie l’azione. Il numero di argomenti esterni e interni è determinato dalla struttura argomentale e
tematica della testa. L’ aggiunto invece compare in un numero indefinito ma può anche non esserci. È un
sintagma che non è fondamentale e che dà informazioni aggiuntive sulla frase.
Si le parole figlia e fila costituiscono una coppia minima perché hanno in una stessa posizione 2 suoni che
si articolano in maniera molto simile, e che potrebbero essere inter scambiati. Ma questa distinzione di
fono nella stessa posizione ne varierebbe il significato infatti intendiamo due cose diverse con le parole
figlia e fila.
Le espressioni della lingua inglese che sono utilizzate nell’ ambito della pubblicità servono soprattutto a
commercializzare prodotti del settore della telefonia (Es. Nokia: connecting people); abbigliamento
sportivo (Es. Nike: just do it!); elettrodomestici (Es. Hoover: generation future); ma anche in ambito
alimentare o di settori affini (Es. Campari: red passion!) prodotti di cosmesi (Es. Maybelline New York:
Get london look!).
I “prestiti di lusso” sono parole straniere importate ed utilizzate anche nel caso ci fosse un corrispettivo
nella lingua d’ arrivo per indicare lo stesso oggetto o concetto. Questo tipo di anglicismi si è rivelato
anche marchio di fabbrica in alcuni casi nel senso che il nome della azienda che produce quell’ oggetto
specifico si utilizza per definire il prodotto stesso (Es. Scotch).
I beni di necessità hanno bisogno di meno telegraficità rispetto ai beni di lusso perché i primi hanno
bisogno di essere introdotti e presentati ampliamente agli interlocutori al fine di dare il maggior numero
di informazioni sul prodotto, per cui si utilizza un linguaggio meno deviante, si ricorre quindi soprattutto
a frasi dichiarative. Per i beni di lusso si fa spesso ricorso alle lingue straniere per dare connotazioni
positive al prodotto (si ricorre all’ uso del francese per accentuare l’eleganza del prodotto, si ricorre all’
inglese per trasmettere una sensazione positiva riguardo all’ efficienza, etc.). Ideali per questo tipo di
pubblicità sono le frasi esclamative, imperative e interrogative.
Si definisce prestito linguistico, o semplicemente prestito, una parola, una struttura sintattica o un fonema
che entrano a far parte del patrimonio di una determinata lingua e provengono da una comunità di lingua
diversa, in seguito al contatto tra culture diverse. Con la stessa parola si intende anche il fenomeno stesso
di adozione della parola straniera.
È corrente anche il termine di forestierismo: anche in questo caso si indica una parola, un modo di dire,
una frase o altra costruzione linguistica importata da altra lingua. Deriva dal basso latino foristarius,
"persona che sta o viene da fuori".
Si distinguono prestiti "di necessità" e prestiti "di lusso" a seconda della reale esigenza che la lingua che li
adotta ha di essi:
prestiti di necessità: sono parole introdotte quando ad esempio viene scoperto un nuovo oggetto
o comunque entra un nuovo referente (patata, caffè, juke-box...), riempiendo un vuoto lessicale o
semantico.
prestiti di lusso (o "di prestigio"): teoricamente superflui in quanto esiste già nella lingua un
termine col medesimo significato; si usano per la particolare sfumatura espressiva che hanno e
per aumentare il prestigio di ciò che designano (show, boom, click, manager, baby-sitter).
Il fenomeno del prestito nasce dall'esigenza di nominare un concetto o un oggetto che nella lingua di
destinazione non ha un nome proprio. Il prestito ha dunque la funzione di colmare una lacuna lessicale
presente nella lingua che accoglie il termine.
Le tipologie di linguaggio pubblicitario utilizzate sono la DICHIARATIVA, che però è raramente usata
perché l’intento dei copywriter è quello di rendere il linguaggio utilizzato nell’ ambito della pubblicità più
simile al linguaggio parlato utilizzato quotidianamente. Per questo motivo si ricorre a frasi
IMPERATIVE, per incitare il lettore/ascoltatore all’ acquisto del prodotto, a frasi INTERROGATIVE,
per trovare l’interazione con gli interlocutori, le interrogative più utilizzate sono le “Yes/No Questions” o
domande chiuse, a proposizioni ESCLAMTIVE al fine di enfatizzare quelle frasi che rendono il
messaggio più suggestivo e comunicativo con la banale aggiunta del punto esclamativo.
Il linguaggio pubblicitario devia le regole sintattiche comprimendo gli enunciati al fine primario di
accumulare un grande quantità d’ informazioni in uno spazio fisico limitato, ma questa deviazione fa
anche sì che l’interlocutore si adoperi per ricostruire le frasi incomplete divenendo così una parte attiva
del messaggio, non lo subisce passivamente ma cerca di ricostruirlo attivamente. Inoltre, un testo a cui
mancano le parti funzionali risulta più immediato e denso di significato perché costituito solo da parole
lessicali, più facilmente memorizzabili dal lettore/ascoltatore.
Il linguaggio pubblicitario utilizza correntemente frasi incomplete ed ellittiche al fine di accumulare una
grande quantità di argomenti in uno spazio limitato. La concisione del messaggio e la brevità sono
caratteristiche del linguaggio telegrafico. Caratteristiche di questo linguaggio sono la mancanza di tutti gli
articoli, l’omissione di qualsiasi congiunzione. Le frasi sono nominalizzate perché manca l’ausiliare.
Questi tipi di omissioni sono riconducibili ad una sintassi, e sono giustificabili perché le frasi sono
comunque in grado di esprimere il contenuto semantico del linguaggio. Il linguaggio usato dai bambini è
simile a quello telegrafico perché essi eliminano elementi del discorso perché non sono ancora capaci di
formulare costruzioni più complesse.
La caratteristica principale del linguaggio telegrafico è quella di omettere le parti funzionali del discorso
riducendo così l’intero enunciato ad una frase singola e breve o addirittura un semplice sintagma
nominale (SN).
I bambini nei primi anni di vita insieme agli stranieri utilizzano questo tipo di linguaggio perché non sono
ancora capaci di formulare costrutti sintattici più elaborati. Ma la cosa importante è che questo tipo di
linguaggio è comprensibile e accettabile al livello di grammatica universale perché ne rispetta le regole (I
bambini acquisiscono le parti funzionali del discorso in seguito).
49) Come mai si usano così tanti aggettivi nel linguaggio pubblicitario
Nel linguaggio pubblicitario si può constatare una proliferazione di aggettivi che servono a decantare gli
aspetti del prodotto che maggiormente influenzano la sfera emotiva del lettore.
L’ effetto enfatico che i pubblicitari vogliono creare con l’uso degli attributi risulta maggiore, grazie alla
posizione di questi ultimi, in inglese piuttosto che in quelli in italiano e in francese perché nel primo caso
si avrà un effetto ascendente mentre nel secondo caso sarà discendente per via dell’aggettivo collocato
dopo del nome.
Gli aggettivi sono molto frequenti nel linguaggio pubblicitario, e per descrivere un singolo prodotto,
spesso si ricorre a più di un aggettivo. L’intento è non solo quello di descrivere le caratteristiche del
prodotto, ma anche di influenzare la sfera emotiva
del lettore.
Quando gli aggettivi vengono posti in maniera anomala rispetto alla tradizionale struttura della frase,
l’effetto sarà ancora maggiore. In particolare si ricorre ai comparativi e superlativi, ma a mancare è il
termine di paragone, in quanto non si ricerca un confronto tra 2 prodotti ma si cerca di sottolineare la
superiorità del proprio prodotto rispetto a tutti gli altri.
L’ uso della lingua inglese nel settore della pubblicità accentua il carattere tecnologico e l’affidabilità del
prodotto. L’ inglese è un linguaggio caratterizzato dalla sinteticità e dall’ immediatezza. A volte l’uso di
anglicismi è dovuto al fatto che si realizza un solo slogan per pubblicizzare il prodotto in tutto il mondo,
ma non è l’unica ragione. La comunicazione mediatica ha lo scopo di attirare l’attenzione del pubblico e
soprattutto di intrattenerlo anche attraverso l’utilizzo di soluzioni linguistiche che mirano a dare allo
stesso tempo un senso di professionalità, questi obiettivi sono raggiunti anche grazie all’ uso della lingua
inglese in questo contesto.
51) Come spiego l’allungamento della vocale tonica nelle sillabe aperte?
Nonostante sia una vocale tonica, che dovrebbe essere quindi breve, essa viene allungata perché facendo
parte di una sillaba aperta (senza coda), il posto della coda viene occupato dalla vocale stessa, quindi la
vocale diventa sia il nucleo che la coda, perché la sillaba minima in italiano deve essere formata da un
incipit, un nucleo e una coda.
Quindi in assenza di coda, la vocale, quindi il nucleo, va a ricoprire il ruolo della coda, ed è per questo
motivo che si allunga.
In linguistica, nello studio della fonologia, la rima di una sillaba consiste in un nucleo e una coda
opzionale. Essa è la parte di una sillaba utilizzata nella rima poetica, e anche la parte che viene allungata o
accentuata quando una persona prolunga o accentua una parola durante il discorso.
La rima è di solito la porzione di una sillaba, dalla prima vocale alla fine. Per esempio, /æt/ è la rima di
tutte le parole at, sat, e flat. Tuttavia, in alcune lingue, il nucleo non deve necessariamente essere una
vocale. Per esempio, la rima della seconda sillaba delle parole inglesi bottle e fiddle è proprio /l/, una
consonante liquida.
Le "rime", sillabica e poetica, sono varianti della stessa parola, ma la forma più rara di "rima" è talvolta
usata per significare specificamente "rima sillabica" per differenziarla dal concetto poetico di rima.
Questa distinzione non viene fatta da alcuni linguisti e non appare nella maggior parte dei dizionari.
53) Perché il fonema “th” non fa parte dell’italiano?
Perché non contribuisce a distinguere le coppie minime, al massimo si avrà una variante libera il cui
significato non cambia!
Perché non contribuisce a distinguere le coppie minime, al massimo si avrà una variante libera il cui
significato non cambia!
L’acquisizione della lingua è un tema molto discusso e si basa su diverse teorie che hanno caratteristiche
diverse tra loro. Due teorie sono il comportamentismo (che stabilisce che il bambino crea le sue abitudini
linguistiche sulla base dei rinforzi positivi) e il Cognitivismo (o anche detto INNATISMO).
La teoria dell’Innatismo è largamente sostenuta dallo studioso Chomsky, e si basa sul concetto di povertà
dello stimolo. La povertà dello stimolo infatti fa riferimento al fatto che è inspiegabile come un bambino
riesca a parlare la lingua che lo circonda perfino in presenza di un input scarso. Per questo si può
affermare che la produzione linguistica di un bambino è largamente sotto determinata rispetto al corpus
linguistico a cui è esposto durante la fase di acquisizione; il bambino è infatti in grado di produrre frasi
grammaticali mai sentite prima.
I bambini da un lato non producono frasi identiche a quelle che ascoltano, e dall’altro cancellano articoli e
congiunzioni presenti nell’input. Per questo l’input o lo stimolo è necessario ma da solo non è sufficiente.
Ad esempio, i bambini possono produrre Uomo-uomi, rompere-romputo, stringere-stringio.
I bambini secondo Chomsky per superare la povertà dello stimolo fanno ricordo alla facoltà del
linguaggio, che assume che il cervello sia dotato di una zona che elabora la lingua e che contiene la
Grammatica Universale.
Per riassumere, la povertà dello stimolo è la discrepanza tra lo stimolo, ossia ciò che sente il bambino e
che gli viene insegnato (spesso in modo variabile, discontinuo e povero), e la rapidità, l’uniformità e la
solidità con cui si sviluppa la lingua, la quale non viene appresa, ma acquisita.
L’afasia è la perdita della parola e del linguaggio dovuta a incidenti stradali, asportazione di malattie
gravi, cervello danneggiato, etc. Esistono due tipi di Afasia:
Afasia di Broca, se un parlante viene danneggiato in quell’area del cervello, perde la funzione di
connessione sintattica. Gli articoli sono una delle prime cose che perde, tuttavia esprime frasi
coerenti ma molto brevi.
Afasia di Wernicke, scollegamento tra semantica e sintassi.
La morfologia è lo studio della forma della parola e si può descrivere anche come studio delle parole e
delle varie forme che esse possono assumere. L’unita di base, ossia la parola, è detta morfema.
Il morfema è la più piccola unità di linguaggio che è dotata di significato ed è dunque costituito da un
insieme di fonemi che insieme si raggruppano per formare un significato.
Vi sono morfemi grammaticali, che svolgono funzioni grammaticali e ricevono significato dal contesto in
cui compaiono, e morfemi lessicali, che hanno significato lessicale e non dipendono quindi dal contesto.
La distinzione tra queste due tipologie di morfemi non è sempre netta: molto spesso vi è alternanza
perfetta.
I morfemi possono essere, inoltre, legati o liberi. Un morfema libero può ricorrere da solo in una frase,
mentre un morfema legato non può farlo e deve legarsi a un’altra unità.
I morfemi liberi in italiano sono parole, i morfemi legati sono quelli flessivi (suffissi e prefissi).
Propriamente il termine morfema designa un’unità astratta che è rappresentata a livello concreto da un
allomorfo. La distinzione è parallela a quella tra fonema e allofono.
Nel classificare le diverse lingue del mondo una delle tipologie possibili è quella morfologica. Questa
tipologia raggruppa le lingue che rappresentano caratteristiche comuni. Secondo questa classificazione si
parla di lingue isolanti, quando presentano una mancanza quasi totale di morfologia (i nomi non si
declinano, i verbi non si coniugano e tutto dipende dall’ordine delle parole e alcune particelle) come il
cinese mandarino; lingue agglutinanti in cui ogni parola contiene tanti affissi quante sono le relazioni
grammaticali che esprime come nel turco; e infine lingue flessive in cui le diverse relazioni grammaticali
sono espresse da un unico suffisso e dalla flessione interna. Questo è il caso della stragrande maggioranza
delle lingue indoeuropee.
La transitività è un principio universale che definisce la valenza delle teste, la quale scandisce il numero
di argomenti di ogni testa in: verbi transitivi (2 argomenti, Gianni mangia la mela) e intransitivi (1
argomento, Gianni è stanco), impersonale (0 argomenti, piove) e ditransitivi (3 o più argomenti, Gianni da
un libro a Maria).
La testa dei composti è quella che porta il significato del composto stesso e ne determina la categoria. Nel
caso dei composti endocentrici la testa è all’interno
del composto stesso e sta quasi sempre a sinistra, nei composti esocentrici la testa è esterna, e nel caso dei
dvandva esistono due teste. In inglese vale la regola ‘la testa sta a destra’, ma in italiano per riconoscerla
dobbiamo ricorrere alla sua caratteristica di determinare la categoria.
Le frasi interrogative dirette si dividono in due gruppi: Le frasi a risposta aperta e a risposta chiusa.
Siamo in presenza di una frase interrogativa a risposta aperta quando la risposta ad essa non è contenuta
all’interno della frase stessa e le si può rispondere in vari modi, mentre si tratta di interrogative a risposta
chiusa quando la possibilità di
risposta si limita a Si/No.
Assoluti: Sono universali assoluti quegli universali presenti in tutte le lingue e interni al
funzionamento della lingua stessa, come: la presenza di vocali e consonanti, l'ordine dei
costituenti (SVO, VSO, SOV, etc.)
Implicazionali: Indicano i limiti della variazione fra due fenomeni o caratteristiche linguistiche.
Sono universali implicazionali:
Di tendenza: Non sono dei veri e propri universali, ma rappresentano delle regole a cui si
adeguano un numero significativo di lingue. Ad esempio, l'ordine SOV presenta nelle lingue
una frequenza più che casuale.
Un enunciato può rivelarsi ambiguo in due modi diversi: a livello lessicale o a livello strutturale.
L'ambiguità lessicale riguarda il contenuto concettuale del singolo lessema: Un enunciato è lessicalmente
ambiguo quando contiene uno o più termini dal significato plurimo (Es. Acuto - persona intelligente /
Acuto – suono di timbro superiore alla norma).
Un enunciato è invece strutturalmente ambiguo quando i termini usati hanno un unico significato, ma la
loro disposizione consente più interpretazioni (Es. “Chiara ha visto Luca in giardino con il
cannocchiale” – Chi aveva il cannocchiale, Chiara o Luca?!).
Con il termine lega linguistica, detta anche area linguistica, area di convergenza, area di diffusione o con
il termine tedesco Sprachbund (pronunciata ˈʃpʁaːxˌbʊnt plurale Sprachbünde ˈʃpʁaːxˌbʏndə), si designa
un gruppo di lingue che sono diventate simili tra di loro per via della prossimità geografica. Possono
anche essere geneticamente non imparentate, o esserlo solo lontanamente. Dove le affiliazioni genetiche
sono poco chiare, l'esistenza di uno Sprachbund può dare una falsa impressione di parentela.
Un esempio chiaro è lo Sprachbund dell'Asia Orientale, in cui molte lingue del sudest asiatico, compresa
la lingua thailandese, e la lingua vietnamita, hanno preso l'aspetto di lingue imparentate simili al cinese,
con parole monosillabiche e toni distintivi. Eppure thailandese e vietnamita non sono più considerati
imparentati alla famiglia sino-tibetana e neanche fra di loro.
In Europa, nella lega linguistica balcanica (comprendente albanese, bulgaro, rumeno e lingua neogreca),
vi sono tutte lingue indoeuropee ma di rami molto diversi. Eppure condividono diverse caratteristiche
grammaticali (tanto che Victor Friedman le definì "una sola forma grammaticale con tre diverse forme
parlate"), quali un articolo determinativo posposto, il fatto di evitare dipendenti con l'infinito, le modalità
di formazione perifrastiche del futuro, eccetera. Ciò non avviene in lingue strettamente imparentate al
rumeno ed al bulgaro. Allo stesso modo, le lingue romanze e quelle germaniche condividono molte
caratteristiche per via di una reciproca interazione.
Più controversi sono gli studi di Giovanni Semerano, basati soprattutto su confronti lessicali, che
dimostrerebbero l'esistenza di uno Sprachbund mediterraneo di base semitica, ma si scontrano con una
quantità di difficoltà cronologiche, linguistiche, etnologiche.
Molti linguisti pensano che le famiglie linguistiche mongolica, turca, e Manciù-Tungus dell'Asia
settentrionale siano geneticamente imparentate, in un gruppo detto altaico, ma le prove sono equivoche, e
le caratteristiche comuni quali l'armonia vocalica potrebbero semplicemente indicare l'appartenenza ad
uno Sprachbund.
66) Allofono
In fonologia, un allofono o variante combinatoria di un fonema è una realizzazione fonetica che in una
determinata lingua non ha carattere distintivo, ma si trova a essere in distribuzione complementare con gli
altri allofoni dello stesso fonema.
In italiano un esempio lampante è rappresentato dal fonema /n/, che possiede ben quattro allofoni. Se si
considerano, per esempio, le parole naso, Gianpaolo, conca e anfibio, in ognuna di esse il fonema /n/ è
realizzato in realtà utilizzando foni diversi. Il primo è effettivamente [n] (nasale dentale), mentre gli altri
sono realizzati rispettivamente [m] (nasale bilabiale, esistente anche come fonema e scritto "m"), [ŋ]
(nasale velare), [ɱ] (nasale labiodentale). Di questi foni, solo uno, [m] ,è anche, in altri contesti, fonema:
gli altri risultano esclusivamente dal cambiamento del punto di articolazione del fonema, influenzato dai
fonemi adiacenti.
Per continuare con gli esempi, in panca e valanga il fono nasale velare [ŋ] è foneticamente differente
dalla /n/ di pane ([n], alveolare: /ˈpane/ [ˈpaːne]) e, anche se si pronunciasse [ˈpãɑ̃ŋɘ], non distinguerebbe
una nuova parola per i parlanti italiani. In /ˈpanka/ [ˈpaŋka] e /vaˈlanga/ [valaŋga] il carattere velare di /n/
è determinato dalla consonante velare che segue ([k] o [ɡ]); si parla dunque di "allofono contestuale" (o di
"variante combinatoria" o "tassofono") del fonema /n/.
Non tutti gli allofoni sono determinati dal contesto linguistico in cui si vengono a trovare, ma da altri tipi
di contesti. La [ŋ] velare di [ˈpãɑ̃ŋɘ] è un tipico tratto regionale settentrionale; la «r moscia» (/r/ uvulare
[ʀ, ʁ]) è dovuta a difetti di pronuncia, a particolari abitudini dei singoli parlanti o alla loro provenienza
regionale (in Italia è frequente in Valle d'Aosta, in Alto Adige, nel Parmense, nel Piacentino e nel piccolo
comune di Paularo in Carnia; la cosiddetta «lisca» è un difetto di pronuncia che fa realizzare la
consonante costrittiva alveolare solcata non-sonora /s/ come [ɬ] (fono costrittivo laterale alveolare non-
sonoro) e la costrittiva alveolare solcata sonora /z/ come [ɮ] (fono costrittivo laterale alveolare sonoro); è
curioso notare come /ɬ/ sia invece un fonema in gallese (grafia ll, come nel cognome Lloyd). In tutti
questi casi non si è in presenza di allofoni contestuali in senso linguistico, ma di "variofoni" che possono
essere dovuti a "difetti" di pronunzia, o a un idioletto, ovvero a una particolare produzione linguistica
individuale, a caratteristiche fonostilistiche reputate prestigiose (i "sociofoni"), o a una forte pronuncia
regionale (i "geofoni").
Per concludere, quando mi trovo davanti a due suoni simili mi faccio una domanda: i suoni possono
scambiarsi? Se la risposta è no ci troviamo di fronte a degli allofoni.
Se la risposta è si bisogna capire se cambia o meno il significato della parola in questione. Se cambia ho
due fonemi diversi (Mano-Nano), se non cambia ho la cosiddetta variante libera, ad es. Rana (con r
moscia) / rana (con r italiana
Assimilazione bidirezionale:
Un esempio di assimilazione bidirezionale può essere la parola dal latino amicus [ami:kus] >
spagnolo amigo [amiɣo]. Ad influenzare l'occlusiva velare sorda [k] è l'azione esercitata dalle
due vocali, quella prima e quella dopo l'elemento modificato. L'azione delle due vocali prima
sonorizzano l'occlusiva velare sorda [k] in [g] e poi la spirantizzano ([ɣ]). Questo è un tipico
esempio di assimilazione bidirezionale, ovvero sono due gli elementi (quello prima e quello
dopo [k] in questo caso) che influenzano l'elemento centrale.
Per stabilire se due foni abbiano valore distintivo e siano quindi fonemi di una determinata lingua,
Trubeckoj ha proposto una serie di regole, e tra le più importanti compaiono le seguenti:
Prima regola: “quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono essere
scambiati tra loro senza con ciò mutare il significato delle parole o renderle irriconoscibili, allora
questi due suoni sono realizzazioni fonetiche di due diversi fonemi”.
Es. Varo-Faro (v e f ricorrono nelle stesse posizioni, se li scambiamo otteniamo significati
diversi, dunque v e f sono fonemi dell’italiano).
Seconda regola: “Quando due foni della stessa lingua compaiono nelle medesime posizioni e si
possono scambiare tra loro senza variare il significato della parola, questi due suoni sono solo
varianti fonetiche facoltative di un unico fonema”.
Es. rema-Rema (la r alveolare e la R uvulare sono suoni intercambiabili nella lingua italiana. I
due suoni non sono due fonemi diversi, ma due varianti libere di un solo fonema).
Terza regola: “Quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non
ricorrono mai nelle stesse posizioni, essi sono due varianti combinatorie dello stesso fonema”.
Es. naso – ancora (la n alveolare di naso e la n velare di ancora non possono ricorrere nelle
stesse posizioni e dunque non sono due fonemi diversi ma varianti combinatorie dello stesso
fonema).
69) Suppletivismo
In linguistica, si intende per suppletivismo (o polimorfia lessicale) un fenomeno per cui, nell'ambito di
uno stesso paradigma, le diverse forme derivano da radici diverse.
Ad esempio, il verbo italiano andare si forma da due diverse basi etimologiche: mentre la prima e la
seconda persona plurale seguono coerentemente la base indicata dall'infinito andare (quindi andiamo e
andate), le restanti persone ricorrono a forme derivate da una radice "riemersa" dal verbo latino vădĕre,
cioè vad-.
Questo tipo di suppletivismo è detto "primario" o "forte": tra le varie forme c'è un legame semantico, che
formalmente però non ha nessuna evidenza.
Quello "secondario" (o "debole") indica che la variazione avviene invece all'interno della medesima
radice: così, ad esempio, il verbo italiano dovere presenta variazioni (dev-, dov-, dobb-, debb-) fondate
sulla unica base del verbo latino debēre.
In questo ultimo caso, il legame formale ha una sua evidenza.
Casi di suppletivismo debole sono le forme leggermente diverse fondate su unica base per sostantivi o
aggettivi: così arboreo e albero, eburneo e avorio, aureo e oro, buono e bontà ecc.
In molti casi, queste variazioni dipendono dalla formazione stratificata dei lessici delle diverse lingue,
come occorre nelle lingue romanze che costituiscono il proprio lessico con parole di trafila popolare e con
parole di trafila dotta (quali sono i latinismi).
Altri esempi analoghi sono: fegato ed epatico, uccello e aviario, bocca e orale, gatto e felino, forme in cui
non si è manifestata una derivazione di tipo consueto.
Suppletivismi forti si avvertono nel paradigma del verbo inglese to go, "andare" (go, went, gone) o del
verbo latino fero, "io porto" (fero, fers, tuli, latum, ferre) o, ancora, nelle forme del verbo francese être,
"essere" (je suis, j'étais, je fus, rispettivamente "sono", "ero" e "fui").
Un altro caso è rappresentato dai gradi dell'aggettivo e dell'avverbio in tedesco: gut ("bene", "buono"),
besser ("meglio", "migliore") am besten ("nel migliore dei modi").
Il suppletivismo dunque rappresenta il polo estremo dell’allomorfia.
I tratti soprasegmentali (o prosodici) sono fenomeni fonetici e fonologici che "riguardano la catena
parlata nella sua successione lineare e i rapporti tra foni che si susseguono".
Accento:
l’accento "è la particolare forza o intensità di pronuncia di una sillaba" rispetto ad altre e
permette di far emergere una sillaba dalla catena parlata.
In italiano l'accento può essere intensivo o dinamico ed è mobile, cioè può occupare diverse
posizioni nelle parole composte da più sillabe e, a seconda della sua posizione, permette di
distinguere parole per il resto identiche.
Per esempio:
Tono e intonazione:
Il tono è l'altezza melodica con cui viene pronunciata una sillaba e dipende dalla velocità e dalla
frequenza con cui vibrano le corde vocali.
L'intonazione, invece, riguarda le frasi e il modo in cui vengono pronunciate, quindi è un tratto
prosodico che assume un ruolo importante soprattutto nel parlato. L'intonazione è una “sequenza
di toni” che fa assumere alla frase un certo andamento melodico e permette, per esempio, di
distinguere tra loro le frasi affermative, interrogative, esclamative e imperative.
Considerando la frase Luigi ha vinto, una distinzione particolare si può fare tra:
Lunghezza (o quantità):
Riguarda la quantità di tempo con cui vengono pronunciate sia le sillabe che i foni. I foni
possono essere sia brevi che lunghi, cioè realizzarsi in un tempo più o meno rapido e la durata
delle vocali o consonanti ha valore distintivo solo in alcune lingue. Nella lingua italiana, la
lunghezza non ha valore distintivo a meno che non sia considerata l'opposizione di durata tra le
consonanti semplici e doppie; infatti, è possibile evidenziare la durata identificando coppie
minime e adottando il criterio delle opposizioni fonologiche come in:
caro ~ carro
In questo caso, sono considerate lunghe le consonanti doppie e brevi quelle semplici.
Per concludere, questi fenomeni sono detti soprasegmentali perché agiscono al di sopra del segmento
minimo, prosodici perché riguardano la catena parlata e ne determinano l'andamento ritmico.