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Comizi d'amore
Guarda il film-documentario di Pier Paolo Pasolini "Comizi d'amore" (1965) – in versione integrale su YouTube - e scrivi un tuo commento rispetto a continuità e
discontinuità con l'epoca attuale. Cosa ti colpisce di più e perché? Argomenta sulla base anche di quanto studiato.
Comizi d'amore è un documentario del 1965 diretto da Pier Paolo Pasolini, il regista approfitta di un momento di ricognizione per
iniziare la sua indagine: nel 1963, infatti, vaga per l’Italia in cerca dei luoghi adatti dove girare il suo film “il vangelo secondo
Matteo”, insieme al produttore Alfredo Bini. In questo viaggio il registra trova materiale per la sua inchiesta: vuole conoscere
l’opinione degli italiani sulla sessualità, il buon costume, i concetti di “invertito” e di “divorzio”.
Nella prima parte, “fritto misto all’italiana”, vengono chiamati in causa temi diversi tra loro, dal rapporto fra sesso e sentimenti al
maschilismo, in una panoramica che coinvolge un campione disomogeneo di intervistati e che mira principalmente a fare emergere
le differenze fra i “rottami ideologici” su cui si basa il falso progressismo del Nord e l’autenticità del Sud, sia pur resa ottusa da
un’arcaica ignoranza.
La seconda e la terza parte del film, intitolate “Schifo o pietà” e “La vera Italia?”, riguardano le infrazioni alla norma sessuale e la
questione della libertà, a partire dal divorzio.
Infine, “Dal basso e dal profondo” cerca di indagare su natura e cause della prostituzione, concludendo con un epilogo dedicato alle
nozze di due giovani, che vengono commentate con un breve componimento poetico scritto dallo stesso Pasolini.
Alla fine degli anni Cinquanta, terminata una fase della propria carriera da scrittore, Pasolini tentava sperimentazioni di vario tipo.
Ispirandosi a Chronique d’un été, il documentario dell’antropologo Jean Rouch e del sociologo Edgar Morin (in cui i due indagano
quanto sia possibile essere sinceri davanti ad una telecamera intervistando gente comune sulla felicità e sulla società francese)
offre una sua versione personale del cinema-verità nella forma di un film inchiesta atipico che diventerà una sorta di modello per
futuri reportage televisivi.
Comizi d’amore è il film documentario che dà avvio e forma al genere del film d’inchiesta, tale genere cinematografico si premura
di raccontare eventi realmente accaduti di cui il regista è testimone diretto e indiretto, denunciandone criticità e problematiche
disparate, siano esse di natura economica, sociale o di qualsiasi altro genere.
Ebbe una distribuzione limitata con esiti commerciali modesti e, sebbene la critica lo abbia relegato fra gli esperimenti di un Pasolini
minore, egli ne ha sempre rivendicato l’esito, sostenendo che lo scarso successo sarebbe dovuto proprio alla fastidiosa fedeltà del
film documentario.
A Pasolini restava da risolvere il problema di un meccanismo troppo freddo come quello della domanda e della risposta, questione
fondamentale per un autore che non si è mai nascosto dietro l’alibi della neutralità. Così prevede un terzo elemento che svolge una
funzione purificatrice e catartica, identificato con un “pathos sentimentale e poetico”, evidente nell’ultima sequenza, dove il
matrimonio starebbe a significare il trionfo della vita che prosegue con dolcezza “malgrado tutto”: l’augurio agli sposi “che al vostro
amore si aggiunga la coscienza del vostro amore”. Il “pathos e la bellezza” del film emerge dalla maniera in cui sia Pasolini che i suoi
interlocutori riescono a conciliare ingenuità e profondità, ad esprimere significati che vanno oltre alla novità delle domande e
dell’ipocrisia delle risposte.
Il film venne vietato ai minori di diciotto anni realizzando il paradosso che molti dei suoi protagonisti non sarebbero stati ammessi
alle proiezioni. Ne esce il ritratto di un paese contraddittorio, uno spaccato di un'Italia che viaggia a varie velocità, un quadro
sconcertante che alterna aperture fintamente disinvolte al Nord e rigidità nel meridione. In questa visione, il Nord è
oggettivamente moderno, ma in possesso di idee estremamente confuse sul sesso; all’opposto, il Sud è sì antiquato, ma con idee
ben precise di come funziona la materia sessuale, idee chiare ma sempre estremamente svilenti. Persino gli illuminati pareri
antiborghesi, impregnati di dottrina femminista, di intellettuali come Oriana Fallaci e Camilla Cederna, risultano prigionieri di clichés
sconcertanti quanto le manifestazioni di arretratezza sessuale delle italiane del popolo. L'impressione che si ricava da questo
straordinario film-inchiesta è quella di una grande, diffusa ignoranza anche negli strati di popolazione più colta, di una profonda
arretratezza e del timore dell'italiano medio di affrontare senza vergogna un confronto legato al tema della sessualità.
In effetti, nonostante il suo rifiuto di uno schema forte e il suo disinteresse per un campione rappresentativo sotto il profilo
statistico, Comizi d’amore riesce a comprendere un condensato di temi pasoliniani e quel “grande monumento alla vecchissima,
innocentissima, caldissima Italia degli anni sessanta” che il regista spiega essere l’intenzione ultima dell’opera: dichiara che avrebbe
voluto fare un “film terapeutico” contro i mostri dell’ignoranza, del pregiudizio e dell’inibizione.
In Comizi d’amore la purezza della verità di un paese nel quale si confrontano epoche lontane e la contorsione di menzogne ipocrite
o semplicemente stupide, convivono perfettamente: nei contadini calabresi o emiliani come negli operai milanesi, nella seriosità
degli studenti bolognesi come negli intellettuali da salotto, nelle ingenue perplessità dei divi calcistici come nell’arretratezza delle
ragazze siciliane che si vergognano di avvicinarsi alla macchina da presa, nelle analisi lucide dello scienziato Cesare Musatti come
nei giudizi rivoluzionari di Giuseppe Ungaretti.
Moravia e Musatti, consapevoli del loro linguaggio e della loro maturità intellettuale, riflettono circa la correlazione tra ignoranza e
paura, concetti che, a loro volta, danno vita al non detto, quindi al tabù. Nel loro intervento emerge il tema della dissacrazione,
strumento per la lotta a quell’ignoranza e quella paura che pare tradursi proprio nel tentativo pasoliniano di informare e chiarire
con totale e crudele verità.
È la diversità la vera bellezza della società italiana degli anni Sessanta, certamente non paradisiaca ma che ancora poteva contare
sulla ricchezza delle differenze, tra Nord e Sud, nei volti, negli abiti, nel parlare e nel pensare, che mette di buon umore un Pasolini
pur ferito dal disprezzo o, peggio, dai giudizi tolleranti e perbenisti manifestati da molti verso l’omosessualità.