Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Americano, 89 anni, era tra i più grandi pensatori a cavallo del millennio. I suoi studi hanno spaziato in diversi campi
della filosofia, della logica, delle scienze informatiche. Con un tocco di "fantascienza" e un blog di "commenti
sarcastici" sull'attualità
di MAURIZIO FERRARIS
Hilary Putnam Meno di un mese dopo il suo amico Umberto Eco se ne è andato l'altroieri Hilary Putnam. Aveva fatto in
tempo a vedere le bozze del suo ultimo libroNaturalism, Realism, andNormativity, in uscita da Harvard University
Press, a cura e con una illuminante introduzione del suo allievo e amico Mario De Caro. Nato a Chicago il 31 luglio
1926, avrebbe compiuto tra pochi mesi novant'anni, una età da patriarca della filosofia, che stabilisce un parallelo con
un patriarca della letteratura anche lui di Chicago, Saul Bellow, morto dieci anni fa. Professore emerito all'Università di
Harvard, dopo aver studiato all'Università della Pennsylvania, essersi addottorato a Los Angeles, e aver insegnato alla
Northwestern University, a Princeton e all'MIT, il 2 novembre 2011 a Stoccolma gli era stato conferito il Rolf Schock
Prize, l'equivalente del Nobel per la filosofia e la logica.
Putnam era un filosofo analitico, ma non aveva niente dell'angustia culturale che talvolta caratterizza questa disciplina
soprattutto in Europa, dove essere filosofi analitici significa spesso parlare in inglese, ostentare indifferenza per la storia
della filosofia e per la letteratura, e occuparsi di minuzie di scarso interesse. Tanto per incominciare, per Putnam, come
ricorda lui stesso, c'era stato un momento in cui, bambino a Parigi, si chiamava "Hilaire Poot-nomm". A Parigi era
arrivato con la famiglia e vivendoci sino all'età di otto anni, perché suo padre, Samuel, studioso di letteratura, traduttore
e attivista politico (era collaboratore del Daily Worker, un organo del Partito Comunista Americano), ci si era trasferito
con un gesto che ricorda Hemingway e Fitzgerald. È probabilmente a questa formazione mai dimenticata che si devono
aperture inconsuete per un filosofo analitico, e per un filosofo americano, per esempio la condivisione della critica di
Derrida all'amministrazione Bush e alle sue guerre. Di questa apertura sull'attualità resta il blog aperto due anni fa,
"Commenti sarcastici", in memoria di quanto gli aveva detto quarant'anni fa il grande filosofo analitico inglese Peter
Strawson: "Di certo metà del piacere della vita sono i commenti sarcastici sull'operetta che si svolge sotto i nostri
occhi".
Inoltre, di origini ebraiche ma educato in forma laica e secolare, negli ultimi anni si era avvicinato alla filosofia di
Rosenzweig, Buber, Levinas, quanto dire alla quintessenza della filosofia continentale. Non con un cambio di
appartenenza, come avvenne nel caso del suo amico e rivale Richard Rorty, ma con una operazione molto più
interessante, che consistette nel guardare dall'alto, per così dire con uno sguardo d'aquila, le tradizioni filosofiche,
lavorando per un'unica filosofia, al di là di distinzioni che non hanno ragione di esistere, o meglio esistono solo per i
minori e i minimi. Nella prospettiva di Putnam la filosofia analitica serve per evitare l'irrazionalità (dunque vale,
direbbe Kant, come "catartico", come purificatore), e una buona filosofia non può mai essere in contrasto con la
scienza, ma filosofi come Kierkegaard, Thoreau, Emerson, Marx e Sartre, riflettono su come viviamo e suggeriscono
come dovremmo vivere, con una vocazione filosofica in cui Putnam intreccia il pragmatismo americano con
l'illuminismo europeo.
Poi, mentre spesso i filosofi analitici amano pensarsi come dei tecnici, degli specialisti di un piccolo campo tanto più
accademicamente pregiato quanto meno culturalmente influente e interessante, Putnam non ha accettato limiti, e ha
esercitato la sua creatività filosofica in ambiti come la logica, la filosofia della matematica, la filosofia ebraica, la
filosofia della mente, la filosofia della scienza, la metafisica, la filosofia del linguaggio, la filosofia morale e da ultimo
anche la filosofia della percezione: una versatilità degna di Hegel. Più di venti libri, che vanno dalla teoria al commento
alla discussione tecnica e alla prospettiva metafilosofica.
Infine, non aveva esitato a cambiare idea moltissime volte, al punto che il filosofo della mente Daniel Dennett aveva
definito "Putnam" "l'unità minima del cambiamento delle idee". Dopo un primo periodo di realismo metafisico, era
approdato, tra la metà degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta, a un "realismo interno" (cioè a un antirealismo di
stampo kantiano), per poi tornare a un ben temperato "realismo del senso comune", sottolineando la differenza tra
ontologia (quello che c'è) ed epistemologia (quello che sappiamo o crediamo di sapere): "Confondere la costruzione
della nozione di bosone, che è qualcosa che la comunità scientifica ha messo a punto nel corso del tempo, con la
costruzione dei sistemi quantistici reali significa, mi pare, scivolare nell'idealismo". Il che non è bene, ma non è
nemmeno necessario. L'ontologia è indipendente dalla epistemologia, ma questo non significa che sia inconoscibile:
esistono, al contrario, molte descrizioni corrette della realtà, proprio come una sedia può essere descritta in modo
altrettanto corretto nel linguaggio della fisica, in quello della falegnameria o in quello del design. È in veste di realista
del senso comune che Putnam aveva sostenuto che nessuna teoria della conoscenza può dirsi completa se non è in grado
di rendere conto della percezione, e aveva partecipato, in dialogo con Umberto Eco, al convegno di New York sul
Nuovo Realismo (il suo contributo si può leggere inBentornata Realtà, uscito da Einaudi l'anno dopo).
Un ultimo punto. In tutte le fasi della sua filosofia, Putnam si è caratterizzato per una vivida immaginazione, che
conferma la validità del detto di Borges secondo cui la metafisica è la branca più illustre della letteratura fantastica.
Invece che con formule pseudo-scientifiche o con prolisse refutazioni di tesi altrui, Putnam si è spesso spiegato con
esperimenti mentali degni della migliore fantascienza. Come quello delle "Terre Gemelle" (due terre parallele in cui
esistono due liquidi fenomenicamente identici, solo che uno ha la formula chimica H2O, il secondo no: si può parlare di
acqua? Per Putnam, no). O come quello del "Cervello in una vasca" (uno scienziato pazzo mette un cervello in un bagno
organico e lo stimola elettricamente facendogli credere di avere esperienze nel mondo: sono vere esperienze? Anche in
questo caso, no). A proposito, quest'ultimo esperimento non vi ricorda un celeberrimo film, tra i più famosi degli ultimi
decenni? Ovvio che sì, ma - in un mondo in cui molti filosofi si servono dei film per illustrare le loro teorie - qui il
filosofo ha preceduto il regista.
http://www.repubblica.it/cultura/2016/03/14/news/morte_putnam-135469646/