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DELLE LINGUE
197
EINAUDI EDITORE
NUE
NUOVA UNIVERSALE EINAUDI
180. Ernst Mach, Conoscenza ed errore. Ab.. 191. Antonio Gramsci, L'Ordine Nuovo.
bozzi per una psicologia della ricerca. 1919-1920. A cura di Valentino Ger
Introduzione di Aldo Gargani. Tradu� ratana e Antonio A. Santucci.
zione di Sandra Barbera.
192. Charles de Bovelles, Il libro del sapien
181 . Max Weber, Parlamento e governo nel te. A cura di Eugenio Garin.
nuovo ordinamento della Germania e
193. George Boole, Indagine sulle leggi del
altri scritti politici. A cura di Luigi
pensiero su cui sono fondate le teorie
Marino. Introduzione di Wolfgang J.
matematiche della logica e della pro
Mommsen. Traduzione di Luigi Marino
babilità. Edizione italiana a cura di Ma
e Gianstefano Villa.
rio Trinchero.
182. Anandavardhana, Dhvanyiloka. l prin�
194. Carlo Cattaneo, Interdizioni israeliti..
cipi dello dhvani. A cura di Vincenzi
che. Introduzione e note di Luigi Am
na Mazzarino.
brosoli. Prefazione di Luciano Cafagna.
183. Blaise Pascal, Le Provinciali. lntrodu 195. Jonathan Swift, Scritti satirici e pole
duzione e traduzione di Giulio Preti. mici. A cura di Herbert Davis.
184. Benjamin Constant, Conquista e usur
196. Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico
pazione. Prefazione di Franco Venturi.
philosophicus. Testo originale a fron
Traduzione di Carlo Dionisotti.
te. Introduzione di Bertrand Russell.
185. Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la A cura di Amedeo G. Conte.
prima deca di Tito Livio. Seguiti dalle 197. Jean-Jacques Rousseau, Saggio sull'o
«Considerazioni intorno ai Discorsi del rigine delle lingue dove si parla della
Machiavelli )) di Francesco Guicciardi melodia e dell'imitazione musicale. A
ni. A cura di Corrado Vivanti. cura di Paola Bora.
186. Karl Marx, Lineamenti fondamentali di
critica dell'economia politica ( « Grun
drisse » ) . Edizione italiana a cura di
Giorgio Backhaus. Apparato critico, in
dici dei nomi e delle opere dell'Istituto
Marx-Engels-Lenin. (Due volumi).
ISBN 88-06-115265
9
111 11111111111111111111
788806 115265
NUE 197. Jean-Jacques Rousseau, Saggio sull'origine del
le lingue dove s i parla della m�lodia e dell'i
mitazione musicale. A cura di Paola Bora.
ISBN 88-o6-rr526-x
Jean-Jacques Rousseau
sua collocazione in una fase non ancora propriamente marura dell'opera di Rousseau,
si sono espressi c. E. VAUGHAN, The politica! writings off.·f. Rousseau, The University
Press, Cambridge 1915 (1!}62), vol. I, p. IO e c. w. HENDEL, fean-Jacques Rousseau mo
ralist, 2 voli., Oxford University Press, London - New York 1934 (1!}62), vol. I, pp. 66
sgg. Meno legata a problemi di cronologia esterna e centrata piuttosto su questioni
teoriche interne all'opera roussoiana è la discussione fra]. Starobinski eJ. Derrida sullo
statuto concettuale della pietd rispettivamente nel secondo Discorso e nel Saggio (non
ché nell' Emi/io): si vedano STAROBINSKI, nell'edizione del Discours sur l'origine et !es
fondements de l'inegalité, in CEuvres complètes cit., vol. m. pp. 1330·31 (nota 2 alla
p. 154 del testo) e DERRIDA, De la grammatologie cit., pp. 245-72. Nella nota citata, nel
1964, Starobinski suggeriva l'ipotesi dell'anteriorità del Saggio rispetto al Discorso, sulla
base di brevi accenni alle differenze sostanziali della concezione della pietd nelle due
opere. Nel 1967, Derrida, muovendo dalla critica a questa nota, argomentava la pro
pria posizione, in accordo con la datazione del Masson. Starobinski è ritornato sulla
questione nella recensione al Porset («Annales de la SociétéJean-Jacques Rousseau»,
XXXVIII, 1969-71, pp. 395-98), correggendo la sua ipotesi in favore della posterità del
Saggio rispetto al Discorso. Da allora è mutata anche la dizione della nota 2 alla p. 154
nel commentario del Discorso nel vol. m delle CEuvres di Rousseau, che, nelle ultime
tirature, reca l'ipotesi definitiva della posterità del Saggio rispetto al Drscorso. In que
sta discussione, il dibattito sullo statuto concettuale della pietd diviene una sona di ca
pitolo a pane nella tormentata storia della datazione del Saggio. Ma la questione della
pietii rappresenta un problema autonomo- e &a i p iii complessi- nell'interpretazione
del pensiero di Rousseau. Per le analisi ampie ed impananti, con esiti divergenti e in
qualche misura contrapposte, rinviamo a v. GOLDSCHMIDT, Anthropologie et politique.
Les pn'ncipes du système de Rousseau, Vrin, Paris 1974, pp. 340 sgg. e a M. REALE, Le
ragioni della politica.].-]. Rousseau dal «Discorso sull'ineguaglrimza» al «Contratto»,
Edizioni dell'Ateneo, Roma 1983, pp. 207 sgg.
x PAOLA BORA
19 È la tesi autorevole del Masson: «L'Essai a clone été primitivement en 1754, une
longue note du second Discours; en 1761 il est devenu une dissertation indépendante,
augmentée et corrigée pour en faire une reponse à Rameau. Enfin, en 1763, certe dis·
settation, revue une dernière fois, a été divisée en chapitres» (Questions de chronologie
rousseauiste cit.).
20 Si vedano in proposito i passi in cui Rousseau fa riferimento al Saggio, di cui si
dà informazione alla precedente nota 4·
INTRODUZIONE XVII
" Cfr. L'influence des climats sur la civilisation, in ROUSSEAU, CEuvres complètes
cit., vol. ill, pp. 519 sgg. (trad. it. in J. -J. ROUSSEAU, Opere, a cura di Paolo Alatri,
Utet, Torino 1970, pp. 683-88).
u Come sostiene invece il PORSET, Avertissement, in Essai cit., p. 13.
" Per la polemica fra Rousseau e Rameau, nonché per il ruolo rivestito rispettiva
mente dai due autori nel dibattito settecentesco sulla musica si rinvia agli studi di En
rico Fubini. Si veda in particolare, oltre alla citata antologia Gli Illuministi e la musiCtJ,
il saggio Gli enciclopedisti e la musiCtJ, Einaudi, Torino 1971, il cui cap. m, dedicato a
Rousseau, costituisce uno dei contributi piu chiari e illuminanti per la comprensione dei
capitoli relativi alla musica del Saggio sull'origine delle lingue.
XVIII PAOLA BORA
" Cfr. F. DE SAUSSURE, Corso di linguùtica generale, Laterza, Bari 1970, p. 26. L'a
nalogia tematica fra alcune intuizioni contenute nel Saggio roussoiano e l'analisi del
Corso di linguùtica generale è oggetto di riflessione nel saggio di J. DERRIDA, Le cercle
linguùtique de Genève, in ID., Marges de la philosophie, Minuit, Paris 1972, pp. 165-84.
] . Starobinsk.i suggerisce per primo l'accostamento Rousseau-Saussure nel saggio del
1966 Rousseau et l'origine des langues, ripubblicato in J. STAROBINSKI, La transparence
et l'obstacle, suivi des Sept essaù sur Rousseau, Gallimard, Paris 1971, pp. 356-80.
lO Si veda, in particolare, il lungo e importante cap. IX, pp. 53-65.
" ROUSSEAU, Sull'origine dell'ineguaglianza cit., p. 99·
" ROUSSEAU, Saggio sull'ortg,n i e delle lingue, cap. IX, p. 56.
INTRODUZIONE XXI
" N. A. PLUCHE, Histoire du ciel consideré selon /es idées des poetes, des philosophes
et de Moise, La Hague 1740. Esemplare, per il tipo di utilizzazione di Pluche in am
biente illuministico è l'articolo LANGUE dell'Encyclopédie.
14 Cfr. ROUSSEAU, Confessioni cit., vol. I, p. 251: «Quelli [i libri] che mescolavano
la devozione alla sa·enza mi convenivano piu di ogni altro, e tali erano particolarmente
quelli dell'Oratorio e di Port-Royal. Me ne cadde fra le mani uno di padre Lamy, inti
tolato: Colloqui sulle scienze; era una specie di introduzione alla conoscenza dei libri
che ne trattano. Lo lessi e lo rilessi cento volte, e nsolsi di farne la mia guida • [corsivo
nostro].
Sul padre Lamy si veda l'estesa monografia di F. GIRBAL, Bernard Lamy, Étude bio
graphique et bibliographique, Puf, Paris 1964; nonché, per il contenuto linguistico della
sua opera, gli importanti studi di G. RODIS - LEWIS, Un théoricien du langage au xvn•
siècle: B. Lamy, in • Le Français moderne•, 1 (1968) e L'Art de parler ei l'Essai sur l'ort�
gine des langues, in «Revue intemationale de Philosophie•, 4 (1968) (quest'ultimo in
particolare sul rapporto Lamy-Rousseau).
XXII PAOLA BORA
" Cfr. ROUSSEAU, Confessioni cit., vol. I, p. 256: << Cominciavo con qualche libro
di filosofia, come la Logica di Port-Royal, il Saggio di Locke, Malebranche, Leibnitz,
Cartesio, e cosf via,>.
" Sulla Logique di Port-Royal e sulla Grammaire la bibliografia è assai vasta. Si rin
via in particolare, per la problematica qui accennata, al fondamentale lavoro di L. MA
RJN, La critique du dùcours. Sur la Logzque de Port-Royal et !es "Pensées » de Pasca!,
Minuit, Paris 1975.
" A. ARNAULD e P. NICOLE, La Logique ou l'Art de Penser, a cura di L. Marin,
" c. LÉVI-STRAUSS, Tristi lropià, n Saggiatore, Milano 1960, pp. 279·91. Sulla Leçon
d'écriture si veda DERRIDA, De la grammatologie cit., pp. 149-202 e anche DUCHET, Le
partage des savoirs cit., p. 217.
" Cfr. il frammento Pronunàa riportato in appendice al presente volume, pp. 106-
no.
" LÉVI-STRAUSS, Tristi tropià cit., p. 284.
.. lbid. ' p. 286.
XXVIII PAOLA BORA
" F. JESI, Che cosa ha veramente detto Rousseau, Ubaldini, Roma 1972, pp. 30-3I.
INTRODUZIONE XXXIII
da questi come suoni della lingua nel loro aspetto linguistico. Nella materia
fonica della parola umana, il cammino dell'atto fonatorio al suono propria
mente detto e dal suono al senso è simultaneamente percorso. In considera
zione di tutto ciò ho deciso di rendere voix al plurale prevalentemente con
suoni vocali anziché ripetere sempre un generico voci, che, se talvolta avrebbe
alleggerito la frase, non sarebbe stato preciso nel senso indicato. Inoltre,
senza voler forzare il testo, mi sembra che forse troppo si è insistito sul pri
mato della voce come primato della coscienza soggettiva, che non è l'unico
elemento della complessa articolazione che Rousseau istituisce fra segno,
parola e suono.
1 L'identificazione del << linguaggio d'azione >> come forma originaria della
comunicazione umana, in cui convergono successivamente il gesto, la
rappresentazione mimica, la danza, è comune oggetto di indagine nel
Settecento. Ne discutono significativamente William Warburton (x698-
I779), vescovo di Gloucester, e Condillac, che al primo piu volte si rife.
8 CAPITOLO I
questi temi il cap. v, Sulla scrittura del presente Saggio. Per il dibattito
sulle scritture antiche nei secoli XVII e xvm, c&. M. v. DAVID, Le débat sur
/es écritures et l'hiéroglyphe au XVII' et XVIII ' siècle et l'application de la no·
tion de déchi/frement aux écritures mortes, S.E.V.P.E.N., Paris 1965.
' LIVIO, I, 54 Secondo Livio, Tarquinio il Superbo, decapitando le cime
·
dei papaveri, indicava al messaggero inviatogli da suo figlio Sesto la sorte
da riservare ai notabili dei Gabi. È uno di quei segni emblematici del lin
guaggio muto ricorrente &a gli autori del secolo xvm. Lo cita ad esempio
MONTESQUIEU nella lettera CXXVIII delle sue Lettres Persanes (1721)
( trad. it. Lettere Persiane, a cura di ]. Starobinski, Rizzoli, Milano 1984,
p. 234). Si ritrovano questo esempio e i seguenti, in termini analoghi, al
quatto libro dell'Emilto, nel contesto di un'esaltazione dell'eloquenza an
tica per la misura e l'essenzialità delle parole. Cfr. J.- J. ROUSSEAU, Émile,
Flammarion, Paris 1966, p. 422.
6 ERODOTO, I, 92.
(nota 2 alla p. 141 in ROUSSEAU, IEuvres complètes cit. sopra, alla nota 3
dell'Introduzione, vol. m, p. 1315, alla quale rinviamo). Il Saggio è per
corso da frequentissime notazioni di carattere etnologico e sociologico,
delle quali è possibile rilevare la fonte nelle numerose relazioni di viaggi
del periodo, senza che sia tuttavia necessario e opportuno un rinvio lineare
caso per caso. Ci limiteremo pertanto al rimando testuale solo nel caso di
una citazione diretta di Rousseau o laddove la fonte appaia di un'impor
tanza generale, connotata di uno specifico significato per il contesto o per
il pensiero di Rousseau. Egli stesso si preoccupa d'altronde che i rilievi an
tropologici abbiano un'evidenza impersonale, piu generale della narra
zione del singolo viaggiatore, acquisendo cosi uno statuto propriamente
teorico. Tale operazione risultava del resto pienamente comprensibile e
consona al contesto culturale del secolo XVIII: l'Histoire générale der voya
ges, ou nouvelle collection de toutes /es relations de voyages (Didot, Paris
1746-89, 20 voll.), dell'abate PREVOST era assai diffusa, cosi come il costu
me letterario di intessere la trama del testo con aneddoti e informazioni
tratte dai racconti di viaggi.
17 Un rinvio esplicito al testo del secondo Discorso (c&. nota 13 dell'Intro
duzione) si rende qui necessario, sia per precisare il senso del passo che
precede, dando un « nome» a questa « facoltà propria dell'uomo », sia
per penetrare meglio il complesso rapporto che lega il secondo Discorso
e il Saggio sull'origine delle lingue, individuando la tematica generale in
cui il Saggio si incunea, puntuali2zandola e arricchendone le determina
zioni. Scrive Rousseau nel Discorso sull'origine dell'ineguaglianza (1755)
(pp. 109-10 della trad. it. a cura di V. Gerratana, citata sopra, alla nota 6
dell'Introduzione) : « Ogni animale ha delle idee, dato che ha dei sensi,
e fino a un certo punto coordina anche le sue idee, da questo punto di
vista l'uomo differisce dalla bestia solo quantitativamente. . . Non è per
ciò tanto l'intelletto che distingue in modo specifico l'uomo tra gli ani
mali, quanto la sua qualità di agente libero. La natura comanda a tutti gli
animali, e la bestia obbedisce. L'uomo prova lo stesso impulso, ma si sente
libero di aderire o di resistere; ed è soprattutto nella consapevolezza di
questa libertà che si manifesta la spiritualità della sua anima: poiché la fi.
sica può spiegare in qualche modo il meccanismo dei sensi e la formazione
delle idee, ma nella capacità di volere, o meglio di scegliere, e nella co
scienza di questa capacità, si trova solo un'attività spirituale, di cui niente
è spiegabile con le leggi della meccanica. Ma qualora le difficoltà che in
sidiano tali problemi lasciassero ancora in discussione qualche aspetto di
questa differenza tra l'uomo e l'animale, esiste un'altra qualità molto spe
cifica che li distingue, e sulla quale non ci possono essere contestazioni,
ed è la facoltà di perfezionam:· essa, con l'aiuto delle circostanze, sviluppa
succersivamente tutte le altre facoltà, ed è insita in noi sia nella specie, sia
nell'individuo, mentre l'animale, passato qualche mese, è quale sarà tutta
la vita, e la sua specie, dopo mille anni, è ciò che era il primo di questi
mille anni [corsivo nostro] ».
L'uomo dunque vuole, sceglie ed ha coscienza di questa sua capacità: in
questo sta la lzbertà che lo distingue dagli animali sottoposti alla necessità
dei comandi della natura. Taie naturale, essenziale libertà e la facoltà di
DIFFERENTI MEZZI PER COMUNICARE 13
che lo aveva colpito nella sua illusione '. Ecco in che modo il
termine figurato nasce prima di quello proprio, quando la
passione ci abbaglia e la prima idea che ci presenta non corri
sponde a verità. Ciò che ho detto delle parole e dei nomi vale
IL PRIMO LINGUAGGIO DOVETTE ESSERE FIGURATO 19
senza difficoltà per le espressioni sintattiche. Poiché l'imma
gine illusoria suggerita dalla passione si manifestò per prima,
il linguaggio corrispondente fu anch'esso il primo a nascere;
solo in seguito divenne metaforico, quando lo spirito illumi
nato, riconoscendo l'errore originario, ne impiegò le espres
sioni soltanto per le stesse passioni che l'avevano suscitato •.
' Si dice che l'arabo ha piu di mille parole differenti per dire cammello, piu di
cento per dire spada, ecc. '·
che dalla lingua di Adamo dovettero formarsi in seguito tutte le altre (La
Réthorique cit. (1725), pp. 77 e 8o). Piu avanti Lamy ripete che «è dalla
prima lingua che Dio stesso formò, che son venute tutte le altre» nel
contesto del cap. XVI del libro l, L'Usage est le maitre des langues. Elles
s'apprennent par l'Usage, che appare di particolare importanza per tutto
il complesso della concezione rousseauiana del linguaggio. Lamy vi discu·
te la tesi di Diodoro Siculo sull'origine naturale del linguaggio: « È certo
che esistono delle voci naturali, e che nelle passioni l'aria esce dai pol
moni in una maniera particolare, formando sospiri ed esclamazioni mol
teplici, che sono in verità delle voci naturali. Ma vi è una grande diffe
renza fra questo linguaggio che non è libero e quello di cui noi ci serviamo
per esprimere le nostre idee. Vi sono molte prove per dimostrare che le
parole non sono affatto naturali. lnnanzitutto esse non sono identiche in
tutte le lingue, come dovrebbe invece essere se fosse stata la natura stessa
a trovare le parole di cui noi ci serviamo. Infatti i turchi che non parlano
francese, non sospirano in maniera diversa dai francesi. Tutti gli animali
di una stessa specie fanno lo stesso grido, e abitualmente vediamo che
un uomo non fa cose diverse da quelle che tutti facciamo se non in ciò
che dipende dalla sua libertà. La natura si comporta allo stesso modo in
tutti gli uomini; il fatto che i popoli parlino lingue diverse è dunque una
prova sicura che il linguaggio non è affatto opera della loro natura, bens[
della loro libertà. Tutte le epoche hanno creato nuove parole; se ne deri
vano alcune dalle altre lingue, ma se ne inventano altre mai esistite prima>>
(ibid. , pp. 88-89 [corsivo nostro]). Complessivamente, nell'opera del pa
dre Lamy, l'origine divina del linguaggio umano contro l'ipotesi naturali
stica, di marca epicureo-lucreziana, appare tesa a connotare lo sviluppo
come espressione della libertà dell'uomo, quel « di piii » rispetto alla ne
cessità naturale che lo distingue dagli altri esseri viventi. Si tratta di una
indicazione teorica feconda di sviluppi nel pensiero di Rousseau, analoga
mente all'affermazione con cui si chiude il capitolo in questione: « La pa
rola è l'appannaggio dell'uomo » (ibid. , p. 93).
' Cfr. LAMY, La Réthorique cit., p. 25: « ... a meno che essi [gli uomini pri
mitivi ipotizzati da Lamyl non sapessero differenziare ciascuno di que
sti suoni [le ventiquattro lettere dell'alfabeto] tramite toni differenti,
mediante l'elevazione o la posizione della voce, come nel canto si pro
nuncia in maniera diversa la stessa vocale a seconda di come è contrasse
gnata, il che non è né impossibile né incredibile; infatti vedremo che vi
sono stati dei popoli, e i cinesi lo fanno ancora oggi che, in un certo senso,
cantavano parlando ». E piii avanti, cap. x, p. 49, riferendosi all'informa
zione di F. ALVAREZ SEMMEDO (Imperio de la China, Madrid 1642, trad. in
glese del 1655) riportata nei Biblia polyglotta (London 1657) di Brian Wal
ton: «I cinesi non hanno che 326 parole, tutte costituite da una sola silla
ba. Essi hanno tuttavia cinque diversi toni, secondo i quali una stessa pa
rola significa cinque cose differenti; cosi la diversità dei cinque toni fa s[
che i 326 monosillabi della lingua cinese funzionino come 326 parole
moltiplicate per cinque, cioè come 1630 termini diversi >>. Analoga consi
derazione sulla lingua cinese si trova in VICO, Principj di Scienxa Nuova
cit., t. Il, p. 189: << i chinesi, che non hanno piu che trecento voci arti
•••
LA SCRITTURA
• << La gente si stupisce - dice Chatdin - che due figure possano formare tante let
tere: ma, quanto a me, non vedo di che s tu pirsi cosi tanto, poiché le lettere del nostro
alfabeto che sono in nwnero di ventitre, ciononostante sono composte soltanto di due
linee, la retta e la circolare, cioè con un C e un I si formano tutte le lettere che com
pongono le nostre parole » .
LA SCRITTURA 33
d PAUSANIA, Arcadia. I latini agli inizi scrissero nella stessa maniera e di là, secon·
do Mario Vittorino è venuta la parola « versus >> [lt versus: solco, verso, N. d. T. ] .
e (( Vocales quas Graece septem, Romulus sex, usus posterior quinque commemo
r ll migliore di questi mezzi e quello che non avrebbe questo difetto, sarebbe la
punteggiatura, se la si fosse lasciata in uno stato meno imperfetto. Perché, per esem·
pio, non abbiamo il punto vocativo?
CAPITOLO V
Il punto interrogativo che invece abbiamo sarebbe molto meno necessario; poi
ché, attraverso la sola costruzione, si vede se uno interroga o non interroga, almeno
nella nostra lingua. Venez-vous e vous venez non sono la stessa cosa. Ma come distin
guere per iscritto un uomo che nominiamo da un uomo che chiamiamo? Ecco almeno
un equivoco che il punto vocativo avrebbe levato. Lo stesso equivoco si trova nell'iro·
nia quando il tono non la fa sentire.
' Rousseau riprende nella prima parte di questo capitolo una /ripartizione
della storia generale dei sistemi di scrittura molto comune al suo tempo.
Già nel 1718 Fréret, affrontando nella memoria già citata (cfr. sopra,
nota 4 del cap. I) il tema della scrittura cinese in rapporto alla storia del
l'antica Cina, aveva posto il problema dello studio comparato dei sistemi
di scrittura, offrendo un quadro delle modalità dell'arte della scrittura
metodicamente classificate. In quello scritto, largamente diffuso in se
guito, nel secondo volume dell'Essai sur !es hiéroglyphes edito da Mal
peines nel 1744, Fréret poneva, per la prima volta in maniera rigorosa, il
problema della notazionefonetica come grande discriminante strutturale,
prima che storica, fra i sistemi di scrittura. Egli divideva quindi radical
mente le scritture non fonetiche << peinture des pensées>>, << rappresenta
tive di idee, senza alcun rapporto con le parole della lingua>> (FRÉRET,
Ré/lexions sur !es principes généraux de l'art d'écrire, in CEuvres cit., t. 6,
p. 285), dalle scritture fonetiche << peintures des paroles >> o << écriture ver
bale>>, offrendo cosi il retroterra sistematico alla accezione del termine al
fabeto nel secolo XVIII, come pura notazione fonetica: verrà classificata
come alfabetica e detta letterale ogni scrittura avente come fine quello di
notare i suoni di una lingua, i cui caratteri sono « segni della parola >> par
lata in quanto << segni dei suoni proferiti per comunicare agli altri uomini
le nostre idee e i nostri sentimenti >> (tbid. ) . All'interno di questa generale
distinzione puramente strutturale, non inserita in una concezione evolutiva
di progresso, Fréret suddivideva il primo gruppo secondo tre criteri di
rappresentazione degli oggetti designati dagli elementi di scrittura, cia
scuno storicamente documentato. n primo criterio è quello della notazione
figurativa secondo un rapporto naturale e diretto con gli oggetti stessi alla
maniera dei selvaggi del Canada e dei messicani, portati questi ultimi con
grande rilievo all'attenzione degli studiosi, sulla base della documentazione
fornita da M. THÉVENOT, Relation des divers voyages curieux, Paris 1663,
5 voll., e da G. F. GEMELLI CARERI, Giro de/ mundo, Napoli 1699-1700
(FRÉRET, Réflexions sur !es principes généraux de l'art d'écrire cit., pp. 229-
231). n secondo criterio raffigura gli oggetti secondo un << rapporto imma
ginato con le qualità, i sentimenti e le passioni degli esseri viventi >> dando
luogo ad una maniera di rappresentazione << simbolica>> (ibid. , p. 232) sto
ricamente osservabile nei geroglifici egiziani, prevalentemente nel loro
carattere religioso o sacro. n terzo criterio sostituisce al rapporto imma
ginativo, un << rapporto d'istituzione >> (ibid.) puramente arbitrario, desi
gnando gli oggetti con semplici << trani >> e caratteri tanto stilizzati da
mantenere con le cose una mera relazione convenzionale. Tale è, secondo
LA SCRITTURA 37
LA PROSODIA MODERNA
' Alcuni doni pretendono, contro l'opinione comune e contro la prova trana da
tutti gli antichi manoscritti, che i greci abbiano conosciuto e praticato nella scrittura i
segni chiamati accenti, e fondano questa opinione su due passi che intendo trascrivere
entrambi, affinché il lenore possa giudicare del loro vero senso.
Ecco il primo trano da Cicerone nel suo De oratore, L, ill, n. 44: « Hanc diligentiam
subsequitur modus etiam et forma verborum, quod iam vereor ne huic Catulo videatur
esse puerile. Versus enim veteres illi in hac soluta oratione propemodurn, hoc est nurne
ros quosdam nobis esse adhibendos putaverunt; interspirationis enirn, non defatigatio
nis nostrae neque librariorum notis, sed verborum et sententiarum modo interpunctas
clausulas in orationibus essevoluerunt; idque princeps lsocrates instituisse.fertur, ut in
conditam antiquorum dicendi consuetudinem delectationis atque auriurn causa, quem
ad modurn scribit discipulus eius Naucrates, nurneris adstringeret. Namque haec duo
musici, qui erant quondam idem poetae, machinati ad voluptatem sunt, versurn atque
cantum, ut et verborum numero et vocum modo delectatione vinceret aurium satieta
tem. Haec igitur duo, vocis dico moderationem et verborum conclusionem, quoad ora
tionis severitas pati posset, a poetica ad eloquentiam traducenda duxerunt �> .
Ecco il secondo trano da Isidoro nelle sue Ortgines, libro I, cap. xx: « Praetera quae
dam sententiarum notae apud celeberrirnos auctores fuerunt, quasque antiqui ad di
stinctionem scripturarurn carminibus et historiis apposuerunt. Nota est figura propria
in litterae modum posita ad demonstrandurn unamquamque verbis sententiarumque ac
versuum rationem. Notae autem versibus apponuntur numero XXVI quae sunt nomi
nibus in&a scriptis, etc. )),
Quanto a me, in questi passi leggo che fin dal tempo di Cicerone i buoni copisti pra
ticavano la separazione delle parole e ceni segni equivalenti alla nostra punteggiatura.
Vi leggo anche l'invenzione della metrica e la declamazione della prosa attribuita a Iso
crate. Ma non leggo assolutamente nulla di segni scritti, di accenti e, quand'anche ne
leggessi, non se ne potrebbe concludere che una sola cosa, che non contesto e che rien
tra completamente nei miei principi, e cioè che quando i romani cominciarono a studiare
il greco, i copisti, per indicargliene la pronuncia, inventarono i segni degli accenti, degli
spiriti e della prosodia; ma non se ne deduce affatto che questi segni fossero in uso fra
i greci che non ne avevano alcun bisogno.
CAPITOLO VII
La prova è che questi accenti sono resi tutti o con tempi ine
guali, o con modificazioni delle labbra, della lingua o del palato
che producono la diversità delle voci, nessuno con modifica
zioni della glottide che producono la diversità dei suoni. Cosi
se il nostro circonflesso non è un semplice suono vocale, è una
lunga o non è niente. Vediamo ora che cos'era presso i greci.
« Dionigi di Alicarnasso dice che l'elevazione del tono nel
l'accento acuto e l'abbassamento nel grave erano di una
quinta; per questo l'accento prosodico era tanto musicale,
soprattutto il circonflesso, nel quale la voce, dopo essersi ele
vata di una quinta, discendeva di un'altra quinta sulla stessa
sillaba » b ' . Si vede abbastanza chiaramente da questo passo e
da ciò che vi si riferisce che Duclos non individua affatto un
accento musicale nella nostra lingua, ma soltanto l'accento
prosodico e l'accento vocale; vi aggiunge un accento ortogra
fico che non cambia niente alla voce, né al suono, né alla
quantità, ma che talvolta indica una lettera soppressa come il
circonflesso e talvolta fissa il senso equivoco di un monosil
labo, come l'accento preteso grave che distingue où awerbio
di luogo da ou particella disgiuntiva, e à considerato come
articolo, dallo stesso a considerato come verbo: tale accento
distingue soltanto davanti all'occhio questi monosillabi, nul
la li distingue nella pronuncia '. Cosi la definizione dell'ac
cento che i francesi hanno generalmente adottato non si confà
a nessuno degli accenti della loro lingua '.
Mi aspetto senz'altro che molti dei loro grammatici, p re
giudizialmente convinti che gli accenti indichino elevazione o
abbassamento di voce, protestino ancora una volta qui contro
il paradosso e, invece di porre adeguata attenzione all'espe
rienza, ritengano di produrre con le modificazioni della glot
tide • questi stessi accenti, che producono unicamente variando
le aperture della bocca o le posizioni della lingua. Ma ecco ciò
che ho da dire loro constatando l'esperienza e rendendo irre
futabile la mia prova.
1 Cfr. LAMY, La Réthorique cit., p. 2 1 : « Nelle lingue che hanno dei toni dif.
ferenti, che hanno degli accenti, come la lingua greca, si è cominciato a
marcare questi toni, questi accenti, queste aspirazioni soltanto dopo che
la lingua ha cominciato a corrompersi, dopo che la pronuncia si è alterata
e si son cercati di conseguenza i mezzi per conservare l'antica pronuncia >>.
L'affermazione di Rousseau è in polemica con l'opinione sostenuta da Du
Marsais, nell'articolo Accent dell'Encyclopédie, secondo cui l'uso di con·
notare con segni particolari nella scrittura le modificazioni della voce nel
la lingua parlata era stato adottato e diffuso fin dall'antichità. Du Marsais
riporta a sostegno della sua tesi i due passi di Cicerone e di Isidoro da Si-
LA PROSODIA MODERNA 49
viglia, che Rousseau trascrive nella nota aggiunta al testo, fornendo di essi
una lettura favorevole alla propria interpretazione.
2 Passo letteralmente ripreso da DUCLOS, Commentaire cit., pp. 412-13.
' Cfr. ibid. : << È sorprendente che trattando degli accenti, non si parli altro
che di quelli dei greci, dei latini e degli ebrei, senza dire nulla dell'uso
ch'essi hanno o possono avere in francese. Mi sembra inoltre che non si
possa ben definire l'accento in generale come un'eleva1.ione della voce su
una delle sillabe della parola. Questo si può dire soltanto dell'acuto, dal
momento che il grave è un abbassamento. D'altronde, a scanso di equi
voci, preferirei dire del tono piuttosto che della voce... ma se noi abbiamo,
come gli antichi, la prosodia nella lingua parlata, non facciamo assoluta
mente il loro stesso uso degli accenti nella scrittura. L'acuto serve unica
mente a denotare la é chiusa, bonté; il grave denota la è aperta, succès ...
Cosi, né l'acuto né il grave svolgono propriamente la funzione di accen
ti, e non designano che la natura delle e: il circonflesso neppure la svol
ge, e non è altro che un segno di quantità; mentre presso i greci era un
doppio accento, che elevava e successivamente abbassava il tono su una
stessa vocale ... >>
' Rousseau descrive generalmente (cfr. capp. IV e xn) la fonazione attra
verso dei movimenti di apertura e di chiusura della glottide secondo la
teoria di D. DODARD (Mémoire sur /es causes de la voix de l'homme et des
di/férens tons, 1703). Rousseau conosce la teoria di Dodard dall'articolo
Voice del dizionario di CHAMBERS (Cyclopedia or Universal Dictionary by
Ephrai'm Chambers, prima edizione, London 1728), e dall'articolo Décla
mation des Anciens di Dudos, pubblicato nel vol. IV (1754) dell'Enryclo
pédie. Egli sembra tuttavia ignorare la funzione delle corde vocali illu
strata da A. FERREIN (De la /ormation de la voix de l'homme, 1741), alla
quale, peraltro, Dudos fa riferimento.
' L'accento grammaticale corrisponde all'accento prosodico, mentre accento
oratorio è sinonimo di accento patetico (cfr. ou MARSAIS, Accent, in Enry
clopédie, vol. I (1751) e DUCLOS, Commentaire cit., pp. 412-16). Si vedano
anche le definizioni dello stesso Rousseau alla voce Accent del Diction
naire de musique: « l'accento grammaticale. . . comprende la regola degli
accenti propriamente detti, per i quali il suono delle sillabe può essere
grave o acuto, per i quali ogni sillaba può essere breve o lunga. . . l'accento
patetico o oratorio ... attraverso diverse inflessioni della voce, attraverso
un tono piu o meno elevato, attraverso un eloquio piu vivace o piu lento,
esprime i sentimenti da cui è mosso colui che parla e li comunica a coloro
che ascoltano [corsivo nostro] ».
' L'accento musicale non è definibile in maniera univoca e consona alla tra
dizione come accade per gli accenti della lingua parlata. La ragione di tale
difficoltà risiede nel fatto che « Non vi è musica prima del linguaggio »,
come sottolinea J. DERRIDA (De la grammatologie cit., p. 280). L'imba
razzo di Rousseau nella definizione dell'accento musicale è di origine ana
loga a quella che egli stesso confessa nel definire il canto all'articolo Chant
del Dictionnaire de musique: la necessità, di natura teorica e sistematica,
di marcare la differenza fra il sistema degli intervalli e dei toni vocali e
quello degli intervalli e dei toni musicali, mantenendo tuttavia nell'origi-
CAPITOLO VII
Tutto ciò che ho detto fin qui si adatta alle lingue primi
tive in generale e ai loro progressi nel tempo, ma non spiega
né la loro origine, né le loro differenze. La principale causa
che le distingue è connessa al luogo: deriva dai climi ove esse
nascono e dalla maniera in cui si formano, è a questa causa
che occorre risalire per concepire la differenza generale e ca
ratteristica che si rileva fra le lingue del meridione e quelle
del nord '. Il grande difetto degli europei è di filosofare sem
pre sulle origini delle cose a partire da ciò che succede intor
no a loro: essi non mancano di mostrarci i primi uomini abi
tanti di una terra ingrata e rude, morenti di freddo e di fame,
occupati a farsi un riparo e degli abiti; ovunque essi vedono
la neve e i ghiacci dell'Europa: senza pensare che la specie
umana, cosi come tutte le altre, ha avuto origine nei paesi
caldi e che sui due terzi del globo, l'inverno è a malapena
noto. Quando si vogliono studiare gli uomini occorre guar
dare vicino a sé, ma per studiare l'uomo occorre imparare a
spingere lo sguardo lontano; occorre prima osservare le dif
ferenze per scoprire le proprietà.
n genere umano, nato nei paesi caldi, si diffonde da li nei
paesi freddi; in questi ultimi si moltiplica per rifluire in se
guito nei paesi caldi. Da questa azione e reazione provengono
le rivoluzioni della terra e l'agitazione continua dei suoi abi
tanti. Tentiamo di seguire nelle nostre ricerche l'ordine stesso
della natura. Mi addentro in una lunga digressione su un argo
mento cosi dibattuto da essere banale, ma al quale bisogna
sempre tornare, sebbene con reticenza, per trovare l'origine
delle istituzioni umane.
52 CAPITOLO VIII
• Chiamo tempi primitivi quelli della dispersione degli uomini, a qualunque età del
d È inconcepibile a qual punto l'uomo sia naturalmente pigro. Si direbbe che non
viva che per dormire, vegetare, restare immobile; a malapena riesce a decidere di fare i
movimenti necessari per impedirsi di morire di fame. Null'altro che questa deliziosa
indolenza mantiene tanto a lungo i selvaggi nell'amore della loro condizione. Le pas·
sioni che rendono l'uomo inquieto, previdente, attivo, nascono soltanto in società.
Non fare nulla è la prima e la piu forte passione dell'uomo dopo quella di conservarsi.
A ben vedere, anche &a noi ognuno lavora per arrivare al riposo: è ancora la pigrizia
che ci rende laboriosi 29.
6o CAPITOLO IX
e Questi nomi di autoctoni e aborigeni significano soltanto che i primi abitanti del
paese erano dei selvaggi senza società, senza leggi, senza tradizioni, e che si moltiplica·
rono prima di parlare.
FORMAZIONE DELLE LINGUE MERIDIONALI 6I
Né lo stomaco né l'intestino dell'uomo sono fatti per dige
rire la carne cruda, in generale il suo palato non la sopporta ".
Ad eccezione forse degli esquimesi, di cui ho appena parlato,
gli stessi selvaggi arrostiscono le carni. All'uso del fuoco, ne
cessario per cuocerla, si aggiunge il piacere che questo dà alla
vista e il suo calore gradevole al corpo. La vista della fiamma
che fa fuggire gli animali, attira l'uomo r. Ci si raduna attorno
a un focolare comune, vi si fanno dei banchetti, vi si danza; i
dolci legami dell'abitudine avvicinano insensibilmente l'uomo
ai suoi simili, e su questo rustico focolare brucia il fuoco sacro
che porta in fondo ai cuori il primo sentimento di umanità ".
Nei paesi caldi, le sorgenti e i ruscelli inegualmente distri
buiti sono altri punti di riunione, tanto piu necessari in quanto
gli uomini possono fare a meno dell'acqua piu difficilmente
che del fuoco. I barbari soprattutto, che vivono dei loro ar
menti, hanno bisogno di abbeveratoi comuni, e la storia dei
tempi piu antichi, ci insegna che, in effetti, è li che comincia
rono sia le trattative che le dispute 8• La disponibilità delle ac
que può ritardare la società degli abitanti nei luoghi ben irri
gati. Al contrario, nei luoghi aridi fu necessario collaborare
per scavare pozzi, per tracciare canali al fine di abbeverare il
bestiame. Vi si vedono gli uomini associati da tempo quasi im
memorabile, era inevitabile infatti che il paese restasse deserto
o che il lavoro umano lo rendesse abitabile. Ma la tendenza,
che noi abbiamo, di riferire tutto ai nostri usi rende necessarie
su questo alcune riflessioni.
Lo stato primordiale della terra era molto differente da
quello in cui la vediamo oggi adornata o sfigurata dalla mano
dell'uomo. n caos, che i poeti hanno immaginato negli ele-
f li fuoco fa gran piacere agli animali cosi come all'uomo, quando essi si sono abi
tuati alla sua vista ed hanno sentito il suo dolce calore.
Spesso addirittura sarebbe loro utile come a noi, almeno per riscaldare i loro piccoli.
Ciononostante non si è mai sentito dire che qualche bestia né selvaggia né domestica ab
bia acquisito sufficiente abilità per fare del fuoco, neanche dietro il nostro esempio.
Ecco dunque questi esseri ragionatori che formano, si dice, una società in fuga davanti
all'uomo, la cui intelligenza tuttavia non ha saputo elevarsi sino a trarre da un sasso delle
scintille e a raccoglierle o a conservare almeno qualche fuoco abbandonato! In fede mia
i filosofi " si fanno beffe di noi in modo plateale. Si vede bene dai loro scritti cbe in ef
fetti ci prendono per bestie.
8 Vedete l'esempio delle une e delle altre &a Abramo e Abimelek al capitolo XXI del
Genesi, a proposito del pozzo del gregge "'·
4
CAPITOLO IX
h Si vuoi far credere che, per una sorta di azione e reazione naturale, le diverse spe·
cie del regno animale si manterrebbero da sole in una sorta di oscillazione perpetua che
realizzerebbe per loro l'equilibrio. Quando la specie divorante si sarà, si dice, troppo
moltiplicata a spese della specie divorata, allora, non trovando piii sussistenza, biso
gnerà che la prima diminuisca e lasci alla seconda il tempo di ripopolarsi; fino a che, for
mando di nuovo una sussistenza abbondante per l'altra, questa diminuisce ancora men
tre la specie divorante si ripopola di nuovo. Ma una tale oscillazione non mi sembra af
fatto verosimile: in questo sistema infatti è necessario che vi sia un tempo in cui la specie
che serve da preda aumenti e quella che se ne nutre diminuisca, il che mi sembra contra
rio ad ogni ragionamento "-
FORMAZIONE DELLE LINGUE MERIDIONALI
i Fu inevitabile che i primi uomini sposassero le loro sorelle. Nella semplicità dei co
stumi originari questo uso si perpetuò senza inconvenienti fintanto che le famiglie resta
rono isolate e anche dopo la riunione dei popoli piu antichi; ma la legge che l' aboli non
è meno sacra per il fatto d'essere d'istituzione umana '6. Quelli che la considerano sol
tanto sotto l'aspetto della relazione ch'essa istitui fra le famiglie non ne vedono il lato
piu importante. Nella familiarità che il commercio domestico stabilisce necessaria
mente fra i due sessi, nel momento in cui una legge cosi sacra cessasse di parlare al cuore
e di imporsi ai sensi, non vi sarebbe piu rettitudine fra gli uomini e i pili orribili costumi
causerebbero ben presto la distruzione del genere umano.
FORMAZIONE DELLE LINGUE MERIDIONALI
ciare a far parlare gli abitanti. Le ptime lingue, figlie del desi
derio e non del bisogno, portarono a lungo l'insegna del loro
padre; il loro accento seduttore non si cancellò, se non con i
sentimenti che l'avevano fatto nascere, allorché nuovi biso
gni introdotti fra gli uomini spinsero ciascuno a non pensare
che a se stesso e a rinchiudere il proprio cuore dentro di sé.
1 Su questo passo relativo alla « pietà » e sul rapporto con la diversa conce
zione della « pietà>>, sviluppata nel Discorso, cfr. sopra, nota 3 dell'Intro
duzione.
' C&. Emilio, libro IV, in cui si trova una teoria della « pietà » analoga a
quella presentata nel Saggio: << Infatti, come ci lasciamo muovere a pietà,
se non col trasportarci fuori di noi e con l'identificarci con l'animale sof- .
ferente, lasciando, per cosi dire, il nostro essere per prendere il suo? Noi
non soffriamo se non in tanto in quanto giudichiamo ch'egli soffre; non
è in noi, ma in lui che noi soffriamo. In tal modo nessuno diviene sensibile
se non quando la sua immaginazione si anima, e comincia a trasportarlo
fuori di lui» (in ROUSSEAU, Opere cit. sopra, alla nota 4 dell'Introduzione,
p. )02).
1 Come dimostra con conclusiva chiarezza DUCHET (c&. Le origini dell'an
tropologia cit., vol. m. p. 166). i (( tempi primitivi » di cui si parla in questo
cap. IX del Saggio, « quelli della dispersione degli uomini, quale che sia
l'età del genere umano in cui si voglia fissarne l'epoca », secondo quanto
Rousseau precisa immediatamente in nota, non ci riconducono alle « ori
gini » tratteggiate nel Discorso sull'angine dell'ineguaglianza. Questa
« dispersione» non è infatti quella dell'« uomo selvaggio, disperso tra gli
animali» (Discorso cit., p. 104), bensi quella, descritta piu avanti, degli uo
mini « isolati nelle loro famiglie e senza comunicazione ». L'età delle ca
panne, i « tempi primitivi » in cui si situa l'invenzionedel linguaggio, si arti
cola nei suoi due tempi successivi, dalla dispersione delle famiglie alla for
mazione dei « primi legami &a le famiglie ». Cosi, « nell'Essai la preistoria
del linguaggio è inclusa interamente &a le due " rivoluzioni " di cui parla
il DiscourS >> (DUCHET: Le origini dell'antropologia cit., vol. m. p. 166),
cioè &a « l'istituzione e la distinzione &a le famiglie» e la seconda rivolu
zione, caratteri2zata dall'invenzione della metallurgia e dell'agricoltura
(c&. Discorso cit., pp. 136-41) . Esattamente questo periodo viene definito
nel Discorso «il migliore per l'uomo ... la vera giovinezza del mondo »
(ibid. , p. 140) e in questo capitolo del Saggio si legge: « Questi tempi di
barbarie erano il secolo d'oro, non perché gli uomini erano uniti, ma per
ché erano separati [corsivo nostro] » (p. 54). La nozione di barbarie svolge
in questo contesto una funzione straordinariamente complessa: da un lato,
infatti, essa connota in maniera generale lo stato degli uomini nell'età delle
capanne, « i tempi primitivi », nell'accezione sopra precisata, compren
dente la dispersione delle prime famiglie e la fase immediatamente succes-
66 CAPITOLO IX
siva dei primi clan, della riunione dei gruppi familiari. Dall'altro lato, col
termine barbaro Rousseau denota specificamente uno stadio preciso in
terno ai << tempi » in questione, ma, almeno in prima istanza, non com
pletamente omologabile e sovrapponibile ad essi: lo stadio della pastori
zia, distinto da quello della caccia e da quello dell'agricoltura, quest'ul
timo comunque successivo all'intervento della seconda rivoluzione (cfr.
p. 58). Non si tratta di stabilire se lo stadio della caccia possa essere in
cluso nel rousseauiano « secolo d'oro >> o se viceversa questo coincida tout
court con la società pastorale: tale problema, per essere risolto, richiede
infatti l'intervento di un livello descrittivo accanto al discorso puramente
cronologico. I passi in cui Rousseau denota descrittivamente le caratteri
stiche di questo « felice>> stadio intermedio motivano sufficientemente ad
escludere una preminenza della caccia quale modo fondamentale di sussi
stenza compatibile con le connotazioni dell'« età dell'oro >>, che presen
tano invece una sostanziale identità con gli elementi tipici di una società
pastorale, primo fra tutti, una periodica stanzialità. Rimane il fatto che,
sul piano puramente cronologico, la questione non è decidibile, non rin
via cioè ad una netta scansione interna, in quanto la nozione di « barba
rie>> accomuna, nella fase dei « primi tempi >>, popoli cacciatori e popoli
pastori. E, d'altra parte, l'incastro rigoroso della cronologia del Saggio ri
spetto alla cronologia delineata nel Discorso, non autorizza ad un'inter
pretazione semplificante che faccia prevalere la linea storico-evolutiva
della successione stadiale sulle difficoltà relative al valore non univoco di
concetti quali (( dispersione>>, (( tempi primitivi >> e (( barbarie >>. n livello
storico congetturale, se non rinvia mai in Rousseau ad uno sviluppo lineare,
appare sempre costruito, tuttavia, su relazioni concettuali estremamente
rigorose: di qui la necessità di avvalorare la polarità di significato sottesa
all'uso contestualmente difforme delle nozioni di barbarie e di barbaro. In
questo capitolo del Saggio, la nozione di barbarie è sempre correlativa ad
uno stato di << dispersione>>, piu precisamente essa descrive una serie di
modalità di organizzazione primitiva comprese tra un livello minimo, pu
ramente domestico e naturale, che vede già tuttavia il gruppo familiare
istituito e differenziato, ed un livello massimo di aggregazione sociale, co
stituito dai primi legami fra le famiglie e contraddistinto dalla norma cul
turale fondamentale della proibizione dell'incesto (c&. p. 64): tutte sono
forme relative di aggregazione sociale, disseminate in un'epoca ed in uno
stato generale di dispersione che permane tale. Non vi è nulla in questa
fase che stabilisca il progressivo consolidamento ed estendersi dei legami
sociali: le forme di reciprocità si definiscono e si differenziano come pro
priamente umane, ma senza che nulla intervenga a rendere necessario ed
irreversibile il loro stabilizzarsi o evolversi in piu solidi vincoli. La barbarie
caratterizza dunque la possibilità inaugurata del legame sociale in uno
stato permanente di dispersione: è il luogo della contraddizione, pace e
guerra, amore e paura, tenerezza e ferocia contraddistinguono il << secolo
d'oro >> della barbarie. Una tale connessione della nozione di barbarie con
la possibilità di allargamento dei legami sociali, senza che tale possibilità
sia fondata su alcuna norma interna di stabilizzazione dei nuovi gruppi
piu ampi, si ritrova in MONTESQUIEU (Lo spirito delle leggi, a cura di
S. Cotta, Utet, Torino 19652, vol. I, libro XVTII, p. 465): « Tra i popoli sei-
FORMAZIONE DELLE LINGUE MERIDIONALI
vaggi e quelli barbari c'è questa differenza: che i primi sono piccole na
zioni disperse che, per qualche ragione particolare, non possono n·unirsi,
mentre i barbari sono generalmente piccole nazioni che possono riunirsi.
I primi sono in genere popoli cacciatori, i secondi pastori ... I tartari pos
sono vivere riuniti per qualche tempo, perché le loro mandrie possono es
ser riunite per qualche tempo. Tutte le orde possono quindi riunirsi, e ciò
avviene quando un capo ne ha sottomesse parecchie; dopo di che devono
scegliere una di queste vie: o separarsi, o spingersi a fare qualche grande
conquista in uno degli imperi del sud [corsivo nostro] >>. In Montesquieu
si trova anche la connotazione dei barbari come popoli generalmente pa
stori. La possibilità di riunirsi appare come peculiarità importante ed es
senziale dei popoli barbari secondo una modalità tuttavia che lascia impre
giudicato l'esito verso una nuova dispersione o verso la guerra d'invasione.
La nozione fondamentale di barbarie resta collegata ad uno stato di disper
sione delle piccole nazioni, all'interno del quale l'aggregazione assume il
carattere ancora contingente dell'emergenza fattuale ed in cui la connota
zione dei barbari come prevalentemente pastori mantiene lo statuto di
una significativa differenza storica, piuttosto che di una vera e propria
teorizzazione della preminenza del modo di produzione pastorale nello
sviluppo di piu ampi e duraturi legami sociali. Rousseau mutua da Montes
quieu la duplice connotazione contestuale dei selvaggi-cacciatori e dei
barbari-pastori, inserendola in un quadro storico congetturale in cui la ri
levanza teorica dei tempi della « dispersione >> è assai piu marcata che non
in Montesquieu. Cosi come lo stato selvaggio non si esaurisce in quello
della caccia, la barbarie non si descrive semplicemente come pastorizia.
La barbarie avvolge tutta quella fase in cui i legami sociali, le forme di reci
procità hanno il carattere di altrettanti modi di vita particolari, non tra
smettibili, afferrabili sotto forma di fatti concreti, di particolarità: non
sono attitudini generali, universali, trasmettibili. La prima istituzione so
ciale che si pone, all'interno della società patriarcale, come norma univer
sale, generale, trasmettibile, in grado di perpetuare ed estendere il legame
sociale, è la norma sociale della proibizione dell'incesto. Soltanto in quel
momento, situato nella fase matura delle riunioni delle famiglie, al cul
mine della società pastorale, si spezza la contingenza dei legami di tipo na
turale e la barbarie, epoca della contraddizione, dell'uguaglianza nella
equipossibilità degli opposti, giunge al suo vertice di « felicità», punto
limite con lo stato civile. A questo punto la scelta fra il tentativo di auto
conservazione di questa <<vera giovinezza del mondo », che « solo qualche
caso funesto » (Discorso cit., p. I40) poté sventare e la via della civilisation,
secondo la tensione della perfettibilità. La barbarie connota lo stato pre
cedente a questa svolta, all'istituzione della proibizione dell'incesto e la
non univocità dei concetti di barbarie e di barbaro, per cui quest'ultimo
non denota con precisione sul piano della cronologia nessuna palese scan
sione interna, segnala un'impossibilità ad interpretare secondo linee di
evoluzione storica la lunga fase della dispersione, in quanto ogni avveni
mento o realizzazione vi conserva il carattere della casualità e dell'assoluta
contingenza. La legge che proibisce l'incesto, contestuale al sorgere delle
prime lingue veramente umane, cantanti e appassionate, costituisce la li
nea di scansione piu netta rispetto alle linee di successione stadiale: situan-
68 CAPITOLO IX
dosi al massimo sviluppo delle società pastorali, conclude i primi due sta
di. Nuovi bisogni, provocati dagli uomini stessi apriranno la strada alla
seconda gtande rivoluzione del Discorso: la metallurgia e l'agricoltura e,
con essa, la divisione della proprietà della terra. L'agricoltura, piu lenta a
nascere, è connessa a tutte le arti; essa « determina la proprietà, il gover
no, le leggi e, a poco a poco la miseria e i crimini, inseparabili per la no
stra specie dalla scienza del bene e del male >> (cfr. p. 58). Neli' arco di
tempo imprecisato che si snoda dal momento simbolico che istituisce il
tabu dell'incesto alla stabilizzazione dell'agricoltura come modo di sussi
stenza dominante e sistematico, ha propriamente inizio la civilisation,
come movimento interno dello stato civile, che ha il carattere evolutivo
del movimento storico. È in questa fase che le realizzazioni e le istituzioni
umane perdono la caratteristica di contingenza e particolarità della bar
barie e, divenendo trasmettibili, si generalizzano ed assumono simulta·
neamente consistenza e legalità storica. La storia comincia ·dunque
quando gli uomini <<parlano e/anno parlare disé [corsivo nostro] >> (p. 59):
a questo punto tuttavia Rousseau lascia paradossalmente sullo sfondo la
tripartizione stadiale e le grandi scansioni cronologiche della storia con
getturale e il discorso storico parla il linguaggio parziale della politica e
della critica (si vedano in particolare oltre, i capp. XIX e xx). La barbarie
designa coerentemente un'epoca senza storia, poiché le realizzazioni
umane vi hanno il carattere dell'emergenza particolare e della non trasmet
tibilità, ma, da che gli uomini << parlano e fanno parlare di sé>>, lo stesso di
scorso storico diviene parte interna del movimento della civilisation: criti
carne il senso dello sviluppo implica nell'opera di Rousseau, il rifiuto della
logica continuista e della periodizzazione universalizzante, centrate sulla
civilisation, che egli riconosce nel discorso storico del suo tempo.
' Cfr. Discorso cit., pp. 134-35: << Questa reiterata applicazione di enti di
versi da se stesso, e gli uni dagli altri, dovette naturalmente generare nello
spirito dell'uomo la percezione di certi rapporti. Queste relazioni che noi
esprimiamo con i termini di grande, piccolo, forte, debole, veloce, lento,
pauroso, coraggioso, e altre idee simili, confrontate tra loro quando occor
reva, e quasi senza pensarci, produssero alla fine in lui una qualche rifles
sione, o piuttosto una automatica prudenza, che gli insegnava le precau
zioni piu necessarie alla sua sicurezza >>.
' A proposito dell'originario raggruppamento per ' famiglie' e del carat
tere esclusivamente << naturale >> di questa prima forma di socialità, rin
viamo a J. STAROBINSKI, in CF.uvres complètes cit., vol. III, nota 7 alla p. 167
del Discours, pp. 1342-43. Starobinski, dopo aver ricordato la descrizione
delle famiglie originarie contenuta nel libro III delle Leggi di Platone,
nonché nel Genesi, rinvia a BUFFON (Histoire naturelle, vol. VI: Histoire
naturelle de l'homme, Paris 1752, pp. 272-73, in particolare dr. Variétés
dans l'espèce humaine) che attribuisce un'organizzazione sociale analoga
alle popolazioni autoctone dell'America del Nord. << Questo stadio- com
menta Starobinski - corrisponde abbastanza bene al paleolitico dei nostri
preistorici ».
• Cfr. sopra nota r.
7 Cfr. sopra nota r.
FORMAZIONE DELLE LINGUE MERIDIONALI
table esprit de ses loix, Par-Tout, Chez le Vray Sage, I755. parte II, p. 72,
ove, menzionando gli sciti, Morelly aggiunge: « qui ont été comme la pépi
nière des autres Nations >> (frase resa dal traduttore italiano come << gli an
tichi sciti, i quali sono stati quasi il vivaio degli altri popoli>>, MORELLY,
Codice della Natura, a cura di Enzo Piscitelli, Einaudi, Torino I975, p. 82).
Si noti tuttavia che Rousseau inserisce la metafora in un contesto che ri
guarda i << secoli moderni », dopo la breve digressione sui popoli latini ed
i greci antichi; inoltre la dizione << fabrique du genre humain », solo vaga
mente prossima al testo del Morelly del r755, costituisce una citazione let
terale dall'Esprit des lois, parte III, libro XVII, cap. v, in cui Montesquieu
cita lo storico goto Jornandes attribuendogli la locuzione << humani gene
ris officina » a proposito del Nord Europa (in effetti JORNANDES, nel De
rebus Geticis, 4, scrive: << Ex hac igitur Scanzia insula quasi officina gen
tium ... Gothi... memorantur egressi »). L'allusione di Rousseau si riferisce
dunque, nei « tempi moderni », non alla pur ingrata terra degli sciti, di
memoria erodotea, bensi, sull'orma di Montesquieu, al Nord dell'Eu
ropa, in particolare alla penisola Scanzia diJornandes, la Scandia di Tolo
meo, vale a dire alla Scandinavia, che Montesquieu ricorda nel passo cui
si è fatto riferimento. (Per la traduzione italiana del francese << fabrique »,
ci atteniamo alla versione « fabbrica » resa dal Cotta nella traduzione del
passo citato di Montesquieu, Lo spirito delle leggi cit., p. 456).
" Con questa affermazione, che prelude al successivo passo sull'utilizza
zione del fuoco per la cottura dei cibi, Rousseau si allinea alla tesi svilup
pata da Tarin, nell'articolo Carnacier deii'Encyclopédie, secondo la quale
<< se mangiamo carni, le mangiamo solo dopo averle preparate mediante la
cottura, le mangiamo sia bollite che arrostite». Per Tarin, dunque, come
per Rousseau, l'uomo non è naturalmente carnivoro: si veda anche, su
questo punto la nota v al Discorso cit., p. r74 e, per le polemiche che essa
suscitò, in particolare con Buffon, c&. le relative note di Starobinski, nel
l'edizione del Discours cit. sopra, alla nota 3 dell'Introduzione, pp. IJ62-
rJ6J). Si noti tuttavia che, sempre nel Discorso, a proposito della scoperta
del fuoco, Rousseau afferma: << impararono a conservare questo elemento,
poi a riprodurlo, infine a preparare con esso le carni che prima divoravano
crude [corsivo nostro] » (ibid., p. I34). Secondo un ragionamento ipote
tico congetturale, dunque, in cui l'utilizzazione del fuoco è successiva al
l'invenzione di archi e frecce per la caccia (ibid. ), l'uomo selvaggio, non
ancora riconosciutosi come uomo e confuso ancora con gli animali (cfr. nel
Discorso cit., i passi immediatamente successivi a quello citato, pp. I34-
IJ5) può aver utilizzato direttamente carne cruda per la sua sopravvivenza.
" Dopo aver sottolineato la differenza dell'uomo dagli altri animali, attra
verso il nesso specifico fra l'utilizzazione del fuoco e la cottura dei cibi,
Rousseau istituisce un legame deciso fra la cottura e le prime riunioni de
gli uomini, nel corso delle quali nasce << il primo sentimento di umanità ».
La tappa dell'utilizzazione del fuoco segna pienamente e sistematica
mente il passaggio dal << crudo al cotto », come differenziazione dell'u
manità entro la natura e nascita della socialità come istanza comunicativa.
" Polemica con HELVETIUS che nel De l'Esprit, aveva affermato: << Gli ani
mali costituiscono una società sempre in fuga dinanzi all'uomo . . . » (HEL-
FORMAZIONE DELLE LINGUE MERIDIONALI 73
• Geografia, libro I.
8o CAPITOLO XII
rette ' il quale, per quel che poté tradusse in note della nostra
musica certi frammenti di musica greca, ebbe l'ingenuità di far
eseguire questi frammenti all'Accademia di Belle Lettere, e gli
accademici ebbero la pazienza di ascoltarli. Mi meraviglia
questo esperimento in un paese la cui musica è indecifrabile
per ogni altra nazione. Date da eseguire un monologo di opera
francese ad un qualunque musicista straniero: vi sfido a rico
noscervi qualcosa. E tuttavia sono questi stessi francesi che
pretendono di giudicare la melodia di un'ode di Pindaro mes
sa in musica duemila anni fa!
Ho letto che una volta, in America, gli indiani, vedendo
l'effetto formidabile delle armi da fuoco, raccolsero da terra
LA MELODIA
L'ARMONIA
1 C&. Examen de deux principes avancés par M. Rameau cit., pp. 346 sgg.:
l'intera opera, esplicitamente critica verso le teorie di Rameau e concepita
come risposta agli Erreurs sur la musique dans l'Encyclopédie, sviluppa gli
argomenti che sono oggetto di questo capitolo del Saggio, da un punto di
vista piu tecnico che non di principio. Per la figura di Rameau, per il suo
ruolo nella concezione della musica nel secolo XVIII, nonché per il senso
della aspra polemica con Rousseau, cfr. FUBINI, Gli enciclopedisti e la mu
sica cit. sopra, alla nota 23 dell'Introduzione, in particolare capp. II e III,
pp. 57-132-
2 Cfr. Examen cit., p. 350. Si tratta dell'obiezione di fondo alla teoria del
corpo vibrante di Rameau, in base alla quale l'armonia rappresenta il fon
damento della musica e la melodia una derivazione. C&. FUBINI, Gli enci
clopedisti e la musica cit., p. 74: << Il fondamento di tutta la teoria di Rameau
è l'osservazione del fenomeno fisico degli armonici. Un corpo vibrante ol
tre al suono fondamentale produce, com'è noto, una serie infinita di suoni
d'intensità decrescente e di numero di vibrazioni proporzionalmente piu
alto. Il fondamentale con il terzo e il quinto degli armonici formano l'ac
cordo perfetto maggiore. Secondo Rameau tutti gli accordi in definitiva si
possono ricondurre a questo accordo contenuto nei primi armonici di
qualsiasi corpo vibrante; quest'ultimo costituisce il « centro armonico » a
cui tutti i suoni devono essere riferiti e rappresenta la fonte unitaria di
essi ». C&. anche pp. 36-38. Sul principio dell'armonia si vedano diJ.-P. RA
MEAU: Génération Harmonique (1737), Demonstration du Principe de l'Har
monie (1750), Observations sur notre instinct pour la musique (1754).
CAPITOLO XV
Ognuno è colpito solo dai toni che gli sono familiari; i suoi
nervi vi si prestano solo in quantq lo spirito ve li dispone: bi
sogna ch'egli capisca la lingua che gli si parla perché ciò che
gli vien detto possa metterlo in movimento. Le cantate di
Bernier, si dice, hanno guarito dalla febbre un musicista fran
cese, ma l'avrebbero fatta venire a un musicista di diversa na
Zione.
Negli altri sensi e perfino nel piu rozzo si possono osserva
re le stesse differenze. Quale mutamento è intervenuto nella
percezione di un uomo, che con la mano posata e l'occhio
fisso sul medesimo oggetto, lo crede prima animato e poi ina
nimato, sebbene i sensi ne siano stati colpiti sempre all'iden
tico modo? La rotondità, la bianchezza, il turgore, il dolce
calore, la resistenza elastica e il successivo dilatarsi non gli
dànno niente piu che una sensazione gradevole ma insignifi
cante, se non immagina di sentire un cuore pieno di vita pal
pitare sotto tutto ciò.
Conosco solo un senso alle cui percezioni non si unisce
nulla di morale. È il gusto. La golosità infatti è il vizio domi
nante soltanto in chi è completamente insensibile.
Colui che vuole dunque filosofare sulla forza delle sensa
zioni, cominci col separare dalle impressioni puramente sen
sibili le impressioni intellettuali e morali che riceviamo attra
verso i sensi, ma di cui questi sono soltanto le cause occasio
nali: eviti l'errore di attribuire agli oggetti sensibili un potere
che essi non hanno o che traggono dalle affezioni dell'anima
che ci rappresentano. I colori e i suoni possono molto come
rappresentazioni e segni, possono ben poco come puri og
getti dei sensi. Le composizioni di suoni o di accordi mi diver
tiranno forse per un attimo; ma, per coinvolgermi e traspor
tarmi, bisogna che queste composizioni mi offrano qualcosa
che non sia né suono, né accordo e che riesca a ispirarmi mio
malgrado. Perfino i canti, quando sono soltanto gradevoli,
senza però dire nulla, stancano; infatti non è tanto l'orecchio
che arreca piacere al cuore quanto il cuore che l'arreca all'o
recchio. Credo che, sviluppando meglio queste idee, ci si sa
rebbe risparmiati tanti stupidi ragionamenti sulla musica an
tica. Ma in questo secolo in cui ci si sforza di materializzare
LE NOSTRE SENSAZIONI PIÙ VIVE 91
tutte le operazioni dell'anima e di togliere ogni carattere di
moralità ai sentimenti umani, ch'io sia smentito se la nuova
filosofia non diventerà altrettanto funesta per il buon gusto
che per la virtu.
CAPITOLO XVI
1 Si tratta del « clavecin oculaite >> costruito dal padre Castel, sulla base del
parallelismo fra il fenomeno degli armonici ed il fenomeno della scompo
sizione del raggio di luce nei colori fondamentali attraverso il prisma. Si
veda la voce Clavecin oculaire dell'Encyclopédie, redatta da Diderot, che
fu amico del padre Castel, spesso menzionato nei suoi scritti (cfr. nota 1
al cap. xm). Anche VOLTAIRE lo menziona al cap. XXII degli Éléments de
la philosophie de Newton. (Si fa riferitnento all'edizione definitiva del
1756, approntata da Voltaire per la nuova edizione delle CEuvres a cura del
libraio ginevrino Cramer. La pritna edizione degli Éléments era apparsa
nel I7J8, senza il visto dell'autore, su iniziativa dell'olandese Ledet).
CAPITOLO XVII
1 Dal nome dello strumento in quattro corde che, con i ponticelli, veniva
no divise in una certa proporzione o accordo.
2 Da questo punto fino alla fine del capitolo XVIII, il testo corrisponde
quasi integralmente a O.M., pp. 65-66 (ff. nr e 12r).
CAPITOLO XIX
scalda gli animi liberi e non trovò piu, per elogiare i suoi ti
ranni, quel tono con cui aveva cantato i suoi eroi. L'ibrido
dei romani indeboli ancora quel che di armonia e di tono re
stava al linguaggio. La lingua latina, piu sorda e meno musi
cale, fece torto alla musica adottandola. Il canto, esercitato
nella capitale, alterò a poco a poco quello delle province; i
teatri di Roma danneggiarono quelli di Atene; quando Nero
ne consegui dei premi, la Grecia aveva cessato di meritarne e
la stessa melodia, contesa fra due lingue, non si confece piu
né all'una né all'altra.
Infine arrivò la catastrofe che distrusse i progressi dello spi
rito umano senza annullare i vizi che ne erano il prodotto:
l'Europa, invasa dai barbari e asservita da gente ignorante,
perdette contemporaneamente le scienze e le arti, e lo stru
mento universale delle une e delle altre, vale a dire la lingua ar
moniosa perfezionata '. Questi uomini rudi, che il Nord aveva
generato, abituarono insensibilmente tutte le orecchie alla
rozzezza dei loro organi; la loro voce dura e priva di tono era
fragorosa senza essere sonora. L'imperatore Giuliano parago
nava il modo di parlare dei galli al gracchiare dei ranocchi '.
Tutte le articolazioni erano tanto aspre, quanto le voci erano
nasali e sorde; essi non potevano esprimere il canto se non con
una sorta di boato, che consisteva nel rinforzare il suono delle
vocali per coprire l'abbondanza e la durezza delle consonanti.
Questo canto tonante, unito alla scarsa flessibilità degli or
gani, costrinse i nuovi venuti e i popoli sottomessi che li imita
rono a esprimere con lentezza tutti i suoni per farsi capire.
L'articolazione faticosa e i suoni rafforzati contribuirono in
ugual misura a sottrarre alla melodia ogni senso della misura
e del ritmo; dal momento che la cosa piu difficile da pronun
ciare era sempre il passaggio da un suono all'altro, l'unica pos
sibilità era soffermarsi su ogni suono il piu a lungo possibile,
gonfiarlo, farlo tuonare piu che si poteva. Il canto divenne ben
presto una composizione noiosa e lenta di suoni monotoni e
urlati, senza dolcezza, senza misura e senza grazia; e se anche
i dotti dicevano che si dovevano osservare le lunghe e le brevi
del canto latino , è tuttavia sicuro che si cantarono i versi come
fossero prosa, e che non vi fu piu questione né di piede, né di
ritmo, né di alcuna specie di canto modulato.
COME LA MUSICA È DEGENERATA IOI
corde in tutte le loro aliquote, Rameau fonda il modo minore e la dissonanza sulla sua
presunta esperienza che una corda sonora in movimento faccia vibrare altre corde piu
lunghe alla dodicesima e alla diciassettesima maggiore grave. Le corde, secondo lui, vi
brano in tutta la loro lunghezza, ma non risuonano. Ecco, mi sembra, una singolarità
della fisica: è come se si dicesse che il sole splende e che non si vede niente. Queste corde
piu lunghe, poiché non rendono che il suono della piu acuta, in quanto si dividono, vi
brano, risuonano al suo unisono, confondono il loro suono col suo e sembra che non ne
rendano nessuno. L'errore è di aver creduto di vederle vibrare in tutta la loro lunghezza
e di aver osservato male i nodi. Due corde sonore, che formino qualche intervallo armo
nico, possono far sentire il loro suono fondamentale al grave, anche senza una terza cor
da: è l'esperienza nota e provata di Tattini; ma una corda sola non ha altro suono fonda
mentale che il suo, essa non fa risuonare né vibrare le sue multiple, ma soltanto il suo
unisono e le sue aliquote. Dal momento che il suono non ha altra causa che le vibrazioni
del corpo sonoro e che, dove la causa agisce liberamente segue sempre l'effetto, separa
re le vibrazioni dalla risonanza equivale a dire un'assurdità '·
102 CAPITOLO XIX
I francesi che parlano latino non son capiti quasi da nessun al
tro popolo.
Ristampa Anno
89 90 9 1 92 93 94 95
Nuova I5I R. SERRA, Esame di coscienza di un
letterato e altri scritti. A cura di Ma
Universale
rio Isnenghi.
Einaudi I 52 Illibro di Marco Polo detto Milione.
Ultimi volumi pubblicati Nella versione trecentesca dell' <<Ot
timo>>. A cura di Daniele Ponchiro
li. Introduzione di Sergio Solmi.
153 MARCEL PROUST, Contro Sainte
Beuve. Traduzione di Paolo Serini
e Mariolina Bertini dall'edizione
critica a cura di Pierre Clarac. Sag
gio introduttivo di Francesco Or
I43 ANTONIO LABRIOLA, Scritti filosofici lando.
e politici. A cura di Franco Sbarbe I 54 JOHN MAYNARD KEYNES, Politici ed
ri. (Due volumi). economisti. Traduzione di Bruno
I 44 LEV TROCK!J, Letteratura e rivoluzio Maffi. Introduzione di Roy Jen
ne. Seguito da altri scritti letterari, kins.
dagli atti della riunione sulla politi I 55 LUIGI EINAUDI,La terra e l'imposta.
ca dd Partito comunista russo nella Nota introduttiva di Ruggiero Ro
letteratura, 9 maggio I924, e dal mano.
testo della risoluzione del Comitato
156 PAOLO SARPI, [storia del Concilio
Centrale dd Pcr(b) sulla politica nel Tridentino. Seguita dalla << Vita del
campo letterario, I0 luglio I925. padre Paolo>> di Fulgenzio Mican
Introduzione e traduzione di Vitto zio. A cura di Corrado Vivanti.
rio Strada. (Due volumi).
I 45 Il libro dei vagabondi. Lo « Specu I 57 GIAN PIETRO LUCINI, Revolverate e
lum cerretanorum » di Teseo Pini, Nuove revolverate. A cura di Edoar
«<l vagabondo» di Raffaele Friano do Sanguineti.
ro e altri testi di « furfanteria >>. A
r 58 ALAIN, Cento e un ragionamenti. A
cura di Piero Camporesi. cura di Sergio Solmi.
I 46 JOHAN HUIZINGA, Homo ludens.
I 59 GIOVANNI Vll.LANI, Cronica. Con le
Traduzione di Corinna von Schen continuazioni di Matteo e Filippo.
del. Saggio introduttivo di Umber Scelta, introduzione e note di Gio
to Eco. vanni Aquilecchia.
I47 GUIDO GOZZANO, Poesie. «La via del I6o KARL MARX, Il capitale. Critica del
rifugio», «I colloqui», «Le farfalle» l'economia politica. Introduzione di
e le «Poesie sparse». Revisione te Maurice Dobb.
stuale e commento di Edoardo Libro primo: Il processo di produzio
Sanguineti. ne del capitale e Appendici. Tradu
I 48 JOHANN ] . WINCKELMANN, Il bello zione di Delio Cantimori, Emma
nell'arte. Scritti sull'arte antica. A Cantimori Mezzomonti, Bruno
cura di Federico Pfister. Introdu Maffi e Giorgio Backhaus. (Due
zione di David Irwin. volumi).
I49 BENVENUTO CELLINI,La vita. A cura Libro secondo: Il processo di circola
di Guido Davico Bonino. zione del capitale. Traduzione di
150 M . K. GANDHI, Teoria e pratica della
Raniero Panzieri.
non-violenza. A cura e con un sag Libro terzo: Il processo complessivo
gio introduttivo di Giuliano Ponta della produzione capitalistica. Tra
ra. Traduzione di Fabrizio Grillen duzione di Maria Luisa Boggeri.
zoni e Silvia Calamandrei. (Due volumi).
I6I FRIEDRlCH NIETZSCHE, La gaia scien I7 4 FRlEDRlCH NIETZSCHE, Considera
za. Versione di Ferruccio Masini. A zioni inattuali. Versione di Sossio
cura di Gianni Vattimo. Giametta e Mazzino Montinari.
I6z THEODOR w. ADORNO, Minima Mo Con un saggio di Giuliano Baioni.
ralia. Introduzione di Leonardo 175 WALTER BENJAMIN, Angelus Novus.
Ceppa. Traduzione di Renato Sol Saggi e frammenti. Traduzione e in
mi. troduzione di Renato Solmi.
I63 MAO ZEDONG, Rivoluzione e costru q6 }EAN DE LA BRUYÈRE, I caratteri. In
zione. Scritti e discorsi I949-I957· A troduzione di Gian Carlo Roscioni.
cura di Maria Arena Regis e Filip Traduzione e note di Eva Timbaldi
po Coccia. Abruzzese.
I 64 ANTONIO GRAMSCI, Quaderni del car I 77 ANTONIO GRAMSCI, La Città futura.
cere. Edizione critica dell'Istituto I9IJ-I9I7. A cura di Sergio Ca
Gramsci. A cura di Valentino Ger prioglio.
ratana. q8 JOSEPH ADDISON, Lo spettatore. A
Volume primo: Quaderni I-5· cura di Mario Praz.
Volume secondo: Quaderni 6-II . I 79 ALEKSANDR PUSKIN, Poemi e liriche.
Volume terzo: Quaderni r2-29. Versioni, introduzione e note di
Volume quarto: Apparato critico. Tommaso Landolfi.
I65 ABELARDO ED ELOISA, Lettere. A cu I So ERNST MACH, Conoscenza ed errore.
ra di Nada Cappelletti Truci. In Abbozzi per una psicologia della ri
troduzione di Cesare Vasoli. cerca. Introduzione di Aldo Garga
I 66 OTTO BAUER, Tra due guerre mondia ni. Traduzione di Sandro Barbera.
li? La crisi dell'economia mondiale, I8I MAX WEBER, Parlamento e governo
della democrazia e del socialismo. nel nuovo ordinamento della Germa
Introduzione di Enzo Collotti. nia e altri scritti politici. A cura di
Traduzione di Giuseppina Panzieri Luigi Marino. Introduzione di
Saija. Wolfgang J. Mommsen. Traduzio
I67 NICCOL Ò MACfllAVELll, Teatro. An ne di Luigi Marino e Gianstefano
dria, Mandragola, Clizia. A cura di Villa.
Guido Davico Bonino. I82 ANANDAVARDHANA, Dhvanyiiloka. I