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1 – IL POSSESSO – animus e natura:

Art. 1140 cc: “Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della
proprietà o di altro diritto reale - si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione
della cosa”.

1. Definizione: La disciplina del possesso abbraccia ogni ipotesi in cui una cosa si trova nella materiale disponibilità di
un soggetto, a prescindere dalla titolarità del diritto.
Il possesso può essere pieno se vengono esercitati poteri sulla cosa corrispondenti all’esercizio della proprietà, minore
se si esercitano diritti reali, in comune (compossesso) se vi sono più persone che esercitano i poteri sul bene.
Il possesso è tutelato se chi l’esercita è titolare del diritto reale (ius possidendi), sia se non lo sia (factum possessionis) –
la situazione giuridica può essere originata da una relazione materiale tra una persona e una cosa oppure può derivare
dalla titolarità di un diritto reale.
La ragione di ogni protezione giuridica sta nella relazione tra soggetto e cosa - il soggetto esercita il potere sulla cosa -
in virtù di elementi che qualificano la sua posizione di privilegio rispetto ad ingerenze esterne.
La protezione si basa su strumenti processuali ben definiti, sia per la risoluzione di conflitti nei singoli rapporti, sia in
vista di una tutela superiore, riferita all'ordine pubblico.
Un'attività di spoglio violento e clandestino del possesso altrui incarna una concreta minaccia all'ordine pubblico, non
potendo coesistere forme di esercizio arbitrario e abuso con il sistema di valori e regole finalizzato a garantire il sicuro
svolgimento dei rapporti economici.
Si è infatti accolta nel tempo la rilevanza di ogni forma di turbativa e di spoglio, purché contraria alla volontà espressa o
anche solo presunta del possessore, perché, proteggendo il possesso, il diritto protegge in modo più efficace anche la
proprietà.

2. Gli elementi del possesso: il possesso è composto da 3 elementi: un soggetto, un oggetto, un avere – un
comportamento orientato alla fruizione da parte del soggetto.
La struttura del possesso si basa su un elemento oggettivo, il cd corpus possessionis, ovvero il potere di fatto sulla cosa
(estrinsecazione di facoltà connesse all’esercizio del diritto) e da un elemento soggettivo, il cd animus possidendi -
l'intenzione di utilizzarla e goderne nelle stesse forme e comportamenti tipici del proprietario o del titolare.
Rispetto a parte della dottrina che rileva dall'art. 1140 solo per il possessore l'esigenza di un comportamento positivo e
mai inattivo, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che per la conservazione del possesso non occorra la materiale
continuità dell’uso o la realizzazione di continui e concreti atti di godimento - perché il possesso può anche concretarsi
nel non uso, soggetta proprio quella relazione di fatto a pause pure naturali e momenti di inerzia e discontinuità.
È solo con l'ingerenza del terzo che diventa concreta l'insidia all'esercizio possessorio e necessaria una reazione o
ripresa attiva da parte del possessore.
Su un piano temporale e di durata si presume che abbia posseduto anche nel tempo intermedio chi possiede attualmente
e prova di aver posseduto anche in passato (art. 1142, possesso intermedio), così come chi possiede attualmente in virtù
di un titolo, si presume possieda dalla data del titolo (art. 1143, possesso anteriore).

3. L'oggetto del possesso: Sono oggetto di possesso tutte le cose che possono essere oggetto di rapporti giuridici tra i
privati, quindi: tutte le cose, eccetto le cose non appropriabili (demanio pubblico) o cose fuori commercio. È invece
opinione unanime che i diritti siano esclusi dall'elenco delle entità suscettibili di possesso.
La cosa, a cui ci riferiamo per il possesso, è un'entità materiale impersonale, ossia ogni oggetto suscettibile di
godimento da parte dell'individuo, capace di esistere al di fuori del soggetto - Il cc definisce beni le cose che possono
formare oggetto di diritti – art. 810 cc.
Le cose devono quindi essere utili in modo da soddisfare e produrre utilità che corrispondano a delle necessità
dell'uomo; inoltre occorre che le cose siano suscettibili di appropriazione -'art. 1145 c.c. stabilisce che il possesso di
cose non appropriabili è senza effetto.
Secondo Finzi tutto ciò che è oggetto di utilizzazione, è oggetto di possesso. Secondo Barbero, è cosa ogni oggetto
suscettibile di godimento da parte del soggetto.
Secondo altra dottrina le cose devono essere utili – atte a soddisfare e produrre utilità che corrispondono a un bisogno
umano.
Secondo Troisi il concetto di bene dipende dall’evoluzione della società – la cosa deve collocarsi nell’ambito della
realtà fisica, il bene in quella giuridica.

PROPRIETÀ E POSSESSO: QUALE DIFFERENZA?

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Il ladro è possessore, il derubato è proprietario. Proprietà e possesso sono due cose distinte che possono coincidere nella
stessa persona ma non è detto che lo siano sempre.
Il proprietario ha il diritto di godere e di disporre delle cose di sua proprietà in modo pieno ed esclusivo, entro
determinati limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
La proprietà indica una situazione di totale potere sul bene (titolarità) mentre il possesso è solo una relazione di fatto
che c’è tra un soggetto e un bene, per la possibilità che ha il primo di utilizzare il secondo (su cui di solito ha un
contatto diretto e fisico). Per cui dovendo distinguere i concetti di proprietario e possessore possiamo dire che:
Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto - ci basta provare di esercitare un potere di fatto su una
bicicletta perché il giudice presuma che abbiamo anche l’intenzione di possedere e ci dichiari possessori - si presume il
possesso in colui che esercita il potere di fatto quando non si prova che ha cominciato ad esercitarlo semplicemente
come detenzione.

2 – TEORIA SOGGETTIVISTICA E OGGETTIVISTICA DEL POSSESSO:

1. La teoria soggettivistica: la teoria originaria del possesso prevede che, oltre all'elemento oggettivo del possesso,
ossia la detenzione e la disponibilità della cosa (corpus), debba sussistere anche un elemento soggettivo (animus
possidendi) in capo a chi svolge l'attività sulla cosa - per cui senza la volontà e la consapevolezza di poter disporre del
bene come proprietario, la mera relazione materiale tra agente e bene non configurerebbe il possesso.
La giurisprudenza recente sostiene che l'animus, pur essendo elemento essenziale del possesso e fonte dell'intento di
tenere la cosa come propria (SAVIGNY afferma che l’animus è l’intenzione di esercitare la proprietà), debba essere
presunto iuris tantum alla presenza del corpus possessionis.
La teoria soggettivistica del possesso ritiene quindi che il mero corpus rappresenti una detenzione del bene senza
possesso. I soggettivisti contrappongono animus possidendi a animus detinendi – sarebbe possessore chi tratta la cosa di
cui ha detenzione come padrone – il cc non menziona l’elemento della volontarietà, ma indica la corrispondenza del
potere sulla cosa all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

2. La teoria oggettivistica: gli oggettivisti negavano l’importanza all’animus, poiché ritenevano sufficiente
l’intenzione di mantenere un rapporto con la cosa – accompagnata dall’effettivo esercizio di tale rapporto - il rapporto
con la cosa giustifica la tutela del possesso.
Essi svuotano di importanza il concetto di animus e ritengono che l'ordinamento debba tutelare come possesso anche
solo la materiale disponibilità del bene, configurandosi invece la mera detenzione qualora vi sia un elemento che
ostacola l'esercizio materiale del possesso.
Secondo Sacco la differenza con la detenzione sarebbe l’intento di comportarsi ed essere considerato come titolare del
diritto reale a cui corrisponde il potere di fatto – mentre al detentore difetta tale intento.

3. Possesso come fatto o come diritto: la questione rileva in termini di acquisto e perdita, trasmissione e successione
nel possesso - il legislatore qualifica il possesso come potere – ciò rende ambigua la definizione.
Nell’antica Roma il possesso era una situazione di fatto, contrapposta alla situazione di diritto (la proprietà).
Oggi l’idea più generale di possesso è quella di uno stato di fatto per cui alcuno ha in suo potere una cosa e la detiene in
propria custodia o per proprio uso – avendo l’animo o no di tenerla come propria.
Il possesso è atto giuridico in senso stretto, appartenente al piano delle fattispecie (e non degli effetti) – consistente in
un’attività orientata alla realizzazione di interessi determinanti, non sorretta da un titolo legittimante. Il potere si esplica
in conformità della struttura di un rapporto giuridico reale – quindi è fondamentale l’attività come comportamento
specifico.

3 – ENTITA’ IMMATERIALI e requisiti:

Il bene immateriale è definito come entità ideale impersonale che ha valenza di bene per il soggetto; tuttavia la dottrina
prevalente non ammette il possesso di beni immateriali perché per essi non è prospettabile una relazione corrispondente
allo schema tipico dei diritti reali e inoltre perché per loro natura non sono suscettibili del cd. uso esclusivo - perché
possono essere contemporaneamente utilizzati da più soggetti senza che l’esercizio dell’uno impedisca quello dell’altro.
Quindi, secondo questa tesi, le cose che possono essere oggetto di possesso sono entità materiali, oggettivamente
percepibili, mentre il godimento dei beni immateriali è solo intellettuale.
Secondo una nuova concezione o classificazione dei beni - che va oltre la distinzione romanistica tra res corporales e
res incorporales - il bene immateriale sarebbe, insieme al bene separato dal suolo e all’energia, una sottocategoria del
bene mobile. Il bene immateriale viene tripartito in opere dell'ingegno, invenzioni industriali e segni distintivi.

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Quindi se da un lato la definizione comune di cosa non permetterebbe al bene immateriale di soddisfare i requisiti del
possesso, dall'altro lato si potrebbe affermare che i beni immateriali sono valori di riferimento della protezione giuridica
volti a soddisfare esigenze della vita individuale e sociale; in questo modo la nozione di cosa potrebbe comprendere
anche le opere dell'ingegno e in generale la c.d. proprietà intellettuale.
La giurisprudenza concorda con la tesi minoritaria, assimilando la natura del bene immateriale a quella dei beni mobili
ex art. 812 c.c. La dottrina favorevole, muovendosi dalla definizione di cui all'art. 810, ne ritiene ammissibile il
possesso se utilizzati da soggetto che, pur non essendo degli stessi titolare, si comporti come tale.
Una strada interpretativa (partita dall’art. 1155) per individuare il criterio risolutivo del conflitto tra più acquirenti dei
medesimi diritti di utilizzazione economica di un’opera di ingegno era quella dell’acquisto in buona fede (l’art. applica
il principio del possesso vale titolo)– esso afferma che: “Se taluno con successivi contratti aliena a più persone un
bene mobile, quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è
di data posteriore”.
Una dottrina aveva escluso la possibilità di acquisto per usucapione per il diritto d'autore, vista la sua genesi solo
creativa.

4 – IL POSSESSO DELLE ENERGIE:

L’energia si considera un bene mobile - deve essere energia naturale e valutabile economicamente.
Le stesse difficoltà applicative dell'art. 1140 ai beni immateriali si rinvengono anche per quanto riguarda l’energia
elettrica – in particolare al fruitore di energia elettrica, privato per un qualsiasi motivo - anche tecnico – dell’erogazione
della stessa da parte del somministrante.
Considerato che il possesso può considerarsi iniziato “con l’immissione dell’energia in quella parte della rete sulla
quale l’utente esercita, nel proprio interesse, un potere di fatto” - un'ingerenza illegittima poteva ricorrere nei casi di
interruzione dell'erogazione nella parte dell’impianto localizzata nel luogo o nella cosa posseduta dall’utente.
Ma lo spoglio di energia elettrica così configurato veniva superato dall'impossibilità di equiparare le energie alle cose
materiali e soprattutto dalla qualifica di creditore dell'utente (più che di possessore).
L'utilizzo di energia elettrica si attua difatti con il consumo e l'eventuale interruzione si riferisce all'energia non ancora
erogata, senza che possa concepirsi lo spoglio di quella precedentemente fornita e appunto consumata. Stabiliva
pertanto la Suprema Corte che “pur potendosi riconoscere la sussistenza del possesso dell’energia elettrica, deve
concludersi che esso si presenta con connotati peculiari, tali da renderlo non suscettibile di tutela ex art. 1168 c.c.
(azione di reintegrazione)”.

5 – IL POSSESSO DELL’ETERE:

Lo spazio aereo può formare oggetto di possesso – solo da parte del possessore del terreno sottostante e nei limiti di
un’utilizzabilità potenziale dello spazio medesimo.
L’etere, invece, presenta problemi ulteriori – esso è il percorso delle onde elettromagnetiche.
Fino al 1975 l’etere era di dominio pubblico, caratterizzato dal monopolio della RAI. Nel 1976 si è posto fine al
monopolio e si è cercato di dare una qualificazione giuridica all’etere.
Un primo orientamento propendeva per la tutela possessoria, in quanto le onde si avvalgono di impianti relativi, parte di
un complesso aziendale.
La migliore dottrina, invece, ha rilevato che il collegamento tra la banda di frequenza e l’impianto emittente fosse
inidoneo a suggerire una corretta soluzione del problema.
La dottrina autorevole considera l’etere come nulla di reale – non come un bene.

6 – LA DETENZIONE:

1. Definizione e spiegazione: Contrariamente al legislatore che menziona la detenzione solo all'art. 1140 c. 2 come
potere di fatto sulla cosa esercitato al servizio del possessore - per la dottrina essa integra l'elemento materiale del
possesso - rappresentando la disponibilità materiale, fondata su un titolo giuridico (ad es. un contratto di locazione o di
comodato), che un soggetto ha di una cosa appartenente ad altri.
Con il termine detenzione si intende una situazione giuridica in virtù della quale un soggetto si pone in relazione
materiale con una cosa attraverso un elemento soggettivo, ovvero l'animus detinendi, accompagnato dalla c.d. laudatio
possessoris, ovvero il riconoscimento operato nei confronti di un altro soggetto come possessore della cosa.

La detenzione può essere:

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1.Qualificata: quando chi detiene lo fa per interesse proprio ed è titolare di un vero e proprio diritto personale di
godimento sul bene o comunque di un potere di gestione.
Oltre al conduttore e all'affittuario è detentore qualificato l'appaltatore d'opera al quale, secondo alcuni
autori, sarebbe opportuno equiparare il depositario non irregolare, visto che potrebbe essere vanificato dallo
spoglio del depositante il diritto di ritenzione di cui egli gode - ma soprattutto perché risponde ad un interesse
del depositante stesso che il depositario possa direttamente difenderlo contro i terzi.
2. Non Qualificata: essa si realizza nell'interesse altrui e il potere sulla cosa viene esercitato sotto il controllo
diretto del possessore che può ordinarne quando vuole la restituzione – solitamente per ragioni di servizio o
ospitalità.
 Impliciti in entrambe le posizioni il riconoscimento del diritto altrui e l'animus detinendi.

Tra i due solo il detentore qualificato può invocare la tutela possessoria sulla base del titolo legittimante il suo stato,
senza doverne dimostrare validità ed efficacia – non è così per il detentore per ragioni di servizio o ospitalità.
L'art. 1168 c.c. ammette all'esercizio dell'azione di reintegrazione coloro i quali si pongano come detentori nei confronti
di una cosa ("l'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di
servizio o di ospitalità").
La detenzione per ragioni di servizio è un rapporto operato con la cosa che nasca da un vincolo di subordinazione
personale. - la detenzione per ragioni di ospitalità si ha ad es. quando si entra nella casa di un'altra persona. In questo
caso il proprietario non si priva dei suoi diritti, ma lascia a disposizione la cosa al suo ospite il quale, non ha alcuna
autorizzazione nei confronti della stessa.

2. L’interversione: In alcuni casi il semplice detentore può trasformarsi in possessore, attraverso il mutamento del
titolo. A tal fine non è sufficiente che cambi l'atteggiamento psicologico del detentore, con insorgenza in lui dell'animus
possidendi, né che intervenga un fatto esterno qualsiasi a dimostrare il mutato atteggiamento psicologico.
L’interversione deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore
abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa, esclusivamente in nome proprio.
L'interversione del possesso, infatti, è consentita dal nostro ordinamento in 2 sole ipotesi, contemplate dall'art.1141 cc
(“se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga ad essere
mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore”):

1. Causa proveniente da un terzo (constitutum possessorium e traditio brevi manu): si pensi, ad esempio, al caso
in cui si detenga un appartamento a titolo di locazione ma, a seguito dell'apertura della successione ereditaria
del testatore non proprietario, se ne diventi possessore - a tal proposito la Corte di cassazione ha chiarito che
per causa proveniente da un terzo deve intendersi "qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a
legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell'atto medesimo, compresa
l'ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente".
2. Opposizione del detentore contro il possessore (la contradictio): il detentore fa opposizione contro il
possessore, vantandosi apertamente di essere proprietario della cosa e mostrando al possessore, in maniera
espressa o tacita, (mediante il compimento di attività materiali) la sua intenzione di tenere la cosa come
propria. L'esempio di scuola è quello dell'affittuario di un fondo che non paghi più il canone di affitto, si rifiuti
di restituire il bene alla scadenza del contratto e impedisca al proprietario ogni esercizio del proprio diritto.

3. Interversione del possesso e usucapione: L'art. 1146 c.c. dispone che "Chi ha il possesso corrispondente
all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo
possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del
proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato".
Dal momento dell’interversione, decorre il tempo necessario per l’usucapione del diritto di proprietà – art.1141 e 1146
cc. Il soggetto ottiene l'usucapione solo se il titolo del suo possesso muta per causa proveniente da un terzo o in forza di
opposizione fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per usucapire la proprietà della cosa decorre dalla
data in cui è mutato il titolo del possesso.
Per la giurisprudenza il compimento di atti materiali deve essere finalizzato a manifestare “inequivocabilmente
l’intenzione di esercitare il possesso esclusivamente nomine proprio, purché risulti rivolta contro il possessore, in
modo da metterlo in condizione di rendersi conto dell’avvenuto mutamento”.
In un rapporto di locazione il mancato pagamento dei canoni, che sia prolungato o meno con l'eventuale tolleranza del
locatore, non costituisce certo interversione, ma semplice inadempimento contrattuale.

Differenza tra possesso e detenzione?


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È detentore della cosa colui che ne ha la mera disponibilità, ossia che può utilizzarla tutte le volte che desidera, pur nella
consapevolezza che essa appartiene ad un altro soggetto al quale si deve rendere conto - come il conduttore che ha le
chiavi dell’appartamento e la sua disponibilità ma riconosce che questo è proprietà del locatore. Normalmente il
detentore utilizza la cosa in forza di un titolo valido (ad esempio un contratto) c.d. detenzione titolata. Il possesso si
distingue dalla detenzione per il fatto che il detentore è colui che dispone concretamente di un bene altrui, ma non
manifesta l’intenzione di comportarsi da proprietario. Si pensi all’inquilino che vive dentro la casa del locatore o al dog
sitter che porta a spassi i cani di un’altra persona.
Di solito all’origine della detenzione c’è un contratto come ad esempio un contratto di locazione, di noleggio, di
deposito, di comodato, di lavoro ecc.

7- IL POSSESSO DEI DIRITTI REALI:


Definizione: I diritti reali sono particolari diritti che hanno per oggetto una cosa - il più importante è il diritto di
proprietà. Una caratteristica sta nel fatto che il titolare di un diritto reale ha una pretesa nei confronti di tutti gli altri
soggetti: quella di non essere disturbato nel suo rapporto con la cosa.
Le caratteristiche di questi diritti sono:
1. L’essere assoluti.
2. Il diritto di sequela - permangono sulla cosa nonostante i successivi trasferimenti della stessa.
Bisogna distinguere:
1. La proprietà.
2. I diritti reali minori: essi si distinguono in:
 diritti reali di godimento - usufrutto, uso, abitazione, servitù prediali, superficie ed enfiteusi.
 diritti reali di garanzia - pegno ed ipoteca.

1. Il diritto di proprietà: La proprietà è quel diritto che un soggetto ha di godere e disporre liberamente di un certo
bene in modo pieno ed esclusivo, cioè ricavando da esso ogni sorta di utilità nell'ambito dei limiti e con l'osservanza
degli obblighi previsti dalla legge.
Le principali facoltà che competono il proprietario sono:
1. Il godimento - utilizzare e sfruttare il bene.
2. La disposizione – poter vendere o donare il bene.
Questo diritto non è solo costituito dal rapporto tra un soggetto ed un bene – ma anche dal fatto che tutti si debbano
astenere - è fatto divieto di impossessarsi di una cosa altrui distruggendola o deteriorandola.
La Costituzione agli art. 42-47 afferma che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge.
La legge ordinaria deve garantire tale diritto ai privati– essa determina solo i modi di acquisto, di godimento e i limiti –
poiché vi è una riserva di legge all’'art. 42 - l'unica eccezione è l'espropriazione per pubblica utilità – nella quale si
sottrae la proprietà al privato per attribuirla allo Stato.

2. Espropriazione per pubblica utilità: è possibile che i beni privati vengano espropriati per un interesse pubblico -
quando la P.a. impone coattivamente il trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro.
I presupposti per l'espropriazione sono:
1. Il pubblico interesse.
2. La tassatività.
3. L’indennizzo– una somma di denaro corrisposta al proprietario del bene per i “danni” causati dall'espropriazione.

3. Diritti reali minori: essi sono diritti patrimoniali assoluti – il loro titolare ha il potere (così come il proprietario di un
bene) di escludere le ingerenze di ogni altro soggetto nell'esercizio della sua facoltà.

4. Il possesso dell’ipoteca: In diritto l’ipoteca è un diritto reale di garanzia (insieme al pegno) che riguarda soprattutto
beni immobili registrati per fungere da garanzia di un credito- non comporta la perdita del possesso del bene stesso
che è oggetto di garanzia del “debitore”.
L’ipoteca non fa perdere al debitore la disponibilità e il godimento del bene ipotecato – egli può ad es. vendere il bene
senza che ciò pregiudichi il diritto del creditore, poiché avendo diritto di sequela, l’ipoteca seguirà la cosa anche se
cambia il proprietario - chi lo compra acquisterà un bene gravato da ipoteca, esposto all’azione esecutiva del creditore
ipotecario.
In caso di mancato pagamento da parte del debitore, il creditore ipotecario può espropriare il bene ipotecato, a garanzia
del pagamento del suo credito. La moderna configurazione dell’ipoteca come garanzia reale su cosa altrui è il punto di
equilibrio raggiunto per le esigenze di tutela del credito e anche di libertà della circolazione dei beni.

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Secondo il codice, l’ipoteca è un diritto reale di garanzia su una cosa altrui - costituito per fungere da garanzia di un
credito – esso si manifesta possessoriamente solo nel momento dell’esproprio – l’autorevole dottrina afferma che prima
dello stesso non possa configurarsi il possesso - è infatti difficile ravvisare una situazione di fatto corrispondente al
contenuto dell’ipoteca.

5. Il possesso a titolo di pegno: il pegno è il diritto reale di garanzia che si costituisce attraverso la consegna della cosa
o del documento che conferisce la disponibilità esclusiva della cosa al creditore (che è tenuto a custodirla e non
utilizzarla, salvo che sia necessario per la conservazione – come un depositario) o a un terzo designato dalle parti.
La consegna della cosa data in pegno comporta lo spossessamento del proprietario e assolve la funzione di porre i terzi
nella condizione di rendersi conto che si tratta della cosa della quale l’alienante ha la piena disponibilità.
Quando si tratta di pegno di cose mobili è un contratto reale – la consegna della cosa data in pegno comporta per il
proprietario la rinuncia temporanea al possesso del bene, mantenendone però la proprietà, per tutto il periodo del pegno
– questo assolve la funzione di porre i terzi nella condizione di rendersi conto che si tratta di cosa della quale l’alienante
non ha la piena disponibilità.
Se il creditore perde il possesso su una cosa ricevuta in pegno può essere tutelato tramite le azioni a difesa del possesso.
Se il debitore paga il credito garantito, il creditore dovrà restituirgli la cosa data in pegno – se non paga, il creditore,
dopo avergli intimato di pagare, può far vendere la cosa da un mediatore a ciò autorizzato o chiedere al giudice che essa
gli venga assegnata in proprietà.

8 – IL POSSESSO DELLE SERVITU’:

Definizione: la servitù è uno dei principali diritti reali di godimento su cosa altrui, definito all’art. 1027, come il peso
imposto sopra un determinato fondo (detto servente) per l'utilità di un altro fondo (detto dominante), appartenente ad un
diverso proprietario.
Ciò che la caratterizza è la relazione che viene a crearsi tra due fondi di proprietà di diversi soggetti – infatti chi riceve
l’utilità non è per forza il proprietario del fondo dominante, bensì essa è riferita direttamente al fondo.
Con riguardo ai modi di acquisto del suddetto diritto, l’art. 1031 c.c. sancisce che le servitù possano essere costituite sia
coattivamente che volontariamente, o per usucapione o destinazione del padre di famiglia - gli ultimi due modi di
acquisto operano solo per le servitù c.d. “apparenti”, come di seguito definite.
Le servitù coattive sono a numero chiuso e si indentificano solo in quelle espressamente riconosciute dalla legge (sono
«tipiche») - quelle volontarie sono espressione della libertà negoziale riconosciuta dalla legge stessa ai titolati dei fondi.
La servitù volontaria nasce per contratto o per testamento - il contratto deve essere stipulato in forma scritta, a pena di
nullità - sia il contratto che il testamento vanno resi pubblici mediante trascrizione - esse possono avere contenuto più
vario, liberamente determinato dalle parti.

Le servitù prediali possono essere suddivise in 4 tipologie differenti:


1. Apparenti e non apparenti - a seconda che vi siano o meno opere visibili e permanenti installate ai fini del loro
esercizio – ad es. l’apertura di un cancello sul fondo servente
2. Temporanee o perpetue - con riferimento alla loro durata nel tempo.
3. Positive o negative - nel primo caso è necessario svolgere un’attività sul fondo servente, mentre nel secondo
occorre astenersi da qualunque azione.
4. Continue e discontinue - nel caso in cui l’esercizio del diritto implichi (servitù discontinue), o non implichi
(continue), l’intervento ripetuto dell’uomo ai fini dell’esercizio del diritto.

È configurabile il possesso delle servitù – lo si rinviene negli artt.1140-1065-1066 cc, secondo i quali l’esercizio
consiste nella realizzazione del contenuto della servitù, quale risulta dal titolo o dal possesso – il possesso si pone quale
criterio di determinazione delle modalità di esercizio della servitù – bisogna aver riguardo, per la determinazione del
potere di fatto e la sua estensione, alla manifestazione dello stesso potere avvenuta in un certo tempo. Ad ogni figura di
servitù deve corrispondere un possesso di specifico contenuto – la giurisprudenza ha analizzato il possesso delle singole
servitù.
Se il soggetto non è in grado di trarre le utilità - frutto del godimento del diritto reale – oppure può trarle solo con la
cooperazione di terzi – il possesso non è configurabile.
Se il fondo è in comproprietà, la concessione della servitù da parte di uno soltanto dei comproprietari non vincola gli
altri: la servitù, infatti, non si costituisce fino a quando tutti i titolari del bene non l’abbiano concessa (in modo
congiunto o separato) - il comproprietario che ha concesso la servitù (così come i suoi eredi e aventi causa) resta
obbligato nei confronti della controparte a non impedire o rendere difficile l’esercizio del diritto riconosciuto.

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Se sul bene è presente un usufrutto, il nudo proprietario può costituire la servitù anche senza il consenso
dell’usufruttuario, ma ha l’obbligo di non pregiudicare i diritti di quest’ultimo.

1. La servitù acquistata per usucapione: nasce se si tratta di servitù apparente. Se la servitù è apparente quindi, potrà
costituirsi:
 per usucapione ventennale - se in questo tempo (in maniera continua) abbiamo esercitato sul bene un potere di
fatto corrispondente all’esercizio della servitù.
 per usucapione decennale - se abbiamo acquistato il diritto (in buona fede) da chi non ne era titolare e abbiamo
trascritto il relativo titolo - acquisire in buona fede da chi non è proprietario significa, in sostanza, che abbiamo
stipulato un contratto ignorando che il nostro interlocutore non era titolare del diritto.

2. Le servitù non apparenti: è concepibile il possesso di servitù non apparenti – il possesso consisterà nel
comportamento in cui si concreta l’utilitas – ma l’usucapione è possibile solo nelle servitù apparenti.
Il cc ci dice espressamente quali servitù sono considerate non apparenti, riferendosi alla mancanza di opere visibili e
permanenti, strumentali all’esercizio della servitù.
Ma è sufficiente la mancanza delle opere visibili per escluderne l’apparenza? Se prendiamo ad es. la servitù di veduta,
la mancanza di opere visibili dal fondo servente porterebbe automaticamente qualificare la stessa come servitù non
apparente. Ma è davvero possibile tale automatismo? Una recente pronuncia della Cassazione ha dato
un’interpretazione meno restrittiva del concetto di apparenza e quindi di “visibilità”, riferendola non esclusivamente al
fondo servente, bensì anche a quello dominante o ad altro punto prospettico, come la strada pubblica - in tal modo è
stato possibile far rientrare la servitù di veduta tra quelle apparenti.
Considerazioni, queste, non di poco momento se pensiamo al fatto che la giurisprudenza unanime oggi concorda nel
ritenere oggetto di acquisto per usucapione solo le servitù apparenti.
Nel novero di quelle non apparenti, invece, rientrano certamente le cosiddette servitù negative - tali sono quelle che
impongono al proprietario di un fondo, per l’utilità di altro fondo vicino, un comportamento negativo, stabiliscono
quindi il divieto di compiere una determinata azione - l’esempio di scuola è la servitù di non sopraelevazione,
normalmente frutto di un accordo tra i proprietari dei fondi in questione; essa consiste nell’onere di non costruire
ulteriori piani in un fabbricato, per non privare l’altro, ad es. della vista di un panorama o per altri particolari motivi
legati ad una maggiore comodità del fondo.
Il requisito della visibilità, come visto indispensabile per qualificare una servitù come apparente, può ritenersi
soddisfatto non solo in presenza di opere materiali sul fondo servente, bensì anche alla stregua di comportamenti (attivi
o passivi) posti in essere da un soggetto chiaramente ed univocamente interpretabili come volontà di porre un peso sul
fondo. Quello che rileva è l’inequivoco direzionamento di questi comportamenti da parte di un soggetto e la loro non
neutralità, come al contrario accade per le servitù negative, allorché il non facere non può univocamente essere
interpretato come onere imposto.

3. Requisito dell’apparenza in relazione all’usucapibilità del diritto: si è espressa ancora e di recente la Cassazione
sulle caratteristiche dell’apparenza - viene affermato che non può dirsi sufficiente la mera esistenza di opere per
qualificarle come “visibili” ai fini dell’usucapione.
Occorre, infatti, oltre alla mera visibilità, anche la specifica destinazione delle stesse all’esercizio del diritto di servitù.
In conclusione, dalle pronunce analizzate, possiamo dire che l’apparenza è costituita da due elementi: uno materiale,
costituito dalle opere visibili ed un altro non materiale, costituito dalla volontà ed univocità di esercitare il diritto di
servitù.

4. La servitù apparente: La distinzione assume una grande rilevanza pratica: secondo la legge, solo le servitù
apparenti possono acquistarsi per usucapione e per destinazione del padre di famiglia - per quelle non apparenti sarà
necessario un contratto o un testamento (a meno che non si tratti di servitù imposte direttamente dalla legge).
Quando una servitù può dirsi apparente. In particolare occorre:
 la presenza di opere (naturali o artificiali) visibili e permanenti.
 che tali opere rivelino in modo inequivocabile l’esistenza della servitù.

Rimanendo sull’esempio della servitù di passaggio, essa è apparente quando esiste sul fondo del nostro vicino una
strada, un percorso, un tracciato, un cancello o qualunque altro segno che renda evidente l’esistenza della servitù stessa,
ossia che noi utilizziamo quel percorso per giungere al nostro fondo (si pensi appunto ad una strada che, dalla via
pubblica, attraversi tutto il terreno confinante e termini sul nostro).

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Non è necessario che l’opera sia presente sul fondo servente: ad esempio, è idoneo a rivelare la servitù apparente anche
un cancello collocato sul fondo dominante, purché sia evidente che serva a transitare sul terreno del vicino.
Dunque, la visibilità delle opere non è l’unico requisito necessario a costituire una servitù apparente. Occorre
innanzitutto che si tratti di opere stabili e non temporanee - inoltre, esse devono manifestare a chiunque la loro funzione.
È evidente il perché di tutto ciò: mettiamo il caso che non esista un contratto che abbia costituito la servitù - il nostro
obiettivo, quindi, è acquisirla, dopo 20 anni, per usucapione - per farlo dobbiamo dimostrare di aver esercitato il diritto
in modo continuo e ininterrotto, senza alcuna opposizione da parte del proprietario del fondo servente.
È chiaro quindi che il proprietario stesso deve avere coscienza della presenza della servitù: ciò può avvenire solo se le
opere presenti su terreno siano visibili, permanenti e idonee ad attestare oggettivamente l’esistenza del diritto - solo così
si può presumere che il titolare del fondo sia stato per vent’anni a conoscenza della servitù e non si sia mai opposto.

5. Le servitù pubbliche: sono definibili come diritti collettivi di godimento e d’uso a contenuto reale, costituiti sopra
fondi di proprietà privata e con oggetto la fruizione di utilità del fondo da parte della collettività. Secondo la
giurisprudenza è ammesso l’usucapione ma non l’azione di reintegrazione e manutenzione.

8b – LA SERVITU’ DI PARCHEGGIO:

1. I caratteri delle servitù volontarie: per costituire una servitù serve:

1. L’altruità della cosa (perché diritto su cosa altrui).


2. L’assolutezza del diritto - la possibilità per il titolare del diritto di farlo valere nei confronti di tutti in qualità di
possessore.
3. L’immediatezza del vantaggio – il titolare del diritto per esercitarlo non deve avere bisogno dell’intervento di
un terzo - il cc all’art.1064 afferma che “se il fondo viene chiuso, il proprietario deve lasciarne libero e
comodo l’ingresso a chi ha un diritto di servitù che renda necessario il passaggio per il fondo stesso”.
4. L’inerenza al fondo servente e a quello dominante - ogni diritto vantato sul fondo servente e confliggente con
la servitù può essere opposto in base al principio di inerenza della servitù al fondo servente - l’inerenza al
fondo dominante è intesa nel senso che l’atto di accedere al luogo del parcheggio con l’autovettura e di
parcheggiarla consente non solo il godimento del luogo adibito a parcheggio ma anche dell’immobile
direttamente collegato al luogo di parcheggio.
5. La specificità dell’utilitas- il diritto di servitù di parcheggio dev’essere determinato nell’atto costitutivo quale
diritto di parcheggio e non può vedere soltanto l’assegnazione di un luogo da cui il titolare del diritto può trarre
un’utilità - senza tale specificazione non si avrebbe l’assolutezza del diritto ovvero la possibilità per il titolare
di opporsi a tutte le attività altrui confliggenti con il suo diritto in qualità di possessore.
6. La localizzazione - individuazione del luogo di esercizio della servitù.
7. L’inscindibile accessorietà alle proprietà cui inerisce - ciò determina che la servitù non possa essere alienata
separatamente dal fondo su cui insiste.

3. La servitù di parcheggio: La servitù di parcheggio è il diritto di far stazionare uno o più veicoli, di un determinato
tipo, sul fondo altrui, costituito allo scopo di dotare di detta utilità un altro immobile, cui sia connaturata una presenza
umana per periodi continuativi (abitazione, ufficio, albergo, ecc.).
La configurabilità della servitù di parcheggio è stato un tema particolarmente dibattuto in sede giurisprudenziale ed ha
trovato sbocco in due importanti sentenze – una recente, favorevole alla pratica di costituzione della servitù di
parcheggio e l’altra più remota, non favorevole.
Nella servitù di parcheggio, oltre ai caratteri necessari per la costituzione servitù volontaria, vi sono ulteriori specifici
caratteri:
1. positività - il titolare della servitù trae un vantaggio a seguito di un’azione propria e non di un’astensione dal
fare qualcosa del proprietario del fondo servente.
2. discontinuità - in quanto il vantaggio si manifesta tramite singoli e indipendenti atti di godimento.
3. non apparenza - la servitù esiste senza che vi siano opere permanenti visibili che ne permettano l’esercizio.
4. localizzazione – l’art. 1068 cc afferma che “il proprietario del fondo servente non può trasferire l’esercizio
della servitù in luogo diverso da quello nel quale è stata stabilita originariamente”.

Il titolo su cui si fonda la servitù di parcheggio infatti deve indicare il luogo in cui avviene l’esercizio del diritto sul
fondo - altrimenti l’indeterminatezza non consentirebbe al titolare del diritto di assumere la qualifica di possessore e il

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diritto non sarebbe né assoluto né attribuirebbe un immediato vantaggio - tali caratteristiche sono essenziali per
l’esistenza di una servitù valida.
Il luogo esatto di parcheggio costituisce il fondo servente in senso proprio - se il fondo servente in senso proprio non è
determinato o è generico l’accordo tra le parti può risultare nullo per indeterminatezza dell’oggetto.

9 – IL POSSESSO DELL’USUFRUTTO:

Definizione: L’usufrutto rientra nella categoria dei diritti reali – è un diritto reale di godimento su cosa altrui, limitato
solo dal vincolo di durata e da quello della destinazione economica.

La nuda proprietà è la condizione del proprietario del bene gravato da usufrutto, al quale è sottratto il potere di usare il
bene e di farne propri i frutti - secondo la giurisprudenza prevalente, l’usufruttuario ha un’autonoma legittimazione ad
agire per il risarcimento del danno cagionato da un terzo al bene oggetto di godimento.
L’usufruttuario che esegua opere che alterino l’originaria destinazione dell’immobile oggetto di godimento, si rende
inadempiente all’obbligazione di godere della cosa usando la diligenza del buon padre di famiglia.
Uno dei tratti caratteristici dell’usufrutto, tale da diversificarlo dagli altri diritti reali, è la sua necessaria temporaneità,
secondo quanto stabilito dall’art. 979 c.c. che dispone: “la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita
dell’usufruttuario” - nel caso in cui l’usufrutto sia costituito a favore di persona giuridica non potrà superare i 30 anni.
La dottrina evidenzia che la causa principale della temporaneità dell’istituto è dovuta dall’alternativa inaccettabile di
uno svuotamento del contenuto del diritto di proprietà che deriverebbe da una protrazione senza limiti dell’usufrutto
stesso. Ciò sarebbe in contrasto con la funzione sociale della proprietà stabilità in linea di principio generale dall’ art. 42
Cost.

1. L’oggetto: L’usufrutto può avere ad oggetto: beni mobili o immobili, crediti, titoli di credito, aziende, universalità e
persino beni immateriali - in ogni caso, secondo la dottrina, si deve trattare di beni infungibili o inconsumabili, dovendo
l’usufruttuario restituire lo stesso bene alla fine dell’usufrutto.

2. Il possesso del diritto di usufrutto: L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, rispettando la sua destinazione
economica - egli ha il diritto di conseguire il possesso della cosa, mettendosi in diretta relazione con la stessa al fine di
servirsene, amministrarla e farne propri i frutti.
Il possesso dell’usufrutto consiste nell’utilizzazione di una cosa che si manifesta secondo l’ampiezza e il contenuto
riconosciuto dall’ordinamento al titolare del diritto di usufrutto su quella cosa - l’usufruttuario è possessore iure rispetto
al godimento del fondo – mentre è detentore rispetto al nudo proprietario.
Il diritto al possesso implica la signoria sulla cosa a prescindere dalla circostanza che la utilizzi, la sfrutti o meno.
Si creano perciò delle problematiche – ci si chiede per esempio se l’usufruttuario, qualora sottragga il possesso ad altri,
sia soggetto ad azioni possessorie? L’opinione maggioritaria sostiene l’esperibilità della tutela possessoria,
argomentando che il possesso di altri paralizza il diritto al possesso dell’usufruttuario.
Secondo la giurisprudenza prevalente, l’usufruttuario ha diritto di conseguire il possesso della cosa anche nel caso in cui
concorra nell’usufrutto per una quota minore rispetto a quella di altri usufruttuari.
L’art. 984 c.c. dispone che spettano all’usufruttuario – per la durata del suo diritto – i frutti naturali e i frutti civili
provenienti dalla cosa. Inoltre, l’usufrutto può essere ceduto dal titolare per un certo tempo o per la durata intera, non
potendo tuttavia disporne mortis causa.
Tra i diritti riconosciuti all’usufruttario vi è anche quello ad un’indennità per i miglioramenti apportati al fondo, che
sussistano al momento della restituzione della cosa, nella misura della minor somma tra l’importo della spesa e
l’aumento del valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti.

3. Gli obblighi dell’usufruttuario: Tra gli obblighi dell’usufruttuario il principale risulta essere il dovere di mantenere
la destinazione economica impressa alla cosa dal proprietario correlato a quello di restituire la cosa, al termine
dell’usufrutto, nello stato in cui si trova.
Nel corso dell’esercizio del proprio diritto, che deve avvenire usando la diligenza del buon padre di famiglia, nel
rispetto delle regole della tecnica, l’usufruttuario è obbligato al pagamento delle imposte, dei canoni, delle rendite
fondiarie e degli altri pesi annuali che gravano sulla cosa - l’usufruttuario, inoltre, si accolla le spese e gli oneri relativi
alla custodia, all’amministrazione ed alla manutenzione ordinaria del bene.

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Mentre le spese di straordinaria amministrazione competono al proprietario, quelle di ordinaria amministrazione sono a
carico dell’usufruttuario - l’art. 1005 c.c. individua alcune riparazioni straordinarie che secondo l’orientamento
prevalente della giurisprudenza non si devono considerare tassativamente elencate, ad es. la sostituzione delle travi, il
rinnovamento per intero o per una parte notevole dei tetti... L’usufruttuario deve corrispondere al proprietario, durante
l’usufrutto, l’interesse delle somme spese per le riparazioni straordinarie.
Altri obblighi che spettano all’usufruttuario, infine, sono quelli relativi, da un lato, alla denuncia al proprietario delle
eventuali usurpazioni commesse da terzi sul fondo e, dall’altro lato, al pagamento di un canone periodico in favore del
proprietario, se previsto.

10 - LA COMUNIONE DEI BENI:

1. Definizione: si ha compossesso quando più soggetti esercitano congiuntamente il possesso sulla cosa - il titolo del
compossesso è normalmente il diritto di proprietà (meglio di comproprietà), ma potrebbe essere rappresentato anche da
altri diritti reali – ad es. il possesso di un condominio da parte dei condomini.
Se più soggetti posseggono lo stesso bene a titolo diverso non è qualificabile come compossesso - l’esercizio del
possesso può essere ampliato e condivisibile con gli altri – è una disciplina aperta.
Ciascun compossessore ha una quota di compossesso e, nei limiti di questa, se il bene è fruttifero ha diritto ai frutti e
beneficia dell'acquisto per usucapione se ve ne sono i presupposti.
La disciplina del compossesso è modellata su quella della comunione del diritto reale corrispondente - Segrè afferma
che il compossesso è lo stato di fatto corrispondente alla comproprietà.
La codetenzione è ammissibile, ma l’unico limite è che il titolo deve essere il medesimo.

2. Da compossesso a possesso esclusivo: il compossesso può trasformarsi in possesso esclusivo – il singolo deve
escludere di fatto gli altri con il compimento di atti idonei a rilevare il mutamento del titolo del suo possesso.
L’usucapione inizia a decorrere quando l’atto di impossessamento esclusivo appaia in modo univoco – il compossessore
gode della tutela del suo possesso sia nei confronti di terzi che nei confronti degli altri compossessori.

3. Compossesso e usucapione: il compossesso può condurre all’usucapione nei limiti del compossesso - su un
immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può crearsi una situazione di compossesso senza divisione (pro indiviso),
tra lo stesso soggetto proprietario e un terzo, col conseguente possibile acquisto, da parte del terzo, della comproprietà
pro indiviso dello stesso bene una volta trascorso il tempo dell’usucapione – nella misura corrispondente al possesso
esercitato.
È in ogni caso richiesta la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa da parte dell’interessato – attraverso
un’attività contrastante, inoppugnabile e incompatibile col possesso altrui.

4. Azioni del compossessore: il compossessore può esercitare nei confronti dei terzi l'azione di reintegrazione e
l'azione di manutenzione quale che sia la sua quota di partecipazione – a sua volta il compossessore può esercitare
queste stesse azioni anche nei confronti degli altri compossessori tutte le volte in cui uno di questi sopprima o turbi il
possesso degli altri - a meno che questi atti non vengano tollerati e non costituiscano atti idonei a rivelare un mutamento
del titolo del proprio possesso.

10b – IL COMPOSSESSO E I CONIUGI:

Il compossesso dei coniugi risulta problematico – ad es. se il coniuge dell’acquirente che ha ottenuto il possesso del
bene sia da considerare compossessore, se possa esperire le azioni possessorie, se gli spetti la tutela aquiliana, se possa
continuare il possesso ad usucapionem, se possa invocare il rimborso delle spese e l’indennità per miglioramenti…
Per risolvere i quesiti bisogna partire dalla natura del possesso – esso si configura come fattispecie a cui l’ordinamento
ricollega determinati effetti a seconda del suo manifestarsi in concreto.
È una fattispecie che consiste in un comportamento orientato alla fruizione attuale e futura della cosa – il momento
della sua costituzione ed esistenza coincide con quello della realizzazione dell’interesse da parte di chi esercita il
possesso.
È necessario quindi verificare l’imputabilità alla comunione coniugale delle citate situazioni giuridiche – il fondamento
della comunione legale tra coniugi si basa su:
 Attuare il principio comunitario per rafforzare l’istituto familiare.
 Attuare il principio di uguaglianza sostanziale tra coniugi.

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Il codice considera oggetto della comunione tutti gli acquisti, costituiti a qualunque titolo, in capo anche ad un solo
coniuge – escludendo i beni personali - bisogna individuare le specificità delle singole fattispecie possessorie - con
riferimento sia al momento della loro costituzione sia al momento degli effetti.

1. Il primo caso: esso è quello dell’acquisto congiunto di un bene immobile da parte di entrambi con menzione di
comunione, in buona fede.
In questo caso i coniugi sono contitolari di quella situazione giuridica soggettiva complessa e sono anche compossessori
– perché hanno acquistato congiuntamente il possesso.
Quindi spetta a entrambi la tutela possessoria - si producono a loro favore gli effetti del possesso di buona fede - e inizia
a procedere l’usucapione, la quale si compie non appena il periodo di usucapione abbreviato si sia compiuto.

2. Il secondo caso: stessa ipotesi nel caso in cui l’acquisto sia eseguito solo da uno dei due e non ci sia la menzione di
comunione ma si utilizzano i mezzi della stessa in buona fede, a non dominio, in forza di un titolo trascritto che sia
idoneo a trasferire la proprietà - è l’univocità oggettiva dell’orientamento che rileva e l’interesse si manifesta attraverso
i singoli, concreti atteggiamenti che individuano il comportamento complessivo.

Quindi se il possesso si caratterizza per il fatto di essere esercitato nell’interesse della famiglia e su beni di uso comune,
gli effetti prodotti (in quanto elementi patrimoniali valutabili economicamente) si propagheranno nella sfera giuridica
del coniuge non possessore - questa regola trova conferma nell’art 180 cc che prevede la possibilità di
un’amministrazione disgiunta ma nell’interesse comune dei beni della comunione e che il coniuge non possessore potrà
esperire la tutela possessoria.

3. I beni non personali: se l’acquisto della situazione soggettiva e del possesso si riferiscono a beni non personali,
acquistati a non dominio, separatamente e senza mezzi della comunione occorre distinguere se l’acquisto si è verificato
prima o dopo il matrimonio:

 Prima del matrimonio: l’acquisto della situazione soggettiva e gli effetti del possesso esercitato prima del
matrimonio non entrano a far parte della comunione - compreso il diritto sugli eventuali frutti già percepiti.
Costituiranno oggetto della comunione gli effetti del possesso successivi al matrimonio perché essi sono
prodotti da una fattispecie che si attua di volta in volta in considerazione della sua effettività.
 Dopo il matrimonio: l’acquisto cadrà in comunione insieme con gli effetti del possesso, compresi i frutti e
l’acquisto finale per usucapione.

4. Il terzo caso: riguarda il possesso singolo acquistato casualmente, senza alcun titolo, anche in astratto - occorrerà
indagare se il possesso sia realizzato per esercitare un interesse strettamente personale (gli effetti entreranno comunque
nella sfera giuridico patrimoniale del coniuge possessore) o è esercitato nell’interesse della famiglia (comunione legale).

5. Lo scioglimento della comunione: si pone il problema delle cause che determinano la cessazione del regime di
comunione legale e del diverso atteggiarsi delle concrete fattispecie possessorie - per quanto riguarda questo ultimo
fenomeno occorrerà distinguere a seconda che si tratti di compossesso o di possesso singolo.
Nell’ipotesi di compossesso non sorgono problemi in quanto vi sono principi che regolano la contitolarità del diritto
corrispondente - per quanto riguarda il possesso singolo dobbiamo sempre rifarci alla questione del possesso esercitato
o no pro comunione.
Se è esercitato pro comunione, rilevano le regole del compossesso, se non è esercitato pro comunione sarà necessario
verificare se il possesso costituisce attività separata di uno dei coniugi ex art 177 e allora si divideranno soltanto i
proventi residui dell’attività fino allora svolta, mentre il possesso continuerà ad essere esercitato solo dal coniuge
possessore – se si tratta di un bene personale del coniuge, si divideranno solo i frutti percepiti e non consumati al
momento dello scioglimento della comunione ex art 177.

11- LE PRESUNZIONI POSSESSORIE:

Esse sono espresse all’art.1143 cc: “Il possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore
abbia un titolo a fondamento del suo possesso; in questo caso si presume che egli abbia posseduto dalla data del
titolo.”

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Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo
semplicemente come detenzione – art.1141 (al c.2 si ha l’interversione del possesso).
Le presunzioni possessorie si dividono in:
 Possesso intermedio – vige la presunzione di continuità del possesso – il possessore attuale che ha posseduto in
tempo più remoto, si presume abbia posseduto nel tempo intermedio.
 Possesso anteriore – il possesso attuale non fa presumere quello anteriore, salvo che il possessore abbia un
titolo a fondamento del possesso – in tal caso si presume che abbia posseduto dalla data del titolo.
Per titolo si deve intendere ogni fattispecie astrattamente idonea all’acquisto del diritto a cui corrisponde il
possesso – il titolo induce la presunzione del possesso.
La mancanza del titolo produce l’inutilizzabilità del possesso anteriore, ma non esclude la prova del possesso
attraverso altre vie.

12 – L’INIZIO DEL POSSESSO:

Definizione: il possesso, risolvendosi in una situazione di fatto, si acquista e si perde per il verificarsi di fatti materiali.
I diritti possono sorgere e trasferirsi per il verificarsi di fatti giuridici, astratti – ad es. il diritto di proprietà può trasferirsi
grazie ad un contratto che è un atto giuridico, senza che vi sia la consegna materiale della cosa.
Nel possesso, di regola è necessario un atto materiale affinché esso possa nascere o trasferirsi – inoltre deve esserci
l’animus di possedere, di appropriarsi del bene.

1. I modi di acquisto del possesso: essi possono essere a titolo originario o derivativo:

 Acquisto a titolo originario = si ha un’apprensione materiale della cosa con l'animus di possederla - non sono
idonei all'acquisto del possesso gli atti compiuti con l'altrui tolleranza (art. 1144 c.c.), se ad es. il mio vicino di
casa è solito usare il mio ombrello e io glielo permetto, non è possessore dello stesso.

 Acquisto a titolo derivativo = si può ottenere per:


1. Consegna = può essere effettiva del bene (traditio), nella quale il bene è materialmente consegnato al
nuovo possessore – o simbolica (traditio simbolica) non si consegna il bene, ma un oggetto che lo
rappresenti, ad es. i documenti o le chiavi.
2. Constitutum possessorium.
3. Successione (art. 1146 c.1) = l'erede continua il possesso del suo dante causa, con effetto dalla
apertura della successione.
4. Accessione (art. 1146 c.2) = il successore a titolo particolare, (cd legatario) o divenuto tale per atto tra
vivi, può unire il suo possesso con quello del suo autore

2. La consegna: Il possesso può essere acquisito anche per derivazione, ovvero quando viene trasferito da un vecchio
possessore a uno nuovo – in questo caso attraverso la “traditio” che era, nel diritto romano, la modalità più naturale per
trasferire il possesso ovvero con la consegna della cosa.

Vi sono diversi tipi di consegna:


1. La traditio - cioè il trasferimento materiale del bene.
2. La traditio longa manu (consegna a distanza) - avviene in modo mediato e senza contatto manuale (ad es.
tramite l'indicazione del bene o del fondo, situati ad una certa distanza, fatta da una posizione elevata che ne
permette la visione).
3. La traditio ficta (consegna simbolica) – è la consegna di una merce effettuata attraverso la consegna di un
oggetto che la simboleggia (ad es. la consegna delle chiavi in luogo della consegna dell'appartamento).

Modi di acquisto del possesso senza la consegna – cause provenienti da terzi per l’interversione del possesso:
1. Constitutum possessorium - il possessore si tramuta in detentore (ad esempio, il proprietario vende
l'appartamento e contestualmente assume la qualità di conduttore dello stesso).
2. La traditio brevi manu (consegna diretta) - accade quando colui che acquista il possesso di una cosa ne abbia
già la detenzione (ad es. una persona acquista un immobile che già detiene per effetto di un contratto di
locazione).

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3. La perdita del possesso: il possesso è costituto da corpus (disponibilità della cosa) e animus - si perde quindi quando
vengono meno uno o entrambi questi elementi.
Il venir meno del corpus causa la perdita del possesso solo quando sia duraturo e non temporaneo - non ad es. quando si
dimentica un oggetto che si può facilmente recuperare - è necessario perdere definitivamente la signoria sulla cosa – ad
es. nel furto.

14. LA TOLLERANZA:

Art. 1144 cc: “Gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso”.

La tolleranza è un fatto giuridico, non negoziale - si ha tolleranza nel momento in cui il possessore non si oppone a
che altri attuino uno stato di fatto incompatibile col pieno esercizio del possesso, nella credenza che la mancanza di
opposizione non pregiudichi la pienezza di quell’esercizio.

Se un soggetto esercita un potere di fatto su di un bene per mera tolleranza del proprietario, la condotta del tale soggetto
non integra gli estremi del possesso e quindi non vale ai fini del possesso ad usucapionem.
Secondo Masi la tolleranza è un permesso implicito, quindi la condiscendenza in merito a esigenze transitorie,
saltuarie, che comportano un godimento di modesta portata e incidono debolmente sull’attività del possessore.
Per Sacco e Caterina la tolleranza dovrebbe essere svestita dai connotati dell’amicizia e della familiarità.
Secondo Montei la tolleranza configurerebbe un acquisto della detenzione, ma secondo la giurisprudenza si esclude la
detenzione.
La mera permissio da parte del proprietario, a favore di amici o vicini, esclude qualunque pretesa possessoria sottesa al
godimento che questi ultimi ne abbiano tratto.
Inoltre, la durata del godimento posto in essere rappresenta un elemento presuntivo da valutare - la semplice tolleranza,
infatti, postula transitorietà ed occasionalità, non già un esercizio sistematico e reiterato del potere di fatto sulla cosa.
Invece se si tratta di rapporti di parentela la lunga durata non è un elemento presuntivo da valutarsi per escludere la
tolleranza.
Rientra nel tollerato ciò che non forma oggetto di una volizione del possessore, né di un divieto dello stesso.
Secondo la Cassazione l’atto di ingerenza deve essere saltuario, manifestato al destinatario e deve poter essere
revocabile ad nutum (per sua libera determinazione).

15. GLI USI CIVICI:

Essi sono diritti perpetui spettanti ai membri di una collettività (comune, associazione), su beni appartenenti al
demanio, o a un comune, o a un privato – ad es. caccia, pascolo, semina.

Il contenuto di questi diritti è vario - il concetto di uso civico nasce dall’esigenza di trarre dalle terre i mezzi per i
bisogni della vita - i principi dell’istituto ineriscono a imprescrittibilità, inusucapibilità e inespropriabilità.
È discussa, fin da tempo antico, la definizione concettuale degli usi civici: secondo l’opinione più accettabile essi
sarebbero diritti reali che non rientrano in nessuna delle categorie tradizionali.
La vigente legislazione italiana tende alla liquidazione degli usi civici (affidata a dei commissari regionali) mediante
assegnazione (totale o parziale) di un fondo gravato di usi civici ai comuni o alle associazioni, o mediante concessione
di enfiteusi sul fondo (se coltivabile), a favore dei coltivatori meno abbienti del comune.
Non si esclude la configurabilità del possesso - prevedendo che il possessore sia qualificato come possessore di mala
fede.

16. LA SUCCESSIONE E ACCESSIONE NEL POSSESSO:

Art. 1146: “Il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione (successione) - ad es. alla morte
del padre i figli continuano a godere del bene.
Il successore a titolo particolare (legatario) può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti
(accessione)” - il soggetto che esercita il potere di fatto sulla cosa, la cede ad altri, trasferendogli il possesso.

La successione: Il possesso dei beni ereditari è la relazione giuridica o materiale, che esiste tra un soggetto e i beni
appartenenti all’asse ereditario.

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L'erede diventa possessore dopo l’accettazione dell’eredità ed essa, per il possesso, avrà efficacia retroattiva
dall’apertura della successione - non vi sarà interruzione nel possesso tra erede e il suo dante causa.
Il possesso dei beni ereditari non può essere accettato tacitamente a meno che non sia accompagnato da comportamenti
efficaci e che facciano presumere l’accettazione.
Il chiamato, prima di diventare erede, ha la facoltà di esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari - art. 460
c.1 cc “il chiamato all'eredità può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza bisogno di
materiale apprensione” (possesso giuridico, non per forza materiale) – occorre solo una prova dello status di erede.
Il possesso continua con i suoi caratteri originari - nel periodo tra la delazione e accettazione dell’eredità, essa deve
essere protetta da spogli e turbative.

La dottrina più autorevole arriva alle seguenti conclusioni:


 Al fine di evitare una carenza di possesso, il chiamato prende possesso dei beni che erano in possesso del
defunto.
 Le azioni di reintegrazione o di manutenzione esperibili dal defunto possono essere esperite dal chiamato entro
l’anno di spoglio o dalla turbativa.
 Il possesso conseguito da altri alla morte del defunto permette al chiamato di esercitare le azioni di
reintegrazione o di manutenzione.
 L’usucapione iniziata dal defunto si compie a favore dell’erede prima dell’accettazione.
 Il possesso del chiamato è un possesso reale.

Ammesso che il chiamato succeda nel possesso del defunto, non si vedono preclusioni alla successione nella detenzione
e all’esperibilità delle azioni a sua tutela.
La giurisprudenza afferma che l’erede di chi possedeva la cosa come usufruttuario è legittimato ad esperire la tutela
possessoria anche nei confronti della persona divenuta piena proprietaria del bene - per effetto dell’estinzione del diritto
di usufrutto di cui era titolare il defunto.

Il legato: esso è una disposizione testamentaria attraverso cui il testatore attribuisce ad uno o più beneficiari determinati
(i cd. legatari), beni o diritti a carico dell’eredità.
L’art. 588 cc dà la possibilità a chi scrive un testamento di disporre “a titolo particolare” o “a titolo universale” -
quando la disposizione è a titolo particolare si parlerà di legato, mentre il beneficiario sarà chiamato “legatario”.
Il legato è dunque la disposizione mortis causa a titolo particolare attraverso la quale il testatore attribuisce al legatario
un particolare diritto o lo fa subentrare in una posizione giuridicamente rilevante.

Differenze pratiche fra eredità e legato: La prima differenza fra eredità e legato è l’oggetto – il legato ha ad oggetto
un bene od un diritto determinato - l’istituzione di erede nomina un soggetto erede in una quota del patrimonio
ereditario. In caso di eredità infatti, nella maggior parte delle ipotesi, non vengono individuati i beni oggetto della
disposizione.
La seconda differenza riguarda i debiti gravanti sull’eredità - l’erede risponde proporzionalmente alla propria quota dei
debiti gravanti sul patrimonio ereditario, il legatario no - ciò significa, ad es. che quando il testatore disponga per legato
di un immobile acquistato con mutuo gravante sull’eredità, il mutuo sarà a carico degli eredi e non del legatario.
La terza differenza è l’accettazione - il legatario non deve accettare, il chiamato deve accettare per essere erede.
Il legato infatti, secondo quanto disposto dall’articolo 649 cc, si acquista senza accettazione - il legatario può
naturalmente rinunciarvi, facendo venire meno l’acquisto - l’erede viceversa per essere tale, deve accettare l’eredità,
espressamente o tacitamente.
La quarta differenza è che l’eredità non può avere un termine, il legato sì - una volta eredi lo si è a titolo definitivo - il
legatario invece può essere beneficiario di un diritto a termine. Il testatore potrà ad es. legare un immobile per 10 anni
ad un legatario; tale bene ritornerà poi nel patrimonio ereditario.

Interrelazione tra eredità e legato: l’unica interrelazione tra eredità e legato è il possesso in quanto il legatario deve
domandare all’onerato (al quale corrisponde un’obbligazione) il possesso della cosa legata, anche quando ne è stato
espressamente dispensato dal testatore.
È discusso se la norma trovi applicazione per il caso del legatario già detentore o possessore del bene attribuitogli - la
dottrina afferma la necessità che il legatario in ogni caso chieda all’onerato il possesso (infatti si potrebbe incorrere in
ipotesi di spoglio).
Secondo Cicero – Troisi, non ci si deve discostare dai principi generali sul possesso (autoreferenzialità e mutamento
della detenzione in possesso) - l’erede è il possessore ed è quindi legittimato ad esperire le azioni possessorie contro i
terzi.
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Se il legatario è detentore o già possessore, il possesso non va richiesto all’erede - in particolare per il caso di
detenzione del legatario, è il titolo di acquisto a mutarla in possesso - vi è la possibilità che l’azione per conseguire il
possesso sia esercitata dai creditori del legatario, per il caso di sua inerzia, con l’azione surrogatoria ex art 2900.

L’accessione: per il successore a titolo particolare (legatario), l’art. 1146 cc disciplina l’accessione del possesso,
diversa dalla successione nel possesso – nella successione il possesso del de cuius e dell’erede diventa unico – nel
legato i due possessi restano divisi.
L’art. 1146 c.2 infatti afferma che “il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo
autore per goderne gli effetti” - l’unione dei due possessi (del de cuius e del legatario) è rimessa alla scelta del
successore.
Ad es. l’accessione del possesso consente di usucapire il bene anche a chi lo possiede da meno di un ventennio, ma
abbia continuato il possesso del suo dante causa per un ammontare di 20 anni.
Affinché il successore a titolo particolare possa unire il proprio possesso a quello del de cuius è necessario che ci sia un
titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene - l’oggetto del trasferimento non può
essere costituito dal trasferimento del mero potere di fatto sulla cosa.
Chi intende avvalersi dell’usucapione deve fornire la prova di aver acquisito un titolo astrattamente idoneo a giustificare
la traditio del bene oggetto del possesso.
L’accessione è utile anche in merito al compossesso quando il compossessore pro indiviso di un bene immobile che
abbia conseguito il possesso esclusivo su una parte di esso in seguito a divisione, può invocare, per l’usucapione su tale
porzione, anche il precedente compossesso - alla stregua della sua sopravvenuta qualità di successore nella quota di
compossesso degli altri condividenti.
A differenza della successione (1146 c.1), l’accessione non è necessaria quindi l’avente causa dovrà invocarla - e poiché
nell’accessione i possessi sono 2, i vizi del primo non passano al secondo (in quanto non si trasmettono i caratteri del
vecchio possesso).

17. GLI EFFETTI DEL POSSESSO (in particolare i frutti):

Gli effetti che scaturiscono dal verificarsi di tutti i presupposti che danno origine al possesso in senso proprio, possono
raggrupparsi in 3 categorie:
1. I diritti e gli obblighi del possessore di restituire la cosa.
2. Gli effetti derivanti dall'acquisto in buona fede di un bene mobile (c. d. regola "possesso vale titolo" o
"acquisto a non domino" ex artt. 1153 e ss. c.c.).
3. L'acquisto della proprietà per usucapione.

Riguardo alla prima categoria di effetti, l'art. 1148 c.c., in tema di frutti prodotti dalla cosa soggetta alla signoria di
fatto, si rifà alla nozione di "buona fede" descritta nei principi generali.
Il possessore di mala fede è obbligato a restituire tutti i frutti fin dall'impossessamento e il valore dei frutti che avrebbe
potuto percepire usando l’ordinaria diligenza - se non è possibile la restituzione in natura, sarà dovuto l’equivalente
pecuniario dal momento in cui si procede al calcolo.
Il possessore di buona fede, invece, a prescindere dall'origine del suo possesso, acquista la proprietà dei frutti naturali
separati dalla res principale e dei frutti civili maturati fino al giorno dell'instaurazione del processo da parte del
proprietario.
I frutti civili sono quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia, mentre i frutti
naturali sono cose materiali che derivano da un’altra per naturale separazione.
È stata introdotta una forma di tutela del possessore, per garantire l'adempimento dell'obbligo di indennizzo posto, in
capo al proprietario, che si vede restituire la cosa a seguito di rivendica: fino alla ricezione di quanto dovuto, il
possessore ha diritto di ritenzione della res ex art. 1152 c.c.
La disciplina distingue diverse casistiche allorché si tratti di spese sostenute per apportare miglioramenti, addizioni o
riparazioni - art. 1150 c.c:

 Il miglioramento è il risultato dell’attività di una cosa che porta all’aumento del valore della cosa stessa - esso
deve essere "attuale ed effettivo", dato che sarà oggetto di prova e dovrà perdurare fino al momento della
restituzione - solo in tal caso, al possessore spetterà un'indennità - il cui importo dipende anche dalla sua buona
o mala fede - per il possessore di buona fede l’indennità deve essere pari alla minor somma tra lo speso e il
migliorato.

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 Le riparazioni, se sono straordinarie danno diritto a un rimborso integrale perfino se il possessore sia di mala
fede - quelle ordinarie, proprio per il fatto che si limitano a mantenere la cosa in buono stato, senza incidere
sulla sua struttura, legittimano i possessori tenuti alla restituzione dei frutti, a chiedere un indennizzo,
limitatamente al tempo per il quale la restituzione è dovuta, nonché, dopo la domanda giudiziale, i soli
possessori di buona fede.
 Le addizioni sono miglioramenti estrinseci e consistono in quelle opere che conservano una distinta identità.
È fatto salvo il diritto del possessore di buona fede ad essere indennizzato nella misura dell’aumento di valore
della cosa, che la migliorano - è precluso ogni tipo di rimborso per le spese voluttuarie, il possessore rischia
addirittura la condanna alla rimozione delle addizioni, qualora si appuri che non migliorino, sotto nessun
profilo, la res oggetto di restituzione.

19. ART.1153 cc:

L’art. 1153 cc (gli effetti del possesso) afferma che: “colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è
proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e
sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede
dell'acquirente.
Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.”

1. Definizione = La fattispecie dell’acquisto a non dominio (alla lettera, in latino - da chi non è proprietario) indica una
situazione nella quale un soggetto acquista un diritto di proprietà su di un bene che proviene da un soggetto non
qualificabile come titolare del diritto stesso - il concetto di acquisto a non domino comprende, oltre all’acquisto dal non
proprietario, anche l’acquisto di un diritto che non esiste.
Questa sfasatura avviene o perché il disponente non dominus non ha mai acquisito il diritto oppure perché è
diventato dominus successivamente, perché ad es. il suo titolo di acquisto è stato posto nel nulla con effetti retroattivi.
Al fine di garantire la speditezza dei traffici giuridici, la legge tutela prevalentemente l’acquirente, che, a determinate
condizioni, acquisisce il bene.

2. La regola di possesso vale titolo = è inerente perciò ad un modo di acquisto della proprietà a titolo originario -
si utilizza tradizionalmente l’espressione possesso vale titolo per indicare il fatto che il possesso qualificato supplisce la
mancanza di un titolo valido di trasferimento.

L’ambito di applicazione della regola è circoscritta ai beni mobili non registrati (anche beni mobili registrati in base
all’art 1153 qualora non sia stata effettuata in concreto la registrazione) - la regola non vale per i beni pubblici e
demaniali.
Presupposto della regola è la mancanza di legittimazione dell’alienante – così come la terzietà dell’acquirente rispetto
al vecchio proprietario - l’acquirente non può invocare l’applicabilità della norma per ipotesi di legittimazione
dell’alienante – la legittimazione deve essere contrattuale e possessoria (si esclude il falsus procurator e gli acquisti
mortis causa perché la norma è riferita solo agli atti inter vivos).
La norma è posta a favore dell’acquirente e se preferisce, può rinunciare a giovarsene, chiedendo la risoluzione del
contratto.
L’acquisto a non domino determina l’estinzione dei diritti minori che gravavano sulla cosa, a meno che l’acquirente
fosse a conoscenza della loro esistenza o ne potesse venire a conoscenza con un minimo di diligenza.
Il fondamento di questo modo di acquisto della proprietà sta nella sicurezza che attribuisce al compratore di cosa
mobile, al quale per essere sicuro di aver comprato bene, è sufficiente che consegua in buona fede il possesso della
cosa.
La regola riguarda solo un bene determinato quindi non è titolo idoneo l’istituzione dell’erede ma neanche il legato
poiché il legato di cosa dell’onerato o di un terzo è nullo - anche transazione e divisione non possono costituire titolo
idoneo per la loro natura dichiarativa e non traslativa.

3. Gli elementi della fattispecie ex art 1153, sono considerati:

1. Il titolo idoneo = ovvero la causa traditionis che giustifica la consegna del bene mobile a non dominio.
Esso è un atto di disposizione che ha per oggetto o un diritto altrui o un diritto inesistente, quindi: contratti con
efficacia reale, negozi unilaterali, provvedimenti giurisdizionali o amministrativi, la vendita e l’assegnazione

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forzata - si discorre attraverso l’espressione “titolo astrattamente idoneo”, in quanto esso deve essere in sé e
per sé valido, garantendo la titolarità del disponente.
Se il titolo è nullo (tranne se la nullità dipenda dalla mancanza di titolarità dell’alienante) è esclusa la
protezione dell’acquirente - se il titolo è annullabile, è idoneo finché non venga annullato.
Si reputa che l’onere della prova dell’idoneità del titolo sia a carico dell’acquirente, non potendo presumersi
per la semplice consegna della cosa, perché potrebbe derivare anche da rapporti non traslativi della proprietà.

2. La buona fede al momento della consegna = è la buona fede ex art 1147.

3. La consegna= deve essere effettiva e non simbolica, ad iniziativa dell'alienante non dominus o di un suo
delegato, in modo da realizzare il venir meno nell'alienante dell'animus possidendi e del corpus possessionis e
la corrispondente situazione di possesso reale da parte dell'acquirente, incondizionata dalla volontà del tradens.
È necessaria una traditio effettiva e una traditio brevi manu che utilizzi una consegna reale già effettuata dal
non proprietario, prima dell’alienazione, a titolo diverso.

L’interesse del terzo proprietario è diretto a soccombere di fronte a un interesse valutato come di ordine superiore -
l’interesse a una sicura, ampia e rapida circolazione dei beni mobili.

4. La buona fede: la buona fede nel possesso da parte dell'acquirente va presunta ai sensi dell'art. 1147 c.c. (“È
possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto. La buona fede non giova se l'ignoranza
dipende da colpa grave. La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto”), con la conseguenza
che l'onere della prova di una eventuale mala fede o colpa grave che escluda gli effetti di cui all'art. 1153 c.c. a favore
del possessore, spetta a chi rivendica il bene.
La presunzione di buona fede dell’acquirente a non dominio può essere vinta tramite presunzioni semplici, purché gravi
precise e concordanti - la presunzione non è applicabile alla detenzione, neanche se qualificata - il detentore è
consapevole che il suo rapporto fisico con la cosa deriva da altri che ne ha il possesso - la presunzione è superata nei
casi in cui l’acquirente abbia dubitato (attraverso verifica catastale) che l’alienante fosse proprietario del bene.
Vige la regola della mala fides supervienens non nocet - cioè il possesso di buona fede rimane tale anche se
sopravvenga la scienza del soggetto di ledere l’altrui diritto - ex art 1147 c3 la buona fede basta che vi sia al tempo
dell’acquisto oltre ad essere presunta.
Il possessore di beni ereditari è in buona fede se ha acquistato il possesso ritenendo per errore di essere erede o legatario
ex art 535.

L’ignoranza: Ignorare di ledere l’altrui diritto significa essere nella convinzione di esercitarne uno proprio – di aver
acquistato un diritto sulla cosa per mezzo di un valido titolo - per avere buona fede è necessario un elemento
psicologico, ovvero un comportamento conforme ai criteri di diligenza e prudenza, che prescinde da un comportamento
oggettivo.
Per la giurisprudenza è necessario che vi sia un’opinio domini – il convincimento di poter esercitare sulla cosa
posseduta un diritto di proprietà o altro diritto reale senza ledere la sfera giuridica altrui – è però preferibile una
concezione tradizionale negativa della buona fede, ovvero la semplice ignoranza basta.
La buona fede non giova se l’errore dipende da colpa grave – essa è data anche dal semplice sospetto - corrispondente
ad elementari regole di prudenza - di versare in una situazione illegittima.

La colpa grave: essa si fonda su categoria sociale e condizioni intellettuali del possessore, tempo, luogo e ogni altra
modalità dell’acquisto del bene o una sua qualità – e per quanto riguarda l’atteggiamento psichico del soggetto bisogna
valutare il dubbio che egli abbia avuto circa il diritto di alienare o la regolare provenienza della cosa.
La colpa viene considerata in dottrina come una situazione psicologica del soggetto non accostabile né a buona né a
malafede – il soggetto può dirsi in colpa se permette anche involontariamente la realizzazione di un evento lesivo,
evitabile mediante l’osservazione di quella regola.
La buona fede non giova se l’ignoranza è determinata da colpa grave ma non in caso di negligenza (colpa non grave) -
però, ex art 2043 il soggetto riversa in responsabilità se ad integrare un illecito è colpa lieve.

Conoscenza e ignoranza coesistenti: questa è una situazione intermedia tra buona e mala fede.
La malafede è scienza e non dubbio, la buona fede è ignoranza incosciente, il dubbio è consapevolezza di non sapere -
se essere in buona fede significa ignorare, nei casi di dubbi gravi e incompatibili con l’ignoranza del soggetto, egli
non può essere in buona fede. Il dubbio grave è incompatibile con l’ignoranza, esso è stato psicologico assimilabile al

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sospetto, quindi chi ha ricevuto la consegna non può sostenere di non aver voluto l’evento lesivo - il dubbio lieve è
compatibile con lo stato di buona fede.

5. La donazione di beni altrui = per alcuni essa è nulla in base divieto di donazione di beni futuri e quindi non sarebbe
titolo astrattamente idoneo – altri la ammettono valida prevedendo anche una donazione ad effetti obbligatori (arricchire
non tramite un diritto ma attraverso un’obbligazione) e quindi se i beni sono mobili ci sarà una tutela ex art 1153.
Se la donazione è nulla, la nullità attiene alla carenza di titolarità dell’alienante e quindi di per sé è valida ai fini del
1153 (che sana il difetto di legittimità).
È stata confermata anche dalla più recente giurisprudenza - tutto questo perché la donazione non può avere ad oggetto
soltanto un atto traslativo della proprietà.

6. I titoli di credito = l’art 1157 rimanda al libro V che sancisce che chi ha acquistato in buona fede il possesso di un
titolo di credito non è soggetto a rivendicazione – in ipotesi in cui il titolo di credito venga messo in circolazione o
trasferito senza o contro la volontà del sottoscrittore sia per invalidità del negozio di rilascio o di trasmissione sia in
seguito di spossessamento involontario.
Ci si chiede quindi se l’art 1194 e 1153 siano uguali dato che il principio è lo stesso - gli interrogativi sono:
- La norma sancisce un modo di acquisto del diritto di proprietà sul titolo o si limita a garantire il possesso qualificato
impedendo la rivendica?
- La tutela è limitata all’acquisto a non dominio o anche a quella dominio sanando i vizi di validità del trasferimento?
- Tutela una situazione di fatto (come l’art 1153) o una situazione di appartenenza?

20. ART.1154 cc:

L’art.1154 cc (conoscenza dell’illegittima provenienza della cosa) afferma che:


“A colui che ha acquistato conoscendo l'illegittima provenienza della cosa non giova l'erronea credenza che il suo
autore o un precedente possessore ne sia divenuto proprietario.”

Si evita che il rivendicante debba dimostrare la malafede dell’acquirente rispetto a ciascuno dei possessori intermedi e a
ciascuno di essi rispetto a quelli anteriori.
Ipotesi tipiche sono quando la cosa mobile è stata messa o rimessa in circolazione mediante un fatto lesivo del diritto
altrui (passato dopo che l’alienante è stato chiamato in azione di rivendica da parte del proprietario spogliato) oppure il
vizio non è stato sanato da un acquisto intermedio di buona fede.
Questo principio non trova applicazione all’infuori della materia mobiliare e non trova applicazione l’art 1147 c.3
(ignoranza dipende da colpa grave).
L’art 1155 risolve il conflitto tra più acquirenti del medesimo bene mobile – “Se taluno con successivi contratti aliena a
più persone un bene mobile, quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche
se il suo titolo è di data posteriore”.
Per i beni immobili e per quelli soggetti a registrazione, non potendo operare la regola possesso vale titolo, il conflitto è
risolto diversamente: acquista la proprietà il soggetto che trascrive per primo e l’acquisto del trascrivente più solerte
rimane a titolo derivativo.

21. ART. 44 legge fallimentare =


Contesto art.1153 cc.

L’art. afferma che: “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento
sono inefficaci rispetto ai creditori.
Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.
Fermo quanto previsto dall'articolo 42, c.2, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso
della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma.”

L'art. stabilisce, come conseguenza del fatto che il fallito perde l'amministrazione e la disponibilità del suo patrimonio
(art. 42 l. fall.), che ogni atto da lui compiuto successivamente al fallimento sia potenzialmente lesivo degli interessi dei
creditori e quindi inefficace.
Vi è quindi una tutela per i creditori del fallito sorti anteriormente alla dichiarazione di fallimento - l’art 44 li tutela
statuendo che gli atti compiuti dal fallito o i pagamenti post sentenza sono inefficaci - ma allora l’art 1153 opera dato
che la norma non prevede riserva per gli effetti del possesso di buona fede.

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Parte della dottrina ritiene che rilevi se non rileva dal titolo lo stato e se l’acquirente ignorava senza colpa grave, la
condizione di fallito dell’alienante - altra teoria dice che l’inefficacia si estende anche ai terzi acquirenti di buona fede.
È valido l’acquisto per il sub acquirente.

22. IL POSSESSO E L’AZIENDA=


Contesto art. 1153.

Questioni = La prima attiene ai rapporti giuridici, cioè ai debiti, ai crediti e ai contratti, rispetto ai quali ci interroga sul
fatto che siano o meno compresi dalla definizione aziendale.
Ci si chiede, in altri termini, se i diritti di credito concorrano ad integrare il complesso aziendale o se, al contrario, ne
siano esclusi - accogliendo la prima alternativa va verificato se il possesso possa riguardare anche tali diritti di credito.
Ancora in via preliminare ci si domanda se il possesso sottenda ai singoli beni che compongono il complesso oppure, in
modo unitario, all'azienda, intesa come una singola res.

I beni dell’azienda = Ai sensi dell'art. 2555 c.c. “l'azienda è il complesso dei beni organizzato dall'imprenditore per
l'esercizio della sua impresa”. Gli elementi di problematicità derivano dal raccordo tra la citata disposizione e l'art. 810
c.c., nel quale i beni vengono definiti come “le cose che possono essere oggetto di diritti”.
In merito, la dottrina si divide in 2 correnti di pensiero:

1. La tesi c.d. restrittiva interpreta il combinato degli artt. 810 c.c. e 2555 c.c. reputando che al complesso
aziendale sottendano solamente i beni (in senso stretto) organizzati dall'imprenditore - per tale ragione si
esclude che i rapporti giuridici relativi all'impresa facciano parte dell'azienda.
2. Se no c’è la tesi omnicomprensiva – che ritiene che i beni di cui all'art. 2555 c.c. abbiano una valenza diversa e
maggiore rispetto alla definizione dell'art. 810 c.c., tale da comprendere anche i rapporti giuridici - si può
quindi affermare che la nozione di bene di cui all'art. 2555 c.c. viene qui intesa in senso lato.
La giurisprudenza aderisce alla tesi omnicomprensiva.

3. La natura dell'azienda = La nozione di azienda appare difficilmente inquadrabile nella classificazione dei beni
giuridici contenuta nel libro III cc, se non a costo di qualche adattamento.
L'azienda può essere composta sia da beni mobili che immobili – quindi il complesso aziendale non può ridursi solo ad
una delle 2 categorie - essa differisce anche dalla universalità, poiché quest'ultima deve necessariamente comporsi di
soli beni mobili - rispetto ad essa, l'azienda si differenzia perché le utilità che la compongono sono accomunate
dall'organizzazione dell'imprenditore e non dall'appartenenza ad un unico proprietario.
Le principali teorie che, nel tempo, sono state elaborate in dottrina sulla natura giuridica dell'azienda sono:

1. Una tesi vede nell'azienda una cosa composta funzionale - caratterizzata dalla ricorrenza di nessi funzionali fra
le sue parti componenti.
2. Un altro orientamento reputa che il complesso aziendale integri un bene mobile ed immateriale - la
convinzione si origina dall'art. 812 c.c. che, per un verso, ha carattere tassativo, e per l'altro verso, non
annovera l'azienda fra i beni immobili - se ne dovrebbe dedurre, in via residuale, la sua natura mobiliare.
3. La tesi c.d. atomistica ritiene che l'azienda possa vantare una natura unitaria solamente quando è oggetto di
cessione mentre, nella sua fase statica, essa non potrebbe essere intesa come un unicum.
4. Vi è poi una tesi secondo cui l'azienda dovrebbe essere intesa come un'universalità - un indice normativo in tal
senso si individua nell'art. 670 c.p.c. che sembra riferirsi all'azienda come ad un'universalità.

L'azienda presenta dei profili di eterogeneità rispetto all'unica universalità disciplinata dal cc, ovvero a quella di cose
mobili - ciò ha indotto il pensiero giuridico ad elaborare delle ulteriori categorie:

1. L'universitas iuris - universalità di diritto, nelle quali l'unificazione degli elementi viene statuita dalla legge - in tale
contesto l'azienda viene intesa come un'universitas iuris.
2. L'universitas rerum - universalità di fatto, l'azienda potrebbe qualificarsi come un'universalità caratterizzata
dall'organizzazione impressa dall'imprenditore - il collegamento funzionale fra le singole componenti aziendali, infatti,
qualificherebbe il complesso come un'utilità diversa dalla mera somma delle sue componenti - perché capace di
soddisfare dei peculiari e specifici interessi, che sarebbero altrimenti irraggiungibili utilizzando le parti del complesso
singolarmente considerate.

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In altri termini, l'organizzazione farebbe venir meno l'individualità giuridica dei singoli componenti dando rilievo a
quella dell'insieme – essa accomunerebbe le utilità del complesso indipendentemente dal fatto che esse siano
qualificabili come beni mobili, immobili o diritti di credito.
Tale orientamento è condiviso dalla giurisprudenza, che qualifica l'azienda come un'universitas rerum.

4. L'oggetto del possesso in ambito aziendale: Una questione controversa riguarda la situazione giuridica soggettiva
dell'imprenditore in relazione alla propria azienda.

Una tesi ritiene che sull'universalità di fatto insista universitas iurium - l'unificazione logico-giuridica dei beni del
complesso aziendale non comporterebbe l'unicità del diritto del suo titolare - esisterebbero tanti diritti (reali e/o
personali) quanti sono i beni del complesso aziendale, così che su di esso non insisterebbe un unico diritto, ma un fascio
di diritti.
Una diversa opinione ritiene che quella sopra esposta sia un'inutile duplicazione di concetti, e che sull'universalità di
beni insisterebbe un unico diritto - si reputa che l'universalità si atteggi come un bene complesso, formato da altri beni,
sul quale insisterebbe un solo diritto, anche esso complesso, avente ad oggetto sia l'universalità, sia i beni che la
compongono.

5. Il possesso dell’azienda = la possibilità di configurare il possesso dell'azienda, secondo la giurisprudenza,


deriverebbe dalla lettera dell'art. 670 cpc, ai sensi del quale “il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario di
un'azienda quando ne è controversa la proprietà o il possesso”.
Ad ulteriore conferma si ricorda che il possesso consiste in una situazione di fatto corrispondente all'esercizio della
proprietà o di un altro diritto reale - la legge, ai sensi degli prevede che l'azienda possa essere oggetto di proprietà e di
usufrutto e da ciò si deduce che essa possa essere anche essere posseduta.
Ammettendo che sull'azienda insista un unico diritto, si conviene che anche il possesso concerna l'intera azienda, oltre
che le sue singole componenti.
Ciò premesso, può ammettersi la possibilità di usucapire l'intero complesso quando ricorrano le condizioni previste
dalla legge. Resta da chiedersi che cosa sia usucapibile.
Se si accoglie la tesi restrittiva dell'azienda, non si dubita che l'oggetto del possesso verta unicamente sui beni aziendali,
il cui acquisto a titolo originario non pone particolari problemi.
Se si opta per la tesi omnicomprensiva, per la quale la definizione di azienda ex art. 2555 c.c. include anche i rapporti
giuridici, la costruzione dogmatica diventa più complessa - ai sensi dell'art. 1140 c.c., infatti, il possesso è il potere sulla
cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o di un altro diritto reale. Il
riferimento al termine "cosa" farebbe senz'altro dubitare che esso possa configurarsi in relazione ai diritti di credito.
Di parere opposto sono le Sezioni Unite della Cassazione, che con la sentenza 5087/2014, hanno precisato che la
nozione di cosa non deve intendersi in modo naturalistico, ma in modo economico-sociale, sicché non sarebbe illogico
trattare come cosa tutti quei possibili oggetti di rapporti giuridici che non hanno natura corporea.

6. Conclusioni = Appare configurabile una situazione di possesso che verta sull'intera azienda, intesa unitariamente e,
cioè, come un quid pluris rispetto alle sue singole componenti, tra le quali vanno annoverati anche i diritti di credito.
In tale ottica si condivide pienamente la tesi giurisprudenziale secondo cui l'azienda, quale complesso dei beni
organizzati per l'esercizio dell'impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli componenti,
suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapito. Si
ricorda che, secondo la Cassazione non trova applicazione la regola del possesso vale titolo prevista dall'art. 1153 c.c.,
la cui applicazione sarebbe impedita dal successivo 1156 c.c.
Infine, quanto alla tutela, a parere di chi scrive, è ammessa l'applicabilità dell'art. 1140 c.c. in relazione all'azienda, non
può dubitarsi della possibilità di adire al giudice civile per ottenere la reintegrazione o la manutenzione.

23. L’USUCAPIONE:
1. Nozione = L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà mediante il possesso continuativo
del bene immobile o mobile per un periodo di tempo determinato dalla legge.
L'usucapione è l'effetto principe del possesso - si realizza per il solo fatto del possesso continuato per 20 anni, senza
bisogno dell'intervento del giudice né dell'accordo tra le parti.
Il fondamento dell’usucapione è in un’esigenza di ordine generale, che è quella di eliminare le situazioni di
incertezza circa l’appartenenza dei beni.

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2. Requisiti = L'art. 1158 del cc. disciplina in via generale l'istituto prevedendo che “la proprietà dei beni immobili e
gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per 20 anni” - tale
regola non si applica alle cose extra commercium. Devono esserci i seguenti requisiti:

a) Possesso = deve trattarsi di un possesso continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico; non occorre l'elemento soggettivo
della buona fede, perché il possessore può anche essere in mala fede – non deve trattarsi di detenzione.
b) Attività= deve corrispondere all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale - non sono suscettibili di usucapione i
diritti personali.
c) Tempo = occorre che il possesso si protragga ininterrottamente per 20 anni e che sia accompagnato dall'intenzione di
esercitare un potere sulla cosa, sia direttamente che tramite il detentore.
d) Animus = di comportarsi come proprietari - non è richiesto anche l'animus usucapiendi, cioè l'intento di pervenire
all'acquisto della proprietà o di altro diritto reale per usucapione.

Non sono usucapibili i beni demaniali e del patrimonio statale, mentre i beni del patrimonio indisponibile dello
stato sono usucapibili a patto che la loro destinazione tipica non venga mutata dal possesso stesso.

3. Il tempo = Il decorso del tempo ha inizio con l'acquisto del possesso, che permette di individuare con certezza
l'acquisto dell'animus e del corpus.
Il possesso di buona o malafede rileva solo sulla durata del possesso necessario per usucapire – il possesso deve
essere goduto alla luce del sole, se è stato conseguito con violenza o clandestinità l’usucapione inizia a decorrere
da quando queste sono cessate.
L’interruzione è la perdita provocata da un fatto di terzi (spoglio per 1 anno) o da una domanda giudiziale da parte del
proprietario contro il possessore tesa a recuperare il possesso della cosa - La sospensione dell’usucapione inizia a
decorrere dal giorno in cui il titolare del diritto si trova nella condizione di poter rivendicare la proprietà o il diritto reale
che il possessore intende usucapire, ad es. è interdetto e senza rappresentante legale – la rinuncia invece deve risultare
in una dichiarazione di volontà o in una manifestazione tacita.

Il tempo per l’usucapione varia a seconda che le cose siano: beni immobili 20 anni, beni mobili 10 anni
1. Cose immobili, cose mobili in caso di malafede e università dei mobili – 20 anni.
2. Beni mobili registrati, beni mobili con buona fede, beni immobili acquistati da chi non ne è proprietario, in buona
fede e in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà, debitamente trascritto, universalità di mobili, se acquistati in
buona fede da chi non ne è proprietario, con titolo idoneo – 10 anni.

4. Il compossesso = il comproprietario può usucapire la proprietà esclusiva della cosa comune solo possedendola, per il
tempo necessario, in un modo inconciliabile con la possibilità di fatto di un godimento comune, ad es. se la cosa viene
attratta nella sua sfera materiale di disponibilità, escludendo completamente il compossesso da parte degli altri.

5. Usucapio libertartis: nella tradizione romanistica l’usucapiente, se ha posseduto la cosa libera da pesi o da diritti
reali altrui, ne acquista la proprietà libera e piena e i diritti sulla cosa costituiti dall’antico proprietario non sono
opponibili all’usucapiente neanche se trascritti – se invece la cosa è stata posseduta come gravata da un diritto altrui,
questo sopravvive all’usucapione.
Gli eventuali pesi e diritti altrui che gravavano sulla cosa si considerano estinti ove risulti che non siano mai stati fatti
valere durante il periodo necessario all’usucapione.
Esso è l’istituto giuridico, noto alla tradizione romanistica ma privo di testuale base normativa nel vigente cc, che
riguarda l’effetto acquisitivo della libertà di un immobile dai pesi che lo gravano e dai diritti in re alinea ancorché non
siano maturati i termini del non uso.
Attualmente, tale principio, tipico del diritto romano, non è configurabile nel nostro ordinamento giuridico, poiché
quest’ultimo non riconosce la possibilità di usucapire il diritto alla libertà di un immobile da vincoli o diritti di terzi,
essendo soltanto ipotizzabile la PRESCRIZIONE ESTINTIVA PER NON USO, dei diritti reali parziali gravanti
sull’immobile stesso.
La dottrina maggioritaria di Montel sostiene che non si applichi l’istituto – poiché i diritti parziari sono autonomi, hanno
esistenza propria anche se sorti per derivazione del diritto di proprietà – essi sono estranei alle vicende della proprietà –
l’usucapione elimina la proprietà ma non elimina i diritti parziari.

7. Retroattività dell’usucapione: il principio della retroattività reale dell’usucapione implica che l’usucapiente sia
ritenuto titolare del diritto di proprietà da quando ha cominciato a possedere la cosa - opera limitatamente ai casi in
cui occorra sanare o rendere certe e definitive situazioni cui solo questi abbia dato luogo con atti intermedi.
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Chi usucapisce va ad essere reputato proprietario fin dall’inizio della situazione che lo ha condotto a far dichiarare
giudizialmente intervenuta la modalità di acquisto a titolo originario del bene.

8. Comunione legale: Bisogna riferirsi al momento dell’acquisto, per la ricaduta in comunione – se il coniuge è
diventato proprietario manente comunione, il bene sarà oggetto della comunione – se esercitava il possesso prima del
matrimonio, il bene non entrerà a far parte della comunione.

È POSSIBILE USUCAPIRE NON SOLO IL DIRITTO DI PROPRIETA’ MA ANCHE ALTRI DIRITTI


REALI DI GODIMENTO:

9. Usucapione del diritto di usufrutto = L'art. 978 cc sancisce che l'usufrutto può acquistarsi anche per usucapione -
avviene attraverso il possesso della cosa per il tempo previsto dalla legge, in maniera continuata, ininterrotta e
corrispondente all'esercizio del diritto di usufrutto - nella pratica, tuttavia, non sempre è agevole distinguere
l'usucapione del diritto di proprietà dall'usucapione del diritto di usufrutto.
L’usufrutto acquistato per usucapione nasce a titolo originario – si possono usucapire cose mobili, universalità di
mobili – in 3 anni.
L’usufrutto su cose immobili o mobili registrati si può acquistare per usucapione abbreviata col possesso
dell’usufrutto durato 10 anni – se l’acquirente abbia conseguito il possesso in buona fede da un non dominus che gli
abbia costituito l’usufrutto con un negozio in sé valido – quindi deve esserci il possesso, la buona fede, il decorso del
tempo e la trascrizione del titolo.

10. Usucapione del diritto di superficie = Il diritto di superficie è un diritto reale minore di godimento disciplinato
dall'art. 952 e ss. cc, che consiste nell'edificare e mantenere una costruzione al di sopra (o al di sotto) di un fondo di
proprietà altrui - la costituzione di questo diritto vale a sospendere il principio di accessione.
Allo stesso modo si può alienare la proprietà della costruzione già esistente separatamente dalla proprietà del fondo,
vendendo il solo diritto di superficie.
Se non diversamente specificato dal contratto, il diritto si intende concesso a tempo indeterminato - in caso di cessione a
tempo determinato, una volta scaduto il termine, il diritto di superficie si estingue e riprende vigore il principio di
accessione, con la conseguenza dell'acquisto della proprietà della costruzione da parte del proprietario del suolo (la
cosiddetta elasticità del dominio).
Il diritto di mantenere una costruzione (non quello di edificare) è suscettibile di usucapione: costruita la casa, opera il
principio di accessione, ma l’usucapione opera in forza del possesso ventennale della costruzione accompagnato da atti
di riconoscimento dell’altruità del fondo (altrimenti ci si avrebbe usucapione della proprietà del fondo).
Nei condomini accade che i condomini siano comproprietari dell’area su cui insiste l’edificio ed abbiano,
individualmente, diritto di superficie sulla stessa in relazione alle loro porzioni di proprietà solitaria.
É anche possibile che il diritto di superficie riguardi la sopraelevazione di un preesistente edificio.
Se la costruzione perisce, il superficiario avrà diritto di ricostruire, ma dal momento del perimento della costruzione
comincerà a decorrere il termine ventennale di prescrizione.

11. Usucapione e servitù = la servitù di passaggio è un diritto reale che consiste in un peso imposto su un fondo per
l’utilità di un fondo vicino appartenente ad altra persona - serve a rendere più agevole l’accesso ad un fondo intercluso.
Una servitù di passaggio viene normalmente costituita per atto scritto: tu e il tuo vicino potreste trovare un accordo e
costituirne una - nel caso di mancato accordo, potresti adire il tribunale e chiedere che la servitù venga imposta.
Servitù di passaggio: si può usucapire? La legge afferma che possono acquistarsi per usucapione solo le servitù
apparenti - le servitù il cui concreto esercizio risulta dalla presenza di opere sul fondo servente (cioè, su quello gravato
dalla servitù) – ad es. con la presenza di strade, tracciati, percorsi, idonei ad attestare l’esistenza della servitù.
È necessario, ovviamente, che tale esercizio di protragga nel tempo (20 anni) in maniera ininterrotta, pacifica e
pubblica.
Il problema è quello di vedersi giuridicamente riconosciuta tale servitù - il proprietario del fondo servente, infatti, ben
potrebbe decidere di chiudere la via d’accesso, in quanto il fondo è di sua proprietà. Come fare a dimostrare che, nel
corso degli anni, è stata usucapita una servitù di passaggio?
Per dimostrarla bisogna provare l’esistenza di una serie di requisiti - non basta dimostrare che hai esercitato il passaggio
sul fondo per 20 anni ma, per ottenere una sentenza favorevole, dovrai provare:
 l’esistenza di opere visibili e permanenti per tutto il tempo necessario all’acquisto per usucapione (strade,
tracciati, segni vari, ecc.).
 che queste opere rendano percepibile e manifesta, agli occhi di tutti, l’esistenza di una servitù di passaggio.

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 che le medesime opere siano inequivocabilmente destinate all’esercizio della servitù.

Tutte queste caratteristiche devono sussistere sin dall’inizio dei 20 anni necessari ad usucapire: ad es. non potrai
acquistare il diritto per usucapione se per 15 anni hai transitato sul fondo vicino ma non esisteva un percorso visibile,
che poi è stato realizzato solo negli ultimi 5 anni - non è sufficiente provare l’esistenza di un tracciato riconoscibile sul
fondo del vicino, ma occorre dimostrare che quella strada o quel percorso sono stati realizzati allo scopo esclusivo di
consentire il passaggio di persone e/o veicoli - solo così si può oggettivamente presumere che il proprietario del fondo
servente (quello che si affaccia sulla pubblica via) si sia reso conto dell’esistenza del diritto e non l’abbia ostacolato per
vent’anni - occorre dimostrare che il diritto di passaggio non è stato esercitato in modo precario o occasionale, ma che
esiste un preciso onere che il nostro vicino sopporta in maniera stabile e permanente.
Va poi sottolineato che se il proprietario del fondo servente vende il terreno, i vent’anni necessari per l’usucapione non
verranno interrotti - potrai quindi dimostrare che esercitavamo la servitù anche con il vecchio proprietario.
È tenuto a distinguere il passaggio esercitato in forza di tolleranza del proprietario da quello esercitato uti dominus
(come proprietario), valorizzando quest’ultimo al fine di verificare la maturazione del termine minimo per usucapire il
diritto.

24. L’USUCAPIONE DELLA CASA FAMIGLIARE =

Ogni volta che il possesso di un immobile altrui avviene per semplice amicizia o spirito di tolleranza da parte del
titolare, come avviene nei rapporti familiari, non può scattare l’usucapione – questo perché la signoria di fatto sul bene
non deve essere dovuta a "mera tolleranza".
L’usucapione si verifica ogni volta nella quale il possesso del terzo sull’immobile si verifica a causa del completo
disinteresse da parte del legittimo proprietario sul bene di sua proprietà - questo non succede nei casi di accoglienza tra
fratelli e sorelle, genitori e figli, anche tra amici.
In simili casi si ha un prestito, o detto meglio in termini giuridici, un contratto di comodato, anche se esclusivamente
verbale, senza nessun documento scritto - l’esistenza di un rapporto contrattuale esclude a priori la possibilità
dell’usucapione - un figlio non può usucapire la casa del padre e della madre.
Stesso discorso si ha nella circostanza nella quale un figlio ottiene in prestito, da un genitore, la casa dello stesso, in
modo da adibirla a residenza della sua famiglia - ad es., un giovane appena sposato che non ha una casa dove abitare -
anche in simili ipotesi, il possesso dell’immobile avviene a titolo di comodato, vale a dire in seguito a un prestito,
nonostante non venga formalizzato attraverso una scrittura privata.
Nonostante questo, si potrebbero verificare situazioni, nelle quali un figlio possa vantare l’usucapione sulla casa dei
genitori – ad es. il caso di un giovane che, chiedendo le chiavi della casa dei genitori, si insedi nella stessa e fissi la sua
residenza senza però avere mai chiesto nessun permesso al padre e alla madre - i genitori sono al corrente e non fanno
niente, per più di venti anni, per impedirglielo - il figlio, da parte sua, non contento di abitare nell’immobile, inizia ad
effettuare lavori. In simili casi, dopo 20 anni, egli si potrà “intestare” la casa, essendone diventato il titolare
nell’indifferenza dei legittimi, diventati ex proprietari, alias i suoi genitori.
Nel caso in cui vi siano due genitori divorziati con un figlio affidato alla madre, si vuole tutelare la prole, quindi se la
casa è del padre, è possibile che la madre detenga un diritto reale sulla casa.
Nell’ipotesi di coniuge proprietario estromesso, egli ha un diritto reale di abitazione – strumentale per conservare la
realtà domestica - se il coniuge estromesso era locatario o comodatario, l’assegnatario gli succederà nel contratto –
attraverso una successione.

25. L’USUCAPIONE ABBREVIATA:

L'art. 1159 c.c. disciplina, poi, la c.d. usucapione breve e cioè l'usucapione decennale - prescrivendo che colui che
acquista, in buona fede da chi non è proprietario, un immobile, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la
proprietà e che sia stato debitamente trascritto - ne compie l'usucapione in suo favore col decorso di 10 anni dalla data
della trascrizione - la stessa disposizione si applica nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un
immobile.
Gli elementi dell'usucapione breve sono: la buona fede (deve essere presente al momento dell’acquisto del bene – non
rileva la malafede sopravvenuta), un titolo idoneo e la trascrizione dello stesso.
L’usucapione abbreviata, si verifica in forza dell’acquisto in buona fede di un immobile da chi non era proprietario, e il
possesso deve durare in modo continuato e ininterrotto, per 10 anni e in presenza di determinati requisiti.

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La trascrizione del contratto deve essere relativa all’immobile che si è voluto trasferire e del quale si sostiene l’acquisto
per decorso del decennio – quindi un contratto astrattamente idoneo a trasferire la proprietà dell’immobile, ad es., una
vendita – a partire dalla data del contratto, decorre il termine decennale previsto per l’usucapione abbreviata.
Ad es.: Tizio acquista una casa da Caio, si reca dal notaio e firma il rogito. Passano 11 anni e si fa avanti Sempronio,
fratello di Caio, il quale sostiene che l’atto di vendita è nullo. L’immobile in parte era anche suo, per averlo ereditato
dal padre. In presenza di una simile circostanza, Tizio può rivendicare l’usucapione per avere firmato un contratto
nonostante fosse viziato per via del difetto di proprietà.

26. L’IMMEMORABILE:

Questo istituto è spesso associato all’usucapione – esso si basa sulla presenza di una situazione in cui è presente un
determinato stato di fatto, non smentito da nessun documento e non ostacolato da alcuna opposta circostanza che si
ricordi a memoria d’uomo, deve ritenersi conforme a diritto.
Dottrina e giurisprudenza distinguono l’usucapione – inteso come acquisto della proprietà – dall’immemorabile – che
non sarebbe un modo di acquisto, ma il presupposto per considerare esistente un diritto.
Tuttavia l’usucapione oltre che a un modo di acquisto della proprietà è anche un modo per provarla – chi possiede da
tempo immemorabile invece potrà, se non dispone di un titolo usuale, fondare il suo diritto proprio su questo tipo di
possesso prolungato. L’istituto dell’immemorabile, abolito dall’art. 630 cc del 1865 e non riprodotto nel codice del
1942, se può dirsi non più compatibile con le norme in tema di prescrizione e usucapione previste nei rapporti tra
privati, sopravvive nel diritto pubblico.

27. LA CIRCOLAZIONE DEL POSSESSO:

La peculiarità del possesso è che esso, pur essendo una situazione di fatto, produce effetti di rilievo. Il che risulta
evidente nell’acquisto ex art. 1153, relativo alle cose mobili, e in quello ad usucapionem, regolato dagli artt. 1158 e ss.,
relativo ad i beni immobili.
In entrambi i casi il possesso unito a determinati presupposti può comportare l’acquisto della proprietà a titolo
originario e trasformare una situazione di fatto in una situazione di diritto.
L’art. 1153 detta la regola “possesso vale titolo” - per esigenze di celerità e di circolazione dei beni, infatti, il
possessore in buona fede di un bene mobile munito di un titolo astrattamente idoneo può acquistare il bene stesso. Per
quanto riguarda i beni immobili è sufficiente per il loro acquisto il possesso indisturbato e non violento protratto per un
determinato periodo di tempo, mentre la buona fede e il titolo astrattamente idoneo rilevano ai fini del tempo
necessario.

Acquisto e circolazione del possesso: Se, infatti, l'orientamento storicamente dominante ha sempre propeso per una
nozione di possesso in termini di situazione di fatto, negli ultimi anni gli studiosi hanno ripensato alla categoria
giuridica sotto cui sussumere il possesso.
Pertanto, parte della dottrina, al fine di ammettere il trasferimento del mero possesso, lo ha qualificato in termini di
diritto soggettivo, così da ammettere la sua libera circolazione contrattuale, indipendentemente dal diritto reale
corrispondente. E ciò sulla base della tutela giuridica accordata al possessore - azione di spoglio e di manutenzione -
nonché della trasmissibilità del possesso, della presenza della capacità di agire di chi apprende il bene e di chi lo
traferisce, così come la permanenza della natura del possesso, caratterizzata comunque da un substrato fattuale.
Altri autori, aderendo parzialmente alla concezione soprarichiamata, considerano il possesso un diritto affievolito, alla
luce delle specificità della disciplina possessoria. Il possessore, infatti, potendo in ogni momento essere estromesso dal
godimento del bene da parte del proprietario, risulta titolare non di un diritto soggettivo pieno, ma di un quasi diritto,
di un diritto affievolito.
Altri ancora, qualificano il possesso come aspettativa, tale da garantire al possessore la possibilità di trarre vantaggi
economici e prerogative dalla situazione possessoria.
Occorre, infine, dare atto che ormai si sta affermando una tesi atta a rilevare sia la componente fattuale sia la
componente sostanziale: il possesso quale fattispecie a qualificazione plurima, si sostanzia in una attività.
È l'attività a costituire il nucleo del possesso. Pertanto, come già rilevato, oggetto di circolazione non potrà che essere la
res oggetto del possesso e non l'attività che potrà solamente essere intrapresa. Una situazione giuridica soggettiva -
rectius possessiva - diversa e non ascrivibile all'area del diritto soggettivo, tale da ammettere una circolazione
convenzionale del possesso.

1. L’interversione del possesso: essa è espressa all’art. 1141 (“Si presume il possesso in colui che esercita il potere di
fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione.
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Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga a essere
mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore.
Ciò vale anche per i successori a titolo universale.”) – costituisce un modo di acquisto del possesso a titolo originario
che si realizza con un atto giuridico unilaterale.
L’art. 1141 co. 2 c.c., esprime il principio in virtù del quale nessuno può mutare da se stesso il titolo di disponibilità
della cosa - il detentore con l’atto di opposizione, che è un atto giuridico unilaterale, acquista il possesso a titolo
originario, senza la cooperazione del possessore.
Dato che il possesso è una situazione di fatto, l’acquisto a titolo derivativo si realizza, invece, con il costituto
possessorio o con la consegna della cosa, la c.d. traditio brevi manu, la quale però, può assumere un ruolo diverso nei
contratti reali e nei contratti a effetti reali.

2. I contratti reali: essi costituiscono l’eccezione, si perfezionano e si concludono con la consegna della cosa ed è la
consegna che determina il trasferimento del diritto reale e contemporaneamente il trasferimento del possesso - il
possesso, quindi, si trasferisce contestualmente al diritto reale.
Esso è il contratto di immissione nel possesso, che è un contratto con una causa e può essere oneroso, gratuito o neutro.
Riguardo alla natura della consegna – Sacco e Caterina affermano che l’immissione nel possesso sia un suo effetto
tipico – Dusi e Sacco credono che la consegna implichi un accordo tra le parti – Rubino e Bianca non vedono
nell’accordo una dichiarazione negoziale, poiché esso non si porrebbe quale nuovo titolo di regolamento di interessi e
non richiederebbe una causa.
La forma di questo contratto se è a titolo oneroso è libera poiché la consegna e il comportamento successivo delle parti
assicurano la responsabilizzazione del consenso e la certezza dell’atto – se esso è a titolo gratuito si utilizza la forma
dell’atto pubblico, come nelle donazioni.
I vizi che può avere si distinguono a seconda che:
 siano difetti originali dell’atto – come l’incapacità del tradens (chi consegna), per la quale è possibile
esperire l’azione di manutenzione recuperatoria - in caso di consenso estorto con violenza, si può esperire
l’azione di reintegrazione.
 Ipotesi di incapacità o vizio del volere riguardo l’accipiens (chi riceve) – egli potrà agire solo per
l’annullamento del contratto.
 Ipotesi in cui l’accipiens sia inadempiente – si avrà risoluzione del contratto per inadempimento.
 Se vi è produzione di frutti – si avranno interessi compensativi sul prezzo.

3. I contratti ad effetti reali: in essi viene in rilievo il principio consensualistico, in virtù del quale la proprietà del
bene si trasferisce con il consenso.
La consegna della cosa, dunque, costituisce oggetto di un’obbligazione di tipo esecutivo - ad esempio nel contratto di
vendita l’effetto traslativo deriva dal consenso con il quale si trasferisce il diritto reale, mentre la consegna della cosa
può avvenire in un momento successivo. Dunque, in base ai principi generali se la consegna è contestuale alla
conclusione del contratto il possesso si trasferisce contestualmente al diritto reale, se invece, la consegna è differita
rispetto al contratto il possesso dovrebbe trasferirsi con la consegna e, quindi, successivamente alla conclusione del
contratto.
In tal modo, in virtù del principio consensualistico, si avrebbe il trasferimento immediato del diritto reale ed un
trasferimento postumo della situazione possessoria. L’alienante potrebbe, così, rimanere possessore fino alla consegna
del bene, esperire le azioni possessorie e addirittura usucapire.
Tuttavia, dato che, come rilevato, la volontà di trasferire la proprietà è incompatibile con la volontà di conservare il
possesso da parte dell’alienante, il trasferimento della proprietà e il trasferimento del possesso non possono che
coincidere e, quindi, il possesso si trasferisce a prescindere alla consegna, a meno che non venga in rilievo un costituto
possessorio esplicito.
L’alienante che rimane nella disponibilità del bene, dunque, è un detentore e non un possessore e, in particolare, è un
detentore non qualificato in quanto detiene nell’interesse dell’acquirente che è, invece, il possessore e come tale può
esperie le azioni a tutela del possesso già prima della consegna del bene.
Dunque, se è vero che normalmente il possesso si trasferisce con la consegna, nel caso di contratti ad effetti reali
in cui la consegna è differita rispetto alla conclusione del contratto, il possesso non può che trasferirsi al
momento della conclusione del contratto e a prescindere dalla consegna in quanto la volontà dell’alienante di
trasferire la proprietà del bene è incompatibile con la volontà di conservare il possesso.
L’orientamento prevalente, seguito anche dalla giurisprudenza ritiene, infatti, che per stabilire se l’alienante è
possessore o detentore della cosa fino alla consegna, bisogna indagare caso per caso in quanto è il contratto che

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stabilisce la regola: bisogna guardare al titolo, al contenuto del contratto e all’animus - si esclude in tal modo il
costituto possessorio implicito.

4. Il problema del trasferimento del possesso: il problema si pone in ordine a 3 figure (questi soggetti possono
cedere a un terzo il proprio possesso indipendentemente dal diritto del quale costituisce manifestazione, e se sì, potrà il
terzo invocare l’art.1146 c.2 in materia di accessione al possesso?):

1. Per un acquirente a non dominio di un bene immobile che non ha ancora usucapito o che lo ha fatto ma non ha
ottenuto la sentenza di accertamento del suo diritto.
2. Per un acquirente a dominio in base a titolo nullo di un bene immobile che ha usucapito ma non ha ottenuto la
sentenza di accertamento del diritto.
3. Per l’occupante abusivo di un terreno incolto che esercitando il possesso ad usucapionem inizia a coltivarlo.

La corte costituzionale ha tentato di dare risposta in merito all’ammissibilità di un contratto con oggetto il
trasferimento del possesso di un immobile – rispondendo sull’intrasferibilità del possesso – fondando la propria tesi
su 3 argomentazioni:

 Possesso come attività: Partendo dalla nozione di possesso dell’art. 1140 cc – l’attività non può essere
trasmissibile, dovrebbe essere intrapresa perché accompagnata dall’animus possidendi – quindi inidoneità
strutturale del possesso alla circolazione.
 La vendita: Considera poi l’art. 1470 cc, secondo il quale “la vendita è il contratto che ha per oggetto il
trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un
prezzo” – il possesso essendo potere di fatto, non rientra tra i possibili oggetti di compravendita – poiché non
ha la natura di diritto soggettivo per costituire oggetto del contratto.
 L’accessione: interpreta restrittivamente l’art. 1146 c.2 riguardo all’accessione del possesso “Il successore a
titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti” – viene prevista
la possibilità per il successore di unire al proprio possesso quello distinto e diverso dal dante causa – l’accessio
possessionis ha come presupposto l’esistenza di un titolo, anche viziato, idoneo al trasferimento della proprietà
del bene oggetto del possesso.

La dottrina dominante considera il possesso come situazione di mero fatto, non suscettibile di formare oggetto di
compravendita. Secondo Sacco e Caterina sarebbe nullo il patto di trasferimento del possesso che non inerisce a un
accordo di trasferimento della proprietà o a un riconoscimento della stessa – per illiceità o impossibilità della stessa.
Il possesso prima di essere situazione soggettiva è fattispecie di effetti – e quindi insuscettibile di formare contratti
traslativi.
Negli anni si è messa in luce la dimensione dinamica dell’attività comportamentistica del possesso – per Falzea il
possesso consiste in un comportamento orientato alla fruizione attuale e futura della cosa.
L’interesse del possesso tutelato dall’ordinamento è quello oggettivo, che si esprime attraverso l’attività possessoria.
Per questi motivi, sappiamo che un’attività non è mai trasferibile – può solo essere intrapresa – quindi potrà essere
trasferita la cosa oggetto di possesso su cui si potrà esercitare il nuovo possesso.
La consegna della cosa rappresenta l’inizio del nuovo comportamento possessorio.

6. Cosa può essere oggetto di possesso: il possesso non può quindi essere oggetto di atti traslativi – bisogna capire se
può essere oggetto di vicende circolatorie diverse dalle traslative.
Il possesso ha un valore economico, datogli dai vantaggi e dalle prerogative, poiché:
 È dotato di valore d’uso.
 È dotato di probabilità di acquisto della proprietà per usucapione.
 È un bene patrimoniale e rientra nel patrimonio del possessore con conseguenze rilevanti.

Il possesso è infatti oggetto di successione ereditaria, in quanto bene patrimoniale – ci si porta a considerare il possesso
come un’entità commerciabile.

7. Il costituto possessorio: Il costituto possessorio è un modo di acquisto del possesso a titolo derivativo che ricorre
quando il proprietario vende la cosa ad un soggetto che, contestualmente, gliela dà in locazione o in custodia. In tal
modo il precedente possessore si tramuta in detentore e il nuovo possessore diventa tale senza la necessaria consegna
della cosa che è posticipata al momento della cessazione del contratto di locazione o altro contratto. Si tratta di

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un’ipotesi in cui l’acquisto del possesso avviene senza alcun mutamento della situazione materiale ma con
l’esclusivo mutamento dello stato soggettivo, come avviene nel caso di traditio brevi manu.
Nella traditio brevi manu il precedente detentore della cosa diviene proprietario per effetto di un titolo che muta la
natura del potere di fatto esercitato sulla cosa stessa (viene in rilievo, ad es. il conduttore che acquista l’immobile
condotto in locazione). Nel costituto possessorio, invece, la situazione è inversa in quanto il precedente possessore
diviene detentore per effetto di un titolo idoneo.
Secondo l’orientamento prevalente, però, il costituto possessorio non può essere implicito. Si ritiene, infatti, necessario
valutare caso per caso la situazione. Nel sistema civilistico le uniche ipotesi di trasferimento automatico del possesso
sono la successione titolo universale e l’accessione del possesso che si verifica in favore dei successori a titolo
particolare.
Se si ritenesse ammissibile il costituto possessorio implicito si avrebbe un automatico trasferimento del possesso al
di fuori dei casi stabiliti dalla legge. Per tale motivo, secondo l’orientamento prevalente, nei contratti ad effetti reali,
dove la consegna del bene è differita, per stabilire se l’alienante rimane possessore fino alla consegna, o è detentore
rispetto all’acquirente, che è possessore a prescindere dalla consegna, bisogna guardare caso per caso, avendo riguardo
al titolo e al comportamento della parte.

8. Conclusioni: Se il possesso viene interpretato, alla stregua di tale orientamento dottrinale, come bene patrimoniale
e, quindi, commerciabile, esso può costituire oggetto di un contratto traslativo - in tal modo si trasferisce, infatti, non
la situazione di fatto, ma il “bene possesso” avente rilievo patrimoniale.
In base a tale orientamento, in particolare, deve ritenersi ammissibile un contratto reale di immissione nel possesso che
si conclude con la consegna della cosa, in quanto esso supera il giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322 cc.
Secondo Sacco e Caterina la consegna è il modo naturale di circolazione del possesso.
Tale contratto, infatti, persegue uno scopo pratico meritevole di tutela e, cioè, l’immissione nel possesso del bene;
esso, in particolare, comporta un acquisto a titolo derivativo del possesso che produce effetti anche nei confronti di terzi
che hanno il dovere di astenersi dal compiere atti che possano impedire o turbare l’attività del nuovo possessore. È
necessario infatti un atto di volontà nella ricezione della cosa. – perché l’acquisto del possesso si ritenga compiuto, è
sufficiente che chi riceve abbia conseguito la possibilità attuale e esclusiva di agire liberamente sul bene.
I sostenitori dell’ammissibilità di un contratto di immissione nel possesso rilevano, inoltre, come sia evidente il favore
espresso dal legislatore alla circolazione della ricchezza e che negare la circolazione del solo possesso equivarrebbe a
negare dei vantaggi economici in capo al possessore.
Va precisato comunque che, nonostante tali aperture dottrinali, l'orientamento tradizionale di segno negativo risulta
ancora prevalente ed è condiviso dalle pronunce giurisprudenziali intervenute sul tema che, seppure esigue, individuano
un orientamento sul punto ormai consolidato.
Il possesso si acquista in modo originario con l’ingerenza fisica e si conserva o si acquista in modo derivativo
mediante la semplice possibilità di accesso del bene.

28. LA VENDITA DEL POSSESSO:

1. Ammissibilità o meno del contratto di vendita del possesso: Ammessa, pertanto, una circolazione del possesso, e
qualificata la situazione possessoria o in termini di diritto soggettivo-diritto soggettivo affievolito, o come aspettativa, o
come situazione giuridica complessa, occorre interrogarsi sulla validità del contratto di vendita, avente ad oggetto il
mero possesso, sganciato dal diritto di proprietà e se siano o meno presenti nell'ambito dell'ordinamento fattispecie
contrattuali assimilabili al trasferimento del possesso, tali da consentire una sua generale ammissibilità.
Nell’ordinamento italiano la questione viene risolta in senso negativo, perché il possesso non è un diritto ma una
fatto giuridico, o meglio, un potere di fatto corrispondente all’esercizio di un diritto reale.
Se, infatti, da sempre è stata negata l'ammissibilità della vendita del possesso immediata e diretta, alcuni meccanismi
contrattuali hanno consentito l'ottenimento in concreto di tale risultato, in via mediata e indiretta.

2. Vendita a rischio e pericolo: Essa è un tipo di contratto dalla natura parzialmente aleatoria – il compratore si assume
il rischio che il bene gli venga sottratto e accetta un’eventuale evizione da parte di terzi.
Capozzi fa notare che gli stessi risultati raggiungibili con la vendita del possesso, possono raggiungersi con la vendita a
rischio e pericolo – ad es. Tizio, pur non essendo sicuro che Caio, possessore del fondo Tuscolano, ne sia anche
proprietario, gli corrisponde 100000 euro per ottenere la consegna definitiva del bene.
Il contratto avrebbe in concreto ad oggetto il trasferimento del possesso, indipendentemente dalla titolarità del diritto di
proprietà, avvicinandosi notevolmente al trasferimento del solo possesso.
L'unico elemento non necessario che distinguerebbe i due trasferimenti sarebbe rappresentato dal fatto che nel contratto
di vendita a rischio e pericolo il compratore avrebbe la consapevolezza che il venditore potrebbe non avere la titolarità
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del bene, mentre nel caso di vendita del possesso, tale elemento non sarebbe necessario posto che oggetto del contratto
sarebbe il possesso e non la proprietà.
La dottrina e la giurisprudenza sono però concordi nel ritenere tale contratto di vendita a rischio e pericolo un contratto
avente comunque ad oggetto il trasferimento della proprietà, ritenendo pertanto nullo per impossibilità dell'oggetto
l'eventuale contratto stipulato con l'intento di trasferire il solo possesso, cedendo una posizione che non sia un diritto.

3. Vendita ad effetti obbligatori: Si pensi, ancora, alla vendita ad effetti obbligatori, nell'ambito della quale il
trasferimento di proprietà non avviene contestualmente alla stipula del contratto, ma l'effetto reale di trasferimento del
diritto avviene in un momento differito nel tempo, al verificarsi di un evento successivo. Si può infatti avere una vendita
di cosa futura, di cosa altrui…
Pertanto, con la stipula del contratto di vendita ad effetti obbligatori, verrebbe trasferito in un primo momento soltanto il
possesso del bene, e successivamente la proprietà dello stesso.
Si evince come la volontà delle parti sia quella di trasferire la proprietà dietro corrispettivo in denaro, ma il risultato
concretamente ottenuto sarebbe il trasferimento del possesso, e solo al verificarsi di un evento successivo, il futuro
trasferimento della proprietà.
Se è pur vero che il contratto stipulato ha lo scopo di trasferire il diritto di proprietà in capo al compratore, è altresì vero
che per un lasso limitato di tempo vi sarebbe solo il trasferimento del mero possesso, avvicinando così detto contratto di
vendita ad effetti obbligatori al contratto di vendita del possesso.

4. Vendita con riserva di proprietà: Anche la vendita con riserva di proprietà, nell'ambito della quale l'acquirente
acquisirebbe la proprietà del bene solo al pagamento dell'ultima rata, può ben essere avvicinata alla vendita del
possesso, posto che alla stipula del contratto sarebbe trasferito il solo possesso, mentre il trasferimento del diritto di
proprietà sarebbe differito nel tempo.
Nonostante parte della dottrina e della giurisprudenza ritenga che alla stipula del contratto si trasferisca non tanto il
possesso della res quanto, piuttosto, la detenzione della stessa, altra parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene
che l'acquirente divenga immediatamente possessore del bene, e con il pagamento dell'ultima rata proprietario dello
stesso.
Nell'ambito, poi, della vendita con riserva di proprietà, è ben possibile che il venditore, prima che l'acquirente paghi
l'ultima rata, decida di riacquisire il bene oggetto del contratto, così stipulando un successivo accordo tra le medesime
parti - oggetto del contratto sarà, pertanto, il possesso.

5. Vendita di cosa altrui: Analoghe considerazioni, poi, possono essere effettuate con riferimento alla vendita di cosa
altrui, nella quale il trasferimento del possesso sarebbe prodromico al trasferimento del diritto di proprietà che sarebbe,
appunto, differito nel tempo.
Altra parte della dottrina poi, per ammettere la validità della vendita del possesso, sarebbe ricorsa alla figura della
cessione in precario, nell'ambito della quale la durata del rapporto sarebbe rimessa alla discrezionalità di una delle parti,
che potrebbe in qualunque momento rivendicare al precarista i beni di sua proprietà, ben comprendendo come oggetto
della cessione sarebbe il mero possesso.
Non essendo però riconducibile nell'alveo della vendita, anche tale tesi non risulterebbe dirimente ai fini della nostra
indagine. Pertanto, dalle varie tipologie contrattuali esaminate si comprende come il trasferimento del possesso sia solo
prodromico al trasferimento della proprietà, e pertanto, non dirimenti ai fini dell'ammissibilità o meno del contratto
di vendita del possesso, eccezion fatta per il contratto di vendita a rischio e pericolo da alcuni posta a sostegno
dell'ammissibilità della vendita.

6. Contratto preliminare ad effetti anticipati: Sempre nell'ottica di verificare l'ammissibilità di un contratto di vendita
del possesso, parte della dottrina ha poi aderito alla tesi secondo la quale il possesso potrebbe circolare mediante un
contratto preliminare ad effetti anticipati.
Tale ipotesi consentirebbe l'anticipazione di alcuni effetti propri del contratto definitivo: la dazione del prezzo della
futura vendita e il trasferimento della disponibilità materiale del bene.
La stessa Corte di Cassazione, ammetteva il passaggio immediato del possesso costituente solo un'anticipazione
dell'effetto giuridico finale perseguito: il trasferimento della proprietà con la stipula del definitivo. Successivamente,
però, la Corte di Cassazione, mutando il proprio orientamento, ha negato l'ammissibilità del trasferimento del possesso
mediante stipula di un contratto preliminare ad effetti anticipati, posto che oggetto del contratto di compravendita può
essere solo il trasferimento della proprietà o di altro diritto.
Esso è un preliminare avente ad oggetto, in aggiunta alla conclusione futura del contratto definitivo, l’anticipata
esecuzione delle prestazioni finali; ma l’effetto traslativo si produrrà solo con la stipula del definitivo - ad es. Tizio
promette a Caio di acquistare un immobile di cui il secondo è proprietario e versa, in virtù di tale promessa, una parte
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del prezzo del bene, Caio consegna le chiavi a Tizio, con riserva di stipulare il contratto definitivo in un secondo
momento.
La Cassazione ha qualificato il promissario acquirente come mero detentore del bene, escludendo la possibilità di
acquisto della proprietà per usucapione, non potendo ricondurre l’immissione nella disponibilità del bene ad una
situazione di possesso utile - egli è infatti consapevole della altruità della cosa e della produzione differita dell’effetto
traslativo.
La dottrina affermava invece che qualora tra le parti intercorresse un accordo - avente ad oggetto l’immissione in
godimento di un immobile - è necessario avere riguardo dell’elemento psicologico assunto dal soggetto ricevente (ai
fini della qualificazione di tale situazione come possesso utile ad usucapionem o mera detenzione).
Se sussiste un animus possidendi ci si troverà in una situazione di possesso da cui può derivare l’acquisto della
proprietà a mezzo usucapione - se vi è solo un animus detinendi, l’accordo non sarà produttivo di effetti reali e
l’usucapione è esclusa.
Le sezioni unite hanno ricondotto l’atteggiamento psicologico assunto dall’acquirente ad un animus detinendi.

7. Contratto atipico: Infine, merita di essere segnalato l'orientamento dottrinario che, sulla scorta dell'autonomia
contrattuale, ex art. 1322, comma 2 c.c., ammetterebbe la vendita del possesso mediante la stipula di un contratto
atipico, con struttura simile al contratto di vendita ma che se ne discosterebbe per il fatto che oggetto del contratto non
sarebbe un diritto ma bensì un fatto. La libertà contrattuale consentirebbe di stipulare contratti non appartenenti ai tipi,
purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela.
L'indagine, pertanto, sarebbe rimessa all'interprete ai fini della valutazione della meritevolezza o meno del contratto.

8. Meritevolezza quale canone di ammissibilità di un contratto di vendita del possesso: Concludendo, se i più
ritengono non ammissibile il contratto di vendita del possesso, parte della dottrina, sull'assunto delle mutate condizioni
economico-sociali, sull'assunto che il possesso attribuisca vantaggi e prerogative tali da conferire uno speciale valore
economico allo stesso e pertanto quale bene patrimoniale commerciabile, sull'assunto dello speciale favor riconosciuto
in tema di circolazione della ricchezza e dei beni produttivi, ammetterebbe una possibile circolazione del possesso
mediante la stipula di contratti di immissione del possesso medesimo, sulla scorta di un giudizio di meritevolezza.

29 – LE AZIONI POSSESSORIE:

Definizione: Esse sono rimedi processuali specifici a tutela del possesso – la tutela possessoria attribuisce al possessore
il diritto alla preservazione, reintegrazione e conservazione inalterata.
Le azioni a protezione dello ius possessionis, definite "strettamente possessorie", si basano sul fatto stesso del possesso,
anche se illegittimo, abusivo o di mala fede purché abbia i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale sulla
cosa e il potere di fatto non sia esercitato per mera tolleranza dell'avente diritto - ponendosi come rimedi notevolmente
più snelli, in contrapposizione ad altri tipi di azione, come quelle petitorie, esperibili a tutela dei diritti reali, le quali
presuppongono invece la prova della titolarità del diritto.
I rimedi strettamente possessori delineati dal legislatore (azioni possessorie), in base al tipo di lesione lamentata sono:
l'azione di reintegrazione di cui all'art. 1168 c.c., esperibile in presenza di uno spoglio violento e clandestino; l'azione
di manutenzione di cui all'art. 1170 c.c., nella duplice tipologia finalizzata ad eliminare la presenza di molestie e
turbative e a recuperare il possesso in caso di spoglio non violento o clandestino (c.d. "spoglio semplice")

1. La tutela possessoria: è necessaria per:

 Pace sociale – evitando l’autotutela privata.


 Esigenza di ordine pubblico – per evitare la difficoltà nel discernere se chi esercita un diritto è il titolare.
 Presunzione di titolarità – la tutela del possesso è anticipazione della tutela del diritto di proprietà.
 Tutela della proprietà più che del possesso – se si guarda al possesso come esteriorità o come stato di fatto,
allora sarebbe imperfetta la veste di proprietario senza tutela possessoria.
 Esigenza di modificare qualcosa, previa dimostrazione.

2. L'azione di reintegrazione: Ai sensi dell'art. 1168, c. 1°, c.c., "chi è stato violentemente od occultamente spogliato
del possesso, può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso
medesimo".

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L'azione di reintegrazione o di spoglio è pertanto esperibile soltanto nel caso in cui si sia stati privati del possesso.
L'azione ha infatti "funzione recuperatoria" essendo diretta al ripristino della preesistente situazione di fatto - con la
conseguenza che se la cosa è stata distrutta essa non può essere proposta, ma darà luogo a risarcimento del danno.
Ai fini della configurabilità dell'azione, lo spoglio deve essere attuato con violenza o clandestinità.
Quanto al requisito della violenza, la giurisprudenza sostiene che non occorra che lo spoglio sia avvenuto con la
violenza fisica, le armi o le minacce, ma è sufficiente che sia avvenuto contro (o senza) la volontà effettiva, anche solo
presunta, del possessore.
Quanto, invece, al requisito della clandestinità, si considera clandestino lo spoglio commesso all'insaputa del
possessore o del detentore, che ne venga a conoscenza in un momento successivo, purché l'inconsapevolezza non sia
stata determinata dalla negligenza dello spogliato o di persone che lo rappresentino.
L’oggetto dello spoglio possono essere tutti i beni suscettibili di possesso – l’utente che abbia subito il distacco
dell’energia elettrica non può agire per lo spoglio, perché l’energia entra in suo possesso dopo che sia immessa nella sua
rete interna.
Oltre ad implicare la sottrazione o la privazione del possesso, lo spoglio implica la restrizione o riduzione delle facoltà
inerenti al potere della vittima o una turbativa tale da rendere più disagevole il godimento della res ovvero un
mutamento di destinazione economica della cosa.
Per la configurabilità dello spoglio non è necessario che la privazione del possesso abbia carattere permanente o
irreversibile, purché sia attuale e duratura, ovvero che non si riveli quale impedimento di natura provvisoria o
transitoria, ma destinato a permanere per una durata apprezzabile di tempo.
Oltre all'elemento oggettivo, tradizionalmente ai fini dell'esperibilità dei rimedi possessori è richiesto l'elemento
soggettivo dello spoglio: vale a dire l'animus spogliandi o turbandi, consistente nella consapevolezza di sostituirsi nella
detenzione o nel godimento del bene contro la volontà dello spogliato - insito nel fatto stesso di privare del godimento
della cosa il possessore o il detentore contro la loro stessa volontà espressa o tacita.
In presenza di un ragionevole convincimento circa un "consenso" anche implicito alla privazione del possesso, può
escludersi la ricorrenza dello spoglio.
L'azione di spoglio compete sia al possessore che al detentore, purché non si tratti di detenzione per ragioni di servizio
o di ospitalità, nell'interesse proprio.
La giurisprudenza ritiene che il detentore qualificato (chi detiene il bene nel proprio interesse in forza di un titolo
contrattuale idoneo), sia legittimato a proporre azione di reintegra nei confronti del possessore:
 Il conduttore può agire in reintegra sia contro terzi che contro il locatore, anche qualora questi abbia agito
nell’ambito di diritti che derivano dal contratto – resta irrilevante il venir meno della locazione dopo lo
spoglio.
 Il sub-conduttore è parificato al conduttore.
 La locazione di una camera mobiliata – cui acceda la prestazione di servizi – configura un contratto tipico di
alloggio in cui non può configurarsi un animus detinendi in capo al conduttore – con conseguente esclusione
della tutela possessoria.
 Il mezzadro, l’affittuario di un fondo rustico può agire in reintegrazione, l’appaltatore può agire se è autonomo.

Legittimato passivo è sia l'esecutore materiale che quello morale dello spoglio: affinché un soggetto possa considerarsi
autore morale dello spoglio, ancorché non sia il mandante o colui che l'ha autorizzato è necessario, ai fini della
legittimazione passiva, che egli sia stato consapevole di trarre un vantaggio dalla situazione posta in essere dall'autore
materiale.
L'azione di reintegrazione deve essere esercitata entro un anno dallo spoglio - il termine annuale di decadenza non
decorre dal giorno dell'effettiva scoperta del fatto lesivo, ma da quello in cui lo stesso avrebbe potuto essere scoperto
con l'ordinaria diligenza - per il computo dovrà farsi riferimento al primo atto effettivamente lesivo, quando i
successivi siano stati posti in essere con le medesime modalità.
Vi sono degli orientamenti che associano spoglio a molestia – ma in realtà sono distinti in quanto: lo spoglio incide sul
bene direttamente, sottraendolo alla disponibilità e interrompendo ingerenze tra possessore e cosa – la molestia si
rivolge contro l’attività di godimento del possessore, disturbandone l’esercizio, ma senza che si svuoti di contenuto la
situazione possessoria.
Vi sono casi in cui lo spoglio è lecito:

1. Consenso dello spogliato.


2. Adempimento di un dovere – casi di un ufficiale giudiziario che compie un atto legittimo per dare esecuzione a
un provvedimento del giudice o quando l’esecuzione forzata sia diretta contro persona diversa da quella contro
cui era stata emessa sentenza di rilascio, ma che aveva la detenzione dei beni da rilasciare.

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3. Legittima difesa e stato di necessità: non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla
necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta (art. 52) e non è
responsabile chi ha cagionato il danno per legittima difesa di sé o altri - ad es. impossessamento di una nave
per salvare un naufrago.

3. Azioni possessorie e PA: le azioni possessorie non possono essere intentate contro atti della PA compiuti nei limiti
dei propri poteri - la tutela possessoria è inammissibile in relazione a comportamenti posti in essere in esecuzione di
atti amministrativi, anche se viziati, poiché l’azione di reintegrazione e manutenzione eliderebbero gli effetti
dell’azione amministrativa.
Il divieto non opera nei casi di atti materiali non ricollegabili con l’esercizio di un’attività amministrativa, gli atti
emessi in carenza di potere, gli atti iure privatorum (es. la pa che si impadronisce di alcuni stabili senza disporre un
provvedimento amm. che ne autorizzi l’occupazione e requisizione).
Qualora su un terreno privato sia organizzata un’opera pubblica senza procedere all’espropriazione, il diritto di
proprietà si estingue e si produce l’acquisto della proprietà del suolo a favore del costruttore.
Il comportamento della pa integra una nuova figura di acquisto a titolo originario e un illecito produttivo di
obbligazione risarcitoria - il giudice amministrativo potrà ordinare la reintegrazione nel possesso di un terreno che
risulta occupato senza titolo dalla pa – il termine di decadenza per l’es. dell’azione è di 1 anno dallo spoglio o dalla sua
scoperta.

4. L'azione di manutenzione: Ai sensi dell'art. 1170, c. 1°, c.c. "Chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di
un diritto reale sopra un immobile o di un'universalità di mobili può, entro l'anno dalla turbativa, chiedere la
manutenzione del possesso medesimo.
L'azione è data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente
o clandestinamente. Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l'azione può nondimeno
esercitarsi, decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata.
Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso, se
ricorrono le condizioni indicate dal comma precedente.".
L'azione di manutenzione presenta presupposti diversi rispetto a quella di reintegrazione.
Il possessore (e non anche il detentore, salvo che risulti intervenuta l'interversio possessionis ex art 1141 c.c.) di un
bene immobile, di un diritto reale su un immobile o di un'universalità di mobili (e non di un bene mobile: altra nota
differenziale rispetto all'azione di spoglio) è legittimato ad esperirla allorché subisca un disturbo "d'intensità
apprezzabile", al fine di ottenere una pronuncia giurisprudenziale che ordini al molestatore di cessare subito l'attività
denunciata.
I requisiti per l’esercizio di quest’azione sono assoluti e ci deve essere un possesso qualificato:
1. Ultrannale: durato per un anno prima che si verifichi la molestia.
2. Continuo: possibilità di servirsi della cosa in qualunque momento il possessore lo ritenga opportuno.
3. Non interrotto.
4. Non viziato: da violenza o clandestinità, oppure deve essere trascorso un anno dal giorno in cui la violenza o
clandestinità son cessate.

L'azione di manutenzione è altresì esperibile con finalità recuperatorie in caso di spoglio non violento o non
clandestino.
Ai fini della configurabilità dell'azione, occorre che vi sia una "molestia" in atto al momento della proposizione della
domanda, la quale si sostanzia, a differenza dello spoglio, non in una privazione del godimento del bene, ma in una
turbativa dell'esercizio del possesso - purché le circostanze univoche e concorrenti escludano la volontà del possessore
di far valere la propria posizione.
L'azione è esperibile sia nelle ipotesi di molestia di fatto che di diritto: le prime consistono in qualsiasi limitazione o
turbativa della sfera del possesso altrui, le seconde in atti che modifichino o tendano a modificare il possesso o lo stato
del possesso.
La giurisprudenza ha affermato, inoltre, che la molestia possessoria può realizzarsi, anche senza tradursi in attività
materiali, attraverso manifestazioni di volontà che devono, tuttavia, esprimere la ferma intenzione del dichiarante di
tradurre in atto il suo proposito, mettendo in pericolo l'altrui possesso – minacce.
L'azione di manutenzione non richiede che l'opera dalla quale nasce la turbativa del possesso sia completata, essendo al
riguardo sufficiente l'obiettiva percezione della lesione del possesso da essa causata.
La riduzione in pristino, infine, cui l'azione è diretta, può consistere non solo nella mera riproduzione della situazione
dei luoghi alterata o modificata, ma anche in un quid novi, laddove il rifacimento puro e semplice non sia idoneo a
realizzare il ripristino stesso.
31
5. Risarcibilità del danno: ci si chiede se la lesione del possesso rappresenti un danno ingiusto e se la stessa dia luogo
a responsabilità extracontrattuale – nel nostro ordinamento non ci sono disposizioni che sanciscono la risarcibilità del
danno da lesione del possesso – la questione infatti rileva in 2 ipotesi:
1. Quando la condanna al risarcimento si accosta al provvedimento possessorio – si avrà un risarcimento
integrativo.
2. Quando il risarcimento rappresenta l’unica tutela perché la tutela possessoria è inesperibile – si avrà un
risarcimento sostitutivo.

La reazione possessoria si rivolge al modo della lesione, non agli effetti economici della stessa.
In dottrina ogni lesione del possesso costituisce un illecito extracontrattuale – il possessore infatti può conseguire il
risarcimento del danno.
Il danno riguarda il mancato o diminuito godimento del bene – è il cd danno integrativo, che si posiziona tra lo
spoglio\ la molestia e la ricostruzione del possesso - le lesioni possono provocare un danno non riparabile con le
azioni possessorie - l’autore del danno sarà obbligato al risarcimento nelle ipotesi:
 Perdita, diminuzione o difficoltosa percezione dei frutti.
 Disagio nell’esercizio del potere di fatto.
 Negative ripercussioni sull’attività economica.

Secondo la giurisprudenza molestia e spoglio costituiscono atti illeciti che ledono il diritto soggettivo del possessore
alla conservazione della disponibilità materiale della cosa e obbligano chi li commette al risarcimento del danno.
Per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno basta la prova della relazione di fatto col bene dal quale
era tratta un’utilità economica.
È possibile ottenere congiuntamente la tutela possessoria e l’azione di risarcimento dei danni – quest’ultima è
accessoria rispetto a quella principale.
La tutela possessoria non potrà mai avere funzione né integrativa né sostitutiva dell’illecito civile – il possessore di
buona fede non risponde dei danni, vi è il risarcimento quando il fatto lesivo del possesso sia illecito.
Ci si chiede se sia possibile che l’autore di una lesione abbia un cumulo di responsabilità per i danni sia nei confronti
del proprietario, sia del possessore – possiamo dire che la tutela del proprietario esclude quella del possessore e che il
godimento del possessore esclude quello del proprietario. Secondo Sacco il possessore può chiedere i danni che avrebbe
sofferto se fosse stato proprietario, salvo il diritto del proprietario di chiedergli il rendiconto.
Il rapporto tra tutela possessoria e risarcimento in forma specifica è un tema irrisolto – il possessore spogliato può
ottenere il ripristino dello status quo anche se mancano i presupposti o se siano scaduti i termini per l’azione di
reintegrazione - il ripristino si ottiene con la condanna del convenuto al risarcimento dei danni in forma specifica ex
2058.
Secondo la corte la reintegrazione del possesso può conseguirsi quando l’azione possessoria non sia più esperibile –
attraverso il risarcimento del danno in forma specifica.

30 – LE AZIONI DI NUNCIAZIONE:

Oltre ai mezzi processuali tipicamente possessori, il legislatore appresta due rimedi che possono essere legittimamente
esperiti a tutela della res - sia dal possessore, sia dal proprietario, sia dal titolare di uno qualsiasi degli altri diritti reali
di godimento: si tratta delle c.d. "azioni di nunciazione" (o "quasi possessorie") disciplinate dagli artt. 1171 e 1172 c.c.
Esse sono due strumenti di natura cautelare che intervengono con finalità preventive ed inibitorie a tutela del bene, al
fine di scongiurare il pericolo di un pregiudizio (a differenza delle azioni a difesa del possesso caratterizzate, invece, da
un intervento successivo al pregiudizio sofferto dal bene e dunque a carattere repressivo).
Esse sono: la denuncia di nuova opera e di danno temuto e hanno presupposti ed effetti parzialmente diversi.
Entrambe le azioni, infatti, hanno lo scopo comune di ottenere un provvedimento che protegga proprietario, possessore
e titolare di diritti sulla cosa da un danno incombente, grave e prossimo che possa derivare da un bene o un'attività
altrui, incidendo sull'oggetto del proprio diritto o possesso e sul libero esercizio degli stessi.

1. La denuncia di nuova opera: essa tende ad evitare che la prosecuzione di un'opera intrapresa, che si ha ragione di
ritenere pregiudizievole per la res oggetto della proprietà o del possesso, si concreti in un danno effettivo – l’opera non
deve essere terminata e non deve essere trascorso un anno dal suo inizio.
Il proprietario, il possessore o il titolare di un diritto reale (non il detentore) può così denunciare la situazione
all’autorità giudiziaria – la quale vieterà la continuazione del fatto o prenderà le cautele del caso.

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I presupposti per la denuncia sono che:
1. L’opera sia nuova (qualsiasi modificazione allo stato dei luoghi conseguente ad un’attività umana – diversa
dalla manutenzione e dal ripristino).
2. I lavori siano attuali - De Martino afferma che l’opera può dirsi iniziata quando vi sia una concreta
modificazione del mondo esterno, a prescindere dal compimento di atti preparatori.
3. Vi sia il timore del danno - inteso come pregiudizio all’esercizio delle normali attività sulla cosa – deve
trovare origine in una modificazione della situazione dei luoghi – non occorre la certezza, basta il timore.
4. Vi sia illiceità dell’opera.

Quando l’opera è stata portata a termine si deve far ricorso alle azioni repressive – volte alla rimozione e alla definitiva
eliminazione della situazione dannosa.
Legittimato passivo è colui che dall’atto lesivo venga giovato – il proprietario del fondo su cui l’opera viene intrapresa
deve essere sempre considerato legittimato passivamente.
L’azione di denuncia deve essere proposta entro l’anno dall’inizio dell’opera e prima che questa sia terminata.

2. La denuncia di danno temuto: essa è il rimedio specifico contro un danno che sta per incombere su un immobile.
Essa non richiede un’attività in corso, ma una situazione dannosa di cui si richiede la modifica o rimozione – in modo
da scongiurare danni.
Secondo la giurisprudenza essa si esperisce quando da un’opera sull’altrui proprietà possa derivare danno al proprio
fondo – per il pericolo di danno cui soggiace il fondo.
Il danno deve essere grave e prossimo – l’azione non può essere esperita contro un danno già verificato, a meno che il
danno sia presupposto di altri eventi dannosi futuri.
È legittimato passivo chi essendovi obbligato abbia omesso di espletare l’attività necessaria per evitare l’insorgenza
della situazione di pericolo – quindi il proprietario della cosa o il titolare del diritto reale portatore dell’obbligo.
L’azione non è soggetta a termini decadenziali – salvo quello inerente alla persistenza della situazione di pericolo e al
termine ordinario di prescrizione.

3. La differenza tra le due azioni: essa dipende dalla diversa fonte del pericolo di danno.
Per la giurisprudenza l'elemento discretivo tra la denuncia di nuova opera e quella di danno temuto è dato dall'attività
umana, ossia dal diverso modo in cui l'attività dell'uomo abbia provocato l'insorgere del danno, e dalla conseguente
diversità del rimedio da adottare.
La prima postula un facere dell'uomo, nel proprio o nell'altrui fondo, in grado di arrecare danno al bene oggetto della
proprietà e del possesso, e prevede quale rimedio l'inibizione di detta attività o la subordinazione della sua prosecuzione
all'adozione di determinate cautele.
La seconda muove da un non facere, ossia dall'inosservanza dell'obbligo di rimuovere una situazione (edificio, pianta
o altra cosa che sia) che, per effetto di un suo modo di essere particolare, comporta pericolo di un danno grave e
prossimo per la res di proprietà o in possesso del denunciante - il rimedio previsto è l'ordine, a chi abbia la piena
disponibilità della cosa costituente pericolo, di eseguire quanto necessario per la sua rimozione.
Di conseguenza, diversi saranno i provvedimenti concreti che il giudice dovrà adottare nell'uno e nell'altro caso, poiché
fermo restando il dato comune del fine di mantenere lo stato di fatto ed impedire un mutamento che può essere
pregiudizievole all'altrui diritto o all'altrui possesso, nel primo egli può disporre che si arresti il fatto dell'uomo, nel
secondo le opportune cautele.

31- LE AZIONI PETITORIE:

Le azioni petitorie: il nostro ordinamento giuridico, oltre ad aver previsto la possibilità che il proprietario, al ricorrere
dei presupposti specifici, possa esperire le azioni possessorie, al fine di ottenere una tutela tanto sommaria quanto
celere, ha individuato anche una serie di strumenti dedicati esclusivamente alla salvaguardia del diritto di proprietà.
A tal proposito, gli articoli 948-951 cc disciplinano le azioni c.d. "petitorie" - esercitabili nei confronti di chiunque
ponga in essere atti diretti a contestare la titolarità del diritto di proprietà ovvero ad incidere sul suo contenuto.
Le azioni a tutela della proprietà sono: l'azione di rivendicazione, l'azione negatoria, l'azione di regolamento di confini e
l'azione di apposizione di termini.

1. L'azione di rivendicazione: Ex art. 948 c.c. "il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o
detiene e può proseguire l'esercizio dell'azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di
possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l’attore a proprie spese o, in
mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno.
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Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a
restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.
L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per
usucapione.

Essa ha lo scopo di far restituire al proprietario il bene che gli è stato sottratto - compresi i frutti e gli accessori.
A differenza di quanto visto in tema di azioni possessorie, l'onere della prova ricade sul proprietario: egli deve
dimostrare il suo titolo di proprietà ed è questa una delle prove che può risultare più difficili da fornire in giudizio,
specie quando la res è giunta all'attuale proprietario a seguito di una serie di trasferimenti - tale onere, secondo la
giurisprudenza può essere assolto con la dimostrazione della legittimità di tutti gli acquisti a titolo derivativo, fino ad
arrivare ad un acquisto a titolo originario – c.d. probatio diabolica.
Legittimato attivo all'azione di rivendica è sia colui il quale afferma di essere proprietario del bene, sia il nudo
proprietario che il comproprietario.
Legittimato passivo all'azione di rivendicazione è chiunque abbia il possesso o la detenzione della cosa ovvero chi,
prima della proposizione della domanda giudiziale, abbia consapevolmente ceduto il bene a terzi- in quest'ultima
evenienza, il soggetto che ha sottratto la cosa al proprietario sarà tenuto a recuperala e restituirla allo stesso ovvero a
corrispondergli l'equivalente in denaro qualora il bene non possa essere reperito, oltre a risarcirgli il danno.
Nonostante il principale fine dell'azione rivendicatoria ossia quello di far recuperare al proprietario la res, costui può
anche chiedere che sia accertato e dichiarato formalmente in giudizio il suo titolo, prevenendo, in tal modo, la necessità
di ulteriori pronunce sul punto.

2. L'azione negatoria: Secondo il disposto dell'art. 949 c.c. "il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza
di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o
molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno".
L'actio negatoria può essere, quindi, promossa dal proprietario che abbia timore di subire un pregiudizio da terzi che
vantino sulla medesima cosa diritti reali minori (ad es. diritto di usufrutto o servitù) - da ciò deriva che unico
legittimato passivo è chi si dichiari titolare di un diritto reale di godimento e, in conseguenza di tale affermazione,
costituisca per il proprietario un concreto pericolo di molestia.
Finalità dell'azione negatoria non è l'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma la cessazione
dell'attività turbativa lesiva, per cui incombe sul convenuto l'onere di provare l'esistenza del diritto di compiere tali
attività, giacché, infatti, nell'azione negatoria la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva, ove la
stessa sia contestata, è sufficiente per l'attore dimostrare, con ogni mezzo e in via presuntiva, l'esistenza di un titolo
valido di proprietà del bene.
Condizione necessaria per l'esperibilità dell'azione è l'interesse ad agire del proprietario - ravvisabile laddove venga
posta in essere da terzi un'attività implicante in concreto un pregiudizio, ovvero quando pur non denunciando l'esercizio
di atti materialmente lesivi alla proprietà, a fronte di pretese reali affermate da terzi sulla stessa, il titolare del diritto
intenda accertare l'infondatezza di tali pretese. L'actio negatoria è imprescrittibile, fatti salvi gli effetti dell'intervenuta
usucapione.

3. Le azioni di regolamento di confini: essa ha natura reale e funzione d'accertamento dichiarativa, è volta ad
ottenere dall'autorità giudiziaria la precisa determinazione della linea di confine che separi due fondi attigui.
La legittimazione attiva spetta ad entrambi i titolari dei fondi - come previsto infatti dall'art. 950 c.c., ciascuno dei
proprietari può agire con l'azione di regolamento dei confini quando il confine tra i due fondi è incerto.
La legittimazione passiva compete al possessore del fondo limitrofo.
Nell'azione di regolamento dei confini è ammesso ogni mezzo di prova e in mancanza di altri elementi, nel caso in cui
anche a seguito della opportuna consulenza tecnica permanga l'incertezza, avranno efficacia probatoria i certificati
catastali. Data la natura reale e petitoria, anche tale azione è imprescrittibile, a meno che non venga eccepita
l'usucapione

4. L’azione di apposizione di termini: ex art. 951 cc l'unico scopo di tale strumento è quello di ripristinare i termini
mancanti o divenuti irriconoscibili, ripartendo equamente la spesa tra i proprietari finitimi.
La natura giuridica dell'azione è personale, presupponendo appunto che il confine sia già certo e delimitato ab initio
(ovvero per intervenuta sentenza di regolamento di confini) e volendo evitare possibili sconfinamenti o usurpazioni si
chiede al giudice la mera riapposizione dei segni di demarcazione, prescindendo da ogni incertezza in merito.
La legittimazione spetta a ciascuno dei proprietari dei fondi confinanti, mentre legittimato passivo è il possessore del
fondo limitrofo.

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31. IL GIUDIZIO POSSESSORIO:

Esso è disciplinato dagli artt. 703 e ss e ha per oggetto la reintegrazione o la manutenzione del possesso, attraverso
l'esercizio delle relative azioni previste dal cc a tutela dello stesso (c.d. "azioni possessorie).
Ratio del procedimento è quello di concedere al possessore spogliato, molestato o turbato nell'esercizio del suo potere di
fatto sulla cosa (ex art. 1140 c.c.) una tutela, più immediata e snella, finalizzata al ripristino della situazione
preesistente (azione di reintegrazione o spoglio) ovvero alla cessazione della turbativa o della molestia (azione di
manutenzione).
Le azioni possessorie, vanno esercitate entro un anno dal sofferto spoglio (violento o clandestino) o dai fatti integranti la
turbativa.
La disciplina processuale delle azioni possessorie è contenuta nell'art. 703 c.p.c., il quale afferma che la "domanda si
propone con ricorso da depositare presso la cancelleria del giudice del luogo ove è avvenuto il fatto denunciato".
Il procedimento - la cui natura ha scatenato una lunga diatriba in seno a dottrina - si ritiene abbia una struttura unitaria,
articolata in due fasi: la prima cautelare ed urgente (c.d. "fase interdittale"), volta a dettare nell'immediatezza i
provvedimenti necessari a garantire il godimento del possesso o la cessazione delle turbative al medesimo, in ossequio
alla ratio del mantenimento della pace sociale che sta alla base della tutela del possesso da parte dell'ordinamento
giuridico; la seconda che si svolge secondo le forme del rito ordinario (c.d. "fase di merito"), ma eventuale e facoltativa,
poiché attivabile solo su istanza di parte.
L'art. 703 c.p.c. si occupa della forma della domanda introduttiva del procedimento, dell'individuazione del giudice
competente, disciplinando tempi e modalità sia della fase interdittale che di quella eventuale di merito.
La domanda di reintegrazione o di manutenzione nel possesso si introduce con ricorso al giudice competente ossia il
giudice del luogo dove si è verificato lo spoglio o la turbativa.
Il ricorso deve possedere i requisiti previsti dall'art. 125 c.p.c. e contenere compiutamente tutte le istanze del ricorrente,
ivi compresa l'invocazione della decisione per decreto inaudita altera parte, le allegazioni e, eventualmente,
l'articolazione dei mezzi istruttori, giacchè la domanda introduttiva è valida anche per la successiva e facoltativa fase di
merito.
La domanda di spoglio può essere proposta in via alternativa a quella di manutenzione, spettando al giudice, il potere di
qualificare la domanda alla fattispecie emergente dalle risultanze istruttorie. Tuttavia, ancorché non cumulabili,
nell'azione di spoglio si ritiene compresa anche quella di manutenzione, poiché la semplice turbativa o molestia
rappresenta un minus rispetto alla privazione del possesso, operando così una semplice e consentita emendatio libelli;
viceversa, nel mutare la domanda di manutenzione in quella di spoglio si incorrerebbe in un'inammissibile mutatio
libelli.
Una volta depositato il ricorso, presso la cancelleria del giudice competente, il cancelliere procede a norma dell'ultimo
comma dell'art. 669-ter e il presidente designa il giudice per la trattazione.

Legittimazione e competenza: legittimati a promuovere le azioni possessorie sono sia il possessore che il detentore,
purché non a titolo di ragioni di servizio o di ospitalità, nei confronti dell'autore dello spoglio o della turbativa. Secondo
la giurisprudenza, pertanto, sono legittimati attivi, oltre al possessore, sia: il detentore qualificato (come l'inquilino),
l'erede, il colono, i singoli condomini, il curatore fallimentare.
Le azioni di reintegra o di manutenzione possono essere proposte contro chiunque abbia posto in essere il
comportamento arbitrario causa diretta dello spoglio o della molestia del possesso.
Legittimati passivi sono sia l'autore materiale che quello morale, ovverosia il mandante, cioè colui che abbia dato
incarico a terzi di porre in essere la concretizzazione dello spoglio o della turbativa, o anche chi abbia utilizzato
consapevolmente a proprio vantaggio la situazione posta in essere dall'autore materiale.

La fase cautelare del procedimento: Ex art. 703 c.2 cpc "il giudice provvede ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti,
in quanto compatibili".
L'istruttoria ha natura sommaria, per cui il giudice procederà nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione
indispensabili, in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto e il provvedimento finale assumerà la
forma dell'ordinanza, di accoglimento o di rigetto della domanda.
L'art. 669-sexies attribuisce al giudice una doppia opzione: egli può assicurare, infatti, nella c.d. fase interdittale, una
tutela possessoria immediata mediante l'emissione di un decreto inaudita altera parte (ovvero in totale assenza di
contraddittorio) basato sulla mera notorietà dei fatti ed emesso laddove il tempo necessario alla convocazione della
controparte possa pregiudicare l'attuazione del provvedimento; oppure, laddove ritenga non vi siano né l'uno né
l'altro presupposto, il giudice può disporre con ordinanza la fissazione dell'udienza di comparizione delle parti.

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Nel primo caso, assunte ove necessarie sommarie informazioni, il giudice provvede con decreto motivato, fissando, con
lo stesso, l'udienza di comparizione delle parti entro un termine non superiore a 15 giorni e assegnando all'istante un
termine perentorio, non superiore a 8 giorni, per la notifica del ricorso e del decreto. Nel secondo, fissa direttamente
l'udienza senza provvedere con decreto, pertanto, in tal caso, i termini per la notifica e la data di udienza possono essere
liberamente fissati dal giudice, poiché la norma impone termini massimi solo in ragione del provvedimento pronunciato
in assenza di contraddittorio.
All'udienza, il giudice, procederà agli atti di istruzione e con ordinanza potrà confermare, modificare o revocare il
provvedimento in precedenza emesso con decreto.
L'ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è reclamabile nel termine perentorio di 15
giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore: dinnanzi al collegio,
contro i provvedimenti del giudice singolo del tribunale (collegio del quale non può far parte il giudice che ha emanato
il provvedimento reclamato); dinnanzi ad altra sezione o, in mancanza, della sede più vicina, contro i provvedimento
cautelari emessi dalla corte d'appello.

La fase di merito: Conclusa la fase sommaria, il procedimento entra in una fase c.d. di "quiescenza", giacché la
successiva fase di merito è solo facoltativa ed attivabile su istanza di parte.
Dispone, infatti, l’art. 703 c.p.c., che ove "richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni
decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento di
cui al terzo comma, il giudice fissa dinanzi a sé l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito. Si applica
l'articolo 669-novies, terzo comma".

La tutela aquiliana: Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, è pacificamente ammessa, nel
procedimento possessorio, l'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c., considerati gli effetti pregiudizievoli provocati, a
seguito dello spoglio o della turbativa, alla posizione di signoria di fatto riconosciuta al possessore della cosa.
La domanda risarcitoria può essere proposta sia congiuntamente che separatamente alle azioni possessorie, dinnanzi al
giudice competente e si configura come accessoria rispetto a quella principale di reintegra o di manutenzione.

32. LA PETIZIONE EREDITARIA:

Secondo il disposto dell'art. 533 c.1 cc la petizione ereditaria è l'azione con cui l'erede "può chiedere il riconoscimento
della sua qualità ereditaria contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari, a titolo di erede o senza titolo
alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi".
L'art. 533 c.c. attribuisce la legittimazione attiva all'esercizio dell'azione di petizione al solo erede (o al coerede), sia
legittimo che testamentario, il quale, chiamato all'eredità, l'abbia accettata, esplicitamente o tacitamente, con la sola
proposizione dell'azione – legittimato passivo è colui il quale possiede beni ereditari vantando un titolo che invece non
gli compete, ovvero chi possiede senza alcun titolo giustificativo.
Oggetto dell'azione sono tutti i beni ereditari o anche una parte o quota degli stessi- l'onere di provare che i beni
appartenessero all'asse ereditario al tempo dell'apertura della successione spetta all'attore.
Oltre ad ottenere la condanna alla restituzione dei beni nei confronti di chi li possiede con titolo invalido o sine titulo,
l'azione accerta la qualità di erede in capo all'attore, la quale una volta acquistata non viene meno.

La differenza con l'azione di rivendica: nonostante l'affinità del petitum, l'azione di petizione di eredità si differenzia
nettamente dall'azione di rivendica, poiché a differenza di questa non è volta a discutere il titolo in base al quale il de
cuius aveva il possesso dei beni ereditari, ma ha per oggetto gli elementi costitutivi dell'asse ereditario.
L'attore può, quindi, limitarsi a provare la propria qualità di erede e la circostanza che i beni fossero compresi nell'asse
ereditario al momento dell'apertura della successione.
La Suprema Corte ha chiarito che la petizione ereditaria ha come presupposto la CONTESTAZIONE della qualità di
erede da parte del possessore dei beni ereditari - nel caso in cui non vi sia contestazione, verrebbero meno le ragioni
per proporre un'azione di petizione, potendo trovare luogo un'azione di rivendicazione, la quale ha il medesimo petitum.
L'azione di petizione di eredità è imprescrittibile - fatti salvi gli effetti dell'intervenuta usucapione opposta dal
convenuto sui singoli beni.

33 – IL TITOLO IERATICO:

Esso è un indice indipendente dalle relazioni di fatto tra la persona e la cosa – quindi si può stabilire che questo o
quell’insieme di circostanze di fatto, assegnino ad un soggetto dato la protezione dell’ordinamento e che tale protezione

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duri senza limite di tempo fino a quando non intervenga un altro insieme di circostanze di fatto che porranno limite alla
protezione.
L'ordinamento giuridico può volere che il soggetto dotato di titolo ieratico prevalga sul soggetto del potere di fatto,
allorché i due contendano per acquistare o conservare il controllo del bene.
Secondo Caterina il soggetto privilegiato nel possesso (e quindi protetto) si identifica col ricorso a 2 criteri: il titolo
ieratico e la relazione di fatto tra cosa e persona.

Art. 1140.
Possesso.
Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro
diritto reale.

Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.

Art. 1141.
Mutamento della detenzione in possesso.
Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo
semplicemente come detenzione.

Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga a essere
mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore. Ciò vale anche per
i successori a titolo universale.

Art. 1142.
Presunzione di possesso intermedio.
Il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume che abbia posseduto anche nel tempo
intermedio.

Art. 1143.
Presunzione di possesso anteriore.
Il possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore abbia un titolo a fondamento del
suo possesso; in questo caso si presume che egli abbia posseduto dalla data del titolo.

Art. 1144.
Atti di tolleranza.
Gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso.

Art. 1145.
Possesso di cose fuori commercio.
Il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà è senza effetto.

Tuttavia nei rapporti tra privati è concessa l'azione di spoglio rispetto ai beni appartenenti al pubblico demanio e ai
beni delle province e dei comuni soggetti al regime proprio del demanio pubblico.

Se trattasi di esercizio di facoltà, le quali possono formare oggetto di concessione da parte della pubblica
amministrazione, è data altresì l'azione di manutenzione.

Art. 1146.
Successione nel possesso. Accessione del possesso.
Il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione.

Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti.

Art. 1147.
Possesso di buona fede.
E' possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto.
La buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave.
La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto.

Capo II
Degli effetti del possesso
Sezione I
Dei diritti e degli obblighi del possessore nella restituzione della cosa
Art. 1148.
Acquisto dei frutti.
Il possessore di buona fede fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno della domanda giudiziale e i frutti civili
maturati fino allo stesso giorno. Egli, fino alla restituzione della cosa, risponde verso il rivendicante dei frutti percepiti

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dopo la domanda giudiziale e di quelli che avrebbe potuto percepire dopo tale data, usando la diligenza di un buon
padre di famiglia.

Art. 1149.
Rimborso delle spese per la produzione e il raccolto dei frutti.
Il possessore che è tenuto a restituire i frutti indebitamente percepiti ha diritto al rimborso delle spese a norma del
secondo comma dell'articolo 821.

Art. 1150.
Riparazioni, miglioramenti e addizioni.
Il possessore, anche se di mala fede, ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie.
Ha anche diritto a indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purché sussistano al tempo della restituzione.
L'indennità si deve corrispondere nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei
miglioramenti, se il possessore è di buona fede; se il possessore è di mala fede, nella minor somma tra l'importo della
spesa e l'aumento di valore.

Se il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti, gli spetta anche il rimborso delle spese fatte per le riparazioni
ordinarie, limitatamente al tempo per il quale la restituzione è dovuta.

Per le addizioni fatte dal possessore sulla cosa si applica il disposto dell'articolo 936. Tuttavia, se le addizioni
costituiscono miglioramento e il possessore è di buona fede, è dovuta un'indennità nella misura dell'aumento di valore
conseguito dalla cosa.

Art. 1151.
Pagamento delle indennità.
L'autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze, può disporre che il pagamento delle indennità previste
dall'articolo precedente sia fatto ratealmente, ordinando, in questo caso, le opportune garanzie.

Art. 1152.
Ritenzione a favore del possessore di buona fede.
Il possessore di buona fede può ritenere la cosa finché non gli siano corrisposte le indennità dovute, purché queste
siano state domandate nel corso del giudizio di rivendicazione e sia stata fornita una prova generica della sussistenza
delle riparazioni e dei miglioramenti.

Egli ha lo stesso diritto finché non siano prestate le garanzie ordinate dall'autorità giudiziaria nel caso previsto
dall'articolo precedente.

Sezione II
Del possesso di buona fede di beni mobili
Art. 1153.
Effetti dell'acquisto del possesso.
Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il
possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della
proprietà.

La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede
dell'acquirente.

Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.

Art. 1154.
Conoscenza dell'illegittima provenienza della cosa.
A colui che ha acquistato conoscendo l'illegittima provenienza della cosa, non giova l'erronea credenza che il suo
autore o un precedente possessore ne sia divenuto proprietario.

Art. 1155.
Acquisto di buona fede e precedente alienazione ad altri.
Se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, quella tra esse che ne ha acquistato in buona
fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.

Art. 1156.
Universalità di mobili e mobili iscritti in pubblici registri.
Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano alle universalità di mobili e ai beni mobili iscritti in pubblici
registri.

Art. 1157.
Possesso di titoli di credito.
Gli effetti del possesso di buona fede dei titoli di credito sono regolati dal titolo V del libro IV.

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Sezione III
Dell'usucapione

Art. 1158.
Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari.
La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso
continuato per venti anni.

Art. 1159.
Usucapione decennale.
Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un immobile, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire
la proprietà e che sia stato debitamente trascritto, ne compie l'usucapione in suo favore col decorso di dieci anni dalla
data della trascrizione.

La stessa disposizione si applica nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un immobile.

Art. 1159-bis.
Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale.
La proprietà dei fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni classificati montani dalla legge si acquista in virtù
del possesso continuato per quindici anni.

Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e
che sia debitamente trascritto, un fondo rustico con annessi fabbricati, situati in comuni classificati montani dalla
legge, ne compie l'usucapione in suo favore col decorso di cinque anni dalla data di trascrizione.

La legge speciale stabilisce la procedura, le modalità e le agevolazioni per la regolarizzazione del titolo di proprietà.

Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche ai fondi rustici con annessi fabbricati, situati in comuni
non classificati montani dalla legge, aventi un reddito non superiore ai limiti fissati dalla legge speciale.

Art. 1160.
Usucapione delle universalità di mobili.
L'usucapione di un'universalità di mobili o di diritti reali di godimento sopra la medesima si compie in virtù del
possesso continuato per venti anni.

Nel caso di acquisto in buona fede da chi non è proprietario, in forza di titolo idoneo, l'usucapione si compie con il
decorso di dieci anni.

Art. 1161.
Usucapione dei beni mobili.
In mancanza di titolo idoneo, la proprietà dei beni mobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si
acquistano in virtù del possesso continuato per dieci anni, qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede.

Se il possessore è di mala fede, l'usucapione si compie con il decorso di venti anni.

Art. 1162.
Usucapione di beni mobili iscritti in pubblici registri.
Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un bene mobile iscritto in pubblici registri, in forza di un
titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto, ne compie in suo favore
l'usucapione col decorso di tre anni dalla data della trascrizione.

Se non concorrono le condizioni previste dal comma precedente, l'usucapione si compie col decorso di dieci anni.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento.

Art. 1163.
Vizi del possesso.
Il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per l'usucapione se non dal momento in cui la violenza
o la clandestinità è cessata.

Art. 1164.
Interversione del possesso.
Chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa
stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui
fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il titolo del
possesso è stato mutato.

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Art. 1165.
Applicazione di norme sulla prescrizione.
Le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d'interruzione e al computo dei
termini si osservano in quanto applicabili, rispetto all'usucapione.

Art. 1166.
Inefficacia delle cause di impedimento e di sospensione rispetto al terzo possessore.
Nell'usucapione ventennale non hanno luogo, riguardo al terzo possessore di un immobile o di un diritto reale sopra un
immobile, né l'impedimento derivante da condizione o da termine né le cause di sospensione indicate dall'articolo
2942.
L'impedimento derivante da condizione o da termine e le cause di sospensione menzionate nel detto articolo non sono
nemmeno opponibili al terzo possessore nella prescrizione per non uso dei diritti reali sui beni da lui posseduti.
Art. 1167.
Interruzione dell'usucapione per perdita di possesso.
L'usucapione è interrotta quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno. L'interruzione si ha come
non avvenuta se è stata proposta l'azione diretta a ricuperare il possesso e questo è stato ricuperato.

Capo III
Delle azioni a difesa del possesso
Art. 1168.
Azione di reintegrazione.

Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere
contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.
L'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di
ospitalità.
Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.
La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione.

Art. 1169.

Reintegrazione contro l'acquirente consapevole dello spoglio.


La reintegrazione si può domandare anche contro chi è nel possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare, fatto
con la conoscenza dell'avvenuto spoglio.

Art. 1170.
Azione di manutenzione.
Chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di un'universalità di mobili
può, entro l'anno dalla turbativa, chiedere la manutenzione del possesso medesimo.

L'azione è data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente
o clandestinamente. Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l'azione può nondimeno
esercitarsi, decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata.

Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso, se
ricorrono le condizioni indicate dal comma precedente.

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