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Camminava sulla strada polverosa tra i caseggiati e la spiaggia.

Non era una bella giornata o era una bella


giornata? Il vento soffiava agitando il mare e nuvole si stavano addensando. Nuvole compatte e spesse,di
diverse dimensioni e colori solcavano il cielo da ogni dove; ancora non era chiaro se era cielo
sereno,imperturbabile con nuvole sparse e passeggere o se era cielo nuvoloso con qualche squarcio d’
azzurro. Gli piaceva il tempo così,gli dava un senso di lotta e contrasto e grandi cose. Il cielo bello sarebbe
stata un’immensità vuota,un grande nulla azzurro e in alto,non coglibile, un’accecante luce ; invece con il
cielo brutto ci sarebbe stato qualcosa,qualcosa di più umano e basso a riempire il vuoto,qualcosa di
particolare e variegato,ma allo stesso tempo quel qualcosa era intangibile,erano solo nuvole destinate a
sciogliersi in un cielo d’acqua senza respiro. Camminava per la strada polverosa vestito di nero e non
badando all’ignota folla di persone intorno a lui,anonime comparse già in oblio,solo uno tra loro lo
interessava,quello che lo stava seguendo. Entrò in un locale si sedette a un tavolo e prima di potersene
rendere conto si ritrovò con un bicchiere in mano a sorseggiare e guardare fuori dalla vetrina lo scorrere del
cielo. Che tipo d’uomo era quello che lo seguiva? Sapeva chi era,ma che tipo d’uomo fosse no. Lo aveva
trovato,quindi non era uno stupido,anzi ci aveva messo poco tempo, doveva essere uno
tenace,poi,nonostante tutto, non l’aveva ancora attaccato,perciò non doveva essere un impulsivo,ma
neanche un freddo calcolatore e tutto sommato l’odio lo dominava se era stato così poco accorto da venire
da solo. Pazienza,in fondo l’uomo che lo seguiva era solo quello:un uomo,le sue declinazioni non erano così
fondamentali allo stato attuale delle cose,si sarebbe confrontato con loro,se necessario,dopo. Il cielo stava
peggiorando intanto. I suoi occhi fissavano la realtà scivolare,uno scorcio di visione: la strada,la ringhiera,il
mare e il cielo. Dentro la cornice dei suoi occhi in un momento vi era il frazionarsi di mille dinamiche: il
rapido passaggio appena avvertito sulla retina di macchie di persone,la lineare immobilità della
ringhiera,l’incessante moto ondoso del mare sempre uguale e sempre diverso,una nuvola i cui contorni
sfumavano continuamente in forme diverse. Cogliere,riuscire a cogliere un dettaglio,per esempio una
forma nel cielo o una singola onda del mare,una singolarità che sarebbe stata,per quella prospettiva, solo
nei suoi occhi,solo nella sua visione,che mai più si sarebbe ripetuta,ci fosse stata anche l’intera eternità
comunque mai più si sarebbe ripetuta …

“Signore? Che cos’ha lì dentro?” una voce infantile lo riscosse dal flusso dei suoi pensieri.

Un bambino gli stava chiedendo delucidazioni sul contenuto della custodia che portava sempre appresso
con sé; i bambini non erano mai riusciti a suscitargli alcuna tenerezza,forse era un problema suo.

“Qua dentro ho uno strumento …” ed un po’ era vero,il suo fucile era il suo strumento.

“Lei è un musicista?” Un bambino spigliato e curioso,uno di quelli con gli occhi vivaci e intelligenti per cui si
è portati naturalmente a fare complimenti;dov’era la madre? Distolse lo sguardo dal bambino e lanciò
un’occhiata all’interno del locale,una donna velocemente si avvicinava al tavolo.

Carina,sui trent’anni,ben vestita,doveva essere una così detta cittadina: “Jonathan non importunare il
signore,mi scusi la sta importunando?” Uno sguardo di sincero interessamento,doveva essere una persona
spontanea e schietta,ma gentile e cortese; forse era diventata cittadina tramite matrimonio.

“Oh no assolutamente è un bambino adorabile..sì Jonathan sono un musicista” si esibì in un sorriso.

“Ci suoni qualcosa allora signor musicista per piacere” continuava a fissarlo il bambino,proprio una
piccola,deliziosa, personcina in gamba.

“Jonathan! Il signor musicista non può improvvisare un concerto solo per te” gli sorrise complice la donna,
in cerca d’approvazione e lui le restituì il sorriso,massì andava tutto bene se il bambino si comportava da
bambino. Però poi si alzò e si diresse alla cassa per pagare il conto ed uscendo gli parve che la donna fosse
rimasta male da quel suo repentino muoversi. Chissà che avrebbe pensato? Si sarebbe sentita mortificata?
L’avrebbe trovato scortese? Forse il pensiero di lui gli sarebbe venuto più tardi,probabilmente si sarebbe
presto dimenticata o sarebbe diventato una di quelle istantanee che per qualche sconosciuto motivo si
impressionano nella memoria?

Uscì in strada,il suo uomo era sempre nei paraggi,si appoggiò alla ringhiera. Sulla spiaggia di grigi ciotoli,in
secca, stava qualche piccola barca,l’onda infrangendosi le lambiva di spuma bianca che il mare velocemente
richiamava a sé. Il mare ribolliva,qua e là, fino al perdersi dell’orizzonte, di creste bianche. Cavalloni si
infrangevano l’uno sull’altro,tra le nubi ora un raggio di sole illuminò il muro destinato a crollare su se
stesso di un’alta onda,simile a fauci verdi pronte a divorare la spiaggia,la ringhiera,la strada,le case. Da
tempo non aveva una casa e aveva dimenticato cosa voleva dire la sicurezza di un luogo fisso,la familiarità
con l’oggettivazione di se stessi;a volte se ne rendeva conto, nella sua esistenza raminga, quando reclinava
se stesso su un giaciglio qualsiasi. Allora si accorgeva di come era abituato alla sua attuale esistenza e
immaginava come sarebbe stato coricarsi ogni notte sul medesimo letto,godendo inconsapevolmente della
quotidianità,e cercava d’immaginarsi come da quel punto di vista avrebbe,magari per qualche momento di
fantasia,immaginato quello che era il suo vero vivere,e forse lo avrebbe giudicato sconfortante,angosciante,
insostenibile. Si conosceva solo la propria vita e si immaginava le vite d’altri sempre in maniera troppo
straniante,quanto più un modo di vivere era diverso dal nostro tanto più l’idea su di esso era
esasperata,quando poi in realtà vivere anestetizzava ogni idea. La sua vita era vivibile come qualsiasi altra
vita che ci si ritrovava a vivere finché non si moriva,era solo uno straniero. La vita che fino ad allora aveva
vissuto aveva fatto sì che fosse quello che fosse: un straniero. Una volta aveva incontrato un vecchio.
Questo vecchio aveva vissuto quasi tutta la sua vita in un unico luogo,ma era sempre stato straniero perché
da giovane aveva lasciato la sua terra come profugo. Lasciare così la sua terra aveva fatto sì che questa non
l’abbandonasse davvero mai,rimanendo per sempre come straziante memoria condivisa con altri profughi;
si era venuto a creare così un luogo inesistente fatto di ricordi. Quando l’aveva incontrato ormai era molto
vecchio,era rimasto uno dei pochi,pressoché solo; il suo mondo sarebbe scomparso con lui,aveva sperato
che lui non ne fosse consapevole. Senza l’esperienza di profugo forse avrebbe abbandonato la sua terra
d’origine,così invece se l’era portata fino alla fine incisa nel cuore. Chissà se nel momento d’esalare l’ultimo
respiro quel vecchio avesse avuto l’immagine della sua infanzia e del suo paese,magari una singola
visione,quale in realtà non era mai stata,una sublime idealizzazione di ciò che era andato perduto per
sempre; un singolo istante di gioioso ricongiungimento a fronte di una nostalgia sempre covata come un
peso nell’anima. Avrebbe voluto raccontare questo dramma all’uomo che lo seguiva,che lo voleva
uccidere,che anche lui stava più in là appoggiato alla ringhiera. Molte volte aveva fatto discorsi immaginari
a persone alle quali in realtà non li fece mai,anche questa volta avrebbe voluto,ma parlare era inutile,non
bastavano le parole,anche il discorso migliore non poteva cambiare davvero
nulla,solo,necessariamente,inserirsi. Avrebbe voluto dire,far capire a qualcuno che tanto alla fine aveva
riso,dopotutto aveva riso e allora che senso aveva parlare? Basta perdersi in discorsi,doveva farla finita con
il suo compagno di ringhiera.

Il sole era oscurato dalle nubi,stava per piovere. La pioggia sarebbe stata imminente,sul tetto a terrazzo di
una casa vi erano due uomini. Uno a terra ,appoggiato contro la balaustra che dava sulla strada,sulla
spiaggia e più in là sul mare,era ferito alla gamba,l’altro in piedi di fronte a lui con un fucile in mano,la
custodia su una spalla.
“Che dire? Le cose non sono andate come pensavi,hai dato prova di gran virtù trovandomi,ma sei stato
sfortunato,anzi no” fece una pausa,osservò il cielo grigio “io non credo nella fortuna,nel caso. Non vi è nulla
di casuale a questo mondo,tutto si regge su un rapporto di cause ed effetto,tutto è determinato da ciò che
vi è stato in precedenza e noi possiamo solo dare il nostro assenso a ciò che è e sarà;quindi non
rimproverare te stesso e muori tranquillo.”Alzò leggermente il fucile,il vento gli soffiava sul viso,osservò
l’uomo ferito sotto di lui,si sentì comprensibilmente,ma ingiustamente,odiato.
“Taci … bastardo … sei solo un pazzo assassino,un miserabile … sparami e facciamola finita … invece di dire
cazzate”sibilò,la ferita alla gamba doveva fargli male,la pallottola gli era entrata nella coscia ed ora era
immobilizzato.
Abbassò il fucile guardandolo fisso e sospirò:”Cazzate? Tu chiami cazzate ciò su cui un uomo fonda se
stesso? Non dovresti,non dovresti essere qui,non dovresti odiarmi,posso capire il tuo sentimento,ma
proprio non dovresti. Io non ho colpe,perché era destino. Sì,non guardarmi così,le cose sono andate come
non sarebbero potute andare altrimenti,pensi forse che nel momento in cui mi hanno dato l’incarico avrei
potuto rifiutare?”
L’uomo a terra si riscosse:”Chi ti ha mandato?Chi è stato?”
Uno sguardo di noia,di disinteresse era quello che fissava l’uomo a terra:”Non ha importanza, questo
cambierebbe qualcosa?No di certo” sospirò”ma ora guarda qualcosa d’interessante”indicò se stesso” sono
un professionista,facendo ciò che faccio realizzo pienamente me stesso,ammira con che calma sono pronto
a ucciderti,non vi è emozione in me,la mano non trema,la voce è ferma,sembra tutto una farsa,guarda con
che calma interpreto la parte,ormai è qualcosa di naturale,io uccido come può uccidere un cornicione che
cade,un’onda di piena,non vi è cattiveria in ciò che faccio,niente odio,solo naturalezza e come qualsiasi
altra cosa naturale che agisce, non è la cosa in sé a voler agire ,non è neanche il caso,vi sono delle cause
ineluttabili dietro”
Lo interruppe,si contorse:“Va bene e allora chi sono le tue cause? Chi ti ha mandato?”il mare era agitato,le
onde si riversavano sulla spiaggia,nuvole grigie colmavano il cielo e di riflesso ingrigivano il mare.
“Mi dispiace,ma un cornicione non parla”
Urlò,sembrò saettare in avanti:”Ma tu non sei un fottuto cornicione,tu puoi scegliere, tu puoi parlare,tu
puoi scegliere”l’urlo morì nel silenzio,vi era il rumore del vento e del mare,ma nessun suono umano.
“No,ti sbagli,è un’illusione,tu pensi che io possa scegliere,ma non posso,tutto ciò che è stato in precedenza
mi spinge e mi orienta,e questo accade a tutti. Hai forse scelto tu di essere lì ferito? Non penso,forze più
forti di te ti hanno condotto dove sei ora,tu sei solo una parvenza di volontà,la tua volontà è poco meno di
un confuso pensiero,di un vano istinto,sei solo un burattino in mano al destino”
“Lo si può cambiare il proprio destino,non si è schiavi,si è liberi”disse emettendo una secca sentenza,lo
attraversò una smorfia di dolore.
“Liberi?”scosse leggermente la testa”forse che tu sei libero? Sei schiavo dei tuoi miseri propositi e dei tuoi
grandi limiti,tu sei schiavo quanto me,siamo tutti schiavi” la voce si perse nel silenzio,riprese con un sorriso:
“ ecco il pensiero del giorno:forse quando ammazzo qualcuno lo libero,ma più probabilmente mi limito a
suggellarne il destino,applico come un timbro” lo sguardo si perse oltre l’uomo a terra spaziando sulla
distesa del mare.
“E chi ti dà il diritto di applicare il timbro,sei uno schiavo?Allora gli schiavi non hanno diritti..” era l’odio o il
dolore ciò che stravolgeva il suo volto?le pupille dilatate ridotte a fessure,ormai non era più in sé.
Le nuvole si erano addensate,l’aria era umida,il vento continuava a soffiare,lo sguardo fissò l’uomo:“La
sorte e l’universo stesso,il mio è un diritto naturale,il solo fatto che io mi trovo nella posizione di ucciderti
mi dà il diritto di farlo,è il diritto della possibilità,mille e più cose avrebbero potuto evitare questo,ma nulla
l’ha evitato,quindi va bene così. Questo non è un fucile,questo è destino,nel momento in cui sparo il mio
destino si incrocia con quello di un altro e io suggello; tutta la vita,sogni,gli istanti di una persona
convergono nel mio proiettile e nella traiettoria che esso compie e nel momento in cui il bersaglio è
raggiunto,in cui suggello,si raggiunge il sublime,l’attimo tra cui una persona è e non è più.”
“E allora perché non ti spari da solo,hai la possibilità,hai il diritto,renditi sublime …. sparati.”strisciò su un
lato,fissò l’uomo con il fucile.
“Potrei farlo,ma perché? Non sarebbe destino …”Le onde si riversavano sulla spiaggia
“Vedi,schifoso bastardo,potresti farlo,ma non vuoi,c’è la tua volontà,la tua scelta..esiste la scelta”abbassò
lo sguardo,si girò sul ventre,dando la schiena all’uomo in piedi.
“Scelta determinata dalla mia natura,da ciò che sono indipendentemente da me,magari se fossi stato più
sensibile e meno pazzo non avrei intrapreso questo lavoro,ma il destino ha voluto altrimenti,sono solo uno
strumento come il mio fucile,io accorcio con esso le distanze,il fato con me accorcia le vite degli uomini.”Il
vento era aumentato,le nuvole scorrevano veloci stritolando gli ultimi spazi azzurri di cielo,il fragore del
mare copriva qualsiasi altro rumore.
“Un giorno anche tu morirai,io ti ucciderò …..”l’uomo si era inerpicato sulla ringhiera,ora era in piedi
appoggiato ad essa
Sorrise,il suo bersaglio era appoggiato sulla ringhiera ed era girato verso di lui,il volto sofferente,dietro
l’immensità del mare in tempesta,quel momento a breve sarebbe stato suggellato nella memoria e nel
proiettile,alzò il fucile “No,tu morirai ora o a breve … perché sei salito lì,ti scocciava morire per terra?”
Mosse la testa in avanti,la fronte corrugata“No,non puoi,quando l’hai uccisa non hai ucciso anche
me,potevi ma non l’hai fatto,non avevi ordine in tal senso,non puoi …” voleva vivere,l’uomo davanti a sé
voleva vivere,questo lo disgustò,era naturale,ma lo disgustava quella mancanza di consapevolezza.
Scosse la testa,abbassò lentamente il fucile:” Vero,mi è stato detto di uccidere solo lei, si vede che lo scopo
era liberarti dell’amore più basso affinché tu seguissi il tuo destino,invece di perderti nella banalità. L’ho
uccisa,ma il vostro amore poteva vivere per sempre nel tuo ricordo invece di morire nella continuità
quotidiana”sospirò”ma ora che eri libero di crescere e purificarti nel dolore tu hai preferito cercare la tua
egoistica vendetta”lo guardò con severità”tu non mi odi per lei,ma per te stesso, poiché ti ho privato di
lei,ma con che diritto hai considerato la sua vita tua? Non lo sai che la vita è solo della persona a cui
appartiene?”
“E tu con che diritto gliel’hai tolta?”Il bersaglio aveva la fronte imperlata di sudore,la pelle rabbrividiva,il
sangue freddo.
Il cecchino corrugò la fronte: “Te l’ho già spiegato,perché ti ostini a cercare una proroga? Non ti accorgi di
come l’universo voglia la tua morte? La tempesta impedirà al colpo di essere udito,la pioggia laverà il tuo
sangue. Brividi ti percuotono,ancora non piove e sei già bagnato. Il tuo corpo lo butterò giù di sotto,la
mareggiata forse lo farà sparire,il tempo di sicuro annullerà ogni ricordo di te. ” Tacque,ancora non
pioveva,ma ormai il grigio era assoluto,come in cielo così in mare“ ma,comunque, io non ho fatto della sua
vita la mia,io mi sono limitato a porgli fine,sei tu la serpe che l’avrebbe soffocata nelle sue spire, forse
giorno dopo giorno il vostro amore sarebbe rimasto avvelenato da voi stessi e le vostre meschinità,che poi
sono quelle umane. La mia morte non supplirà la tua apparente mancanza,il tempo,se tu ne avessi,
stempera ogni cosa e tu non puoi reclamare nulla,l’unica che potrebbe avercela con me è lei,ma nessun
fantasma è tornato a chieder vendetta,segno che i morti non mi portano risentimento. Quindi se
continuerai a cercare in ogni modo la mia morte,tanto vale che ti uccida qui e ora liberandoti da ogni
rancore.”Alzò il fucile” è la fine,guardami … no,non chiudere gli occhi,prova a fissare la morte” lo portò in
linea del cuore “ gli ultimi istanti scorrono vivi,siamo all’epilogo “ un colpo ribombò ,un fulmine era ricaduto
lì vicino,la pioggia cadde copiosa e violenta.
Il bersaglio appoggiato alla ringhiera aprì gli occhi,le orecchie gli fischiavano,la pelle rabbrividiva e
bruciava,bagnato di sudore e pioggia,gli occhi dilatati,urlò la mano scattò in avanti:“Fermo!Ormai
piove,dovevi uccidermi con il fulmine!Hai perso l’attimo fuggente,non sparare!Fermo,ormai piove! Anche a
te un giorno qualcuno porrà fine,lascia che quel qualcuno sia io,è il destino a darmi questa
possibilità,troppa pioggia,troppa umidità,la polvere del tuo fucile ormai è umida,non puoi spararmi,te l’ha
impedito l’universo,lasciami vivere,non ricercherò ossessivamente la vendetta,tornerò quando avrò
compiuto il mio destino,vedremo il corso del destino,non spararmi,ormai piove” Il suo fucile avrebbe lo
stesso sparato benissimo,ormai aveva perso il senno il suo bersaglio,non era nemmeno più la parvenza di
una persona,la cosa gli piaceva,sentiva che era destino.
L’uomo sorrise,ormai la pioggia già inzuppava,cadeva a raffiche,abbassò il fucile:”mi hai tentato e mi hai
convinto,anzi no,l’universo ha manifestato il suo disegno,ti lascerò vivere per ora,un giorno ci
rincontreremo , il nostro fato allora sarà manifesto”il rumore della pioggia sovrastava ogni cosa,si avvicinò
di un passo all’altro uomo “tieni prendi questa pistola,vuoi porre la parola fine alla mia storia e allora usa
questa,solo con questa forse vi riuscirai,qui vi è un unico proiettile per un’unica vita, la mia”.Gli diede le
spalle e cominciò ad allontanarsi nella pioggia verso il lato opposto della terrazza,avrebbe tentato di
sparargli sì o no?
Il bersaglio guardò il cecchino allontanarsi e urlò con tutto se stesso,ridendo :” Se ti uccidessi,folle,usando la
tua fottuta pistola,saresti felice allora! Forse allora saresti vivo! Nel tuo fottuto istante sublime forse saresti
vivo! Ora sei morto,sei un cadavere! è la vita l’esperienza che non puoi provare! Non ami,non vivi,non
odi,non vivi,non ti rallegri ,non vivi,non soffri, non vivi! Io ti ho capito ,ho capito la tua verità! Non hai
speranze,trascini la tua misera esistenza!sei schiavo non del destino,ma dei meschini voleri degli altri,sei
schiavo di schiavi!Scambi i desideri dei potenti per volere del destino. Sei una gigantesca menzogna,non hai
capito nulla,la verità e che hai paura,sei un buffone spaventato,e parli di destino e tanto bla bla bla, ma sei
solo un uomo,un uomo spaventato che ha scelto la sua miseria,e la sai una cosa? Nessuno ti darà il tuo
timbro,sarai costretto a ucciderti da solo!Morirai come sei vissuto!Morirai come nessuno!Mi fai pena,ma
allo stesso tempo ridere!E io scelgo,tu non puoi,ma io scelgo! Il mondo è stato crudele con te,tu vorresti
essere crudele con il mondo? o come il mondo ? Sei solo una macchietta,un pagliaccio uscito dalla mente di
un folle,sei solo,tutti ti rifiutano e tu sei solo un uomo solo. Io rifiuto la tua pistola,io rifiuto te,io scelgo di
rifiutare la vendetta,anzi sai che ti dico,io scelgo di perdonarti,ho la possibilità di non farlo,ma io lo faccio. Io
posso scegliere!” Scagliò la pistola lontano da sé,ormai il cecchino non era più in vista. Era la pioggia a
ridurre la visibilità o gli si era annebbiata la vista? Le sue parole avevano raggiunto il suo bersaglio?
Attentamente aveva ascoltato quell’uomo,ora aveva colpito? O il veleno delle sue parole era stato lavato
via dalla pioggia? Il suono si era perso nella tempesta? Tutto era stato vano? Un colpo risuonò e l’uomo
appoggiato alla ringhiera,nel momento in cui sentì il sibilo della pallottola,prima di cadere nell’oblio capì di
aver raggiunto il suo bersaglio. A modo suo si era vendicato,tutto divenne grigio.

Uscì in strada,lo accolse la tempesta,ma era rabbia quella che provava? Si sorprese a vedere se stesso
furioso. Aveva sentito le parole di quell’uomo,si era girato e aveva sparato,a caso,con rabbia … la stessa che
provava ora? Perché si era arrabbiato? Anzi perché si era sentito in dovere d’arrabbiarsi? Pioveva a dirotto,
Il grigio era bianco,un muro di pioggia lo bagnava. Perché? Cosa gli aveva detto? Che non viveva,che non
amava,che aveva paura,che era falso e solo … il resto non se lo ricordava già più,non aveva importanza. Il
punto è che quell’uomo non aveva capito nulla,anche se aveva provato a spiegargli,a mostrargli. Questo lo
faceva arrabbiare: lui aveva provato a parlargli e quell’uomo era rimasto ancorato alla sua illusione. Chissà
se era morto? Non aveva mirato,il suo era stato un gesto teatrale a manifestazione di quell’emozione che lo
attraversava senza toccarlo davvero. Forse quell’uomo era stato contento di provocarlo,forse era morto
nella convinzione di averlo scosso o ferito,di aver mostrato la sua falsità,di aver avuto ragione. La sua rabbia
era disprezzo per quella stupidità rivelata,ed era naturale quel disprezzo,perché aveva provato a
comunicare e non era stato ascoltato. Aveva gettato via la pistola? E allora? Aveva scelto lui? Poteva
raccontarsela,ma aveva scelto solo un diverso mezzo,un atto insignificante e vuoto come se avanzare con il
piede destro o il piede sinistro. Aveva solo cambiato la qualità del proiettile,ma aveva ugualmente tentato
di colpirlo e lo aveva fatto perché l’odiava. Aveva rinunciato alla vita nell’estremo tentativo di abbattere le
sue certezze,lo aveva provocato perché l’odiava,non poteva farlo a meno d’odiare,era schiavo del suo odio.
Perdonarlo? Che falsità,non esisteva il perdono. Il perdono era solo un tentativo di fuga,un tentativo di
reprimere l’odio,il dolore e la rabbia,di mutarlo in qualcosa di positivo per non essere divorati,ma anche
quella non era una scelta: perdonando non si rifiutava l’odio,era quella nera bestia che costringeva a
nascondersi dietro un cerino di pietà. Una bugia vera senza scelta,la scelta sarebbe stata dettata
d’altro,tutto era dettato d’altro. Camminava rasente le case,raffiche sempre più forti sferzavano la
strada,sentiva il rumore della mareggiata,ma ancora il mare non si affacciava sulla strada. Quel miserabile
uomo gli aveva rivolto parola,ma era stato poco più di un pupazzo da ventriloquo …. un burattino mosso
dall’universo …. si poteva solo acquisire consapevolezza dei propri fili,ed era inutile tentare di tagliarli in
una ricerca di libertà,altra illusione,l’ideale di libertà sarebbe diventato solo l’ennesimo filo. Fili su fili
queste erano le vite umane,in un intricata tela dove si finiva intrappolati,un folle teatrino,assolutamente
reale e sincero,dove tutti erano falsi,ma nessuno fingeva. E non si poteva far altro,solo aprire gli occhi su se
stessi e quelli intorno e vedersi vivere. Ciò avrebbe dato l’inganno del distacco solo a una povera
marionetta in cerca di sollievo dai suoi fili,mossa dal filo della debolezza alla ricerca dell’atarassia,in realtà
era l’angoscia dell’impotenza di fronte a ciò che muove il tutto, di fronte al caos dei moti interni ed
esterni,dell’io e del mondo. Era provare,sperimentare,vivere la propria meschina umanità
consapevolmente senza avere la motivazione di fuggire perché sarebbe stato insensato e inutile farlo,
perché inventarsi una finzione di non vita? Non aveva realmente bisogno di affannarsi in una ricerca di
senso,di glorificare qualche fittizia concezione che gli dava qualche momento d’esaltazione o serenità. Lui
provava tutto eppure era in un limbo,c’era sempre un distacco che lo faceva sentire un teatrante,eppure
non poteva scegliere il suo copione,poteva solo scegliere come viverlo,ma neanche quello in realtà aveva
scelto,era successo e basta,ora quell’impressione lo dominava. Ora sentiva l’angoscia montargli nel
petto,aveva smesso di piovere,case a destra,mare a sinistra,la strada davanti a se. Angoscia perché aveva
riso,angoscia perché non l’aveva scelto lui,angoscia perché tutto gli era estraneo,perché l’ambiente intorno
a lui era un vuoto mondo materiale nel quale proiettare la propria ombra. Aveva amato,aveva perso e alla
fine,nel dolore più profondo, aveva riso,non lo voleva,non avrebbe mai più voluto e invece aveva
spontaneamente riso. La vita era tornata pressante a richiederlo,ma con che diritto? Lo chiamavano
miracolo,ma quella era una maledizione. Che diritto avevano la vita e il mondo di alleviare il suo dolore? Lui
soffriva la perdita di ciò a cui aveva tenuto di più e una semplice comica,in un contrarsi involontario della
bocca, lo aveva spinto al riso in dispregio a tutto ciò in cui credeva e a cui aveva creduto. Aveva aperto gli
occhi e si era reso conto che non soffriva più davvero e ciò era ingiusto,perché se quella era la realtà,se quel
processo d’igiene dal dolore della propria mente era il corso naturale del mondo,allora tutto ciò che aveva
promesso a lei,tutto ciò che si erano detti era menzogna,la cosa più sentita della sua vita era
menzogna,sincera,spontanea,ma menzogna. Il necessario corso del caso aveva mostrato l’inganno delle sue
credenze,false e infondate e nemmeno quelle scelte,schiavo dell’amore, del dolore e della vita fino alla
morte. Lo aveva accettato, ma ancora adesso l’angoscia e la disperazione lo prendevano a considerare così
il mondo. Angoscia,la sentiva svuotarlo dentro,avrebbe voluto accasciarsi,era solo,irrimediabilmente
straniero in un mondo di cui non comprendeva il senso,di cui era impossibile comprendere il senso,in cui
ogni accenno di risposta era una fittizia costruzione incerta,e dove anche lui basava la propria vita su una di
queste,ed era solo. Ed era lì la sua esistenza,era lì senza che lui l’avesse scelta,senza che l’avesse
controllata,con la sua angoscia ispirata da una realtà non voluta …. e dov’era la rabbia? Camminava solo
imperterrito,dentro aveva la morte,soffriva,poteva quietarsi? Sì forse,ma perché farlo? Tra Il mare,le onde,il
vento,le nuvole,le case,le persone,il nulla,il tutto,lui si ergeva. Era lì incatenato su un trono; nell’abisso più
profondo,alla base del vortice a contemplare lo schiantarsi sul fondo delle realtà umane; sull’altezza più
alta,sulla sommità dell’universo a osservare l’infinito cadere a gocce. Lui era lì,aveva la sua misera
disperazione umana e la beveva avidamente,guardò il cielo,gesto meccanico del disperato si trovò a
pensare, e vide le nuvole aprirsi e sciogliersi le une sulle altre e sparire per sempre le loro forme. E senza
scegliere,insensatamente,ma consapevole si sentì potente,il suo occhio era l’occhio dell’uragano,guardava
tutto con falso distacco e vedeva il cielo e se stesso:rabbia e angoscia e quant’altro sarebbero scivolate via
come nuvole nell’azzurro del suo nulla. Già le sensazioni fisiche si univano ai sublimi pensieri e il suo umore
mutava così in un logico caso di cui lui era partecipe senza scegliere. .Proseguì lungo la strada finchè torno il
sole a risplendere su di lui.

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