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INGEGNERIA EEI
@ D I P. F I S I C A , U N I C A G L I A R I
1 Elettrostatica 1
2 Conduzione e circuiti DC 39
3 Magnetismo 63
4 Induzione elettromagnetica 91
7 Ottica 1
8 Bibliografia 3
1. Elettrostatica
1
kC = .
4πε 0
F (r) F (r)
E(r) = (= lim ) (1.5)
q q →0 q
4
cioè la forza specifica per unità di carica, che ha unità N/C (newto-
n/coulomb). Nella seconda eguaglianza specifichiamo che la cari-
ca di prova deve essere sufficientemente piccola da non alterare la
situazione prodotta dalle cariche generatrici.
Anche se apparentemente marginale, questa riformulazione è si-
gnificativa. Il campo dipende dalla posizione generica (che infatti
Figura 1.3: Dato un punto di applica- abbiamo indicato con r invece che r0 in Eq.1.3) di una carica di prova.
zione, le componenti di un vettore ne
definiscono l’orientazione. La carica 0 qui sopra ha svolto il ruolo di carica di prova, e la sua
posizione specifica è incidentale. In generale, noto il campo elettrico,
che come vedremo può essere ottenuto a partire dalla distribuzione
delle altre cariche (cariche generatrici), si può calcolare la forza agente
su una qualsiasi particella o distribuzione che decidessimo di porre
nella regione dove esiste il campo stesso. In sostanza la forza agente
su una data particella in un dato punto viene sostituita dal campo
elettrico, che viene considerato uno stato dello spazio, e che fornisce
la forza in qualunque punto su qualunque carica vi venga posta. Na-
turalmente il problema di determinare il campo è altrettanto difficile
di quello di determinare la forza.
Il campo elettrico deve il suo nome al fatto di essere un campo
vettoriale. Un campo vettoriale è definito come un vettore associato
ad ogni punto dello spazio. Il campo E è un vettore il cui punto
d’applicazione è identificato con il vettore r che congiunge l’origine
degli assi di riferimento con il punto in questione. Come sappiamo,
un vettore è un oggetto matematico a N componenti in uno spazio
a N dimensioni. Può essere visto come la distanza orientata tra due
punti qualunque (Fig.1.3).
Esistono molti altri tipi di campi. Ai nostri fini, si tratterà sempre,
in pratica, di funzioni scalari o vettoriali della posizione, ovvero ad
ogni punto dello spazio è associato un numero (uno scalare, appunto)
o tre numeri (le componenti di un vettore) come in Figura 1.4. Il punto
nello spazio può essere identificato da tre numeri (le tre coordinate
nello spazio tridimensionale), o anche due o uno, nel caso di spazio
bidimensionale (un piano) o unidimensionale (una linea). Esempi:
la pressione (o la temperature) al suolo rappresentata in una carta
meteorologica è un campo scalare bidimensionale, cioè associa un
numero (la temperatura, o la pressione) a un punto in uno spazio
bidimensionale (il terreno); il vento in una carta meteorologica è
un campo vettoriale bidimensionale, perchè associa un vettore (con
una direzione e un modulo: il vento è aria che si muove con una
certa velocità in una certa direzione) a un punto sul terreno (per
esempio, a Elmas c’è maestrale, 15 nodi; a Palau pure, ma a 30 nodi);
l’altitudine in funzione della posizione in una carta topografica è
un campo scalare bidimensionale, perchè a ogni punto sul piano
associa un numero; la temperatura in una stanza è un campo scalare
Figura 1.4: Campi scalare e vettoriale 2D tridimensionale, perchè dipende da tre coordinate (fa tendenzialmente
e 3D (dall’alto in basso). più caldo vicino ai radiatori e vicino al soffitto); etc.
fisica 2 5
dq = ρ dV, (1.6)
dq = λ dx,
6
dV = dx dy dz = r2 sin θ dr dθ dφ,
Z L L
dx 1 1 1
E( a) = kC λ = k C λ = k C λ −
0 ( a − x )2 (a − x) 0 ( a − L) a
λL 1 1 1 1
= kC − = kC Q − (1.8)
L ( a − L) a L( a − L) La
dim
che è dimensionalmente corretto: E = k C ×(carica/lunghezza2 ). Ab-
dim
biamo indicato con = una uguaglianza dimensionale.
Come si vede, il campo è sempre positivo in modulo per gli a
Figura 1.7: Schema della sbarretta carica
ammissibili, cioè a> L e a<0. Quindi una carica di prova positiva subi- vista da un punto lungo il suo asse.
rebbe una forza repulsiva sia per a> L (verso grandi x positivi), sia per
a<0 (verso grandi x negativi), come ci aspetteremmo avvicinandola a
una carica positiva su una linea.
Se L tende a zero, cioè la sbarretta scompare, il campo in Eq.1.8
si annulla. Se invece facciamo il limite L→0 mantenendo costante la
carica Q=λL abbiamo
Lλ a − a + L
1 1 QL
E( a) = kC λ − = kC = kC
( a − L) a L a( a − L) La( a − L)
Q Q
= kC 2 ' kC 2 ,
a − La L→0 a
λ dx
dE = ŷ k C sin θ
a2 + x 2
trascurando da subito le componenti x che si elidono tutte integrando.
Naturalmente, per la menzionata simmetria cilindrica, ŷ potrebbe
essere qualunque vettore nel piano ortogonale alla (e bisecante la)
sbarretta. Dunque per il modulo del campo abbiamo
Z L/2
dx sin θ
E = kC λ
− L/2 a2 + x 2
√
e poichè r sin θ=a, e r= a2 + x2 ,
Z L/2 Z L/2
a dx dx
E( a) = k C λ = kC λ a
− L/2 ( a2 + x 2 ) r − L/2 ( a2 + x2 )3/2
che è un integrale definito unidimensionale nella variabile x, e dipen-
dente parametricamente dalla variabile a. Il campo è perciò funzione
della variabile a, cioè la distanza del nostro punto dalla sbarretta.
Integrando,
L/2
x k λL
E( a) = k C λaŷ 2 2 = √ C ŷ.
a ( a + x2 )1/2 − L/2 a a2 + L2 /4
è l’analogo di una fontana che emette acqua, la quale fluisce via dalla
fontana sempre più debolmente in funzione della distanza; una carica
negativa è invece uno scarico che riceve il flusso d’acqua. L’intensità
della sorgente (la portata del condotto da cui esce l’acqua) determina
direttamente il flusso di acqua verso l’esterno. Per misurarlo, pos-
siamo prendere un secchio di capienza e area nota, riempirlo, e (ad
esempio, dalla misura del peso dell’acqua) dedurre la portata.
Per essere precisi, se vogliamo misurare in modo completo la
sorgente dobbiamo immaginare un secchio “sferico" che la contenga
tutta; se mettiamo il secchio di traverso, in modo che l’acqua non ci
entri, non misureremo niente; e infine, se mettiamo il nostro secchio
sferico attorno al vuoto invece che attorno alla sorgente, misureremo
zero flusso d’acqua netto.
È plausibile, dunque, che il flusso (Figura 1.9) di un certo vet-
tore (la velocità dell’acqua per la densità, nel nostro esempio) sia
direttamente proporzionale all’intensità della sorgente e che quindi
questa sia in relazione con il flusso. Nel nostro caso elettrostatico, la
sorgente del campo elettrico è la carica, e il flusso del campo è ad
essa proporzionale. Questo in sostanza è il messaggio della legge di
Gauss, che, specifichiamolo, è fisicamente equivalente alla legge di
Coulomb e alla prima equazione di Maxwell discussa oltre.
La legge di Gauss afferma che
Q 1
I Z
E · dA = = dr ρ(r), (1.10)
S ε0 ε0 V
E · dA = dA n̂ · E = dx dy( Ex n x + Ey ny + Ez nz ).
∑ E · ∆Ai = QS /ε 0 ,
i
10
dove gli elementi ∆A di area orientata sono definiti come prima, solo
che sono finiti e non infinitesimi.
La cosa chiave da notare è che, come mostrato in Figura, i contri-
buti al flusso dipendono dall’orientazione relativa del campo e della
superficie; se il campo è ortogonale alla superficie e diretto verso
l’esterno, E·n̂ è positivo e quindi il contributo è positivo e massimo;
se invece il campo è diretto verso l’interno, è negativo e massimo;
se E è parallelo alla superficie scelta, cioè ortogonale a n̂, E·n̂=0 e il
contributo è nullo; e così via per tutte le possibilità intermedie. Il
flusso totale è la somma di tutti i contributi.
In realtà non calcoleremo mai veramente l’integrale; sfruttando
la simmetria, ci metteremo invece in condizione di asserire che il
campo elettrico è costante in modulo e ha direzione nota su una
superficie opportuna, e ridurremo l’integrale al solo calcolo dell’area.
Naturalmente questo è possibile solo in casi specifici, ad esempio di
simmetria sferica o cilindrica.
Q Q
4πr2 E = Q/ε 0 ⇒ E = = kC 2 ,
4πε 0 r2 r
e quindi
λ λ
E= = 2k C , (1.11)
2πε 0 r r
lo stesso risultato ottenuto in precedenza, con molto maggiore diffi-
coltà, tramite il principio di sovrapposizione.
il che mostra la carica che conta è solo quella all’interno della sfera
gaussiana di raggio r, ora interna a quella carica di raggio R. Dunque
Qr
E= ,
4πε 0 R3
Q
ε 0 E 4πr2 = Q ⇒ E = ,
4πε 0 r2
cioè ritroviamo, come atteso per tutti i sistemi sferici, il campo della
carica puntiforme. Se scegliamo una sfera gaussiana di raggio minore
di quello del guscio, al suo interno non c’è nessuna densità di carica,
quindi
ε 0 E 4πr2 = 0 ⇒ E = 0.
Dunque fuori da un guscio sferico il campo è quello di una carica
puntiforme, e al suo interno il campo è nullo. Quest’ultimo fatto
rimane vero in tutti i casi in cui la carica si localizza alla superficie
di un corpo, il che tipicamente avviene per corpi conduttori, come
discutiamo più oltre; si tratta del fenomeno della gabbia di Faraday.
1
I I
E · dA = ρ dV (1.13)
S ε0 VS
dV = r2 dr sin θ dθ dφ,
4πR3
4πr2 E = ρ0
ε 0 (3 + α )
e quindi
4πR3 ρ0 Q
E= = k C 2d .
4πε 0 (3 + α)r2 r
Dunque se la sfera gaussiana comprende tutta la sfera carica il campo
è di nuovo quello di una carica puntiforme, pari a quella della sfera
carica e posta al centro della sfera stessa (che si conferma risultato
generale per tutti i sistemi sferici).
Se ora ci poniamo all’interno della sfera carica, cioè scegliamo
r g ≤ R, l’integrale fatto qui sopra diventa
Z rg
4πρ0 4πρ0 h 3+α ir g
Qg = dr r2+α = r
Rα 0 (3 + α ) R α 0
cioè che un piano di carica genera dai due lati un campo uniforme e
costante, e sempre uguale anche a grandi distanze (purchè, natural-
mente, dei piani si possano ancora trascurare i bordi). Il campo punta
via dal piano o verso il piano stesso a seconda del segno, positivo o
negativo rispettivamente, della densità di carica areale.
Se consideriamo due piani paralleli con carica uguale e di segno
opposto (Fig.1.17), da quanto appena discusso si vede subito che, tra
Figura 1.17: Campo di una coppia di
i due piani, il campo del piano positivo e quello del piano negativo
piani carichi. sono paralleli alla normale ai piani x̂, e sono inoltre paralleli tra loro,
dato il cambio di segno di quello del piatto negativo. All’esterno della
regione tra i piani, i campi sono invece opposti e si cancellano. Ne
risulta che il campo tra due piani carichi è pari a
σ
E = x̂
ε0
è attraverso una linea che contenga (quella che supponiamo per ora
essere) una carica, w. Con gli stessi argomenti di simmetria usati
prima, la legge di Gauss direbbe
I I I I
E · dl = E r̂ · dl = r̂ · n̂ dl = dl = 2πrE,
L L L L
che le dimensioni della costante ε 0 sono Nm/C2 invece che Nm2 /C2 ;
ma modificare una costante caratteristica delle unità di misura non
è consigliabile in linea di principio, e inoltre causerebbe problemi
dimensionali in D 6=2. L’altra possibilità, più ragionevole, è asserire
che w non è una carica, ma una densità di carica lineare. In questa
ipotesi, infatti, il campo è proprio quello (Eq.1.11) di un filo di densità
lineare w che attraversi ortogonalmente, à la Flatland, il nostro spazio
2D.
∂u x ∂uy ∂uz
+
div u = + . (1.16)
∂x ∂y ∂z
Con ∂ f /∂y etc. abbiamo indicato la derivata parziale rispetto a y di
una funzione di più variabili f (x, y, ...): è la stessa cosa di una derivata
normale rispetto ad y calcolata però tenendo fisse le altre eventuali
variabili. Un operatore, poi, è una “macchina” matematica che prende
una quantità (scalare o vettoriale) e la trasforma in un’altra (scalare o
vettoriale). La divergenza trasforma, come si vede, un vettore in uno
scalare. Ora notiamo che le Eq.1.13 e 1.15 sono identiche ponendo
u=E,
1
I I I I
E · dA = ρ dV ⇐⇒ u · dA = [div u] dV,
S ε0 VS S VS
V = U/q0 ,
∂V ∂V ∂V
dV = dx + dy + dz. (1.23)
∂x ∂y ∂z
ds = x̂ dx + ŷ dy + ẑ dz
e, per definizione,
E = x̂Ex + ŷEy + ẑEz ,
l’elementino è
∂V ∂V ∂V
E = −x̂ − ŷ − ẑ
∂x ∂y ∂z
∂ ∂ ∂
= −[x̂ + ŷ + ẑ ] V ≡ −grad V ≡ −∇V (1.24)
∂x ∂y ∂z
Q
E = kC r̂,
r2
come già sapevamo.
L’unità di misura del potenziale é il Volt (in onore di Alessandro
Volta), ed essendo le dimensioni quelle di [energia]/[carica], 1 V =
1 J/C. Poichè abbiamo visto che le dimensioni fisiche del potenziale
sono anche [campo]×[distanza], possiamo misurare il campo elettrico
in Volt/metro (V/m), che è l’unità più usata in pratica.
fisica 2 21
−u00 ( x ) = f ( x )
u(0) = u(1) = 0.
ρ0 ( x 0 , y0 , z0 )
Z Z Z
V ( x, y, z) = k C dx 0 dy0 dz0 p ,
( x − x 0 )2 + ( y − y 0 )2 + ( z − z 0 )2
o più sinteticamente
ρ0 (r0 )
Z
V (r) = k C dr0 (1.29)
|r − r0 |
su r0 che su r:
ρ0 (r0 )ρ(r)
ZZ Z
U = kC dr0 dr = dr ρ(r) V (r).
|r − r0 |
Allora
rn − rp p · r̂
d cos θ p cos θ
Figura 1.29: Dipolo in campo elettrico V (r ) = k C q ' kC q = kC = kC 2 ,
rp rn r2 r2 r
fisica 2 25
kC
E(r) = [3( p · r ) r − p ] .
r3
Il dipolo elettrico è importante perchè molto più comune del mono-
polo (la carica netta); ad esempio la molecola d’acqua non è carica,
ma è dipolare, e così moltissime altre specie molecolari. Inoltre, il
dipolo interagisce con un campo elettrico (Fig.1.29): il campo “tira” le
due cariche opposte in direzioni opposte e quindi fa ruotare il dipolo.
(Uno sketch di potenziale e campo del dipolo è mostrato in Sezione
1.7.)
La posizione di equilibrio è chiaramente quella parallela al campo.
Se l’angolo tra il campo esterno e il dipolo è θ, il momento torcente è
M = p × E = p E sin θ ẑ.
rot E = ∇ × E.
Allora
rot E = ∇ × E = −∇ × ∇ V = 0
I
rot E = 0; E · dr = 0 (1.31)
L
1.10 Capacità
1.10.1 Conduttori
σ dA
I
V = kC = costante.
S r
Q
V0 = .
4πε 0 R
Csfera = 4πε 0 R.
Q1 Q2
V1 = V2 = = ,
4πε 0 R1 4πε 0 R2
dove Q1 e Q2 sono le rispettive cariche. Dunque
Q2 Q
= 1
R2 R1
cioè, essendo Q=Q1 +Q2 la carica totale,
R2 R R2 R1
Q2 = Q1 = ( Q − Q2 ) 2 → Q2 = Q; Q1 = Q.
R1 R1 R1 + R2 R1 + R2
Questo significa, come era intuitivo, che la carica totale si divide tra
le due sfere, accumulandosi in maggioranza sulla sfera più grande.
Tuttavia la situazione si inverte per la densità di carica: ad esempio,
sulla sfera S2 la densità è
Q2
σ2 =
4πR22
Q
ZR2 dr Q 1 1
Vi − Ve = = ( − )
4πε 0 R1 r2 4πε 0 R1 R2
Q R2 − R1 Q
= = ,
4πε 0 R1 R2 C
da cui la capacità
4πε 0 R1 R2
C= ,
R2 − R1
che è positiva e con le solite dimensioni e dipendenza da parametri
geometrici. Nel caso limite in cui le due sfere sono quasi uguali ma
non proprio, cioè R1 ∼ R2 ≡ R e h=R2 –R1 , la capacità è
4πε 0 R1 R2 4πε 0 R2 ε A
C= ' = 0
R2 − R1 h h
Q Q Q
V = VC − VA = VC − VB + VB − VA = + =
C1 C2 Ctot
e quindi
1 1 1
= + ,
Ctot C1 C2
ovvero le capacità in serie si sommano inversamente.
32
q0 0
dW = V 0 dq0 = dq ,
C
CV 2 ε A
W= = 0 E2 h2 .
2 2h
Poichè Ah è il volume del condensatore, la densità di energia u=W/(Ah)
è
ε 0 E2
u= .
2
Questa è una espressione del tutto generale, come vedremo in seguito,
e applicabile perfino al caso delle onde elettromagnetiche. Per confor-
tarci sul fatto che la formula generale si applichi anche in casi diversi
da quello in cui è stata derivata, possiamo usarla in un caso in cui
il campo non sia costante e mostrare che si riottiene una delle altre
espressioni. Consideriamo un condensatore sferico, dove il campo
non è costante, e dobbiamo integrarlo nel volume. Usiamo coordinate
sferiche, cosicchè la parte angolare fornisce la costante 4π:
Z R2 2
q
Z
ε0 ε0
W = E2 dV = 4π r2 dr =
2 2 R1 4πε 0 r2
Z R2
q q dr q q 1 1 qV
= = − = , (1.32)
2 4πε 0 R1 r2 2 4πε 0 R1 R2 2
V = E0 (h − s),
ε = ε 0 κ,
C0 V02 Cκ V02
W= ⇒W= ,
2 2
cioè aumenta di un fattore κ. Infatti, mantenere il potenziale fisso
significa aumentare la carica sui piatti (dove la porta il generatore,
spendendo energia) da Q0 =C0 V0 a Qκ =Cκ V0 .
σ0 σ κ − 1 σ0
δE = E0 − Eκ = − 0 =
ε0 κε 0 κ ε0
e quindi
σ0 κ − 1 σ0 1 χ σ0 − σp
Eκ = E0 − δE = − = σ0 − σ0 = ,
ε0 κ ε0 ε0 κ ε0
dove abbiamo definito la suscettività dielettrica χ. Dunque il campo
in presenza di dielettrico è generato dalla carica originale σ0 ridotta
Figura 1.38: Polarizzazione indotta. da un’altra carica σp =σ0 (χ/κ) nel dielettrico dalla stessa σ0 . Questa
carica è dovuta alla sola risposta possibile del dielettrico, cioè la
polarizzazione (Figura 1.38). Il campo elettrico applicato al dielettrico
induce un dipolo netto all’interno del materiale; questo è quantificato
dalla polarizzazione
P = ε 0 χ E.
P=|P| è un dipolo per unità di volume, e quindi [carica]/[area], e si
misura in C/m2 . In un pezzo di materiale finito la polarizzazione (più
rigorosamente, la differenza di polarizzazione tra esterno e interno:
ma qui all’esterno c’è il vuoto, che non è polarizzabile) equivale a un
dipolo attraverso il pezzo di materiale stesso, composto dalle cariche
fisica 2 35
div P = −ρpol ,
div D = ρlibera
←
→ ←→
e = d E.
dq
I= ,
dt
e la sua unità di misura è l’Ampere, 1 A= 1 C/s. Una corrente di 1
A è abbastanza grande ma non inusuale, mentre sappiamo che un C
è una carica enorme; il motivo di questa apparente inconsistenza è
che 1 s è un tempo molto grande sulla scala del moto della carica nei
conduttori. Una corrente di 1 A può essere prodotta infatti anche da
1 nC che transita tra due punti in 1 nsec.
40
V
I= = GV,
R
dove R è nota come resistenza e G come conduttanza. A parità di
tensione V, grande resistenza implica piccola corrente; grande con-
duttanza, grande corrente. Resistenza e conduttanza sono dipendenti
dalla forma del conduttore; è quindi utile conoscere due versioni delle
stesse quantità definite solo in dipendenza dal materiale che compone
il conduttore, e non dalla sua forma e dimensioni: la resistività ρ e la
conduttività σ.
Per stimare queste quantità ci servono alcune definizioni preli-
minari. Assumiamo che, in un campo elettrico costante in modulo
e fisso in direzione e in presenza di meccanismi microscopici che
si oppongono al moto di carica, i portatori positivi avanzino nella
direzione del campo con una certa velocità v+ +
d = vd v̂ detta di drift
(deriva). (Tali portatori possono essere ad esempio ioni nei cosid-
detti conduttori ionici, oppure cosiddette buche o lacune, cioè stati
quantici corrispondenti all’assenza di elettroni e con massa negativa.)
I portatori negativi sono elettroni (il caso più frequente) e avranno
una velocità v− −
d = (–vd ) v̂ opposta alla prima. Moltiplicando le velocità
per le cariche elementari e ed −e rispettivamente, e per la densità di
volume dei portatori di ciascun segno, possiamo costruire la densità
di corrente
− −
j = n+ ev+ +
d − n− evd = e ( n+ vd + n− vd ) v̂
j = σE E = ρ j.
otteniamo
jx σxx σxy 0 Ex
↔
j = jy = σ E = σyx σyy 0 Ey
jz 0 0 σzz Ez
σxx Ex + σxy Ey
= σyx Ex + σyy Ey , (2.2)
σzz Ez
AE
I = jA = ,
Figura 2.1: Filo conduttore. ρ
il campo è
ρI
E= .
A
Questo potrebbe sembrare in contrasto con il fatto che il campo in
conduttore deve essere nullo in una situazione d’equilibrio statico, ma
fisica 2 43
ρ`
R= , (2.4)
A
e dipende quindi dalla sua forma e dalle sue dimensioni, oltre che
(attraverso ρ) dalle proprietà microscopiche del materiale che lo
compone. Analogamente, la conduttanza è
1 A Aσ
G= = =
R `ρ `
P = F · v = eE · vd . (2.5)
dW
dW = Vdq = V Idt ⇒ P = = V I.
dt
Se vale la legge di Ohm V=RI, questa forma della potenza è equiva-
lente a quella vista sopra:
P = V I = RI 2 .
∆Q
Cv = ,
∆T
fisica 2 45
P2
Ploss = IV = I 2 Rloss = R ,
V 2 loss
e dunque, quadraticamente, cala con la tensione e aumenta con la
potenza richiesta. Anche la perdita frazionale
Ploss PRloss
=
P V2
aumenta con la potenza P erogata; in situazioni di alto consumo
istantaneo (ore di punta di uffici, fabbriche, trasporti, etc.) la perdita
è quindi maggiore. In effetti questo è uno dei motivi (molto più
della riduzione dei consumi) per cercare di invogliare gli utenti a
“spalmare” il loro consumo su fasce orarie meno affollate. Come
esempio numerico consideriamo la delivery di P=100 kW a una cabina
locale (circa la potenza di picco di 30 utenze a fornitura normale da
3 kW) su una linea lunga 100 km=105 m con una tensione di 500
kV. Supponiamo che il cavo di trasporto abbia resistività 10−5 Ω m,
raggio 5 cm=0.05 m e quindi area circa 0.01 m2 . Abbiamo quindi
10−5 Ω m 105 m
Rloss = = 100 Ω
0.01 m2
e
Ploss (100 kW)2 1
= 100 Ω = 4%,
P (500 kV)2 100 kW
che è una stima plausibile di una perdita tipica.
1
τ= . (2.8)
vSn a
L’atomo è visto come un oscillatore armonico classico, e quindi ha
energia potenziale proporzionale al quadrato dell’elongazione, e quin-
di a S; per il teorema del viriale l’energia cinetica è uguale a quella
potenziale, e poichè l’energia cinetica, per il teorema di equipartizione Figura 2.4: Modello geometrico per il
classica dell’energia, è tempo di rilassamento.
k T
h Ecin i = B
2
(per un moto unidimensionale; k B è la costante di Boltzmann), si
conclude che S∼T. Poichè v è indipendente dalla temperatura per gli
elettroni (cui, essendo particelle quantistici, non si applica il teorema
di equipartizione), ed ni è costante, si ha τ ∼1/T, e quindi, in accordo
con l’esperimento,
1 1
ρ = ' ' T.
σ τ
Notiamo di passaggio che se usassimo strettamente il modello di Dru-
de come lo avrebbe usato Drude stesso, con la sola meccanica classica,
√
avremmo che v∼ T dall’equipartizione e preso S=costante (ioni fissi
√
nello spazio) concluderemmo che ρ∼ T; oppure, ammettendo come
poco fa il moto armonico degli ioni, ρ∼ T 3/2 .
Una stima numerica di τ, e quindi di ρ, si ottiene notando che
per il rame n a =5×1028 /m3 , v=vF =1.5×106 m/s, e S=πu2 =π( f aCu )2 Il
coefficiente f è il fattore di Lindemann, e aCu la distanza interatomica
Figura 2.5: Tempo di rilassamento (uni-
del rame. È noto che f a T diverse segue la relazione
tà: 10−14 s), resistività (unità: 10−8
s Ω·m), e conduttività (unità: 107 S/m)
f ( T1 ) T1 del rame in funzione della temperatura.
= ,
f ( T2 ) T2
e che f '0.057 per il rame alla T di fusione (1356 K); dunque possiamo
dedurre il suo valore a qualunque T. Da questo otteniamo S, quindi
τ sostituendo in Eq. 2.8, e da questo σ e ρ da Eq. 2.1, ricordando
che il numero di elettroni per atomo nel rame è 1 e la massa efficace
è circa pari alla massa di elettrone libero. A T ambiente otteniamo
τ=5.2×10−14 s e una resistività di circa 1.4×10−8 , in buon accordo con
48
dP ( R + r ) − 2( R + r ) R (r − R )
= E2 = E2 =0 ⇒ R = r.
dR ( R + r )4 ( R + r )3
E
I=
2r
e la potenza totale è quindi
E2 E2 E2
Ptot,max = (r + R) I 2 ≡ (r + R) = 2r = .
(r + R )2 4r2 2r
E2 E2
PR,max = R 2
= ,
(r + R ) 4r
Pmax = E 2 /r,
24
Imax = A = 480 A (!) V
0.05
che è grande, e corrisponde a una potenza dissipata P=E Imax =11
kW. Ad ogni secondo perciò vengono forniti 11 kJ al liquido interno
della batteria, e questo causa un aumento di temperatura (vedi p.es. Figura 2.11: Occhio alle batterie grosse !
Eq.2.7). Supponendo che ci sia 1 kg di liquido con capacità termica
di 1 kJ/(K kg), la variazione di temperatura è circa 11 K/s. Se siamo
a temperatura ambiente (293 K=20 C), per portare l’acido alla sua
temperatura di ebollizione (65 C circa) basteranno pochi secondi:
65 − 20 K
t= ' 4 s.
11 K/s
52
Rser
tot = R1 + R2 + ... + Rn .
(V1 + V2 )2 V2
P = R1 I 2 + R2 I 2 = ( R1 + R2 ) I 2 = Rser 2
tot I = = tot .
R1 + R2 Rtot
54
V = R1 I1 = R2 I2 = R3 I3 = ....
e
I = I1 + I2 + ...In ,
e quindi
V V V 1 1 1 V
I= + + + ... = V + + + ... = par .
R1 R2 R3 R1 R2 R3 Rtot
1 1 1 1
par = + + + ...,
Rtot R1 R2 R3
V2 V2 V2
P = R1 I12 + R2 I22 = + = par ,
R1 R2 Rtot
nV V
i= = , serie
R + nr R/n + r
ovvero la tensione di n generatori sul carico originale, oppure la
tensione di uno solo su in carico 1/n quello reale. Il parallelo ha la
fem totale di ognuno degli alimentatori; la resistenza equivalente alle
n resistenze interne in parallelo è semplicemente r/n, e la corrente è
ora
V nV
i= = . parallelo
R + r/n nR + r
Consideriamo ora un banco misto di m file uguali di alimentatori,
ognuna con n alimentatori collegati in serie, e collegate in parallelo.
La fem di una fila è nV e la resistenza è nr; essendo in parallelo, le m
file produrranno anche loro una fem nV; ma la resistenza globale ora
è nr/m. La resistenza totale è quindi R+nr/m e la corrente è
nV mnV
i= = .
R + nr
m mR + nr
fisica 2 55
2.4 Kirchhoff
M = R − N + 1.
2.4.1 K-1
La prima regola “conta” tutte le forze elettromotrici e le cadute di po-
tenziale attraverso gli elementi circuitali in base alla legge di Ohm. In Figura 2.17: Origine della convenzio-
ne sul segno delle fem nelle regole di
questo modo si stabiliscono –come prima, ma per casi più complessi– Kirchhoff.
delle relazioni tra correnti, potenziali, e resistenze delle diverse ma-
glie. Naturalmente è importante prima di tutto contare le tensioni
consistentemente e con i segni giusti.
Consideriamo un circuito aperto come in Figura 2.17. Assumiamo
che la corrente I fluisca da sinistra a destra (da A verso B). Vogliamo
56
VA − VC = IR1 .
Similmente tra D ed E si ha
VD − VE = IR2 .
VE − VB = E2 .
VA − VB = E2 − E1 + I ( R1 + R2 ),
VA − VB − E2 + E1 = I ( R1 + R2 ) = IR T ,
VA − VB + ∑k Ek = IR T . (2.9)
∑k Ek = IRT . (2.10)
maglia figurerà anche nelle equazioni per altre maglie. Per questo
è essenziale scegliere il verso di circolazione di tutte le correnti e
mantenerlo in modo consistente. Se alla fine si ottenessero correnti
negative, significherebbe semplicemente che il verso di circolazione
è opposto a quello assunto inizialmente. Questo approccio è anche
noto come metodo delle correnti di maglia.
2.4.2 K-2
La seconda regola dice molto semplicemente che le correnti che
entrano ed escono da un nodo devono sommare a zero. Questa è una Figura 2.18: Seconda regola di Kirchhoff
per dedurre correnti non-indipendenti.
conseguenza della conservazione della carica (tanta carica entra, tanta
ne deve uscire). Dunque
∑k Ik = 0, ∀ nodo, (2.11)
dove le correnti sono sommate con segno positivo se entrano nel nodo
o con segno negativo se ne escono. Spesso non è necessario usare
esplicitamente questa regola per trovare le correnti indipendenti, dato
che dalla prima regola si ottiene già un sistema lineare risolvibile.
Tuttavia, essa può semplificare i calcoli eliminando una corrente a
favore delle altre; ad esempio se I1 +I2 –I3 =0 in un certo nodo (come
in Figura 2.18), si può sostituire I1 =–I2 +I3 nel sistema determinato
dalla prima regola. Altra applicazione è alla corrente su un ramo
comune a due maglie, che può essere ottenuta come la differenza delle
due correnti nelle maglie prese con il segno dato dalla circolazione,
oppure equivalentemente dalla seconda regola applicata a un nodo
di quel ramo.
2.4.3 Esempio
Come esempio, consideriamo due maglie X e Y come in Figura 2.19.
Scriviamo la prima regola per le due maglie. Assumiamo che le
correnti IX e IY circolino in senso orario in ambedue le maglie. Le due Figura 2.19: Circuito a due maglie non
riconducibile a serie-parallelo, e quindi
f.e.m. vanno allora contate positive nelle due equazioni. Le cadute di
da risolvere con Kirchhoff.
potenziale sui carichi dovute a IX sono IX R A e IX R B ; ma in R B circola
anche la corrente IY in verso contrario a IX e quindi va aggiunta la
caduta –IY R B . Allo stesso modo si procede per la maglia Y. Possiamo
scrivere Eq.2.15 per le due maglie come
( R A + R B ) IX − R B IY = E1 maglia X
( RC + R B ) IY − R B IX = E2 maglia Y
ÃI = E,
2.5 Circuito RC
2.5.1 Carica
Consideriamo il circuito in Figura 2.21, inzialmente aperto. Chiu-
dendo l’interruttore, la corrente fluisce attraverso i due elementi e
in particolare inizia a caricare (con carica uguale e opposta in ogni
istante) i piatti del condensatore. La carica sul capacitore passa nel
tempo dal valore iniziale q(0)=0 a quello finale q0 =C E , il massimo
valore possibile dettato dalla capacità. A questo punto il condensatore
non riceve più carica, e quindi la corrente nel circuito si ferma.
In un momento generico tra l’inizio e la fine della carica, la f.e.m.
è uguale alle cadute di potenziale sui due carichi:
q0
E = VR + VC = RI +
C
dove la carica q0 sta cambiando nel tempo (scriviamo carica e tempo
con un apice perchè serviranno da variabili mute nell’integrazione).
Per la definizione di corrente come derivata temporale della carica,
possiamo riscrivere
dq0 q0
R 0 =E−
dt C
ovvero
dt0 dq0
RC dq0 = (E C − q0 ) dt0 ⇒ = .
RC E C − q0
Integrando fino a un tempo generico e alla corrispondente carica,
dt0 dq0
Z t Z q
=
0 RC 0 E C − q0
si ha
t q q − EC
− = log (q0 − E C )|0 = log
RC −E C
e quindi esponenziando i due membri e riarrangiando
q − E C = −E C exp (−t/RC )
e quindi
q = E C (1 − exp (−t/RC ))
= q0 (1 − exp (−t/RC )) = q0 (1 − exp(−t/τRC )).
60
VR = E exp (−t/RC ).
2.5.2 Scarica
Il processo di scarica del condensatore in assenza di tensione esterna
è alimentato dall’energia ivi accumulata. La tensione ai capi del
condensatore, che inizialmente è V0 =q0 /C, alimenta la corrente nel
resistore. Come prima, tranne che la f.e.m. è ora zero,
q0
E = 0 = VR + VC = RI + ,
C
Quindi
dq0 q0
R 0
=− ,
dt C
ovvero
dt0 dq0
=− 0 ,
RC q
e integrando
dt0 dq0
Z t Z q
=−
0 RC 0 q0
si ha
q = q0 exp (−t/RC ).
La tensione
q q
VC = = 0 exp (−t/RC ),
C C
e la corrente
q0
I= exp (−t/RC )
RC
calano ambedue esponenzialmente con lo stesso tempo caratteristico
del processo di carica. La potenza dissipata nella resistenza è
V02
P = RI 2 = exp (−2t/RC )
R
e l’energia dissipata (gli integrali sono gli stessi di prima) risulta
V02 RC CV02
WR = = ,
R 2 2
cioè, appunto, l’energia immagazzinata nel condensatore tramite il
processo di carica.
2.5.3 Esempi
Qui qualche esempio di circuiti, usando K, Th, s-p, e situazioni di
regime o carica RC.
3. Magnetismo
cioè non c’è flusso netto di campo attraverso una superficie chiusa:
le linee di campo sono continue (Figura 3.2). Quelle del campo
elettrico, per esempio, non lo sono, dato che “originano” dalle, o
terminano nelle cariche elettriche. Tramite il teorema della divergenza
fisica 2 65
già usato nel contesto della legge di Gauss per il campo elettrico si
ottiene banalmente la versione differenziale, e quindi infine la terza
equazione di Maxwell:
I
div B = 0; B · dA = 0. (3.1)
S
e il suo valore sarà legato alla sorgente del campo stesso (che vedre-
mo essere la corrente e che in questa Figura sarebbe nell’origine).
In Figura 3.4, invece, è mostrato un campo che ha sia rotore (cir-
cuitazione lungo la linea) che divergenza (flusso attraverso la linea).
Notiamo infine che un campo vettoriale generico può essere sempre
espresso come somma di una componente solenoidale e una laminare,
sotto ragionevoli condizioni (più un termine armonico: teorema di
Helmholtz, vedi Figura 3.5).
Ci occuperemo in seguito di come il campo possa essere generato. Figura 3.4: Campo con rotore e diver-
Dal modulo F=qvB, possiamo dedurre le unità del campo magnetico genza ambedue non nulli. Un campo
nel S.I.: magnetico non si comporta così.
m dim dim N Nm J Js Vs
C B = N ⇒ B = = 2
= 2
= 2
= .
s Am Am Am Cm m2
F = q (E + v × B) .
Chiaramente la relazione tra le dimensioni fisiche del campo magne-
dim
tico ed elettrico nel nostro sistema di unità è del tipo E = vB. In
particolare risulta che E=cB, con c la velocità della luce (lo dimostre-
remo esplicitamente nel caso delle onde elettromagnetiche). Dunque
Figura 3.6: Regola della vite e regola la componente elettrica della forza è molto maggiore di quella ma-
della mano destra. gnetica per velocità normali, cioè non prossime a quella della luce: il
rapporto tra forza elettrica e magnetica è dell’ordine
Fe qE qcB c
= = = ,
Fm qvB qvB v
cioè tipicamente molto grande: nel rame, c/vdrift '1013 , c/vFermi '200.
Due altre quantità molto importanti sono il flusso e il momento.
Il flusso ha la solita definizione
Z
ΦB = B · dA = BA
R
U p = −m · B,
v qB
ω = 2π f = =
r m
e aumenta con il campo. In forma vettoriale,
q
~ =−
ω B
m
e quindi
v×B = ω
~ × v = −v × ω
~.
Il periodo del moto è
2π 2πm
T= = .
ω qB
Da queste espressioni è chiaro che si può usare il campo magnetico
per selezionare, a seconda dei casi, le particelle per velocità o per
massa o per carica.
Se l’angolo velocità-campo non è π/2, come supposto sopra, si
ottiene una traiettoria elicoidale (Figura 3.9), dato che solo la compo-
nente ortogonale a B fornisce una forza di Lorentz. Supponiamo che
B=Bŷ, e che (θ è contato dall’asse x) Figura 3.8: Forza magnetica e moto
circolare.
La forza è
mv⊥ mv cos θ
r= = ,
qB qB
j = −nevd .
F = −evd × B.
M = m × B = I An̂ × B,
U p = −m · B.
dU p = −dm · B = − IB · dA = − IdΦ,
fisica 2 71
dU p = −m · dB = − IdB · A = − IdΦ.
dW = −dU p = IdΦ
dW = Fx dx
Figura 3.13: Una spira in campo non-
ma è anche, al primo ordine, uniforme si muove in modo da raggiun-
gere la situazione di massimo flusso (‘E’
∂Φ
dW = I dx; sta per ‘equilibrio’).
∂x
dunque
∂Φ
Fx = I
∂x
o in forma vettoriale (ricordando il campo elettrico vs potenziale)
F = I ∇Φ = −∇U p
x̂ × ŷ = ẑ,
Fm = IL × B = ILBx̂ × ŷ = ILBẑ.
Il momento è
quindi
W = mB = (2.5)2 × 10−6 · 0.85 = 5.4 µJ.
F = IBbx̂.
Ftot = mg − IbB = 0
e quindi
mg 5 × 10−4 · 9.8
B= = ' 0.1 T.
Ib 1 · 5 × 10−4
x̂ × ŷ = −ẑ.
ds = −dx x̂ + dz ẑ.
74
La forza elementare è
F = Fup + Fdown = 0.
p = vk T.
m 9 × 10−31
p = 2vk π = 2 · 1.2 × 106 · 3.141592 ·
qB 1.6 × 10−19 · 4.5 × 10−4
= 9.4 × 10−2 m = 9.4 cm.
`ˆ × ŵ
I
µ0
B(r) = I ds , (3.7)
4π w2
o più in generale
j × ŵ
I
µ0
B(r) = dV ,
4π w2 Figura 3.17: Legge di Biot-Savart: campo
magnetico generato da correnti.
dove si è usato il fatto che
Ids = j dA ds = j dV.
j = nqv
µ0 q v × ŵ
dBN = n dV.
4π w2
Poichè solo n dipende dal volume, e integrata sul volume dà il numero
di particelle N, si ha che il campo generato da una singola carica in
moto è
1 µ0 q
Z
B= dBN = v × ŵ.
N 4πw2
Se ricordiamo che il campo elettrico di una carica singola è
q
E= ŵ
4πε 0 w2
(qui w è la distanza dalla carica e quindi fa la funzione di r nella
formulazione dell’elettrostatica) si vede che
µ0 q v×E
B= 2
v × ŵ = (µ0 ε 0 ) v × E = ,
4πw c2
dove c, come vedremo più avanti (Sezione 6.4), è la velocità della luce.
Questa espressione vale nel limite non-relativistico (v/c piccolo).
76
µ0 I
B= ŝ × R̂, (3.8)
2πR
ovvero la direzione del campo giace nel piano ortogonale al filo, e il
suo verso è determinato da quello della corrente tramite la regola della
vite. Per quanto riguarda il modulo, notiamo che ogni elementino ds
contribuisce un campo infinitesimo
µ0 sin θ ds
dB = I
4π r2
dove θ è l’angolo tra la direzione della corrente e la congiungente
l’elementino con il punto dove calcoliamo il campo, e r la distanza tra
Figura 3.18: Geometria per il campo del
filo indefinito. i due. Il campo sarebbe dunque
Z ∞
µ0 sin θ ds
B= I .
4π −∞ r2
Notiamo che, detta R la distanza radiale dal filo, si ha
R
r2 = s2 + R2 , R = r sin (π − θ ) = r sin θ ⇒ sin θ = √
s2 + R2
Inoltre, essendo il filo indefinitamente lungo, c’è simmetria speculare
rispetto al piano che abbiamo scelto, e possiamo integrare sul semiasse
reale moltiplicando per 2. Dunque sostituendo si ha, come anticipato,
Z ∞ ∞
µ0 R ds µ0 Rs µ
B= I = I √ = 0 I.
2π 0 (s2 + R2 )3/2 2π 2 2
R s +R 0 2 2πR
µ0 I1 I2 L
F2 = I2 L × B = I2 L B d̂ = d̂ 21
2π d
fisica 2 77
µ0 sin (π/2) ds µ ds µ dθ
dBz = I = 0I 2 = 0I
4π R2 4π R 4π R
Figura 3.20: Geometria per calcolare il
dato che l’angolo tra il vettore spostamento tangente al filo e il versore campo al centro della spira.
del raggio è sempre π/2, e ds=R dθ per piccoli angoli. Dunque, se il
settore sottende un angolo θ0 ,
µ0 I µ0 I
Z θ0
Bz = dθ = θ0 .
4π R 0 4π R
Se il filo è un cerchio intero e chiuso, θ0 =2π. Inoltre qualsiasi compo-
nente nel piano si compensa nel caso del filo chiuso, quindi il campo
al centro ha la sola componente z, e il modulo di B al centro della
spira circolare è
µ0 I
B= . (3.9)
2R
Come per il filo, il campo decresce inversamente con la distanza (in
questo caso, il raggio della spira).
3.8 Solenoide
µ0 I ds ˆ
dB = ` × r̂.
4π r2
Questo elementino di campo punta in una direzione che fa un angolo
α con l’asse della spira; per via del prodotto vettoriale nell’ultima
equazione, α è anche l’angolo che r̂ fa con il piano. La componente z
è
µ0 ds µ0 ds R µ R
dBz = I cos α = I = 0 I ds 2 ,
4π r2 4π r2 r 4π ( R + d2 )3/2
poichè r cos α=R e R2 +d2 =r2 . Integrando in ds lungo la spira, si
ottiene
µ0 I R µ0 I R
Z
B = Bz = ds = 2πR
4π ( R2 + d2 )3/2 4π ( R2 + d2 )3/2
µ0 I R2
= (3.11)
2( R2 + d2 )3/2
µ0 I R2
Figura 3.23: Geometria per il calcolo del dB = n dz.
2( R2 + (z − d)2 )3/2
campo nel solenoide.
Questa è la stessa espressione appena vista, salvo l’altezza che figura
al denominatore. Questa si ottiene ragionando così. Il solenoide
si estende da − L/2 a L/2; la posizione z delle spire che stiamo
considerando varia nello stesso range; d è l’altezza del punto in cui
calcoliamo il campo rispetto al piano z=0; quindi l’altezza del punto
stesso è z–d dal piano della spira, che sta appunto ad altezza z. Il
segno è irrilevante, dato che compare al quadrato, a causa della
simmetria speculare. La variabile di integrazione è z, poichè stiamo
sovrapponendo l’effetto di tutte le spire. Integrando dunque in z sulla
fisica 2 79
Se, come spesso è il caso, il solenoide è molto più lungo che largo,
cioè L R, possiamo fare il limite R→0; in questo limite la parentesi
è uguale a 2 e quindi
B = µ0 I n,
che naturalmente non dipende da L, R, o d.
Quanto al campo all’esterno del solenoide, la situazione è meno
intuitiva. La componente trasversa al solenoide è essenzialmente il
campo prodotto da una corrente I che scorra lungo ẑ, come discusso
in Sez.3.9.2. Per la componente parallela al solenoide, possiamo
notare che i campi generati da ogni coppia di porzioni infinitesime di
spira diametralmente opposte (e percorse quindi da correnti opposte)
si compongono all’interno e si cancellano all’esterno del solenoide
(Figura 3.24). Questa cancellazione è esatta per un solenoide ideale;
ma se L/R è finito, il campo all’esterno non è esattamente nullo.
Come modello in approssimazione zero, possiamo porci a distanza
r1 da una spira del solenoide (in un piano che la contenga) e quindi
a r1 +R dall’altro lato della stessa spira: il campo parallelo all’asse Figura 3.24: Campo longitudinale nel
generato in r1 dai due settori di filo dai due lati della spira è (Figura solenoide in funzione dell’aspect ratio.
3.25)
1 1 R 1
B∼ − = 2 = (3.12)
r1 r1 + R r1 + r1 R r1 (1 + r1 /R)
che va a zero linearmente se R→0 (il solenoide diventa sempre più
stretto), e come 1/r12 se r1 →∞ (ci allontaniamo dal solenoide), quindi
più rapidamente del campo ortogonale al solenoide. Non c’è dipen-
denza da L perchè questo argomento ipersemplificato non considera
i contributi di altre spire e le loro relative direzioni.
µ0 I
I I
B · ds = B ds = 2πR B = µ0 I ⇒ B =
C C 2πR
Figura 3.27: Campo magnetico dentro e come visto in precedenza. È possibile ottenere (Figura 3.27) il campo
fuori da un filo di raggio R e con densità
di corrente costante. all’interno del filo, se la corrente è omogenea (j uguale ovunque)
al suo interno, scegliendo una linea amperiana interna di raggio r
e valutando la corrente che effettivamente fluisce al suo interno (la
densità di corrente è fissa, e quindi se l’area cambia, cambia pure la
corrente). Ne risulta che
πr2
I
B · ds = 2πr B = µ0 IC = µ0 I
C πR2
e quindi
µ0 I
B=
r
2πR2
che è lineare in r, similmente al campo elettrico dentro una sfera
carica.
Altro caso facile è il solenoide (Figura 3.28), usando una linea ampe-
Figura 3.28: Linea amperiana per il riana quadrata di lato h. Il lato esterno non contribuisce dato che (nel
calcolo del campo nel solenoide.
fisica 2 81
caso ideale) B=0 fuori dal solenoide; i lati perpendicolari all’asse non
contribuiscono, dato che B=0 nella porzione esterna e B ⊥ ds nella
porzione interna. Nel lato tutto interno al solenoide, il contributo alla
circuitazione è semplicemente Bh, e B è costante essendo il solenoide
indefinitamente lungo. La corrente netta concatenata con la linea è il
numero di spire concatenate N=nh moltiplicato la corrente I. Dunque
Bh = µ0 N I = µ0 nhI ⇒ B = µ0 nI
Un caso molto difficile per Biot-Savart che si risolve facilmente
con la legge di Ampere è quello del campo del toroide, il quale è Figura 3.29: Linea amperiana e campo
in un toroide.
in sostanza un solenoide ripiegato a ciambella. Scegliamo una linea
amperiana circolare di raggio r all’interno del toro. Di nuovo, per
simmetria il campo sarà ortogonale al raggio locale e uguale ovunque
sulla linea. La circuitazione di B è 2πrB e la corrente totale è N I, con
N il numero (finito) di spire del toroide. Dunque
µ0 I N
B= ,
2πr
che non è costante all’interno del toroide ma diminuisce allontanan-
dosi dal centro. All’esterno il campo è nullo dato che qualunque
linea amperiana comprende una corrente netta nulla. Infine, notiamo
che definendo una densità lineare n=N/2πr, si riottiene B = µ0 In.
Questo conferma l’identificazione approssimata del toroide con un
solenoide acciambellato: approssimata perchè la densità, e quindi il
campo, sono costanti ad r fisso, ma cambiano con r.
Bt D
= = 1.6 × 10−3 .
Bi 2πr
U p = −m · B,
h̄
L = me vr = h̄ ⇒ v = .
me r
fisica 2 83
evr er h̄ eh̄
m=− =− =− ≡ −µ B
2 2 me r 2me
h
p= .
λ
Perchè l’orbita possa ospitare esattamente un numero intero n (nel
nostro caso n=1) di lunghezze d’onda, deve valere
m = γL,
e quindi
dm
= γm × B.
dt
Questo dice che la variazione di m è ortogonale sia a m che a B e
quindi m non varia in modulo, ma ruota, cioè precede, intorno a
B, analogamente a una trottola o a un giroscopio posto in campo
gravitazionale.
M = Ω −1 ∑ m i ,
i
B = µ0 ( H + M ).
B = µ0 H,
come peraltro gli analoghi campi elettrici. Nella maggior parte dei
materiali (quelli cosiddetti lineari), la magnetizzazione è lineare nel
campo:
M = χm H,
B = µ0 (1 + χm )H = µ0 µr H = µH
Hi = H a − NM
e quindi
Bi = µ0 (Hi + M) = B a + µ0 (1 − N )M.
Per una sfera N=1/3. Questo è dovuto al fatto che M è anch’essa
un campo solenoidale (linee chiuse) e quindi influenza il campo sia
all’interno (come appena detto) che, significativamente, all’esterno
dell’oggetto.
Il secondo punto interessante riguarda la misura della suscettività.
Vorremmo misurare la risposta della magnetizzazione all’interno del
materiale,
χm = M/Hi ,
ma in realtà misuriamo la risposta al campo applicato,
χmis = M/H a ,
m± = ±γe µ B /2 = ±µ B
86
M ' Ms y = Ms µ B B/kT.
M µ M µ0 µ2B
χ= ' 0 ' .
H B kT
Questa è un caso particolare della legge fenomenologica di Curie-
Weiss
1
χ∝
T−θ
dove θ è una temperatura caratteristica del tipo di ordine. Come si è
Figura 3.32: Suscettività di paramagnete,
appena visto, θ=0 per il paramagnete, e si può mostrare che θ >0 per
ferromagnete e antiferromagnete vs. T.
un ferromagnete e θ <0 per un antiferromagnete. La suscettività ha
perciò l’andamento mostrato in Figura 3.32. Per i due stati ordinati
ferromagnetico (antiferromagnetico), θ coincide con la (con l’opposto
della) temperatura critica di transizione tra stato ordinato e disordi-
nato. Le temperature critiche si chiamano, rispettivamente, di Curie e
di Néel.
fisica 2 87
div (rot u) = ∇ · (∇ × u) = 0.
che
B = rot A = ∇ × A,
si ha ∇ · B = 0 come richiesto. Dimensionalmente, [B]=[L− 1][A], ovve-
ro le dimensioni di A sono Tesla·m, o Wb/m (il Wb, o Weber, è l’unità
di flusso magnetico). Inserendo la definizione appena formulata nella
legge di Ampere
rot B = µJ
si ottiene
∇ × (∇ × A) = rot rot A = µJ.
Usiamo ora, senza dimostrarla, l’identità vettoriale
Abbiamo dunque
∇2 A = −µJ, (3.15)
µ0 I
Z ˆ r0 ) × (r − r0 )
d`(
B(r) = ,
4π | r − r 0 |3
fisica 2 89
dΦ B d
I I
Eindotta = E · ds = − =− B · dA, (4.1)
C dt dt S
dΦ B
I
∂B
rot E = − ; E · ds = − , (4.2)
∂t L dt
Figura 4.2: Casi vari della legge di Lenz dove abbiamo usato la derivata parziale perchè B può dipendere da
(occhio ai segni e alle orientazioni).
altre variabili.
4.2 Applicazioni
E |vBb|
Figura 4.3: Generatore azionato da moto I= =
r+R r+R
lineare.
che, per la regola della vite inversa, fluisce in senso orario guardando
nella direzione –z (dall’esterno del foglio). Il campo magnetico esercita
una forza su questa corrente, data dalla solita formula
B2 b2
F = I ~` × B = − v,
r+R
fisica 2 93
dove ~` è la lunghezza del tratto mobile orientata nel verso della corren-
te. La forza quindi si oppone al moto della sbarretta, analogamente
a una forza di tipo viscoso newtoniano (lineare in v) che ostacola il
moto di un oggetto in un fluido. La potenza che la forza esterna che
muove la barretta deve fornire è
B2 b2 2
P = Fext · v = v = (r + R) I 2 = E · I.
r+R
E0 − bBv
I= .
R
La corrente è soggetta a una forza totale in direzione x
dv
F = F1 − F0 = IbB − F0 ≡ ma = m
dt
dove abbiamo usato l’equazione di Newton. Quindi
E0 − vBb Bb F0
dv
= −
dt R m m
B2 b2 E0 Bb F0
= v+ −
Rm mR m
E0
RF
v= − 2 02 [1 − exp (− B2 b2 t/mR)],
Bb B b
mR
τ= ,
B2 b2
94
4.2.3 Pick-up
I pick-up magnetici per chitarra (o altri strumenti a corda) sono costi-
tuiti da uno o più magneti permanenti posti in vicinanza delle corde
dello strumento (che devono essere magnetiche – almeno para, ma
preferibilmente ferro) e avvolti da bobine di filo conduttore collegato
a un circuito passivo. I magneti producono un campo magnetico
permanente il cui flusso attraversa le corde a riposo; quando le corde
oscillano, il campo è perturbato e quindi il flusso attraverso le bobine
cambia nel tempo, tracciando le frequenze di oscillazione delle corde.
Questo produce una tensione di Faraday-Lenz variabile nel tempo con
frequenza pari a quella della corda che oscilla (o a un soprapposizione
di frequenze).
Le due principali categorie di pick-up magnetici sono single-coil
e humbucker. Il primo ha una bobina unica attorno a un singolo
Figura 4.5: Tipi di pick-up. magnete (modello detto ’Charlie Christian’, dal pioniere della chitarra
elettrica solista e strumentista di Benny Goodman) o a più magneti
per le singole corde (il modello di solito associato con il marchio
Fender, specialmente il modello Telecaster), e può avere anche bobine
individuali sui singoli magneti, sia in serie che in parallelo (Figure 4.5).
L’humbucker (’domatore di ronzio’, di solito associato con il suono
Gibson, sia nei modelli jazz box tipo L-5 che solid-body tipo Les Paul)
ha due bobine avvolte in senso mutuamente contrario, il che tende
a ridurre le interferenze elettromagnetiche da altra strumentazione
o simili. Lo humbucker può essere modificato on the fly tramite la
tecnica dello splitting (una delle bobine è messa a massa in toto da
ambo i lati) o del tapping (una bobina è parzialmente esclusa, cosa
che si applica anche ai single-coil.
fisica 2 95
ωBA
I= sin ωt,
R
da cui la potenza istantanea (positiva) è
(ωBA)2 E2
P = EI = sin2 ωt = m sin2 ωt.
R R
96
Em2 1 Z T
E2 E2
Prms = sin ωt = m = rms ,
2
R T 0 2R R
Em
Erms = √ .
2
Ad esempio, la tensione alternata nelle nostre prese si ottiene con
un avvolgimento di N=20 spire di raggio r=20 cm=0.2 m tenuto in
rotazione a f =50 Hz=50 s−1 in un campo uniforme B=0.39 T, tutti
numeri plausibili. Infatti
F
Ei = = v×B
−e
da cui, sostituendo v,
I I
Eind = Ei · ds = (v × B) · ds = 2avB sin θ = ABω sin ωt. (4.3)
E − Eind E − dΦ/dt 1 dB
I= = = (E − A )
R R R dt
dove l’ultima uguaglianza vale per campo uniforme.
Eind = v × B = ω
~ × r × B = ω rB r̂,
ωa2 B
I Z a Z a
E= Eind · ds = ωB r r̂ · dr = r dr = .
0 0 2
La forza elementare sul tratto dr del disco (sempre orientato dal centro Figura 4.9: Disco di Rowland
dF = I dr × B; dM = r × dF = I r × dr × B
a4 B2 a4 B2 ω 2 E2
P = M0 · ω
~ = −(− ~)·ω
ω ~ = = .
4R 4R R
(Questa espressione della potenza, che viene dalla dinamica rotazio-
nale dei corpi rigidi, è analoga a quella più familiare della meccanica
del punto, P=F·v.)
Questo disco percorso da corrente in campo magnetico è un pro-
totipo di freno elettromagnetico, ma non è molto pratico, ad esempio
perchè al centro e al bordo del disco servirebbero, rispettivamente,
un contatto rotante e uno a strisciamento. Nella prossima Sezione,
discuteremo il fenomeno delle correnti parassite, che sostanzialmen-
te fanno le veci della corrente indotta dal campo senza bisogno di
contatti, e sulle quali si basano i freni elettromagnetici pratici (per
esempio quelli ferroviari).
ancora presente entro la regione del campo, l’area della spira è A=Dx,
il flusso è Φ=BDx e quindi, poichè x varia nel tempo il modulo della
f.e.m. è
dΦ dx
|E | = = BD = |vBD |
dt dt
e la corrente è
BDv
I= .
R
Nel disegno, stiamo guardando la terna cartesiana dalle z negative
verso l’alto. La spira viene tirata verso l’esterno della regione del
campo (lungo x̂) e il campo è entrante, B=Bẑ. La diminuzione di
flusso dovuta alla uscita della spira dal campo causa una f.e.m. che
vuole aumentare il campo, e quindi la corrente circola in senso orario.
Il tratto di spira verticale nel disegno è soggetto ad una forza netta
perchè il suo opposto è fuori dalla regione di campo; gli altri due lati
sono soggetti a forze che si compensano. Attribuiamo, al solito, al
lato della spira il carattere vettoriale proprio della corrente: D=Dŷ.
La forza è
( BDv)2 E2
P = Fext · v = −Fm · v = IDBv · x̂ = IDBv = = = RI 2 .
R R
In ambedue i casi la forza magnetica è azionata dal moto della spira
e si oppone al moto stesso.
Una corrente simile a quella generata dal campo nella spira in mo-
to si realizza a livello microscopico nei metalli non magnetici in moto
in campo magnetico. Come discusso in precedenza, la carica elettro-
nica nei metalli è altamente mobile nei metalli, e risponde in modo
(per i nostri scopi) istantaneo alle forze prodotte dai campi elettroma-
gnetici. Dove il metallo esce dal campo magnetico, la diminuzione di
flusso induce una certa corrente circolante nel piano; dove il metallo
sta entrando nel campo, l’aumento di flusso induce una corrente di
circolazione opposta. In base allo stesso ragionamento appena fatto,
queste correnti sono soggette a forze dello stesso segno, ambedue
opposte al moto. Sono dette eddy currents, cioè correnti a vortice (o
parassite), e interagiscono con il campo magnetico esattamente come
la corrente nel loop appena discusso (Figura 4.11).
Possiamo adattare l’espressione per la forza sulla spira al caso di
una geometria a disco (Figura 4.12). Supponiamo di avere n magneti
a sezione quadrata di lato D posti a distanza r dal centro di un
Figura 4.11: Eddy currents come
principio del freno elettromagnetico disco metallico di spessore d mantenuto in rotazione. (Notiamo che
concettualmente non è cambiato nulla: D era prima la dimensione
della spira, e ora è la dimensione lineare della regione di campo dove
c’è una circolazione di corrente.) La resistenza è R=ρD/dD=1/(σd),
con σ la conduttività: infatti D è la lunghezza della regione su cui
fluisce la corrente, e l’area sezionale della stessa regione è lo spessore
per la lunghezza nel piano. La velocità tangenziale in corrispondenza
fisica 2 99
vB2 D2
F= = ωrσdB2 D2 , P = ω 2 r2 σdB2 D2 .
R
Per n magneti posti alla stessa distanza r dal centro, il momento
torcente che si oppone alla rotazione del disco è
Φ21 ≡ M21 I2 .
Risulta che
M12 = M21 ≡ M,
Figura 4.13: Mutua induttanza tra
cosa molto difficile da mostrare in generale, ma che dimostreremo solenoidi.
tra poco per un caso particolare. Il coefficiente M è detto coefficiente
di mutua induzione o anche induttanza mutua, dato che i due circui-
ti causano mutuamente flusso magnetico l’uno nell’altro in modo
simmetrico. Mostriamo (Figura 4.13) che il coefficiente M è lo stesso
per un caso semplice, un solenoide di area A1 e con densità di spire
n1 contenuto in un altro solenoide di area A2 e densità n2 . I due
100
4.3.1 Autoinduttanza
Una spira percorsa da una corrente I genera un campo, e quindi
flusso, anche dentro sè stessa: è quel che si dice un autoflusso. Si
definisce induttanza di un avvolgimento di N spire la quantità
Φ
L=N ,
I
il che dice che il flusso per spira è proporzionale alla corrente, con
il coefficiente di proporzionalità pari all’induttanza. Le unità di L
sono T m2 /A che come anticipato prendono il nome di Henry. Per
un tratto di solenoide lungo `, ad esempio,
e quindi l’induttanza è
L = n2 `µ0 A,
L
= µ0 n2 A. (4.5)
`
Si vede perciò che l’induttanza dipende dalla geometria, ma è sempre
della forma µ0 × lunghezza, analogamente alla capacità, che è sempre
ε 0 × lunghezza.
Infine, veniamo al punto importante. La variazione dell’autoflusso
nel tempo induce una f.e.m nella spira stessa. Data la relazione tra
autoflusso e corrente nella spira
NΦ = LI,
dI
EL = −L .
dt
Notiamo che, come prevedibile essendo basata sulla legge di Faraday-
Lenz, la f.e.m. si oppone alla variazione di corrente che la genera.
Come il condensatore o capacitore è caratterizzato dalla sua sola
capacità, e il resistore dalla sua resistenza, la induttanza definisce
un ulteriore elemento ideale, l’induttore. In un certo senso, come
vedremo, la capacità e l’induttanza sono il reciproco l’una dell’altra.
fisica 2 101
Lserie = L1 + L2 + . . . + L N .
4.4 Circuito RL
B2
uB = , (4.8)
2µ0
e0 E 2
uE = , (4.9)
2
Sia Eq.4.8 che Eq.4.9 sono valide in qualunque geometria. Nei casi in
cui u E =u B , si ha che
B2 e E2 E2
= 0 ⇒ B 2 = e0 µ 0 E 2 ≡ ,
2µ0 2 c2
√
dove c=1/ e0 µ0 risulta essere la velocità della luce. Casi importan-
ti in cui questo avviene sono, come vedremo tra poco, il circuito
oscillante LC (dove l’uguaglianza è sempre vera in media, oltre che
istantaneamente due volte per ciclo) e le onde elettromagnetiche (dove
è sempre vera).
B = µ0 µr H.
e la forza sul cilindro (assunto che il suo asse coincida con quello del
solenoide e con l’asse x) è, come discusso, il gradiente dell’energia
potenziale con il segno positivo,
∂U M
Fe = Fe,x x̂ = + x̂,
∂x
Il solenoide e il cilindro magnetico sono due induttori in serie, di
induttanza totale L = Ls + Lc . Se il cilindro è inserito nel solenoide, e
quindi sovrapposto alla corrente, per un tratto di lunghezza x, la sua
induttanza è
Lc = µ0 µr n2 Ax
mentre quella del solenoide è relativa alla porzione non occupata dal
cilindro, cioè
Ls = µ0 n2 A(` − x ).
Dunque,
µ0 n2 A 2
UM = I [` + (µr − 1) x ),
2
e dunque la forza
∂U M µ n2 A 2
Fx = = 0 I ( µr − 1)
∂x 2
attrae il cilindro dentro il solenoide se µr >1, e lo respinge verso
l’esterno se µr <1. Il primo caso è quello del cilindro ferromagnetico
(che ’mangia’ le linee di campo), il secondo quello diamagnetico (che
espelle le linee di campo).
5. Oscillazioni e circuiti in corrente alternata
q2 LI 2
Utot = UE + UB , UE = , UL = .
2C 2
Non essendoci resistenze, non c’è dissipazione e l’energia totale si
conserva. Come schematizzato nelle Figura 5.1, il circuito che par-
te con il condensatore carico (ad esempio) oscilla tra stati di carica
del condensatore con polarità opposta, passando per lo stato scarico.
All’inizio (pannello 1) il condensatore è carico con data polarità e l’e-
nergia è tutta elettrica. Durante la scarica del condensatore (pannello
2), la corrente aumenta nell’induttore, generando campo magnetico
per induzione; corrispondentemente l’energia si converte da elettrica
(nel condensatore) a magnetica (nell’induttore). Quando la corrente
raggiunge il massimo, il campo nell’induttore è massimo e l’energia è
tutta magnetica (pannello 3). Successivamente la corrente comincia a
calare, il campo magnetico nell’induttore quindi cala, e nel contempo
Figura 5.1: Oscillazioni nel circuito LC.
il condensatore si ricarica (pannello 4); l’energia si converte, inver-
samente a prima, da magnetica ad elettrica. Alla fine la situazione
(pannello 5) ridiventa identica energeticamente al pannello 1, con il
106
mv2 kx2
U= +
2 2
è conservata (non varia nel tempo) e quindi si ottiene
Oscillatore LC
dU dv dx d2 x d2 x k
x q
= mv + kx = mv 2 + vkx = 0 ⇒ + x=0
dt dt dt dt dt2 m
v =dx/dt I=dq/dt l’equazione dell’oscillatore armonico. La (una, almeno) soluzione è
1
k
r
C k
x = x0 cos (ωt + φ), ω =
m L m
con φ una fase che dipende dalle condizioni iniziali. Per il circuito
q q
ω= mk ω= 1
LC
LC possiamo facilmente replicare questa discussione; l’energia
2 q2
Epot = kx2 Epot = 2C
LI 2 q2
Ecin = mv2
2
Ecin = LI2
2
U = U B + UE = +
2 2C
Tabella 5.1: Relazione tra le quantità è anche qui conservata. Dunque
coinvolte nell’oscillatore meccanico e nel
circuito LC.
dU dI q dq d2 q Iq d2 q 1
= LI + = LI 2 + =0 ⇒ + q=0
dt dt C dt dt C dt2 LC
q(0) = Q, I (0) = 0.
1
ω LC = √ . (5.1)
LC
q2 Q2
UE = = cos2 (ωt + φ)
2C 2C
e quella magnetica
LI 2 Lω 2 Q2 Q2
UB = = sin2 (ωt + φ) = sin2 (ωt + φ),
2 2 2C
dove abbiamo sostituito ω da Eq.5.1. Come si vede, le due compo-
nenti hanno lo stesso valore massimo. Essendo in controfase, una
componente è nulla quando l’altra è massima. L’energia totale è
Q2 Q2 LI 2
U = U B + UE = [sin2 (ωt + φ) + cos2 (ωt + φ)] = = 0,
2C 2C 2
cioè il valore massimo di ognuna delle due componenti. Chiaramente,
è la stessa energia che si trasferisce avanti e indietro tra condensatore
e induttore. Infine, dato che il valore medio delle parti oscillanti è lo
stesso,
1 T 1 T 1
Z Z
sin2 ωt = cos2 ωt = ,
T 0 T 0 2
i valori medi delle due componenti sono uguali:
hU B i = hUE i ;
2h Ecin i = nh Epot i.
Nel caso dei nostri oscillatori, vale appunto n=2, e le componenti (am-
bedue quadratiche) potenziale e cinetica dell’oscillatore si identificano
nel circuito LC con l’energia elettrica e magnetica, rispettivamente.
Questo implica anche che, come anticipato, la relazione tra B ed E
di cui si è parlato nella Sezione precedente (cB=E) è verificata dalle
medie temporali dei campi.
dU dI q dq
= − RI 2 = LI + ,
dt dt C dt
e quindi
dI q
− IR = L + ,
dt C
o ancora
d2 q R dq 1
2
+ + q = 0.
dt L dt LC
Anche qui l’interpretazione fisica è quella di un oscillatore, con le
analogie date in Tabella I, con in più una forza dissipativa viscosa
di tipo newtoniano, cioè lineare nella derivata prima (la "velocità");
prima di discutere i vari regimi possibili, nella Sottosezione successiva
studiamo la soluzione di questa equazione per l’oscillatore.
dx d2 x
F = Felast + Fattrito = −kx − b = m 2 = ma. k, b > 0. (5.2)
dt dt
Sostituendo, si ha
Caso 1) : abbiamo
p
b |b2 − 4km|
r1,2 =− ± iωd , ωd = , (5.4)
2m 2m
e le soluzioni sono del tipo
bt bt bt
e− 2m e±iωd t = e− 2m cos (ωd t) ± sin (ωs t) = e− 2m cos (ωd t + φ),
c 1 e −r1 t + c 2 e −r2 t ,
e infine
2
R
ω 2LC − ≡ ωd2 (5.7)
2L
Questo succede se
2 2
R 1 R
− >0 ⇒ > ω 2LC
2L LC 2L
4L CR2 R τRC
R2 > ⇒ > 1 ⇒ RC > 4 ⇒ > 4.
C 4L L τRL
o anche r
4L
2 L
R > ⇒ R>2
C C
√
Infine il caso 3) è quello in cui R = 2 L/C e abbiamo un singolo
esponenziale
q = Q e− Rt/2L .
E = Em sin ωe t,
I = I0 sin (ωe t − φ)
si ha I0 ≡ IR0 =VR /R, e risulta che φ=0, cioè che su un elemento resistivo
lo sfasamento fem-corrente è nullo. Detto diversamente, la corrente segue
istantaneamente la f.e.m. (trascuriamo qui e altrove tutti gli effetti
relativistici).
La corrente e la f.e.m. sono in fase in questo caso (Figura 5.4, Figura 5.4: Corrente in fase con la ten-
sione in funzione del tempo (sopra) e
in alto), e possono essere rappresentate geometricamente usando i
nel formalismo dei fasori (sotto).
cosiddetti fasori. Per gli scopi di questa Sezione, i fasori sono vettori
112
vc = VC sin ωe t
e
qC = Cvc = CVC sin ωe t.
La corrente è
dqC π
IC = = ωe CVC cos ωe t = ωe CVC sin (ωe t + ),
dt 2
e quindi (ricordiamo la convenzione sul segno della fase)
π
φ=− , caso capacitivo
Figura 5.5: Corrente in anticipo di fase 2
sulla tensione alternata (nel tempo, so-
pra, e in forma di fasori, sotto) per un cioè (Fig.5.5) la corrente è in anticipo di 90◦ sulla tensione, e così pure
carico capacitivo puro. i fasori delle due quantità. Definiamo ora la reattanza capacitiva
1
XC ≡
ωe C
che ha le dimensioni di una resistenza, e riscriviamo la corrente come
VC π
IC = sin (ωe t + ) ⇒ vc = XC IC .
XC 2
Si ha quindi una legge generalizzata di Ohm per il carico capacitivo.
Riassumendo, un carico capacitivo causa un anticipo della corrente
rispetto alla f.e.m. In sostanza, la corrente carica da subito il capacitore
(non c’è resistenza) e la tensione sale in ritardo rispetto ad essa.
v L = VL sin ωe t.
X L ≡ ωe L,
ghiaccio): ELI sarebbe E (la f.e.m.) prima di I (la corrente) nel caso L
(induttivo) con fase φ>0 (“positively"), e ICE sarebbe corrente I prima
di f.e.m E nel caso C (capacitivo).
dove abbiamo definito implicitamente l’impedenza Figura 5.7: Fasori per il circuito RLC in
q serie.
Z = R 2 + ( X L − XC )2 .
114
Em cos φ = VR , Em sin φ = VL − VC
5.4.1 Risonanza
Nel terzo caso menzionato, φ=0, ed E è in fase con I. La corrente ha
il massimo valore possibile, dato che
Em Em Em
I0 = = p = .
Z 2
R + ( X L − XC ) 2 R
e perciò
R
cos φ = ≤ 1, (5.8)
Z
dove l’ultima eguaglianza si ha solo in risonanza. Il termine oscillante
della potenza ha media 1/2 sul periodo e quindi la potenza media,
come in casi precedenti, è
0 2
R 0 2 I 0
Pave =(I ) = R √ ≡ R( Irms )2 .
2 2
√
Definendo anche una Erms =Em / 2, si ha
0 Erms
Irms = .
Z
Dunque
0 Erms 0 R
Pave = R( Irms )2 = R I 0
= Erms Irms
Z rms Z
e infine
0
Pave = Erms Irms cos φ, (5.9)
e la fase è
Im[c] b
α = arctan = arctan . (5.11)
Re[c] a
Questo permette di passare facilmente dall’espressione in componenti
a quella modulo-fase, ed è molto comodo, dato che l’espressione in
componenti è utile nelle somme,
c + w = ( a + jb) + ( p + jr ) = ( a + p) + j(b + r )
c |c|
c ∗ d = |c||d| exp [i (φc + φd )] ; = exp [i (φc − φd )].
d |d|
Qui sopra, abbiamo anche usato la relazione di de Moivre
exp (0) = 1
eiπ + 1 = 0
fisica 2 117
dove
V = VR + jVI = |V | exp jφV ,
ovvero
v(t) = A cos (ωt + φV ). (5.12)
E (t) = Em sin ωt
dq dv d
i= = C Re = C Re[ V exp ( jωt)] = Re[ jωCV exp ( jωt)]
dt dt dt
e quindi
I
I = jωCV, V= .
jωC
La cancellazione del fattore oscillante con frequenza ω riflette fisica-
mente la frequenza fissa del potenziale esterno. Per l’induttore
di d
v=L = L Re[ I exp ( jωt)] = Re[ jωLI exp ( jωt)],
dt dt
cioè
V V
I= = −j , V = jωLI
jωL ωL
118
V = RI.
|V | |V |
|I| = = p
Z R + ( X L − XC )2
2
V |V |
I= ⇒ | I | exp (−iφ) = ⇒ φ = α,
Z |Z | exp (iα)
cioè la fase della corrente è uguale a quella dell’impedenza; usando
il segno negativo per φ, ci siamo riallineati alla convenzione di fase
fisica 2 119
e la fase
BC − BL
β = arctan .
G
Dalla legge di Ohm generalizzata, la corrente è
q
| I | = |V |Y = |V | G2 + ( BC − BL )2 ,
Z1 = R1 + jωL1
nel ramo 1 e
1
Z2 = R2 +
jωC2
nel ramo 2. Il parallelo nel suo complesso ha ammettenza
1 1
Y p = Y1 + Y2 = + .
Z1 Z2
Figura 5.10: RLC parallelo
La corrente si calcola direttamente in forma complessa, tipo
I = VYp
Y p = Y1 + Y2 = G1 + jB1 + G2 + jB2 = ( G1 + G2 ) + j( B1 + B2 )
1 1
Z = |Z | exp (iα) ⇒ Y = = exp (−iα).
Z |Z |
Il passaggio dall’una all’altra rappresentazione si fa con le formule
Eq.5.10 e 5.11. Più in generale, nel caso di più blocchi paralleli in serie
l’aritmetica complessa fornisce
I = V ∑ Yi = V ∑ Gi + j( Bi,C − Bi,L )
i i
e una fase
∑i ( Bi,L − Bi,C )
φ = arctan .
∑i Gi
a |V || I | 0
Pave = cos φ ≡ Erms Irms cos φ
2
dove abbiamo adottato i nomi dei valori massimi root-mean-squared
di tensione e corrente usati nella Sezione precedente. Si vede che
l’espressione è identica a Eq.5.9. Come già discusso precedentemente
e indicato con l’apice a, questa potenza attiva è il prodotto vi delle
parti reali di v e i. La potenza reattiva, che non è utilizzata dal
carico e alimenta la circolazione di corrente nelle reattanze, è invece il
prodotto delle parti immaginarie, pari a
da cui
r 0
Pave = Erms Irms sin φ.
Notiamo che queste espressioni non dipendono, come è giusto, dallo
zero della fase (ovvero non è necessario specificare la fase complessiva
φV di cui ad Eq.5.12: questo corrisponde al fatto che ruotare tutto
il sistema di assi non cambia le fasi relative). Tutta la discussione
fisica 2 121
X L ( ωr )
Q= .
R
Come si vede in Figura 5.11, per il circuito RLC in serie l’impedenza
diminuisce quando la frequenza è sotto la risonanza, e risale dopo Figura 5.11: Impedenza e fattore Q di
una serie RLC
averla oltrepassata. Questo è dovuto al fatto che l’impedenza è domi-
nata a frequenze piccole dalla capacità, poichè XC ∼1/ω (che compare
come una retta log XC =–log ω nel grafico log-log), e a frequenze gran-
di dall’induttanza, essendo X L ∼ω (quindi log X L = log ω). Alla
risonanza, però, l’impedenza ha un calo repentino (che corrisponde
al drastico aumento della corrente), che è tanto maggiore quanto è
piccola R, ed è appunto quantificato da Q.
Un parallelo di tre elementi RLC invece ha ammettenza Y=G+jB, e
q
Y = G2 + ( BC − BL )2 .
Quindi l’andamento è analogo a quello dell’impedenza. L’impedenza Figura 5.12: Impedenza e fattore Q di un
corrispondente, ricordando che |(z−1 )|=1/|z|, è parallelo RLC in serie ad una resistenza
1 1
Z= p = p .
G2 + ( BC − BL )2 G2 + (ωC − 1/ωL)2
All’opposto del caso in serie, nel limite ω →0 domina il termine indut-
tivo e Z ∼ω, e nel limite ω →∞ domina il termine capacitivo e Z ∼1/ω.
Quindi in scala log-log l’impedenza del parallelo sale linearmente fino
alla risonanza e poi cala linearmente. Alla risonanza, l’impedenza
è massima (con un brusco aumento analogo alla diminuzione del
caso della serie) e uguale alla sola resistenza. Questo andamento è
mostrato in Figura 5.12. In questa Figura, il parallelo è in serie a una
resistenza; oltre al comportamento menzionato, sia a grandi che a
piccole che a grandi frequenze l’impedenza (che altrimenti tenderebbe
a zero) satura al valore della resistenza in serie.
H ' µ0 ( B + M ) = µ0 (1 + χ) B B,
VS N
= S. (5.13)
VP NP
NS IS N
IP VP = IS VS = IS VP → = P (5.14)
NP IP NS
A
q(t) = CV (t) = ε 0 E(t)h = ε 0 AE(t)
h
con E(t) il campo elettrico nel condensatore al tempo t. Essendo l’area
costante, la variazione temporale della carica dentro il condensatore,
che è ovviamente una corrente, è
dq dE dΦ
= ε0 A = ε 0 E ≡ Id
dt dt dt
dΦ E
I
B · ds = µ0 ( I + Id ) = µ0 I + µ0 ε 0 ;
C dt
Figura 6.1: Linee amperiane nella discus-
sione della corrente di spostamento. poichè Id è nulla fuori dal condensatore e I è nulla dentro il con-
densatore, la corrente totale è ovunque la stessa. Questa legge di
Ampere-Maxwell si usa esattamente allo stesso modo di quella di
Ampere; ad esempio, se prendiamo una linea amperiana intorno al
filo o intorno a condensatore otteniamo esattamente lo stesso campo,
generato nel primo caso dalla corrente di conduzione e nel secon-
do da quella di spostamento. Tra i piatti del condensatore non c’è
corrente di conduzione (cioè effettiva carica in moto), ma deve fluire
un qualche omologo di una corrente che mantenga la continuità del
flusso — se non altro perchè, se immaginiamo di allontanarci dal
circuito tanto da non distinguere più il capacitore, tutto quello che
vediamo è una corrente che fluisce.
Notiamo anche che quando il condensatore è carico la corrente
si ferma e il campo da essa generato scompare. Ad esempio, in
un circuito RC in fase di carica il campo magnetico prodotto dalla
corrente di spostamento è dovuto alla variazione del campo elettrico
nel condensatore, e quindi, applicando l’ultima equazione, è dato da
dE Vµ ε d Vµ ε
2πrB = Aµ0 ε 0 = A 0 0 0 (1 − e−t/RC ) = A 0 0 0 e−t/RC
dt h dt hRC
e quindi
µ0 ε 0 V0 r12 −t/RC
B= e
2hRCr2
dove il raggio del condensatore (assunto circolare) è r1 e quello dove
si calcola il campo magnetico è r2 , V0 ed R sono potenziale massimo
e resistenza, e h e A la distanza tra i piatti e la loro area.
Anche qui, possiamo utilizzare il teorema di Stokes discusso a pro-
posito di Eq.1.31, e formulare la versione differenziale dell’equazione,
ottenendo così la quarta equazione di Maxwell in forma completa
dΦ E
I
∂E
rot B = µ0 j + µ0 ε 0 ; B · ds = µ0 I + µ0 ε 0 (6.1)
∂t C dt
1
I I
ρ
div E = E · dA = ρ dV
ε0 S ε0 VS
I
div B = 0 B · dA = 0.
S
dΦ B
I
∂B
rot E = − E · ds = −
∂t C dt
dΦ E
I
∂E
rot B = µ0 j + µ0 ε 0 ; B · ds = µ0 I + µ0 ε 0 .
∂t C dt
∂2 y
∂y ∂y
Fnet ' T (tan θ1 − tan θ2 ) = T | − |x 'T dx,
∂x x+dx ∂x ∂x2
∂2 y ∂2 y ∂2 y µ ∂2 y
F=T 2
dx = ma = µ dx 2 ⇒ 2 =
∂x ∂t ∂x T ∂t2
che riscriviamo come
∂2 y 1 ∂2 y
2
= 2 2 . (6.3)
∂x v ∂t
Chiaramente la costante s
T
v=
µ
ha le dimensioni di una velocità, e risulta essere effettivamente la
velocità con cui la perturbazione si propaga sulla corda. Per vederlo,
notiamo che la soluzione dell’equazione d’onda Eq.6.3 deve soddisfare
una sola proprietà, e precisamente deve dipendere da x e t come
def
y( x, t) = y( x − vt).
∂y ∂G ∂z ∂G ∂2 y ∂2 G
= = ⇒ 2
= 2
∂x ∂z ∂x ∂z ∂x ∂z
e d’altra parte
∂y ∂G ∂z ∂G ∂2 y ∂2 G 2 1 ∂2 y ∂2 G
= = (−v) ⇒ = (− v ) ⇒ = ,
∂t ∂z ∂t ∂z ∂t2 ∂z2 v2 ∂t2 ∂z2
ovvero, una funzione generica di x e t del tipo y(x–vt) soddisfa l’equazione
d’onda. Quindi ad esempio
( x − vt)2
y = exp [− ] (6.4)
Figura 6.3: Soluzione Eq.6.4 di Eq.6.3. x02
è una possibile soluzione, ma
? x2 − (vt)2
y = exp [− ]
x02
2π
ωT = 2π ⇒ T = .
ω
Fissando viceversa t=0 e variando x, vediamo che y si ripete uguale a
sè stessa per tutti i valori di x separati da una traslazione λ tale che
cos (k ( x + λ)) = cos (kx + 2π ), cioè
2π
kλ = 2π ⇒ k = ;
λ
λ è la lunghezza d’onda e k il vettore d’onda (che ha, come discutere-
mo, un carattere vettoriale associato alla direzione del moto).
Vediamo poi che la velocità dell’onda è legata alla frequenza e
al vettore d’onda. Quando il massimo di un’onda si sposta in x,
l’argomento del coseno non cambia da un punto all’altro, cioè si ha
kx – ωt = costante. Derivando rispetto a t si ha perciò
dx dx ω 2π λ
k −ω = 0 ⇒ = v= = = λf. (6.5)
dt dt k T 2π
x
6.4.1 Un’onda opportuna soddisfa le prime due equazioni
z || k
y Benchè ci siano moltissimi possibili tipi di soluzione dell’equazio-
ne d’onda, per semplicità consideriamo delle semplici onde piane
cosinusoidali
Figura 6.4: Onda elettromagnetica E = x̂E0 cos (kz − ωt) = x̂Ex ; B = ŷB0 cos (kz − ωt) = ŷBy . (6.6)
piana.
E e B sono dunque ortogonali e oscillano nel tempo e nello spazio
lungo l’asse x e y rispettivamente. In ogni piano individuato da un
dato valore di z (supponiamo t fisso, cioè guardiamo una immagine
statica dell’onda come in Figura 6.4), questi vettori oscillanti sono
uguali per ogni valore di x e y, dovunque ci spostiamo in quel piano.
L’onda si propaga lungo l’asse z, quindi in direzione ortogonale a
entrambe i campi; questa direzione è normalmente associata al vettore
d’onda
2π
k= ẑ.
λ
Le onde di Eq. 6.6 sono onde trasversali, dato che i campi che le
costituiscono oscillano in direzione ortogonale a quella di propaga-
zione; vedremo tra poco che questa proprietà, che abbiamo ipotizzato
definendo i campi oscillanti, è necessaria perchè le onde risolvano le
equazioni di Maxwell.
La dipendenza spaziale dei campi, cioè il fatto che i campi dipen-
dano solo dalla coordinata z lungo la direzione di propagazione, è
essenziale affinchè le prime due relazioni di Eq.6.2, le equazioni per
la divergenza, risultino verificate. L’operatore divergenza ha come
componenti le derivate ∂Ex /∂x e analoghe: le sole due componenti
della soluzione in Eq.6.6 coinvolte sono Ex e By , che dipendono solo
da z; le derivate ∂Ex /∂x e ∂By /∂y che figurano nelle due divergenze
di E e B sono perciò zero, le due divergenze sono nulle, e quindi le
prime due equazioni sono verificate. D’altro canto, i campi oscillano
anche nel tempo, e in Figura 6.5 è mostrato l’andamento temporale
delle ampiezze dei campi su un ciclo dell’onda, osservate in un dato
punto nello spazio. Come accennato, queste onde sono soluzioni delle
equazioni di Maxwell se
1
E0 = cB0 c= √ = 2.998 × 108 m/s (6.7)
ε 0 µ0
come mostreremo tra poco.
∂Ex
rot E = ŷ = −ŷkE0 sin (kz − ωt).
∂z
Al secondo membro abbiamo semplicemente
∂B ∂
− = −ŷB0 cos (kz − ωt) = −ŷωB0 sin (kz − ωt)
∂t ∂t
da cui
ω
ŷkE0 sin (kz − ωt) = ŷωB0 sin (kz − ωt) ⇒ E0 = B0
k
e quindi
E0 = cB0
dove c=ω/k è la velocità dell’onda. Veniamo infine all’ultima equa-
zione,
∂E
rot B = µ0 ε 0 .
∂t
Usando l’espressione del rotore vista poco fa, e notando che B ha solo
componente y, dipendente solo da z, otteniamo
∂By
rot B = x̂ = −x̂kB0 sin (kz − ωt)
∂z
Al secondo membro risulta
∂E ∂
µ0 ε 0 = µ0 ε 0 x̂E0 cos (kz − ωt) = −x̂µ0 ε 0 ωE0 sin (kz − ωt)
∂t ∂t
e quindi
µ0 ε 0 ωE0 x̂ sin (kz − ωt) = kB0 x̂ sin (kz − ωt) ⇒ µ0 ε 0 ωE0 = kB0
ω 1 1
µ0 ε 0 cB0 = B0 ⇒ c2 = ⇒ c= √
k µ0 ε 0 µ0 ε 0
1
E0 = cB0 , c= √
µ0 ε 0
L’equazione è allora
∂ ∂E ∂j ∂2 E
grad div E − div grad E = − ( µ0 j + µ0 ε 0 ) = − µ0 − µ0 ε 0 2 .
∂t ∂t ∂t ∂t
Ora assumiamo che correnti e cariche siano assenti: scompaiono
il termine in j e il primo termine al primo membro (dalla prima
equazione di Maxwell, div E=ρ/ε 0 =0). Dunque
∂2 E
div grad E = µ0 ε 0 .
∂t2
Per un vettore generico A risulta che
∂2 A x ∂2 A y ∂2 A z
div grad A = ∇ · ∇ A = + + ≡ ∇2 A,
∂x2 ∂y2 ∂z2
fisica 2 133
∂ ∂ ∂2 ∂2 ∂2
∇ · ∇ = (x̂ + . . .) · (x̂ + . . .) = 2 + 2 + 2 .
∂x ∂x ∂x ∂y ∂z
L’equazione diventa perciò
1 ∂2 E
∇2 E = ,
c2 ∂t2
che è appunto una equazione d’onda in 3 dimensioni spaziali, e
che descrive una quantità (vettoriale) oscillante che si propaga con
√
velocità c=1/ µ0 ε 0 . Dunque un campo E che soddisfa le equazioni
di Maxwell obbedisce l’equazione d’onda, ed è perciò un’onda con
velocità c. Questo conclude la nostra dimostrazione che esistono
campi maxwelliani che sono soluzione dell’equazione d’onda.
utot = u E + u B = ε 0 E2 = ε 0 EBc.
È utile definire una energia per unità di area e di tempo, cioè una
densità areale di potenza, che permette poi di calcolare l’energia
assorbita da un oggetto di una certa area in un certo intervallo di
tempo. Consideriamo allo scopo un parallelepipedo di area sezionale
A e il cui terzo lato sia la distanza `=c δt percorsa dall’onda EM in δt.
Il volume di questo parallelepipedo è quindi V=A δt c m3 . Il volume
V contiene perciò una energia (in J)
U = utot V = utot A c δt = ε 0 EB c2 A δt
Perciò
U EB W
S= = ,
A δt µ 0 m2
è la densità areale di potenza trasportata dall’onda elettromagnetica
attraverso A. In effetti, EB/µ0 ha dimensioni VT/(mµ0 ) = VTA/(Tm2 )
= VC/(m2 s) = J/(m2 s) = potenza/area. Poichè l’onda si propaga nello
spazio in direzione ortogonale ai due campi, è comodo definire il
vettore di Poynting
E×B
S= ,
µ0
134
S E B E2 ε E2 cB2
I≡ = 0 0 = 0 = 0 c= 0 (6.8)
2 2µ0 2µ0 c 2 2µ0
1002 W
S= = 13 ,
2µ0 c m2
che è una potenza relativamente bassa, dato che il corpo umano ir-
radia circa 100 W nell’infrarosso in condizioni normali. Se il campo
fosse 10 volte più grande, la densità di potenza diventerebbe 100 volte
maggiore, circa 1.3 kW/m2 , che comincia ad essere piuttosto signifi-
cativa. In effetti, questa è circa la densità di potenza della radiazione
solare sulla terra. Infatti, il Sole irradia in modo pressochè isotropo
circa PS =3×1026 W. A distanze dal Sole molto maggiori del suo raggio
RS =7×108 m quali il raggio medio rT =1.5 × 1011 m dell’orbita terre-
stre, possiamo assimilare il Sole a una sorgente puntiforme. Siccome
l’emissione è isotropa, cioè la stessa in tutte le direzioni, la potenza PS
è distribuita uniformemente sull’area di una sfera di raggio rT , cioè la
densità areale di potenza a distanza r T dalla sorgente è
PS 0.08 · 3 × 1026 W kW
S= 2
' ∼1 .
4πrT (1.5 × 1011 m)2 m2
P Fv
S= = = pv.
A A
Essendo la velocità pari a c, p è proporzionale a S/c:
S
p=a .
Figura 6.8: Tempesta solare vicino a Mer- c
curio (alto); “onda di prua” del campo
magnetico di Mercurio nel vento solare Il fattore a è pari a 1 se la radiazione viene assorbita, o a 2 se vie-
(basso). ne riflessa: questo per la conservazione cinematica del momento.
Dunque
S 2S
prad = (assorbimento), (riflessione).
c c
La pressione di radiazione è rilevante prevalentemente in ambito
astrofisico e astronautico. A distanza 1 AU dal Sole (sulla Terra, cioè)
la potenza per unità di area è 1 kW/m2 . La pressione risultante è
piccola,
2S 1 kW s J N
p= =2 = 0.6 × 10−5 3 = 6 × 10−6 2 .
c 3 × 108 m2 m m m
Tuttavia la potenza assorbita o riflessa varia con la distanza dal Sole,
e così fa, dunque, la pressione
2S 2PS
p= = .
c 4πr2 c
Vicino a Mercurio, p è quasi 7 volte quella vicino alla Terra, e su
Giove circa 20 volte minore. L’effetto della pressione di radiazione è
importante su particelle leggere emesse dal Sole o presenti nelle sue
vicinanze, che finiscono col produrre il cosiddetto vento solare. La
pressione di radiazione vicino al Sole gioca un ruolo importante nelle
tempeste solari sui pianeti interni, quali Mercurio (Figura 6.8, in alto),
che si difendono a stento (come la Terra, d’altronde) grazie al proprio
campo magnetico (Figura 6.8, in basso). L’effetto è significativo per
le sonde e le navicelle spaziali; è stato calcolato che le sonde Viking
avrebbero mancato il loro bersaglio (Marte) di oltre 15000 km se si
fisica 2 137
ω2
C0 = C ,
ω 02
processo noto come modulazione di frequenza (vedere https://
goo.gl/p0KAsy, https://goo.gl/MHf1hE). Il segnale ricevuto
trasporta della potenza, che può essere amplificata acusticamente
– cioè usata per alimentare le oscillazioni della membrana di un
altoparlante. La stessa potenza può essere sufficiente a caricare –
il cosidetto radio charging– piccole batterie in piccoli dispositivi
(apparecchi acustici, certi orologi, ...). Molto più comune l’inductive
charging di cui si è detto in connessione al trasformatore.
F ⇒ F0 : x 0 = x − ut, t0 = t (6.9)
∂2 y 1 ∂2 y
= ,
∂x2 v2 ∂t2
con v la velocità dell’onda nel sistema di riferimento della corda a
riposo. L’equazione nel sistema di riferimento in moto (unidimensio-
nale con velocità costante u), però, non è del tipo appena visto, ma
risulta essere
u2 ∂2 y 1 ∂2 y 2u ∂2 y
(1 − ) − + .
v2 ∂2 x 0 v2 ∂t02 v2 ∂t0 ∂x 0
D’altra parte, le proprietà delle onde elettromagnetiche non mostrano
nessuna dipendenza dalla velocità relativa dei sistemi di riferimento,
e in particolare la loro velocità è sempre costante. Ne segue che per le
onde EM le trasformazioni galileiane non possono essere strettamente
corrette.
Risulta che l’equazione d’onda per i campi elettromagnetici, così
come le equazioni di Maxwell e da esse tutta la teoria dell’elettroma-
gnetismo, è invariante rispetto alle trasformazioni di Lorentz
x − ut t − ux/c2
F ⇒ F0 : x0 = p ≡ γ( x − ut), t0 = p ,
1 − (u/c)2 1 − (u/c)2
n0 L0
Q = n0 L0 = nL0 = costante ⇒ n = = γn0 .
L0
riposo (anche se, di solito, sono gli elettroni ad essere mobili, questa
scelta semplifica la trattazione). C’è una corrente dovuta al moto di
carica positiva verso destra pari a
I = n+ vAe.
n− = γn0− = γ2 n0+ ;
n0+ v2
γ2 n0+ = p ' n0+ (1 + + . . . ).
1 − (v/c)2 c2
Dunque
v2 n0+ v2
nnetta = −n0+ (1 + + · · · − 1 ) = − ,
c2 c2
il che significa che, nel sistema di riferimento della particella, il filo
è carico negativamente per effetto relativistico (ovvero, la densità
sarebbe zero se c fosse infinita). La particella è quindi attratta verso il
filo, in direzione trasversale alla sua velocità. Quanto vale la forza di
attrazione ? Il campo elettrico di un filo carico è, contando la distanza
r a partire dal filo,
λ
E= .
2πε 0 r
La densità di carica è
n0+ v2
λ = ennetta A = −eA
c2
0
n0+ v2 1 ev µ I
F = eE = −e2 A 2
= −eAn0+ v 2
= −ev 0 = −evB,
c 2πε 0 r 2πc ε 0 r 2πr
v2
n+ = γn0+ ∼ n0+
c2
7.4 Polarizzazione
7.6 Diffrazione
Aperture e telescopi
Raggi X: MQ
8. Bibliografia