Dispensa autorizzata
Prof.
Saverio Marchignoli
di
Filosofie dell’India e
dell’Asia Orientale
©
Copyright
2005
Saverio
Marchignoli
saverio.marchignoli@unibo.it
I
ed.
presso
Eurocopy
–
Bologna
maggio
2005
Ristampa
maggio
2008
come
volume
di
apertura
della
Collana S.O.Fi.E. - Storia dell’Orientalismo e Filosofie dell’Eurasia
Diretta da Giorgio Renato Franci
Promossa dal Dipartimento di Studi Linguistici e Orientali
dell’Università di Bologna
Progetto
copertina:
Angelo
Chieco
Bologna
La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo
(compresi i film, i microfilm, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica,
sono riservati per tutti i paesi.
Indice
Premessa p. 5
Nota sulla trascrizione
delle lingue indiane p. 7
Introduzione generale
1. Scopi e limiti di questa trattazione p. 11
2. Partizione – Sguardo d’insieme p. 15
Parte prima
1. Prologo p. 23
2. Chi erano i filosofi.
Tradizione bråhma±ica e
movimenti çrama±ici.
Teorie del karman e della rinascita p. 28
3. Il Buddhismo e il Jainismo primitivi p. 32
4. La Bhagavadgîtå e lo yoga dell’azione p. 41
5. Teoria della disputa e medicina p. 46
Parte seconda
1. Epistemologia e logica I: il Nyåya p. 53
2. Sviluppi nel Buddhismo. Någårjuna p. 58
3. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå p. 63
4. L'ontologia del (Nyåya-)Vaiçeßika p. 70
5. Epistemologia e logica II: Dignåga p. 75
6. Filosofia del linguaggio: Bhart®hari.
Filosofia della parola rituale: la Mîmåµså p. 79
7. Il Kevalådvaita Vedånta di Çaºkara p. 86
S. M.
Nota sulla traslitterazione delle lingue indiane
Occorre distinguere:
le vocali brevi (a, i, u) dalle lunghe (å, î, û; anche e e o sono sempre lunghe);
le consonanti dentali (t, th, d, dh) dalle corrispondenti retroflesse (¥, ¥h, ∂, ∂h),
che si pronunciano retroflettendo la punta della lingua contro il palato;
le consonanti non aspirate (k, g, c, j, ¥, ∂, p, b) dalle corrispondenti aspirate (kh,
gh, ch, jh, ¥h, ∂h, ph, bh), che si pronunciano aggiungendo una forte aspirazione
sonora.
1
Oltre alle ovvie difficoltà di sistemazione cronologica connesse con la
mole della letteratura filosofica, le perduranti incertezze sulle datazioni
Introduzione generale: 1. Scopo e limiti 13
2
La lingua principale è certamente il sanscrito, che per un lungo periodo
ebbe la funzione di lingua di cultura paragonabile a quella svolta dal
greco in età ellenistica o dal latino in Europa fino all'età moderna. Altre
lingue importanti sono il påli (lingua del canone buddhista dei
Theravåda), l'ardhamågadhî (lingua del canone jaina) e il tibetano (se si
assume che il Tibet, almeno per un certo periodo, vada compreso
nell'area culturale indiana).
3
Per una efficace descrizione della forma dei testi filosofici indiani si
veda Torella, Il pensiero indiano [2001], pp. 644-645.
Introduzione generale: 1. Scopo e limiti 15
Prologo.
1
Chåndogya Upanißad VI, 2, 1-2. La traduzione, qui e in seguito, è di
Carlo Della Casa (Upanißad, UTET, Torino 1976).
2
Sat è il neutro del participio presente del verbo essere, as-, radice
sanscrita parallela alla radice latina es- di esse («essere»). In a-sat la "a"
prefissata ha funzione di negazione, come l'alfa privativa del greco.
24 L’India filosofica
4
B®hadåranyaka Up. III, 4, 2.
5
·g-Veda I, 164, 20.
Parte prima: 1. Prologo 27
6
Nell'inno in cui è contenuta (I, 164) è posta accanto a una serie di
oscure espressioni metaforiche, di indovinelli, di enigmi appunto, che
costituiscono altrettante sfide all'interpretazione.
7
Cfr. Mu±∂aka Up. II, 1; Çvetåçvatara Up. IV, 6.
2.
1
È tuttavia possibile che anche la corrente materialista vada ricondotta a
uno dei due gruppi fondamentali: alcuni ritengono che si sia sviluppata in
ambienti bråhma±ici; altri, più verosimilmente, pensano che sia sorta in
ambienti çrama±ici.
30 L’India filosofica
2
È opportuno evitare termini come “trasmigrazione” o “metempsicosi”,
che implicano l'esistenza di un sostrato trasmigrante (l'“anima”): esistenza
che è esplicitamente negata, ad esempio, dalla gran parte delle correnti
buddhiste.
Parte prima: 2. Chi erano i filosofi 31
della vita principesca, della casa paterna, della moglie e del figlio per
seguire la vita ascetica; l'abbandono della via della mortificazione e il
distacco dagli insegnamenti dei vari maestri per seguire una «via
mediana» anche nel cammino çrama±ico; il risveglio, cioè la conquista
autonoma e definitiva della verità circa la natura della
sofferenza/insoddisfazione (du¿kha) e circa il modo per farla cessare.
Superata la tentazione di “entrare” immediatamente nello stato di
cessazione del dolore (nirvå±a) senza comunicare agli altri esseri viventi
la via del risveglio, il Buddha avrebbe trascorso il resto della sua vita a
guadagnare al proprio insegnamento (dharma) gli ex-maestri e gli ex-
compagni di vita ascetica, nonché a diffonderlo presso numerosi nuovi
adepti. Da questo momento il Buddha, che già era noto come Çåkyamuni
(«Asceta degli Çåkya»), sarebbe stato chiamato anche Tathågata (forse:
«Pervenuto alla verità»), Bhagavat («Beato») e Jina («Vittorioso»).
Parte prima: 3. Buddhismo e Jainismo 35
2
Si veda ad esempio, tra gli ultimi di una lunga serie, Pérez-Remón, Self
and Non-Self [1980]. Su questa importante questione vale la pena di
segnalare alcuni lavori per un approfondimento: per una analisi critica
delle varie posizioni possibili si vedano Collins, What are B. doing when
they deny the self? [1994]; Tillemans, What would it be like to be selfless?
[1996]; e Gómez, The Elusive Buddhist Self [1999].
3
Certamente non tutte le scuole buddhiste sostennero questa posizione:
anzi, alcune delle più importanti scuole antiche si sono dichiarate per la
sostanzialità dei dhammå.
4
È questa la vecchia accusa rivolta al buddhismo, di essere cioè un
«culto del nulla». Sulla storia di questa interpretazione e dell'apologetica
religiosa e "occidentale" ottocentesca ad essa connessa si veda Droit, R.-
P., Le culte du néant, Paris 1997. Si veda anche, sulle interpretazioni del
nirvå±a Welbon, G. R., The Buddhist Nirvå±a and Its Western Interpreters,
Chicago and London 1968.
Parte prima: 3. Buddhismo e Jainismo 37
5
Si trova in Majjhima-Nikåya I, 483-489 (è il discorso n. 72): il brano
riportato è tradotto in The Middle Length Sayings, transl. by I. B. Horner,
The Påli Text Society, London 1957, vol. II, p.164. La traduzione
italiana è di chi scrive.
38 L’India filosofica
II. Il Jainismo.
6
Uno dei testi più celebri sul pratîtyasamutpåda è il Çålistambasûtra,
tradotto in italiano in Gnoli (a cura di), Testi buddhisti [1983].
Sull'interpretazione del pratîtyasamutpåda si veda, ad es., Potter et alii
(eds.), Abhidharma Buddhism to 150 A.D. [1996], pp. 43-47.
Parte prima: 3. Buddhismo e Jainismo 39
7
Åcåråºga-sutta (I, 4, 1), dalla tr. ingl. di H. Jacobi, Jaina Sûtras, part I
= SBE, vol. 22, Oxford 1884, p. 36).
8
I suoi seguaci vengono chiamati jaina (è il derivato di jina) da cui
«Jainismo». Si noti che in italiano a volte si preferisce la grafia
«Giainismo».
40 L’India filosofica
1
Dharma è un concetto fondamentale della cultura indiana. Racchiude
in sé significati diversi: dharma è al tempo stesso il «mantenersi»
dell'ordine del mondo, la legge morale (o le leggi morali), a volte la
44 L’India filosofica
3
Molto importanti a questo proposito furono la versione inglese di
Wilkins del 1785 e soprattutto quella latina di August Wilhelm Schlegel
del 1823, che diede il via a una interessante disputa a distanza sul
pensiero indiano che coinvolse W. von Humboldt e Hegel). La Bh.-g. è
così divenuta, negli ultimi due secoli, un testo «universale» (per
utilizzare il termine adottato da Sharpe, E.J., The Universal Gîtå [1985]).
Assai spesso l'interesse dei lettori europei e americani si è concentrato
sull'interpretazione del concetto di dharma, particolarmente importante
nel contesto della «soluzione karmayogica»: non potendoci qui
soffermare su una vicenda che tuttavia varrebbe davvero la pena di
ripercorrere, basterà dire che le interpretazioni variano dalla segnalazione
di vaghe assonanze kantiane all'accettazione del dharma come norma
perenne e universale, dalla totale adesione interiore al dharma inteso
come «necessità amata» (S. Weil) all'esaltazione di un esteriore e
militaresco «dovere per il dovere» connesso a una «metafisica
dell'azione» (ad esempio gli indologi Hauer e Formichi), ecc.
5.
1
Vedi ad es. B®hadåranyaka Up. III, 1-2: «Janaka di Videha ebbe
desiderio di sapere qual fosse il più dotto tra i brahmani. Rinchiuse
allora in un recinto mille vacche e alle corna di ciascuna erano attaccate
mille monete[d'oro]. Poi disse [ai convenuti]: "Venerabili brahmani! Chi
tra voi è il più dotto brahmano si porti via queste vacche"» (tr. di C.
Della Casa).
2
Si veda il caso di Gårgî, interlocutrice di Yåjñavalkya nella
B®hadåranyaka Up. (III, 6).
Parte prima: 5. Teoria della disputa e medicina 47
3
Per la storia del buddhismo indiano si possono consultare: Lamotte,
Histoire du Bouddhisme Indien [1958]; Warder, Indian Buddhism [1970].
Una breve sintesi in traduzione italiana è quella di Conze, Breve storia
del Buddhismo [1985].
4
Il brano è riportato e discusso in Matilal, The Character of Logic [1998],
pp. 33-37, oltreché in Bochenski, La logica formale, II [1972 (1956)], pp.
543-6.
48 L’India filosofica
5
Leggiamo per esempio la seguente raccomandazione di Caraka ai
medici: «Non lasciatevi coinvolgere in argomentazioni e
controargomentazioni complesse, né d'altra parte permettetevi di fingere
che la verità sia ovvia e facile da raggiungere se si aderisce ad una
singola posizione filosofica (pakßasaµçraya). Grazie al vostro intelligente
argomentare finirete per girare a vuoto, come uno che siede su un
torchio che gira in tondo. Liberatevi dai pregiudizi semplicistici e cercate
spassionatamente la verità». Carakasaµhitå I, 25, 32 (citato in Larson,
Åyurveda and the Hindu philosophical systems [1993], p. 111).
Parte prima: 5. Teoria della disputa e medicina 49
6
Carakasaµhitå III, 8, 14 sgg. Il brano è discusso lungamente già da
Dasgupta (A History of Indian Philosophy, Cambridge 1932, vol. II, pp.
378-88). Si veda inoltre Matilal, The Character of Logic in India cit., pp.
38-43 e soprattutto Frauwallner, E., Nachgelassene Werke I, Wien 1984.
50 L’India filosofica
1
Ma l'esempio più spesso citato di processo inferenziale è il seguente: 1)
pratijñå : «sulla montagna c'è fuoco»; 2) hetu: «perchè c'è fumo»; 3)
udåhara±a: «dove c'è fumo c'è fuoco, come nella cucina»; 4) «upanaya:
c'è fumo sulla motagna»; 5) nigamana: «dunque sulla montagna c'è
fuoco».
Parte seconda: 2. Epistemologia e logica I: il Nyåya 57
1
Si vedano ad esempio nella sezione “Filosofi moderni sul pensiero
indiano” le pagine dedicate a Någårjuna da Karl Jaspers.
2
Su questo tema si veda Tuck, Comparative philosophy and the
Philosophy of Scholarship[1990].
Parte seconda: 2. Sviluppi nel Buddhismo. Någårjuna 59
3
Tradotte in italiano da Raniero Gnoli: Någårjuna, Le stanze del cammino
di mezzo, Torino 1961; anche in Gnoli, R. (a cura di), Testi buddhisti in
sanscrito, Torino 1983.
4
Anch'essa tradotta in italiano in Någårjuna, Le stanze cit., pp. 139-56; si
veda anche Någårjuna, Lo sterminio degli errori, a cura di A. Sironi,
Milano 1992.
60 L’India filosofica
6
Già utilizzata nel Buddhismo primitivo (vedi il discorso a Vacchagotta).
Si veda, anche per un interessante confronto con il rifiuto aristotelico di
utilizzare questo schema tetralemmatico, Bugault, G., L'Inde pense-t-elle?,
Paris 1994.
62 L’India filosofica
1
La stessa dottrina di Uddålaka Åru±i (Chåndogya Up. VI, 2-5), secondo
cui l'Essere nasce necessariamente dall'Essere e avrebbe tre
manifestazioni, fuoco (rosso), acqua (bianco) e nutrimento (nero), può
essere considerata un precedente della dottrina della preesistenza
dell'effetto nella causa, e delle concezioni della prak®ti e dei tre gu±a
(vedi sopra, Prologo).
2
Il Mokßadharma è una sezione del libro XII del Mahåbhårata.
3
Altre testimonianze del «proto-Såµkhya» si possono trovare nei trattati
medici (soprattutto nella Carakasaµhitå) e nel XII canto del
Buddhacarita di Açvaghoßa (si veda la tr. it. di A. Passi: Le gesta del
Buddha, Milano 1979). In generale sul Såµkhya «pre-classico» e i suoi
rapporti con il Såµkhya classico si possono vedere Johnston, E.H., Early
Parte seconda: 3. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå 65
6
Vedi SK 21.
Parte seconda: 3. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå 67
7
Su questo punto insiste Torella, R., Såµkhya as såmånyaçåstra, in
«Asiatische Studien/Études Asiatiques» 53/3 (1999) pp. 553-562.
8
Contrariamente all'accusa portata dai pensatori del Nyåya, il Såµkhya
conosce anche la nozione di «causa efficiente».
68 L’India filosofica
9
Su questo punto si veda Halbfass, W., On Being and What there is.
Classical Vaiçeßika and the History of Indian Ontology, Albany1992, pp.
58 sgg.
10
Vedi ad es. il commento di Gau∂apåda alla strofa 61: «come è
possibile che le creature, le quali sono provviste degli elementi
costitutivi, siano create da Dio che ne è privo, o dall'anima [cioè il
purußa] che ne è altrettanto priva? Onde la causalità appartiene alla
stessa natura» (tr. di C. Pensa).
11
Ad es. nel commento a SK 1.
Parte seconda: 3. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå 69
12
Le due teorie saranno esposte rispettivamente da Våcaspati Miçra e
Vijñånabhikßu.
4.
1
Pertanto non è forse un caso che il nome con cui è noto l'autore del
testo di base della scuola (i Vaiçeßika-sûtra), e cioè «Ka±åda» (che si
potrebbe tradurre come “Il mangia-particelle”, “Il mangia-semi”)
Parte seconda: 4. L'ontologia del (Nyåya-)Vaiçeßika 71
6
Wilhelm Halbfss suggerisce per questa opposizione un modello tratto
dalla riflessione linguistica indiana: la distinzione che Patañjali il
grammatico fa tra vikåra (trasformazione) e ådeça (sostituzione)
(Halbfass, On being cit., p. 57).
5.
1
Tucci, G. (ed. e tr.), Nyåyamukha of Dignåga, in "Materialien zur
Kunde des Buddhismus" 15, Heidelberg 1930, p. 50.
76 L’India filosofica
2
Si veda Pramå±asamuccaya I, 11-13, in Frauwallner, E., Die
Philosophie des Buddhismus, Berlin 1969, pp. 393-4.
Parte seconda: 5. Epistemologia e logica II: Dignåga 77
4
Per i quali si vedano Matilal, B.K., The Character of Logic in India,
Albany (NY) 1998 e Bochenski, J.M., La logica formale, vol. II (1956),
tr. it. Torino 1972.
6.
I. Bhart®hari
1
Sulla questione, e in generale sullo yoga linguistico, si veda Franci,
G.R., Grammatica e liberazione. Appunti sullo yoga linguistico, in
Diacronia, sincronia e cultura. Saggi linguistici in onore di L. Heilmann,
Brescia 1984, pp. 91-114.
2
Commento a VP 1, 131. Traduco seguendo la tr. ingl. riportata in
Coward, H.G. - Kunjunni Raja, K., The Philosophy of the Grammarians,
(vol. 5 dell'Encyclopedia of Indian Philosophies curata da K. Potter),
Princeton 1990, pp. 46-7.
Parte seconda: 6. Filosofia del linguaggio 83
3
I Bråhma±a sono testi ritualistici ed esegetici compresi nel corpus
vedico.
84 L’India filosofica
1
Sulla vita di Çaºkara si veda Piantelli, M., Çaºkara e la rinascita del
brahmanesimo, Fossano 1974; si veda anche Piantelli, M., Çaºkara e il
Kevalådvaitavåda , Roma 1998.
88 L’India filosofica
2
Si vedano, nella sezione “Filosofi moderni sul pensiero indiano”, le
critiche di Hegel al concetto dell’assoluto quale viene espresso nella
Bhagavadgîtå.
3
Anche se nelle opere di Çaºkara non compare mai la formula sintetica
sac-cid-ånanda, che dopo di lui servirà a compendiare le caratteristiche
(se così si possono chiamare) del brahman, è certo che Çaºkara concepì
il brahman come essere (sat), coscienzialità (cit) e beatitudine o gioa
(ånanda).
4
In questo l’Advaita Vedånta è in accordo con il Såµkhya, mentre si
oppone tanto alle filosofie buddhiste quanto al Nyåya e alla Mîmåµså.
Parte seconda: 7. Il Kevalådvaita Vedånta di Çaºkara 89
5
Questo paragone si trova, ad esempio, in Upadeçasåhasrî I, 2, 71.
6
Riportata più avanti nella sezione “Esempi di testi filosofici”.
90 L’India filosofica
7
Vedi Brahmasûtrabhåçya, commento al sûtra I, 1.
Esempi di testi filosofici indiani
Esempi di testi: 1. Någårjuna: la dottrina delle due verità 93
11. «Non c'è un'altra [cioè una seconda] luna». Ciò esclude
che la luna [abbia un] universale.
100 L’India filosofica
1
Çaºkara si riferisce a due tipici esempi di errore percettivo: la
madreperla scambiata per argento e la luna vista come duplice da chi ha
un difetto di vista (una malattia chiamata timira).
2
Cioè, guardando il cielo, pensano che l'etere (åkåça) - che non è
percettibile - sia blu.
106 L’India filosofica
3
Cioè uno dei quattro åçrama, secondo la regola che prevede il
passaggio dalla condizione di brahmåcårin, a quella di g®hastha, poi di
vanapråߥha e di saµnyåsin.
Esempi di testi: 5. Çaºkara e la «sovrapposizione» 109
[...] Tutto ciò che non ha nascita non può essere causa di
nulla, come un fiore di loto cresciuto nell'aria [che si porta
ad esempio di cose inesistenti]; e noi sappiamo che Dio non
Esempi di testi: 6. Çåntarakßita sulla non esistenza di Dio 111
I.
Per parlare ora del grado della perfezione, che è lo scopo
supremo [della dottrina dello Yoga espressa nella Bhagavad-
gîtå], consideriamola innanzitutto nella sua forma soggettiva.
Questa perfezione si determina come un perdurante stato
d'astrazione, quell'astrazione di cui si è trattato in tutto
quanto precede - una perenne solitudine dell’autocoscienza,
che ha rinunciato a tutte le sensazioni, a tutti i bisogni e a
tutte le rappresentazioni di cose esterne, e con ciò non è più
coscienza - neppure una compiuta autocoscienza, che
avrebbe come contenuto lo spirito e in tale misura sarebbe
ancora coscienza; un intuire che non intuisce nulla, e non sa
nulla - il puro vuoto di sé in se stesso. In termini moderni
la determinatezza di questo stato va chiamata assoluta
immediatezza del sapere. Giacché dove c’è sapere di
1
Über die unter dem Namen Bhagavad-Gîtå bekannte Episode des
Mahåbhårata, von W. von Humboldt (Berlin 1826), in «Jahrbücher für
wissenschaftliche Kritik» (1827), pp. 51-63 e 1441-1492.
120 L’India filosofica
II.
Quest’unità con Brahma conduce da sola al punto finale,
che è il punto più alto all’interno della religione indiana: il
concetto di Brahm, la vetta dell’approfondimento meditativo
[Vertiefung] che abbiamo considerato. Per quanto ciò che è
il Brahm sia facilmente comprensibile e ben noto, tanto
maggiore è la difficoltà di comprendere che rapporto esso
intrattenga con questo approfondimento meditativo, ed è
tanto più interessante considerare tale rapporto da cui, come
risulterà, deriva il concetto stesso di Brahm o che piuttosto
si identifica con tale concetto.
Filosofi sul pensiero indiano: 1. Hegel 121
1
Martinetti così intende, rispettivamente, la buddhi e il purußa.
124 L’India filosofica
2
Cioè Vijñånabikßu, autore del commento alla Såµkhyakårikå intitolato
Såµkhyapravacanabhåßya.
126 L’India filosofica
4. Jaspers su Någårjuna.