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Scheda Chiesa di san Procolo

Il sito, ove ora sorgono le chiese di san Procolo e san Zeno, era occupato a partire dal II-III secolo d. C. da
una necropoli romana, che si estendeva fino all’Adige ed era posta lungo la via Gallica (diretta a Brescia).
Una legge scritta nelle antichissime XII tavole vietava le sepolture in città, quindi esse si trovavano lungo le
vie che uscivano da esse, per essere fuori delle mura e mantenere, però, allo stesso tempo il legame tra vivi
e defunti.
Con la nascita della prima piccola comunità cristiana a Verona, collocabile verso la metà del III secolo,
accanto alle altre tombe iniziarono ad essere disposte anche quelle cristiane e proprio in questa necropoli
trovarono sepoltura per un certo periodo i vescovi della città, dal primo, Euprepio, al quarto, Procolo e
all’ottavo, il famoso Zeno.

San Procolo IV vescovo di Verona


Fino all’editto del 313 con cui Costantino riconosceva legalmente la loro religione, i cristiani erano esposti a
denunce, confische e condanne a morte. I loro misteriosi riti, il rifiuto degli dei tradizionali e del culto dell’imperatore li
rendeva odiosi al popolo e sospetti al potere, soprattutto quando saliva al trono un principe, che li considerava una
minaccia per la società e lo stato.
I primi vescovi di Verona vissero questi tempi eroici della fede cristiana. Secondo la tradizione popolare, riportata
da testi agiografici medievali, durante la persecuzione di Massimiano, collega di Diocleziano (intorno al 304), il santo
vescovo Procolo, operatore di miracoli, ormai molto anziano, era stato convinto a rifugiarsi in un ritiro fuori città, da
dove continuava il suo compito di guida spirituale, rincuorando i fedeli con consigli ed esortazioni.
Nel frattempo accade che Fermo e Rustico, due illustri personaggi bergamaschi dichiaratisi cristiani, siano condotti a
Verona da Milano per essere processati. Il vescovo Procolo, quando viene a sapere che i due stanno per essere
condannati a morte, esce dal suo rifugio e si presenta al tribunale chiedendo di subire la stessa sorte dei due martiri,
ma il giudice lo ritiene un vecchio pazzo e lo affida ai suoi sgherri che dopo averlo malmenato lo cacciano dalla città.
Procolo in seguito riesce a tornare accolto con grandi feste e l’anno dopo muore.

Necropoli e chiese cimiteriali


I cristiani nutrivano una grande venerazione per i martiri e i confessori della fede, figure simboliche di
Cristo, i cui corpi ritenevano santificati dalla coabitazione con un’anima salita in paradiso, perciò
attribuivano alle loro reliquie poteri salvifici per lo spirito e taumaturgici per il corpo, virtù che si
trasmettevano per contatto anche sfiorando la pietra tombale. Ad esempio a Verona il vescovo Procolo che
aveva compiuto miracoli da vivo, continuò a farli da morto, così come, altrove, tanti altri santi. Per
soddisfare le esigenze di questo culto cominciarono a sorgere nei cimiteri, fuori le mura delle città,
cappelline e sacelli, in cui i fedeli potevano raccogliersi e impetrare le grazie dai defunti. Quando il
cristianesimo fu riconosciuto dallo stato sorsero le prime chiese nelle città e in seguito al di fuori delle mura
furono innalzate le cosiddette chiese cimiteriali, sulla tomba o il sacello di un martire o di un vescovo.
A Verona San Procolo, databile dopo la metà del V secolo, fu una di queste, assieme a santo Stefano
(all’uscita della via Claudia Augusta per Trento) e ai Dodici Apostoli (all’uscita sud ovest della Postumia).
Una volta costruita la chiesa vi furono traslati i corpi dei vescovi sepolti nel circostante cimitero.

Chiesa paleocristiana (V-VI secolo)


Dell’edificio paleocristiano restano le fondamenta, sulle quali furono innalzati i muri della chiesa attuale.
Restano inoltre visibili due tratti della facciata originale, come pure è visibile, per un’altezza di circa mezzo
metro, il muro dell’abside, ornato di lesene in mattoni, cioè pilastrini decorativi di poco sporgenti dal muro,
che scandivano ritmicamente tutta la muratura dell’abside e delle fiancate.
La chiesa, di non grandi dimensioni, lunga internamente (abside compresa), m 32,40 e larga 11,10, era
una semplice aula unica priva di transetto, come l’attuale, solo più corta di 6 m.
La chiesa è “orientata” con l’abside rivolta verso il sorgere del sole, simbolo della luce di Cristo, per la
precisione in direzione ENE.

Ricostruzione completa della chiesa (X-XII secolo).

Fase Protoromanica (X-XI secolo).


Non sappiamo bene se san Procolo subì modifiche significative nell’età carolingia e ottoniana (VIII-X
secolo), quel che è certo è che essa fu completamente rifatta intorno all’anno mille, considerato
convenzionalmente europee, dopo i secoli bui delle invasioni e dello spopolamento, l’anno della rinascita,
delle città caratterizzata da un grande fervore dell’attività edilizia, in cui si affermava un nuovo stile
architettonico, che prenderà il nome di romanico.
La nostra chiesa nel frattempo era stata promossa a pieve collegiata, cioè sede di una comunità di
presbiteri (sacerdoti), presieduta da un arciprete, dal momento che si trovava in un sobborgo in continua
espansione, i cui abitanti crescevano e versavano le decime alla pieve. Si decise perciò di ampliare la chiesa
e ricostruirla secondo i nuovi moduli architettonici.
La prima fase edilizia, definibile “protoromanica”, riguardò le murature delle fiancate che furono
ricostruite e allungate dalla parte dell’ingresso di circa 6 m, con il conseguente abbattimento della vecchia
facciata e la costruzione di una nuova.
L’interno venne strutturato su tre piani, secondo nuove esigenze liturgiche: il piano originario restò fino a
circa metà dell’edificio e costituì la chiesa plebana riservata al popolo, mentre la seconda metà fu ripartita
in due piani sovrapposti: in basso fu scavata la cripta e sopra di essa fu costruito il presbiterio. Dalla chiesa
plebana una scalinata centrale larga quanto la navata, scendeva nel piano inferiore della cripta, dedicata
alla custodia e alla venerazione delle reliquie dei vescovi e dei martiri. Invece due scalinate laterali,
addossate ai muri, salivano di quasi due metri al livello del piano superiore del presbiterio, riservato al clero
e alle celebrazioni.
I pavimenti della navata e del presbiterio furono rivestiti da lastre di pietra veronese, nella cripta invece ci
si accontentò della terra battuta.
La cripta, ancora oggi sostanzialmente quella originale, è il luogo più interessante della rinnovata chiesa.
Questo ambiente sotterraneo non è una piccola cappella-reliquiario, ma una grande cripta “a sala”, tipica
del romanico: estesa quanto il sovrastante presbiterio e divisa in tre navate da due file di colonne, sui cui
capitelli appoggiano le dodici volte a crociera, che sostengono il peso del presbiterio.
Col suo suggestivo susseguirsi di archi e volte, la cripta è un luogo intimo e raccolto, costruito per invitare
alla meditazione e alla preghiera, vicino alle sante reliquie qui ospitate. Ora, però, quelle dei vescovi si
trovano nella chiesa superiore.
Le pareti e sicuramente una delle volte furono affrescate in epoche successive dal secolo XII al XIV con la
sovrapposizione di vari strati. Gli affreschi non costituiscono un ciclo unitario ma rappresentano soggetti
votivi di vario genere: gli evangelisti, l’annunciazione, la crocefissione, i vescovi e altri santi.
Di particolare interesse sono i capitelli altomedievali di spoglio, di ignota provenienza, databili dal secolo
VIII al X, di forma corinzia molto semplificata, o cubica, incisi con rilievi geometrici, vegetali o animali
fortemente stilizzati.
Fase del Romanico “maturo” (XII secolo).
Nel XII secolo la facciata fu arricchita, sopra il portale, da un protiro pensile con sottarco affrescato. Il
protiro pensile, non appoggiato a colonne ma sostenuto da due mensoloni inseriti nella muratura, è una
tipica soluzione del romanico veronese.
Ai lati del protiro, all’altezza degli spioventi, furono aperte due bifore con colonnina di separazione a
stampella. Protiro e bifore furono inseriti in murature a corsi di tufo (pietra arenaria), mentre il resto della
facciata e i muri laterali sono in materiale misto, pietre di recupero e corsi di mattoni e ciottoli.
Il muro absidale fu ricostruito con l’alternanza di corsi di mattoni e arenaria giallognola tipica del romanico
veronese maturo.
All’interno della chiesa superiore il romanico fu cancellato dai rifacimenti rinascimentali e settecenteschi
l’unico romanico originale è l’arco centrale di ingresso alla cripta.

In epoca tardogotica fu collocata nel presbiterio la statua di san Procolo, seduto in cattedra e
benedicente, espressiva nella sua austera, ma anche benevola, severità. La statua è eccezionalmente
firmata e datata 1392 da Giovanni di Rigino, scultore e notaio dei Signori Scaligeri.

Restauri del Quattrocento e rinvenimento delle reliquie.


Verso la fine del Quattrocento fu realizzato sul fianco destro di san Procolo un porticato in mattoni a tre
arcate poggianti su colonne in rosso veronese. Contemporaneamente furono effettuati restauri all’interno
della chiesa, in occasione dei quali, nel 1492 furono riscoperte, nascoste sotto l’altare maggiore della cripta,
le sepolture di quattro vescovi, i cui nomi, Euprepio, Cricino, Agapito (o Agabio) e Procolo erano incisi su
lamine di piombo.
La tomba di Procolo conservava una lastra di marmo serpentino, definita da Scipione Maffei “di bellissimo
verde antico” e recuperata da un edificio romano.
La scoperta non mancò di provocare un grande concorso di veronesi, tanto che le reliquie rimasero tre
giorni esposte al popolo, che grazie all’intercessione dei santi Euprepio e Procolo ottenne miracolose
guarigioni e la fine di una prolungata siccità.
Poi si pensò di dare loro degna collocazione. A tal fine furono scolpiti, in pietra tenera di Avesa da un
ignoto artista, due altari reliquiari sormontati da statue, raffiguranti, in uno san Giovanni Battista tra
Euprepio e Cricino, nell’altro san Giovanni Evangelista tra Procolo e Agapio. I due trittici reliquiari furono
collocati nella chiesa superiore a lato dell’altare maggiore.
Le reliquie di Cosma e Damiano e di altri santi ritrovate anch’esse, rimasero invece nell’altare della cripta.

Interventi dal Cinquecento al Settecento

Innalzamento del pavimento plebano e inversione delle scale.


Nel Cinquecento fu rialzato il pavimento della navata plebana di più di un metro e mezzo portandolo
quasi a livello del presbiterio e annullando, forse per mutate esigenze liturgiche, la netta separazione tra la
zona del popolo e quella riservata al clero. Lo spazio tra il vecchio e il nuovo pavimento fu riempito con uno
spessore di terreno misto a macerie, al cui interno furono ricavate numerose tombe.
Il robusto muro, costruito per contenere la massa del terreno, comportò l’eliminazione della scalinata di
accesso alla cripta e l’inversione dell’assetto romanico: le due scale che salivano al presbiterio lungo i muri
laterali, furono fatte scendere fino a raggiungere, attraverso altre due rampe, l’accesso alla cripta
attraverso il solo arco centrale. Furono invece collocati in posizione centrale i pochi gradini necessari per
accedere al presbiterio.
Sempre nel Cinquecento la zona absidale della cripta fu rialzata di poco, assieme al corrispondente piano
di calpestio del presbiterio.

Seicento e Settecento
Nel 1620 fu aperta nel fianco sinistro del presbiterio una grande cappella dedicata alla Beata Vergine, nella
quale fu eretto un maestoso altare barocco con la statua della pietà, che ora si trova in san Zeno.
Nel 1685, l’allora arciprete decise di conferire maggiore rilievo all’abside, sopraelevandone a sue spese,
in forme barocche, l’arco trionfale e conseguentemente anche il muro esterno.
Nel 1739 furono sopraelevati il tetto e la facciata per portarli a un livello consono a quello del presbiterio
rialzato nel Seicento.
Nei primi anni del Settecento erano state murate due arcate del portico rinascimentale per ricavare la
sede della compagnia del santissimo Sacramento, molto attiva e benemerita della parrocchia. Per
riconoscenza la compagnia incaricò il famoso architetto Francesco Bibiena di costruire un nuovo altare
maggiore per la chiesa.

Ottocento
Il secolo iniziò con la soppressione napoleonica della parrocchia di san Procolo (1806), che fu trasferita a
san Zeno, divenuta nel frattempo parrocchia, dopo la soppressione dell’abbazia benedettina.
San Procolo fu quindi sconsacrata e passò al demanio militare. Tutti i suoi arredi, altari compresi, furono
trasferiti in san Zeno.
La chiesa, usata anche come stalla da Francesi e Austriaci, dopo l’annessione del Veneto all’Italia del 1866,
diventò deposito del genio militare italiano

Il Novecento e i restauri
Interventi d’urgenza
L’edificio, ceduto al Comune, fu occasionalmente rifugio di senzatetto, divenne magazzino-palestra della
Guardia di Finanza e perfino cinematografo, finché nel 1927 la soprintendenza ottenne dal podestà lo
sgombero dell’edificio e l’inizio dei lavori più urgenti. Mancavano, però, I fondi per restauri sistematici, il
podestà ritenendo la chiesa inagibile, la fece chiudere, poi subentrarono gli eventi bellici.
Nell’immediato dopoguerra la nuova soprintendenza tornò a insistere sulla necessità di interventi
urgenti, preoccupata per le condizioni del tetto che, infatti, di lì a poco nel 1948 crollò, rovinando sul
pavimento, con grave pericolo per la cripta sottostante, la quale fu subito puntellata e tale rimase fino agli
ultimi restauri. Il tetto fu rifatto nel 1951 eliminando il discutibile peso della sopraelevazione settecentesca
e riportando muri e facciata alle presumibili dimensioni romaniche.

I restauri del 1985-’88


La chiesa, nonostante questi lavori, si trovava in uno stato preoccupante di degrado: alcune travi
risultavano marcite dalle precedenti infiltrazioni, l’interno era ridotto in un deplorevole stato di abbandono,
in particolare la cripta, il cui ingresso era ostruito da macerie e l’umidità risalente aveva corroso gli
affreschi.
Nel 1984 il Comune cedette per 99 anni l’edificio alla parrocchia di san Zeno, perché riprendesse la sua
funzione di chiesa, e la allora B. Pop. di Verona stanziò i fondi per i radicali restauri del 1985-’88. I lavori
iniziarono con una campagna di scavi sistematici nel sottosuolo della chiesa plebana, inutile indagare la
zona orientale perché lo scavo della cripta aveva eliminato ogni traccia archeologica. Rimosso il pavimento
rinascimentale, gli scavi riportarono alla luce il pavimento romanico e le sottostanti tombe seicentesche e
longobarde, sotto alle quali emersero le fondamenta e il piano di calpestio della basilica paleocristiana, che
celava le sepolture paleocristiane e romane dell’antica necropoli.
Completato il grande scavo, si pose il problema della ricostruzione, che non poteva risolversi ricoprendo i
preziosi resti di una stratificazione più che millenaria, né si poteva farne un museo, tralasciando la
destinazione religiosa dell’edificio. D’altra parte con quale criterio ricostruire? Si presentavano due opzioni:
a) ripristinare gli interni romanici, distruggendo il livello cinquecentesco e coprendo le sottostanti sepolture
di varie epoche b) ripristinare la chiesa rinascimentale, salvando le tombe, ma ricorrendo a complicate
ricostruzioni stilistiche e chiudendo i due accessi laterali della cripta.
Alla fine fu scelta una terza via, quella, come dice il direttore dei lavori, L. Cecchini, di “conservare le
testimonianze … di ogni epoca, rispettando tutto ciò che era stato trovato, rendendolo compatibile con una
moderna funzionalità” di “uno spazio destinato al culto”.
Ripristino del livello cinquecentesco del pavimento.
La costruzione di un solaio in cemento ha mantenuto il livello e la funzionalità del pavimento
rinascimentale, coprendo come un involucro il vuoto dello scavo archeologico, ma lasciandolo accessibile
attraverso l’apertura di un ampio rettangolo, da cui parte una scalinata centrale, che richiama quella
romanica, ma scende solo fino a un pianerottolo all’altezza delle sepolture, con le quali comunica. Di qui si
dipartono le rampe che scendono all’accesso alla cripta, conservato in tutta l’originaria ampiezza dei tre
archi.
La cripta
La cripta è stata completamente rinnovata, con opere di consolidamento e deumidificazione. I lacerti di
affresco sopravvissuti sono tornati in parte all’antico splendore. La terra battuta del pavimento originario è
stata ricoperta da lastre “vecchie”, recuperate, di calcare veronese. I capitelli sono stati accuratamente
restaurati e studiati. Nell’abside è stato ricollocato l’altare di Cosma e Damiano.
Interno della chiesa superiore.
Le due coppie simmetriche di arcate cieche della navata superiore, ricavate nelle pareti nord e sud,
ospitano ora opere d’arte appartenenti alla chiesa o provenienti dai Musei Civici.
Nella prima coppia, posta vicino all’entrata, sono stati inseriti uno di fronte all’altro, accuratamente
restaurati nei dettagli, i due trittici-reliquiari della fine del Quattrocento contenenti i resti dei quattro
vescovi veronesi, a sinistra Euprepio e Cricino, a destra Procolo e Agapio.
Proseguendo troviamo i dipinti, che erano custoditi nei depositi dei Musei Civici di Verona e collocati,
dopo i restauri, nella chiesa, visto che è proprietà del Comune.
Sulla parete sinistra troviamo due ante dell’organo di san Zeno dipinte da un anonimo autore
rinascimentale (G. M. Falconetto?) nel 1490. Il pittore rappresenta un interno architettonico suddiviso in
due piani, in alto, dietro un’elaborata balaustra, è raffigurata l’annunciazione, con l’arcangelo Gabriele che
appare sull’anta di sinistra, mentre Maria è seduta sulla destra, in basso in due nicchie sono ritti i santi Zeno
e Benedetto.
Più avanti nell’arcata di sinistra è collocata una tela del 1741, Sant’Elena che adora la croce, un’opera
giovanile di Giambattista Cignaroli che rivela già notevole personalità, nel forte contrasto tra l’oscurità che
avvolge la croce in primo piano e la luce sfolgorante che rischiara la santa.
Di fronte sulla destra un’opera, anch’essa giovanile, del contemporaneo Giorgio Anselmi San Biagio che
guarisce gli infermi, datata intorno al 1745, l’enfasi drammatica della tela è sottolineata dai forti colori, su
cui spicca il rosso porpora dei paramenti vescovili.
Sul fondo dietro l’altare maggiore, un’altra tela dell’Anselmi del 1764, più matura di vent’anni: L’Ultima
Cena. Lo stile è mutato, Cristo è una persona eterea, appartenente a un’altra dimensione, in contrasto con
l’umanità concreta degli apostoli. Non c’è traccia della cena conviviale, Cristo si è alzato in piedi dall’altro
lato di una tavola spoglia e in modo anacronistico distribuisce pezzetti di pane da un vassoio agli apostoli in
ordine sparso. La tela era stata dipinta per l’altare maggiore di san Procolo, ideato dall’architetto Francesco
Bibiena nel 1729, poi venduto alla parrocchiale di Casaleone.
L’altare maggiore è adesso costituito da una base cilindrica romana, su cui poggia come mensa la lastra di
“verde antico” che fu trovata nella sepoltura di san Procolo nel 1492.
Sul fianco sinistro dell’arco trionfale ci guarda con ieratica espressione la statua gotica di san Procolo
ritornata alla sua chiesa. Attentamente ripulita e restaurata, essa rivela l’originaria policromia seppur
sbiadita dalle ingiurie del tempo.
La facciata.
La facciata è stata ripulita e vi è stato riaperto il finestrone ottagonale seicentesco posto al centro a mo’ di
rosone, nel quale è stata inserita una vetrata istoriata opera del pittore R. Marinelli.
Il porticato a tre arcate.
Del porticato posto sul fianco sud si è deciso di non riaprire le due arcate chiuse nel Settecento.
L’ingresso laterale alla chiesa inserito nella terza arcata è stato riaperto e costituisce l’attuale entrata.
Sulla destra del portico un muro divide la piazzetta dal cortile interno, il grande arco di ingresso a tutto
sesto e parte delle murature degli edifici sono romanici, appartenenti all’antica collegiata.

Riapertura al culto
Il 23 marzo 1988 la chiesa, solennemente riconsacrata, alla presenza delle autorità cittadine, viene riaperta
al culto dal vescovo Giuseppe Amari.

Leonardo Venturini

Bibliografia

“La chiesa di San Procolo in Verona: un recupero e una restituzione”, A cura di P. Brugnoli, Verona 1988

G. Benini, “Le chiese di Verona: guida storico-artistica”, Verona 1995

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