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“La tartaruga bloccata si dimenava per entrare con me.

Imprecava l’impaccio come s’impreca la stoltezza.


Voleva essere la beatitudine ma avevo studiato un po’ quel periodo.
Mi disse: - hai studiato per essere; devi ancora studiare per esserlo.
- io sono un umano e sono il diletto figlio prescelto – risposi.
- Sei sicuramente il peggiore tra gli animali, hai deriso e affettato il
tempo e lo spazio, e inquinato, ad esempio. La natura è arrabbiata,
per questo ti ha fatto così brutto, poi hai quelle ridicole palle al
centro del corpo. -
- ah, tu no? - dissi senza traccia d’ironia. - Mi spiace, ha scelto già
me – continuai - solo tu non lo sapevi e la natura non sa che sono il
più crudo tra gli animali. -
A quel punto me ne andai, volevo ritornare a casa, io vivo a
Modena, sono un postino, quello era il mio giorno libero, volevo
riposare. Ero quasi arrivato all’incrocio e vidi una faccia
stranamente non nuova. Così le mie fobie sociali presero il
sopravvento.
- Oh!! – mi disse poco meravigliato, - oh! Ciao – risposi.
E non disse più una parola, ora capisco perfettamente il bisogno
della frase fatta e del luogo comune, il martellante imbarazzo del
silenzio. Dissi – tutt’ a posto? – e mi sentii una merda. Il mio
pallido, evanescente amico fece un cenno affermativo con la testa
poco percepibile e disse annoiato con il tono quasi arrogante:
- tu? - E io feci una smorfia come per dire “niente di particolare”,
lui mi fissava come se aspettasse ancora una risposta, a quel punto
l’ansia era troppa, aspettavo che si decidesse a congedarmi.
- Chi sei!!?? – Mi disse e mi ripigliai un po’; ci serviva un
manicomio ciascuno. Io sorrisi stupito e chiesi: - Chi sono??!! -
- Cosa sei? – Continuò con tono profondo. Non sapevo che dire,
finsi di riflettere e feci un cenno come per dire “non so” e dissi
– sono contento di me – e lui pronto mi chiese – e la paura?? –
- Si! – Dissi e finsi di riflettere: - la paura. -
Dopo qualche secondo ci stringemmo la mano e ci salutammo, io
ero contento di lasciarlo e appoggiai l’altra mano sull’esterno della
sua; se avessi saputo avrei detto subito: - cazzo, è vero, la paura. -
Però mi ero un po’ abituato a non soffrire della sua presenza, in ogni
modo adesso potevo tornare a casa, mancavano qualche centinaia di
metri; fui sorpreso da un molto particolare buonumore e accesi una
sigaretta. Sentivo una sorta di sicurezza che mi avvolgeva.
Entrai nel portone e salutai Martina, una prostituta venticinquenne
che abitava all’appartamento accanto al mio. Lei era vestita in modo
così strano da trasmettermi una specie di psicosi istantanea, aveva
delle pezze, dei mantelli che l’avvolgevano a caso, erano di vari
colori ma tutti scuri, aveva una gonna lunga e girava scalza nei
corridoi del palazzo. Io ero andato già qualche volta a casa sua a
portarle dei soldi, somme non tanto eccessive; per me non era sesso
fine a sé. Quel giorno era agitata, ma io non riuscivo ad andarmene,
così l’invitai a salire da me, lei disse di avere fretta ma io insistevo e
lo feci fino alla nausea. Avevo una gran voglia di chiacchierare con
lei come avevamo fatto altre volte, ma appena entrò accese le luci e
vide che mi stavo togliendo la maglia, volevo fare l’amore con lei
ma non volevo toglierle i mantelli, così mi avvicinai, lei disse di
aver fretta ma io continuavo a insistere, cercava di divincolarsi ma
io immaginavo di convincerla.

Poi mi resi conto che era inutile e la baciai con passione, lei fece
altrettanto e dopo si mise a piangere. Cosa mi era successo? Non
avevo mai avuto un comportamento del genere.
Prima di uscire dall’appartamento prese il mio fucile e lo puntò
contro di me, poi sorrise e disse singhiozzante: - stronzo, se non ti
amavo t’avrei sparato -. Anch’io l’amavo. Lei uscì. Era la prima
volta che disse di amarmi, io stavo scoppiando dalla gioia, e mi
scatenai sbattendo per tutta la stanza. Poi caddi affannato sul divano.
Decisi di uscire, indossai la maglia e andai a specchiarmi, sembrava
che avessi un altro volto, restai a contemplarmi per circa cinque
minuti e fu così che vidi lo scemo nello specchio che si chinava e
prendeva il fucile, lo puntò alla sua tempia e sparò. Vidi uno dei
miei sogni frequenti: quattro mostri disposti a quadrato con uno
sfondo buio, sembravano delle maschere di carnevale. Poi mi
svegliai dal sonno che continuava dalla mia nascita. Mi trovai su una
strada, avevo un passamontagna marroncino, non mi ero mai sentito
così presente.
Incontrai la natura che aveva l’aspetto di Martina.
La giornata mi sorride;
vedo i lampioni, gli alberi,
non ci sono uccelli, avverto la loro assenza ma
il loro canto arriva fino al mio martire orecchio.
La giornata mi sorride
e anch’io le rido in faccia,
sarà tristemente prevedibile,
annunciata da un segreto dei merli.
La notte mi parla dell’ansia,
non conosco il suo linguaggio
ma ho abbastanza ansia
per trascorrerla nel peggiore dei modi.
A volte mi pare di sentire il battito
dell’anima dell’ universo,
come i passi di un gigante femmina,
o i colpi della sua testa contro il
suolo argenteo.
Ho una cazzo di paura.
La natura disse:
tu, hai l’aspetto di un essere umano?
Chi sei? Dove vai così combinato?
E io dissi tremando: che cazzzo vuoi? stronza puttana?
Mi pentii perché era così dolce
e perché non mi va di scherzare con il nulla.
Dissi ancora: sono il bene e corro a fare il bene con il male in
mano… e sono uno che ha paura e voglio far paura, adesso.”
- Ti piace la mia storia, eh? L’ ho scritta per il cinema stavolta,
alcuni produttori mi hanno proposto di scrivere questo soggetto
un po’ particolare, io poi ho pensato a te che sei un bravo
attore… - disse Carlos a Juan.
- E’ molto strana questa cosa, sembra senza senso, tipo la
letteratura moderna… “il destrutturalismo”…
- Invece ha un senso così delicato e semplice da afferrare, più lo
leggi e più comprendi qualcosa di nuovo

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