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Metamodello,

Metaprogrammi

Gestione delle obiezioni

AAuuttoorree SStteeffaannoo BBoorrggaattaa

Max Formisano Training Coaching & Consulting


Sede Roma - Via del Corso, 262 - 00186 Roma - Tel: 06.6792112 – Fax: 06.69200841
Sede Bari - Piazza Aldo Moro, 55 – 70122 Bari Tel 080/528.97.26
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Introduzione

Nella mia esperienza, soprattutto agli inizi della mia professione in campo

assicurativo, mi è capitato spesso di perdermi. Mi sono ritrovato in serate piovose a

consultare cartine stradali per raggiungere l’abitazione di qualche nuovo cliente o a

girare in cerca di qualche anima pia che mi indicasse la direzione giusta.

Pensavo di avere definitivamente risolto i miei problemi di orientamento con

l’acquisto di un navigatore… mai pensiero si è dimostrato più sbagliato.

Mi sono accorto, da subito, che le mappe non sono così accurate da

rappresentare fedelmente la strada: trascurano una serie infinita di aspetti per

privilegiarne altri o ancora non sono aggiornate ai cambiamenti avvenuti.

In parte, questa considerazione l’avevo già fatta sui banchi di scuola alle prese

con cartine politiche, geografiche, demografiche, ecc… Ognuna di queste coglieva

solo uno o pochi aspetti della realtà.

In questa occasione ho avuto la conferma che………

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LA NOSTRA MAPPA
La mappa non è il territorio (A. Korzybski, Science & Sanità, IV ed., 1958, pp.
58-60).
Ogni essere umano in quanto fatto di carne e ossa, inserito in un contesto sociale ben
definito e caratterizzato da una propria ed unica storia personale sviluppa una sua
visione, un suo modo di sentire e percepire la realtà che lo circonda, differente da
quella di ogni suo altro simile. Possiamo tranquillamente affermare che al mondo
esistono tante di queste diverse mappe quanti sono gli essere umani presenti sul
nostro pianeta.
La percezione che abbiamo della realtà è filtrata in primo luogo dal nostro
sistema nervoso attraverso i propri recettori (vista, udito, tatto, gusto e olfatto) che
non sono in grado di percepire tutti i fenomeni fisici che ci circondano: così ad
esempio l’orecchio umano è in grado di sentire solo le onde sonore comprese tra i 16
e i 20.000 hertz, l’occhio è in grado di percepire solo forme d’onda comprese tra 380
e 680 millimicron ed addirittura le sensazioni e percezioni relative alla nostra
epidermide possono essere influenzate dal sistema nervoso. Vediamo infatti, ad
esempio, che la nostra capacità di avvertire la sensazione di essere toccati in due
punti della superficie dell’epidermide varia notevolmente a seconda delle differenti
zone del nostro corpo: la distanza minima tra due punti che sono sentiti come separati
sul mignolo va aumentata circa trenta volte affinché si avverta la stessa sensazione
sulla parte superiore del braccio.
Il secondo modo attraverso il quale modelliamo la nostra esperienza è
rappresentato da quelli che vengono chiamati filtri o vincoli sociali. Una serie di
valori, regole, prescrizioni, modi comuni di vedere, sentire e percepire a cui ci
adeguiamo durante la crescita in quanto esseri umani inseriti in contesti sociali come
la famiglia, la scuola ed il lavoro… ma anche e soprattutto lo strumento attraverso il
quale ci viene trasmesso tutto il sapere e con il quale noi comunicheremo tutta la
nostra esperienza… quel potentissimo strumento rappresentato dal linguaggio. La
nostra esperienza e la capacità di trasmetterla agli altri sarà allora tanto più ricca
quanto più numerose saranno le distinzioni che la lingua sarà in grado di permetterci.
Vediamo di sviscerare questo concetto parlando della lingua maidu. In questa lingua
Amerinda della California settentrionale, l’intero spettro dei colori è suddiviso in tre
categorie rappresentate da soli tre termini linguistici: lak per definire i colori
appartenenti allo spettro del rosso, tit per verde-blu e tulak per giallo-arancione-
marrone. Questo significa che un parlante maidu, pur essendo capace di vedere le
differenti sfumature di un colore e percepire la differenza esistente tra un oggetto
verde ed uno blu, non sarà in grado di comunicarla ad un suo simile. Altrettanto
affascinante è il rapporto che in alcuni casi si vede tra i valori e le necessità della
collettività ed il linguaggio adottato, che sarà dotato di maggiore precisione e più

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ricco di distinzioni relativamente ad aspetti percepiti come rilevanti ed importanti per
quella comunità.
Un esempio farà maggiore chiarezza.
In lingua eschimese ha senso la presenza di un centinaio di termini differenti per
definire la neve, mentre la stessa distinzione non avrebbe senso per un dialetto di una
tribù del centro Africa.
Il terzo e forse più peculiare modo attraverso il quale la nostra percezione del
mondo può differire dal mondo in sé è rappresentato da quelli che chiamiamo filtri
individuali. Ognuno di noi ha una sua personalissima storia, il proprio dna, ha visto
cose, vissuto avvenimenti, ascoltato consigli di parenti ed amici, avuto esempi
positivi e negativi e soprattutto ha dato la sua interpretazione di tutto ciò in base alle
proprie inclinazioni e al suo modo di percepire gli avvenimenti. Se, ad esempio,
chiedessimo ai figli di un uomo alcolizzato (di cui uno alcolizzato come il padre e
l’altro completamente astemio) cosa li ha portati ad essere così, ci potremmo sentir
rispondere da entrambi: “con un padre così non potrei essere diverso da quello che
sono diventato”.
Abbiamo quindi visto una serie di filtri o vincoli che già inizialmente, dal
momento in cui apriamo i nostri occhi sul mondo, emettiamo il primo vagito o
proviamo per la prima volta una qualsiasi sensazione corporea sia essa esterna o
interna influenzano le percezioni alla base della costruzione del nostro modello del
mondo….. della nostra mappa.

I CANI DA GUARDIA DEL NOSTRO


MODELLO
Ho un carissimo amico che dopo aver messo su casa, una splendida villa
immersa nel verde e nella tranquillità, con una vista sul lago da togliere il fiato,
decise per la propria sicurezza e quella dei suoi familiari di comprare tre splendidi
cani da guardia. I cuccioli erano affettuosi con i bimbi, non crearono problemi e
crebbero sani e forti. Il mio amico fu contentissimo, si sentì finalmente al sicuro
potendo contare sulla difesa dei suoi cani dai pericoli esterni.

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Quando io gli chiesi se non avesse paura che quegli animali potessero nuocere a
qualcuno lui rispose che non c’era nulla di cui preoccuparsi perché erano addestrati
ed obbedivano ad ogni suo ordine. Poco tempo dopo i tre cani divennero così
protettivi e aggressivi da non permettere a nessuno di avvicinarsi alla casa del mio
amico. Io stesso non potei più andarlo a trovare come del resto tutti gli altri suoi
amici.
Un giorno li riportò all’allevamento in cui li aveva presi.

I meccanismi che permettono la formazione ed il


successivo mantenimento del nostro modello sono:

la generalizzazione

la cancellazione

la deformazione o distorsione

La “generalizzazione” è il processo attraverso il quale un’esperienza o


un evento viene preso dal suo contesto originario ed elevato a verità universale valida
per tutti gli avvenimenti rientranti in quella specifica categoria.
Generalizzare significa in sostanza non riuscire a vedere, sentire o percepire
determinate sfaccettature che caratterizzano un evento, una persona o un fatto e lo
rendono del tutto peculiare rispetto ad altri se pur simili, organizzando il mondo per
categorie. Da un certo punto di vista questo tipo di processo agevola potentemente la
nostra vita permettendoci di interpretare la realtà secondo schemi e categorie già
esistenti senza doverci porre nei confronti di ogni nuova esperienza sia essa

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un’immagine, un suono, un sentimento o sensazione interiore con lo stesso spirito che
caratterizza l’apprendimento di un bambino piccolo.
C’è il rovescio della medaglia: lo stesso processo può rappresentare un terribile limite
alla nostra capacità si scorgere nuove soluzioni, zavorrandoci in modo pesante.
Pensiamo all’esperienza di una scottatura sui fornelli di casa: se da tale evento
trarremo come direttiva la norma di non toccare i fornelli roventi a mani nude tale
tipo di generalizzazione ci proteggerà e aiuterà ad evitare futuri incidenti; se da tale
evento dovessimo trarre viceversa l’insegnamento che avvicinarsi ai fornelli è
pericoloso potremmo limitarci fino al punto di mettere in pericolo la nostra stessa
esistenza. Se da un incidente stradale sul bagnato dovessimo trarre l’insegnamento
che quando piove bisogna essere più prudenti alla guida questo ci preserverebbe nella
nostra integrità di esseri umani; se la regola generale che dovessimo intravedere
fosse, invece, che viaggiare in automobile con la pioggia è pericoloso questo
probabilmente ci costringerebbe a non uscire di casa in macchina se non con il sole,
con notevole pregiudizio.
Altri esempi di generalizzazioni che impoveriscono il nostro modello del mondo
potrebbero suonare pressappoco così:
“gli altri non mi stimano”
“non piaccio alle donne”
“nessuno mi ama”

La “cancellazione” è il procedimento attraverso il quale selettivamente


vediamo, ascoltiamo metabolizziamo solo alcuni aspetti della nostra esperienza
andando a filtrare la realtà escludendo una parte degli stimoli esterni. Anche in
questo caso bisogna sottolineare in primo luogo l’aspetto ecologico di tale processo:
ogni secondo infatti una quantità infinita (secondo Paul Watzlawick, studioso del
Mental Research Institute di Palo Alto e docente di psichiatria e scienza
comportamentale dell’Università di Stanford, circa diecimila impressioni sensoriali)
di stimoli (suoni, immagini, sensazioni corporee, odori ecc.) raggiunge i nostri sensi e
se noi non possedessimo questo meccanismo naturale di difesa saremmo
letteralmente sopraffatti e annientati: è scientificamente dimostrato che il cervello
umano può gestire contemporaneamente sette pezzi di informazione (con uno scarto
individuale di più o meno due), oltre questo limite la mente va in corto circuito.
Accanto a questa funzione positiva, come per la “generalizzazione”, c’è l’aspetto
limitante: è il nostro stesso modello a decidere cosa e come filtrare dell’esperienza
complessiva in funzione della congruità delle informazioni al modello stesso,
escludendo di norma messaggi destabilizzanti e in contrasto con esso. All’essere
umano non piace contraddirsi e in funzione di questo, dando un’occhiata a quanto
appena detto sulla “generalizzazione”, un uomo, convinto di non piacere alle donne,
tenderà a filtrare tutti i messaggi in contrasto con la sua profonda convinzione
cancellando quelli di apprezzamento provenienti dall’altro sesso e la medesima cosa
si può tranquillamente affermare anche per gli altri esempi fatti.
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Il terzo procedimento attraverso cui ci creiamo il nostro modello è la
“deformazione”.
Noi manipoliamo, coloriamo e deformiamo la realtà in funzione di ciò che vogliamo
o ci aspettiamo di vedere e sentire. Questo esercizio che ci mette a disposizione uno
dei più potenti strumenti di cui la mente umana sia dotata permettendoci di operare
cambiamenti nella nostra esperienza e di prepararci a esperienze per noi non abituali
proiettandoci nel futuro (ad esempio con la tecnica del “ponte sul futuro”) a volte ci
limita. La “deformazione” sotto l’abile direzione d’orchestra del nostro modello
riscrive lo spartito delle nostre esperienze.
Quelle che viste in chiave positiva possono essere definite profezie autoavverantesi,
diventano spesso premesse autosuggellanti o, con un gioco di parole, autosigillanti,
rendendoci prigionieri del nostro modello impoverito. Ne parleremo in seguito.
Il nostro modello in definitiva ha la caratteristica della circolarità. Una volta costituito
avrà la capacità di generalizzare, cancellare e deformare tutte le nostre esperienze al
fine di mantenersi e consolidarsi.
Avete presente i cartoni animati in cui dalla superficie dell’acqua si vedono affiorare
le pinne degli squali che girano intorno alla preda di turno? Questo accade anche nel
nostro modello.
A John Grinder e Richard Bandler si deve l’elaborazione di uno dei modelli
più efficaci di studio ed interpretazione delle potenzialità umane: la PNL
(Programmazione Neurolinguistica).
Agli inizi degli anni settanta iniziarono a studiare e soprattutto osservare il lavoro di
alcuni dei più famosi psicoterapeuti dell’epoca, tra cui Virginia Satir, Fritz Perls e
Milton Erickson e si interrogarono sull’origine dell’efficacia della loro terapia. In
breve si accorsero che partendo da approcci delle specifiche terapie differenti e
talvolta addirittura incompatibili vi erano degli elementi comuni e ricorrenti che
rendevano l’approccio terapeutico di questi “maghi” irresistibile.
La successiva decodificazione di queste strategie e la loro applicazione ai più svariati
campi delle interazioni tra individui ha dato origine a questa neuroscienza ancor oggi
in continua evoluzione e definita come lo studio della struttura dell’esperienza
soggettiva.
Proprio Grinder e Bandler affermano quanto abbiamo appena detto in “La struttura
della magia” scrivendo: “Abbiamo constatato per esperienza che le persone vengono
tipicamente in terapia soffrendo, con la sensazione di essere paralizzate, senza
avvertire alcuna possibilità di scelta o libertà d’azione nella loro vita. Ciò che
abbiamo scoperto non è che il mondo è troppo limitato o che non vi sono scelte, ma
che costoro impediscono a se stessi di scorgere le opzioni e le possibilità che gli si
dischiudono perché queste non sono disponibili nei loro modelli del mondo………..
Sicché i processi che ci permettono di svolgere le più straordinarie ed eccezionali
attività umane sono gli stessi processi che bloccano la nostra crescita ulteriore se
commettiamo l’errore di confondere il modello con la realtà.”
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GENERALIZZO CANCELLO

DEFORMO

Chiediamoci ora cosa contiene il nostro modello. Quali sono gli elementi che lo
costituiscono?
I processi di cui abbiamo appena parlato danno origine all’interno del nostro modello
ad una serie di credenze, valori, regole, alla nostra identità, ancore e concetti simbolo.
Io personalmente sono stato convinto per anni di non essere capace di parlare
in pubblico. Ogni volta che dovevo rivolgermi ad una platea anche di poche persone
l’imbarazzo e questa mia forte convinzione mi bloccavano. Mi vedevo piccolo come
una formica, sentivo la mia voce farsi flebile e un nodo mi stringeva la gola. Era una
mia credenza!
Le credenze sono convinzioni radicate, generalizzazioni consce od inconsce, che
possono riguardare aspetti particolari del mondo (credenze specifiche) oppure interi
settori della nostra vita, dell’individuo o dell’ambiente in cui ci troviamo (credenze
globali). Tali elementi del modello assumono maggior vigore se corroborati da una
vasta base di riferimenti, se in sintonia con altre credenze, se derivanti da esperienze
caratterizzate da una forte carica emotiva. Si formano, infatti, proprio con le
esperienze vissute, con ciò che abbiamo visto, udito e percepito durante il nostro
sviluppo come esseri umani e tanto maggiore è l’emozione associata ad un evento che
genera la credenza tanto più profonde saranno le radici. Una pianta con radici
profonde è ben salda nel terreno, trae nutrimento dal profondo alimentandosi ed è
difficile da estirpare. Così sono le nostre credenze.
Cosa orienta il nostro comportamento ogni giorno? Quando usciamo di casa la
mattina per andare a lavorare o ci concediamo una giornata di svago con la famiglia o
gli amici cosa consideriamo prioritario e cosa secondario? Dipende dai nostri valori.
Questi sono la bussola del nostro comportamento indicando quale sia la rotta da
tenere e quale il fine a cui tendere nella vita. Fissare nella nostra esistenza dei valori
precisi ci aiuta a raggiungere più in fretta e con maggior facilità i nostri obiettivi. A
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volte gli insuccessi derivano dall’incapacità di darsi delle priorità, dalla poca
chiarezza della propria scala di valori o ancora dal conflitto non risolto tra alcuni di
essi.
Oggi ci sentiamo felici? Alcuni di noi risponderanno che lo sono, altri
affermeranno il contrario. Stiamo facendo tutti la stessa identica cosa eppure… la
risposta che ognuno di noi darà dipende dalle proprie regole: l’insieme delle
condizioni necessarie e sufficienti che si devono realizzare affinché noi si possa
affermare che un determinato evento o stato d’animo si è realizzato. Pensiamo al
concetto di felicità e riflettiamo su quelle che sono le regole affinché si possa provare
questa sensazione. Io potrei essere felice per il solo fatto di trovarmi insieme a
persone che stimo e che considero amiche mentre altri potrebbero desiderare un
grosso conto in banca o una bella casa, ecc. Avere regole troppo complesse o troppo
rigide può provocare conflitti o incomprensioni con gli altri per cui saper
comprendere e applicare le regole altrui è un formidabile strumento per comunicare
in modo efficace, aumentare la nostra flessibilità e stare bene con noi stessi e gli altri.
Vi è mai capitato di guardarvi allo specchio e di chiedervi chi siete? O ancora
di domandarvi cosa gli altri vedano in voi? A me personalmente è successo più di una
volta.
L’identità è la percezione che abbiamo di noi stessi, delle nostre risorse, potenzialità e
limiti, del chi siamo e del chi potremo diventare, di ciò che potremo e non potremo
fare. Il nostro modo di vederci e percepirci ed anche l’immagine che gli altri hanno di
noi (identità proiettata) sono alla base del nostro modello e rappresentano un pilastro
della nostra capacità di crescita. Ogni cambiamento profondo e duraturo parte proprio
dalla modifica del nostro senso di identità. Non si potrà mai essere ciò che non ci si
sente di essere.
Una sera di aprile per ultimare la mia tesi del master formatori mi sono seduto
in cucina, ho appoggiato il mio portatile sul tavolo e mi sono messo al lavoro. Poco
dopo mi sono accorto di aver scritto nel giro di un paio d’ore un bel pezzo di tesi. Un
risultato eclatante considerando che l’avevo raggiunto lavorando di fianco alla
lavastoviglie in funzione che per alcuni sarebbe stata solo di disturbo. Io ero stato
coccolato da quel rumore, mi aveva riportato alle sere prima degli esami universitari
in cui mi chiudevo in cucina per studiare ed ero pieno di voglia e di risorse per
apprendere. Si era attivata in me un’ancora (positiva).
Per ancora si intende un suono, un’immagine, una sensazione fisica o un odore che ha
per noi un forte senso evocativo. Sarà sicuramente capitato a tutti di ascoltare una
musica che ha fatto riemergere sensazioni piacevoli o rievocato ricordi e stati
d’animo particolari? Queste ancore agiscono sia a livello conscio che inconscio
attivando in noi risposte positive o negative a determinate situazioni o eventi.
Un particolare tipo di ancora e poi rappresentato dai concetti simbolo, dove lo
stimolo che dà origine alla nostra reazione emotiva è costituito da un concetto o una
persona che incarna e rappresenta un determinato valore per noi rilevante. E’ bene
ricordare che tutti gli elementi del nostro modello sono tra loro dipendenti e insieme,
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attraverso i processi di generalizzazione, cancellazione e deformazione, tendono a
preservarsi e rinforzarsi.
Credenze ed identità in particolare svolgono un ruolo fondamentale
nell’alimentare quel processo che viene definito “profezia autoavverantesi”.
Cos’è una profezia?
Una previsione sugli avvenimenti futuri o sul risultato delle azioni di oggi sul
domani.
Alan Kay afferma: “Il miglior modo di prevedere il futuro è inventarlo!”.
Se noi siamo convinti di essere in un determinato modo lo saremo; se abbiamo la
certezza di farcela ce la faremo; se siamo certi fin dall’inizio di non saper fare una
cosa non la riusciremo mai a fare.
Se entro in un’aula di formazione convinto che non servirà a nulla, a fine giornata
non avrò appreso nulla.
Se sono convinto che al lavoro mi attende una giornata terribile, avrò una giornata
terribile.
La nostra convinzione profonda accende la miccia di una serie di azioni e
comportamenti consci ed inconsci che ci porteranno ad ottenere o no i risultati
desiderati. E quando non li otterremo sarà perché non li abbiamo desiderati
abbastanza: è il punto di partenza che conta, il resto viene di conseguenza.

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Generalizzazioni Cancellazioni
CREDENZE
VALORI
REGOLE
IDENTITA’
ANCORE
CONCETTI
SIMBOLO

Deformazioni

IL METAMODELLO DEL LINGUAGGIO


La mia prima “cavia” sull’uso del metamodello è stata mia moglie.
Sardegna… mese di agosto… una sera in cui il caldo era mitigato dalla brezza
marina che rinfrescava la pelle. In un ristorante, su di una splendida terrazza con
vista sul mare, il chiarore della luna, lo sciabordio delle onde sotto di noi, ho
incominciato a applicare ciò che avevo letto in giornata comodamente sdraiato sotto
l’ombrellone nel libro “La struttura delle magia” di Richard Bandler e John Grinder.
Mi sono accorto che per quanto ciò mi fosse apparso quasi scontato non avevo mai
posto attenzione al fatto che le conversazioni tra due persone potessero essere così
superficiali e dire davvero poco. Se con chi ci è vicino ed amiamo riusciamo a volte a
comunicare in modo così limitato, quali risultati potremmo ottenere con gli altri?
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Pensiamo a questo: gli stimoli esterni utilizzati per costruire la nostra esperienza
sono solo una minima parte. In effetti circa il 99% delle informazioni che ci giungono
vengono scartate ed eliminate dai nostri filtri percettivi e dai nostri processi di
apprendimento.
L’essere umano deve poi comunicare con i suoi simili. Nel farlo,
attraverso il linguaggio, costruisce la rappresentazione della
rappresentazione, il modello del modello con un’ulteriore perdita
del 99% delle informazioni. La visione che diamo agli altri della
nostra esperienza e quella che gli altri offrono a noi può risultarne
notevolmente impoverita.
Del nostro modello riusciamo a mostrare solo una piccolissima
parte paragonabile alla punta di un iceberg che affiora nelle
fredde acque dei mari del nord.
Utilizzando il linguaggio come sistema rappresentazionale operiamo, come nel
processo di genesi e mantenimento della nostra mappa, una serie di generalizzazioni,
cancellazioni e deformazioni.
La struttura superficiale, ciò che diciamo, nasconde una struttura profonda da cui
questa viene derivata attraverso una serie di trasformazioni. Una volta conscio di
questo, ognuno di noi è già in grado di operare tutte quelle sottili distinzioni,
necessarie a capire se un’espressione linguistica è ben formata (dice tutto ciò che
vuole dire) ed andare a ricercare ciò che è celato al nostro primo sguardo. Nel fare ciò
si possono raggiungere contemporaneamente due risultati: da un lato si scopre il vero
modello del nostro interlocutore (la struttura profonda), dall’altro, nell’andare a
contestare parti limitanti dello stesso, si può favorire un cambiamento ed un
rimodellamento della mappa.
Cerchiamo di analizzare con degli esempi le più ricorrenti e lampanti.

GENERALIZZAZIONI
Quando ci troviamo di fronte ad espressioni che definiscono la realtà in modo
univoco ed assoluto - tutti/nessuno, sempre/mai o ogni volta - siamo in presenza di
quelli che vengono definiti “quantificatori universali”. Significa che nel modello le
esperienze in cui quella generalizzazione non è vera sono state rimosse. Abbiamo
allora la possibilità attraverso le domande di contestazione di recuperare tali
esperienze ed andare a contestare la generalizzazione stessa. Alle frasi:
“Nessuno presta attenzione a ciò che dico”.
“Non mi fido mai di nessuno”.
Potremo rispondere chiedendo:
“Hai mai incontrato qualcuno che facesse attenzione a ciò che dicevi?”
“Intendi dire che nessuno ti presta mai attenzione per niente?”
“Davvero nessuno sempre presta attenzione a tutto ciò che dici?”
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“Ti è capitato di fidarti di qualcuno in qualche occasione? Quale?”
“Ricordi un’occasione in cui ti sei fidato di qualcuno? Chi?”
“Davvero mai in nessuna occasione ti fidi di nessuno?”
Oppure, se vogliamo andare a fondo e comprendere da quali esperienze tale
generalizzazione scaturisca domanderemo:
“Chi specificatamente non presta attenzione a ciò che dici?”
“Nessuno chi?”

Altre volte la generalizzazione viene espressa dal punto di vista linguistico con l’uso
degli operatori modali:
“Devo – non devo – dovrei – dovresti – è necessario” (op. modali di necessità)
“Non posso – è impossibile” (op. modale di possibilità)
“Vorrei venire con voi ma ho troppe cose da fare” (op. modale di volontà)
confutabili con domande quali:
“Cosa ti costringe a … - cosa accadrebbe se tu non lo facessi? – cosa accadrebbe se tu
lo facessi..”
“Cosa ti impedisce di …”
“Se non avessi troppe cose da fare allora verresti con noi?”

CANCELLAZIONI
Violazioni frequenti si sentono in frasi dove non è specificato un argomento
(poiché cancellato) o un verbo. In altri casi c’è una mancanza o spostamento di indici
referenziali intesi come il soggetto che compie un’azione:
“Sono stanco!” (argomento mancante)
“Di chi? Di che cosa? Chi ti stanca? Cosa ti stanca?”
“La gente non mi ascolta!” (nome non specifico)
“Chi specificatamente non ti ascolta? Cosa non ascolta di quello che vuoi dire?”
“Si dice…”
“Qualcuno dice…”
“Chi lo dice?”
“Allora uno vede…”
“Allora tu vedi…”
“Chi vede questo?”
O ancora potremo chiedere di specificare il verbo per comprendere ancora meglio il
modello del nostro interlocutore:
“In che modo specifico la gente non ti ascolta?”
“Cosa dovrebbe fare la gente perché tu ti senta ascoltato?”

A volte la cancellazione si porta via un intero termine di paragone come in frasi del
tipo:
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“È meglio.”
“È più bello.”
“È il migliore.”
“Il vostro prodotto è troppo scadente.”
“Il vostro lavoro è troppo lento.”
Si può portare alla luce il termine di paragone con domande quali:
“Rispetto a chi?”
“Rispetto a che cosa?”

Oppure si cela dietro un falso avverbio (avverbio che sostituisce un verbo):


“Chiaramente” = è chiaro
“Sfortunatamente” = è una sfortuna
“Ovviamente” = è ovvio
“Per chi?”

O l’espressione di un giudizio
“È una soluzione idonea.”
“È un’azione scorretta.”
“È giusto in questo modo.”
“Per chi è così?”
“Chi afferma che è così?”

DEFORMAZIONI – DISTORSIONI
Ci sono poi per finire, tutta una serie di deformazioni che presuppongono dei
nessi di casualità o delle equivalenze strette tra comportamenti di un individuo e stati
d’animo di un altro o che trasformano processi ancora in corso in eventi ormai
conclusi. Si stabilisce in sostanza un collegamento del tutto arbitrario tra eventi che in
effetti non sono correlati. Dall’analisi di queste malformazioni linguistiche possiamo
percepire appieno e vedere con maggior chiarezza il modello dei nostri interlocutori
ed anche il nostro.
Possiamo riassumerle schematicamente in questi termini:

Nominalizzazioni – dal nome al verbo


Una parola che nella struttura profonda rappresenta un processo, si presenta nella
struttura superficiale come un evento.
“Amore”, “Depressione”
“Rispetto” “Valore”
“Quando ti sentiresti amata?”
“Come potresti fare per non sentirti depressa?”

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Secondo Grinder e Bandler tali deformazioni possono essere individuate pensando di
riporre queste parole non di processo in una carriola e constatando se ciò sia
materialmente fattibile.

Causa-effetto
Chi utilizza una struttura del genere è convinto che una persona possa compiere
un’azione che causa necessariamente un’altra o un determinato stato emotivo. Il
comportamento X determina e causa lo stato d’animo Y senza tuttavia precisare come
ciò accada:
“Quando lui ride mi innervosisce.”
“Lei mi costringe ad essere geloso.”
“Il tuo parlare mi frastorna.”
“In che modo il suo ridere ti rende nervoso?”
“Come lei ti costringe ad ingelosirti?”
“In che modo ti senti frastornato?”

Generalizzazione - Equivalenza complessa


Si attribuisce ad un comportamento un significato. A significa B:
“Il mio capo non mi apprezza (mai) … non mi ringrazia (mai).”
“Mio figlio non mi sorride (mai) … mio figlio non mi vuole bene.”

Lettura del pensiero


Chi parla presume di conoscere i pensieri o stati d’animo di un’altra persona senza
che questa li abbia esternati. Non si riferisce a elementi obiettivamente osservabili o
constatabili ma a semplici sensazioni:
“Il mio capo non mi stima.”
“Mia moglie non mi ama.”
“So cosa pensi di me.”
Contestabili chiedendo:
“Il tuo capo ti ha detto di non stimarti?”
“Tua moglie ti ha comunicato di non amarti?”
“Come fai a sapere cosa penso di te se non l’ho detto?”

Presupposti
Sono assunti di base che limitano ed impoveriscono il nostro modello e sono
necessari per dare un senso ad una struttura superficiale enunciata, molto simili dal
punto di vista formale alla lettura del pensiero.
“Temo che andrà a finire male come l’altra volta.” (bisogna accettare il presupposto
che l’altra volta è finita male).
“Se lui fosse mio amico non mi avrebbe abbandonato nel momento del bisogno.”
(bisogna accettare il presupposto che lui non è mio amico).
Da approfondire con domande quali:
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“L’altra volta è finita male? In che modo?”
“Lui non è tuo amico? In che senso specifico?”

Performativa mancante
In questo caso una persona esprime una generalizzazione sul mondo in se stesso che
invece rientra nel suo modello ed è riferita a lui cancellando ogni traccia o
riferimento alla sua persona.
“È bene pensare prima di parlare.”
“È male agire troppo istintivamente.”
Si possono contestare con le domande:
“Per chi è bene ciò?”
“Per chi è male ciò?”
Facendo emergere le rispettive performative:
“Per me è bene pensare prima di parlare.”
“Per me è male agire troppo istintivamente.”

Appare evidente che molto spesso in una singola frase si presentano più
violazioni congiuntamente e la distinzione tra alcune è veramente sottile. Tocca a noi,
a seconda del fine che ci prefiggiamo, andare a contestare quelle che ci
permetteranno di raggiungere in modo efficace il nostro obiettivo. Nel fare ciò, non
dobbiamo, secondo me, trascurare il rispetto degli altri e della loro integrità.
Supponiamo di essere un ingegnere al quale viene commissionato questo progetto:
collegare con una strada due città separate da una montagna. Abbiamo la possibilità
di aggirare l’ostacolo costeggiando la montagna, permettendo a chi percorrerà la
strada di gustare l’incantevole vista del paesaggio circostante, oppure costruire, a
suon di cariche di tritolo, una interminabile e soffocante galleria. Possiamo anche
scegliere, se siamo ecologisti convinti, di rifiutare il progetto.
A prescindere dalle classificazioni che si vogliano dare alle malformazioni
linguistiche specchio di un modello limitato o impoverito, il nostro impegno è quello
di allenare il nostro orecchio a sentire che il nostro interlocutore ci presenta solo una
parte della sua mappa. Impariamo a chiedere e a ricercare i pezzi mancanti, a ottenere
l’immagine completa e corretta di ciò che è stato distorto, a fare luce sulle esperienze
da cui gli altri traggono le loro generalizzazioni. Comprendere meglio il modello
altrui ci aiuterà a capire e ad essere più efficaci nel comunicare, facendo vivere
meglio noi e chi ci è vicino. Possiamo farlo iniziando ad ascoltare noi stessi.

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METAPROGRAMMI
Avete mai provato a sintonizzare una radio sulla frequenza della vostra
emittente preferita e non riuscirci perfettamente?
Il segnale che ricevete se ciò accade ne risulta disturbato e anche l’ascolto è di
difficile comprensione.
La stessa cosa accade se ci rivolgiamo ad una persona non adeguandoci ai suoi
metaprogrammi, non sintonizzandoci sulla sua stessa lunghezza d’onda relativamente
al modo in cui quella persona apprende, sceglie ed organizza la propria vita.
Ognuno di noi predispone, in base all’esperienza, dei criteri in base ai quali
seleziona il comportamento da tenere in circostanze diverse, una sorta di timone che
guida la nostra barca nel mare delle decisioni di ogni giorno. Si tratta di schemi di
comportamento standardizzati che consentono di accelerare i processi di valutazione,
selezione ed organizzazione degli input. Abituarci ad ascoltare, per riconoscere nel
nostro interlocutore i suoi metaprogrammi, ci consente di adeguare il nostro
messaggio per essere più persuasivi ed efficaci nella comunicazione. Se il
comportamento del nostro interlocutore è regolato da questa sorta di bussola interna
allora muoverci nella stessa direzione, verso il suo stesso punto cardinale ci potrà
essere di notevole aiuto per non allontanarci da lui.
I metaprogrammi sono solitamente raggruppati in serie di due ma non vanno
considerati come alternative assolute (come non è detto che una persona solitamente
elegante non possa un giorno vestirsi con un jeans ed una maglietta) in quanto è stato
dimostrato che il metaprogramma utilizzato può variare a seconda della circostanza e
il suo grado di intensità è molto personale.
Così avremo persone che nei propri metaprogrammi contempleranno solo il bianco
più brillante o il nero più intenso; altre che avranno varie sfumature di grigio tra
questi due. Commetteremmo un errore imperdonabile se catalogassimo una persona
in maniera rigida.
Come per il resto del nostro modello soggettivo anche i metaprogrammi si formano
con l’esperienza personale vissuta in prima persona o per ciò che abbiamo visto
accadere a parenti e amici o da ciò che ascoltiamo.
Durante circa un ventennio di studi iniziati negli anni settanta sono stati individuati
diversi tipi di metaprogramma: ne analizzeremo i principali che ci potranno essere di
aiuto nella vita lavorativa e non solo, precisando fin d’ora che in nessun caso il
riconoscersi nell’uno o l’altro metaprogramma ha una valenza positiva o negativa.

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V
VIISSIIV
VOO –– A
AUUD
DIIT
TIIV
VOO –– C
CEEN
NEESST
TEESSIIC
COO
V
VA AK
K
Ci sono persone maggiormente attratte dalle immagini o dai colori, altre
prestano maggiore attenzione ai suoni e le voci che le circondano e altre ancora sono
potentemente influenzate dalle proprie sensazioni corporee sia interne che esterne.
Supponiamo di trovarci su una spiaggia caraibica al tramonto: alcuni di noi
focalizzeranno la propria attenzione sui colori del mare e del cielo, sui riflessi dorati
della sabbia; altri sentiranno il suono delle onde che si infrangono sulla riva e l’eco
lontano delle voci; altri ancora saranno coccolati dalla sensazione di tepore del sole al
tramonto, percepiranno la brezza marina, la rilassatezza delle proprie membra
adagiate sulla sabbia e accarezzate dal lieve vento della sera.
Nel costruire la nostra mappa e nel filtrare gli input esterni come poi nel mostrare e
raccontare la stessa agli altri ci avvaliamo non esclusivamente ma preferibilmente di
un canale rappresentazionale che può essere quello visivo (immagini), uditivo (suoni)
o cenestesico (sensazioni corporee, gusto, olfatto).
Il canale preferenziale di ogni individuo è palesato dai termini linguistici che tende
ad usare con maggiore frequenza e che fanno solitamente riferimento proprio al
canale riconosciuto come primario.
Ci sono indizi poi legati alla gestualità (rivolta verso l’esterno per i visivi, verso
l’interno per i cenestesici o molto armoniosa a modo di direttore d’orchestra per gli
auditivi), alla respirazione (alta per i visivi, di pancia per i cenestesici, mediana per
gli auditivi), al tono, volume e velocità dell’eloquio (voce alta e veloce per i visivi,
lenta e bassa per i cenestesici, armoniosa e melodica per gli auditivi).
Altri segnali di come una persona organizza il proprio mondo interiore possono poi
venire dai movimenti oculari indice dell’accesso ad un sistema rappresentazionale o
un altro.
A prescindere dalla capacità o dalla possibilità di riconoscere nei nostri interlocutori
il sistema rappresentazionale più valutato dobbiamo ricordare, soprattutto se ci
rivolgiamo ad una platea, di usare una comunicazione verbale, paraverbale e non
verbale in grado di catalizzare l’attenzione di tutti.
Ciò renderà il nostro messaggio chiaro, squillante e penetrante per ogni persona.

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L
LOON
NTTA
ANNO
ODDA
A –– V
VEER
RSSO
O

Le leve più potenti della motivazione umana intese come i motivi che ci
spingono all’azione sono il piacere e il dolore.
L’attrazione verso cose o persone motivati dal desiderio di raggiungere certi traguardi
e vederci gratificati o l’allontanamento da persone o cose che possono causare dolore
o malessere dirigono ogni nostra scelta e azione.
Pensiamo al motivo che ci spinge a risparmiare del denaro oggi: alcuni risparmiano
pregustando la vacanza che con la somma accumulata potranno godersi o la
soddisfazione di vedere il proprio figliolo felicemente sposato; altri scontano nella
loro scelta l’imprevedibilità del futuro e la necessità di vedersi al riparo dalle sciagure
che potranno colpirli.

C
CHHUUNNKKSS U
UPP –– DDOOW WNN
PPE
EZZZ
ZII G
GRRA
ANNDDII –– PPIIC
CCCO
OLLII

Per chunk si intende un “pezzo” d’informazione.


Le persone che utilizzano chunks down o piccoli interpretano la realtà e la raccontano
con grande ricchezza di particolari e in modo molto dettagliato andando in
profondità; al contrario coloro che ragionano per chunks grandi o up hanno e
mostrano una visione di insieme fatta di grandi blocchi e spesso si fermano alla
superficie delle cose.
Così ad esempio vostra moglie vi potrebbe descrivere la sua giornata di casalinga al
vostro rientro a casa in questo modo: mi sono alzata alle otto, ho fatto colazione con
latte e biscotti, ho fatto le pulizie partendo dal soggiorno e poi le altre stanze, verso le
dieci ha chiamato mamma che mi ha interrotto per chiederci se domenica siamo da lei
a pranzo, poi sono uscita a fare la spesa andando al solito supermercato, tra le altre
cose ho dovuto parcheggiare lontano perché i posti auto più vicini erano tutti
occupati, ho comprato latte, caffè, biscotti ecc….. oppure dicendovi semplicemente:
ho pulito casa, ho fatto la spesa e sono felice di vederti.
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R
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E
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RAATTOO –– E
ETTEERROOC CE
ENNTTRRA
ATTO
O
Per alcune persone è importante se non fondamentale il giudizio degli altri e le
conseguenze che i propri comportamenti possono produrre verso l’esterno. Gli etero
centrati di conseguenza sono molto sensibili al giudizio altrui e ricercano continue
conferme di stima e apprezzamento dall’esterno alle loro azioni.
Per contro gli ego centrati sono molto focalizzati su loro stessi e nessun
giudizio può di norma mutare la loro percezione di avere o non avere fatto una cosa
nel modo giusto: la conferma di ciò la scorgono dentro di loro.

U
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GLLIIA
ANNZZAA -- DDIIFFFFE
ERRE
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DIISSA
ADDE EGGUUA
ANNTTE
E
Vi siete mai soffermati a osservare attentamente gli adolescenti nel loro modo
di vestire? A volte è difficile trovare in loro delle differenze poiché sono molto
soggetti alla moda del momento.
Una persona che ha un metaprogramma uguaglianza ha proprio questa spiccata
tendenza a valorizzare ciò che appare uguale o conforme ed anche a elaborare
elementi di uguaglianza nelle situazioni vissute tendendo magari a considerare gli
eventi con una certa ineluttabilità.
Il metaprogramma differenza caratterizza invece una persona anticonformista
che apprezza, ricerca ed è in grado di cogliere le differenze.
Sarà capitato a tutti di trascorrere una vacanza con gli amici e rientrati in città
trovarsi a parlarne magari a distanza di tempo: alcuni avranno sottolineato gli aspetti
positivi dell’esperienza come la bellezza dei luoghi, la buona compagnia e la bontà
dei cibi.
Altri sicuramente avranno evidenziato la scomodità e la lunghezza del viaggio
facendo notare nei minimi particolari ciò che a loro giudizio non è andato bene, le
note fuori posto e le sensazioni negative.
In sostanza, chi tende a sottolineare per primi gli aspetti positivi ed in accordo
col gruppo ed eventualmente adeguarsi nel rapporto con gli altri alle decisioni di
questo viene definito adeguante.
Chi viceversa evidenzia in prima istanza gli aspetti in disaccordo con gli altri e
quasi mai si conforma al pensiero altrui viene definito disadeguante. Non ama il
disaccordo, ma è convinto di sapere cose che altri non sanno e di dare un decisivo
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contributo per far chiarezza su aspetti non evidenti o fino a quel momento percepiti
dal resto del gruppo.
Non dobbiamo e non possiamo esprimere alcun giudizio di valore sull’una o
l’altra categoria: nel mondo del lavoro, ad esempio, un dipendente adeguante sarà
facilmente gestibile conformandosi alle scelte aziendali anche se potrà essere di
minor aiuto nel cogliere aree di miglioramento perché raramente farà notare errori
anche se plateali. Un dipendente disadeguante viceversa può creare problemi al
gruppo fino a diventare ingestibile ma la sua vena critica contribuisce al
miglioramento e alla ricerca dell’eccellenza.
La situazione ideale si realizzerebbe in presenza di adeguanti dotati di una buona
capacità critica e disadeguanti moderati.
Sempre rimanendo nel campo del lavoro andiamo a vedere altri due metaprogrammi
importanti nell’ambito della scelta del personale, delle mansioni da affidare e
dell’organizzazione del lavoro in team.

SSO
OL LIISST
TII –– O
ORRC CH HEESST
TRRA
ALLII
IIN
NDDIIPPE
EN NDDEEN NTTII –– IIN
N SSQ
QUUA
ADDR RA
A
Alcuni di noi prediligono lavorare da soli e mal si adattano ad uffici affollati
avendo la necessità di essere da soli per concentrarsi al meglio.
Altri amano il lavoro in gruppo e soffrono se relegati in ufficio da soli
preferendo stare accanto ad altre persone.
Anche in questo caso una figura non è migliore dell’altra ma sarà cura
dell’imprenditore mettere la persona giusta al posto giusto.
Allo stesso modo, prendendo in considerazione il modo di operare, alcuni
preferiscono realizzare in modo autonomo e libero i propri progetti assumendosene la
responsabilità e non ammettendo ingerenze di alcun tipo.
Altri trovano nel gruppo conforto, sicurezza e stimolo per creare nuove idee e
confrontare progetti e soluzioni.

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OPPZ
O ZIIO
ONNII –– PPR
ROOC
CEED
DUUR
REE
Chiediamoci cosa accadrebbe se un pilota di una linea aerea fosse dotato o
utilizzasse prevalentemente un metaprogramma opzioni? Forse i nostri viaggi
sarebbero un po’ meno noiosi ma sicuramente anche meno sicuri.
Chi utilizza questo metaprogramma, infatti, tende a valutare le opzioni disponibili
ed operare scelte in modo creativo ed intuitivo (come le figure che operano nell’area
del marketing o commerciale) mentre il metaprogramma procedure è più facilmente
riscontrabile in persone che lavorano nell’area amministrativa dove doti quali
precisione, meticolosità, controllo e verifica continua sono di norma indispensabili.
Proprio come per pilotare un aereo di linea.

SST
TAAB
BIIL
LIIT
TAA’’ –– C
CAAM
MBBIIA
AMME
ENNT
TOO
Alcuni individui ricercano soprattutto certezze, solide fondamenta su cui
costruire l’intera esistenza come un lavoro sicuro, una casa di proprietà ed una
famiglia felice e le loro scelte sono in maggior parte influenzate dalla visione degli
effetti che queste potrebbero avere nel minare o rafforzare alcune di queste sicurezze
acquisite o desiderate.
Altri sono alla continua ricerca di esperienze nuove ed innovative per sfuggire
alla routine di tutti i giorni.
L’equilibro rappresenta sempre la migliore opzione: come è importante avere dei
punti fermi è altrettanto importante saper vivere e gestire i cambiamenti senza farsi
travolgere dagli eventi.

A
ATTT
TIIV
VOO –– PPA
ASSSSIIV
VOO
Ci sono persone che hanno la convinzione di poter essere costruttori dei propri
destini influenzando l’ambiente circostante. Tendono a considerare gli avvenimenti
come variabili interne da loro controllabili assumendosi responsabilità e a volte colpe
dei propri insuccessi e i meriti dei propri successi.
Altre viceversa si sentono preda degli eventi non considerando la possibilità di
poter agire sul film della loro vita per cambiarlo. Considerano gli eventi quasi solo
esclusivamente come variabili esterne al di fuori del loro controllo,
deresponsabilizzandosi rispetto a questi in quanto non gestibili.

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PPA
ASSSSA
ATTO
O –– PPR
REESSE
ENNT
TEE –– FFU
UTTU
URRO
O
Riferito al mio ambito professionale (quello assicurativo) sento spesso
affermare da alcuni colleghi che non c’è più la compagnia di una volta, che i prodotti
non sono più gli stessi e che anni addietro il lavoro era molto diverso.
Altri ribattono che dobbiamo guardare avanti perché le cose sono in continua
evoluzione e noi dobbiamo adeguarci.
Alti ancora sostengono che ogni momento ha i suoi aspetti positivi e quelli
negativi e che dobbiamo cogliere nella situazione attuale le occasioni che ci si
presentano senza preoccuparci di ciò che eravamo e di ciò che diventeremo.
È lampante che queste tre categorie ragionano in base a metaprogrammi molto
differenti.
I primi hanno grossa difficoltà a staccarsi dalle loro esperienze passate siano
esse piacevoli e confortanti siano esse ancora fonte di sofferenza.
I secondi viceversa vivono proiettati nel futuro lasciandosi tranquillamente alle
spalle tutto ciò che gli è capitato ed è ormai passato, attendendosi la risposta ad ogni
dubbio o quesito dal proprio avvenire.
Gli ultimi vivono alla giornata: apprezzano il presente, e fanno progetti a breve
termine e non danno eccessivo peso agli eventi passati cercando di cogliere ogni
occasione gli si prospetti.

Sino ad ora abbiamo analizzato i metaprogrammi più facilmente individuabili e


generali; altri, in parte anticipati, vista la loro somiglianza a questi appena citati
vengono distinti da alcuni autori, tra cui Giulio Granata, a seconda della finalità cui
sovrintendono.

II M
MEET
TAAPPR
ROOG
GRRA
AMMM
MII D
DII SSE
ELLE
EZZIIO
ONNE
E PPR
RIIM
MAAR
RIIA
A
La maggior parte delle nostre scelte viene effettuata in funzione di alcuni
metaprogrammi, organizzati gerarchicamente, in grado di influenzare in modo
preponderante e prioritario i nostri gusti e decisioni.
Tali metaprogrammi riassunti schematicamente sono:
• persone;
• luoghi;
• attività
• informazioni;
• cose.

Così potremo scegliere un posto di lavoro in funzione di diversi criteri!


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• PERSONE
o Colleghi
o Datore di lavoro
o Lavoro a contatto con il pubblico
o Lavoro di squadra

• LUOGHI
o In centro
o Raggiungibile agevolmente
o In un ambiente accogliente
o Comodo per parcheggiare

• COSE
o Lo stipendio
o La possibilità di carriera
o L’orario flessibile
o I turni

• ATTIVITA’
o Di responsabilità
o Con tranquillità
o In contesti dinamici
o Lavori creativi

• INFORMAZIONI
o Acquisire nuove conoscenze
o Fare esperienze

II M
MEET
TAAPPR
ROOG
GRRA
AMMM
MII D
DII PPE
ERRSSU
UAASSIIO
ONNE
E
Fanno riferimento all’esperienza necessaria e o sufficiente a convincerci di
qualcosa e possiamo distinguerli in:

• AUTOMATICO
Da un singolo esempio o evento ricaviamo subito una regola generale.
Ci basta uno sguardo, una parola, una semplice sensazione, per fidarci a priori
di una persona, per apprezzarla o averne disgusto o addirittura innamorarcene.

• N VOLTE
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Per elaborare la nostra esperienza e persuaderci di qualcosa abbiamo bisogno
che alcuni fatti si ripetano per un numero più o meno grande di volte.

• PERIODO DI TEMPO
Chi utilizza questo metaprogramma ha bisogno di far sedimentare la sua
esperienza ed interiorizzarla per convincersi di determinate cose.

• COSTANTE
C’è anche chi non si convince mai e necessita di continue dimostrazioni a
conforto delle sue scelte.

II M
MEET
TAAPPR
ROOG
GRRA
AMMM
MII D
DII M
MOOT
TIIV
VAAZ
ZIIO
ONNE
E
Cosa intendiamo per motivazione?
Quando agiamo ci sono sempre dei motivi profondi che ci spingono a farlo e attivano
in noi l’azione.

MOTIVO AZIONE

MOTIVAZIONE

Alcuni di noi si attivano spinti dalla NECESSITA’.


Agiscono solo nel momento in cui si sentono costretti a farlo dalle circostanze esterne
interpretando a volte l’esistenza come una lunga serie di doveri e vivendo i
cambiamenti come inevitabili.
Altri attratti dalle POSSIBILITA’.
Non danno grande importanza agli eventi in sé, quanto alle opportunità che essi
rappresentano in termini di possibilità di scelta. A volte decidere per queste persone
risulta difficoltoso perché sentono di limitare così le loro opzioni future.

II M
MEETTAAPPR
ROOG
GRRAAMMM MII D
DII
PPR
REESSE
ENNT
TA AZZIIO
ONNEEDDE
ELLL
LEE IIN
NFFO
ORRMMAAZ
ZIIO
ONNII
Possiamo avere diversi approcci nell’informare gli altri di qualcosa.
Consideriamo ad esempio una giornata di lavoro al computer e vediamo come
verrebbe raccontata da persone dotate di programmi differenti relativamente al modo
di presentare le informazioni.

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Descrittivo
Riporta quello che è come lo vede: “Ho trascorso l’intera giornata a lavorare sul
computer”.

Valutativo
Narra ciò che dovrebbe essere: “Se avessi avuto più tempo avrei finito anche quel
documento”.

Interpretativo
Racconta quello che l’ascoltatore dovrebbe pensare: “E’ stata una giornata pesante e
impegnativa”.

II M
MEET
TAAPPR
ROOG
GRRA
AMMM
MII D
DII C
COON
NOOSSC
CEEN
NZZA
A
Relativamente al modo che si predilige per acquisire le informazioni ci sono
persone che necessitano di:

ELABORAZIONE TEORICA
Hanno bisogno di spiegazioni e modelli cui adeguarsi.

DIMOSTRAZIONE
Imparano vedendo come gli altri fanno e necessitano di esempi.

ESPERIENZA
Apprendono facendo e sperimentando sulla propria pelle.

AUTORITA’
Per questi la fonte dell’idea è già una garanzia della sua validità.

II M
MEET
TAAPPR
ROOG
GRRA
AMMM
MII D
DII C
COON
NFFR
ROON
NTTO
O
Quando riteniamo di aver fatto un buon lavoro?
Come facciamo a sentirci soddisfatti di ciò che abbiamo realizzato alla fine della
nostra giornata o dell’anno, riferendoci al nostro contesto professionale?
Le risposte sono differenti e variano a seconda del modo di confrontare gli eventi e le
esperienze.
Possiamo essere soddisfatti dalla mole di lavoro svolto o dai complimenti di una
grande quantità di persone.

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Ci può gratificare la qualità che percepiamo nel lavoro svolto o l’apprezzamento di
una persona particolarmente stimata.
Possiamo essere appagati dal fatto di avere ottenuto risultati migliori rispetto a
qualcuno (ad esempio i colleghi) o qualcosa (l’anno precedente).

II M
MEET
TAAPPR
ROOG
GRRA
AMMM
MII N
NEEL
LLLE
EAAT
TTTIIV
VIIT
TAA’’

PROCESSO – OBIETTIVO
Alcuni di noi apprezzano maggiormente la via per raggiungere un determinato
obiettivo che non l’ottenimento dello stesso. La fase di realizzazione ed
organizzazione di un progetto o i preparativi di una festa ci gratificano al punto da
farci perdere di vista l’obiettivo finale.
Viceversa, altri tendono a considerare il risultato finale considerando il
processo che li conduce a questo come qualcosa di superfluo, correndo il rischio di
sottovalutare la fase di programmazione.

PERFEZIONISMO – OTTIMIZZAZIONE
La ricerca della perfetta corrispondenza del risultato alla visione che se ne sono
fatta anima i perfezionisti. La loro tolleranza dei propri e altrui errori è minima e il
loro impegno a selezionare attentamente le risorse da utilizzare e prevedere ogni
possibilità quasi maniacale.
Per questo motivo spesso non sono soddisfatti pienamente dai risultati raggiunti.
Maggiore flessibilità nel rivedere i loro obiettivi ed adeguarli alle risorse di cui
dispongono caratterizza gli ottimizzatori il cui motto potrebbe essere “fare di
necessità virtù”. In alcune occasioni questo atteggiamento li fa apparire privi di
obiettivi.
Io ho una grande passione per la cucina e, quando decido di preparare un
piatto, seleziono prima di tutto gli ingredienti giusti, li miscelo e aggiusto mille e
mille volte di sapore fino a che il risultato finale corrisponde esattamente a ciò che mi
ero prefigurato.
Un mio carissimo amico da cui sono stato a cena poco tempo fa decise cosa
cucinare solo dopo aver aperto il frigorifero. La cena fu comunque squisita.

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Mostrano la preferenza verso una determinata fase della propria attività.
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FASE INIZIALE
Alcuni trovano grandi stimoli nell’avvio e progettazione di una nuova idea o attività.

FASE INTERMEDIA
Altri prediligono tradurre i progetti in cose concrete realizzando e dando corpo
operativamente alle idee.

FASE FINALE
Altri ancora si sentono rassicurati da procedure ormai consolidate e danno il loro
maggiore contributo nel mantenimento e miglioramento di quello che già c’è.

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ATTENZIONE SU SE STESSI – SUGLI ALTRI

Ci sono persone che, parlando con il proprio interlocutore, sono così impegnate
a concentrarsi su ciò che dicono e ad ascoltarsi, da perdere completamente di vista le
reazioni di chi si trovano di fronte.
Altri sono invece molto sensibili al feed-back del loro interlocutore e ai
mutamenti nei suoi atteggiamenti focalizzando la propria attenzione su di lui.

PRO SÈ – PRO GLI ALTRI


Lo spirito dei primi, se eccessivamente accentuato, è animato dall’egoismo e
dalla voglia di ricavare quasi esclusivamente qualcosa per se stessi.
Per i secondi invece aiutare gli altri e agire al fine del raggiungimento del
benessere altrui è un imperativo. Gioiscono delle gioie altrui.

GESTIONE DELLE OBIEZIONI


Cosa significa obiettare o dissentire alla luce di tutto quello che
abbiamo visto sino ad ora?

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Nella maggior parte dei casi il dissenso nasce dalla non condivisione della
stessa mappa, da un diverso modo di percepire aspetti della realtà o da alcune
deformazioni che noi stessi andiamo ad operare sui messaggi che ci vogliono essere
veicolati.
Quando ci troviamo di fronte ad un’obiezione, o alle nostre orecchie qualcosa suona
come tale, non dobbiamo dimenticare prioritariamente che il nostro interlocutore ha
sicuramente un modello differente dal nostro. Ciò che abbiamo detto o come lo
abbiamo detto può essere apparso in contrasto e quindi destabilizzante l’altra persona
che rifiuterà: assumiamoci la responsabilità della nostra comunicazione e cerchiamo
di renderla efficace.
Evitiamo prima di tutto reazioni di chiusura nei confronti dell’obiezione ricevuta
poiché:
o se non c’è resistenza, non c’è conflitto;
o l’obiezione non è di norma rivolta nei confronti della nostra persona ma di ciò
che abbiamo detto, mostrato o che è stato percepito dagli altri.
Non buttiamo benzina sul fuoco con la contestazione aperta e verbale
dell’obiezione ricevuta: evitiamo altresì, ed è la parte più difficile poiché spesso
avviene a livello inconscio ed incontrollabile, di commentare in modo ironico o con
tono di voce aspro e accusatorio.
Anzi ringraziamo dello spunto che ci servirà a chiarire meglio il concetto.
Non fuggiamo di fronte all’obiezione indietreggiando, non poniamo tra noi e il
nostro interlocutore il muro delle nostre braccia conserte e non ripariamoci le natiche
con le mani, in attesa di un calcio nel sedere.
La maggior parte di noi interpreta un’obiezione come un attacco nei confronti del
nostro modo di essere e reagisce di conseguenza: ciò che è in discussione ed
eventualmente rifiutato non siamo noi. È il concetto espresso.

Come gestire le obiezioni e il dissenso?

Ci può venire in aiuto quella che viene definita “tecnica four”.

Ascolto
Ascoltare in modo attivo significa cercare di fare nostra l’obiezione,
interiorizzarla e capirne realmente la portata.
Per vedere realizzato tutto ciò dobbiamo evitare alcuni semplici errori:
• interrompere sia verbalmente che non (ad esempio con un gesto);
• il nostro sguardo non deve vagare nel vuoto ma essere rivolto all’altro: non
comportiamoci come i bambini quando vengono sgridati dai genitori;
• giudicare mentalmente il nostro interlocutore appena apre bocca, pensando
subito si tratti dello scocciatore di turno;
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• obiettare mentalmente ancora prima che l’esposizione del punto di vista
dell’altro sia terminata;
• leggere nel pensiero iniziando a costruirci ipotesi su quello che potrebbe
essere il vero senso dell’obiezione o su ciò che il nostro interlocutore intenda
celatamente asserire (non interpretiamo).

Domande di specificazione
Se necessario, nel caso in cui l’obiezione sia molto articolata e di difficile
comprensione, cerchiamo di riassumerla rivolgendoci all’interlocutore con frasi del
tipo: “Provo a riassumere e correggimi se sbaglio” oppure “Dimmi se ho capito
bene… intendi dire che…”; andare a recuperare altre informazioni dalla struttura
profonda : “Cosa intendi per…?”, “In che senso?”.

Ricalco
Ci sarà capitato spesso di osservare un gruppo di amici al tavolo di un bar o
una coppia di fidanzati.
Avremo sicuramente notato che la sintonia esistente in queste circostanze appare
evidente dal modo di comportarsi delle persone, di parlare e di atteggiarsi. Quando
c’è rapporto o empatia gli atteggiamenti tendono ad uniformarsi e gli individui
tendono a rispecchiarsi l’un l’altro, sia dal punto di vista verbale (contenuti),
paraverbale (tono, volume, ritmo e velocità della voce) che non verbale (gesti e
postura del corpo). In modo inverso il ricalco genera “rapport”: consente di farci
vedere e sentire come simili e attivare nel nostro interlocutore la risposta del sistema
nervoso parasimpatico. Posto di fronte a qualcosa di conosciuto e quindi non
pericoloso, l’organismo si rilassa, le tensioni diminuiscono e si è più predisposti
all’ascolto e all’accettazione.
Vediamo allora i livelli a cui il ricalco può avvenire:
• verbale, con l’utilizzo di parole proprie del nostro interlocutore (riprendendo
parole o pezzi della sua obiezione), usando predicati del suo stesso sistema
rappresentazionale preferito o ancora adeguandoci ai suoi metaprogrammi;
• paraverbale, riproducendo il tono, il volume e la velocità della voce;
• non verbale, adeguando la nostra mimica, i gesti, i movimenti e la posizione
del corpo;
• emotivo, facendo leva su esperienze che siano condivise per far comprendere
che anche noi proviamo o abbiamo provato la stessa emozione;
• culturale, adottando termini o usi propri della cultura del nostro interlocutore.
Prescindendo dalle classificazioni che ne possiamo dare, ricalcare una persona non
deve rappresentare lo scimmiottamento di ogni suo gesto, atteggiamento o parola.

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Significa conformare il nostro modo di rapportarci a lei adeguandoci, il più possibile,
alla sua mappa.

Aggancio – Guida
Solo dopo aver ricalcato il nostro interlocutore si può cercare di portarlo dalla
nostra parte e guidarlo lungo un cammino differente.
Pensiamo infatti a cosa accadrebbe se noi ci rivolgessimo con estrema pacatezza e
calma ad un cliente che ci sta esponendo con grande concitazione il suo problema. Il
suo stato di agitazione ci dovrebbe far capire che quello che per noi è qualcosa di
trascurabile o irrisorio, per lui rappresenta fonte di preoccupazione e frustrazione.
Rispondendo subito in modo troppo tranquillo potremmo dargli l’impressione di non
comprendere il suo stato o peggio ancora di non condividerlo.
Cerchiamo di porci poco sotto il suo livello di eccitazione, il suo tono e volume di
voce e poi delicatamente iniziamo a fargli comprendere che sappiamo come ci si
sente in quello stato, abbassando gradatamente i toni e sintonizzandoci sul sistema
rappresentazionale da lui preferito mediante l’uso di predicati verbali adeguati.
Possiamo a questo punto una volta stabilito il rapporto e controllato di poterlo
condurre utilizzando tutte le tecniche del metamodello linguistico per andare a
ampliare e contestare parti impoverite del modello del nostro interlocutore.
Abbiamo constatato la potenza del linguaggio ed allora nel gestire
efficacemente l’obiezione dovremo porre la massima attenzione a non usare
avversativi quali ma, no, comunque , però e tuttavia. Queste parole che a prima vista
possono apparire del tutto innocue inserite nel contesto della risposta ad un’obiezione
possono fare al nostro interlocutore lo stesso effetto di un pugno nello stomaco,
polverizzando in un secondo il rapporto che saremo riusciti ad instaurare.
Pensiamo all’espressione tipo con cui vogliamo cercare di far credere ad una persona
di essere d’accordo con lui e nello stesso tempo continuare a portare avanti la nostra
tesi: “Sono d’accordo con te ma io penso che…”
Proviamo a rielaborarla in: “Sono d’accordo con te e per questo motivo aggiungerei
che…”.
Alle orecchie del nostro interlocutore queste due frasi suoneranno in maniera molto
differente e produrranno effetti ben diversi.

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Considerazioni conclusive
Abbiamo visto che la mappa non è il territorio. Ognuno di noi ha un suo
specifico ed unico modo di rapportarsi alla realtà e costruire il suo modello.

Ci siamo raccontati come questo, attraverso gli universali


dell’apprendimento, tenda a rafforzarsi e consolidarsi limitandoci a volte nelle
nostre scelte.

Comprendiamo ora nel profondo quanto il linguaggio possa essere uno


strumento potentissimo per andare alla scoperta ed all’arricchimento dell’altrui
modello e abbiamo scoperto gli strumenti di navigazione adeguati per muoverci al
suo interno..

Se dovessimo incontrare qualche scoglio o peggio ancora un iceberg non


abbandoniamo la navigazione e cerchiamo di gestire l’imprevisto. Adattiamo la
nostra rotta e sforziamoci di scorgere sotto la superficie per evitare drammatiche
collisioni.

Abbiamo scoperto il metodo…sappiamo che esiste… ora tocca a ognuno di noi


praticarlo secondo le proprie inclinazioni e gli obiettivi che vorrà raggiungere.

Thomas Edison una volta affermò: ”Quando alla fine, ho deciso che un
risultato vale la pena di essere ottenuto, mi metto al lavoro e provo e riprovo finché
non arriva.”

Bibliografia:
“La struttura della magia” Richard Bandler e John Grinder
“La comprensione reciproca” Marco Simini
“PNL” Giulio Granata

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