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Metaprogrammi
Nella mia esperienza, soprattutto agli inizi della mia professione in campo
In parte, questa considerazione l’avevo già fatta sui banchi di scuola alle prese
la generalizzazione
la cancellazione
la deformazione o distorsione
DEFORMO
Chiediamoci ora cosa contiene il nostro modello. Quali sono gli elementi che lo
costituiscono?
I processi di cui abbiamo appena parlato danno origine all’interno del nostro modello
ad una serie di credenze, valori, regole, alla nostra identità, ancore e concetti simbolo.
Io personalmente sono stato convinto per anni di non essere capace di parlare
in pubblico. Ogni volta che dovevo rivolgermi ad una platea anche di poche persone
l’imbarazzo e questa mia forte convinzione mi bloccavano. Mi vedevo piccolo come
una formica, sentivo la mia voce farsi flebile e un nodo mi stringeva la gola. Era una
mia credenza!
Le credenze sono convinzioni radicate, generalizzazioni consce od inconsce, che
possono riguardare aspetti particolari del mondo (credenze specifiche) oppure interi
settori della nostra vita, dell’individuo o dell’ambiente in cui ci troviamo (credenze
globali). Tali elementi del modello assumono maggior vigore se corroborati da una
vasta base di riferimenti, se in sintonia con altre credenze, se derivanti da esperienze
caratterizzate da una forte carica emotiva. Si formano, infatti, proprio con le
esperienze vissute, con ciò che abbiamo visto, udito e percepito durante il nostro
sviluppo come esseri umani e tanto maggiore è l’emozione associata ad un evento che
genera la credenza tanto più profonde saranno le radici. Una pianta con radici
profonde è ben salda nel terreno, trae nutrimento dal profondo alimentandosi ed è
difficile da estirpare. Così sono le nostre credenze.
Cosa orienta il nostro comportamento ogni giorno? Quando usciamo di casa la
mattina per andare a lavorare o ci concediamo una giornata di svago con la famiglia o
gli amici cosa consideriamo prioritario e cosa secondario? Dipende dai nostri valori.
Questi sono la bussola del nostro comportamento indicando quale sia la rotta da
tenere e quale il fine a cui tendere nella vita. Fissare nella nostra esistenza dei valori
precisi ci aiuta a raggiungere più in fretta e con maggior facilità i nostri obiettivi. A
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volte gli insuccessi derivano dall’incapacità di darsi delle priorità, dalla poca
chiarezza della propria scala di valori o ancora dal conflitto non risolto tra alcuni di
essi.
Oggi ci sentiamo felici? Alcuni di noi risponderanno che lo sono, altri
affermeranno il contrario. Stiamo facendo tutti la stessa identica cosa eppure… la
risposta che ognuno di noi darà dipende dalle proprie regole: l’insieme delle
condizioni necessarie e sufficienti che si devono realizzare affinché noi si possa
affermare che un determinato evento o stato d’animo si è realizzato. Pensiamo al
concetto di felicità e riflettiamo su quelle che sono le regole affinché si possa provare
questa sensazione. Io potrei essere felice per il solo fatto di trovarmi insieme a
persone che stimo e che considero amiche mentre altri potrebbero desiderare un
grosso conto in banca o una bella casa, ecc. Avere regole troppo complesse o troppo
rigide può provocare conflitti o incomprensioni con gli altri per cui saper
comprendere e applicare le regole altrui è un formidabile strumento per comunicare
in modo efficace, aumentare la nostra flessibilità e stare bene con noi stessi e gli altri.
Vi è mai capitato di guardarvi allo specchio e di chiedervi chi siete? O ancora
di domandarvi cosa gli altri vedano in voi? A me personalmente è successo più di una
volta.
L’identità è la percezione che abbiamo di noi stessi, delle nostre risorse, potenzialità e
limiti, del chi siamo e del chi potremo diventare, di ciò che potremo e non potremo
fare. Il nostro modo di vederci e percepirci ed anche l’immagine che gli altri hanno di
noi (identità proiettata) sono alla base del nostro modello e rappresentano un pilastro
della nostra capacità di crescita. Ogni cambiamento profondo e duraturo parte proprio
dalla modifica del nostro senso di identità. Non si potrà mai essere ciò che non ci si
sente di essere.
Una sera di aprile per ultimare la mia tesi del master formatori mi sono seduto
in cucina, ho appoggiato il mio portatile sul tavolo e mi sono messo al lavoro. Poco
dopo mi sono accorto di aver scritto nel giro di un paio d’ore un bel pezzo di tesi. Un
risultato eclatante considerando che l’avevo raggiunto lavorando di fianco alla
lavastoviglie in funzione che per alcuni sarebbe stata solo di disturbo. Io ero stato
coccolato da quel rumore, mi aveva riportato alle sere prima degli esami universitari
in cui mi chiudevo in cucina per studiare ed ero pieno di voglia e di risorse per
apprendere. Si era attivata in me un’ancora (positiva).
Per ancora si intende un suono, un’immagine, una sensazione fisica o un odore che ha
per noi un forte senso evocativo. Sarà sicuramente capitato a tutti di ascoltare una
musica che ha fatto riemergere sensazioni piacevoli o rievocato ricordi e stati
d’animo particolari? Queste ancore agiscono sia a livello conscio che inconscio
attivando in noi risposte positive o negative a determinate situazioni o eventi.
Un particolare tipo di ancora e poi rappresentato dai concetti simbolo, dove lo
stimolo che dà origine alla nostra reazione emotiva è costituito da un concetto o una
persona che incarna e rappresenta un determinato valore per noi rilevante. E’ bene
ricordare che tutti gli elementi del nostro modello sono tra loro dipendenti e insieme,
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attraverso i processi di generalizzazione, cancellazione e deformazione, tendono a
preservarsi e rinforzarsi.
Credenze ed identità in particolare svolgono un ruolo fondamentale
nell’alimentare quel processo che viene definito “profezia autoavverantesi”.
Cos’è una profezia?
Una previsione sugli avvenimenti futuri o sul risultato delle azioni di oggi sul
domani.
Alan Kay afferma: “Il miglior modo di prevedere il futuro è inventarlo!”.
Se noi siamo convinti di essere in un determinato modo lo saremo; se abbiamo la
certezza di farcela ce la faremo; se siamo certi fin dall’inizio di non saper fare una
cosa non la riusciremo mai a fare.
Se entro in un’aula di formazione convinto che non servirà a nulla, a fine giornata
non avrò appreso nulla.
Se sono convinto che al lavoro mi attende una giornata terribile, avrò una giornata
terribile.
La nostra convinzione profonda accende la miccia di una serie di azioni e
comportamenti consci ed inconsci che ci porteranno ad ottenere o no i risultati
desiderati. E quando non li otterremo sarà perché non li abbiamo desiderati
abbastanza: è il punto di partenza che conta, il resto viene di conseguenza.
Deformazioni
GENERALIZZAZIONI
Quando ci troviamo di fronte ad espressioni che definiscono la realtà in modo
univoco ed assoluto - tutti/nessuno, sempre/mai o ogni volta - siamo in presenza di
quelli che vengono definiti “quantificatori universali”. Significa che nel modello le
esperienze in cui quella generalizzazione non è vera sono state rimosse. Abbiamo
allora la possibilità attraverso le domande di contestazione di recuperare tali
esperienze ed andare a contestare la generalizzazione stessa. Alle frasi:
“Nessuno presta attenzione a ciò che dico”.
“Non mi fido mai di nessuno”.
Potremo rispondere chiedendo:
“Hai mai incontrato qualcuno che facesse attenzione a ciò che dicevi?”
“Intendi dire che nessuno ti presta mai attenzione per niente?”
“Davvero nessuno sempre presta attenzione a tutto ciò che dici?”
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“Ti è capitato di fidarti di qualcuno in qualche occasione? Quale?”
“Ricordi un’occasione in cui ti sei fidato di qualcuno? Chi?”
“Davvero mai in nessuna occasione ti fidi di nessuno?”
Oppure, se vogliamo andare a fondo e comprendere da quali esperienze tale
generalizzazione scaturisca domanderemo:
“Chi specificatamente non presta attenzione a ciò che dici?”
“Nessuno chi?”
Altre volte la generalizzazione viene espressa dal punto di vista linguistico con l’uso
degli operatori modali:
“Devo – non devo – dovrei – dovresti – è necessario” (op. modali di necessità)
“Non posso – è impossibile” (op. modale di possibilità)
“Vorrei venire con voi ma ho troppe cose da fare” (op. modale di volontà)
confutabili con domande quali:
“Cosa ti costringe a … - cosa accadrebbe se tu non lo facessi? – cosa accadrebbe se tu
lo facessi..”
“Cosa ti impedisce di …”
“Se non avessi troppe cose da fare allora verresti con noi?”
CANCELLAZIONI
Violazioni frequenti si sentono in frasi dove non è specificato un argomento
(poiché cancellato) o un verbo. In altri casi c’è una mancanza o spostamento di indici
referenziali intesi come il soggetto che compie un’azione:
“Sono stanco!” (argomento mancante)
“Di chi? Di che cosa? Chi ti stanca? Cosa ti stanca?”
“La gente non mi ascolta!” (nome non specifico)
“Chi specificatamente non ti ascolta? Cosa non ascolta di quello che vuoi dire?”
“Si dice…”
“Qualcuno dice…”
“Chi lo dice?”
“Allora uno vede…”
“Allora tu vedi…”
“Chi vede questo?”
O ancora potremo chiedere di specificare il verbo per comprendere ancora meglio il
modello del nostro interlocutore:
“In che modo specifico la gente non ti ascolta?”
“Cosa dovrebbe fare la gente perché tu ti senta ascoltato?”
A volte la cancellazione si porta via un intero termine di paragone come in frasi del
tipo:
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“È meglio.”
“È più bello.”
“È il migliore.”
“Il vostro prodotto è troppo scadente.”
“Il vostro lavoro è troppo lento.”
Si può portare alla luce il termine di paragone con domande quali:
“Rispetto a chi?”
“Rispetto a che cosa?”
O l’espressione di un giudizio
“È una soluzione idonea.”
“È un’azione scorretta.”
“È giusto in questo modo.”
“Per chi è così?”
“Chi afferma che è così?”
DEFORMAZIONI – DISTORSIONI
Ci sono poi per finire, tutta una serie di deformazioni che presuppongono dei
nessi di casualità o delle equivalenze strette tra comportamenti di un individuo e stati
d’animo di un altro o che trasformano processi ancora in corso in eventi ormai
conclusi. Si stabilisce in sostanza un collegamento del tutto arbitrario tra eventi che in
effetti non sono correlati. Dall’analisi di queste malformazioni linguistiche possiamo
percepire appieno e vedere con maggior chiarezza il modello dei nostri interlocutori
ed anche il nostro.
Possiamo riassumerle schematicamente in questi termini:
Causa-effetto
Chi utilizza una struttura del genere è convinto che una persona possa compiere
un’azione che causa necessariamente un’altra o un determinato stato emotivo. Il
comportamento X determina e causa lo stato d’animo Y senza tuttavia precisare come
ciò accada:
“Quando lui ride mi innervosisce.”
“Lei mi costringe ad essere geloso.”
“Il tuo parlare mi frastorna.”
“In che modo il suo ridere ti rende nervoso?”
“Come lei ti costringe ad ingelosirti?”
“In che modo ti senti frastornato?”
Presupposti
Sono assunti di base che limitano ed impoveriscono il nostro modello e sono
necessari per dare un senso ad una struttura superficiale enunciata, molto simili dal
punto di vista formale alla lettura del pensiero.
“Temo che andrà a finire male come l’altra volta.” (bisogna accettare il presupposto
che l’altra volta è finita male).
“Se lui fosse mio amico non mi avrebbe abbandonato nel momento del bisogno.”
(bisogna accettare il presupposto che lui non è mio amico).
Da approfondire con domande quali:
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“L’altra volta è finita male? In che modo?”
“Lui non è tuo amico? In che senso specifico?”
Performativa mancante
In questo caso una persona esprime una generalizzazione sul mondo in se stesso che
invece rientra nel suo modello ed è riferita a lui cancellando ogni traccia o
riferimento alla sua persona.
“È bene pensare prima di parlare.”
“È male agire troppo istintivamente.”
Si possono contestare con le domande:
“Per chi è bene ciò?”
“Per chi è male ciò?”
Facendo emergere le rispettive performative:
“Per me è bene pensare prima di parlare.”
“Per me è male agire troppo istintivamente.”
Appare evidente che molto spesso in una singola frase si presentano più
violazioni congiuntamente e la distinzione tra alcune è veramente sottile. Tocca a noi,
a seconda del fine che ci prefiggiamo, andare a contestare quelle che ci
permetteranno di raggiungere in modo efficace il nostro obiettivo. Nel fare ciò, non
dobbiamo, secondo me, trascurare il rispetto degli altri e della loro integrità.
Supponiamo di essere un ingegnere al quale viene commissionato questo progetto:
collegare con una strada due città separate da una montagna. Abbiamo la possibilità
di aggirare l’ostacolo costeggiando la montagna, permettendo a chi percorrerà la
strada di gustare l’incantevole vista del paesaggio circostante, oppure costruire, a
suon di cariche di tritolo, una interminabile e soffocante galleria. Possiamo anche
scegliere, se siamo ecologisti convinti, di rifiutare il progetto.
A prescindere dalle classificazioni che si vogliano dare alle malformazioni
linguistiche specchio di un modello limitato o impoverito, il nostro impegno è quello
di allenare il nostro orecchio a sentire che il nostro interlocutore ci presenta solo una
parte della sua mappa. Impariamo a chiedere e a ricercare i pezzi mancanti, a ottenere
l’immagine completa e corretta di ciò che è stato distorto, a fare luce sulle esperienze
da cui gli altri traggono le loro generalizzazioni. Comprendere meglio il modello
altrui ci aiuterà a capire e ad essere più efficaci nel comunicare, facendo vivere
meglio noi e chi ci è vicino. Possiamo farlo iniziando ad ascoltare noi stessi.
Le leve più potenti della motivazione umana intese come i motivi che ci
spingono all’azione sono il piacere e il dolore.
L’attrazione verso cose o persone motivati dal desiderio di raggiungere certi traguardi
e vederci gratificati o l’allontanamento da persone o cose che possono causare dolore
o malessere dirigono ogni nostra scelta e azione.
Pensiamo al motivo che ci spinge a risparmiare del denaro oggi: alcuni risparmiano
pregustando la vacanza che con la somma accumulata potranno godersi o la
soddisfazione di vedere il proprio figliolo felicemente sposato; altri scontano nella
loro scelta l’imprevedibilità del futuro e la necessità di vedersi al riparo dalle sciagure
che potranno colpirli.
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Vi siete mai soffermati a osservare attentamente gli adolescenti nel loro modo
di vestire? A volte è difficile trovare in loro delle differenze poiché sono molto
soggetti alla moda del momento.
Una persona che ha un metaprogramma uguaglianza ha proprio questa spiccata
tendenza a valorizzare ciò che appare uguale o conforme ed anche a elaborare
elementi di uguaglianza nelle situazioni vissute tendendo magari a considerare gli
eventi con una certa ineluttabilità.
Il metaprogramma differenza caratterizza invece una persona anticonformista
che apprezza, ricerca ed è in grado di cogliere le differenze.
Sarà capitato a tutti di trascorrere una vacanza con gli amici e rientrati in città
trovarsi a parlarne magari a distanza di tempo: alcuni avranno sottolineato gli aspetti
positivi dell’esperienza come la bellezza dei luoghi, la buona compagnia e la bontà
dei cibi.
Altri sicuramente avranno evidenziato la scomodità e la lunghezza del viaggio
facendo notare nei minimi particolari ciò che a loro giudizio non è andato bene, le
note fuori posto e le sensazioni negative.
In sostanza, chi tende a sottolineare per primi gli aspetti positivi ed in accordo
col gruppo ed eventualmente adeguarsi nel rapporto con gli altri alle decisioni di
questo viene definito adeguante.
Chi viceversa evidenzia in prima istanza gli aspetti in disaccordo con gli altri e
quasi mai si conforma al pensiero altrui viene definito disadeguante. Non ama il
disaccordo, ma è convinto di sapere cose che altri non sanno e di dare un decisivo
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contributo per far chiarezza su aspetti non evidenti o fino a quel momento percepiti
dal resto del gruppo.
Non dobbiamo e non possiamo esprimere alcun giudizio di valore sull’una o
l’altra categoria: nel mondo del lavoro, ad esempio, un dipendente adeguante sarà
facilmente gestibile conformandosi alle scelte aziendali anche se potrà essere di
minor aiuto nel cogliere aree di miglioramento perché raramente farà notare errori
anche se plateali. Un dipendente disadeguante viceversa può creare problemi al
gruppo fino a diventare ingestibile ma la sua vena critica contribuisce al
miglioramento e alla ricerca dell’eccellenza.
La situazione ideale si realizzerebbe in presenza di adeguanti dotati di una buona
capacità critica e disadeguanti moderati.
Sempre rimanendo nel campo del lavoro andiamo a vedere altri due metaprogrammi
importanti nell’ambito della scelta del personale, delle mansioni da affidare e
dell’organizzazione del lavoro in team.
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Alcuni di noi prediligono lavorare da soli e mal si adattano ad uffici affollati
avendo la necessità di essere da soli per concentrarsi al meglio.
Altri amano il lavoro in gruppo e soffrono se relegati in ufficio da soli
preferendo stare accanto ad altre persone.
Anche in questo caso una figura non è migliore dell’altra ma sarà cura
dell’imprenditore mettere la persona giusta al posto giusto.
Allo stesso modo, prendendo in considerazione il modo di operare, alcuni
preferiscono realizzare in modo autonomo e libero i propri progetti assumendosene la
responsabilità e non ammettendo ingerenze di alcun tipo.
Altri trovano nel gruppo conforto, sicurezza e stimolo per creare nuove idee e
confrontare progetti e soluzioni.
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Alcuni individui ricercano soprattutto certezze, solide fondamenta su cui
costruire l’intera esistenza come un lavoro sicuro, una casa di proprietà ed una
famiglia felice e le loro scelte sono in maggior parte influenzate dalla visione degli
effetti che queste potrebbero avere nel minare o rafforzare alcune di queste sicurezze
acquisite o desiderate.
Altri sono alla continua ricerca di esperienze nuove ed innovative per sfuggire
alla routine di tutti i giorni.
L’equilibro rappresenta sempre la migliore opzione: come è importante avere dei
punti fermi è altrettanto importante saper vivere e gestire i cambiamenti senza farsi
travolgere dagli eventi.
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VOO –– PPA
ASSSSIIV
VOO
Ci sono persone che hanno la convinzione di poter essere costruttori dei propri
destini influenzando l’ambiente circostante. Tendono a considerare gli avvenimenti
come variabili interne da loro controllabili assumendosi responsabilità e a volte colpe
dei propri insuccessi e i meriti dei propri successi.
Altre viceversa si sentono preda degli eventi non considerando la possibilità di
poter agire sul film della loro vita per cambiarlo. Considerano gli eventi quasi solo
esclusivamente come variabili esterne al di fuori del loro controllo,
deresponsabilizzandosi rispetto a questi in quanto non gestibili.
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La maggior parte delle nostre scelte viene effettuata in funzione di alcuni
metaprogrammi, organizzati gerarchicamente, in grado di influenzare in modo
preponderante e prioritario i nostri gusti e decisioni.
Tali metaprogrammi riassunti schematicamente sono:
• persone;
• luoghi;
• attività
• informazioni;
• cose.
• LUOGHI
o In centro
o Raggiungibile agevolmente
o In un ambiente accogliente
o Comodo per parcheggiare
• COSE
o Lo stipendio
o La possibilità di carriera
o L’orario flessibile
o I turni
• ATTIVITA’
o Di responsabilità
o Con tranquillità
o In contesti dinamici
o Lavori creativi
• INFORMAZIONI
o Acquisire nuove conoscenze
o Fare esperienze
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Fanno riferimento all’esperienza necessaria e o sufficiente a convincerci di
qualcosa e possiamo distinguerli in:
• AUTOMATICO
Da un singolo esempio o evento ricaviamo subito una regola generale.
Ci basta uno sguardo, una parola, una semplice sensazione, per fidarci a priori
di una persona, per apprezzarla o averne disgusto o addirittura innamorarcene.
• N VOLTE
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Per elaborare la nostra esperienza e persuaderci di qualcosa abbiamo bisogno
che alcuni fatti si ripetano per un numero più o meno grande di volte.
• PERIODO DI TEMPO
Chi utilizza questo metaprogramma ha bisogno di far sedimentare la sua
esperienza ed interiorizzarla per convincersi di determinate cose.
• COSTANTE
C’è anche chi non si convince mai e necessita di continue dimostrazioni a
conforto delle sue scelte.
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Cosa intendiamo per motivazione?
Quando agiamo ci sono sempre dei motivi profondi che ci spingono a farlo e attivano
in noi l’azione.
MOTIVO AZIONE
MOTIVAZIONE
II M
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Possiamo avere diversi approcci nell’informare gli altri di qualcosa.
Consideriamo ad esempio una giornata di lavoro al computer e vediamo come
verrebbe raccontata da persone dotate di programmi differenti relativamente al modo
di presentare le informazioni.
Valutativo
Narra ciò che dovrebbe essere: “Se avessi avuto più tempo avrei finito anche quel
documento”.
Interpretativo
Racconta quello che l’ascoltatore dovrebbe pensare: “E’ stata una giornata pesante e
impegnativa”.
II M
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Relativamente al modo che si predilige per acquisire le informazioni ci sono
persone che necessitano di:
ELABORAZIONE TEORICA
Hanno bisogno di spiegazioni e modelli cui adeguarsi.
DIMOSTRAZIONE
Imparano vedendo come gli altri fanno e necessitano di esempi.
ESPERIENZA
Apprendono facendo e sperimentando sulla propria pelle.
AUTORITA’
Per questi la fonte dell’idea è già una garanzia della sua validità.
II M
MEET
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O
Quando riteniamo di aver fatto un buon lavoro?
Come facciamo a sentirci soddisfatti di ciò che abbiamo realizzato alla fine della
nostra giornata o dell’anno, riferendoci al nostro contesto professionale?
Le risposte sono differenti e variano a seconda del modo di confrontare gli eventi e le
esperienze.
Possiamo essere soddisfatti dalla mole di lavoro svolto o dai complimenti di una
grande quantità di persone.
II M
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PROCESSO – OBIETTIVO
Alcuni di noi apprezzano maggiormente la via per raggiungere un determinato
obiettivo che non l’ottenimento dello stesso. La fase di realizzazione ed
organizzazione di un progetto o i preparativi di una festa ci gratificano al punto da
farci perdere di vista l’obiettivo finale.
Viceversa, altri tendono a considerare il risultato finale considerando il
processo che li conduce a questo come qualcosa di superfluo, correndo il rischio di
sottovalutare la fase di programmazione.
PERFEZIONISMO – OTTIMIZZAZIONE
La ricerca della perfetta corrispondenza del risultato alla visione che se ne sono
fatta anima i perfezionisti. La loro tolleranza dei propri e altrui errori è minima e il
loro impegno a selezionare attentamente le risorse da utilizzare e prevedere ogni
possibilità quasi maniacale.
Per questo motivo spesso non sono soddisfatti pienamente dai risultati raggiunti.
Maggiore flessibilità nel rivedere i loro obiettivi ed adeguarli alle risorse di cui
dispongono caratterizza gli ottimizzatori il cui motto potrebbe essere “fare di
necessità virtù”. In alcune occasioni questo atteggiamento li fa apparire privi di
obiettivi.
Io ho una grande passione per la cucina e, quando decido di preparare un
piatto, seleziono prima di tutto gli ingredienti giusti, li miscelo e aggiusto mille e
mille volte di sapore fino a che il risultato finale corrisponde esattamente a ciò che mi
ero prefigurato.
Un mio carissimo amico da cui sono stato a cena poco tempo fa decise cosa
cucinare solo dopo aver aperto il frigorifero. La cena fu comunque squisita.
II M
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Mostrano la preferenza verso una determinata fase della propria attività.
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FASE INIZIALE
Alcuni trovano grandi stimoli nell’avvio e progettazione di una nuova idea o attività.
FASE INTERMEDIA
Altri prediligono tradurre i progetti in cose concrete realizzando e dando corpo
operativamente alle idee.
FASE FINALE
Altri ancora si sentono rassicurati da procedure ormai consolidate e danno il loro
maggiore contributo nel mantenimento e miglioramento di quello che già c’è.
II M
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ATTENZIONE SU SE STESSI – SUGLI ALTRI
Ci sono persone che, parlando con il proprio interlocutore, sono così impegnate
a concentrarsi su ciò che dicono e ad ascoltarsi, da perdere completamente di vista le
reazioni di chi si trovano di fronte.
Altri sono invece molto sensibili al feed-back del loro interlocutore e ai
mutamenti nei suoi atteggiamenti focalizzando la propria attenzione su di lui.
Ascolto
Ascoltare in modo attivo significa cercare di fare nostra l’obiezione,
interiorizzarla e capirne realmente la portata.
Per vedere realizzato tutto ciò dobbiamo evitare alcuni semplici errori:
• interrompere sia verbalmente che non (ad esempio con un gesto);
• il nostro sguardo non deve vagare nel vuoto ma essere rivolto all’altro: non
comportiamoci come i bambini quando vengono sgridati dai genitori;
• giudicare mentalmente il nostro interlocutore appena apre bocca, pensando
subito si tratti dello scocciatore di turno;
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• obiettare mentalmente ancora prima che l’esposizione del punto di vista
dell’altro sia terminata;
• leggere nel pensiero iniziando a costruirci ipotesi su quello che potrebbe
essere il vero senso dell’obiezione o su ciò che il nostro interlocutore intenda
celatamente asserire (non interpretiamo).
Domande di specificazione
Se necessario, nel caso in cui l’obiezione sia molto articolata e di difficile
comprensione, cerchiamo di riassumerla rivolgendoci all’interlocutore con frasi del
tipo: “Provo a riassumere e correggimi se sbaglio” oppure “Dimmi se ho capito
bene… intendi dire che…”; andare a recuperare altre informazioni dalla struttura
profonda : “Cosa intendi per…?”, “In che senso?”.
Ricalco
Ci sarà capitato spesso di osservare un gruppo di amici al tavolo di un bar o
una coppia di fidanzati.
Avremo sicuramente notato che la sintonia esistente in queste circostanze appare
evidente dal modo di comportarsi delle persone, di parlare e di atteggiarsi. Quando
c’è rapporto o empatia gli atteggiamenti tendono ad uniformarsi e gli individui
tendono a rispecchiarsi l’un l’altro, sia dal punto di vista verbale (contenuti),
paraverbale (tono, volume, ritmo e velocità della voce) che non verbale (gesti e
postura del corpo). In modo inverso il ricalco genera “rapport”: consente di farci
vedere e sentire come simili e attivare nel nostro interlocutore la risposta del sistema
nervoso parasimpatico. Posto di fronte a qualcosa di conosciuto e quindi non
pericoloso, l’organismo si rilassa, le tensioni diminuiscono e si è più predisposti
all’ascolto e all’accettazione.
Vediamo allora i livelli a cui il ricalco può avvenire:
• verbale, con l’utilizzo di parole proprie del nostro interlocutore (riprendendo
parole o pezzi della sua obiezione), usando predicati del suo stesso sistema
rappresentazionale preferito o ancora adeguandoci ai suoi metaprogrammi;
• paraverbale, riproducendo il tono, il volume e la velocità della voce;
• non verbale, adeguando la nostra mimica, i gesti, i movimenti e la posizione
del corpo;
• emotivo, facendo leva su esperienze che siano condivise per far comprendere
che anche noi proviamo o abbiamo provato la stessa emozione;
• culturale, adottando termini o usi propri della cultura del nostro interlocutore.
Prescindendo dalle classificazioni che ne possiamo dare, ricalcare una persona non
deve rappresentare lo scimmiottamento di ogni suo gesto, atteggiamento o parola.
Aggancio – Guida
Solo dopo aver ricalcato il nostro interlocutore si può cercare di portarlo dalla
nostra parte e guidarlo lungo un cammino differente.
Pensiamo infatti a cosa accadrebbe se noi ci rivolgessimo con estrema pacatezza e
calma ad un cliente che ci sta esponendo con grande concitazione il suo problema. Il
suo stato di agitazione ci dovrebbe far capire che quello che per noi è qualcosa di
trascurabile o irrisorio, per lui rappresenta fonte di preoccupazione e frustrazione.
Rispondendo subito in modo troppo tranquillo potremmo dargli l’impressione di non
comprendere il suo stato o peggio ancora di non condividerlo.
Cerchiamo di porci poco sotto il suo livello di eccitazione, il suo tono e volume di
voce e poi delicatamente iniziamo a fargli comprendere che sappiamo come ci si
sente in quello stato, abbassando gradatamente i toni e sintonizzandoci sul sistema
rappresentazionale da lui preferito mediante l’uso di predicati verbali adeguati.
Possiamo a questo punto una volta stabilito il rapporto e controllato di poterlo
condurre utilizzando tutte le tecniche del metamodello linguistico per andare a
ampliare e contestare parti impoverite del modello del nostro interlocutore.
Abbiamo constatato la potenza del linguaggio ed allora nel gestire
efficacemente l’obiezione dovremo porre la massima attenzione a non usare
avversativi quali ma, no, comunque , però e tuttavia. Queste parole che a prima vista
possono apparire del tutto innocue inserite nel contesto della risposta ad un’obiezione
possono fare al nostro interlocutore lo stesso effetto di un pugno nello stomaco,
polverizzando in un secondo il rapporto che saremo riusciti ad instaurare.
Pensiamo all’espressione tipo con cui vogliamo cercare di far credere ad una persona
di essere d’accordo con lui e nello stesso tempo continuare a portare avanti la nostra
tesi: “Sono d’accordo con te ma io penso che…”
Proviamo a rielaborarla in: “Sono d’accordo con te e per questo motivo aggiungerei
che…”.
Alle orecchie del nostro interlocutore queste due frasi suoneranno in maniera molto
differente e produrranno effetti ben diversi.
Thomas Edison una volta affermò: ”Quando alla fine, ho deciso che un
risultato vale la pena di essere ottenuto, mi metto al lavoro e provo e riprovo finché
non arriva.”
Bibliografia:
“La struttura della magia” Richard Bandler e John Grinder
“La comprensione reciproca” Marco Simini
“PNL” Giulio Granata