Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
CAPITOLO 1:
1-La Didattica è un esigenza avvertita da studiosi e operatori, per indagare la sua natura scientifica
e i suoi sviluppi culturali. Il bisogno si fa sentire in ambiti istituzionali, economici e professionali.
Per consentire l’apprendimento bisogna stabilire: 1) “Che cosa” fare; e poi 2) “Come” fare. Il Come
fare è ormai esteso a tutti i campi extrascolastici dove si trasmette il sapere, quindi la scuola non è
più lo spazio esclusivo, formando un sistema formativo integrato, in cui una rete di opportunità
formative sono fruibili, via via che si rendono necessarie durante il corso della vita sociale,
professionale di ciascuno.
2-Il concetto di Didattica centrata sulle competenze, è da alcuni anni lo snodo cruciale del compito
formativo. La parola competenza viene dal latino “cum-petere”, cioè “dirigersi verso”, ovvero
sapersi orientare in un determinato settore, per la ricerca di diverse soluzioni. La linguistica è stata
la prima disciplina che ha usato questo concetto, per cui la competenza è definita come la capacità
di produrre una lingua.
-Nel contesto del Costruttivismo sociale: L’esperienza sociale rappresenta la condizione per lo
sviluppo delle competenze, poiché le acquisizioni cognitive e affettive si realizzano nell’interazione
tra persone che sanno mettere in comune conoscenze e processi.
-Nel contesto delle Teorie affettive e motivazionali: La competenza evidenzia la componente
emotiva della persona e la centralità della dimensione del sé, e si supera la tradizionale
separazione tra affettività e cognizione.
Negli ultimi anni, sono state formulate delle classificazioni sul significato di competenze: eccone le
tipologie: - Competenze teoriche( i saperi acquisiti durante i percorsi di formazione iniziale e
continua); -Competenze pratiche( i saperi metodologici, tecnici, organizzativi acquisiti nel corso
dell’esperienza lavorativa); -Competenze sociali(derivati dall’impegno nei confronti
dell’organizzazione, delle competenze manageriali e comunicative); -Competenze
cognitive(costituite dalle attitudini verso la soluzione di un problema in un dato contesto
organizzativo). Secondo alcuni autori, le competenze cognitive ordinano e regolano tutte le altre
tipologie di competenze.
Il costrutto relativo alla competenza è “pluridimensionale”, e alla sua definizione vi concorrono tre
elementi:
I saperi sono connessi alla mappa cognitiva del soggetto, che è attivo nel suo rapporto con i saperi,
in quanto costruisce significati e modelli interpretativi della realtà, apporta i suoi saperi
provenienti dall’esperienze pregresse, filtrati attraverso vincoli individuali e sociali.
I saperi, nell’attuale società della conoscenza, rappresentano la necessità prioritaria. Infatti a tutti
deve essere consentito, nell’arco dell’esistenza di acquisire saperi e competenze per partecipare
attivamente alla società della conoscenza e al mondo produttivo con un apprendimento
permanente, facilitato dall’accesso alle TIC e da una connessione tre esperienze scolastiche, extra
e post. Il compito della scuola e delle altre agenzie formative è quello di prevedere e realizzare
occasioni efficaci ed adeguate di apprendimento.
Nel “documento dei Saggi” del 1997 si favoriva la promozione dei saperi basilari di un sapere (-
pratico, -manuale, -operativo) rispetto ad uno meramente verbale e lontano dall’esperienza; in
quando nell’esperienza concreta si ritrova l’equilibrio tra elementi cognitivi e non cognitivi che si
concretizza in un saper fare riflessivo. Questo documento ha una influenza sull’organizzazione
didattica perché tiene conto delle differenze individuali nei percorsi di apprendimento.
L’apprendimento ha quindi una dimensione “ologrammatica”, ovvero una dimensione di
formazione integrale, in cui coesistono cognizioni e relazioni, contesto di apprendimento e ruolo
attivo e costruttivo di chi apprende.
Il termine Didattica: deriva dal greco “didaskein” e significa insegnare. Quindi per Didattica si è
inteso “la teoria dell’insegnare e dell’apprendere”.
Nella civiltà ellenistica e romana, la didattica designava un genere letterario relativo alla sfera
dell’istruzione. Durante l’ellenismo la didattica manifestava caratteristiche di fissità e di artificiosità
, dovute alla mancanza di interesse verso la psicologia dell’apprendimento, infatti la lettura e la
scrittura veniva insegnata in modo meccanico e ripetitivo. L’uso della didattica nella civiltà
mediterranea è documentata:1) dalle tavolette do terracotta, 2)dai papiri, 3)dalle tavolette
dell’Egitto ellenistico-romano, 4)dalle testimonianze letterarie provenienti dalle incisioni
dell’alfabeto comune da parte dell’insegnante e del discente che lo ricopiava. L’insegnamento
dell’aritmetica si limitava alle necessità della vita quotidiana e al computo digitale, protrattosi per
tutto il medioevo.
L’educazione morale veniva impartita dal “pedagogo”. La prima distinzione tra pedagogia e
didattica si riferisce alla valenza teorica della prima, e alla valenza pratica della seconda.
L’abbinamento didattica/scienze dell’insegnamento(espressione apparsa nel 1554) apre uno
scenario fondamentale verso il significato di didattica in senso pedagogico.
Il termine “Didattica” compare come parte della pedagogia, col tedesco Wolfang Ratke-Ratichius
(1571-1635) e come scienza regolatrice della pratica dell’insegnamento; il cui principio
fondamentale è quello di seguire “l’ordine della natura” per il quale l’intelligenza dell’uomo si
impadronisce delle conoscenze.
Con l’italiano Antonio Maria Salvini (1653-1729), la didattica appare prima come aggettivo , poi
come sostantivo nell’ambito della sua attività di professore delle lingue classiche e di traduttore.
Nel XVIII secolo, con il filosofo e pedagogista tedesco J.F. Herbart (1776-1841), la didattica si
riferisce in modo più diretto all’insegnamento in collegamento profondo con l’educazione. In quel
periodo la pedagogia era intesa in 2 accezioni: 1) Teoria dell’educazione: cioè morale, del
carattere ecc… 2) teoria dell’insegnamento: cioè l’insegnamento vero e proprio. Herbart teorizza
la didattica come un “insegnamento educativo” come apprendimento che si realizza in una serie di
rapporti sociali e ausili pedagogici, che arginano l’insorgere del malessere nel discente.
2-Didattica e insegnamento:
Tra i significati che la didattica ha assunto nel tempo, c’è quella, a cui ci riferiamo, di
“Insegnamento formale”: cioè insegnamento organizzato intenzionalmente che si realizza in
contesti definiti, istituzionali o non, cioè i istituti di istruzione, e porta all’ottenimento di diplomi o
qualificazioni riconosciute, ed è rivolto a far apprendere conoscenze e abilità indicate da
programmi a categorie di soggetti individuati a priori. Si è poi progressivamente affermata come
area della conoscenza, il cui oggetto è l’insegnamento finalizzato all’apprendimento, ma anche in
questo caso si configura come “formale”. “L’Insegnamento non formale” è quello che invece si
svolge al di fuori delle principali strutture d’istruzione, e non porta a certificati ufficiali. ( es. nei
luoghi di lavoro, nella vita quotidiana, in associazioni o gruppi della società civile.)
Dagli anni 70, la didattica si riferisce oltre che agli alunni di età scolare, anche agli adulti in fase di
formazione-lavoro, di riconversione occupazionale, di progressione nella carriera lavorativa, di
anziani, di stranieri ecc.. La Didattica dell’insegnare e dell’apprendere è un processo continuo che
si dilata durante l’arco della vita di una persona e si realizza in molti luoghi con modalità flessibili,
rispondenti ai bisogni specifici individuali e a quelli della società in generale.
La “sapienza didattica” degli insegnanti si disperde nel tempo e nello spazio in un continuo
ricominciare da capo, in una assenza di documentazione accurata, causata dalla differenza di
consapevolezza del valore e dell’impegno della pratica rispetto q quella della teoria. Di
conseguenza diviene difficile, concettualizzare l’esperienza, riflettere su essa per asportarla al di là
del contesto in cui è stata realizzata. Una delle frustrazioni dell’insegnamento, come occupazione
o professione è la totale amnesia delle esperienze dei suoi operatori, concentrati esclusivamente
sul valore della pratica, trascurando gli aspetti relativi alla problematizzazione, alla verifica e alla
valutazione della pratica stessa, eludendo la ricerca, non traducendo cioè il loro capitale di
conoscenze e idee in sapere organizzato, mettendolo a disposizione per creare l’intelligenza
diffusa capace di modificare precedenti convinzioni a vantaggio di nuove proposte. Per cui si può
dire che documentare la didattica quotidiana vuol dire documentare la professionalità docente.
Documentare significa, istituzionalizzare una storia o una esperienza, e d’altra parte significa
precisare e rafforzare l’identità professionale degli insegnanti. Infatti contribuisce sia alla
costruzione di una cultura documentale, sia all’incremento di specifiche capacità riflessive nei
soggetti coinvolti. Inoltre documentare significa garantire e promuovere lo sviluppo
dell’innovazione, infatti senza i documentatori non ci potrebbero essere gli innovatori, e
insieme(documentazione e innovazione) permettono il confronto con la tradizione, il preesistente,
integrandosi l’una nell’altra, permettendo una crescita del patrimonio conoscitivo a disposizione di
tutti gli operatori interessati, non solo docenti in servizio ma anche studenti(insegnanti di domani),
affinchè possa essere analizzato, riesaminato, confrontato e migliorato.
1-Didattica e Didattiche:
La didattica generale è uno strumento vero e proprio contro il fenomeno della dispersione
scolastica, solo se connessa alla valutazione che diviene criterio di ricerca e riflessione sulla prassi
e sui problemi presenti in essa. La ricerca assume quindi la valenza di “paradigma guida della
didattica”, per mezzo della quale il docente-ricercatore è capace di cogliere la ciclicità della triade
prassi-teoria-prassi in un apprendere continuo dall’esperienza attraverso una riflessione teorica
che si riversa nelle esperienze successive, rinnovate e innovative.
-Didattiche disciplinari: Riferite alle diverse discipline. Infatti ogni sapere con le proprie specificità
ha una sua didattica, per cui si possono riconoscere molteplici didattiche che però si
ricompongono nell’incontro con alcuni elementi fondamentali: il soggetto che apprende con le sue
peculiarità, il docente con le sue scelte progettuali ecc.., il contesto ambientale, strutturale e di
relazione tra i due.
-Didattiche speciali: si riferiscono all’individuazione dei bisogni formativi di ciascun allievo , e per lo
più dirette all’integrazione degli allievi disabili e di quelli appartenenti ad etnie diverse, ovvero a
tutti i soggetti che esprimono “bisogni formativi speciali”. Questo tipo di didattica negli anni 70-
80(quando i disabili hanno iniziato a frequentare classi normali) ha dato un notevole contributo
alla didattica generale, infatti l’attivazione di strategie fortemente individualizzate portò benefici al
processo di integrazione ma ha spinto anche l’innovazione didattica per tutti gli altri alunni con
risultati straordinari qualitativamente e quantitativamente: decisioni collaborative tra insegnanti,
organizzazione didattica oltre la classe, didattica extrascolastica, comunicazione e coinvolgimento
della famiglia, differenziazione nei tempi di apprendimento, verifiche iniziali,intermedie e finali.
Vi sono poi anche altri tipi di didattiche che si sono venute a creare col progressivo ampliarsi del
campo della didattica, in base al destinatario(es degli adolescenti, degli anziani), al contenuto( es.
dei mass media, della storia, del calcio, della cucina), al luogo(es. dell’asilo-nido, universitaria,
delle biblioteche) e al tempo( es. post scolastica, della formazione permanente).
Nella didattica, la valutazione è lo strumento privilegiato per procedere, conoscendo i suoi punti di
partenza e stabilendo quelli di arrivo in base alla sua condizione cognitiva e affettiva, ma in quella
riferita alla disabilità è fondamentale la “valutazione del potenziale nascosto”: la valutazione delle
potenzialità dell’alunno, cioè quelle abilità e conoscenze che al momento si intuiscono e che sono
in attesa di essere portate a maturazione.
Per metacognizione: si intende una dimensione mentale che “va oltre” o “al di là” della cognizione.
Quindi la didattica meta cognitiva, pone la sua attenzione alle abilità mentali superiori(che
permettono il controllo, la gestione e il monitoraggio delle funzioni di maggiore complessità) , al
fine di rendere il soggetto che apprende, capace di dirigere i propri processi cognitivi per mezzo di
interventi operativi o valutativi. L’insegnante che opera in quest’ottica, lavorerà su quattro livelli
diversi, tra loro interagenti, considerando l’età e il livello cognitivo degli allievi: 1) conoscenze sul
funzionamento cognitivo in generale; 2)autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo;
3) uso generalizzato di strategie di autoregolazione cognitiva; 4) variabili psicologiche sottostanti.
La didattica meta cognitiva viene spesso proposta come valido strumento per gli interventi verso i
soggetti con difficoltà di apprendimento, con disabilità cognitive lievi o gravi e per soggetti
iperattivi. Viene utilizzata con profitto anche nel lavoro di gruppo, influenzando la motivazione e il
clima di classe, grazie alla sua caratteristica interattiva. L’esercizio meta cognitivo aiuta docenti e
studenti a sviluppare una reciproca responsabilità e a prendere coscienza della propria capacità
operativa, indispensabile soprattutto nel lavoro di gruppo per la realizzazione di un risultato
collettivo.
L’incontro tra Didattica come disciplina scientifica e Metodologia come attivatrice di procedure
pratiche, si pone come la possibilità di realizzare quel criterio regolatore “prassi-teoria-prassi”,
come si è già detto.
Il contributo della Metodologia appare rilevante, poiché non offre soluzioni preordinate, ma
orienta verso soluzioni operative diversificate e flessibili a seconda dei bisogni degli allievi, del
contesto, delle risorse umane e materiali a disposizione, facendo emergere le capacità progettuali
e decisionali degli insegnanti. In tale quadro “didattica e metodologia” o “metodologia didattica”
impone all’attenzione degli operatori e degli studiosi le istanze dell’organizzazione della didattica,
in vista non di una semplicistica applicazione di procedure ma della ricerca delle condizioni più
adeguate affinchè possa realizzarsi la fondamentale uguaglianza di tutti gli allievi, e far sì “ che
ciascuno riesca”, mediante un’offerta formativa capace di incrementare parità di occasioni e diritti.
A tutto ciò è tutt’altro che indifferente la professionalità dell’insegnante che si manifesta, non solo
nelle sue competenze, ma anche nell’insieme delle sue convinzioni, motivazioni e atteggiamenti
per insegnare agli allievi a continuare ad apprendere per la propria crescita individuale e sociale.
L’esigenza metodologica è stata avvertita soprattutto dagli studiosi dell’attivismo. Tra l’800 e il
‘900 si sviluppa l’attenzione nei confronti del metodo e dei metodi di insegnamento, in particolare
nella scuola primaria, fino a farne con O.Decroly oggetto di ricerca scientifica vera e propria. Entro
questo movimento la didattica si definisce sempre più come l’arte di insegnare questo o quel
contenuto, mentre la metodologia sempre più come studio critico dei metodi applicati in situazioni
educative e didattiche.
La connessione tra le due discipline è evidente anche per la messa in comune del concetto di
metodo.
Nella didattica, sappiamo per esperienza che, la rigidità metodologica e l’obbedienza a regole fisse,
ostacola il compito degli insegnanti, poiché impedisce la flessibilità e l’immediatezza necessarie a
fornire risposte efficaci. Infatti non si può applicare aprioristicamente un metodo a tutti i casi, per
risolvere i problemi connessi all’insegnamento e avere risposte già pronte per l’uso, capaci di
garantire gli effetti desiderati nell’apprendimento e di replicarli ; per cui non se ne può fare un uso
impersonale. Si deve perciò considerare: un metodo, soltanto un punto di riferimento che non può
corrispondere “a priori” ad ogni situazione educativa, arrivando a sostenere che i punti di
riferimento possono essere più d’uno e ciascuno può offrire un valido contributo, e si può quindi
dire che la metodologia offrirà più metodi. Compito dell’insegnante sarà di ricomporre
originalmente i contributi provenienti dai vari metodi, andando a costruire un proprio metodo da
adottare in alcuni casi piuttosto che in altri, che comporterà ad una ricerca metodologica continua,
per una didattica sempre più efficace, in cui eliminare alcuni elementi e introdurne di nuovi,
integrando mezzi e strumenti per adattarsi alle diversificate esigenze. Attraverso questa ricerca si
supera il concetto di metodo, a favore del concetto di strategie didattiche, per quanto riguarda al
decisionalità dei docenti. I metodi poi andranno contestualizzati alla situazione specifica in cui gli
insegnanti stessi operano.
Per “metodo” quindi si intende tutto ciò che è finalizzato alla ricerca e soluzione di un preciso
problema, per raggiungere uno scopo predeterminato. Nelle diverse epoche ha però assunto
significati differenti, ma in tute le concezioni si evince una caratteristica comune: ogni metodo
sottende sempre una propria teoria. Le tappe fondamentali della sua evoluzione storica:
Nell’antichità e nel medio evo il metodo fu equiparato alla sua ricerca e al modo come condurla.
In età moderna ci si è orientati verso possibili differenze tra i diversi ambiti del sapere, e verso la
differenziazione dei metodi. Con la nascita delle scienze umane, il problema del metodo riguarda
ogni forma del sapere e viene considerato il fattore principale della distinzione tra le varie scienze.
(pag. 65-67 Dettagli sull’evoluzione storica del concetto di metodo, con il pensiero dei vari
pensatori).
Attualmente la domanda di formazione dei docenti è sempre più legata a processi di autoanalisi di
istituto, al fine di individuare, anche a livello didattico formativo, le aree di maggiore difficoltà, ma
anche per evitare l’insorgere di fenomeni di inadeguatezza e di “implementation-deficit” che
impediscono di individuare traguardi da raggiungere e le modalità con cui farlo, insieme al
crescere di demotivazione. La domanda di formazione deve perciò prendere in considerazione i
seguenti fattori: 1 il livello tecnologico raggiunto 2. Le variabili sociali (clima scolastico,senso di
appartenenza, leadership) 3. Le variabili relative ai meccanismi operativi.
Bisogna avviare un processo di analisi della domanda di formazione che fornisca risposte efficaci
alle esigenze degli utenti e che possa allo stesso tempo sostenere la motivazione dei docenti ad
intraprendere nuovi percorsi formativi, questa analisi può avvenire da una raccolta di dati dello
“stato” della didattica , ovvero per es. dal tasso di dispersione scolastica, soddisfazione delle
famiglie, frequenza di reclami, presenza di utenti con bisogni speciali, disponibilità e utilizzo dei
laboratori informatici; e dalla selezione degli strumenti più adeguati ai vari scopi: meno strutturati
come il colloquio e le analisi e più strutturati come i questionari, le osservazioni registrate in griglie
Quali sono le modalità per realizzare le azioni più efficaci di formazione? Sempre più di frequente
si riconosce l’utilità di ricorrere a modalità plurime di formazione. Ve ne sono alcune più moderne
e altre tradizionali:
La società richiede alla scuola risposte di qualità per la formazione dei giovani. E il saper insegnare
è un sapere dinamico in continua evoluzione che necessita di una formazione continua ed efficace.
Su questo si fonda l’esigenza di valutare l’esperienza di formazione. Una modalità è il questionario
che si distribuisce al termine o in determinate fasi del percorso di formazione, mediante il quale si
può rilevare il grado di soddisfazione dei partecipanti, l’efficacia della docenza e delle modalità
organizzative scelte, ma anche le carenze e i punti deboli e introdurre suggerimenti migliorativi.
Ma non sempre i dati forniti sono utilizzati per i fini con cui sono stati rilevati e la valutazione di
solito non ha quindi luogo e le opinioni degli insegnanti registrati su carta, non si trasformano di
solito in materiale di riflessione docimologica. Oltre a ciò sarebbe opportuna una valutazione
successiva per rilevare quanto del corso di formazione è stato possibile trasferire nell’attività
didattica e quanto invece no o non è stato significativo.
Alcuni autori hanno fornito risposte circa il come organizzare percorsi davvero individualizzati,
dando grande importanza all’organizzazione didattica, in cui sono centrali i momenti di verifica e
valutazione. Hanno dunque proposto modelli di istruzione individualizzata.