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Chiesa di san Procolo

La chiesa attuale sorge sulle fondamenta e in parte sull’alzato dell’originaria chiesa paleocristiana del V-VI
secolo, la quale fu interamente ricostruita in epoca romanica nei secoli X-XII, subì forti rimaneggiamenti
interni in età rinascimentale e barocca e la sua copertura fu sopraelevata con ricostruzione dei tetti nel
Settecento. In epoca napoleonica (1806) fu espropriata, sconsacrata e adibita ad altri usi. Gli arredi, statue
e quadri e gli altari furono trasferiti in san Zeno, divenuta la nuova parrocchia.
Come proprietà del demanio militare, fu usata come magazzino e stalla dall’esercito austriaco, poi
deposito di carri del genio militare italiano, l’incuria e l’abbandono diedero così l’avvio a un degrado
inarrestabile.
Nel Novecento la chiesa, ceduta al comune, divenne rifugio abusivo di senzatetto, magazzino, palestra e
infine cinematografo. Il tetto era in condizioni preoccupanti e la soprintendenza, fatto sgombrare l’edificio,
cominciò i restauri urgenti nel 1927. Nel dopoguerra ripresero urgentemente i lavori dopo l’improvviso
crollo del tetto che fu rifatto nel 1951, demolendo la sopraelevazione settecentesca e ripristinando la
facciata romanica. Finalmente nel 1985, grazie ai generosi finanziamenti della Banca Popolare di VR prese il
via un restauro radicale con criteri scientifici moderni, che riguardò sia le strutture architettoniche, sia le
statue e gli affreschi. Nel marzo del 1988, terminati i lavori, la chiesa fu restituita al culto.

San Procolo IV vescovo di Verona


I documenti più antichi (secoli VIII-IX), sia il Velo di Classe, sia il Ritmo Pipiniano indicano san Procolo come il IV
vescovo di Verona, a metà strada tra san Eupreprio il I della serie e san Zeno, l’VIII.
Il Velo di Classe, trovato nel monastero di Classe e custodito al museo nazionale di Ravenna è una lunghissima
pianeta o meglio una coperta d’altare, ricamata con i ritratti dei primi vescovi veronesi, per il vescovo Annone nel 760
circa). Il Ritmo Pipiniano, un poemetto in versi latini di elogio di Verona composto sotto il regno di Pipino il Breve tra il
781 e l’810, non si limita a nominare Procolo, ma lo definisce confessor et pastor egregius.
Il vescovo Procolo compare nella Passio Firmi et Rustici, la Passione di Fermo e Rustico, e nella Vita Proculi, la Vita di
Procolo, di cui è ovviamente protagonista, due testi agiografici medievali che riprendono antiche tradizioni popolari,
nelle quali la leggenda prevale sulla storia.
Il fatto di essere cristiani esponeva a processi, confische e condanne a morte in seguito a denunce private, ma intorno
al 260 cominciarono le persecuzioni sistematiche e i primi vescovi di Verona vissero questi tempi eroici della fede
cristiana.
L’episodio più significativo della vita di Procolo è collocato durante la feroce persecuzione di Massimiano, collega in
occidente di Diocleziano. Il racconto narra che Fermo e Rustico, due illustri personaggi bergamaschi dichiaratisi
cristiani erano stati condotti, chissà perché, da Milano a Verona per essere processati, nel 304 circa. Il santo vescovo
Procolo operatore di miracoli, ormai vecchio, esce allora dal ritiro fuori le mura in cui era stato convinto a rifugiarsi e si
presenta al tribunale chiedendo di subire il martirio assieme ai due martiri che erano stati condannati a morte, ma il
giudice lo ritiene un vecchio pazzo e lo affida agli sgherri che, dopo averlo malmenato, lo cacciano dalla città. Procolo
in seguito riesce a tornare accolto con grandi feste e l’anno seguente muore.

Necropoli e chiese cimiteriali


Le necropoli romane per una legge antichissima delle XII tavole, che vietava le sepolture in città, si
trovavano lungo le vie che uscivano da essa, per essere fuori delle mura e mantenere, però, il legame tra
vivi e defunti. Le necropoli di Verona fiancheggiavano la via Postumia in uscita dalla città, sia in direzione
est verso Vicenza, sia verso sud ovest verso Goito. Anche lungo la via Gallica, diretta a ovest verso Brescia,
si sviluppò nel II-III secolo d. C. una necropoli che giungeva fino all’Adige, sul cui terreno sorgeranno le
chiese di san Procolo e san Zeno. Le sue sepolture erano collocate all’interno di giardini recintati, le cui
misure, indicate nelle steli funerarie, variavano da 15-20 a 500 m quadrati.
Con la nascita della prima piccola comunità cristiana a Verona, collocabile verso la metà del III secolo,
accanto alle altre tombe iniziarono ad essere collocate anche quelle cristiane e proprio in questa necropoli
trovarono sepoltura per un certo periodo i vescovi della città, dal primo, Euprepio, al quarto, Procolo e
all’ottavo, il famoso Zeno e su questo terreno sorserà la chiesa di San Procolo.
Tra le tante epigrafi ritrovate nella necropoli due sono particolarmente interessanti, una pagana, l’altra
cristiana. Quella pagana, del III secolo d. C., dedicata al gladiatore Glauco è divisa in due parti, la prima è
una classica dedica:
AGLI DEI MANI. A GLAUCO NATO A MODENA. FECE 7 COMBATTIMENTI. MORÌ ALL’OTTAVO. VISSE 23 ANNI
5 GIORNI. (POSERO) AURELIA AL MARITO BENEMERITO E I SUOI TIFOSI.
Nella seconda parte il defunto parla in prima persona ai passanti:
ESORTO CIASCUNO DI VOI A SEGUIRE LA SUA STELLA (OROSCOPO) A NON FIDARSI DI NEMESI (la dea del
destino e dei gladiatori). IO NE FUI INGANNATO. AUGURI. STATE BENE. Esortazione per noi piuttosto
contradditoria, considerare l’oroscopo più attendibile di una dea infida e beffarda, ma rispondente al
bisogno di affidarsi a una entità divina, come erano gli astri, in particolare per chi rischiava la vita in arena.
Sulla stele, poi perduta, era scolpita la punta di un tridente, che assieme a una rete da lancio era l’arma
tipica del reziario, un tipo assai popolare di gladiatore.
La seconda epigrafe del IV- V secolo è forse la prima testimonianza cristiana di Verona, inizia infatti con la
parola INNOFITUS, scambiata, quando fu ritrovata negli scavi del 1986, per un nome personale del defunto,
recentemente (2017) interpretata invece dal prof. A. Buonopane, docente all’Università di VR, come una
storpiatura di NEOPHITUS, assai probabile in quell’epoca d’incuria ortografica. La scritta completa dice :
QUI (GIACE) IL N(E)OFITO VICTOR(I)NIANO CHE VISSE 2 ANNI E 11 MESI.
Neofito è parola greca che significa “piantato/ germogliato di recente”, così erano chiamati i neobattezzati.
Di solito il battesimo era impartito solo agli adulti con rito solenne dopo un lungo periodo di catecumenato,
ma evidentemente si dava anche ai bambini in pericolo di vita.
Il cristianesimo si diffuse inizialmente nelle città portuali o vicine al mare, giunse solo nel III secolo
all’interno, nei centri della pianura Padana, a quest’epoca risale probabilmente il primo vescovo di Verona,
Euprepio.
Le prime comunità cristiane si radunavano più o meno clandestinamente, a seconda dell’atteggiamento
dell’imperatore in carica, in una domus ecclesiae, casa dell’assemblea, un’abitazione capiente, adattata alle
esigenze del culto. Solo dopo la metà del IV secolo quando il cristianesimo era riconosciuto dallo stato,
l’ottavo vescovo, Zeno, costruì a Verona la prima chiesa, sotto l’attuale sant’Elena, di fianco al Duomo.
Questa chiesa ospitò la cattedra, cioè la sede, del vescovo, ma non il suo sepolcro. I vescovi erano in questo
periodo seppelliti nella necropoli dove sorgerà san Procolo.
I cristiani avevano una grande venerazione per i defunti, in particolare per i martiri e i confessori della
fede: ritenevano i loro corpi santificati dall’aver ospitato un’anima salita in paradiso e attribuivano alle loro
reliquie poteri salvifici per lo spirito e taumaturgici per il corpo, virtù che si trasmettevano per contatto
anche sfiorando la pietra tombale. Ad esempio a Verona il vescovo Procolo che aveva compiuto miracoli da
vivo, continuò a farli da morto, così come, altrove, tanti altri santi. Per soddisfare le esigenze di questo culto
cominciarono a sorgere nelle necropoli, cappelline e sacelli, in cui i fedeli potevano raccogliersi e impetrare
le grazie dai defunti. In seguito al loro posto sorsero chiese cimiteriali, esterne alle mura e non collegate a
un’espansione della città, che invece in quell’epoca di crisi si contraeva all’interno delle mura.
San Procolo, databile dopo la metà del V secolo, fu una chiesa cimiteriale veronese, all’uscita della via
Gallica per Brescia, assieme a santo Stefano, posta all’uscita della via Claudia Augusta per Trento e ai Dodici
Apostoli all’uscita sud ovest della Postumia per Cremona. Una volta costruita la chiesa vi furono traslati i
corpi dei vescovi sepolti nel circostante cimitero, la stessa cosa si fece in santo Stefano per i vescovi che
giacevano in quella necropoli.

Chiesa paleocristiana (V-VI secolo)


Dell’edificio paleocristiano restano le fondamenta sulle quali furono poi innalzati i muri della chiesa
attuale, più lunghi di 6 m oltre la primitiva facciata. Di questa sono visibili due tratti, come pure resta
visibile, per un’altezza di circa mezzo metro, il muro dell’abside paleocristiana, ornato di lesene in mattoni,
che scandivano ritmicamente la muratura dell’abside e anche i muri laterali, nei quali si trovano le basi di
due di esse.
Le lesene ,cioè pilastrini decorativi di poco sporgenti dal muro, non avevano una funzione statica, ma solo
estetica di movimentare le murature evitando una monotona uniformità, un po’ come nelle absidi
romaniche del Duomo e di san Giovanni In Fonte.
Si è trovato anche una parte rilevante del pavimento originale che non rivela tracce di mosaico, ma era
semplicemente costituito da due gettate di malta sovrapposte. All’esterno, davanti alla facciata, c’era
invece un lastricato di pietre calcaree, alcune delle quali erano costituite da coperture di tombe, lì giacenti
e rispettate sia dalla costruzione paleocristiana, sia dalla ricostruzione romanica.
La chiesa, di non grandi dimensioni, lunga internamente (abside compresa) m 32,40 e larga 11,10 era
una semplice aula unica priva di transetto come all’attuale, solo più corta di 6 m.
Le chiese paleocristiane avevano un particolare rapporto con la luce solare, simbolo della luce portata sulla
terra dal Verbo divino risorto. La chiesa è “orientata” con l’abside rivolta appunto in modo approssimativo
verso il sorgere del sole, per la precisione in direzione ENE, a differenza dell’assetto viario di Verona romana
orientato da NNE a SSO. In molte chiese i raggi del sole dovevano filtrare attraverso grandi finestre vetrate
di cui abbiamo un’idea osservando i muri laterali della chiesa di santo Stefano, che recano evidenti tracce
delle originarie finestre paleocristiane, poi murate.

Ricostruzione completa della chiesa (X-XII secolo).


Fase Protoromanica (X-XI secolo): allungamento della chiesa e scavo della cripta.
Non sappiamo bene se san Procolo subì modifiche significative in età carolingia-ottoniana (VIII-IX secolo) ai
tempi dell’arcidiacono Pacifico, quel che è certo è che la chiesa fu completamente rifatta verso l’anno mille,
convenzionalmente considerato, dopo i tempi bui delle invasioni e del feudalesimo l’inizio della rinascita
delle città e delle economie europee, caratterizzata da un grande fervore dell’attività edilizia in cui si
affermava un nuovo stile architettonico, che prenderà il nome di romanico.
La nostra chiesa nel frattempo era stata promossa a pieve collegiata, cioè sede di una comunità di
presbiteri (sacerdoti), presieduta da un arciprete, dal momento che si trovava in un sobborgo in continua
espansione, i cui abitanti crescevano e versavano le decime alla pieve. Si decise perciò di ampliare la chiesa
e ricostruirla secondo i nuovi moduli architettonici.
Questa prima fase edilizia, definibile “protoromanica”, non riguardò il giro absidale, bensì le murature
delle fiancate che furono ricostruite e allungate dalla parte dell’ingresso di circa 6 m, con il conseguente
abbattimento della vecchia facciata e la costruzione di una nuova.
L’interno venne strutturato su tre piani, secondo nuove esigenze liturgiche: il piano originario restò fino a
circa metà dell’edificio e costituì la chiesa plebana riservata al popolo, mentre la seconda metà fu ripartita
in due piani sovrapposti collegati da scalinate al piano intermedio. Dalla chiesa plebana, infatti, una
scalinata centrale larga quanto la navata, scendeva nel piano inferiore della cripta, dedicata alla custodia e
alla venerazione delle reliquie dei vescovi e dei martiri. Invece due scalinate laterali, addossate ai muri,
salivano al livello di quasi due metri superiore del presbiterio, riservato al clero e alle celebrazioni.
L’antico pavimento della navata e il presbiterio furono rivestiti da una pavimentazione di lastre di pietra
veronese, nella cripta ci si accontentò della terra battuta.
La cripta, ancora oggi sostanzialmente quella originale, è il luogo più suggestivo della rinnovata chiesa.
Questo ambiente sotterraneo non è un semplice ipogeo-reliquiario, ma una grande cripta “a sala”, tipica
del romanico, estesa quanto il sovrastante presbiterio e divisa in tre navate da due file di colonne, sui cui
capitelli assieme a quelli di dodici lesene (addossate ai muri laterali) appoggiano le dodici volte a crociera,
che sostengono il peso del presbiterio. Lo sforzo di tale funzione è sottolineato dalla costolatura cioè dai
sottarchi, in questo caso sottili, formati dai quattro costoloni di mattoni che, in ogni soffitto a volta, si
incrociano al centro, nella chiave di volta, dividendo lo spazio curvo in quattro vele uguali.
Col suo suggestivo susseguirsi di archi e volte, la cripta è un luogo intimo e raccolto, costruito per
invitare alla meditazione e alla preghiera, vicino alle sante reliquie qui ospitate. Ora, però, quelle dei
vescovi si trovano nella chiesa superiore.
Le pareti e sicuramente una delle volte furono affrescate in epoche successive con la sovrapposizione di
vari strati dal secolo XII al XIV. Tali affreschi non costituirono mai un ciclo unitario ma rappresentano per lo
più soggetti votivi di vario genere: gli evangelisti, i quattro proto vescovi, l’annunciazione, la crocefissione,
san Ludovico di Tolosa, santa Maria Egiziaca e altri. Essi erano ridotti in uno stato pietoso, del tutto illeggibili
fino al laborioso restauro del 1986-‘88.
Di particolare interesse sono i capitelli altomedievali, di spoglio, di ignota provenienza e databili dal secolo
VIII al X, di forma corinzia molto semplificata, incisi con rilievi geometrici, vegetali o animali fortemente
stilizzati.

Fase del Romanico “maturo” (XII secolo): facciata, abside. La statua gotica di san Procolo.
La facciata, modificata nel XII secolo, fu arricchita , sopra il portale, da un protiro pensile, con sottarco
affrescato. Il protiro pensile, non appoggiato a colonne, ma sostenuto da due mensoloni sporgenti dalla
muratura è una tipica soluzione del romanico veronese presente in santo Stefano, san Giovanni in Valle,
alla santissima Trinità e nella provincia.
Ai lati del protiro, all’altezza degli spioventi, furono aperte due bifore con colonnina di separazione a
stampella. Protiro e bifore sono inserite in muratura a corsi di pietra arenaria (tufo), mentre il resto della
facciata e i muri laterali sono in materiale misto, pietre di recupero e corsi di mattoni e ciottoli.
Il muro absidale fu ricostruito con l’alternanza di corsi di mattoni e arenaria tipica del romanico veronese
maturo (san Zeno I fase, santo Stefano e altre).
All’interno nella chiesa superiore il romanico fu cancellato dai rifacimenti rinascimentali e settecenteschi,
l’arco trionfale del presbiterio non è autentico, ricostruito nel 1927, l’unico romanico originale è l’arco
centrale di ingresso alla cripta.
Sul finire del Trecento in epoca tardogotica, fu collocata nel presbiterio la statua di san Procolo
benedicente, seduto in cattedra, molto espressiva nella sua austera, ma anche benevola, severità. La
statua è eccezionalmente firmata e datata 1392 da Giovanni di Rigino, scultore e notaio dei Signori
Scaligeri. Essa è molto simile alle più o meno coeve statue di san Pietro custodite in santo Stefano e sul
protiro laterale di san Pietro in Archivolto.

Restauri del Quattrocento e rinvenimento delle reliquie.

Verso la fine del Quattrocento fu realizzato sul fianco destro di san Procolo un porticato con colonne in
rosso veronese e murature in mattoni che formavano tre arcate, ora ridotte a una, essendo state murate
nel Settecento le altre due. Contemporaneamente furono effettuati restauri all’interno della chiesa, in
occasione dei quali nel 1492, furono riscoperte, nascoste sotto l’altare maggiore della cripta, tre sepolture
di quattro vescovi veronesi, i cui nomi, Euprepio, Cricino, Agapito (o Agabio) e Procolo erano incisi su
lamine di piombo. Prima fu trovata quella di Procolo, coperta da una lastra di marmo serpentino, definita
da Scipione Maffei “di bellissimo verde antico”, di probabile origine greca e recuperata da qualche edificio
romano, poi la sepoltura di Agapio (o Agabio) e infine quella doppia di Euprepio e Circino (o Cricino).
Un’ iscrizione forse del VI secolo, ora murata nell’abside della cripta, fu trovata su una pietra del sepolcro,
essa recita:
QUI IN FRETTA INVECCHIAI, ORMAI MI SARÀ DAVANTI UNA PIU LUNGA VITA E VIVRÒ A LUNGO IN ANNI
MIGLIORI. LE RELIQUIE DEL VESCOVO PROCOLO E DEI SANTI MARTIRI COSMA E DAMIANO ED ANCHE DEL
CONFESSORE MARTINO RIPOSERANNO IN PACE.
L’epigrafe sembra l’assemblaggio di due testi. Nel primo, trovato su una sepoltura, il defunto (Procolo ?)
parla in prima persona e confronta la sua vita terrena giunta rapidamente alla vecchiaia con il futuro di una
vita ben più lunga e felice nell’al di là. Il secondo testo è un inventario delle reliquie custodite nella primitiva
chiesa.

La scoperta non mancò di provocare un grande concorso della gente veronese, tanto che le reliquie dei
vescovi rimasero tre giorni esposte al popolo che ottenne, grazie all’intercessione dei santi Euprepio e
Procolo, miracolose guarigioni e la fine di una prolungata siccità.
Poi si pensò di dare loro degna collocazione, a tal fine furono scolpiti, in pietra tenera di Avesa da un
ignoto artista, due altari reliquiari completi di tre statue ciascuno, in uno è raffigurato san Giovanni Battista
tra Euprepio e Cricino, nell’altro san Giovanni Evangelista tra Procolo e Agapio. I due trittici reliquiari furono
collocati nella chiesa superiore a lato dell’altare maggiore.
Le reliquie di Cosma e Damiano e di altri santi rimasero invece nell’altare della cripta.

Interventi dal Cinquecento al Settecento

Innalzamento del pavimento plebano e nuovo collegamento con la cripta


Nel Cinquecento fu rialzato il pavimento della navata plebana di circa un metro e mezzo portandolo quasi
a livello del presbiterio e annullando, forse per mutate esigenze liturgiche la netta separazione
dell’impianto romanico tra la zona frequentata dal popolo e quella riservata al clero. Lo spazio tra i due
pavimenti fu riempito con uno spessore adeguato di terreno misto a macerie, al cui interno furono ricavate
numerose tombe.
Il robusto muro, costruito per contenere la massa del terreno, comportò l’eliminazione della scalinata di
accesso alla cripta e l’inversione dell’assetto romanico: le due scale che salivano al presbiterio lungo i muri
laterali, furono fatte scendere fino a raggiungere, attraverso altre due rampe, l’accesso alla cripta
attraverso il solo arco centrale e i due ingressi laterali, ostacolati dalle scale, furono chiusi. Furono invece
collocati in posizione centrale i pochi gradini necessari per accedere al presbiterio.

Ristrutturazione delle volte della cripta


Sempre nel Cinquecento la cripta fu ristrutturata nella parte orientale, che fu rialzata eliminando le
quattro colonne absidali, quindi la volta della quarta campata e la calotta absidale che su di esse
poggiavano furono decisamente modificate, la volta costolata della quarta campata fu sostituita da una
volta a vela rampante (con arco incompleto ascendente ) e la calotta absidale fu di poco innalzata con una
volta a crociera ad arco ribassato irregolare, con centro asimmetrico, poggiante su peducci (semi capitelli
pensili) inseriti nel muro. Ciò comportò anche un innalzamento della sovrastante parte est del presbiterio e
dell’abside.

Seicento e Settecento
Nel 1620 fu aperta nel fianco sinistro del presbiterio una grande cappella dedicata alla Beata Vergine in cui
fu eretto un grandioso altare barocco, trasferito nel 1806 in san Zeno, dove ancora si trova, con la statua
della Pietà in pietra tenera. Un’altra cappellina fu aperta vicino all’entrata per accogliervi il fonte
battesimale. Queste cappelle laterali furono in seguito chiuse e abbattute.
Nella seconda metà del secolo, nel 1685 l’arciprete di allora decise a sue spese di alzare in forme
barocche l’arco trionfale davanti all’abside e conseguentemente elevare allo stesso livello il muro esterno
dell’abside stessa.
Nei primi anni del Settecento furono murate due arcate del portico per ricavare all’interno la sede della
compagnia del santissimo Sacramento, la quale fece costruire al famoso architetto Francesco Bibiena un
nuovo altare maggiore.
Nel 1739 furono sopraelevati il tetto e la facciata per portarli a un livello consono a quello del presbiterio
rialzato nel Seicento, con detrimento delle originarie proporzioni romaniche.

Ottocento
Il secolo iniziò con la soppressione napoleonica della parrocchia (1806) che fu trasferita a san Zeno, dopo la
soppressione dell’abbazia.
San Procolo fu quindi espropriata e passò al demanio militare e i suoi arredi e corredi, altari compresi,
furono trasferiti in san Zeno, dove sono rimasero per quasi due secoli, fino ai restauri del 1985-‘88.
La chiesa, usata anche come stalla da Francesi e Austriaci, dopo l’annessione del Veneto all’Italia del 1866,
diventò deposito del genio militare italiano che progettò di ampliare il portone di ingresso per fare entrare
agevolmente i suoi carri. Ma il progetto fu fortunatamente bocciato dal sindaco, sentita lla commissione del
Civico Ornato.

Il Novecento e i restauri
Interventi d’urgenza
La chiesa, ceduta al Comune, diventò inizialmente rifugio di senzatetto, poi magazzino-palestra degli allievi
della Guardia di Finanza e perfino cinematografo, finché nel 1927 il soprintendente Da Lisca ottenne dal
podestà lo sgombero dell’edificio e l’inizio dei lavori più urgenti. Mancavano, però, I fondi per i progettati
restauri sistematici, il podestà ritenne la chiesa inagibile anche come magazzino e la tolse a un falegname
che l’aveva in custodia. Poi subentrarono gli eventi bellici.
Nell’immediato dopoguerra il nuovo soprintendente Gazzola tornò a insistere con forza sull’urgenza di
intervenire, molto preoccupato per le condizioni del tetto, che come prevedibile di lì a poco, nel 1948 crollò
rovinando sul pavimento, con grave pericolo per la cripta sottostante, che fu puntellata e tale rimase fino
agli ultimi restauri. Il tetto fu rifatto nel 1951 eliminando la discutibile e troppo pesante sopraelevazione
settecentesca e riportando i muri e la facciata alle presumibili dimensioni romaniche.

I restauri del 1985-’88


La chiesa si trovava in uno stato preoccupante di degrado: nonostante il rifacimento del tetto alcune travi
risultavano marcite dalle precedenti infiltrazioni, l’interno era ridotto in un deprecabile stato di abbandono,
in particolare la cripta il cui ingresso era ostruito da macerie e l’umidità risalente lungo i muri aveva corroso
gli affreschi.
Nel 1984 il Comune cedette per 99 anni l’edificio alla parrocchia di san Zeno, perché ritornasse una chiesa
funzionante, e la B. Pop. di Verona, guidata da Giorgio Zanotto decise di finanziare i radicali restauri del
1985-’88. I lavori iniziarono con una campagna di scavi sistematici, condotti dall’archeologo Peter Hudson
nel sottosuolo della parte occidentale dell’edificio, corrispondente all’antica chiesa plebana, inutile
indagare la zona orientale perché lo scavo romanico della cripta aveva raggiunto lo strato sterile,
eliminando ogni traccia archeologica. Rimosso il pavimento rinascimentale, gli scavi riportarono alla luce il
pavimento romanico e le sottostanti tombe seicentesche e longobarde e sotto di loro emersero le
fondamenta della basilica paleocristiana, oltre a parti della sua facciata e del pavimento, sotto il quale
vennero alla luce le sepolture paleocristiane e romane dell’antica necropoli. A questo punto si pose al
direttore dei lavori arch. Libero Cecchini e ai suoi consulenti e collaboratori il problema della ricostruzione,
che non poteva risolversi ricoprendo tutti i preziosi resti documento di una stratificazione più che
millenaria, né si poteva farne un museo, tralasciando la destinazione religiosa dell’edificio. D’altra parte
come ricostruire la chiesa, privilegiando la costruzione romanica o quella cinque-seicentesca? Fu posta
quindi la scelta tra due opzioni: a) ripristinare gli interni romanici, distruggendo il livello cinquecentesco e
coprendo le sottostanti sepolture di varie epoche b) ripristinare la chiesa rinascimentale-barocca, salvando
le tombe, ma ricorrendo a eccessive ricostruzioni stilistiche e chiudendo i due accessi laterali della cripta.
Alla fine fu scelta una terza via, quella, come dice Cecchini, di “conservare le testimonianze … di ogni
epoca, rispettando tutto ciò che era stato trovato rendendolo compatibile con una moderna funzionalità” di
“uno spazio destinato al culto”.
Ripristino del livello del pavimento cinquecentesco.
Lo scavo archeologico aveva asportato una grande quantità di terra, creando un vuoto. La costruzione di
un solaio in cemento ha mantenuto il livello e la funzionalità del pavimento cinque-seicentesco, coprendo
come un guscio il vuoto dello scavo archeologico, ma lasciandolo accessibile attraverso l’apertura di un
ampio rettangolo, da cui scende la scalinata che accede alla cripta. Quest’ultima ha subito una nuova
inversione, che ripresenta l’impostazione romanica grazie a una rampa centrale che scende in una zona
priva di reperti fino a un pianerottolo posto all’altezza delle sepolture, di qui si dipartono le rampe che
scendono alla scalinata dell’accesso alla cripta conservato nell’ampiezza dei tre archi.
La cripta
La cripta è stata completamente rinnovata, con opere di consolidamento e deumidificazione. In seguito I
lacerti di affresco sopravvissuti sono tornati in parte all’antico splendore dei vivaci colori. La terra battuta
del pavimento è stata ricoperta da lastre “vecchie”, recuperate, di calcare veronese. I capitelli sono stati
accuratamente restaurati, studiati e datati, alcuni al secolo VIII, altri al IX e al X.
Nell’abside fu ricollocato l’altare di Cosma e Damiano.
Interno della chiesa superiore.
I quattro arconi della navata superiore, ricavati nelle pareti nord e sud, che formano coppie affrontate in
simmetria, rimasti spogli per due secoli, ospitano ora opere d’arte un tempo appartenenti alla chiesa o
provenienti dai Musei Civici.
Nella prima coppia, posta vicino all’entrata, sono stati inseriti uno di fronte all’altro i due trittici-reliquiari
della fine del Quattrocento contenenti i resti riscoperti nel 1492 dei quattro vescovi veronesi, a sinistra
Euprepio e Cricino, a destra Procolo e Agapio. Il restauro laborioso ha dato i suoi frutti facendo rinascere le
linee architettoniche delle due edicole e i dettagli delle sei statuine.
Proseguendo troviamo dipinti, tutti attentamente restaurati, custoditi nei depositi dei Musei civici di
Verona e collocati, dopo i restauri, in questa chiesa visto che è proprietà del Comune.
Sulla parete sinistra troviamo due ante dell’organo di san Zeno dipinte da un anonimo del 1490. Il pittore
rappresenta una struttura architettonica a due piani, in alto un interno sopraelevato con finestre sullo
sfondo, aperto sul davanti e cinto da una elaborata balaustra, dietro la quale avanza l’arcangelo Gabriele
sull’anta di sinistra e Maria annunciata è seduta sulla destra, in basso in due nicchie sono ritti i santi Zeno e
Benedetto.
Più avanti nell’arcone di sinistra è collocata una tela del 1741, un’opera giovanile di Giambattista Cignaroli
Sant’Elena che adora la croce, che rivela già notevoli qualità pittoriche nel forte contrasto tra l’oscurità che
avvolge la croce in primo piano e la luce sfolgorante che rischiara la santa.
Di fronte sulla destra un’opera anch’essa giovanile di Giorgio Anselmi San Biagio che guarisce gli infermi,
datata intorno al 1745 e influenzata dal Balestra, la tela mostra una certa enfasi drammatica sottolineata
dai forti colori, su cui spicca il rosso porpora dei paramenti vescovili del santo.
Sul fondo dietro l’altare maggiore, un’altra tela dell’Anselmi del 1764, più matura di vent’anni: Cristo
distribuisce l’Eucaristia agli apostoli. Lo stile è mutato, Cristo è una persona eterea, appartenente a un’altra
dimensione, in contrasto con l’umanità concreta degli apostoli. Il soggetto è elaborato in modo personale:
non c’è traccia della cena conviviale, Cristo si è alzato in piedi dall’altro lato di una tavola spoglia e,
attualizzando la contemporanea liturgia, distribuisce pezzetti di pane da un vassoio agli apostoli in ordine
sparso, uno disteso a terra un altro inginocchiato riceve il pezzetto di pane in bocca. Si tratta di un ritorno,
perché la tela era stata dipinta per l’originale altare maggiore di san Procolo, ideato dall’architetto
Francesco Bibiena nel 1729, quando lavorava a Verona nella costruzione del teatro Filarmonico. L’altare
trasferito a san Zeno nel 1806 fu poi venduto, forse per bisogni di cassa, alla parrocchiale di Casaleone.
L’altare maggiore è adesso costituito da una base cilindrica di recupero, su cui poggia come mensa la lastra
di “verde antico” che fu trovata sulla sepoltura di san Procolo nel 1492.
Sul fianco sinistro dell’arco trionfale ci guarda con ieratica, severa espressione la statua gotica di san
Procolo ritornata alla sua chiesa. Attentamente ripulita e restaurata, essa rivela l’originaria policromia
seppur sbiadita dalle ingiurie del tempo.
La facciata.
La facciata è stata ripulita e vi è stato riaperto il finestrone ottagonale seicentesco posto al centro a mo’ di
rosone, nel quale è stata inserita una vetrata istoriata opera del pittore R. Marinelli.
Il porticato a tre arcate.
Del porticato posto sul fianco sud si è deciso di non riaprire le due arcate chiuse nel Settecento. Il
restauro si è limitato a riparare e pulire i muri di mattoni e a consolidare la decorazione del portale
d’ingresso. L’ingresso laterale alla chiesa, ampliato nell’Ottocento dal Genio Militare e in seguito murato, è
ora riaperto e costituisce l’ingresso usuale alla chiesa.
Sulla destra del portico un muro divide la piazzetta dal cortile interno dell’antica collegiata, ad esso è
appoggiato un sarcofago di pietra bianca, voluto da Stefano Marcoleoni per la moglie Elena e per sé.

Riapertura al culto
Il 23 marzo 1988 la chiesa, solennemente riconsacrata, alla presenza delle autorità cittadine, viene riaperta
al culto dal vescovo Giuseppe Amari.

Leonardo Venturini

Bibliografia

“La chiesa di San Procolo in Verona: un recupero e una restituzione”, A cura di P. Brugnoli, Verona 1988

G. Benini, “Le chiese di Verona: guida storico-artistica”, Verona 1995

Su Internet
L. Rossi, “La Vita Proculi nel dossier agiografico del vescovo veronese”, Hagiographica 20 (2013) 93-122,
www.mirabileweb.it
A. Buonopane, “Neophytus nelle iscrizioni latine di committenza cristiana”, Hormos – Ricerche di Storia
antica n. s. 9-2017, 8-28

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