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ACCADEMIA ANGELICO COSTANTINIANA

DI LETTERE ARTI E SCIENZE


Associazione Angelo-Comneno onlus

COOPACAI PHOENIX SCARL

Studi
sull’Oriente Cristiano

Percezione di atti terroristici: considerazioni sulla


pirateria cilicia

Luca Montecchio

Estratto

22 2
Roma 2018
PERCEZIONE DI ATTI TERRORISTICI:
CONSIDERAZIONI SULLA PIRATERIA CILICIA

Luca Montecchio

Tali atti potrebbero essere stati percepiti dal mondo romano come ‘terro-
ristici’ nei confronti di Roma.
Sulla pirateria nel mondo antico e, in particolare, su quella Cilicia non
pochi sono i contributi. Essi tendono a evidenziare l’ineluttabile vocazione alla
pirateria di certe popolazioni come conseguenza di molteplici fattori quali, a
esempio, la scarsità di risorse naturali, la conformazione delle coste e, più in
generale, di questioni economiche. A completare il quadro, un recentissimo fi-
lone di studi volto ad analizzare l’impatto emotivo prodotto da parte di eventi
negativi1. Tuttavia, è bene ricordare che tale indirizzo esegetico, peraltro al pari
degli studi dedicati alla pirateria, sembra non coniugare in modo lineare ed

1
 Di seguito gli studi inerenti il fenomeno della pirateria coniugati con quelli inerenti la per-
cezione delle emozioni. Ho cercato di inserire i titoli più recenti e quelli ritenuti di maggiore
interesse. Per quanto concerne le ‘emozioni’ percepite non si può non tenere in considerazione
l’imponente opera di A. Chaniotis-P. Ducrey (a cura di), Unveiling emotions II. Emotions in
Greece and Rome: Texts, Images, Material Culture, Stuttgart 2013. In essa, considerando precipua-
mente l’elemento romano, viene analizzato come il dolore è riportato dale fonti. Si parla del do-
lore individuale e collettivo. D’altra parte non vi sono nessi particolari con i fatti da me riportati
ma quell’opera è fondamentale proprio per definire la sensazione di sofferenza diffusa in Roma a
seguito di fatti particolarmente gravi.
Per quanto concerne invece il discorso sullo sfondo storico su cui vengono tratteggiate le
vicende di cui voglio disquisire si considerino J. Engels, Posidonius of Apameia and Strabo of
Amasia on the Decline of the Seleucid Kingdom, in K. Erickson – G. Ramsey (Eds.), Seleucid Dis-
solution. The Sinking of the Anchor, Wiesbaden 2011, 189-190. Un inquadramento più generale
nel periodo e nel contesto seleucide è ora in K. Ehling, Unruhen, Aufstände und Abfallbewe-
gungen der Bevölkerung in Phönikien, Syrien und Kilikien unter den Seleukiden, in «Historia»
LII, Stuttgart 2003, 300-336; K. Ehling, Untersuchungen zur Geschichte der späten Seleukiden
(164-63 v.Chr.). Vom Tode des Antiochos IV bis zur Einrichtung der Provinz Syria unter Pompeius,
Stuttgart 2008.
Per le cronologie espresse qui e nel resto del contributo faccio riferimento essenzialmente a É.
Will, Histoire politique du monde hellénistique, 323-30 av. J.-C., Paris 2003.

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esplicito i due aspetti della quaestio, e vale a dire la pirateria - quella dei Cilici
- e la sensazione di estremo pericolo di cui essa è latrice2.
Tale tema necessita, in primo luogo, di un approfondimento sulla figura di
Mitridate VI, dunque di una analisi dei motivi che indussero quel sovrano a rivol-
gere il suo odio contro Roma, anche grazie all’impiego di quei predoni del mare.
Posto ciò, vedremo come il re del Ponto avesse una certa ‘familiarità’ con
i pirati, dunque con quell’elemento che tanto male aveva recato alla marineria
romana. D’altronde, Mitridate sembrava aver giurato, come Annibale prima di
lui, odio eterno verso Roma e la sua genia al punto da contrastare le azioni ro-
mane in ogni modo. A sua volta l’Urbe che pure, dopo la conquista della Gre-
cia, non era sembrata disinteressata al Vicino Oriente, agli inizi del secolo I a.
C. dovette contrastare, tra le altre questioni, anche la cosiddetta guerra sociale.
Non crediamo che il governo romano avesse sottovalutato l’azione di un
sovrano come Mitridate VI Eupatore. Eppure, è plausibile ipotizzare che i se-
natori dell’antica repubblica non immaginassero che il re del Ponto avrebbe
messo sotto pressione i governi filoromani in Oriente né, tanto meno, che
avrebbe potuto concepire aggressioni a tal punto cruente e ben organizzate da
indurre Roma a concedere, da ultimo, il potere supremo a Pompeo per porre
fine alla questione dei pirati.
Come avremo modo di spiegare con questo studio, il legame tra pirateria
cilicia e re del Ponto ci appare strettissimo, soprattutto se visto quale conse-
guenza delle cosiddette ‘guerre mitridatiche’3. In buona sostanza, crediamo che
il sovrano pontico abbia ‘usato’ pro domo sua l’elemento piratesco, già presente in
Cilicia, per sferrare una serie di attacchi, degni di una moderna guerra asimmetri-
ca, contro Roma. Lo stesso sovrano però, almeno stando alle fonti, sembrerebbe

Sui pirati cilici vi è un’ampia bibliografia, tra cui vale la pena ricordare almeno Sintes, I pirati
(=C. Sintes, I pirati contro Roma, Gorizia 2016); Marasco, Roma e la pirateria cilicia (=G.
Marasco, Roma e la pirateria cilicia, in «Rivista Storica Italiana», 99, Napoli 1987, 122-146);
H. Pohl, Die römische Politik und die Piraterie im östlichen Mittelmeer vom 3. bis zum 1. Jh.
v.Chr., Berlin-New York 1993, 216-256; A. Lewin, Banditismo e civilitas nella Cilicia Tracheia
antica e tardoantica, «Quaderni di Storia» LXXVI, Bari 1991, 167-184; I. Arrayás Mora-
les, Bandidaje y piratería en la Anatolia meridional: definición y circunstancias en el marco de las
guerras mitridáticas, in «Studia historica. Historia antigua» XXVIII, Salamanca 2010, 31- 55.
Se Sintes non collega i predoni del mare della Cilicia con Mitridate, così non si può dire del Ma-
rasco il quale però sembra Più in generale si consideri Desideri, Cilicia ellenistica (=P. Desideri,
Cilicia ellenistica. Scambi e identità culturale, «Quaderni di Storia» LXXVI, Bari 1991, 141-165);
De Souza, Piracy (= P. De Souza, Piracy in the Graeco-Roman World, Cambridge 1999).
2
  Montecchio, La presa di Ostia (= L. Montecchio, La presa di Ostia. Un atto di terro-
rismo nell’antichità?, in «Studi sull’Oriente cristiano», 20, 2, Roma 2016, 149-174).
3
 Sulle guerre mitridatiche riporto, in modo precipuo, a A. Mastrocinque, Studi sulle
guerre Mitridatiche, Stuttgart 1999.

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stringere un rapporto che andava forse al di là dell’interesse particolare, sfociando
quasi nell’amicizia. Mitridate, in buona sostanza, approfitta di quei predoni del
mare per creare scompiglio, almeno nel settore orientale del Mediterraneo, ten-
tando di rendere i Romani sempre più insicuri in quella regione.
Avremo modo di vedere come il senato, se dapprima non parve curarsi
troppo dei pirati cilici, poi fu costretto a prendere seri provvedimenti per li-
mitarne i danni.
La questione, come sempre accade, attraversa il periodo su cui focalizzeremo
l’attenzione dal punto di vista economico e politico, ma anche sociale. A dire il
vero, se da una parte Roma venne fortemente danneggiata dalle azioni pirate-
sche, dall’altra, il flusso inarrestabile di schiavi che scaturì proprio dalle medesime
azioni potrebbe aver recato benefici all’economia tardo repubblicana.
Appiano è base essenziale per quanto concerne i fatti d’arme da lui studia-
ti e riferiti con puntualità4. Egli deve, comunque, venire considerato autore “di
parte” per la sua fervente ammirazione nei confronti della grandezza romana.
Nondimeno, possiamo considerarlo sostanzialmente attendibile, almeno per il
periodo qui preso in considerazione5.

Per quanto riguarda invece Plutarco, nella Vita di Pompeo, diventa fon-
te essenziale nella sua digressione sul mondo della pirateria, pur scivolando su
«una certa tendenza storiografico-encomiastica, ma su cui Plutarco non in-
siste troppo e che forse nemmeno condivide in pieno, della somiglianza con
Alessandro Magno»6. Plutarco analizza le cause da porre all’origine di quegli
avvenimenti che tanto drammatici furono per Roma. Ed è proprio il biografo
di Cheronea che suggerisce come i predoni del mare si fossero messi al servizio
del re del Ponto il quale li guidò.

Cassio Dione, avendo scelto un’impostazione annalistica, talvolta è chia-


mato a spezzare la linearità della narrazione mediante digressioni di carattere
esplicativo, quindi finalizzate a fornire la narrazione completa di un fatto. È un
autore che attinge (lui stesso ne fa menzione) a un numero imprecisato di testi7.

4
  White 1972 (= Appiano, Roman History, ed. H. White, London 1972).
5
 Il che nonostante il giudizio espresso da Hesselbarth in E. Schwartz 1899, coll. 1695.
6
  Meriani-Giannattasio Andria 1998 (= Plutarco, Vite, ed. A. Meriani-R. Gianat-
tasio Andria, Torino 1998), 539.
7
  Dio. Cass., I, 1,2. Per quanto concerne un approfondimento sulle fonti utilizzate da Cassio
Dione riporto a Urso 2013.

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Passando agli autori latini, si parta da Cicerone e, in modo particolare,
da una sua opera cui attingemmo, ossia la Pro lege Manilia. All’uopo ci sem-
bra opportuna una sola osservazione. Il grande oratore di Arpino sembrerebbe
sincero nel valutare positivamente la lex Gabinia. Va, però, aggiunto che quel
suo appoggio a una lex così eccezionale, se da un lato gli valse l’odio del senato,
dall’altro gli fece ottenere il plauso della pars democratica8.
Il presbitero autore delle Historiarum adversos paganos libri VII, nono-
stante sia vissuto a cavallo del secolo V dell’era cristiana, ci sembra una delle
fonti maggiormente attendibili, seppur per questioni inerenti al secolo I a.C.
Egli non ebbe modo di leggere molti autori da lui citati. E certamente non
poté leggere gli autori greci per mancanza di una solida conoscenza di quella
lingua. Nonostante ciò, proprio per la distanza che ebbe dai fatti di cui parle-
remo, viene da noi considerato una fonte valida per gettare ulteriore luce su
anni particolarmente intensi della storia romana9. Si può affermare con buona
certezza che Orosio si basò sia sulle Periochae liviane sia su Floro10.
Velleio Patercolo nelle Historiae Romanae ci descrive in modo assai sinte-
tico i fatti su cui abbiamo posto la nostra attenzione11. Velleio, come è noto,
più che interpretare i fatti, tende a valutare gli uomini sulla base del loro agire.
In buona sostanza, appare maggiormente interessato a emettere giudizi di or-
dine morale. Sovente dunque sorvola sui fatti veri e propri indugiando, piutto-
sto, sulla vita privata dei personaggi12.
Di Eutropio basti dire che è probabile utilizzi come base della sua opera
un’epitome di Livio, almeno se si considera il Breviarium sino al libro VI, cioè
fino al periodo da noi preso in considerazione13. Non crediamo che scrivendo
lui molti secoli dopo i fatti raccontati possa venire considerato meno attendibi-
le di altre fonti. Al contrario, la rielaborazione forzata potrebbe essere reputata
quale punto di forza. Lo stesso giudizio, naturalmente, vale anche per tutti gli
altri autori tardi.

8
  Marani 1948 (= Cicerone, Pro lege Manilia, ed. F. Marani, Firenze 1948), 27-28.
9
  Lippold 2001 (= Orosio, Le storie contro i pagani, 2 vol., ed. A. Lippold, Rocca San
Casciano 2001).
10
  Lippold 2001, XXXVIII. Lippold propende per una sostanziale indipendenza tra Orosio
e Eutropio malgrado le strette connessioni. Contrario a tale interpretazione è Klotz che è convin-
to che i due autori si servano di fonti liviane diverse. Klotz 1930, 120-130.
11
  Nuti 2001 (= Velleio Patercolo, Storia romana, ed. R. Nuti, Bergamo 2001).
12
  Paoli 1944, 295-301.
13
  Bordone 2014 [= Eutropio, Storia di Roma, ed. F. Gasti-F. Bordone, Ariccia (RM)
2014]; H. W. Bird, The Breviarum ab Urbe condita of Eutropius, Liverpool 1993, 153-158; L.
Bessone, La tradizione epitomataria liviana in età imperiale, in «Aufstieg und Niedergang der
römischer Welt» II 30.2, 1982, 1230-1263.

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I prodromi

Come osserva in modo acuto Tramonti, la pratica dei rapimenti a scopo


di estorsione risultava particolarmente proficua per quelle comunità. Pertanto
il traffico di schiavi che venivano venduti nel porto di Delo era molto intenso
anche per via dell’economia prevalentemente agraria di Roma. Tale economia
agraria, di tipo fondamentalmente latifondistico, poteva essere sostenuta solo
da una grande quantità di mano d’opera a prezzi contenuti. Dunque quel por-
to greco era una sorta di faro per chi volesse raccogliere schiavi da utilizzare
come contadini14. Delo, in buona sostanza, ‘collaborava’ con i pirati visto che
permetteva di vendere ‘merce’ rubata.
Non era quello il solo porto dove un ladro poteva sperare di smerciare il
frutto del proprio operato. In Asia Minore non pochi erano i porti che offri-
vano una qualche collaborazione alle flotte piratesche per interesse reciproco.
I pirati avrebbero potuto trovare rifugio sicuro, quindi vendere la loro ‘merce’,
cioè le persone rapite, facendo sorgere in quei centri veri e propri mercati di
schiavi. A tal proposito non ci affidiamo a una fonte che parli direttamente
di ciò, ma a Strabone. Il geografo tende a stigmatizzare quelle popolazioni (e
quindi quei porti) che trovavano conveniente intrecciare rapporti commerciali
con i ladroni della Cilicia, peraltro particolarmente abili a sfruttare qualsivo-
glia mezzo pur di ottenere i propri desiderata. Si pensi, a esempio, all’espedien-
te utilizzato per venire a conoscenza delle rotte commerciali utilizzate:
«Dicono che la marina del Corico era tutta un covo di pirati, detti Coricii,
che avevano escogitato un nuovo metodo per tendere insidie ai naviganti: in-
fatti, mescolandosi nei porti ai mercanti scesi a terra, li seguivano e ascoltavano
cosa trasportassero e dove si dirigessero; quindi, messosi insieme a loro quando
ripartivano, li assalivano e li depredavano. In séguito a ciò chiamiamo “cori-
cii” tutti i curiosi che cercano di ascoltare coloro che dialogano segretamente
e standosene in disparte, e usiamo a mo’ di proverbio l’espressione: il Coricio,
dunque, se ne stava ad origliare, quando uno crede di agire o di parlare in priva-
to, ma non passa inosservato a causa degli spioni e di chi ama impicciarsi degli
affari altrui»15.

14
  Tramonti, Hostes communes [= S. Tramonti, Hostes communes omnium. La pirateria
e la fine della repubblica romana (145-33 a.C.), Ferrara 1994], 15.
15
  Strabo. XIV, 1, 32: “φασὶ δὲ τὸν παράπλουν τοῦ Κωρύκου πάντα λῃστήριον ὑπάρξαι τῶν
Κωρυκαίων καλουμένων, εὑρομένων τρόπονκαινὸν τῆς ἐπιβουλῆς τῶν πλοϊζομένων: κατεσπαρμένους
γὰρ ἐν τοῖς λιμέσιτοῖς καθορμιζομένοις ἐμπόροις προσφοιτᾶν καὶ ὠτακουστεῖν τί φέροιεν καὶποῦ
πλέοιεν, εἶτα συνελθόντας ἀναχθεῖσι τοῖς ἀνθρώποις ἐπιτίθεσθαι καὶ καθαρπάζειν: ἀφ᾽ οὗ δὴ πάντα τὸν
πολυπράγμονα καὶ κατακούειν ἐπιχειροῦντα τῶν λάθρα καὶ ἐν ἀπορρήτῳ διαλεγομένων Κωρυκαῖον
καλοῦμεν, καὶ ἐν παροιμίᾳ φαμέν “τοῦ δ᾽ ἆρ᾽ ὁ Κωρυκαῖος ἠκροάζετο,” ὅταν δοκῇ τις πράττειν

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Le conseguenze delle azioni piratesche, pertanto, erano divenute quasi il
mezzo necessario per immettere nel mercato nuovi schiavi, merce che, altri-
menti, sarebbe stato più complicato reperire. Ma i pirati furono mezzo o fine?
Essi furono parte attiva o furono semplicemente usati al fine di combattere i
Romani e i loro alleati?
È indubbio che, dopo la prima guerra mitridatica nel corso della quale
il re del Ponto aveva iniziato a sfruttare pro domo sua le azioni dei predoni
del mare16, il fenomeno della pirateria venne internazionalizzandosi, sempre
che si voglia accettare l’espressione della Clavel-Lévêque17. Ella riconosce che
«assurément on ne peut lire la piraterie comme une lutte de classe, dans la
mésure où elle est effectivement autre chose que ses rapports avec les États les
plus développés du monde méditerranéen»18. Insomma, la pirateria era parte
di ben altro che un aspetto della lotta di classe, di qui la suddetta ‘interna-
zionalizzazione’. Tale visione risente, con buona evidenza, del periodo storico
in cui è venuta alla luce l’opera della studiosa, nondimeno non va nemmeno
trascurato un simile approccio soprattutto quando si osserva il rapporto ‘parti-
colare’ tra i predoni del mare e le potenze che si affacciavano sul Mediterraneo,
Roma inclusa.
Ma chi erano i pirati della Cilicia?
Strabone parla in modo esaustivo dell’origine di tale fenomeno e dei luo-
ghi di provenienza di quegli uomini. Scrive infatti:
«Allora, la prima località cilicia che si incontra è il castello di Coracesio, costru-
ito su una rupe scoscesa; su di esso si servì come base Diodoto soprannominato
Trifone, quando sollevò la Siria contro i re e guerreggiò contro di loro talvol-
ta con successo, talvolta venendone sconfitto. Antioco, il figlio di Demetrio, lo

δι᾽ ἀπορρήτων ἢ λαλεῖν, μὴ λανθάνῃ δὲ διὰ τοὺς κατασκοποῦντας καὶ φιλοπευστοῦντας τὰ μὴ


προσήκοντα”. Trad. it. N. Biffi.
Sui sicofanti e, più in generale, sul fenomeno delle delazioni si considerino almeno due lavori
che analizzano come in Atene si volessero limitare quelle pratiche che non venivano messe in
atto per mero senso civico bensì per guadagno personale. Come è noto il sistema ateniese normò
il proprio diritto in modo da frenare modi di fare ritenuti indegni con sanzioni di notevole en-
tità per chi si fosse macchiato di tale infamia: M. Humbert, Institutions politiques et sociales de
l’Antiquité, in «Précis», 8, Paris 2003, 165-166; H. Mogens Herman, Apagoge, Endeixis and
Ephegesis against Kakourgoi, Atimoi and Pheugontes: A Study in the Athenian Administration of
Justice in the Fourth Century B.C., vol. 8, Odense 1976.
16
 Già Rostovzev aveva sottolineato come i fenomeni della pirateria cretese e cilicia crebbero
esponenzialmente a seguito dell’appoggio che ad esse venne dato da Mitridate durante la prima
guerra contro i Romani. Rostovzev 1966-1980, III, 20-21.
17
  Clavel-Lévêque, Brigandage et piraterie (=M. Clavel-Lévêque, Brigandage et pirate-
rie: représentations idéologiques et pratiques impérialistes au dernier siècle de la république, in «Dia-
logue d’Histoire Ancienne», 4, Paris 1978, 17-31), 22.
18
  Clavel-Lévêque, Brigandage et piraterie, 26.

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bloccò in una località chiusa e lo costrinse a suicidarsi; non di meno ai Cilici
l’occasione per organizzarsi in bande di pirati fu offerta da Trifone, come anche
dalla debolezza dei re che a quel tempo si avvicendarono per diritto di succes-
sione sul trono della Siria e, insieme, della Cilicia. Infatti, contemporaneamente
alla sollevazione di costui ci fu quella di altri e le dispute tra fratelli lasciarono la
regione alla mercé degli aggressori. La deportazione degli schiavi, divenuta assai
remunerativa, dava un forte impulso alle attività criminose; i rapimenti, infatti,
erano facili e non lontano c’era il grande e fiorente mercato di Delo, in grado di
ricevere e smistare ogni giorno migliaia e migliaia di schiavi, tanto che ne nacque
il proverbio: mercante, accosta e svuota la stiva; tutto esaurito. Il motivo era che i
Romani, arricchitisi dopo la distruzione di Cartagine e di Corinto, si avvalevano
di una numerosa manodopera servile e i pirati, constatata la facilità del profitto,
ne rifornivano incessantemente, dandosi non solo alle razzie ma anche al com-
mercio degli schiavi. Concorrevano a questo stato di cose anche i re di Cipro e
dell’Egitto, i quali erano nemici dei Siriani; ma nemmeno i Rodii erano con que-
sti in rapporti di amicizia, sicché non fornivano loro alcun aiuto. Intanto i pirati,
con il pretesto di commerciare in schiavi, si abbandonavano incontrastati a ogni
genere di soperchieria. Per la verità nemmeno i Romani si preoccupavano più di
tanto per ciò che succedeva al di là del Tauro; però inviarono Scipione Emiliano
a effettuare una ricognizione dei popoli e delle città, e poi ancora altri, e presero
atto che tanto era successo per la cattiva condotta dei regnanti; e sebbene fossero
stati proprio loro a sancirne la successione dinastica da Seleuco Nicatore, ora si
vergognavano a detronizzarli. Tale circostanza aveva reso padroni della regione sia
i Parti, i quali detenevano la riva opposta dell’Eufrate, sia, da ultimo, gli Armeni,
che avevano occupato le terre al di là del Tauro fino alla Fenicia e ne avevano
rimosso per quanto possibile i re con tutte le loro famiglie; il mare, invece, lo
avevano lasciato ai Cilici. Più tardi, divenuti costoro troppo potenti, i Romani
furono costretti a distruggerli in una guerra con l’impiego dell’esercito, non aven-
doli contrastati quando si espandevano. Tuttavia sarebbe difficile tacciarli di ne-
gligenza; ché, avendo da risolvere problemi più vicini e più a portata di mano,
non erano in grado di badare a ciò che accadeva lontano. Come che sia, a noi è
parso opportuno esporre sinteticamente, in un inciso, quei fatti»19.

19
  Strabo. XIV, 5,2: “πρῶτον τοίνυν ἐστὶ τῶν Κιλίκων φρούριον τὸ Κορακήσιον ἱδρυμένον ἐπὶ
πέτρας ἀπορρῶγος, ᾧ ἐχρήσατο Διόδοτος ὁ Τρύφων προσαγορευθεὶς ὁρμητηρίῳ καθ᾽ ὃν καιρὸν ἀπέστησε
τὴν Συρίαν τῶν βασιλέων καὶ διεπολέμει πρὸς ἐκείνους, τοτὲ μὲν κατορθῶν τοτὲ δὲ πταίων. τοῦτον μὲν
οὖν Ἀντίοχος ὁ Δημητρίου κατακλείσας εἴς τι χωρίον ἠνάγκασε διεργάσασθαι τὸ σῶμα: τοῖς δὲ Κίλιξιν
ἀρχὴν τοῦ τὰ πειρατικὰ συνίστασθαι Τρύφων αἴτιος κατέστη καὶ ἡ τῶν βασιλέων οὐδένεια τῶν τότε ἐκ
διαδοχῆς ἐπιστατούντων τῆς Συρίας ἅμα καὶ τῆς Κιλικίας: τῷ γὰρ ἐκείνου νεωτερισμῷ συνενεωτέρισαν
καὶ ἄλλοι, διχοστατοῦντές τε ἀδελφοὶ πρὸς ἀλλήλους ὑποχείριον ἐποίουν τὴν χώραν τοῖς ἐπιτιθεμένοις. ἡ
δὲ τῶν ἀνδραπόδων ἐξαγωγὴ προὐκαλεῖτο μάλιστα εἰς τὰς κακουργίας ἐπικερδεστάτη γενομένη: καὶ γὰρ
ἡλίσκοντο ῥᾳδίως, καὶ τὸ ἐμπόριον οὐ παντελῶς ἄπωθεν ἦν μέγα καὶ πολυχρήματον, ἡ Δῆλος, δυναμένη
μυριάδας ἀνδραπόδων αὐθημερὸν καὶ δέξασθαι καὶ ἀποπέμψαι, ὥστε καὶ παροιμίαν γενέσθαι διὰ τοῦτο

259
Mirabile ed efficace la sintesi straboniana che mette in evidenza alcune
questioni di cui è il caso approfondire la portata.
Il geografo greco, descrivendo la terra di Cilicia, parla in modo diffuso del
pirata Trifone e, soprattutto, di quanto i Romani si rifornissero di schiavi pro-
prio dai pirati. Dalle parole straboniane testè riportate si capisce sia l’origine
della pirateria cilicia sia quanto essa fosse divenuta fondamentale per l’econo-
mia antica20.

Intanto fissiamo alcune date. Trifone, avendo proclamato nel 145 a.C.
come re sul trono seleucidico il figlio del rivoltoso Alessandro Bala, che pre-
se il nome di Antioco VI, si era posto contro il sovrano legittimo Demetrio
II. Da quell’atto di rivolta, a detta di Strabone, era nata la pirateria cilicia21.
Dunque tale νεωτερισμός di Diodoto diede inizio a un periodo particolarmente
travagliato per il Mediterraneo. Ma la costa frastagliata della Cilicia suggerisce
che, forse, nel passato, ci fossero state altre esperienze simili a quelle di Trifone.
Strabone, però, non fa cenno al passato. Di contro, cita altri nomi di pirati
celebri quali, a esempio, Zenicete che venne sconfitto e ucciso dal console Pu-

ἔμπορε, κατάπλευσον, ἐξελοῦ, πάντα πέπραται. αἴτιον δ᾽ ὅτι πλούσιοι γενόμενοι Ῥωμαῖοι μετὰ τὴν
Καρχηδόνος καὶ Κορίνθου κατασκαφὴν οἰκετείαις ἐχρῶντο πολλαῖς: ὁρῶντες δὲ τὴν εὐπέτειαν οἱ λῃσταὶ
ταύτην ἐξήνθησαν ἀθρόως, αὐτοὶ καὶ λῃζόμενοι καὶ σωματεμποροῦντες. συνήργουν δ᾽ εἰς ταῦτα καὶ οἱ
τῆς Κύπρου καὶ οἱ τῆς Αἰγύπτου βασιλεῖς ἐχθροὶ τοῖς Σύροις ὄντες: οὐδ᾽ οἱ Ῥόδιοι δὲ φίλοι ἦσαν αὐτοῖς
ὥστ᾽ οὐδὲν ἐβοήθουν: ἅμα δὲ καὶ οἱ λῃσταὶ προσποιούμενοι σωματεμπορεῖν ἄλυτον τὴν κακουργίαν εἶχον.
ἀλλ᾽ οὐδὲ Ῥωμαῖοί πω τοσοῦτον ἐφρόντιζον τῶν ἔξω τοῦ Ταύρου, ἀλλ᾽ ἔπεμψαν μὲν καὶ Σκιπίωνα τὸν
Αἰμιλιανὸν ἐπισκεψόμενον τὰ ἔθνη καὶ τὰς πόλεις καὶ πάλιν ἄλλους τινάς, ἔγνωσαν δὲ κακίᾳ τῶν ἀρχόντων
συμβαῖνον τοῦτο, εἰ καὶ τὴν κατὰ γένος διαδοχὴν τὴν ἀπὸ Σελεύκου τοῦ Νικάτορος αὐτοὶ κεκυρωκότες
ᾐδοῦντο ἀφαιρεῖσθαι. τοῦτο δὲ συμβὰν τῆς μὲν χώρας ἐποίησε κυρίους Παρθυαίους, οἳ τὰ πέραν τοῦ
Εὐφράτου κατέσχον, τὸ τελευταῖον δὲ καὶ Ἀρμενίους, οἳ καὶ τὴν ἐκτὸς τοῦ Ταύρου προσέλαβον μέχρι
καὶ Φοινίκης, καὶ τοὺς βασιλέας κατέλυσαν εἰς δύναμιν καὶ τὸ γένος αὐτῶν σύμπαν, τὴν δὲ θάλατταν
τοῖς Κίλιξι παρέδωκαν. εἶτ᾽αὐξηθέντας ἠναγκάσθησαν καταλύειν Ῥωμαῖοι πολέμῳ καὶ μετὰ στρατιᾶς
οὓς αὐξομένους οὐκ ἐκώλυσαν. ὀλιγωρίαν μὲν οὖν αὐτῶν χαλεπὸν καταγνῶναι: πρὸς ἑτέροις δὲ ὄντες
τοῖς ἐγγυτέρω καὶ κατὰ χεῖρα μᾶλλον οὐχ οἷοί τε ἦσαν τὰ ἀπωτέρω σκοπεῖν. ταῦτα μὲν οὖν ἔδοξεν ἡμῖν
ἐν παρεκβάσει διὰ βραχέων εἰπεῖν”. Trad. it. N. Biffi. Strabone è l’unico autore a parlarci di Trifone.
All’uopo si veda Desideri, Cilicia ellenistica, 299-301.
20
 A proposito di questo pirata si veda A. Houghton, The Revolt of Tryphon and the Ac-
cession of Antiochos VI at Apamea, in «Schweizerische numismatische Rundschau», 71, Bern
(1992), 119-141; Marasco, Roma e la pirateria cilicia, 122-129; E. Will, Histoire politique du
monde hellénistique (323-30 av. J.C.), 2 voll., Nancy 1979, II, 340-344; T. Fischer, Zu Tryphon,
in «Chiron», 2 München (1972), 201-213; E. Maróti, Diodotos Tryphon et la Piraterie, in
«Acta antiqua», 10, Budapest (1962), 187-194.
21
  Tramonti, Hostes communes, 27.

260
blio Servilio Vatia, detto l’Isaurico, nel 78 a. C., quindi alcuni decenni dopo le
vicende legate a Diodoto22.
«In prossimità del crinale più alto del Tauro svetta il monte Olimpo, covo del
pirata Zanicete, con l’omonima fortezza,…»23.

Della degenerazione del fenomeno piratesco Strabone non accusa solo


quelli che divennero predoni ma, con ogni probabilità, la nullità dei gover-
nanti della Siria che, per quanto fratelli, continuarono a litigare fra loro sem-
pre, evidentemente per questioni di potere. Insomma, la οὐδένεια di quei re e
le διχοστατοῦντές τε ἀδελφοὶ πρὸς ἀλλήλους ὑποχείριον ἐποίουν τὴν χώραν τοῖς
ἐπιτιθεμένοις risultarono decisive nel processo di destabilizzazione della regione.

La κακουργία diffusa aveva pertanto ragioni ben precise, almeno stando


alla diagnosi di Strabone. E come ulteriore concausa abbiamo anche le azioni
latrici di pericolosi squilibri dei regni di Egitto e di Cipro per tacere di Rodi.
Tutti reami avversi ai Siriaci24. Intanto la questione della schiavitù che era una
ricchezza dal punto di vista economico sia per chi vendeva uomini, sia per chi
li acquistava. In ambedue i casi si trattava di creare ricchezza.

I pirati si arricchivano rapendo persone e chiedendo un congruo riscat-


to per le stesse o vendendo come schiavi coloro che non potevano contare su
qualcuno per il proprio riscatto. D’altro canto anche i mercanti di schiavi si
arricchivano vista la necessità di manodopera servile aumentata in modo espo-
nenziale dopo -lo dice il geografo- la presa di Cartagine e di Corinto. In buona
sostanza da ciò si evince come ormai nella società romana fosse largamente
diffusa la richiesta di ‘aiutanti’ in casa, di maestri per i figli, di operai.

22
  Raviola, I Romani, Delo e il commercio degli schiavi (=F. Raviola, I Romani, Delo e il
commercio degli schiavi nella visione di Strabone XIV, 5.2, in «Hormos», 6, Palermo 2014, 90-
104), in particolare si consideri 90-91.
23
  Strabo. XIV, 5,7: “κατὰ δὲ τὰς ἀκρωρείας τοῦ Ταύρου τὸ Ζηνικέτου πειρατήριόν ἐστιν ὁ
Ὄλυμπος ὄρος τε καὶ φρούριον ὁμώνυμον…”. Trad. it. N. Biffi.
24
  Nel passo straboniano la chiara allusione a «re di Cipro» distinti da «re di Egitto» ricon-
duce a periodi storici in cui sull’isola si esercita una sovranità tolemaica separata da quella vigente
ad Alessandria, ossia agli anni in cui Tolemeo X Alessandro I è re a Cipro, dal 114/3 al 107, e
successivamente lo è Tolemeo IX Sotere II, dal 106/5 all’88, senza dimenticare Tolemeo «di Ci-
pro», ivi regnante dall’80 al 58: cfr. G. Hölbl, A History of the Ptolemaic Empire, London-New
York 2001 [Darmstadt 1994], 194-227.

261
Nel secolo I a. C. il fenomeno della pirateria, è noto, si era vieppiù svi-
luppato tra il mar Egeo e l’Asia Minore25. Si trattava sempre e solo di bande di
disperati, di briganti, malviventi disposti a rischiare la vita per un bottino che
potesse permettere loro di sostenersi?

La crescita notevolissima della pirateria venne descritta da più autori an-


tichi i quali sottolineavano come, nella sostanza, tali misfatti creassero seri
problemi al commercio e alle comunicazioni marittime. Tuttavia giudichiamo
più interessanti le osservazioni di Strabone che sottolinea lo stretto legame tra
pirateria e mercato schiavistico; così come curiosamente stretta era la distanza
tra Delo, fiorentissimo mercato di schiavi, e la Cilicia. Delo, in effetti, era un
mercato ove si svolgevano innumerevoli transazioni e dove, all’uopo, vi erano
anche luoghi attrezzati26.

Nonostante il geografo di Amasea più volte stigmatizzi il legame tra pi-


rateria e commercio degli schiavi, di qui a dire che nelle sue parole ci sia una
«dichiarazione di una responsabilità storica (e inevitabilmente morale), peral-
tro dichiarazione tra le più esplicite che si possano trovare in Strabone a carico
dei dominatori dell’ecumene», ci pare azzardato27. Questa osservazione del Ra-
viola ci sembra non voler tenere in considerazione il fatto che l’economia delle
civiltà che si affacciavano sul Mediterraneo si basasse sulla schiavitù. Dunque
troviamo difficile vedere nelle pagine di Strabone idee che si sarebbero radicate

25
 Sui pirati della Cilicia si consideri anche il lavoro, datato ma sempre ricco di suggestioni,
di H. A. Ormerod, Piracy in the ancient World. An Essay on Mediterranean History, Liverpool
1924 (rist. 1967).
26
 Sul ruolo di Delo e sul commercio schiavistico nei decenni culminanti dell’imperialismo
tardorepubblicano vanno almeno citati E. Maróti, Der Sklavenmarkt auf Delos und die Pirate-
rie, in «Helikon» IXX (1969-1970), 24-42; W.V. Harris, Towards a Study of the Roman Slave
Trade, in J.H. D’Arms – E.C. Kopff (Eds.), The Seaborne Commerce of Ancient Rome: Studies
in Archaeology and History, Rome 1980, 117-140; D. Musti, Il commercio degli schiavi e del
grano: il caso di Puteoli. Sui rapporti tra l’economia italiana della tarda repubblica e le economie elle-
nistiche, ibid., 197-215; Id., Modi di produzione e reperimento di manodopera schiavile: sui rapporti
tra l’Oriente ellenistico e la Campania, in A. Giardina – A. Schiavone (a cura di), Società romana
e produzione schiavistica, I. L’Italia: insediamenti e forme economiche, Roma-Bari 1981, 243-264,
505-511; Id., Un aspetto della storia degli studi su Delo ellenistico-romana, in F. Coarelli – D.
Musti – H. Solin (a cura di), Delo e l’Italia. Raccolta di studi, Roma 1982, 5-17; F. Coarelli,
L’«Agora des Italiens» a Delo: il mercato degli schiavi?, ibid., 119-145; T. Mavroyannis, Italiens
et orientaux à Délos: considérations sur l’ ‘absence’ des negotiatores romains dans la Méditerranée
orientale, in C. Mueller – C. Hasenohr (Édd.), Les Italiens dans le monde grec, Paris 2002, 163-
180; L. Schumacher, Sklaverei in der Antike: Schicksal und Alltag der Unfreien, München 2001,
51-54.
27
  Raviola, I Romani, Delo e il commercio degli schiavi, 93.

262
millenni dopo. La schiavitù è sempre esistita pertanto il nostro geografo avrà
vissuto come un dato di fatto la schiavitù. A Delo quel mercato, come abbiamo
avuto modo di dire, era particolarmente fiorente ed era in grado di smistare
μυριάδας ἀνδραπόδων. Come ricorda Michela Nocita, che ha censito i mercanti
presenti a Delo, tra i mercanti stessi e i pirati che fornivano loro schiavi non vi
era grande differenza quanto a modi ed eleganza28.

Fatto essenziale resta comunque che l’emergere della pirateria cilicia ci fu


anche a causa di governanti incapaci di mantenere l’ordine in quelle regioni.
Responsabili di ciò furono anche i Romani. Già intorno al 143 a.C. Scipione
l’Emiliano aveva potuto constatare, per Roma, la κακία condotta dei regnanti
della regione ma de facto non venne preso alcun provvedimento. Tanto è vero
che, dapprima, i Parti conquistarono le terre a Occidente del fiume Eufrate e
poi gli Armeni si impossessarono della Siria e della Fenicia29. Tale disinteresse
romano favorì senz’altro lo sviluppo rapido della pirateria cilicia la quale ebbe
modo di organizzarsi e di radicarsi.
Siamo convinti che, qualora fosse stato necessario, quei briganti sarebbero
stati anche disposti a trovare alleanze militari per organizzare e, soprattutto,
scegliere dove e contro chi focalizzare le loro azioni. Con ogni evidenza, gli
‘amici’ dei pirati potevano essere sovrani in lotta con altri sovrani o con altri
popoli. Sovrani che potevano sfruttare quelle amicizie particolari per danneg-
giare, a loro volta, popoli avversari o concorrenti.
Mitridate, in effetti, fu amico di alcuni pirati della Cilicia e dalle fonti si
deduce sia stato capace di ‘usare’ tali conoscenze per i suoi interessi. Tale lega-
me, solo all’apparenza insolito, si pone alle origini di un evento che può senza
meno essere annoverato fra gli atti di terrorismo dell’epoca antica.
Intanto, si parta dall’assunto del Marasco il quale afferma come «le obie-
zioni di quanti hanno ritenuto che la pirateria fosse assai diffusa tra i Cilici
già prima dell’epoca di Trifone non trovano alcuna conferma nelle fonti»30.
Si prosegua quindi con Tramonti che osserva «come quelle fonti [di cui parla
Marasco] trattino esclusivamente del fenomeno della pirateria sotto il profilo
strategico e militare. Ebbene da questo particolare punto di vista, in effetti, il
fenomeno diventa interessante per lo storico antico solo nel momento in cui

28
 M. Nocita, Italiotai e Italikoi. Le testimonianze greche nel Mediterraneo orientale, He-
sperìa, 28, Roma 2012, 101-134.
29
  Raviola, I Romani, Delo e il commercio degli schiavi, 94.
30
  Marasco, Roma e la pirateria cilicia, 123.

263
esso turba determinate mire politiche o sconvolge assetti diplomatici e piani
militari»31.
Va poi analizzato il motivo per cui Roma poco si preoccupò della pira-
teria cilicia. Strabone arriva a scusarli di un’assenza che il mondo antico che
si affacciava sul Mediterraneo aveva certamente notato. Il senato infatti era
impegnato nella delicatissima questione della guerra sociale che tante energie
stava erodendo della potenza romana. I Romani, pertanto, πρὸς ἑτέροις δὲ ὄντες
τοῖς ἐγγυτέρω καὶ κατὰ χεῖρα μᾶλλον οὐχ οἷοί τε ἦσαν τὰ ἀπωτέρω σκοπεῖν, come
leggiamo nell’opera del geografo.
Quando poi Silla intervenne una prima volta nel versante orientale, verso
la fine del 95 a. C., non venne preso alcun provvedimento nei confronti di chi
faceva scorrerie in mare. Il che rafforzò nei pirati l’idea di essere temuti e quasi
invincibili. La realtà era altra.

Mitridate e i pirati cilici

Intanto va precisato che le azioni piratesche, stando alle fonti, si inaspri-


rono all’indomani dello scoppio delle cosiddette ‘guerre mitridatiche’ su cui,
naturalmente, non discuteremo. Occorre, però, svolgere alcune necessarie pun-
tualizzazioni per spiegare come si sviluppò quella che, all’inizio, valutammo
come una vera e propria guerra asimmetrica condotta dal sovrano del Ponto.
Per guerra asimmetrica si intende un conflitto tra due o più soggetti i quali
differiscono in modo significativo quanto a forze in campo, financo per quan-
to concerne la strategia e la tattica. E, in effetti, come vedremo, tra Roma e i
pirati cilici vi furono differenze sostanziali sia inerenti le capacità belliche dei
soggetti sul campo, sia per quanto riguardava la possibilità di ricorrere a tatti-
che differenti da parte dei combattenti più deboli (anche meno numerosi) per
ovviare alle maggiori capacità belliche romane32.

Va sottolineata l’esperienza invero rapida compiuta dalla pirateria cilicia,


esperienza che forse va ascritta all’arruolamento tra quei predoni di gente che
aveva danneggiato i traffici mediterranei tra le fila dei pirati cretesi, come fa os-
servare Marasco33. Già Rostovzev a Launey studiarono i rapporti, anche stretti,

31
  Tramonti, Hostes communes, 28.
32
 Il concetto di guerra asimmetrica in tutte le sue implicazioni è ben spiegato nel testo di R.
W. Barnett, Asymmetrical Warfare: Today's Challenge to U.S. Military Power, Washington D.C.
2003. Con ogni evidenza sul testo vengono riportate strategie e tattiche di eserciti moderni ma
l’idea di ‘conflitto asimmetrico’ può essere applicato anche al periodo antico.
33
  Marasco, Roma e la pirateria cilicia, 126-127.

264
tra pirateria cretese e cilicia34. Marasco parlerà di un numero non disprezzabile
di pirati Cretesi che si unirono a quelli Cilici. Nondimeno, come sottolinea
Tramonti, non ci sono elementi per «affermare con certezza che dei Cretesi
rimasero in Cilicia»35. Vi sono d’altra parte evidenze letterarie che mettono in
evidenza come il culto di Mitra fosse praticato sul monte Olimpo.
«In Olimpo [i pirati] compirono dei sacrifici estranei al rito e praticarono
culti misterici, dei quali quello di Mitra, rivelato per la prima volta da loro, si è
conservato fino ai nostri giorni»36.

In proposito Marasco afferma che Plutarco stia parlando di quel culto pre-
sente sul monte Olimpo ben prima della conquista da parte di Servilio Isauri-
co37. Tale dato, nondimeno, confermerebbe la significativa presenza di stranieri
in quella regione.

Consideriamo dunque la cronologia degli eventi che vanno dal decennio


precedente allo scoppio della prima guerra mitridatica sino alla presa di Ostia
da parte dei pirati cilici. In particolare, sarà opportuno partire dal 101 a.C.,
vale a dire da quando il sovrano del Ponto, in seguito alla morte di Ariarate
VII, inviò a Roma una legazione allo scopo di perorare la propria causa, ovvero
le proprie pretese sul regno del re defunto.

L’arrivo degli ambasciatori di Mitridate, che portavano con sé una gran


quantità di denaro al fine di corrompere il Senato, generò forti tensioni a
Roma. Così, almeno, stando al tribuno della plebe Apuleio Saturnino. Ma leg-
giamo in proposito le parole riportate da un frammento di Diodoro Siculo
(XXXVI 15.1):
«Giunsero a Roma ambasciatori dal re Mitridate, i quali recavano con sé una
consistente somma di denaro per corrompere il Senato. Sembrò a Saturnino di
avere così un motivo per attaccare il senato, e perciò tenne un comportamento
assai insultante verso l’ambasceria. Su istigazione dei senatori, i quali promette-

34
 M. Rostovzev, Storia economica e sociale del mondo ellenistico, 3 voll., Firenze 1966-1980,
II, 205; M. Launey, Recherches sur les armées hellénistiques, 2 voll., Paris 1949, I, 272.
35
  Tramonti, Hostes communes, 31.
36
  Plut. Pomp., 24, 7: “ξένας δὲ θυσίας ἔθυον αὐτοὶ τὰς ἐν Ὀλύμπῳ, καὶ τελετάς τινας ἀπορρήτους
ἐτέλουν, ὧν ἡ τοῦ Μίθρου καὶ μέχρι δεῦρο διασώζεται καταδειχθεῖσα πρῶτον ὑπ᾽ ἐκείνων”. Trad. it. R.
Giannattasio Andria.
37
  Marasco, Roma e la pirateria cilicia, 139, n. 76; Si consideri anche J. Hani, Plutarque en
face du dualisme iranien, in «Revue des études grecques», 77, Paris 1964, 489-525, in particolare
524-525, che darebbe una attendibilità definitiva alle notizie plutarchee.

265
vano di dare man forte agli ambasciatori, gli offesi citarono in giudizio Saturni-
no per oltraggio ai loro danni»38.

Saturnino riuscì a trarsi fuori da quell’accusa. A pagarne le spese fu Mitri-


date che, almeno in apparenza, non intendeva altro che assecondare i deside-
rata del Senato stesso che sembrava preferire la via di un disimpegno sempre
maggiore in Asia. Ecco il motivo per cui quei senatori si sarebbero fatti cor-
rompere. In realtà, come vedemmo con Giugurta, molti senatori romani erano
in vendita al migliore offerente.

Alleato di Saturnino - è noto - era Caio Mario il quale voleva mostrare


come Roma fosse incorruttibile. Si pensi, a esempio, a quanto era avvenuto con
Giugurta. Il che, naturalmente, era una pia illusione39. L’alleanza tra il vincitore
dei Cimbri e dei Teutoni e Saturnino ebbe breve durata perché subito dopo,
nel 99, candidatosi ancora una volta al tribunato, scoppiarono violenti tumulti
per il fatto che questi voleva imporsi con la forza sulla nobiltà e sui cavalieri.
Venne dunque offerto proprio a Mario il compito di sedare quei pericolosi tu-
multi e l’antico protetto venne messo a morte40. Mario, in buona sostanza, vo-
leva che Roma mantenesse, più o meno direttamente, i suoi interessi in quella
zona, deludendo pertanto le ambizioni del re del Ponto.

In Anatolia, nei primi anni del secolo I, vennero inviati uomini legati a
Mario. La politica di quegli uomini era plausibilmente collegata agli interessi
del ceto equestre romano e quindi di affaristi, publicani, persone molto interes-
sate a un’espansione a Est della provincia d’Asia per i benefici che ne avrebbero
tratto. E proprio per soddisfare i suoi appetiti quel sovrano usò anche la pirate-
ria cilicia. Quali furono allora le premesse di una guerra che sarà lunghissima?

I prodromi sottintendono, come sempre, molteplici cause. Intanto Roma,


dopo aver conquistato la Grecia, si apprestava a invadere tutto il vicino Orien-
te. Essa, pertanto, si sarebbe inevitabilmente scontrata con il re del Ponto che,
a sua volta, aveva mire sui regni che si affacciavano sul mar Nero e, finalmente,
su tutta la penisola anatolica41.

38
  Diod., XXXVI. 15. 1. Trad. it. P. Martino.
39
  Plut. Mar., 29, 1: “καὶ μάλιστα περὶ τὴν τελευταίαν ἐφθονεῖτο, πολλὰ συνεξαμαρτάνων
τοῖς περὶ τὸν Σατορνῖνον. ὧν ἦν καὶ ὁ Νωνίου φόνος, ὃν ἀντιπαραγγέλλοντα δημαρχίαν ἀπέσφαξεν ὁ
Σατορνῖνος”.  
40
 J. Carcopino, Silla, Bergamo 2005, 40, n. 22.
41
  Liv. Perioch., LXXVII, 6: “Mithridates, Ponti rex, Bithynia et Cappadocia occupatis et pulso
Aquilio legato Phrygiam, prouinciam populi R., cum ingenti exercitu intrauit”.

266
D’altra parte Roma, di lì in avanti, si trovò a vivere un periodo di note-
voli difficoltà che sarebbe sfociato nella guerra sociale. Tale conflitto intestino,
in modo inevitabile, distolse l’Urbe dalle sue ambizioni verso Oriente e, a un
tempo, indusse il sovrano pontico a tramare per ricavare vantaggi da quello
status quo.

Roma infatti, all’indomani del secondo conflitto punico, era divenuta una
potenza internazionale. Una potenza che aveva sconfitto quella che, a ragione,
veniva considerata la forza navale superiore sino a quel momento. Uno scon-
tro aperto contro la repubblica romana sarebbe stato quindi fatale all’ambizio-
sissimo Mitridate che, per quanto determinato nel raggiungimento dei propri
obiettivi, non era certo folle. Di qui l’alleanza con la pirateria cilicia, in modo
da contrastare Roma anche sui mari, mediante battaglie navali non propria-
mente canoniche, ma grazie a quella che secoli dopo sarebbe stata definita
‘guerra di corsa’. Plutarco, in proposito, ci sembra illuminante:
«La potenza dei pirati inizialmente ebbe origine in Cilicia, cominciando in
modo temerario, che tuttavia passò inosservato, per farsi poi arrogante ed au-
dace al tempo della guerra mitridatica, durante la quale i pirati si misero al
servizio del re. Poi, quando i Romani si combattevano alle porte di Roma du-
rante le guerre civili, il mare rimasto senza sorveglianza a poco a poco li attirò
a sé e li spinse non più soltanto ad assalire i naviganti, ma anche a devastare
isole e città costiere. Ormai anche uomini potenti per la loro ricchezza, illustri
per nascita e stimati di saggezza superiore entravano nelle schiere dei pirati e
prendevano parte alle loro imprese, come se questa attività conferisse loro una
qualche gloria o onore»42.

Il re del Ponto sapeva che poteva approfittare di diversi vulnera della


politica romana di quei tempi, cui facemmo testé cenno: le lotte intestine, il
comportamento discutibile di alcuni governatori romani, l’esercito romano im-
pegnato su più fronti. Si trattava, pertanto, di aprire ulteriori zone di combat-
timento difficilmente gestibili perché aleatorie. In effetti, quale arma migliore
della pirateria che, dunque all’epoca, divenne una sorta di guerra di corsa? L’e-

42
  Plut. Pomp., 24,1-3: “ἡ γὰρ πειρατικὴ δύναμις ὡρμήθη μὲν ἐκ Κιλικίας τὸ πρῶτον, ἀρχὴν
παράβολον λαβοῦσα καὶ λανθάνουσαν, φρόνημα δὲ καὶ τόλμαν ἔσχεν ἐν τῷ Μιθριδατικῷ πολέμῳ,
χρήσασα ταῖς βασιλικαῖς ὑπηρεσίαις ἑαυτήν. εἶτα Ῥωμαίων ἐν τοῖς ἐμφυλίοις πολέμοις περὶ θύρας τῆς
' Ῥώμης συμπεσόντων, ἔρημος οὖσα φρουρᾶς ἡ θάλασσα κατὰ μικρὸν αὐτοὺς ἐφείλκετο καὶ προῆγεν,
οὐκέτι τοῖς πλέουσι μόνον ἐπιτιθεμένους, ἀλλὰ καὶ νήσους καὶ πόλεις παραλίους ἐκκόπτοντας. ἤδη δὲ
καὶ χρήμασι δυνατοὶ καὶ γένεσι λαμπροὶ καὶ τὸ φρονεῖν ἀξιούμενοι διαφέρειν ἄνδρες ἐνέβαινον εἰς τὰ
λῃστρικὰ καὶ μετεῖχον, ὡς καὶ δόξαν τινὰ καὶ φιλοτιμίαν τοῦ ἔργου φέροντος”. Trad. it. G. Andria.

267
spressione χρήσασα ταῖς βασιλικαῖς ὑπηρεσίαις ἑαυτήν potrebbe essere una con-
ferma in tal senso.
Vedremo come Mitridate divenne ‘amico’ di capi pirati, di come si fece
difendere da loro e di come, plausibilmente, sfruttò la loro opera. Ma, soprat-
tutto, avremo modo di osservare come, da abilissimo stratega, seppe indirizzarli
per danneggiare Roma per i propri scopi.
Il re del vicino oriente non aveva esitato a stringere alleanza con i pirati,
come afferma Orosio quando narra di un fatto della guerra contro Lucullo in
cui il re del Ponto perse, a causa di una tempesta, buona parte di una flotta che
aveva inviato alla volta di Bisanzio:
«…sul punto di affondare lui stesso con la sua nave danneggiata, trasbordò
nella veloce imbarcazione del pirata Seleuco, aiutato dal pirata in persona»43.

Anche Appiano riporta la stessa vicenda.


«Per la seconda volta Mitridate fu sorpreso da una tempesta mentre navigava
verso il Ponto; allora perse circa diecimila uomini e sessanta navi, mentre le
altre furono disperse lì dove le sbatté la tempesta. Egli stesso, dopo che la nave
ammiraglia era andata in pezzi, salì su un’imbarcazione di pirati, anche contro
il parere degli amici, e i pirati lo portarono in salvo sino a Sinope, donde fece
trainare con le corde la sua imbarcazione sino ad Amiso…»44.

Ci sembrano illuminanti alcune parole di Appiano e cioè ἀπαγορευόντων


τῶν φίλων. Il fatto che gli amici, quindi le persone a lui più care, avessero ten-
tato di dissuaderlo dal salire su una imbarcazione pirata ci induce a pensare che
i pensieri di Mitridate, la sua strategia militare stessa, non fossero condivisi. Lo
storico di Alessandria proprio con le succitate parole fa capire come, da parte
del sovrano pontico, la fiducia nei pirati fosse massima. E fiducia massima si-
gnifica, in modo sostanziale, ‘amicizia’. In fondo i vespri asiatici si erano realiz-
zati, anche per circostanze fortuite, ma soprattutto per il fatto che quel piano
non fosse stato fatto trapelare. Cosa estremamente difficile a corte. Di fatto il

43
  Oros., VI, 2, 24: “Mithridates aduersus Byzantium instructa classe nauigans tempestate
correptus octoginta rostratas naues perdidit; ipse cum quassa iam naui mergeretur, in myoparonem
Seleuci piratae ipso pirata iuuante transiluit”. Trad. it. A. Lippold. Condivido l’idea del Lippold
secondo il quale, almeno per quanto concerne il periodo storico qui preso in esame, Orosio abbia
attinto alle Periochae di Livio e a Floro. A. Lippold [ed.], Orosio, Le storie contro i pagani, 2 voll.,
Rocca San Casciano [FO] 2001, 139.
44
  App., Mith, 78: “Μιθριδάτῃ δ᾽ ἐς Πόντον ἐσπλέοντι χειμὼν ἐς δὶς ἐπιγίγνεται, καὶ τῶν ἀνδρῶν
ἀμφὶ τοὺς μυρίους καὶ νῆες ἀμφὶ τὰς ἑξήκοντα διεφθάρησαν: αἱ δὲ λοιπαὶ διερρίφησαν, ὡς ἑκάστην ὁ
χειμὼν ἐξήνεγκεν. αὐτὸς δὲ ῥηγνυμένης τῆς στρατηγίδος ἐς λῃστῶν σκάφος, ἀπαγορευόντων τῶν φίλων,
ὅμως ἐνέβη. καὶ ἐς Σινώπην αὐτὸν οἱ λῃσταὶ διέσωσαν. ὅθεν ὁ μὲν ἐς Ἀμισὸν ἀπὸ κάλω διαπλέων…”.
Trad. it. A. Mastrocinque.

268
sovrano del Ponto si trovava a proprio agio con quei λῃσταὶ sicuramente, come
dicemmo testé per interesse ma non solo. Chi rischia la vita, agendo in modo
estremamente ardito, non può che trovarsi in sintonia con persone simili a sé.
La connivenza e, lo ripetiamo, l’evidente amicizia tra Mitridate e quel
pirata, è comprovata dalla ulteriore testimonianza di Orosio quando riporta
come Seleuco fosse stato messo dal re del Ponto a difesa della città di Sinope,
sua capitale, durante l’assedio dello stesso Lucullo (si era nel corso della cosid-
detta terza guerra mitridatica, 75-65 a.C.)45:
«Lucullo aveva posto assedio a Sinope, deciso a espugnarla; l’arcipirata Seleuco
e l’eunuco Cleocare, che erano incaricati della sua difesa, dopo averla spogliata
e data alle fiamme, l’abbandonarono»46.

La fiducia nell’archipirata era dunque massima. Pertanto in una persona


come Seleuco Mitridate poteva fare affidamento per combattere il suo nemico
di sempre. La cosa che potrebbe apparire incredibile è come, di fatto, il re del
Ponto avesse permesso quanto segue.
«[Lucullo] fece di nuovo ritorno nel Ponto e ripreso il comando delle truppe
strinse d’assedio Sinope, o meglio i Cilici che l’occupavano per conto del re.
Questi dopo aver ucciso molti cittadini di Sinope, di notte appiccarono il fuo-
co alla città e si dettero alla fuga»47.

Una nostra fonte, Floro, dirà così per spiegare i motivi che incoraggiarono
il sovrano del Ponto a tentare l’impresa complicata invero difficile di guerreg-
giare con l’Urbe:
«Gli [a Mitridate] davano speranza e fiducia i nostri difetti; lo invitava il
momento favorevole, poiché eravamo distratti dalle guerre civili e da lontano
Mario, Silla, Sertorio mostravano indifeso il fianco dell’impero»48.

45
  Tramonti, Hostes communes, 67.
46
  Oros., VI, 2, 24: “Lucullus Sinopem expugnaturus obsederat; hanc Seleucus archipirata et
Cleochares spado, qui praesidii causa praeerant, expilatam atque incensam reliquerunt”. Trad. it. A.
Lippold.
47
  Plut., Luc., 23, 2: “[ὁ Λούκουλλος] παρῆλθεν αὖθις εἰς Πόντον, καὶ τοὺς στρατιώτας
ἀναλαβὼν ἐπολιόρκει Σινώπην, μᾶλλον δὲ τοὺς κατέχοντας αὐτὴν βασιλικοὺς Κίλικας, οἳ πολλοὺς μὲν
ἀνελόντες τῶν Σινωπέων, τὴν δὲ πόλιν ἐμπρήσαντες διὰ νυκτὸς ἔφυγον”. Trad. it. A. Traglia.
48
  Flor., I, 40, 3-4: “Spem ac fiduciam dabant nostra vitia. Quippe cum civilibus bellis distrin-
geremur, invitabat occasio, nudumque latus imperi ostendebant procul Marius, Sulla, Sertorius”.
Trad. it. E. Salomone Gaggero. Floro non è preciso perché la guerra civile tra Mario e Silla ebbe
inizio nell’88 proprio come conseguenza della guerra mitridatica. Ambedue i contendenti, infatti,
avrebbero voluto assumere il comando romano di quel conflitto. Per quanto concerne la ribellio-
ne di Sertorio fu ben successiva agli avvenimenti di cui trattiamo qui. Come è noto quei fatti si
svilupparono tra il 79 e il 72.

269
Pur con qualche imprecisione, l’autore nativo dell’Africa riportò, in modo
poco approfondito ed estremamente sintetico, una delle motivazioni che in-
dussero Mitridate a tentare la sorte. A ogni modo, anche se alcuni Romani
potevano sperare di evitare un conflitto con il re del Ponto, almeno nell’im-
mediato, presto fu chiaro che le possibilità di non inviare nessuno in Oriente
erano minime. Vennero quindi tentate mediazioni per evitare una guerra co-
stosa. Ma, stando al racconto di Appiano, la situazione non venne gestita nel
migliore dei modi, se si giunse a tanto:
«Poco tempo dopo Mitridate catturò anche Manio Aquilio, il maggiore
responsabile di questa legazione e di questa guerra, che fu preso, legato e
condotto in giro sopra un asino proclamando agli spettatori che era Manio,
finché, a Pergamo, Mitridate non gli fece colare oro liquido in bocca come
insulto alla corruzione dei Romani. Prepose satrapi ai vari popoli e venne a
Magnesia, Efeso e Mitilene, dove tutti lo accolsero volentieri; gli Efesini di-
strussero le immagini dei Romani che si trovavano presso di loro, cosa di cui
pagarono il fio poco tempo dopo. Partendo dalla Ionia, Mitridate si inoltrò
nell’interno, prese Stratonicea, la punì con una multa in denaro e vi introdusse
una guarnigione»49.

Da quello che abbiamo appena letto si evince che le città greche dell’A-
sia Minore avevano sopportato sino ad allora Roma, ma mai l’avevano amata.
D’altronde esse potevano vantare una lunga tradizione di città libere, quindi il
giogo romano risultava particolarmente sgradito. Nondimeno l’azione mitrida-
tica fu relativamente semplice se, in tempi brevi, quel sovrano poté dire di aver
conquistato buona parte della provincia d’Asia. Tale lasso di tempo dovremmo
farlo partire almeno dall’88 a. C., cioè da quei terribili vespri asiatici, da quei
fatti che videro il re del Ponto organizzare minuziosamente e realizzare una
strage di italici nelle città greche dell’Asia.

Mitridate dunque, come riporta Appiano, dalla prima guerra contro i Ro-
mani aveva stretto patti con i pirati proprio per contrastare Roma e per impor-
le di combattere su più fronti50.

49
  Appian., Mithr., 21: “μετ᾽ οὐ πολὺ δὲ καὶ Μάνιον Ἀκύλιον, τὸν τῆσδε τῆς πρεσβείας καὶ τοῦδε
τοῦ πολέμου μάλιστα αἴτιον, ἑλὼν δεδεμένον ἐπὶ ὄνου περιήγετο, κηρύσσοντα τοῖς ὁρῶσιν ὅτι Μάνιος
εἴη, μέχρι ἐν Περγάμῳ τοῦ στόματος αὐτοῦ κατεχώνευσε χρυσίον, δωροδοκίαν ἄρα Ῥωμαίοις ὀνειδίζων.
σατράπας δὲ τοῖς ἔθνεσιν ἐπιστήσας, ἐς Μαγνησίαν καὶ Ἔφεσον καὶ Μιτυλήνην παρῆλθεν, ἀσμένως
αὐτὸν ἁπάντων δεχομένων, Ἐφεσίων δὲ καὶ τὰς Ῥωμαίων εἰκόνας τὰς παρὰ σφίσι καθαιρούντων, ἐφ᾽ ᾧ
δίκην ἔδοσαν οὐ πολὺ ὕστερον. ἐπανιὼν δὲ ἐκ τῆς Ἰωνίας Στρατονίκειαν εἷλε καὶ ἐζημίωσε χρήμασι, καὶ
φρουρὰν ἐς τὴν πόλιν ἐσήγαγεν”. Trad. it. A. Mastrocinque.
50
 E. Maróti, Die Rolle der Seeräuberei zur Zeit der Mithridatischen Krieges, in «Ricerche
storiche ed economiche in memoria di C. Barbagallo», Napoli 1970, 479-493, in particolare si

270
«Egli [Mitridate] mandò per mare i pirati, i quali dapprima navigavano qua e
là con poche e piccole navi, facendo danni tipici dei predoni»51.

Ma questo al re del Ponto non poteva bastare. Egli, infatti, aveva intuito
quale risorsa potessero divenire per sé quei λῃσταὶ. Le parole di Appiano sug-
geriscono come il sovrano orientale avesse pensato a inquadrare quei predoni
in modo da danneggiare vieppiù sia i traffici del nemico sia la flotta avversaria.
Tale assioma spiega le parole dello storico alessandrino quando racconta
come, una volta sconfitto il loro protettore che venne costretto a scendere a
patti con i Romani, i pirati si trovassero spiazzati da questa novità e dovettero
fare di necessità virtù.
«Poiché avevano goduto di grandi bottini, non si fermarono neppure quando
Mitridate fu battuto e, sceso a patti, si ritirò. I pirati, poiché a causa della
guerra avevano perduto i mezzi di sussistenza e la patria, caduti nell’incertezza
più completa, sfruttavano il mare anziché la terra. Essi navigavano in squadre,
dapprima su brigantini ed emiolie, poi su biremi e triremi, sotto il comando
di capi pirati, simili a generali in guerra. Si gettavano sulle città prive di mura,
altre le saccheggiavano dopo averne scalzate o abbattuto le mura o averle prese
con l’assedio; portavano nei loro ripari navali gli uomini più ricchi per farli
riscattare»52.

Ma Mitridate, seppur costretto a scendere ad accordi con il nemico di


sempre, essendo rimasto in vita, non si sarebbe certamente arreso e quindi,
siamo convinti, incoraggiò i suoi ‘amici’ pirati a continuare le scorrerie per in-
fastidire Roma. In effetti, la pace di Dardano aveva costretto Mitridate alla
rinuncia di tutti i territori da lui conquistati sino a quel momento. Ma, anche
a seguito di questo trattato, ci fu lo smantellamento della flotta allestita da
Lucullo il quale era riuscito a costruire un’armata navale composta da navigli
provenienti esclusivamente da località costiere dell’Asia53. Subito dopo, però,

considerino 481-486; McGing, The Foreign Policy (= B. C. McGing, The Foreign Policy of Mi-
thridates VI Eupator King of Pontus, Leiden 1986), 129-130.
51
  App., Mith, 92: “οἳ τὸ μὲν πρῶτον ὀλίγοις σκάφεσι καὶ μικροῖς οἷα λῃσταὶ περιπλέοντες
ἐλύπουν”. Trad. it. A. Mastrocinque.
52
  App., Mith, 92: “γευσάμενοι δὲ κερδῶν μεγάλων, οὐδ᾽ ἡττωμένου καὶ σπενδομένου τοῦ
Μιθριδάτου καὶ ἀναχωροῦντος ἔτι ἐπαύοντο: οἱ γὰρ βίου καὶ πατρίδων διὰ τὸν πόλεμον ἀφῃρημένοι,
καὶ ἐς ἀπορίαν ἐμπεσόντεςἀθρόαν, ἀντὶ τῆς γῆς ἐκαρποῦντο τὴν θάλασσαν, μυοπάρωσι πρῶτον καὶ
ἡμιολίαις, εἶτα δικρότοις καὶ τριήρεσι κατὰ μέρη περιπλέοντες, ἡγουμένων λῃστάρχων οἷα πολέμου
στρατηγῶν. ἔς τε ἀτειχίστους πόλεις ἐμπίπτοντες, καὶ ἑτέρων τὰ τείχη διορύττοντες ἢ κόπτοντες ἢ
πολιορκίᾳ λαμβάνοντες, ἐσύλων: καὶ τοὺς ἄνδρας, οἷς τι πλέον εἴη, ἐς ναυλοχίαν ἐπὶ λύτροις ἀπῆγον”.
Trad. it. A. Mastrocinque.
53
  Plut., Luc., 13, 4. Tramonti, Hostes communes, 40.

271
vista la necessità di fronteggiare quei predoni, il governatore della provincia di
Asia, Licinio Murena, fu costretto a organizzare una nuova flotta per compete-
re sui mari con i pirati e sconfiggerli.

Secondo Cicerone, Murena all’uopo utilizzò i proventi delle tasse destinati


a essere versati a Roma54. Lo Starr in proposito crede che «this plan for the
naval defense of Asia Minor was probably devised by Sulla himself: if it were
impossible for Roman state, with its yearly changing officials, to take direct
responsibility for the creation of a fleet, the next best step was to fix the con-
tributions to be espected from each maritime ally»55. Comunque solo Mileto
aveva concesso ai Romani 10 navi. Si trattava pertanto di una flotta consisten-
te. La documentazione in nostro possesso non presenta riferimenti all’efficienza
di tale potenza navale. Le fonti, infatti, se si esprimono sui successi terrestri di
Licinio Murena, tacciono su come si sviluppò la guerra per mare. Tali docu-
menti riportano come i Romani riuscissero a occupare l’entroterra di Cibira
governato dal monarca Moagrete56. Una flotta di tali dimensioni viene allestita
qualora si debba fronteggiare un nemico temibile che, dopo la pace di cui di-
cemmo, insistette nelle sue scorrerie.

Come mai quei λῃσταὶ, apparentemente abbandonati dal loro alleato


più affidabile, continuarono le loro azioni, sprezzanti del pericolo? Si fossero
sentiti davvero soli contro Roma avrebbero potuto usare maggiore prudenza?
Probabilmente soli non erano. La nostra convinzione si basa, del resto, su
alcune considerazioni.

Se i pirati non si fossero ritenuti ‘protetti’ da una potenza (o da un po-


tente) in grado di sovvenzionare le loro imprese o, comunque, di assicurar loro
porti sicuri, avrebbero limitato le loro azioni piratesche a imprese in luoghi re-
lativamente vicini alle loro basi. Difficilmente avrebbero insistito contro un av-
versario comunque pericolosissimo come erano i Romani. Essi, però, sapevano

54
  Cic., Verr., 1, 89-90: “Decem enim naves iussu L. Murenae populus Milesius ex pecunia vecti-
gali populo Romano fecerat, sicut pro sua quaeque parte Asiae ceterae civitates”.
55
 C. G. Starr, The Roman imperial Navy. 31 B.C.-A.D. 324, Cambridge 1941, 2.
56
  Strabo. XIII, 4, 17: “ἔστελλε γὰρ αὕτη πεζῶν μὲν τρεῖς μυριάδας ἱππέας δὲ δισχιλίους:
ἐτυραννεῖτο δ᾽ ἀεί, σωφρόνως δ᾽ ὅμως: ἐπὶ Μοαγέτου δ᾽ ἡ τυραννὶς τέλος ἔσχε, καταλύσαντος αὐτὴν
Μουρηνᾶ καὶ Λυκίοις προσορίσαντος τὰ Βάλβουρα καὶ τὴν Βουβῶνα”. Sul re di Cibira ancora
Polyb., 21, 34, 1: “ὅτι Μοαγέτης ἦν τύραννος Κιβύρας, ὠμὸς γεγονὼς καὶ δόλιος…”; Liv., 38, 14, 3:
“Haud procul a Cibyra aberant, nec legatio ulla a Moagete, tyranno ciuitatis eius, homine ad omnia
infido atque importuno, ueniebat”.

272
che il sovrano pontico non li avrebbe traditi o, per lo meno, avrebbe tentato di
fare il possibile per non tradire la loro fiducia.

In un certo qual senso possiamo fare nostre le parole del Sintes quando
dice che «il programma operativo della nazione pirata come abbiamo già detto
segue delle strategie elaborate: si è ben lungi da guerriglieri stracciati e volgari,
ma ci si trova di fronte a una forza organizzata, coordinata, guidata da capi
efficienti»57. Il Sintes però non arriva a una sintesi forse più efficace. Un conto,
infatti, è l’operatività dei pirati agli inizi, un conto è la stessa in questo partico-
lare momento storico.

Il sovrano pontico se in un primo tempo era stato costretto a fidarsi alla


pirateria pur di impegnare Roma su più fronti, magari anche con studiato cal-
colo, successivamente aveva ancora riposto la sua fiducia in quei λῃσταὶ che
lo avevano accolto sulle loro imbarcazioni dopo un naufragio. Il rapporto tra
Mitridate e i pirati era certamente fondato su sostanziali interessi ma, forse,
anche da vera, se non amicizia, per lo meno stima.
La narrazione della caduta di Sinope da parte di Appiano non rivela espli-
citamente chi la stesse difendendo, pur essendo la conclusione la medesima di
Orosio.
«Quelli di Sinope ancora resistevano con energia e avevano ingaggiato non
senza successo una battaglia navale. Ma quando furono assediati, bruciarono le
loro navi pesanti, si imbarcarono su quelle vuote e fuggirono»58.

Con ogni evidenza il fatto che senza tema e, anzi, riuscendo anche ad
avere un qualche successo, quei λῃσταὶ avessero sfidato i Romani in mare,
significa fossero guidati da marinai esperti e quelli con maggiore esperienza di
combattimento navale erano proprio i pirati.

Come ricorda Cassio Dione, una delle nostre fonti più attendibili, se i
Romani potevano agevolmente vendicare le incursioni piratesche quando i pi-
rati si rifugiavano sulla terra ferma, diveniva, però, molto complicato assicurare
la circolazione di uomini e merci nel mare Nostrum. In quelle circostanze chi
era divenuto il vero padrone delle acque erano ormai i pirati, di cui parlammo

57
  Sintes, I pirati, 142.
58
  App., Mith, 83: “Σινώπη δ᾽ ἀντεῖχεν ἔτι καρτερῶς, καὶ διεναυμάχησεν οὐ κακῶς. πολιορκούμενοι
δὲ τὰς ναῦς τὰς βαρυτέρας σφῶν διέπρησαν, καὶ ἐς τὰς κουφοτέρας ἐμβάντες ἀπέδρασαν”. Trad. it. A.
Mastrocinque.

273
in precedenza. Essi, di volta in volta, a seconda della convenienza, potevano
stringere patti con i diversi nemici di Roma.
Essi a volte, ma più di rado, si spingevano sulla terra ferma. Tuttavia, per
Cassio Dione:
«Le scorrerie sulla terra ferma erano facilmente stroncate, perché avvenivano
sotto gli occhi delle popolazioni più delle altre, facevano sentire il danno da
vicino, e non era molto difficile catturare gli autori; invece quelle sul mare
crebbero a dismisura»59.

Appare evidente che una repubblica romana ‘distratta’ da numerosi impe-


gni bellici fosse troppo spesso impossibilitata a contenere le azioni rapide della
pirateria, perché non era in grado di concentrare su un unico nemico ingenti
risorse di mezzi e uomini. Quando poi le guerre dei Romani terminavano, al-
lora i mari venivano, senza tema alcuna, solcati da vere e proprie squadre navali
di pirati che:
«depredavano e saccheggiavano in primo luogo e innanzi tutto coloro che
navigavano (non li lasciavano in pace neppure durante l’inverno, ma anche in
questa stagione facevano scorrerie spinti dal loro coraggio, dalla perizia e dal
successo); poi anche coloro che stavano nei porti»60.

Secondo lo storico niceno, quei pirati erano convinti, a ragione, che nella
penisola italica avrebbero trovato enormi ricchezze. D’altronde, laddove non si
lasciavano intimorire nemmeno dalla stagione invernale figurarsi se avrebbero
temuto la flotta della repubblica.

Insomma, la pirateria era una sorta di fronte mobile che si apriva e chiu-
deva in tempi rapidissimi e distoglieva Roma dal combattimento secondo i ca-
noni da lei conosciuti. Era la guerra asimmetrica, intesa come un conflitto che
si sviluppa e viene combattuto in modo diverso rispetto all’avversario61. Mitri-
date, pertanto, concepì, de facto, un modo di combattere estremamente diverso

59
  Dio. Cass., XXXVI, 20, 3: “καὶ τὰ μὲν ἐν ταῖς ἠπείροις λῃστικά, ἅτε καὶ ἐν ὀφθαλμοῖς τῶν
δήμων μᾶλλον ὄντα, καὶ τήν τε αἴσθησιν τῆς βλάβης ἐγγύθεν καὶ τὴν σύλληψιν οὐπάνυ χαλεπὴν ἔχοντα,
ῥᾷόν πως κατελύετο, τὰ δὲ ἐν τῇ θαλάσσῃ ἐπὶ πλεῖστον ἐπηυξήθη”. Trad. it. G. Norcio.
60
  Dio. Cass., XXXVI, 21, 2: “ἦγόν τε καὶ ἔφερον πρώτους μὲν καὶ μάλιστα τοὺς πλέοντας
῾οὐδὲ γὰρ τὴν χειμερινὴν ὥραν ἀσφαλῆ αὐτοῖς παρεῖχον, ἀλλ᾽ ὑπό τε τῆς τόλμης καὶ ὑπὸ τοῦ ἔθους τῆς
τε εὐπραγίας καὶ τότ᾽ἐπ᾽ ἀδείας ταῖς ναυτιλίαις ἐχρῶντὀ, ἔπειτα καὶ τοὺς ἐν τοῖς λιμέσιν ὄντας”. Trad.
it. G. Norcio.
61
 Sulla moderna guerra asimmetrica che, nella sostanza, non cambia in nulla rispetto alla
guerra antica si consideri I.Arreguin Toft, How the Weak Win Wars: A Theory of Asymmetric
Conflict, New York & Cambridge 2005; W. Barnett, Roger,  Asymmetrical Warfare: Today's
Challenge to U.S. Military Power, Washington D.C. 2003.

274
da quello romano al fine di spiazzare il nemico, di fargli perdere determinate
certezze. Cosa che avvenne.

Ma il sovrano ellenistico ebbe una ulteriore felice intuizione. Egli, nell’am-


pliare il fronte di combattimenti e nella sua sete di legare tutti coloro che aves-
sero qualcosa contro la repubblica romana, avviò trattative con Sertorio che
combatteva la sua guerra in Hispania62.

Plutarco riporta come Sertorio giudicò opportuno allearsi con i pirati del-
la Cilicia che, come vedemmo, erano a loro volta legati a Mitridate63. In buona
sostanza, il sovrano del Ponto aveva trovato il modo di danneggiare ancora una
volta Roma e di impedirle una immediata vittoria.

Vediamo come Plutarco, in modo sintetico, narra dell’alleanza tra ribelli


sancita dopo che Silla aveva conquistato l’Urbe:
«Allora, alleatosi con i pirati cilici che si erano aggregati a lui, ripiegò verso
l’isola di Pitiussa dove si impadronì della guarnigione che Annio aveva lì posto
di guardia e poi salpò di nuovo»64.

Ma su tale patto pare fossero anni che si stava negoziando, almeno stando
alla testimonianza dello stesso Plutarco ma anche di Cicerone. Plutarco riferi-
sce che l’iniziativa di giungere a un accordo fosse partita da Mitridate il quale
si trovava in difficoltà dopo aver subito la sconfitta da Silla. Il periodo, pertan-
to, è quello successivo alla pace di Dardano stipulata nell’85.
«La fama di Sertorio si era diffusa un po’ ovunque ed anche nel Ponto i mari-
nai provenienti dall’occidente pubblicizzavano le sue gesta come una mercanzia
straniera. Mitridate decise di inviargli ambasciatori, spinto anche dagli adulato-
ri che lo circondavano che, da veri fanfaroni, paragonavano Sertorio ad Anni-
bale, Mitridate a Pirro e concludevano che i Romani non sarebbero riusciti ad
infrangere una coalizione formata dal più abile dei generali e dal più potente
dei re»65.

62
 B. Scardigli, Sertorio: problemi cronologici, in «Athenaeum», 49, Pavia 1971, 229-270,
in particolare si vedano 252-258.
63
 T. R. S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, 2 voll., New York 1951-
1952, I, 518.
64
  Plut., Sert., VII, 5: “Κιλισσῶν δὲ λῃστρίδων αὐτῷ προσγενομένων Πιτυούσσῃ νήσῳ προσέβαλε,
καὶ ἀπέβη τὴν παρ᾽ Ἀννίου φρουρὰν βιασάμενος”. Trad. it. M.L. Amerio-D.P. Orsi.
65
Plut., Sert., XXIII, 2-3: “μέγα δὲ ἤδη τὸ Σερτωρίου κλέος ἐφοίτα πανταχόσε καὶ τῶν περὶ
αὐτοῦ λόγων ὥσπερ φορτίων ξενικῶν οἱ πλέοντες ἀπὸ τῆς ἑσπέρας ἀναπεπλήκεσαν τὸν Πόντον, ὥρμητο
διαπρεσβεύεσθαι πρὸς αὐτόν, ἐπηρμένος μάλιστα ταῖς τῶν κολάκων ἀλαζονείαις, οἳ τὸν μὲν Σερτώριον
Ἀννίβᾳ, τὸν δὲ Μιθριδάτην Πύρρῳ παρεικάζοντες οὐκ ἂν ἔφασαν Ῥωμαίους πρὸς τηλικαύτας ὁμοῦ

275
Cicerone ne parla nella seconda orazione contro Verre e da lui si deduce
che dal 79 potevano aver preso avvio le trattative tra il sovrano ellenistico e
Sertorio66.
«Questi uomini sono coloro che il senato, poco tempo fa, ordinò venissero
considerati nel novero dei nemici. Essi con questo naviglio navigando andarono
a trovare tutti i nemici del popolo romano, da Dianio, a Sinope»67.

Dalle parole del retore di Arpino non si può però capire se l’idea di accor-
darsi fosse stata del primo o del secondo.

Con Appiano abbiamo un’altra versione ancora. Egli infatti fa intendere


che fu Sertorio a voler stringere una alleanza con il lontano re pontico.
«Due membri della sua fazione, Lucio Magio e Lucio Fannio, persuasero Mi-
tridate ad allearsi con Sertorio, dandogli molte speranze circa l’Asia e le nazioni
vicine. Mitridate fu convinto e mandò legati a Sertorio il quale introdottili nel
suo senato, si inorgoglì perché la sua fama raggiungeva il Ponto e perché avreb-
bero potuto assediare i Romani da Occidente e da Oriente. Pertanto concordò
con Mitridate che gli avrebbe dato l’Asia, la Bitinia, la Paflagonia e la Cappado-
cia, gli mandò il generale Marco Vario e come consiglieri Lucio Magio e Lucio
Fannio»68.

Il comandante romano, quindi, avrebbe chiesto di unire le forze contro il


nemico comune per avidità di potere69. Lo storico di Alessandria però è il solo
che si dimostra pervicacemente antisertoriano, attribuendo al generale qualsi-
voglia colpa. È plausibile che sia il sovrano del Ponto sia il comandante ribelle

φύσεις τε καὶ δυνάμεις ἐπιχειρουμένους διχόθεν ἀντισχεῖν, τοῦ δεινοτάτου στρατηγοῦ τῷμεγίστῳ τῶν
βασιλέων προσγενομένου”. Trad. it. M.L. Amerio-D.P. Orsi. 
66
 E. Ciccotti, Il processo di Verre, Milano 1895, 90 e sgg.
67
  Cic., Verr. II, 87: “Hi sunt homines quos nuper senatus in hostium numero habendos censuit:
hoc illi navigio ad omnis populi Romani hostis usque ab Dianio ad Sinopam navigaverunt”.
68
  App., Mith, 68: “δύο δ᾽ αὐτοῦ τῶν στασιωτῶν, Λεύκιοι, Μάγιός τε καὶ Φάννιος, Μιθριδάτην
ἔπειθον συμμαχῆσαι τῷ Σερτωρίῳ, πολλὰ περὶ τῆς Ἀσίας αὐτὸν καὶ τῶν ἐγγὺς ἐθνῶν ἐπελπίζοντες. ὁ μὲν
δὴ πεισθεὶς ἐς τὸν Σερτώριον ἔπεμψεν: ὁ δὲ τοὺς πρέσβεις ἐς τὴν ἑαυτοῦ σύγκλητον παραγαγών τε, καὶ
μεγαλοφρονησάμενος ὅτι τὸ κλέος αὐτοῦ καὶ ἐς τὸν Πόντον διίκετο καὶ Ῥωμαίους ἕξοι πολιορκεῖν ἀπό
τεδύσεως καὶ ἐξ ἀνατολῆς, συνετίθετο τῷ Μιθριδάτῃ δώσειν Ἀσίαν τε καὶ Βιθυνίαν καὶ Παφλαγονίαν
καὶ Καππαδοκίαν καὶ Γαλατίαν, στρατηγόν τε αὐτῷ Μᾶρκον Οὐάριον καὶ συμβούλους τοὺς Λευκίους,
Μάγιόν τε καὶ Φάννιον, ἔπεμψεν”. Trad. it. A. Mastrocinque.
69
 E. Gabba, Le origini della guerra sociale e la vita politica romana dopo l’89 a.C., in «Athe-
naeum», 32, Pavia 1954, 41-114; 293-345 [= E. Gabba, Esercito e società nella tarda Repubblica
romana, Firenze 1973, 193-345]; McGing, The Foreign, 139.

276
si siano venuti incontro per agevolare il prosieguo delle loro campagne belliche
contro un comune nemico70.

Orosio legge i fatti in modo simile ad Appiano senza, come è naturale,


mutare la sostanza delle cose:
«Fannio e Magio disertarono dall’esercito di Fimbria e si unirono a Mitridate:
da essi esortato, Mitridate inviò in Spagna ambasciatori e strinse un patto con
Sertorio. Sertorio gli mandò, per confermare il trattato, Marco Mario: il re lo
tenne presso di sé e, poco dopo, lo fece comandante al posto di Archelao, che
era passato a Silla con moglie e figli»71.

Insomma, anche il presbitero iberico vede in Fannio e Magio coloro che


suggerirono a Mitridate di cercare un alleato nel generale romano che lottava
per la sopravvivenza in Hispania. Piuttosto Orosio compie un errore cronolo-
gico perché la vicenda di cui è protagonista Fimbria non è del 76 o 75 a.C.,
bensì dell’8572.

Nonostante i dubbi su chi abbia avanzato, per primo, la richiesta di una


qualche alleanza, resta il fatto che un foedus fu effettivamente stipulato tra i
due. E, come leggemmo dianzi da Plutarco, l’invio dei pirati della Cilicia per
rafforzare le deboli forze di Sertorio ne è testimonianza. Il che, soprattutto,
contribuisce a corroborare la tesi di un Mitridate che intende disorientare
una repubblica romana che attraversa un periodo burrascoso. I navigli corsari
avrebbero potuto, almeno nelle intenzioni, rallentare una risposta adeguata sul
piano militare che, nondimeno, arrivò. Ma, e il sovrano ellenistico ne era certa-
mente consapevole, si sarebbe trattato di una lunghissima partita a scacchi che
avrebbe visto prevalere il più resistente.

Posto ciò, adesso sarebbe da svolgere un’ulteriore considerazione. Se, come


le fonti attestano, l’alleanza tra il sovrano del Ponto e i pirati venne sancita da
veri e propri patti, si potrebbe azzardare che, in fondo, quei predoni altro non

70
 B. Scardigli, Trent’anni di studi sertoriani, in G. Urso (ed.), Hispania terris omnibus fe-
licior. Premesse ed esiti di un processo di integrazione. Atti del convegno internazionale, (Convegno
Internazionale, Cividale del Friuli, 27-29 settembre 2001), Pisa 2002, 143-161.
71
  Oros., VI, 2, 12: “Fannius et Magius de exercitu Fimbriae profugi Mithridati sese adiunxe-
runt: quorum hortatu Mithridates cum Sertorio per legatos in Hispaniam missos foedus pepigit. Ser-
torius ad eum M. Marium firmandi foederis causa misit: quem rex apud se retentum breui ducem
fecit in locum Archelai, qui se ad Syllam cum uxore liberisque contulerat”. Trad. It. A. Lippold.
72
  Liv., Perioch., LXXXIII.

277
fossero che corsari che combattevano un nemico in favore di un altro sovrano
loro alleato.

L’Urbe, infine, vinse ma per circa vent’anni Mitridate fu considerato un


nemico irriducibile dai suoi cives. La sua capacità di trovare alleanze ‘strava-
ganti’, anche a dispetto dei suggerimenti degli amici più intimi, è indubbia. I
pirati, così come qualsivoglia ribelle, finivano per divenire un potenziale alleato
contro Roma. Ma la vicenda della pirateria cilicia è emblematica, perché il re
del Ponto li incoraggiò ad arrivare a depredare e a guerreggiare in zone che,
forse, mai essi avrebbero pensato di raggiungere. I predoni del mare erano soliti
avventurarsi in zone relativamente vicine alle loro basi. Mai, probabilmente,
avrebbero pensato di attaccare Ostia, di stringere un foedus con un romano che
combatteva in Hispania, di osare là dove vi era stata la presenza anche di altre
etnie piratesche quali gli illiri, i pirati delle Baleari.

Forse da soli, cioè senza appoggi esterni, avrebbero potuto stringere foede-
ra con Spartaco ad esempio. Cosa che poi - e se ne ignora il reale motivo - non
accadde visto che in quel caso i pirati pare imbroglino il capo degli schiavi
ribelli73.

Stando a Cicerone, a quei tempi, erano le quattro imbarcazioni di Era-


cleone a creare scompiglio in quelle zone74. Quei pirati, però, non solo non si
accordarono con gli schiavi, se dobbiamo stare alla testimonianza di Plutarco,
ma li ingannarono.
«I Cilici, per quanto si fossero accordati con lui [Spartaco] ricevendone
donativi, lo ingannarono e se ne andarono»75.
Dunque, come dicemmo, nel caso degli spartachisti il pirata Eracleone
optò per l’inganno. Probabilmente non era convinto dell’impresa che gli si era
prospettata. Anche se già in precedenza erano stati numerosi gli scontri tra ma-
rinai Romani e pirati, i militari della repubblica non sembrarono mai a proprio
agio contro chi combatteva senza seguire determinate regole.

73
 L. Montecchio, La rivolta di Spartaco. La percezione di un atto di terrorismo nei confronti
di Roma, in «Aquila legionis», 20, Salamanca 2017, 31-46, in particolare si consideri 43.
74
  Cic., verr., II, 5, 97: “Hic te praetore Heracleo pirata cum quattuor myoparonibus parvis ad
arbitrium suum navigavit”.
75
  Plut. Vita di Crasso, 10, 7: “ὁμολογήσαντες δὲ οἱ Κίλικες αὐτῷ καὶ δῶρα λαβόντες ἐξηπάτησαν
καὶ ἀπέπλευσαν”. Trad. it. D. Magnino.

278
Conclusioni

La pirateria cilicia, come abbiamo avuto modo di indagare, nel corso dei
primi decenni del secolo I a.C. venne utilizzata dal sovrano del Ponto per im-
pegnare i Romani su più fronti in mare. E i Romani, almeno sino a Pompeo,
o sottovalutarono le insidie che portarono loro quei predoni o pensarono che,
in ogni modo, qualora avessero affrontato la questione seriamente la avrebbe-
ro risolta. In realtà, se all’inizio propendiamo per una sottovalutazione della
situazione, successivamente non riuscirono a reagire di fronte a eventi che ad
un certo punto erano parsi quasi incontrollabili. Ci volle, finalmente, la perizia
di Gneo Pompeo non solo per stroncare la pirateria cilicia ma, soprattutto, per
porre un termine al confronto tra la repubblica romana e Mitridate. Nondi-
meno questi, di fatto, terrorizzò con la sua strategia inusuale il mondo romano
al punto da costringerlo a concedere poteri straordinari al futuro triumviro.
Roma dovette pertanto licenziare la tanto discussa lex Gabinia. Essa probabil-
mente fu il colpo finale dato a un potere repubblicano mai tanto traballante76.
Quel che, date le nostre premesse, appare plausibile è che ci sia stata una
strategia tesa a ‘terrorizzare’ i Romani in ogni modo. Il sovrano pontico, in
buona sostanza, tentò, spesso riuscendoci, a destabilizzare le sicurezze romane,
sia dal punto di vista militare, sia dal punto di vista sociale (si pensi ai vespri
asiatici).
La pirateria impegnò le squadre navali repubblicane a lungo e fu necessa-
ria la determinazione romana per mettere alle corde quei pirati. Essi poi, sem-
pre dati i presupposti di cui parlammo e cioè del foedus che li aveva legati a
Mitridate, erano divenuti, de facto, una sorta di ‘corsari’ che si impegnarono
in qualcosa di simile ad una vera e propria guerra di corsa su tutto il Medi-
terraneo. Se, infatti, accettiamo le parole di Appiano e Plutarco, quei predoni
combatterono per se stessi ma anche per favorire il sovrano con cui avevano
stretto un rapporto amicale. Essi danneggiarono i commerci marittimi romani
come i corsari delle Antille fecero con gli Spagnoli77. Essi arrivarono persino a
prendere Ostia78. Essi riuscirono, anche per mancanze romane, a dominare il
Mare Nostrum che, all’epoca, sembrava altrui ma certo non di Roma.

76
  Per quanto riguarda la lex Gabinia e la bibliografia sull’argomento riporto al già citato lavo-
ro Montecchio, La presa di Ostia, 166 e sgg.
77
 Il corsaro è un pirata che si impegnava a cedere almeno parte degli utili guadagnati nelle
sue scorrerie ad uno stato; in cambio il governo di quello stato gli concedeva una ‘lettera di corsa’
e una bandiera. Con il che egli avrebbe potuto aggredire solo navi mercantili di stati belligeranti
con lo stato succitato e di poter uccidere (ma solo in combattimento) persone. Ph. Gosse, Storia
della pirateria, Bologna 2008.
78
  Montecchio, La presa di Ostia, 159-166.

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Solo agendo così, Mitridate avrebbe potuto sostenere il confronto con
gli eserciti della repubblica romana. Se avesse agito altrimenti, sarebbe stato
spazzato via come molti sovrani o città. Essendo quel sovrano persona di espe-
rienza riuscì a immaginare e a realizzare un modus operandi fuori dagli schemi.
I Romani si dimostrarono spiazzati dal suo modo di condurre un con-
flitto tanto è vero che, rispetto ad altre guerre, esso durò per decenni e contro
lo stesso avversario, cioè lo stesso condottiero. Anche la guerra annibalica fu
lunga ma non paragonabile, per durata, a quella intrapresa contro Mitridate.
Lo stesso dicasi per il bellum Iugurthinum. Contro Mitridate Roma dovette
scontrarsi contro chi perseguiva quelle che, secoli dopo, sarebbero potute esser
definite strategie terroristiche. Il che, come è naturale, mise vieppiù in difficol-
tà i comandanti romani ma anche gli Italici che, oramai, si trovavano in ogni
dove nell’Asia Minore.

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