Sei sulla pagina 1di 87

I.

Fornite una definizione di monopolio naturale e descrivete il ”dilemma” del


monopolio naturale (utilizzando il più possibile i grafici). Illustrate quali sono le
condizioni necessarie e sufficienti per la sua esistenza nel caso di un prodotto e
di molti prodotti. Illustrate inoltre quali sono le soluzioni possibili dal punto di
vista teorico e quali sono i loro pro e contro.
MONOPOLIO NATURALE
Si immagini di essere in un settore produttivo in cui la domanda incrocia la curva dei costi medi
nella fase discendente; normalmente, la domanda si incrocia nel tratto ascendente dei costi medi,
oltre al punto di incrocio tra costi medi e costi marginali.

Se quindi la domanda incrocia i costi medi nella fase discendente (la


curva dei costi marginali sta sotto alla curva dei costi medi), ci si
trova in una fase in cui ci sono le condizioni di rendimenti di scala
crescenti: all’aumentare della scala della produzione, i costi medi
diminuiscono.

Si ipotizzi che quanto detto sopra possa succedere con costi marginali costanti (i costi marginali in
questi settori di monopolio naturale sono irrisori), cioè che la domanda incrocia prima la curva dei
costi medi e poi la curva dei costi marginali: problemi di conciliare efficienza produttiva ed
efficienza allocativa!

Costi totali = costi fissi F + costi variabili (con costi marginali costanti)
c*Y

TC = F+c*Y se divido per Y (livello di produzione) trovo la curva dei


costi medi AC = F/Y + c

La curva dei costi medi AC ha una parte costante (c) e una parte (F/Y) che è decrescente al
crescere della quantità prodotta; quindi, > Y allora < F, e viceversa.

I costi fissi sostenuti si distribuiscono fra la quantità che viene prodotta: più si riesce a produrre,
più si riesce ad ammortizzare/distribuire i costi fissi, diminuendo in questo modo i costi medi (che
saranno comunque maggiori ai costi marginali).

In quali settori è possibile trovare la situazione appena descritta?


Si trovano nei settori (con elementi di monopolio naturale) in cui l’investimento fisso per produrre e
distribuire è molto elevato e spesso ha a che fare con un’infrastruttura a rete di distribuzione di
questo bene/servizio su ampia scala; alcuni esempi: energia elettrica, gas naturale, trasporto
ferroviario, servizi idrici, servizio postale (non è una rete infrastrutturale ma un rete di sportelli che
sono stati costruiti necessari per coprire tutto il territorio, un nuovo pacco cambia poco), trasporto
urbano (rete di servizi di autobus in connessione tra loro per una città/regione), autostrade,
telefonia (rete fissa, mobile e fibra ottica), radio e televisione… In questi settori la parte di costo
fisso F, è una quantità molto importante ed elevata; mentre il costo di servire un nuovo utente è
molto basso (c). Soddisfare l’intera domanda non esaurisce le economie di scala. Altro aspetto
importante di questi settori è che offrono tutti servizi essenziali per lo sviluppo di un territorio; c’è
un grosso sforzo da parte delle aziende per tenere in efficienza questi servizi, per modernizzarli,
per mantenerli… sono servizi essenziali di carattere economico che forniscono infrastrutture di
1
base su cui costruire altre attività. Queste caratteristiche hanno fatto si che, storicamente, questi
settori fossero gestiti da una sola impresa (ENEL, ENI, RAI…).
Perché si chiamano settori in monopolio naturale? Perché la scala minima efficiente di questi
settori coincide con l’intera area di mercato e se lo stesso servizio fosse fornito da due aziende,
ognuna con la propria rete, le economie di scala non sarebbero sfruttate a pieno.
Se domanda soddisfatta da un’azienda allora Q; invece,
se domanda soddisfatta da due aziende allora Q/2.

Dal grafico, si evince che i costi medi sono maggiori/più


elevati se ci fossero due aziende in concorrenza tra di
loro.

Per questo motivo, in questi settori, non ha senso


duplicare un’infrastruttura perché si raddoppierebbero i
costi fissi (non è ragionevole far entrare un altro produttore): la condizione naturale del mercato è
il monopolio.

Tre esiti possibili che si possono avere in questi mercati:

Monopolio naturale in C:
RM=CMa, quando il monopolista naturale massimizza i profitti (perdita di benessere)

Un monopolista naturale privato si colloca in C:RM=CMa,


massimizzando i profitti con conseguente perdita di benessere
(triangolo azzurro)

Monopolio naturale in A: P=CMa, il monopolista naturale viene obbligato a posizionarsi nel


punto di ottimo allocativo (dal regolare, o lo Stato gestisce direttamente il monopolio naturale). Il
monopolista naturale subisce una perdita.
In A, P=CM: ottimo allocativo (il Regolatore impone il prezzo che garantisce l’efficienza allocativa),
i prezzi pagati riflettono i costi di produzione ma in questa situazione il monopolista non copre i
costi di produzione e quindi realizza una perdita. Come coprire la perdita? Dato che è stato il
Regolatore a imporre P=CM allora il Regolatore dovrà occuparsi di coprire tale perdita: fiscalità
generale (fondi pubblici: risorse di tutti i cittadini che contribuiscono a coprire la perdita del
monopolista).

2
Monopolio naturale in B: P= CMe, al monopolista naturale viene permesso di ottenere
profitti nulli. Non è in perdita, ma B non è un ottimo allocativo
(perdita di benessere minore).
P= CMe; il Regolatore sceglie di permettere al monopolista
naturale (privato o pubblico) di coprire i costi ed avere profitto
nullo (non ci sono perdite come in A quindi per il monopolista è
sostenibile), ma B non è un ottimo allocativo (c’è una piccola
perdita di benessere; comunque, minore all’esito in C!).
Nessuna delle tre soluzioni è perfetta: una è troppo a vantaggio
del monopolista, una troppo contro il monopolista, l’ultima cerca
una via di mezzo.

In sintesi:
Il monopolio naturale è un esempio classico di fallimento del mercato.
Definizione: un’industria ha natura di monopolio naturale se un particolare bene o servizio è
prodotto al minimo costo quando è prodotto da una singola azienda
A prima vista le caratteristiche di un’industria che presenta condizioni di monopolio naturale sono
quelle di avere curva di costo medio e di costo marginale di lungo periodo decrescenti, che
denotano la presenza di economie di scala (rendimenti di scala crescenti).
Queste condizioni si realizzano quando gli investimenti fissi sono talmente elevati da non poter
essere saturati dalla domanda di mercato.

Il dilemma del monopolio di mercato (aspetto problematico)


Come conciliare l’esigenza di produrre al costo minimo (efficienza produttiva) senza subire il
prezzo del monopolio, ovvero come conciliare l’efficienza produttiva con l’efficienza allocativa in
quanto:
1. dal punto di vista dell’efficienza produttiva è socialmente ottimale che ci sia un solo
produttore (perché riesce a sfruttare al massimo le economie di scala)
2. ma se c’è un solo produttore:
 mancheranno gli stimoli concorrenziali all’efficienza che rendono il prezzo pari al
costo marginale; essendoci un’unica impresa, niente garantisce che questa impresa
sarà efficiente cioè che userà al meglio le tecnologie disponibili, il capitale a
disposizione e la forza lavoro (al meglio = pagare giusto combinando nel modo
migliore: efficienza!). La concorrenza stimola l’efficienza perché crea una gara tra
imprese e spinge all’innovazione. Ma se in questi settori non ha senso la
concorrenza, cosa stimola l’efficienza? (Problema storicamente risolto dando la
gestione di questi settori al gestore pubblico; rimasto il problema dell’efficienza!
privatizzazione-liberalizzazione-de-regolamentarizzazione; altra soluzione
scomporre il monopolio)
 se non c’è un Regolatore, il singolo produttore avrà l’incentivo a comportarsi da
monopolista ed a praticare un prezzo di monopolio
3. se riuscissimo a costringere il monopolista naturale a praticare un prezzo pari al costo
marginale, ci scontreremmo con il problema che a quel prezzo il monopolista naturale
realizza una perdita (esito in A)

3
Questione economia di scala
Concetto “costo sub-additivo”: esistono le condizioni di monopolio naturale quando il C(q) è
inferiore alla somma di C(q1)+ C(q2)… Cioè quando il costo di produrre tutto da un’unica azienda
è inferiore al costo di produrre separatamente le parti (q prodotta da tante diverse aziende):
K
dato q i
 q allora C  q   C  q1   C  q 2   ....  C  q n 
i 1

Caso azienda mono-prodotto


Azienda che produce un solo bene/servizio; le economie di scala sono una condizione sufficiente
ma non necessaria. La sub-additività si estende fino al punto Q*:
Se la curva di domanda è bassa, è bene che a produrre
sia un’unica impresa perché quell’impresa ha curva di
costo medio più bassa di quando sono due le imprese a
produrre.
Se la curva di domanda è molto più alta, è bene che ci
siano due imprese a produrre perché con due imprese la
curva dei costi medi è più bassa.
Se la curva passa tra M e P, è bene che ci sia un’unica
impresa a produrre.
Quindi fino a Q’ ho economie di scala perché costi medi
sono decrescenti; tra Q’ a Q* i costi medi sono decrescenti ma è bene che vi sia un’unica impresa
che produca. Per questo motivo la condizione è sufficiente ma non necessaria.

Caso azienda multi-prodotto


Nelle imprese multi-prodotto ho sia economia di scala sia economie di scopo; economi di scope
quando la curva dei costi per produrre congiuntamente q1 e q2 è inferiore a produrre
separatamente q1 e q2. La produzione congiunta è conveniente:
C  q1 , q2   C  q1 , 0   C  0, q2 
In questo caso si può dimostrare che:
 le economie di scala non sono una condizione sufficiente (perché le diseconomie di scopo
possono compensare le economie di scala); vale a dire, la sola presenza delle economie di
scala non garantisce la subadditività della funzione di costo (come era invece nel caso
mono-prodotto)
 mentre in presenza di economie di scala e di scopo è probabile che ci sia subadditività

Tre esempi
1
Esempio n. 1 - Sharkey (1982): C  q1 , q2   q1  q2   q1q2  3

C(4,4) = 4 + 4 + 2,52 = 10,52


C(8,8) = 8 + 8 + 4 = 20,00 ci sono economie di scala
C(4,0)+ C(0,4) = 8 non ci sono economie di scopo.

La funzione non è subadditiva. Conviene produrre con impianti specializzati.


La presenza di economie di scala non è sufficiente per la sub-additività (per provare l’esistenza del
monopolio naturale).

Se raddoppio la quantità da 4 a 8, il costo non raddoppia: c’è economia di scala.


4
8 è minore di 10,52: non ci sono economie di scopo.
Non siamo in monopolio naturale perché posso separare le due produzioni.
1
Esempio n. 2 - Sharkey (1982): C  q1 , q2   q1  q2   q1q2  3

C(4,4) = 4 + 4 - 2,52 = 5,48


C(8,8) = 8 + 8 - 4 = 12 non ci sono economie di scala
C(4,0)+ C(0,4) = 8 ci sono economie di scopo.

La funzione è non subadditiva. Conviene produrre con impianti specializzati.


La presenza di economie di scopo non è sufficiente per la sub-additività (per provare l’esistenza del
monopolio naturale)

In questo caso: raddoppiando le quantità prodotte, i costi più che raddoppiano!!! Non ci sono
economie di scala.
8 è maggiore di 5,48 quindi ci sono economi di scopo perché produrre congiuntamente 4 costa
meno.

La funzione è subadditiva: conviene produrre con un unico impianto.


Economia di scala perché se raddoppio la produzione, i costi non raddoppiano.
Economie di scopo perché se produco separato mi costa di più.

II. Descrivete le forme possibili dell’intervento pubblico nell’economia (in Italia e


all’estero), illustrandone le modalità, i vantaggi e gli svantaggi. L’impresa
pubblica è una delle possibili soluzioni per gestire un monopolio naturale.
Indicate quali sono le principali differenze tra un’impresa privata e un’impresa
pubblica sulla base della teoria positiva dell’impresa e discutete quali sono i
vantaggi e gli svantaggi di usare l’impresa pubblica per la produzione dei beni in
monopolio naturale.

SOLUZIONE DEL MONOPOLIO NATURALE

1. Non intervento
Se il potere monopolistico non è considerevole (esempio americano sono le televisioni via cavo),
una possibilità da considerare è quella non intervenire.
Possono essere tollerati dei gradi di inefficienza dei monopoli locali poiché il costo dell’intervento
sarebbe maggiore ai benefici.

2. Soluzioni ideali
A. Prezzi lineari

Alternativa 1: P=CM
Prezzo linearmente uguale al costo marginale, per cui la spesa per i consumatori sarebbe
proporzionale alla quantità acquistata:
5
Vantaggi:
0• efficienza allocativa
D
1• c’è una perdita perchè il prezzo è inferiore al costo medio:
perdita (area blu) quando prezzi=costi marginali
2• la perdita può teoricamente essere coperta con un P
Costi Medi
sussidio
Costi Marginali
finanziato con tassa lump-sum (non distorsiva) Q

Problemi
3• se la perdita è coperta da un sussidio, c’è un indebolimento degli incentivi al controllo dei
costi (la copertura della perdita non incentiva)
4• ci sono effetti redistributivi a svantaggio di chi non consuma il bene (i costi sono a carico
di tutti, i benefici vanno però solo a chi usufruisce del bene/servizio)
5• è politicamente difficile sussidiare un monopolio naturale se questo è in mani private

Alternativa 2: P = CMe
Se si ritiene importante la copertura dei costi, allora il prezzo deve essere uguale al costo medio
con conseguente perdita di benessere; problema di come distribuire i costi fissi.

B. Prezzo non lineare


La spesa per i consumatori è una funzione non lineare della quantità acquistata:
p = F + MC, dove F= componente fissa e π*MC = componente variabile
MA come distribuire la componente fissa F?
Tre possibili soluzioni:
1) Tariffa a due parti
0• è possibile ottenere l’efficienza allocativa
1• se K è la perdita ed N i consumatori, la tariffa fissa dovrà essere uguale a K/N (tariffa non
discriminatoria, uguale per tutti: chiedo a tutti di contribuire allo stesso modo per la copertura dei
costi fissi)

Problemi:
2• nel caso che l’ammontare consumato sia molto dissimile tra consumatori, alcuni
potrebbero essere estromessi dal mercato (componente fissa uguale indipendente al consumo:
chi consuma molto non si lamenta, chi consuma poco non sarebbe d’accordo di pagare una quota
fissa per un consumo variabile minimo; problema perché servizi sono essenziali ma consumatori
potrebbero non riuscire a pagare)
3• per far fronte a questo problema è possibile ricorrere a tariffe discriminatorie, a meno che
non siano illegali
4• è necessario usare tariffe minime che non estromettono nessuno

6
2) Tariffa a molte parti
- tariffe declinanti (declining-block tariffs) che riflettono bene anche il fatto che il costo marginale è
declinante (economie di scala), per cui paga di meno chi più consuma
- la tariffa declinante può essere vista come un meccanismo di autoselezione dei consumatori: per
evitare il rischio di esclusione

3) Ramsey pricing
Recuperare la perdita del monopolista con la minima perdita di benessere dei consumatori (prezzi
inversamente proporzionali all’elasticità della domanda).
Copertura della perdita (costi fissi) con la minima perdita di benessere:

- Soluzione 1: P=AC

X: famiglie, Y: imprese
X
P P = 100 - Q
x x
Y P = 60 – 0.5Q
y y
C D J
36,13
3 C = 1800 + 20X + 20Y
H MC Profitto = Q P +Q P - 1800 - 20Q - 20Q
20
E F K x x y y x y

Soluzione: P =AC=36,13 Q =47,75 Q


unico y x
=63,87
47,75 63,87 80 Q
perdita di benessere: DFH + JKH = 260+130=390

elasticità nel punto di equilibrio (80,20)

X=-0.25=(-1*(20/80)), Y=-0.5=(-2*(20/80))

1800=perdita se CM\costi fissi


- Soluzione 2: prezzi di Ramsey (inversamente proporzionale a elasticità)
Pi  MC 

Pi i
Prezzo più alto a domanda più rigida: Y(-0,5;30), X(-0,25;40);
Più elastica, più consumatori si spostano
Perdita di benessere= MKH+MJH=100+200=300

P X

40
J
30
M
20 H MC
K

60 80 Q

3. Soluzioni istituzionali (cosa si fa nella realtà per evitare di trovarsi nella in C; queste
soluzioni vengono combinate fra di loro)

0• Impresa pubblica
7
1• Regolamentazione economica
2• Franchise bidding (asta competitiva per la concessione)

III. Il monopolio naturale può essere gestito da un’impresa indipendente (privata o


parzialmente pubblica ed essere soggetta al controllo di autorità di regolazione.
Quali aspetti vengono sorvegliati dall’autorità di regolazione? In che modo si
controlla che il monopolista non abusi della sua posizione dominante imponendo
prezzi eccessivi? In che modo viene incentivato all’efficienza nel controllo dei
costi e degli investimenti? Distinguete tra il problema della determinazione del
livello dei prezzi e quella della struttura dei prezzi. Cos’è un sussidio incrociato?

IMPRESA PUBBLICA
Le imprese pubbliche (intervento pubblico nell’economia tramite le imprese pubbliche) non sono
usate solo nel caso di monopoli naturali, ma anche per:
• Abolizione della proprietà privata: tutte le forme di produzione nei paesi comunisti (nei
Paesi dove sono prevalse certe ideologie, volontà di sostituire la proprietà privata con
forme di proprietà pubblica; esempi attuali sono Cuba e Cina)
• Promozione dello sviluppo economico (imprese pubbliche storicamente usate per la
promozione dello sviluppo economico): per esempio IRI (Istituto per la ricostruzione
industriale, 1933-2002) in Italia (chimica, cantieri navali, siderurgia, agricoltura, industria,
banca, ecc.); idea che in assenza di investimenti privati, impresa pubblica sia la soluzione
• Fornitura di beni pubblici (ospedali, difesa, istruzione); per la loro natura di beni pubblici
(non rivalità-non escludibilità): imprese private non ne offrirebbero abbastanza
• Partecipazione e controllo pubblico in aziende strategiche (auto, chimica, siderurgia, armi,
aerospaziale, meccanica); intervento pubblico con quote volte a finanziare e/o codirigere
• Monopolio naturale nazionale e locale (energia elettrica, gas, servizi idrici, gestione di porti,
aeroporti, ecc.)

Evoluzione dell’intervento pubblico nella produzione industriale in Italia


IRI (azienda che aveva spesso dei fatturati in perdita perché applicato p=cm e problemi di
efficienza)
L’IRI – acronimo di Istituto per la Ricostruzione Industriale – è stato un ente pubblico italiano con
funzioni di politica industriale.
Istituito nel 1933, durante il fascismo, nel dopoguerra allargò progressivamente i suoi settori di
intervento e divenne il fulcro dell'intervento pubblico nell'economia italiana. Nel 1980 l'IRI era un
gruppo di circa 1 000 società con più di 500 000 dipendenti. È stato a suo tempo una delle più
grandi aziende non petrolifere al di fuori degli Stati Uniti d'America; nel 1992 chiudeva l'anno con
75 912 miliardi di lire di fatturato, ma con 5 182 miliardi di perdite. Ancora nel 1993 l'IRI si trovava
al settimo posto nella classifica delle maggiori società del mondo per fatturato, con 67,5 miliardi di
dollari di vendite. Trasformato in società per azioni nel 1992, cessò di esistere dieci anni dopo.
Partecipazioni IRI:
Banche (e anche assicurazioni) di interesse nazionale:
• Banca Commerciale Italiana (secondo maggior azionista: Assicurazioni Generali, Paribas),
privatizzata con OPA nel 1994
• Credito Italiano (secondo maggior azionista: Alleanza Assicurazioni 5%), privatizzata con
OPA nel 1993
• Banco di Roma (secondo maggior azionista: Toro Assicurazioni 10%, Banca Commerciale
Italiana 5%), confluito nella Banca di Roma nel 1992
Siderurgia: Finsider: 99,82%. Ricostituita nel 1988 come Ilva, privatizzata "a pezzi" (operazione
conclusa nel 1995)
8
Meccanica: Finmeccanica: 86,6%. La proprietà fu trasferita al Ministero dell'Economia e delle
Finanze
Cantieristica: Fincantieri: 99,9%. La proprietà fu trasferita al Ministero dell'Economia e delle
Finanze
Costruzioni: Italstat: 99,99%. Fusa nel 1991 in Iritecna, poi sostituita nel 1994 da Fintecna, la cui
proprietà fu trasferita al Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Telecomunicazioni: STET: 56,56%. Fusa nel 1997 con Telecom Italia, la cui proprietà fu trasferita
al Ministero dell'Economia e delle Finanze e privatizzata nel 1997.
Trasporti:
• Finmare: 99,88%. La proprietà del suo principale asset, Tirrenia fu inglobata in Fintecna e
trasferita al Ministero dell'Economia e delle Finanze
• Alitalia 89,3%. La proprietà fu trasferita al Ministero dell'Economia e delle Finanze
• Autostrade. La proprietà fu trasferita al Ministero dell'Economia e delle Finanze, poi
privatizzata nel 1999
Alimentare: SME (secondo maggior azionista: Mediobanca 4%), privatizzata "a pezzi" negli anni
Novanta; Cirio era pubblica
Teleradiodiffusione: RAI 99,55%. La proprietà fu trasferita al Ministero dell'Economia e delle
Finanze.
Altro: Cofiri: 100%; Sofin: 100%; Società per la Promozione e Sviluppo Industriale - SPI: 97,5%;
Aerhotel: Ceduta a Starwood Hotels & Resorts Worldwide Inc.

Settori di intervento pubblico diretto o indiretto: uno sguardo a livello internazionale


(tabelle)
Solo in Italia intervento pubblico? NO
Nelle tabelle, si osserva che in diversi Paesi, ci sono alcuni settori in cui intervento pubblico
(poste) è presente; alcuni settori misti (trasporti, sanità, istruzione) e altri senza alcun intervento
pubblico (alcool). Quadro è molto misto!

Secondo Richard Abel Musgrave, il ruolo dello Stato nell’economia è estremamente importante
ed è distinto in tre funzioni:
- stabilizzazione (risposta dello Stato alla crisi: intervento anticiclico con emissione di
risorse…)
- distribuzione (equità tra i cittadini; redistribuzione della ricchezza per assetto sociale
equilibrato: spostare risorse)
- allocazione (fornitura di beni pubblici e correzione delle esternalità)
aggiunta di Danielis
- produzione: produzione diretta di beni pubblici, produzione diretta o indiretta di beni in
settori di monopolio naturale e finanziamento della ricerca e sviluppo

Un indicatore dell’intervento pubblico: la spesa pubblica


In alcuni Paesi, l’incidenza della spesa pubblica sul PIL è molto alta; negli Stati UE nel 2009 varia
tra il 40% e il 60%.
Negli Stati Uniti (Paese culturalmente avverso all’intervento pubblico), invece, la spesa pubblica è
tra il 25% e 35%; negli anni delle crisi economiche (2008-2010), è salita fino al 40%.
Tutto questo intervento pubblico, cosa produce in termini di efficienza e di equità? Risultati
ricerca su slides: confronto tra Paesi tramite indicatori di equità (Coefficiente di Gini, tasso di
povertà infantile…; dove c’è maggior intervento pubblico, minori disuguaglianze) e di efficienza (Pil
pro capita, tasso di disoccupazione...; dove c’è il maggior impiego pubblico, c’è minore efficienza).

9
Riguardo all’importanza dell’impiego pubblico, alcuni anni fa, in Italia, dopo un periodo in cui si
parlava di vendita delle imprese pubbliche, sono riemerse tra gli economisti delle idee a sostegno
del ruolo delle imprese pubbliche.
Mariana Mazzucato nel suo libro “The entrpeneurial state” afferma che “L’impresa privata è
considerata da tutti una forza innovativa, mentre lo Stato è bollato come una forza inerziale,
troppo grosso e pesante per fungere da motore dinamico. Lo scopo del libro che avete tra le mani
è smontare questo mito.” Quindi, vuole argomentare che lo Stato ha un ruolo positivo. E continua:
“Chi è l’imprenditore più audace, l’innovatore più prolifico? Chi finanzia la ricerca che produce le
tecnologie più rivoluzionarie? Qual è il motore dinamico di settori come la green economy, le
telecomunicazioni, le nanotecnologie, la farmaceutica? Lo Stato. È lo Stato, nelle economie più
avanzate, a farsi carico del rischio d’investimento iniziale all’origine delle nuove tecnologie. È lo
Stato, attraverso fondi decentralizzati, a finanziare ampiamente lo sviluppo di nuovi prodotti fino
alla commercializzazione.” E ancora: “è lo Stato il creatore di tecnologie rivoluzionarie come quelle
che rendono l’iPhone così ‘smart’: internet, touch screen e gps. Ed è lo Stato a giocare il ruolo più
importante nel finanziare la rivoluzione verde delle energie alternative.
Ma se lo Stato è il maggior innovatore, perché allora tutti i profitti provenienti da un rischio
collettivo finiscono ai privati? Lo Stato come finanziatore di last resort (ultima istanza)
dell’innovazione: maggior propensione al rischio, orizzonte temporale più lungo”
Un altro intervento a favore del ruolo pubblico nell’economia lo fa Ha-Joon Chang; egli sottolinea
che “Gli azionisti rischiano in modo molto limitato. Le aziende sono in mano ai manager, da
quando sono state introdotte e si sono diffuse le SRL rischiano di più i fornitori e i lavoratori”.

Impresa pubblica è una soluzione utile ed efficiente per la gestione dei monopoli naturali?
Principali motivazioni a favore:
1. Necessità di ingenti investimenti infrastrutturali in settori strategici con una durata in vita
lunga e a redditività molto lenta (esternalità produttive; energia, strade, gas, telefonia,
acqua…)
2. Infrastrutture a rete con interconnessioni (esternalità di rete; rischio di una sottoproduzione
e quindi c’è bisogno di una soglia critica molto elevata)
3. Obbligo di servizio pubblico (servizio universale anche se non economico; settori che
producono beni e servizi di base)
4. Monopolio privato inaccettabile (impresa pubblica è un’alternativa)
Conseguentemente l’impresa pubblica è stata la forma più usata, anche nel caso di investimenti
inizialmente privati (ferrovie, produzione elettrica, ecc; in alcuni settori i privati hanno provato ad
investire ma poi è intervenuto lo Stato perché privati non avevano più risorse o non garantivano un
livello di servizio adeguato)
La discussione sul ruolo dello Stato è un tema sempre molto dibattuto ed attuale; un esempio
attuale e importante è l’infrastruttura della fibra ottica che è fondamentale per le
telecomunicazioni.

Fibra ottica
Nel 2015 è stata approvata dal governo italiano la “Strategia Italiana per la Banda Ultralarga”
(necessaria ma che Telecom non aveva risorse). Questo intervento ha stabilito che entro la fine di
quest’anno il 100% della popolazione dovrà essere coperta da servizi internet con velocità di
almeno 30 Mbps e l’85% da servizi da almeno 100 Mbps.
Il capofila di questo progetto è Infratel Italia S.p.a. (società in-house del Ministero dello Sviluppo
Economico – Mise) che si è posta come obiettivo quello di ridurre il “digital divide”, ovvero il divario
tecnologico, nelle aree a fallimento di mercato denominate “aree bianche”.
Le tre gare bandite da Infratel per raggiungere questo obiettivo sono state vinte da OpenFiber,
una joint venture tra Enel e Cassa Depositi e Prestiti (CdP).
10
OpenFiber non è un fornitore di servizi Internet, ma è un operatore wholesale, ovvero vende la
propria rete all’ingrosso agli operatori internet, sia locali che nazionali.
Problema: aree ricche e aree povere di domanda; discussione sul ruolo che deve avere operatore
privatore e operatore pubblico. (non si è ancora trovata una soluzione)

Problemi con i monopoli pubblici:


1. X-inefficiency a causa dell’assenza di incentivi concorrenziali: eccesso di uso di input di
capitale e lavoro, scarso controllo dei costi
È il luogo dei punti che mostra le combinazioni di beni che è possibile ottenere in modo
efficiente nel sistema economico considerato, dato e costante il vincolo delle risorse produttive
e la tecnologia. La curva mostra come l'aumento nella produzione di un bene, quando non vi
siano risorse inutilizzate, deve necessariamente comportare una certa diminuzione nella
produzione di altri beni, beni nella produzione dei quali quelle stesse risorse erano
precedentemente impiegate, e mostra quindi il trade-off che esiste nella produzione di beni
alternativi quando il vincolo costituito dalle risorse scarse diventa stringente.

• X-inefficient point

2. Cattura politica (uso del settore e criteri decisi dalla politica)


3. Scarsi incentivi all’efficienza dei manager
4. Scarso incentivo agli investimenti privati (a causa dell’intervento pubblico)

L’impresa pubblica come soluzione al dilemma del monopolio naturale


• l’azienda monopolista è di proprietà pubblica e viene gestita da managers pubblici, soggetti
al controllo politico e quindi agli elettori
• In questo modo la funzione obiettivo del monopolista non è la massimizzazione dei profitti
ma la massimizzazione del benessere sociale

11
Modello principale-agente (o Modello d'agenzia) è definita da Michael Jensen e William H.
Meckling come "un contratto in base al quale una o più persone (principale) obbliga un'altra
persona (agente) a ricoprire per suo conto una data mansione, che implica una delega di
potere all'agente". Tale definizione è molto generale, e comprende qualsiasi relazione tra due
individui, in cui uno dei due delega parte del proprio potere all'altro. Il contratto di agenzia, però,
presenta alcuni rischi, dovuti al comportamento opportunistico delle parti, che tendono a
massimizzare la propria utilità (tale comportamento opportunistico non è eliminabile, può essere
tuttavia limitato). Vi possono essere due tipi di opportunismo:
• Selezione avversa (opportunismo ex ante): L'agente fornirà al principale delle
informazioni erronee o incomplete sulle proprie capacità e competenze per farsi
assumere. (contratti assicurativi: nascondere malattie, difetti)
• Azzardo morale (opportunismo ex post): È costituito dal comportamento scorretto
che l'agente mette in atto in presenza di asimmetrie informative e per via
dell'incompletezza del contratto (specie nel caso in cui non sia verificabile se le parti
hanno effettivamente adempiuto in modo corretto agli obblighi del contratto)
(contratti assicurativi: svolgere attività rischiose dopo aver sottoscritto un contratto)
Sono inoltre presenti delle asimmetrie informative a favore dell'agente, in quanto esso è
sicuramente a conoscenza di un maggior numero di informazioni rispetto al principale sul ruolo da
svolgere, e può sfruttare queste asimmetrie informative tenendo comportamenti opportunistici.

Teoria positiva dell’impresa


Il modello manageriale di impresa enuncia le principali caratteristiche di un impresa (es. SPA). Si
evidenzia che:
• c’è separazione tra proprietà e controllo
• i proprietari non possono controllare perfettamente le scelte dei manager, in quanto
difettano di informazioni (per ragioni di conoscenza e di tempo)
• le scelte dei manager possono non coincidere con gli interessi della proprietà
• l’utilità dei manager dipende dal reddito, dai benefici non pecuniari (staff a disposizione,
spese di rappresentanza) e dallo sforzo
• i proprietari devono creare una struttura di incentivi tali da indurre i manager a fare le scelte
migliori per la proprietà
La principale differenza nell’applicare lo schema di analisi del modello manageriale all’impresa
privata e all’impresa pubblica consiste:
• negli interessi dei proprietari
• e nei meccanismi disponibili per l’incentivazione dei managers

Impresa privata
• il proprietario vuole massimizzare i profitti, per cui per ricomporre il conflitto proprietario
(azionisti)-manager, fa dipendere la retribuzione del manager dai profitti dell’azienda
(attraverso premi e partecipazioni azionarie)
– il problema non è completamente risolto perché il manager riceve una parte dei
profitti. La retribuzione dei manager può essere enormemente più elevato di quella
degli altri lavoratori
• c’è un incentivo implicito nel mercato del lavoro in quanto la redditività dell’azienda
aumenta la reputazione del manager e quindi il suo reddito futuro
• ulteriormente, il manager è soggetto al rischio di licenziamento, in modo diretto o tramite il
mercato dei capitali (l’acquisizione dell’azienda e la sostituzione del management)

Impresa pubblica
Non esiste una simile struttura di incentivi perché:
12
• il benessere sociale è più difficile da misurare del profitto
• è quasi assente il rischio di licenziamento indiretto tramite il mercato dei capitali, data la
non trasferibilità della proprietà
• il prezzo e la quantità e qualità dei servizi potrebbero rappresentare indicatori di
performance in alternativa al profitto, ma questi possono essere usati strumentalmente dai
managers per massimizzare la loro popolarità
• le inefficienza dei manager ed il loro desiderio di massimizzare la popolarità e minimizzare i
conflitti si possono tradurre facilmente in generose concessioni salariali ed eccesso di
investimento
• le imprese pubbliche sono inoltre caratterizzate da frequenti sussidi incrociati

Nel confronto tra impresa privata e pubblica la teoria economica predice quindi che le imprese
pubbliche:
• adotteranno prezzi più bassi
• praticheranno una minore discriminazione dei prezzi
• guadagneranno minori profitti
• saranno meno efficienti
• useranno più capitale e lavoro

Conclusioni
• La gestione del monopolio naturale tramite l’impresa pubblica presenta dunque sia aspetti
positivi sia aspetti problematici
• Nelle fasi iniziali dello sviluppo economico, in assenza di capitali privati, l’impresa pubblica
è la soluzione più praticabile.
• Successivamente, in presenza di un mercato di capitali e tramite la costituzione delle
autorità di settore, si cerca di privatizzare\liberalizzare i settori in monopolio naturale
scorporando il settore (unbundling) e introducendo quanti più meccanismi concorrenziali
possibili.
• Le autorità di regolazione sorvegliano i monopolisti pubblici, misti o privati

REGOLAMENTAZIONE E AUTORITÀ DI REGOLAMENTAZIONE


Il settore in monopolio naturale è gestito da un monopolista privato o semi-pubblico che definisce
le linee strategiche, effettua gli investimenti, produce il bene o servizio e gestisce i costi.
Il suo operato è sorvegliato da un’Agenzia di Regolamentazione (AdR) che:
• monitora la fornitura e qualità del servizio
• controlla il livello e la struttura dei prezzi (rate level e rate structure)
• definisce le regole di funzionamento del settore in modo da:
- prevenire l’estrazione delle rendite di monopolio
- incentivare l’efficienza produttiva
- regolare l’accesso all’infrastruttura
- prevenire comportamenti predatori
Le Agenzie di Regolamentazione principali in Italia sono:
- Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA)
• L'ARERA svolge attività di regolazione e controllo nei settori dell'energia elettrica, del gas
naturale, dei servizi idrici, del ciclo dei rifiuti e del telecalore.
• Istituita con la legge n. 481 del 1995, è un'autorità amministrativa indipendente che opera
per garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza nei servizi di pubblica utilità
e tutelare gli interessi di utenti e consumatori. Funzioni svolte armonizzando gli obiettivi
13
economico-finanziari dei soggetti esercenti i servizi con gli obiettivi generali di carattere
sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse.
• ARERA esercita attività consultiva e di segnalazione al Governo e al Parlamento nelle
materie di propria competenza, anche ai fini della definizione, del recepimento e della
attuazione della normativa comunitaria.
- Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM)
• L'Agcom è un'Autorità indipendente, istituita dalla legge 249 del 1997.
• L'Agcom è innanzitutto un'Autorità di garanzia: la legge istitutiva affida all'Autorità il duplice
compito di assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e di tutelare i
consumi di libertà fondamentali degli utenti.
• L'Agcom è un'Autorità "convergente". In quanto tale svolge funzioni di regolamentazione e
vigilanza nei settori delle telecomunicazioni, dell'audiovisivo, dell'editoria e, più
recentemente, delle poste. I profondi cambiamenti determinati dalla digitalizzazione del
segnale, che ha uniformato i sistemi di trasmissione dell'audio (inclusa la voce), dei video
(inclusa la televisione) e dei dati (incluso l'accesso a Internet), sono alla base della scelta
del modello convergente, adottato dal legislatore italiano e condiviso da altre Autorità di
settore, quali Ofcom in Gran Bretagna e Fcc negli Stati Uniti.
• Al pari delle altre Autorità previste dall'ordinamento italiano, l'Agcom risponde del proprio
operato al Parlamento, che ne ha stabilito i poteri, definito lo statuto ed eletto i componenti
- Autorità di regolazione dei trasporti (ART)
• L’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) è stata istituita ai sensi dell’art. 37 del decreto-
legge 6 dicembre 2011, n. 201.
• È competente nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture. Tra i suoi
compiti rientrano anche la definizione delle condizioni minime di qualità dei servizi di
trasporto e dei contenuti minimi dei diritti degli utenti nei confronti dei gestori dei servizi e
delle infrastrutture di trasporto. L’Autorità riferisce annualmente alla Camere evidenziando
lo stato della disciplina di liberalizzazione adottata e la parte ancora da definire.

In generale (nelle prossime lezioni in dettaglio), le Agenzie di Regolamentazione si occupano di


due problemi:

1) determinazione del livello dei prezzi (rate level)


Far in modo che il monopolista, da una parte, sia efficiente e, dall’altra, non faccia delle perdite
perché altrimenti queste andrebbero coperte dalla fiscalità generale.
Si determinerà quindi un livello dei prezzi tale per cui si coprano i costi e si remunerino gli
investimenti:

ricavi = costi + remunerazione degli investimenti


Ʃpiqi = Spese + s(RB)
pi = prezzo del servizio i
qi = quantità del servizio i
s = “giusto” tasso di rendimento dell’investimento
RB = investimento dell’azienda (rate base: base sulla quale calcola il prezzo)

Riguardo alla valutazione dell’investimento base (RB) si sa esserci incertezza (difficoltà nella
valutazione!). I metodi di valutazione possibili sono:
- valore storico
- valore di riproduzione del vecchio investimento
- valore di sostituzione con nuova tecnologia
- valore di borsa
14
Ma come incentivare il monopolista naturale a contenere i prezzi? (problema) Si devono introdurre
degli elementi di incentivazione.

Se l’AdR autorizza prezzi (rate level) che uguagliano i ricavi ai costi, il monopolista regolato
chiuderà il bilancio in pareggio o con un profitto normale (che remunera l’investimento).
Incentivo accidentale: solo se, come spesso avviene, c’è un disallineamento temporale tra
variazione dei costi e adeguamento dei prezzi, se i costi effettivi si abbassano rispetto usati per
definire i prezzi fissati, l’azienda guadagna.
- si tratta di un incentivo di natura accidentale (disallineamento temporale tra prezzi e
costi)
- un ulteriore incentivo potrebbe derivare dalla pratica di non compensare alcune
spese o aumenti di costi.
Mancano però incentivi a migliorare l’efficienza (x-efficiency) perché i prezzi perché ogni
variazione dei costi, sia positiva che negativa, si riflette in aumenti\riduzioni dei prezzi.
C’è il rischio che si verifichi Effetto Averch-Johnson, ovvero che i monopolisti tendano ad investire
in modo eccessivo.
Prima soluzione all’incentivo: piano sliding scale
L’idea è di utilizzare nella fissazione del livello dei prezzi la seguente formula:
ra = rt + h(r* - rt)
dove: ra = redditività risultante (actual), rt = redditività al tempo t, r* = redditività obiettivo
• se h=1, ra=r* : i prezzi sono fissati in modo da garantire in ogni caso all’azienda la redditività
obiettivo, nessun incentivo (cost-plus)
• se h=0, ra=rt : i guadagni di efficienza sono completamente a vantaggio dell’azienda, così
come eventuali perdite, incentivo massimo (fixed-price)
• se h=1/2 i rischi ed i guadagni del monopolista naturale sono condivisi dalla società,
incentivo parziale e condivisione dei rischi! (sliding scale)
Permette di condividere i rischi e la remunerazione tra il monopolista e la società (i consumatori)

Esempio
ra = rt + h(r* - rt)
dove, ra = redditività risultante (actual), rt = redditività al tempo t, r* = redditività obiettivo

h=1; rt = 8%; r* =4%  ra = 4%,


h=1; rt = 0%; r* =4%  ra = 4%,
(cost-plus), nessun premio\penalizzazione  non c’è incentivo perché indifferentemente dai
risultati che ottiene, l’Autorità gli riconosce sempre 4

h=0; rt = 8%; r* =4%  ra = 8%,


h=0; rt = 0%; r* =4%  ra = 0%,
(fixed-price) max premio\penalizzazione  max incentivo perché tutto quello che monopolista
ottiene, Autorità gliela lascia

h=1/2; rt = 8%; r* =4%  ra = 6%,


h=1/2; rt = 0%; r* =4%  ra = 2%,
(piano sliding scale), i rischi ed i guadagni del monopolista naturale sono condivisi dalla società 
incentivo\rischio parziale; al monopolista lascio sempre qualcosa

Seconda soluzione: price caps e standards di redditività


∆p = RPI – x
∆p = adeguamento dei prezzi consentito
15
RPI = tasso di inflazione (retail price index) osservato
x = tasso di incremento della produttività prefissato (obiettivo); quello che comunque
voglio che il monopolista realizzi
• contiene un incentivo all’efficienza (almeno pari al tasso di incremento della produttività
prefissato)
• i ritardi regolativi sono inseriti nella formula in modo non accidentale
• permette la condivisione dei guadagni di produttività

2) determinazione della struttura dei prezzi (rate structure)


Il monopolista naturale quasi sempre produce più di un bene o lo destina a gruppi di consumatori
diversi tra di loro. Come fissare la struttura dei prezzi (come fissare dei prezzi per i diversi utenti)?
Esempio
Supponiamo che: X = l’elettricità consumata dalle famiglie, Y = l’elettricità consumata dalle
industrie
- Se si produce solo X i costi sono Cx = 700 + 20QX
- Se si produce solo Y i costi sono Cy = 600 + 20QY
- Se si produce sia X che Y i costi sono Cxy = 1050 + 20QX + 20QY
La funzione dei costi è subadditiva: ci sono economie di scopo (1300>1050) e di
scala.

Il problema è tenere conto:


• dei diversi beni e servizi
• dei diversi gruppi di utenti (aziende-famiglie, agiati-disagiati)
• della copertura e ripartizione dei costi comuni legati all’infrastruttura
Due possibili soluzioni:
Soluzione 1: prezzo di piena distribuzione dei costi (FDC)/ Soluzione di tipo ingegneristico (senza
guardare alla domanda ma solo ai consumi):
sulla base dei consumi misurati in chilowattora (75% famiglie, 25% aziende), attribuiamo 75% dei
costi a X e 25% dei costi a Y
Le curve di costo totale e di costo medio diventano:
Cx = 787,5 + 20QX Cy = 262,5 + 20QY
ACx =787,5/QX + 20 ACy =262,5/QY + 20
Curve di domanda sono pari a:
Px = 100 - QX Py = 60 - 0,5QY
Posto AC = P si ottiene:
QX= 68,5 QY = 72,8
Px=ACx = 31,5 Py = ACy = 23.6

Questo è un modo ragionevole ma necessariamente arbitrario e non ha alcuna relazione con


l’efficienza economica (minimizzazione perdita di benessere).

Soluzione 2: prezzi di Ramsey (garantisce la


minimizzazione della perdita di benessere)

16
Sussidi incrociati
Per determinare se c’è sussidio incrociato si usa il criterio del costo medio isolato (stand-alone
average cost method), cioè del costo medio per produrre solo uno dei beni.
Per X
• Prezzo di Ramsey (per QX=70) = 30; stand-alone ACx =700/70 + 20 = 30; (R=SA) non c'è
sussidio incrociato Prezzo FDC (per QX=68.5) = 31,5; stand-alone AC x =700/68,5 + 20 =
30,2; (FDC>SA) c'è sussidio incrociato
Per Y
• Prezzo di Ramsey (per Qy=70) = 25; stand-alone ACy =600/70 + 20 = 28,5; (R<SA) non c'è
sussidio incrociato
• Prezzo FDC (per Qy=72,8) = 23,6; stand-alone ACy =600/72,8 + 20 = 28,2; (FDC<SA) non
c'è sussidio incrociato

I prezzi di Ramsey non generano sussidi incrociati.


• Definizione: quando un gruppo di consumatori paga per un bene di più di quanto costebbe
produrlo quel bene in modo isolato, sussidiando in questo modo altri gruppi di consumatori

Esempi:
• Se il prezzo dell’elettricità è lo stesso ma produrre e distribuire l’elettricità costa di più
in città che in montagna (ipotesi: la produzione avviene in un bacino idroelettrico
localizzato in montagna), la montagna sussidia la città
• Se il biglietto del bus è uguale indipendentemente dalla lunghezza del percorso, chi
percorre in bus 1 km sussidia chi percorre 5 km.

Conclusioni sulla regolamentazione


• Liberalizzazione\privatizzazione\unbundling: Il monopolio è affidato a aziende private (semi-
pubbliche) che definiscono le strategie di investimento e gestiscono i costi
• Le AdR controllano l’operato del monopolista e, definendo il prezzo (rate level) e la struttura
dei prezzi (rate structure), prevenendo la formazione di rendite e incentivando l’efficienza
• Il regolatore è in posizione di asimmetria informativa. Le AdR sviluppano competenze
specifiche che gli permettano un più attento controllo del monopolista
• È importante usare meccanismi di incentivazione di assenza di competizione di mercato

IV. Vantaggi e svantaggi delle aste competitive (franchise bidding) come soluzione al
monopolio naturale. Tenete conto del problema della qualità, della durata, della
variabilità della domanda e dei costi, dell’opportunismo e del vantaggio
dell’incumbent.

ASTE/GARE PER LE CONCESSIONI (FRANCHISE BIDDING)


Teoria del franchise bidding

17
Su un’industria presenta caratteristiche di monopolio naturale c'è il rischio che il prezzo sia
eccessivamente alto, In questo contesto, invece della regolamentazione dei prezzi, Demsetz
propose nel 1968 di usare un meccanismo d'asta per ottenere la concessione (franchise bidding)
• La licenza è concessa a chi si impegnerà a fornire il servizio al prezzo minore (selezione
all’ingresso dei concorrenti)
• Se la competizione è sufficiente il prezzo tenderà ad eguagliare i costi medi
• Lo Stato (non gestisce il servizio ma) svolge la funzione di banditore d'asta invece che di
regolatore
• Alla concorrenza nel mercato (replicare infrastrutture non è conveniente) si sostituisce la
concorrenza per il mercato (selezione all’ingresso del mercato)

Esempi di aste competitive:


Ambito monopoli naturali (più piccolo; a livello locale o regionale):
• Il trasporto pubblico regionale su autobus
• Il servizio di trasporto ferroviario regionale
• La gestione autostradale (in Italia, circa una trentina di concessioni)
• Le banchine dei porti marittimi (gestione di ogni molo offerto tramite concessione)
• La gestione dei servizi idrici e di prelievo\smaltimento rifiuti
• Frequenze televisive o telefoniche
Ambito diverso dai monopoli naturali
• In enti pubblici
- Fornitura di apparecchiature medicali e di farmaci
- Servizi di pulizia e custodia
- Apparecchiature informatiche
• In aziende private
• Trasporti, pulizia, e servizi vari di tipo non-core, ecc.

Situazione dei servizi di trasporto:

Le gare hanno dimensione europeo; ad esempio, nel 2019, Trenitalia si è aggiudicata una gara in
Spagna per la fornitura di treni ad alta velocità sulle principali linee spagnole.
Competizione al momento dell’asta (meccanismo)
Esempio
18
• asta inglese: vince chi offre il prezzo più alto
• asta inglese modificata: vince la licenza chi offre il servizio al prezzo più basso

P4
A C4
P3
A A C3
P2
A C2
P1 B
A C 1
D

Q
F ig . 1 3 .2
Supponiamo di avere quattro aziende diverse con quattro funzioni di costo diverse; azienda 4 ha
la funzione di costo maggiore. Il meccanismo d’asta chiede alle aziende, quale di loro si impegna
a offrire il prezzo minore: si indica una base d’asta e si ascoltano le proposte, vince quella che
propone il prezzo minore. In questo caso, azienda 1 può offrire il prezzo minore.
Idealmente, ci si aspetta che all’asta partecipi un numero consistente di competitori e che quindi
vinca il migliore; potrebbe però anche esserci un solo partecipante.

pro meccanismo d’asta


• non impone nessun requisito informativo
• non si corrono rischi di inefficienza da sovra-capitalizzazione come nella regolamentazione
contro meccanismo d’asta
• i prezzi risultanti differiscono dai prezzi marginali (contrariamente alla tariffa in due parti, a
meno che l'asta non si basi, invece che su un unico prezzo, su una tariffa a due parti o
struttura dei prezzi)

Perdita di benessere quando i prezzi sono pari ai costi medi (P=Cme)

P 0

A C

M C

0 Q 0 Q * Q
F ig . 1 1 .8

Quando si sceglie il vincitore si va a valutare sia l’aspetto economico sia l’aspetto tecnico;
vediamo ora i problemi delle aste.

La qualità del servizio (problema 1)


19
Una delle difficoltà nell'uso delle aste per attribuire la concessione per i monopoli naturali si ha nel
caso in cui il servizio non sia omogeneo e diventa dunque importante tenere conto nel selezionare
il vincitore anche della qualità del servizio (affidabilità, precisione, durata, ecc..). In quanto:
• gli attributi qualitativi del servizio devono venire pre-specificati assieme al prezzo
• la qualità è difficile da verificare e può essere controllata solo ex-post
• c'è un incentivo per l'aggiudicatario a ridurre la qualità dopo l'assegnazione (dal punto di
vista dei suoi profitti, gli conviene limitare le spese per la qualità)
• la scelta del banditore è molto più complessa e discrezionale
• diventando la scelta più complessa e discrezionale, aumenta il rischio di attività rent-
seeking*
*il rent seeking implica generalmente l'estrazione di valore non controbilanciato da altro, senza
che ci sia alcun contributo alla produttività.
Il comportamento del rent seeking è distinto in ambito accademico da quello del profit seeking
(traducibile in italiano come "ricerca del profitto"), in cui i soggetti cercano di trarre valore ponendo
in essere transazioni di mutuo beneficio.
Le critiche al riguardo evidenziano che, nella pratica, può risultare difficoltoso distinguere tra il
benefico profit seeking e il nocivo rent seeking.
l rent seeking si verifica spesso nella forma di lobbismo finalizzato ad ottenere l'applicazione di
particolari regolamentazioni economiche, come i dazi doganali. Quello del regulatory capture è un
concetto correlato che si riferisce alla collusione tra le imprese e le agenzie governative cui è
assegnato il compito di regolarle, e che dà luogo a comportamenti di rent seeking di ampia
portata, in particolare quando l'agenzia governativa deve fare affidamento sulle imprese per la
conoscenza del mercato.

Variabilità della domanda e dei costi (problema 2)


Siccome le condizioni della domanda e dei costi possono mutare rapidamente nel tempo
(influendo positivamente o negativamente sui profitti del monopolista; esempio: aumento del
prezzo del carburante, pandemia che riduce drasticamente il numero di utenti, politiche
pubbliche…) è necessario che se ne tenga conto; condizioni contrattuali dell’asta vengono meno.
Le possibilità sono due:
I. concedere la concessione per un periodo di tempo breve e quindi avere aste frequenti in
modo che non sia necessario specificare come si farà fronte ai cambiamenti nei costi o
nella domanda
MA:
(problema 3)
• Le concessioni brevi e le aste frequenti hanno il vantaggio di permettere la verifica dei
requisiti di qualità previsti nei contratti. Nel caso però in cui l'investimento iniziale sia molto
elevato, una concessione di breve durata non è praticabile in quanto non permette di
ammortizzare i costi sostenuti
• Le concessioni lunghe forniscono un incentivo all'investimento di lungo periodo, che
richiede un lungo ammortamento. Sono però difficili da scrivere; è necessario prevedere
come far fronte ai cambiamenti della domanda e dei costi

II. predefinire nel contratto le regole di adeguamento ai cambiamenti imprevedibili dei costi e
della domanda

Vantaggio delle imprese che già prestavano il servizio (incumbents) (problema 4)


• l'impresa che già si era già aggiudicata l'asta o che prestava il servizio in regime di
monopolio pubblico ha acquisto un vantaggio che può essere rilevante sulle imprese
concorrenti in termini di investimenti e conoscenza dei costi (incumbents ha una migliore
conoscenza della struttura di mercato) e del mercato e di spese irrecuperabili già effettuate.
20
I bandi d'asta dovrebbero tenerne conto!
• i decisori politici tendono a mantenere lo status quo (decisori politici sanno che questa
impresa fa questo servizio, sa che ha i dipendenti… distorsione a favore dell’incumbent)

Controllare i comportamenti opportunistici (problema 5)


Un'ulteriore difficoltà delle aste è controllare il comportamento opportunistico ex-post: offrire un
prezzo basso per vincere l'asta e poi chiedere adeguamenti nei prezzi per far fronte a imprevisti
aumenti nei costi (sfruttando la presenza di costi irrecuperabili d'asta).
Esistono però clausole di precauzione (esclusione prezzi estremi) o penalità per disincentivare un
comportamento opportunistico

Conclusioni
Si è visto che con le aste (franchise bidding), lo Stato svolge la funzione di bandire d’asta invece
che di regolare. Alla concorrenza nel mercato si sostituisce la concorrenza per il mercato.
Il ruolo dello Stato è più importante di quanto appaia (non solo arbitro ma anche regolatore perché
vi sono diverse problematiche) a prima vista a causa:
• delle incertezze legate alla qualità
• della variabilità nel tempo dei costi e della domanda futura
• della necessità di considerevoli investimenti iniziali che impongono concessioni di durata
non breve
• dell’opportunismo del vincitore
• del probabile vantaggio della azienda che già fornisce il servizio (avendo ricevuto la
concessione) rispetto alle altre
Il vantaggio teorico del franchise bidding rispetto ad altre forme di regolamentazione tende
pertanto a scemare. Il franchise bidding tende ad assomigliare alla regolamentazione. Le
differenze sono di grado e non di natura.

V. Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del settore ferroviario.


E’ giustificato il suo inserimento tra i settori in monopolio naturale? Descrivete
quali soluzioni sono suggerite dalla teoria economica e quali soluzioni sono state
scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore. Quali problemi
rimangono ancora aperti?
SETTORE DEL TRASPORTO FERROVIARIO
Sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria Italia (breve storia)
La ferrovia nasce in Italia nel 1839 con la Napoli-Portici (7,640 km); ferrovia diventa alternativa al
trasporto via mare quindi ferrovia grande possibilità e innovazione prima dell’avvento
dell’automobile. Nel 1861 la rete era lunga poco più di 2.000 km (il 18 per cento era di proprietà
dello Stato ed il 25 per cento in sua gestione diretta). Alla sua costruzione contribuirono in maniera
significativa capitali privati, anche esteri (in particolare il banchiere livornese Pietro Bastogi e
James Rothschild). Nel 1865 una legge di riordino concentrò rete e gestione del servizio in 5
società concessionarie. Nel 1872 la rete italiana misurava circa 7.000 km, la cui gran parte era
gestita da 4 società. Fra il 1878 e il 1880 lo Stato rilevò due società ferroviarie, colpite da gravi
dissesti finanziari (nascono i problemi derivanti dalla gestione privata: domanda non molto elevata,
costi molto elevati; così per tutti i Paesi non solo in Italia: iniziativa privata non regge le spese di
questo servizio). Nel 1884-85 si decise di riaffidare ai privati la gestione delle ferrovie, lungo la rete
di 8.510 km, stipulando convenzioni sessantennali con 3 società private. La situazione economica
delle ferrovie rimase disastrata e richiese elevati contributi statali. Nel 1905 si creò l’Azienda
autonoma delle Ferrovie dello Stato, che assunse la gestione diretta di 10.557 km di rete (di cui

21
9.868 già di proprietà statale). Nel 1906 la rete statale raggiunse i 13.075 km, di cui 1.917 a
doppio binario.
Molte altre linee preesistenti, di interesse locale, rimasero tuttavia attive sulla base di concessioni:
sono quelle comunemente chiamate “ferrovie concesse”, che oggi, in maggioranza trasferite alle
Regioni, costituiscono le cosiddette reti regionali, cioè le infrastrutture ferroviarie non in capo a
RFI.
Nel 1922 con l’avvento del fascismo e in presenza di una grave situazione economico-finanziaria,
all’Ente fu imposto un commissario in sostituzione del consiglio di amministrazione e due anni
dopo fu messo a capo dell’Ente il Ministro delle comunicazioni.
Fu avviata una politica di taglio del personale, che passò da 241.000 a 138.000 unità fra il 1922 e
il 1939.
La costruzione di nuove reti fu affidata al ministero dei lavori pubblici. Nel 1939 la rete aveva
raggiunto i 22.800 km (di cui oltre 5.000 elettrificati; si inizia a passare dal carbone all’elettrico). La
Seconda guerra mondiale danneggiò notevolmente il sistema ferroviario (nel giugno 1945 il 40 per
cento della rete e gran parte del materiale rotabile erano danneggiati), ma il recupero fu rapido.
Nel 1949 la rete ferroviaria in funzione aveva raggiunto i 21.369 km e rimase sostanzialmente
invariata (domanda debole) fino all’inizio degli anni Sessanta (boom economico: investimenti
nell’alta velocità, AV).
Negli ultimi 40 anni del XX secolo si sviluppano alcuni servizi di punta per i viaggiatori a lungo
raggio, alcune reti soprattutto in ambito urbano e suburbano e viene avviata l’alta velocità (AV)
(Direttissima Firenze-Roma, iniziata nel 1970 e conclusa nel 1992).
A partire dagli anni ‘50 viene avviata, in misura crescente con la scelta politica di privilegiare le
infrastrutture stradali, e in particolare nel 1985 con il decreto Signorile, la dismissione di alcune
linee e l’abbandono di altre in seguito alla realizzazione di varianti di tracciato, per circa 2.550 km
per quelle di pertinenza FS e 3.150 km per le ex-linee in concessione.
I recenti progetti di ampliamento della rete hanno riguardato, a livello nazionale, l’Alta Velocità,
avviata nel 1994 e che affianca la linea storica, cui si aggiungono il programma di riqualificazione
di 13 grandi stazioni e la riqualificazione e il potenziamento di alcune tratte.
Raramente sono state sperimentate forme di finanziamento innovative rispetto ai tradizionali
contributi dello Stato. Nel caso dell’AV, l’obiettivo iniziale di un project finance con 60 per cento di
capitale privato non è stato conseguito. L’investimento non risultava infatti sufficientemente
profittevole per gli investitori privati e risultava pertanto una forma mascherata di finanziamento
pubblico.
Negli anni recenti, si è implementata la rete dell’Alta Velocità: grazie a tecnologie moderne, AV in
alcune tratte è diventata competitiva rispetto al trasporto stradale e aereo (velocità e comodità).
COVID: diminuzione uso mezzi di trasporto in generale.
Un caso interessante riguarda il Trentino-Alto Adige, dove l’Autostrada del Brennero accantona
parte dei proventi da pedaggi in un fondo destinato al rinnovo dell’infrastruttura ferroviaria; l’utilizzo
del fondo dovrebbe avvenire attraverso una partecipazione della stessa Autostrada del Brennero
Spa alla società che costruirà e/o gestirà il nuovo tunnel ferroviario del Brennero.

Principali caratteristiche tecnico-economiche


• Elementi del monopolio naturale di natura fissa (costi fissi): binari, stazioni, locomotive e
vagoni (in proprietà o in affitto); rete va ammodernata e messa in sicurezza periodicamente,
stazioni sono punti di intersezione tra linee e dove persone sostano quindi interessanti dal
punto di vista economico (attività commerciali), locomotive e vagoni costruiti ad hoc
• Principali costi variabili: personale (macchinisti, personale viaggiante...), pedaggi, energia;
importanti perché, ad esempio macchinisti, hanno corsi di formazione che durano due anni
• Elevata intensità di capitale (con vita economica però molto elevata) con limitata
sostituibilità di capitale e lavoro
22
• Settore a rete: nodi e connessioni  programmazione integrata: ottimizzare la domanda e
l’offerta; domanda arriva da tanti punti della rete quindi offerta deve ottimizzare tempi e
costi di trasporto
Presenta tutte le caratteristiche favorevoli all’economie di scala

Tipologia di servizi ferroviari (mercati ferroviari sono diversificati; tre principali)


1. Trasporto di media e lunga percorrenza dei passeggeri, in cui il trasporto ferroviario ha
come sostituti, oltre al trasporto individuale o collettivo su gomma, anche il trasporto aereo
– Alta velocità (numero contenuto di fermate; collega le città più importanti)
– Velocità contenuta (numero di fermate elevato; si ferma spesso)
2. Trasporto locale di passeggeri all’interno di un sistema locale del lavoro: come quello
regionale; punti di raccolta e punti di destinazione
3. Trasporto merci: vagone che va dal punto di origine a un punto di destinazione; un unico
treno senza soste, oppure treno che raccoglie/consegna presso stazioni vagoni merce
Siccome ci sono tre tipologie di servizio, esistono delle economie di scala; ci sono anche le
economie di scopo (azienda attiva nel trasporto merci è attiva anche nel servizio di trasporto m/l
percorrenza)? Potenziale presenza di economie di scopo.

Obiettivi pubblici del trasporto ferroviario


• garantire il diritto alla mobilità dei cittadini. Il riconoscimento di un diritto alla mobilità si
traduce nell’attribuzione al trasporto ferroviario della qualifica di “servizio universale”, per il
cui svolgimento sono imposti e compensati specifici obblighi di servizio pubblico (OSP).
(servizio offerto anche in fasce orarie deboli, punti con poca domanda)
• favorire il riequilibrio modale a scapito dell’automobile per il minor inquinamento,
congestione, incidentalità e costi di usura delle strade.
Presenza di motivazioni sociali (extra-economiche)

Conclusioni su monopolio naturale


• Presenta tutte le caratteristiche favorevoli all’economie di scala
• Potenziale presenza di economie di scopo
• Presenza di motivazioni sociali (extra-economiche)
Presenta caratteristiche di monopolio naturale.

MA come stimolare l’efficienza e garantire l’investimento?


La teoria economica suggerisce:
A. Unbundling: la separazione proprietaria fra gestore della rete e gestore del servizio (si
scorpora il monopolio naturale: gestione e fornitura a due imprese diverse)
B. La gestione del servizio è offerta ad uno o più operatori in concorrenza fra loro
(concorrenza per il mercato).
C. La gestione della rete è sorvegliata da una autorità di regolazione che garantisce l’accesso
alla rete equo e non discriminatorio.

A. Criticità della soluzione proposta (separazione o no?)


• L’integrazione ha però vantaggi industriali: economie di scopo, vantaggi informativi (chi
opera i treni conosce al meglio le criticità della rete), incentivi alla
manutenzione/investimento della rete (il mancato ammodernamento della rete ha effetti
sulla operatività dei treni) e riduzione dei costi di transazione (non si sono contratti da
scrivere e monitorare tra aziende diverse). Le analisi empiriche non sono conclusive né
sugli effetti in termini di efficienza legati all’integrazione verticale, né sulla presenza di
economie di scopo fra il trasporto merci e quello passeggeri. Alcuni autori mostrano che
23
empiricamente la separazione verticale non determinerebbe significative differenze
nell’efficienza tecnica complessiva.
• Nel caso un’impresa effettui sia servizi concorrenziali sia servizi pubblici è necessario
evitare comportamenti e strategie volti a falsare il gioco della concorrenza sul mercato
concorrenziale grazie ai ricavi ricevuti per il servizio pubblico (AGCM, 2008).

B. Concorrenza per il mercato


La definizione di meccanismi di concorrenza per il mercato comporta numerose scelte di dettaglio
quali:
• la dimensione del mercato da mettere a gara. Trade-off tra facilità di monitoraggio e
numero di potenziali partecipanti alla gara (rischi di collusione);
• il numero di tratte da affidare a ciascun gestore;
• le caratteristiche del contratto di servizio;
• la definizione del livello delle tariffe e dei sussidi;
• il meccanismo d’asta.
Dal 2013 le gare per i mercati ferroviari regionali sono regolate dall’Autorità di regolazione dei
trasporti

C. Contratto di servizio
• Uno strumento complementare alle gare è il contratto di servizio (CS): in presenza di
asimmetrie informative, definisce meccanismi di incentivo affinché il gestore offra la
quantità e gli standard richiesti del servizio.
• Se lo stesso gestore ha oneri di servizio su alcune tratte ma non su altre (potenzialmente
remunerative), l’ente locale contraente può consentire all’impresa ferroviaria l’utilizzo di
sussidi incrociati fra i due tipi di servizio; tuttavia, ciò non dovrebbe essere ammesso
qualora sulle tratte remunerative il gestore sia in concorrenza con altre imprese.

Politica ferroviaria europea


I principi ispiratori: la realizzazione del mercato unico, la riduzione dei sussidi pubblici e la
promozione della concorrenza (superare il monopolio naturale). Obiettivo: creare una rete europea
e permettere la concorrenza a livello europeo!
Quattro pacchetti ferroviari (regole di trasformazione del mercato ferroviario europeo; creare
progressivamente concorrenza a livello europeo):
1) Il primo, effettivo dal 2004, introduce regole trasparenti e uniformi di accesso alla rete e
alcune prime misure per la liberalizzazione del trasporto ferroviario di merci trans-europeo.
2) Il secondo, effettivo dal 2005, prevede la piena apertura del mercato UE del trasporto
ferroviario merci dal 2007, poi anticipata al 1° gennaio 2006.
3) Il terzo prevede l’apertura del mercato dei servizi ferroviari dei passeggeri dopo il primo
gennaio 2010.
4) Il quarto proposto gennaio 2013: a) rende obbligatoria l'apertura alla concorrenza fra gli
operatori nell'ambito dell'aggiudicazione dei contratti di servizio pubblico di trasporto
ferroviario entro il 2019, b) circa la delicata questione della separazione fra il gestore
dell'infrastruttura e l'operatore storico (unbundling), neutrale rispetto la separazione totale
delle attività, c) rafforzamento del ruolo dell'Agenzia ferroviaria europea

Risultati dell’applicazione dei pacchetti:

24
Gli incumbent (nazionali) ancora controllano il mercato (ad eccezione del Regno Unito e in misura
minore nelle merci).
Trasporto delle merci, in Italia, 50% Trenitalia; meno integrato.

L’applicazione della regolamentazione


In Europa il processo di liberalizzazione definito a livello europeo non ha dato risultati
soddisfacenti. In molti paesi la separazione verticale fra rete e gestore incumbent è ancora solo
formale e il libero accesso di concorrenti incontra notevoli ostacoli (fra cui quello della mancanza
della reciprocità).

In Italia il recepimento della normativa europea è a uno stadio formalmente più avanzato rispetto
ad altri paesi europei
• Separazione contabile: RFI e Trenitalia
• Alta velocità: nuovo entrante Italo - Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV)
• Trasporto merci: molti entranti (Rail Traction Company, ..)
• Gare per il trasporto regionale: numero limitato
• mantenimento dei “servizi essenziali”. Gli Stati possono erogare una compensazione
corrispondente che non costituisce aiuto di stato.

Separazione societaria non proprietaria


Nel 1992 l’ente Ferrovie dello Stato (FS), costituito nel 1986, è stato trasformato in società per
azioni, di proprietà interamente pubblica, a cui è attribuita la concessione per l’esercizio del
servizio ferroviario pubblico. La separazione tra gestore dell’infrastruttura e dei servizi di trasporto
è stata completata nel luglio 2001 con la creazione di Rete ferroviaria italiana (RFI). Nel 2002 il
gruppo FS è stato completamente ridisegnato, creando una holding Ferrovie dello Stato spa, di
proprietà del Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) con al suo interno numerose società
autonome, tra cui RFI e Trenitalia.

Separazione contabile: Rete ferroviaria italiana


A RFI è stata trasferita la titolarità della concessione prima in capo a FS, la cui durata è stata
ridotta nel 2000 da 70 a 60 anni e la gestione dell’infrastruttura (inclusi gli investimenti), di
proprietà dello Stato. È compito di RFI amministrare il funzionamento della rete assicurando la
circolazione in sicurezza dei treni. L’attività di RFI consiste nella vendita delle tracce orarie sulla
rete nazionale alle imprese ferroviarie e nell’attuazione degli interventi di manutenzione e
ampliamento programmati, a fronte dei quali RFI riceve dallo Stato contributi in conto esercizio.
L’allocazione delle tracce avviene in contropartita di un pedaggio. Anche le ferrovie regionali
devono richiedere le tracce a RFI per la parte di trasporto regionale che transita sulla rete
nazionale.

Gruppo Ferrovie dello Stato Italia spa (1905-): insieme di controllate divise in diverse tipologie
(trasporto, infrastruttura, servizi immobiliari, altri servizi).
25
Trasporto:
- TrainOse S.A., fondata nel 2005, dal 2017 è al 100% del Gruppo FS Italiane. La società di
trasporto ferroviario passeggeri e merci ha sede ad Atene, Grecia. All'inizio del 2021 la
compagnia ha acquistato da Trenitalia 5 ETR 470 destinati all'esercizio tra Atene e
Salonicco a partire dal 25 marzo 2021[12]. Nel giugno 2021 dopo l'arrivo dei primi ETR 470
in Grecia, la società ha cambiato nome in Hellenic Train, tagliando così tutti i collegamenti,
anche simbolici, con la vecchia holding OSE[13].
- Netinera Deutschland, Oltre 3.600 dipendenti, una flotta di circa 346 treni e 682 bus. Il
Gruppo FS, in partnership con Cube Infrastructure, il 25 febbraio 2011, ha perfezionato
l’acquisto da Deutsche Bahn della proprietà di Arriva Deutschland, oggi NETINERA
Deutschland, e dell’articolato gruppo societario facente capo a quest’ultima. Con questa
acquisizione, il nostro Gruppo consolida e sviluppa la sua presenza sul mercato
internazionale, dotandosi di una import
- Busitalia Sita Nord è la società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane che si occupa di
trasporto persone con autobus, oltre ad altre modalità di trasporto. ante base operativa in
Germania - dove già opera con TX Logistik nel trasporto merci e nella logistica, anche nel
settore del trasporto passeggeri. L’offerta di trasporto del gruppo Busitalia copre
attualmente circa 100 milioni di bus km annui, 2,7 milioni di treni km* e 41mila miglia
nautiche, con circa 2300 autobus, 46 treni, 18 tram e 7 motonavi. I dipendenti sono oltre
4000.

Infrastruttura
- Anas è la società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane che si occupa di infrastrutture
stradali. Da quasi un secolo costruisce le strade che connettono ogni località del Paese, le
gestisce e le mantiene efficienti nel corso del tempo. La società è protagonista nel mondo
della progettazione, della costruzione e della manutenzione stradale e tra i leader
riconosciuti a livello internazionale. Gestisce la rete viaria di interesse nazionale, con
oltre 26mila km di strade statali, autostrade e raccordi autostradali.

Metro5 S.p.A. è la società concessionaria per la progettazione, costruzione e gestione della Linea.
Costituita in data 5 giugno 2006, ai sensi dell’art. 37 quinques della Legge 109/94. Metro 5 S.p.A.,
quale Società di progetto, è subentrata a tutti gli effetti all’A.T.I. aggiudicataria.
La nuova Linea M5 è la prima grande infrastruttura di trasporto urbano in Italia realizzata in project
financing, strumento che permette la partecipazione finanziaria di privati.
Oltre il 40% dell’opera è stato finanziato con il contributo di Metro 5 S.p.A  che ha curato la
progettazione, la costruzione e curerà la gestione fino al 2040 attraverso i suoi soci.
Metro5 è costituita da: Alstom Ferroviaria S.p.A., Astaldi S.p.A., ATM S.p.A., Ferrovie dello Stato
Italiane S.p.A., Hitachi Rail S.p.A. E Hitachi Rail STSS.p.A.

Gruppo Ferrovie dello Stato italiano (monopolista si è esteso anche in altre aree e anche
all’Estero)
È una delle più grandi realtà industriali del Paese. Dal sito del Gruppo:
«Partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze dal 1992, la Capogruppo
Ferrovie dello Stato Italiane SpA controlla le società operative nei quattro settori della filiera,
trasporto, infrastruttura, servizi immobiliari e altri servizi.
Leader nel trasporto passeggeri su ferro, con l’88% di quota di mercato, e in quello delle merci su
ferro, con il 7%, il Gruppo FS Italiane conta oltre 81mila dipendenti, oltre 10mila treni ogni giorno
(circa 8mila in Italia e oltre 2mila all’estero), circa 750 milioni di passeggeri su ferro (600 in Italia,
150 all’estero), 300 milioni di passeggeri su gomma e 50 milioni di tonnellate di merci all’anno. Il

26
network ferroviario gestito da Rete Ferroviaria Italiana è di oltre 16.700 km di rete, di cui più di
1.400 km di binari dedicati ai servizi alta velocità.
Il Gruppo FS Italiane mira a diventare l’impresa di sistema, al servizio dei pendolari e dei
passeggeri dei treni alta velocità, implementando la sua offerta di servizi di mobilità e di logistica
integrati e sostenibili.»

Italo: offre servizio di diverse rotte; inizialmente problemi di concorrenza ma ora esito di questa
concorrenza è stato positivo.

Recentemente, Ferrovie dello Stato si è aggiudicata gara AV in Spagna.


Il consorzio Ilsa, composto da Trenitalia e Air Nostrum, selezionato come primo operatore privato
ad accedere al mercato iberico
Fs sbarca in Spagna. Il consorzio Ilsa, composto da Trenitalia e Air Nostrum, si è aggiudicato i
servizi alta velocità Madrid - Barcellona, Madrid - Valencia/Alicante e Madrid - Malaga/Siviglia.
L'inizio del servizio commerciale è previsto per gennaio 2022 e avrà una durata decennale.
Gianfranco Battisti, amministratore delegato e direttore generale di Fs Italiane.
"Siamo orgogliosi di mettere a disposizione anche in Spagna il know-how sviluppato in 10 anni di
alta velocità con 350 milioni di passeggeri trasportati in Italia, unici in Europa in un mercato
competitivo. Il Gruppo Fs Italiane è un player internazionale primario, pronto ad affrontare le sfide
per le gare nel mercato americano dopo l'aggiudicazione sia dei servizi ferroviari fra Londra ed
Edimburgo, operativi dal 9 dicembre in Gran Bretagna, sia del progetto per l'alta velocità  in
Thailandia", ha aggiunto il manager.
Il consorzio Ilsa offrirà 32 collegamenti giornalieri sulla rotta Madrid - Barcellona (16 in ciascuna
direzione). La rotta Madrid - Valencia avrà otto collegamenti al giorno, sette saranno quelli sia fra
Madrid e Malaga sia fra la capitale e Siviglia. Da Madrid ad Alicante, invece, ci saranno quattro
collegamenti giornalieri, che potranno pero' aumentare durante le settimane estive di punta. Il
treno scelto da Ilsa è il Frecciarossa 1000. Le cinque rotte aggiudicate saranno servite grazie a
una flotta di 23 treni.
La gara per l'alta velocità spagnola vinta oggi è solo l'ultima di un più ampio piano di sviluppo
internazionale del Gruppo Fs che impiega già l'8,6% della propria forza lavoro fuori dall'Italia, con
una quota pari al 15% dei propri ricavi conseguita nei mercati esteri, pari a 1,4 miliardi di euro.
Dall'Arabia Saudita alla Turchia, dagli Stati Uniti all'Algeria, passando per Sud Africa, Russia,
Germania e Thailandia: sono una sessantina i Paesi dove le Ferrovie dello Stato operano tramite
partnership, joint venture e la business unit Fs International, creata a giugno 2018 con l'obiettivo di
promuovere la vendita del know-how professionale e tecnologico del gruppo all'estero.
Un successo legato anche al Frecciarossa 1000, il treno di punta della flotta di Trenitalia e il
più veloce d'Europa, progettato e costruito secondo le specifiche tecniche di interoperabilità
internazionali che gli consentono di poter circolare su più reti europee.

Trasporto merci

27
Trasporto regionale
Decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (decreto Burlando): trasferimento alle Regioni, entro
il 1° gennaio 2000 delle competenze di programmazione, amministrazione e controllo e delle
risorse finanziarie relative al trasporto ferroviario locale dei passeggeri. Scelta del gestore
mediante gare entro il 2003.
L’applicazione è graduale e incerta, con un ripetuto ricorso a proroghe e a regimi transitori.
Introduzione di un Contratto di Servizio con il gestore di durata non superiore a 9 anni (modificata
in 6 anni rinnovabili di altri 6), che preveda compensazioni economiche per Obblighi di Servizio
Pubblico

Nel novembre 2010 è stato avviato un nuovo servizio fra Torino e Milano da parte di Arenaways,
società a capitale privato con vocazione nel trasporto a scala regionale.
Una delle difficoltà più importanti incontrate dalle Regioni nell’avviare le gare è stata quella del
reperimento del materiale rotabile, che Trenitalia non ha loro trasferito, nonostante fosse stato
acquistato con contributi statali e regionali.
Non è stata invece presa in considerazione la possibilità di trasferire il materiale rotabile a
separate rolling stock companies che poi potevano offrirlo in leasing alle imprese ferroviarie (come
nel caso inglese).
Solo il materiale delle ferrovie regionali (ex concesse) è di norma di proprietà del demanio della
Regione. Alcune ROSCOs europee sono attive anche in Italia, ma prevalentemente nel noleggio
di locomotive per i servizi merci «liberalizzati».

Il Regolatore fino al 2013


In Italia, oltre all’AGCM, per la parte di competenza relativa alla promozione della concorrenza, la
regolamentazione del settore era, fino al 2013, nelle mani dell’Ufficio per la regolazione dei Servizi
Ferroviari, organo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, deputato a svolgere i compiti di
controllo, monitoraggio e regolazione in ambito ferroviario con particolare riferimento alla vigilanza
sulla concorrenza nei mercati del trasporto ferroviario ed alla risoluzione del relativo contenzioso.
Proprietario e regolatore coincidevano nella stessa figura, anomalia questa che prestava il fianco
alla critica che le procedure per il rilascio delle licenze e, soprattutto, le regole per l’accesso (in
particolare in termini di sicurezza) fossero strumentalmente fissate per favorire Trenitalia a
discapito dei concorrenti privati.

Il Regolatore dopo il 2013


2013 - L’Autorità di regolazione dei trasporti si insedia a Torino. Il compito «nel settore del
trasporto ferroviario, sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e gli enti locali
interessati, è di definire gli ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento.

28
L’Autorità, dopo un congruo periodo di osservazione, analizza l’efficienza dei diversi gradi di
separazione tra l’impresa che gestisce l’infrastruttura e l’impresa ferroviaria, anche in relazione
alle esperienze degli altri Stati membri dell’UE e all’esigenza di tutelare l’utenza pendolare (art. 37
decreto-legge n. 1/2012)»

In Italia:

• Si è realizzata solo la separazione societaria\contabile e non quella proprietaria (UK,


Olanda, Svezia)
• L’incumbent ha un ruolo ancora determinante, in particolare nel trasporto passeggeri, meno
nel trasporto merci
• Nella fetta di mercato più ricca, c’è concorrenza tra due operatori: Trenitalia e NTV
• Il Gruppo FSI da alcuni anni realizza profitti
• Proseguono gli investimenti e l’ammodernamento del settore ferroviario
• Le quote di mercato rispetto alle altre modalità di trasporto sono costanti
• Il Gruppo FSI opera e concorre anche in mercati esteri (Germania, Spagna, Grecia...)

Conclusione
Nonostante siano chiaramente presenti condizioni di monopolio naturale (economie di scale e di
scopo legate all’infrastruttura, al materiale rotabile ed al servizio), la regolazione tenta di stimolare
l’efficienza del concessionario monopolista (ex-pubblico) e di introdurre, laddove possibile,
elementi di concorrenza nel mercato (separazione tra infrastruttura e servizio) o per il mercato
(gare per i servizi regionali). La qualità del servizio e gli obblighi di servizio pubblico sono
assicurati tramite Contratti di Servizio. Il finanziamento all’infrastruttura è assicurato tramite sussidi
pubblici.

VI. Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del settore elettrico. E’


giustificato il suo inserimento tra i settori in monopolio naturale? Descrivete quali
soluzioni sono suggerite dalla teoria economica e quali soluzioni sono state
scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore. Quali problemi
rimangono ancora aperti?

SETTORE DELL’ENERGIA ELETTRICA


Grafico iniziale: la produzione di energia elettrica in Italia nel 1898 era pari a 100 milioni di
chilowattora ed è arrivata ad oltre 56 miliardi nel 1960. Da allora è salita fino a 350 miliardi.
Energia elettrica è diventata una delle fonti di energia più utile in Italia; utilizzi vari: illuminazione,
macchine industriali, elettrodomestici, riscaldamento, mobilità sempre più verso elettrico… Vari
modi di produrre energia elettrica: idroelettrica, termoelettrica, geotermoelettrica, termonucleare,
eolica, fotovoltaica, scambi esteri (dagli anni ’80 in poi compriamo dall’Estero).
29
Fine XIX secolo: centrali termoelettriche a carbone situate all'interno delle grandi città. Prima
centrale a Milano nel 1883, adiacente al Teatro alla Scala, per l'alimentazione del teatro stesso.
Lo sviluppo della rete di trasmissione nazionale permise lo sfruttamento del grande bacino
idroelettrico costituito dalle Alpi ("carbone bianco delle Alpi“). Fu possibile un primo timido sviluppo
industriale italiano.
Dopo la Seconda guerra mondiale, risorsa idroelettrica insufficiente per le richieste
dell'industrializzazione: nuove centrali termoelettriche.
Anni ’60, anche a causa di enormi disastri ambientali (come la strage del Vajont), fu abbandonata
la costruzione di nuove centrali idroelettriche.
Fin dall'inizio, la produzione dell'energia elettrica in Italia era sempre stata affidata all'impresa
privata (SIP - Società Idroelettrica Piemonte, Edison, SADE, SME) ; 27 novembre 1962: legge
sulla nazionalizzazione del sistema elettrico e l'istituzione dell'ENEL (Ente Nazionale per l'Energia
Elettrica). Sembrava allora essere l'unica possibilità di soddisfare la crescente domanda di
energia, in un contesto di sviluppo uniforme ed armonico dell'intero Paese.
Negli anni sessanta la produzione di energia elettrica italiana cresceva a un ritmo di circa l'8%
annuo. Questa crescita avvenne in gran parte grazie allo sviluppo della fonte termoelettrica,
facilitato dai bassi prezzi del petrolio tipici di quel decennio.
1973 e 1979: "shock petrolifero“. Anni settanta la "scommessa" nucleare. 1987, Disastro di
Černobyl’, referendum contro il nucleare .
Il 1986 ha visto il primo bilancio in attivo di Enel con 14 miliardi di lire di utile.
nel 1992 l'ENEL diventa una società per azioni, anche se con il Ministero del Tesoro come unico
azionista; il 19 febbraio 1999 viene approvato il decreto legislativo di liberalizzazione del mercato
elettrico, anche detto decreto Bersani.
Potenza installata eccedente i consumi attuali: una potenza massima teorica 118 GW (con una
potenza media disponibile di 63,5 GW), contro una richiesta massima storica di circa 57 GW nei
periodi più caldi estivi (picco del 2007).

L’industria elettrica è scomponibile in quattro fasi (Enel era incaricata di tutte le quattro
fasi; era un settore verticalmente integrato: vantaggi e svantaggi):
Produzione

Trasmissione e dispacciamento

Distribuzione

Vendita

Quali sono le fonti primarie di energia (come si produce l’energia elettrica)?


0• Combustibili fossili (petrolio, gas naturali,
idrocarburi e carbon fossile)
1• Combustibili rinnovabili, come il biogas,
la biomassa (uso prodotti agricoli per produrre energia elettrica), gli RSU o gli scarti di legname
2• Idrica (idroelettrica, maree, moto ondoso,
a "osmosi")
3• Nucleare
30
4• Solare
5• Eolica
6• Geotermica

Enel aveva in gestione tutti queste fonti primarie e quindi si occupava in modo esclusivo.

Produzione
7• Conversione in energia elettrica di una
particolare forma di energia
8• L’assetto organizzativo tradizionale:
monopolio a causa delle:
0– economie di scala che si realizzano a
livello di impianto (sunk cost)
1– economie da integrazione verticale con
tutti i segmenti della trasmissione e distribuzione (evitare costi di transazione e di coordinamento
in risposta ai continui cambiamenti delle condizioni di domanda e offerta, bilanciare la fornitura e il
consumo di energia in modo continuo ed in ogni punto della rete)

Trasmissione (e dispacciamento: coordinamento domanda e offerta) e Distribuzione


- Trasmissione: trasporto di energia dall’impianto di generazione fino ad un nodo della rete
prossimo all’utilizzatore finale, tramite una rete ad alta tensione che si estende sul territorio
nazionale.

- Distribuzione: il collegamento tra reti ad alta tensione nazionali e reti a medio bassa
tensione che si estendono a livello locale, raggiungendo i consumatori. (gestione medio-
bassa tensione)

Queste due fasi, strettamente interconnesse, sono casi tipici di monopolio naturale, in quanto si
basano sulla gestione di un network, che indipendentemente dalla dimensione dell’area
geografica interessata non è mai conveniente duplicare.

Vendita (aspetto commerciale)


Solitamente veniva effettuata da un distributore autorizzato, le tariffe erano regolamentate e
l’utente finale non era dotato di discrezionalità di scelta.

Essa era in mano a monopolisti locali; ad enti pubblici locali che si occupavano di gestirne la
vendita. Essi compravano da Enel e poi distribuivano energia elettrica; utenti finali non avevano
possibilità di scelta perché c’era solo l’ente locale.

Caratteristiche della domanda di energia


0• Aleatoria e fluttuante, toccando un
massimo in determinati periodi (nei mesi invernali o estivi) e in certi orari di punta.; domanda
concentrata giorno/notte rispetto la notte oppure a seconda del tempo del clima= non c’è una
domanda costante!
1• Non immagazzinabile se non tramite il
ricarico dei bacini idrici o accumulatori elettrochimici; non posso immagazzinare l’energia elettrica
se non in modo parziale con bacini idrici (bacini di ricarica: porto ad esempio l’acqua da valle a
monte; Norvegia, circa il 93% dell’energia che consumano viene tutto dall’idroelettrica grazie ai
bacini di ricarica perciò vantaggio nel costo, nella sostenibilità e la domanda è modulabile, per
questi motivi l’energia elettrica è usata per tantissime cose come il riscaldamento, il trasporto…)
31
2• Evitare il black out: condizione
imprescindibile per il funzionamento del sistema elettrico è il continuo soddisfacimento della
domanda di elettricità.
3• Conseguenza:
- una capacità produttiva dimensionata sui picchi di domanda
- programmazione con largo anticipo degli investimenti in nuova capacità, basata sulle
previsioni di crescita della domanda
- l’importanza della funzione di DISPACCIAMENTO (coordinamento domanda-offerta), che
deve centralizzare il compito di allocare la produzione tra le diverse centrali in modo da
soddisfare con continuità la richiesta
IMPORTANZA DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE: è quello che è successo fino agli ’90 con
ENEL ma c’è stato un cambiamento:l’instabilità delle domanda, se il mercato è libero, determina
una generale instabilità dei prezzi…mentre la fornitura al cliente finale prevede solitamente delle
tariffe fisse. Nell’organizzazione tradizionale dell’industria elettrica questo problema non sussiste
in quanto produzione e vendita sono verticalmente integrati. Non essendo presenti sostituti, la
domanda di energia elettrica è estremamente anelastica, in particolare nel breve periodo

Quali soluzioni per gestire il settore elettrico?


9• Modello tradizionale: monopolista
pubblico verticalmente integrato (quello che abbiamo visto e quello che è stato usato in Italia fino
al 1992 con ENEL)
10• Nuovo modello:
deregolamentazione\liberalizzazione del settore elettrico
Modello tradizionale
Il modello organizzativo tradizionale che ha caratterizzato l’industria elettrica europea dal secondo
dopoguerra alla metà degli anni ottanta si è basato su un monopolio legale integrato sia a livello
verticale che orizzontale. Gli Stati Uniti hanno optato per lo più per una struttura in cui era
presente un monopolista privato operante in un regime tariffario regolato da un’apposita
commissione statale.

Nuova organizzazione Industria Elettrica (fase di colore blu “Trasmissione e dispacciamento”


considerato il vero nucleo del monopolio naturale, la dove è richiesta l’impresa pubblica; le altre
fasi sono state liberizzate: messe sul mercato di concorrenza)
Produzione

Trasmissione e dispacciamento

Distribuzione

Vendita

Deregolamentazione del settore elettrico


L’analisi economica si è interrogata sull’entità delle economie di scala e sulla natura della funzione
di costo dei singoli segmenti e dell’intera filiera, giungendo alla conclusione che:
11• produzione, distribuzione e vendita sono
fasi che per caratteristiche tecnico-economiche sembrano adatti a sostenere un regime
competitivo
32
12• mentre trasmissione e dipacciamento
continuano a mantenere evidenti elementi di monopolio naturale.

Fase della produzione: fonti non rinnovabili; dal 1992, uso del petrolio per produrre energia
elettrica quasi completamento sostituito dal gas naturale (metano) sia per motivi economici
(aumento del prezzo del petrolio) sia per motivi ambientali (effetto gas serra, produzione di CO2).
Inoltre, si è fatta strada la produzione di energia elettrica con fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico,
idroelettrico, biomasse, geotermico; maggior numero di investitori che producono in diversi modi
l’energia elettrica). In UE il 34% dell’energia elettrica proviene da fonti rinnovabili, che stanno
superando quelle fossili.

.
Germania ha un tasso di crescita di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili molto
elevato! (fonte eolica quella che è cresciuta maggiormente)

In sintesi
13• Nonostante che la scala minima efficiente
vari in modo sostanziale in base alla tecnologia di produzione impiegata, l’introduzione in anni
recenti delle centrali termoelettriche a ciclo combinato, un’innovazione tecnologica che ha
permesso di produrre energia elettrica ad una scala ridotta (competizione!)
14• Le produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili è per sua natura dispersa in molti impianti isolati (parchi solari o eolici): impianti "ad
isola" o impianti "connessi in rete«, tanto che si parla di «produzione distribuita».
15• Conclusione: Le economie di scala
appaiono sufficientemente contenute rispetto alle dimensioni del mercato per permettere la
presenza di più operatori nel segmento della produzione

Problema ancora aperto: integrazione tra fonti non rinnovabili e fonti rinnovabili (probelma della
variabilità delle fonti rinnovabili)
Permangono problemi riguardo "l'aleatorietà" (o "intermittenza"), "non programmabilità«, «scarsa
prevedibilità» di molte delle fonti di energia rinnovabile (in particolare solare fotovoltaico ed eolico),
che impongono un ripensamento globale delle reti elettriche e la necessità di costruire grandi
infrastrutture per lo stoccaggio dell'energia, come ad esempio bacini idroelettrici di pompaggio o la
costruzione (con materiali rari o inquinanti) di accumulatori elettrochimici.
Secondo i sostenitori delle energie rinnovabili, l'integrazione o mix di più fonti rinnovabili in un
unico sistema di produzione energetico alternativo, supportato da una rete elettrica di tipo smart
grid, è possibile e sarebbe in grado di garantire una transizione energetica da fonti fossili a fonti
rinnovabili. I recenti obiettivi europei sono molto ambiziosi (70% al 2050).

Fase distribuzione e vendita: non sono state riscontrate significative economie di scala o di scopo
nel segmento della vendita.

Prescrizioni della teoria economica per realizzare la riforma del settore elettrico

33
1. la separazione (unbundling) dell’incumbent verticalmente integrato in diverse società di
generazione, trasmissione, distribuzione e retail.

2. la creazione di un mercato wholesale a cui hanno accesso produttori e utilizzatori finali:


- distributori che hanno clienti soggetti a tariffe regolate,
- clienti che sono autorizzati a rifornirsi direttamente sul mercato e agenti di mercato che
svolgono l’attività di intermediari).

3. la presenza di un’autorità di regolazione che svolge funzioni di:


- supervisione dei segmenti operanti in condizione di monopolio (trasmissione e distribuzione)
e determini le tariffe di servizio (per l’erogazione dei servizi di trasmissione, di distribuzione, di
misura dell’energia elettrica, di connessione)
- monitoraggio del grado di competizione nei segmenti di generazione e vendita, in
collaborazione con le preesistenti autorità garanti della concorrenza.

4. la costituzione di un Indipendent System Operator (ISO) o di un Transmission System


Operator (TSO), che garantisca la stabilità e affidabilità della rete di trasmissione e
distribuzione. Il gestore della rete in particolare deve garantire il bilanciamento continuo tra
domanda e offerta, compensare le perdite di rete e monitorare le linee ad alta tensione.

Riforme introdotte in Italia


La liberalizzazione del mercato energetico in Italia fu introdotta dal governo D'Alema I, con
l'emanazione del decreto Bersani del 1999. Il documento riportava le indicazioni della direttiva
comunitaria 96/92/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 19 dicembre 1996 volta alla
creazione del Mercato Unico dell'energia in Europa. Il decreto prevedeva una graduale
liberalizzazione delle attività lungo tutta la catena di valore (produzione, esportazione,
importazione, acquisto e vendita di energia elettrica). Venne seguito dal decreto legislativo 23
maggio 2000, n. 164 che istituì l'effettiva liberalizzazione del mercato del gas.
Nel 1995 fu creata l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, un'autorità amministrativa
indipendente, poi diventata ARERA (Autorità di Regolamentazione per Energia Reti e Ambienti).
Il decreto Bersani bis nel 2007 segnò la completa liberalizzazione del mercato energetico italiano,
aprendolo ai nuovi fornitori e permettendo agli utenti di scegliere liberamente l'operatore a cui
rivolgersi per le proprie utenze.
Il quadro regolatorio prevedeva un periodo di coesistenza del mercato libero e quello regolato
(Servizio di maggior tutela) per permettere ai consumatori di effettuare un passaggio graduale e
agevole. La fine del servizio di maggior tutela è stata rinviata più volte: il D. Lgs. 22 settembre
2018, n. 91 ha posticipato il passaggio obbligatorio al mercato libero dell'energia dapprima a luglio
del 2020, seguito da un ulteriore slittamento al 1º gennaio 2022 per gli utenti privati e al 1º gennaio
2021 per le PMI.

Principi ispiratori
 separazione, societaria e proprietaria a seconda dei casi, di ciascuna di queste fasi
0– generazione (produzione) di energia
elettrica;
1– distribuzione di energia elettrica e la
vendita ai clienti vincolati;
2– la vendita ai clienti idonei;
3– l'esercizio dei diritti di proprietà della rete
di trasmissione elettrica;

34
4– la dismissione delle centrali
elettronucleari italiane
 Ciascuna fase viene opportunamente regolamentata in modo da ottenere le migliori
condizioni capaci di garantire l'effettiva realizzazione dell'apertura del mercato al fine di
garantire l'ingresso di capitali privati e una concorrenza tra molteplici operatori con il fine
ultimo di avere delle tariffe più basse rispetto ad una situazione di tipo monopolistica.
 Istituzione di particolari soggetti a carattere pubblico che hanno il compito di ottimizzare il
funzionamento del mercato.

Generazione di energia elettrica


Il decreto ha :
0• imposto una soglia percentuale alla
produzione di energia elettrica dell'ENEL pari al 50% dell'energia prodotta in Italia;
1• imposto all'ex operatore monopolista la
vendita di una capacità di produzione ad altri soggetti in modo da creare altri operatori elettrici;
tramite la creazione di tre società elettriche:
2• GenCo 1 - Eurogen con una potenza
totale degli impianti pari a 7.008 MW;
3• GenCo 2 - Elettrogen con una potenza
totale degli impianti pari a 5.438 MW;
4• GenCo 3 - Interpower con una potenza
totale degli impianti pari a 2.611 MW;
messe in vendita a partire dal 2000.
La Genco 1 acquistata nel 2002 da un gruppo di investitori che hanno conferito tale capacità
produttiva alla società Edipower S.p.A. La GenCo 2 è andata nel 2001 ad un consorzio formato
dalla società spagnola Endesa e dalla municipalizzata di Brescia ASM Brescia e da altri azionisti
minori. La GenCo 3 è stata acquistata nel 2002 da una società formata da Acea, la società belga
Electrabel Suez S.A. e da altri investitori italiani che hanno quote di minoranza.
Il mercato vide anche l'ingresso delle municipalizzate di alcune grandi città italiane come Milano,
Roma e Torino che dotate di propria capacità di generazione poterono vendere la propria
elettricità proprio come gli altri produttori.

Enel S.p.A. (originariamente acronimo di Ente nazionale per l'energia elettrica) è una
multinazionale dell’energia e uno dei principali operatori integrati globali nei settori dell'energia
elettrica e gas. Istituita come ente pubblico a fine 1962, si è trasformata nel 1992 in società per
azioni e nel 1999, in seguito alla liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica in Italia,
privatizzata. Lo Stato italiano, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, rimane comunque
il principale azionista col 23,6% del capitale sociale, al 1º aprile 2016.
Enel è la 84ª azienda al mondo per fatturato.

Enel nel mercato italiano…


0• produzione di energia elettrica tramite
Enel Produzione e, da fonti rinnovabili, tramite Enel Green Power.
1• fornitura di energia elettrica tramite Enel
Energia
2• distribuzione e della trasformazione di
energia elettrica e manutenzione degli impianti tramite e-distribuzione.
3• gestione del servizio di maggior tutela,
tramite Enel Servizio Elettrico, ovvero la fornitura di energia a prezzi stabiliti dall'Autorità per
l'energia elettrica e il gas nelle aree nelle quali e-distribuzione è concessionaria del servizio.
35
4• illuminazione pubblica ed artistica tramite
Enel Sole.
In seguito alla liberalizzazione del mercato, Enel non può produrre più del 50% dell'energia
elettrica prodotta sul territorio nazionale ed è obbligata, al pari di tutte le aziende produttrici, a
collegare alla rete elettrica chiunque ne faccia richiesta (servizio universale), secondo le normative
europee. In generale Enel è soggetta alla supervisione e alle decisioni dell'Autorità per l'energia
elettrica e il gas.

… e a livello globale il gruppo Enel, attraverso le sue controllate, svolge le seguenti attività:
5• produzione, distribuzione e rivendita di
energia elettrica e gas nella penisola iberica, in America Latina e in Marocco, tramite Enel
Iberoamérica e le controllate Endesa ed Enersis e in Russia attraverso la controllata Enel Russia
6• produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili (Nord America, Sud America, Africa, Europa e Asia) tramite Enel Green Power
International,
7• opera nel settore del gas ed è presente
nel Nord Africa, in Algeria e in Egitto.
8• svolge attività finanziarie di raccolta fondi
sui mercati, impiegandoli in operazioni di investimento attraverso le controllate Enel Investments,
Enel Finance International ed International Endesa

Enel è diventata una grande società multinazionale dell’energia.

Trasmissione di Energia Elettrica e Dispacciamento


Trasmissione di energia elettrica (alta, media tensione)- distribuzione (bassa tensione)
Il decreto ha sancito che la rete dovesse essere gestita in regime di monopolio:
0• Creazione di una società proprietaria
della concessione delle infrastrutture della rete, prima appartenenti all'ENEL (TERNA). Terna
diventa pienamente indipendente a seguito della quotazione alla Borsa di Milano il 23 giugno 2004
del 50% del pacchetto azionario di Terna e con la successiva vendita da parte di ENEL di
un'ulteriore 13,86% del capitale azionario in suo possesso di Terna ad investitori istituzionali. A
Terna viene affidato anche la funzione di Dispacciamento, ovvero la gestione in tempo reale dei
flussi di energia sulla rete elettrica in modo da garantire nell'unità di tempo che si verifichi
l'uguaglianza tra energia immessa in rete e energia consumata.
1• Il Gestore della Rete di Trasmissione
Nazionale (GRTN) era responsabile della gestione operativa della rete; cambia nome e funzione
in Gestore dei Mercati Energetici (GME), fino al novembre 2009, e poi in Gestore del Mercato
Elettrico.
2• Dato che tale business viene gestito
attraverso un monopolio le tariffe che Terna impone per erogare il suo servizio sono determinate
da norme emesse dall’Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, AEEG poi ARERA.

Il Gruppo Terna è un grande operatore di reti per la trasmissione dell'energia elettrica.


Attraverso Terna Rete Italia gestisce in sicurezza la Rete di Trasmissione Nazionale con oltre
63.500 km di linee in alta tensione. Attraverso Terna Plus gestisce le nuove opportunità di
business e le attività non tradizionali, anche all’estero. Il Gruppo Terna è il primo operatore
indipendente in Europa e il sesto al mondo per chilometri di linee gestite.
Nasce come Terna - Trasmissione Elettrica Rete Nazionale in seno all'ENEL. Attualmente
l’azionista di maggioranza relativa è la Cassa Depositi e Prestiti – Reti (30%).

36
Il Gestore dei Mercati Energetici (GME): gestisce domanda-offerta tra produttori e distributori
dell’energia elettrica. (vedi poi come fa)
E’ la società responsabile in Italia dell'organizzazione e della gestione del mercato elettrico, oltre
che di assicurare la gestione economica di un'adeguata disponibilità della riserva di potenza. È di
proprietà del Ministero dell’Economia e delle finanze.
Al GME è inoltre affidata l’organizzazione delle sedi di contrattazione dei certificati verdi, dei titoli
di efficienza energetica ("certificati bianchi") e delle Unità di Emissione (emission trading).

Distribuzione e vendita di energia elettrica


Apertura di questa fase in modo graduale utilizzando come discriminante il consumo annuale di
energia elettrica dei vari utenti.
I clienti che consumavano (essenzialmente grosse utenze industriali come ad esempio acciaierie
o cementifici) di più sono stati i primi a poter scegliere da chi acquistare energia elettrica poi via
via si è progressivamente allargata il mercato a clienti che via consumavano di meno.

Divisi in due grossi gruppi:


0• i clienti idonei, quelli che cioè potevano
acquistare energia elettrica sul libero mercato
1• i clienti vincolati che invece si trovano
nella stessa condizione precedente alla liberalizzazione.
Non essendoci più un monopolista è stato necessario istituire una figura, più precisamente un
ente a controllo pubblico che si occupasse di fornire elettricità ai clienti vincolati acquistandola
dalla pluralità di operatori che la producevano, tale figura si chiama Acquirente Unico (AU).

Il Decreto ha permesso che la vendita di energia elettrica si realizzi attraverso due modalità:
2• Contratti bilaterali, realizzati direttamente
tra il venditore e il compratore;
3• Contrattazione nella Borsa Elettrica,
realizzati tra il venditore e il compratore attraverso una piattaforma telematica;
I venditori sono o società elettriche che producono l'energia che vendono o società di trading che
pur non avendo capacità di generazione rivendono energia che comprano da altri operatori o che
importano dall'estero. I compratori sono tutti quelli che possono accedere al libero mercato.

Il mercato elettrico (Borsa elettrica italiana)


Si divide in due tipologie di contrattazioni:
Mercato a Termine: si stipulano di accordi bilaterali tra operatori del settore, tendenzialmente i
prodotti scambiati sono standardizzati e a prezzo fisso
Mercato a Pronti:
4• mercato del giorno prima (MPG):
permette a produttori, grossisti e clienti finali idonei di vendere o acquistare energia elettrica per il
giorno successivo;
5• mercato intragiornaliero (MI): permette a
produttori e grossisti di modificare i programmi di immissione stabiliti su MGP
Infine esiste un mercato per il servizio di dispacciamento, che non prevede la formazione del
prezzo marginale ma utilizza la forma "Pay as bid" - utilizzato da Terna S.p.A per fornirsi dei
servizi di dispacciamento relativi alla gestione ed al controllo del sistema elettrico.

Certificato verde (attestazione che certifica il fatto che non hai emesso CO2)
16• Al fine di favorire l'utilizzo di fonti
rinnovabili nella generazione elettrica il Decreto introduce l'obbligo per produttori e importatori di
37
energia elettrica da fonti non rinnovabili di immettere ogni anno in rete una percentuale di tale
energia pari al 2% dell'energia prodotta o importata nell'anno precedente per la parte eccedente i
100 GWh. Tale valore percentuale è suscettibile di un incremento annuale pari allo 0,35%. In
questo modo quei produttori e importatori di energia elettrica che non abbiano venduto la
percentuale imposta di energia proveniente da fonti rinnovabili saranno obbligati a soddisfare
questo obbligo comprando i certificati verdi che vengono riconosciuti dal GSE ai produttori di
energia elettrica da fonti rinnovabili.
17• Si tratta di titoli negoziabili, il cui utilizzo è
diffuso in molti Stati come ad esempio nei Paesi Bassi, Svezia, UK e alcuni stati USA.
18• corrisponde ad una certa quantità di
emissioni di CO2: se un impianto produce energia emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto
un impianto alimentato con fonti fossili perché "da fonti rinnovabili", il gestore ottiene dei certificati
verdi che può rivendere (a prezzi di mercato) a industrie o attività che sono obbligate a produrre
una quota di energia mediante fonti rinnovabili ma non lo fanno autonomamente.

La promozione della concorrenza per i clienti finali: maggior tutela, mercato libero e
salvaguardia
19• Ad oggi tutti i clienti possono attivare le
utenze:
2– con il mercato tutelato, pagando la luce
ed il gas al prezzo regolamentato dall'Autorità;
3– con il mercato libero, confrontando le
tariffe e scegliendo il prezzo più conveniente.
20• Da gennaio 2022 ci sarà l'abolizione delle
tariffe elettriche e del gas del servizio di maggior tutela, ovvero avverrà il completo passaggio al
mercato libero dell'energia. In altre parole, i clienti in maggior tutela non potranno più pagare la
luce ed il gas al prezzo del tutelato, ma dovranno scegliere un fornitore del libero mercato. Cosa
succede ai clienti che non provvedono in autonomia al cambio fornitore per uscire dal regime di
tutela?
4– Nuovo slittamento al 2023 per la fine
della Maggior Tutela. Il primo gennaio 2023 sarà la data ufficiale per l'abolizione del mercato
tutelato per l'energia elettrica ed il gas per tutti i clienti, siano essi imprese o famiglie.
21• Una volta superata la scadenza del primo
gennaio 2022 i clienti residenziali non ancora passati al mercato libero rimarranno tecnicamente
senza fornitore, ma nella pratica non sarà così. Infatti, in questo caso la legge prevede il
passaggio automatico al servizio di salvaguardia. Tale servizio è erogato dall’esercente la
salvaguardia, ovvero un fornitore scelto tramite una gara organizzata dall'Acquirente Unico (la
società garante della fornitura di energia elettrica ai piccoli consumatori).

Progressivamente scegliere da chi


comprare energia elettrica: diversi fornitori e
quindi libertà di scelta tra concorrenti; scelta
fornitore e scelta della fonte dell’energia;
prezzi differenziati.
Idea del Regolatore è abolire il mercato
tutelato; era gennaio 2021, poi gennaio
2022 ad ora entro gennaio 2023. Chi non
passa al mercato libera entra nel regime di
salvaguardia.

38
Quali sono i principali risultati della deregolamentazione?
22• In termini di prezzo (documentate)
5– I prezzi per i consumatori domestici:
come ormai da anni, i prezzi dell’energia elettrica per i consumatori domestici italiani si
confermano inferiori ai prezzi mediamente praticati nell’UE e nell’Area Euro per le prime due classi
di consumo; i prezzi per le restanti classi di consumo sono invece superiori. Va considerato,
tuttavia, che il 97% degli italiani si colloca nelle prime tre classi di consumo. (tratto dalla relazione
annuale di ARERA 2018)
6– I prezzi per le industrie: come ormai da
anni, i prezzi dell’energia elettrica in Italia per i consumatori industriali si confermano superiori a
quelli dell’Area euro per tutte le classi di consumo.
7– La struttura dei prezzi:
approvvigionamento è la componente maggiore, seguono A3 rinnovabili (componente energie
rinnovabili), costi di rete e di misura, imposte e altri oneri generali.
23• In termini di investimenti e qualità del
servizio (non documentate)

Conclusione
Questo settore aveva le caratteristiche e quindi è stato gestito come monopolio naturale; lo è stato
nelle fasi di costruzione del settore fino agli ’90 poi si è dato spazio ai mercati sia per ragioni
tecnologiche sia per ragioni di efficienza.
È un chiaro esempio di politica industriale, ovvero di come l’intervento pubblico coordina e
gestisce il passaggio da un’organizzazione di mercato verticalmente integrata ad una in cui sono
presenti, dove possibile, aree di concorrenza. È necessario:
6• l’unbundling;
7• la riduzione del peso dell’incumbent;
8• il coordinamento delle fasi;
9• l’organizzazione della domanda (clienti
idonei e vincolati);
10• la creazione di un mercato dell’energia
elettrica;
11• la regolamentazione tramite un’Autorità
autonoma e competente per impedire sia l’abuso di posizione dominante sia la creazione di
ostacoli all’accesso alla rete (prezzi di accesso non giustificati);
12• garantire continuità agli investimenti alla
rete ed al suo ammodernamento;

39
13• guidare il passaggio da fonti non
rinnovabili a fonti rinnovabili.

Proposta tariffa a tre da imputare al costo di energia elettrica (imposta colpisce il consumo): chi
più consuma, più paga. Altra alternativa proposta, da imputare alla tariffa generale: su tutti.

VII. Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del settore del gas


naturale. E’ giustificato il suo inserimento tra i settori in monopolio naturale?
Descrivete quali soluzioni sono suggerite dalla teoria economica e quali soluzioni
sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore. Quali
problemi rimangono ancora aperti?
SETTORE DEL GAS NATURALE
Ha delle similitudini con il settore elettrico: gas serve per produrre l’energia.

Gas naturale
0• È un gas prodotto dalla decomposizione
anaerobica di materiale organico.
1• In natura si trova comunemente allo stato
fossile, insieme al petrolio, al carbone o da solo in giacimenti di gas naturale. Viene però anche
prodotto dai processi di decomposizione correnti, nelle paludi, nelle discariche, durante la
digestione negli animali e in altri processi naturali. Viene liberato nell'atmosfera anche dall'attività
vulcanica.
2• Il principale componente è il metano
(CH4), la più piccola e leggera fra le molecole degli idrocarburi. Normalmente contiene anche
idrocarburi gassosi più pesanti come etano (CH3CH3), propano (CH3CH2CH3) e butano
(CH3CH2CH2CH3), nonché, in piccole quantità, pentano.

Tecniche di estrazione del gas naturale (perferazione verticale e perforazione orizzontale)

Impatti ambientali del gas naturale

40
3• La combustione di gas naturale genera,
anche se in misura minore rispetto agli altri combustibili fossili, gas serra che contribuiscono al
surriscaldamento del pianeta.
4• L' estrazione di gas (ma anche di
petrolio) porta a una diminuzione della pressione nella riserva sotterranea. Ciò può portare ad una
subsidenza del terreno che può danneggiare l'ecosistema, i corsi d' acqua, la rete idrica e fognaria
e causare cedimenti nelle fondamenta degli edifici.
5• Gli inquinanti principali sono: anidride
carbonica, monossido di carbonio, ozono, ossidi di azoto. Sono assenti: particolato, ossidi di zolfo,
idrocarburi incombusti (tra cui benzene); gas naturale più pulito rispetto al petrolio
6• Negli ultimi anni c’è stata un'impennata
nell'uso di gas naturale, conseguente alla richiesta di fonti alternative al petrolio; processo di
sostituzione in tutti i Paesi, non solo in Italia.

Utilizzi del gas naturale


Generazione di energia elettrica
7• Centrali a cicli convenzionali alimenta
bruciatori che producono vapore destinato ad azionare turbine,
8• centrali "turbogas": viene direttamente
bruciato in turbine a combustione interna.
9• centrali dette "a ciclo combinato", più
efficienti e flessibili, combinano una turbina a gas (primo stadio) con una a vapore (secondo
stadio) la cui caldaia è alimentata dai gas combusti in uscita dalla turbina a gas
10• Il calore ulteriormente residuo può ancora
essere utilizzato per il riscaldamento o, più raramente, per il raffrescamento (cogenerazione)
Combustibile per autotrazione: metano
Uso domestico, commerciale, industriale: cucinare, per scaldare l'acqua sanitaria, per
riscaldamento e il condizionamento degli edifici

La produzione di gas naturale ha avuto una progressione molto rapida in tutte le aree del Mondo;
la distribuzione non è però uniforme: quasi coincidono i Paesi con petrolio con Paesi con gas
naturale (Russia, Iran, Qatar, Stati Uniti).
Massima disponibilità in Europa la ha la Russia; quasi tutti i Paesi Europei sono dipendenti:
necessari metanodotti.

Shale gas (si ottiene con la perforazione orizzontale)


Si stima che la nazione con la più grande riserva di gas da argille sia la Cina dove, tuttavia, si
riscontrano numerosi problemi legati soprattutto a tematiche ambientali. Il gas da argille ha attirato
notevole interesse economico negli ultimi due decenni soprattutto negli Stati Uniti, dove la
produzione di shale gas è passata, nel decennio 2000-2010, da 10 a 140 miliardi di metri cubi,
circa il 23 % del fabbisogno di gas naturale annuale del paese. L'aumento della produzione,
considerato da alcuni una nuova età dell'oro, ha avvicinato il paese all'indipendenza energetica e
fatto crollare i prezzi del metano a livello mondiale, dato che gli USA da importatori di metano
passano a essere esportatori.
Impatti ambientali
5• Clima: nelle prime fasi di estrazione si
libera in atmosfera una piccola quantità di gas metano, uno dei principali responsabili dell'effetto
serra.
6• Acqua e aria: L'acqua utilizzata per
effettuare la fratturazione idraulica viene addizionate con agenti chimici (per circa lo 0,5%) per
41
ridurre l'attrito, o per eliminare i microrganismi. Dell'acqua introdotta ne viene recuperata circa il
50-70%
7• Paesaggio: permanenza delle torri di
perforazione (che può variare dalle settimane ad alcuni mesi),
8• Rischio sismico: incremento del rischio
sismico anche in aree tradizionalmente non interessate.

Anche in Europa ci sono delle zone ma sono molto abitate quindi non si procede con l’estrazione.

Offerta e domanda: uso del gas naturale dipende dall’uso durante le stagioni e dalla produzione
economica  i prezzi sono molto variabili

Produzione
Consiste in una serie di attività necessarie a rendere il gas disponibile per l’immissione in rete:
l’esplorazione, la trivellazione, l’estrazione e la raccolta.
Il gas naturale, come gli altri idrocarburi, è presente nel sottosuolo terrestre e marino tra strati di
roccia porosa, coperti da una roccia impermeabile che ne impedisce la migrazione e permette
l’accumulazione degli stessi in un giacimento. L’attività esplorativa si basa su studi geologici ed è
finalizzata all’individuazione dei giacimenti ed alla potenzialità degli stessi ai fini commerciali. Se lo
sfruttamento del giacimento risulta conveniente, si procede all’estrazione (coltivazione) ed al
trattamento per ottenere un prodotto omogeneo e facilmente trasportabile. Il gas naturale
proveniente da pozzi diversi viene successivamente raccolto nel luogo in cui è immesso nel
gasdotto

Ita ha un po’ di gas naturale: in riduzione; parte estratta da mare e l’altra da terra. Comunque
minima rispetto al fabbisogno.

Trasporto (elemento importate, strategico e di costo) e importazione


11• La principale difficoltà nell'utilizzo del gas
naturale è il trasporto.
12• I gasdotti sono economici, ma non
permettono l'attraversamento di oceani e spesso, quando si tratta di gasdotti internazionali,
passano in territori di altri Stati, i quali potrebbero interromperne il flusso per motivi politici o altro.

42
13• Vengono utilizzate anche navi per il
trasporto di gas naturale liquefatto, definite metaniere, ma hanno costi più alti e problemi di
sicurezza.

Quasi ultimato: dalla Russia direttamente in Germania; USA contraria

43
Gas Naturale Liquefatto (alternativa al gasdotto)
ll gas naturale liquefatto (GNL o LNG, dall'inglese liquefied natural gas) si ottiene sottoponendo il
gas naturale (GN), dopo opportuni trattamenti di depurazione e disidratazione, a successive fasi di
raffreddamento e condensazione.
La tecnologia della liquefazione, che permette di ridurre il volume specifico del gas di circa 600
volte rispetto alle condizioni standard, consente a costi competitivi lo stoccaggio ed il trasporto di
notevoli quantità di energia in spazi considerevolmente ridotti.
Il trasporto del GNL a grande distanza dal luogo di produzione avviene via mare per mezzo di navi
metaniere, in cui il GNL rimane quasi interamente in fase liquida a pressione quasi atmosferica
(max. 0,25 bar) e a temperature criogeniche (circa -160 °C).

Rigassificazione: uso del gas come GNL o si riporta allo stato di gas e immetterlo nei gasdotti;
questione sulla costruzione di nuovi rigassificatori (due tipi: a terra o offshore).

Dipendenza energetica
0• Rispetto a un indice di dipendenza
complessivo del 58% al 2018, l’UE risulta dipendente, a riguardo del gas, per l’83,2%. Più alta,
tuttavia, è la dipendenza UE per l’import di petrolio (94,6%).
1• Il 40,4% delle importazioni europee di
gas naturale proviene dalla Russia. Seguono Norvegia (18,1%), Algeria (11,8%) e Qatar (4,6%).
2• Il tema della dipendenza energetica è
significativo per l’Italia, che presenta l’indice di dipendenza dall’import più elevato tra i maggiori
Paesi europei ed è seconda per volume di importazioni nette di materie energetiche (122 Mtoe, di
cui 55,3 Mtoe di gas naturale e 51,6 Mtoe di petrolio), dopo la Germania e pressoché alla pari con
la Francia. Tra il 2000 e il 2018, inoltre, le importazioni italiane di gas naturale sono aumentate del
18%.

44
Utilizzi Ita

Stoccaggio (differenza tra energia elettrica e gas naturale); stock risolve problema della
variabilità della domanda ed ha anche importanza strategica perché si compra quanto
costa
La domanda di gas naturale, presenta caratteristiche di variabilità (stagionale, giornaliera ed
oraria) soprattutto per quanto riguarda l’utenza domestica.
Lo stoccaggio permette di accumulare gas, al fine di bilanciare i consumi e la produzione in ogni
periodo (stoccaggio di modulazione), coprire il rischio di interruzione degli approvvigionamenti
legati alla sospensione della produzione nazionale, ai rapporti sociopolitici con l’importatore ed a
problemi tecnici della rete di trasporto (stoccaggio strategico) ed ottimizzare la coltivazione di
giacimenti di gas naturale nel territorio Italiano (stoccaggio minerario).
Lo stoccaggio sotterraneo di gas naturale è un processo industriale che consente di iniettare gas,
durante il periodo primavera-estate, in un sistema roccioso poroso in grado di garantirne
l’accumulo e di erogarlo per soddisfare una richiesta invernale in termini di portata oraria e
giornaliera. Il metodo di stoccaggio sotterraneo più diffuso utilizza giacimenti esauriti ed è ritenuto
più idoneo al livello tecnico e commerciale.

45
Lo stoccaggio in gasdotti, effettuato variando la pressione all’interno delle condotte, e lo
stoccaggio di GNL vengono utilizzati per fronteggiare la variazione giornaliera della domanda.

Trasporto
La rete di trasporto si suddivide in "primaria" (o dorsale), relativa la trasporto di gas direttamente
dai luoghi di produzione od importazione, e "secondaria" comprendente l'insieme delle condotte
(adduttori secondari) che collegano la rete primaria e raggiungono i centri di consumo. La rete
primaria italiana di metanodotti ha una lunghezza di circa 30.000 km ed è presente in maniera
estesa su tutto il territorio nazionale ad esclusione della Sardegna. La rete della Snam
rappresenta il 96% della rete primaria nazionale. Altri operatori sono presenti con reti locali, in
particolare nelle regioni adriatiche (Marche, Abruzzo e Molise).

Distribuzione e dispacciamento
la fase della distribuzione consiste nel trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per
la consegna agli utenti finali e si distingue in distribuzione primaria e secondaria. La prima
permette la consegna diretta alle utenze industriali, termoelettriche ed alle aziende di
distribuzione, la seconda permette la consegna del gas da parte delle aziende di distribuzione alle
utenze civili, alle piccole imprese industriali ed artigiane ed al terziario.
Il coordinamento tra le attività di produzione, trasporto, stoccaggio e distribuzione è svolto dal
dispacciamento, la cui funzione principale è quella di assicurare che il gas venga fornito ai
consumatori senza interruzioni e nel rispetto dei termini contrattuali. Il dispacciamento deve
programmare, su base giornaliera, l’esercizio della rete gasdotti e determinare le condizioni di
funzionamento dei relativi impianti. La programmazione dell’esercizio è legata a tecniche
previsionali sulla domanda di gas da parte dell’utenza.

Il tradizionale assetto organizzativo del servizio in Italia


Data:
14• la natura strategica del gas naturale,
15• i notevoli investimenti nella rete,
16• la necessaria armonizzazione tra le
diverse fasi della filiera,
17• la necessità di stipulare contratti di
approvvigionamenti di lungo periodo con Stati esteri.
Il settore del gas è stato considerato un monopolio naturale ed affidata ad una azienda pubblica:
l’Ente Nazionale Idrocarburi

Ente Nazionale Idrocarburi (ENI)


La legge istitutiva dell’ENI del 1953 riconosceva diritti di esclusiva per l’esplorazione, la
produzione ed il trasporto del gas nazionale, limitatamente ad una zona, la Val Padana e l’alto
Adriatico, circoscritta geograficamente ma importante sotto il profilo della produzione dei consumi
interni.
A partire dagli anni ‘70, ENI ha realizzato importanti opere infrastrutturali per l’importazione di gas
dall’estero e per il suo trasporto su tutto il territorio nazionale, al fine di metanizzare buona parte
del Paese: a fronte del suo ruolo indiscusso, non è mai stato necessario stabilire un monopolio
legale su queste attività.
Nonostante il decreto legislativo del 25 novembre 1996 n. 625 abbia sancito la fine dei diritti
esclusivi, sono stati riassegnati all’ENI i permessi di ricerca e concessione di coltivazione e
stoccaggio “relativi ad aree per le quali le attività svolte o in corso e gli investimenti effettuati ne
giustificano l’attribuzione”.

46
3• Nella fase dell’approvvigionamento la
capogruppo ENI deteneva il 92% dei contratti di importazione: soddisfava il 95% della domanda.
4• La produzione nazionale era assorbita
dall’Agip per circa il 90%, la restante parte da piccoli produttori tra cui Edison S.p.A.
5• La controllata Snam possedeva il 96%
della rete nazionale di gasdotti per il trasporto ad alta pressione; è proprietaria del terminale di
rigassificazione di Panigaglia (SP) era l’unico operatore ad avere accesso ai siti di stoccaggio
interamente posseduti da ENI e trasportava, per conto di Enel, il 96% sul totale del gas
movimentato. Il restante 4% era suddiviso, limitatamente ad alcune aree del centrosud del Paese,
tra Edison S.p.A., Sgm S.p.A. controllata dalla prima al 71%.

DIRETTIVA EUROPEA 2003/55/CE


0• Separazione dei gestori della rete di
trasporto da business collegati: si impone separazione giuridica per garantire indipendenza
decisionale (Legal Unbundling)
1• Trasporto, stoccaggio e GNL: i proprietari
di tali strutture designano uno o più gestori del sistema. Questi gestiscono economicamente
strutture, non ne discriminano l’accesso e garantiscono informazioni sufficienti e non distorte per
l’accesso
2• Accesso alla rete upstream: Stati membri
devono garantire accesso alle reti di importazione a imprese terze
3• Accesso al sistema: Sistema di accesso
basato su tariffe regolamentate e pubblicate, praticabili a tutti i clienti idonei, non discriminatorie
4• Regolatore di mercato: istituzione di
organo di supervisione
5• Obbligo servizio pubblico: Stati membri
informano ogni due anni la Commissione su tutte le norme adottate per rispondere a obblighi
servizio pubblico. Stabilito obbligo controllo sicurezza degli approvvigionamenti, rapporto annuale

2007-2009: DIRETTIVE 2009/72/CE, 2009/73/CE ( “Terzo Pacchetto”)


18• Unbundling: garantire accesso non
discriminato alla rete e stimolare investimenti in overcapacity
19• Autorità di regolazione: potenziamento
funzione, poteri, indipendenza regolatore + istituzione Agenzia per il coordinamento dei
Regolatori (ACER)
20• Coordinamento dei Transport System
Operators: costituzione dell’ European Network TSO-G, Rete Europea dei TSO del gas naturale.
21• Coordinamento per pianificazione e
sviluppo reti e per migliorare sicurezza energetica
22• Impulso agli investimenti: norme per
migliorare capacità di interconnessione e di importazione
23• Condizioni di accesso di terzi, limitare
abusi posizione dominante, rafforzare sicurezza approvvigionamenti
24• introdotte 3 opzioni di separazione dei
TSO da imprese legate a produzione o vendita di gas
- Ownership Unbundling (OU): separazione proprietaria
- Independent System Operator (ISO): gestione rete affidata a soggetto terzo
- Independent Transmission Operator (ITO): gestore di rete società con amministratori separati

47
Liberalizzazione in Italia
Decreto legislativo 24 maggio 2000, n. 164 “Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme
comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio
1999, n. 144” (di seguito: decreto legislativo n. 164/00, «decreto Letta»).
25• la separazione societaria
26• l’accesso regolato a tutte le infrastrutture
di sistema
27• il riconoscimento della libertà di scelta del
fornitore per tutti i clienti a decorrere dall’1 gennaio 2003
28• l’imposizione di tetti massimi per le
importazioni e le vendite sul mercato finale da parte di un singolo operatore settore

ENI - Ente Nazionale Idrocarburi


Eni S.p.A., originariamente acronimo di Ente Nazionale Idrocarburi, è un'azienda multinazionale
creata dallo Stato italiano come ente pubblico nel 1953 sotto la presidenza di Enrico Mattei, che fu
presidente fino alla morte nel 1962, convertita in società per azioni nel 1992.
Presente in circa 71 paesi, l'Eni è attiva nei settori del petrolio, del gas naturale, della
petrolchimica, della produzione di energia elettrica, dell'ingegneria e costruzioni. E' l’8° gruppo
petrolifero mondiale per giro d'affari. Dal 1995 al 2001 lo Stato italiano ha venduto in cinque fasi
parte consistente del capitale azionario, conservandone una quota superiore al 30% (sommando
le quote del Tesoro e della Cassa Depositi e Prestiti), e detenendo comunque il controllo effettivo
della società.

Le società controllate e partecipate di Eni nel 2018:


9• Banque Eni SA: attività bancaria per
l’erogazione di servizi finanziari a Eni ed alle Società di Eni.
10• Ecofuel SpA: produzione e la
commercializzazione di componenti clean per benzine (in particolare ossigenati) e di metanolo.
11• Eni Corporate University: È la società
nata per operare nel reperimento, selezione, knowledge management delle le risorse umane.
12• Eni International Resources: selezionare
e sviluppare risorse internazionali di alto profilo per costituire e consolidare le competenze legate
al business Eni
13• Enipower: È la società di Eni dedicata
alla produzione di energia elettrica e vapore. Dispone di sei centrali elettriche a ciclo combinato
alimentate a gas.
14• EniProgetti:, società di Eni per
l’ingegneria.
15• EniServizi: fornitura di servizi integrati
agli edifici, alle persone e a supporto del business.
16• LNG Shipping SpA: trasporto via mare di
gas naturale liquefatto (Gnl) attraverso l’utilizzo di due metaniere di proprietà: LNG Portovenere e
LNG Lerici con capacità di 65mila metri cubi ciascuna.
17• Serfactoring: gestione organizzata e
coordinata delle operazioni di amministrazione, smobilizzo e incasso di crediti singolarmente o in
massa.
18• Servizi Fondo Bombole Metano
19• Syndial: risanamento ambientale.
20• Versalis: produzione e della distribuzione
di numerosi prodotti petrolchimici.
48
Aspetti critici
29• Unbundling
30• Produzione concentrata
31• Approvvigionamento estero e contratti
take or pay*
32• Capacità di stoccaggio
33• Accesso alla rete
34• Saturazione della rete

* Clausola inclusa nei contratti di acquisto di gas naturale, in base alla quale l'acquirente è tenuto
a corrispondere comunque, interamente o parzialmente, il prezzo di una quantità minima di gas
prevista dal contratto, anche nell'eventualità che non ritiri tale gas.

La separazione societaria, amministrativa e contabile


Il decreto Letta sancisce l’unbundling delle imprese verticalmente integrate.
L’Autorità (AEEG) ha emanato i criteri per la separazione societaria, per mantenere separati sotto
il profilo amministrativo e gestionale le attività delle imprese integrate che erogano i servizi nel
settore, al fine di evitare discriminazioni, sussidi incrociati e distorsioni della concorrenza e di
promuovere una maggiore trasparenza del sistema tariffario. Appare evidente che la separazione
societaria comprenda quella amministrativa, la quale, a sua volta, include la separazione
contabile. La separazione amministrativa e gestionale impone all’impresa la creazione di distinte
strutture amministrative (divisioni) dotate di autonomia gestionale, come se fossero imprese
separate.
Non prevista dal decreto Letta, ma auspicata dall’Autorità, è la separazione proprietaria
realizzabile assegnando differenti azionisti alle diverse società, le quali non farebbero più parte
dello stesso gruppo. La separazione proprietaria rappresenterebbe, secondo l’antitrust, un
provvedimento indispensabile per il definito assetto competitivo del mercato, eliminando ogni
forma discriminatoria di accesso.

Trasporto e accesso alla rete


0• Prima dell’entrata in vigore del decreto
legislativo n. 164/00, la rete di trasporto italiana era gestita da un ristretto numero di imprese
integrate: Snam (controllata da Eni) , con circa il 96% della rete.
1• Dal 15 ottobre 2012 si è realizzata la
separazione proprietaria dal gruppo Eni che ha venduto circa il 30% del capitale di Snam alla
Cassa Depositi e Prestiti.
2• Nel 2017 le imprese che gestiscono la
Rete di trasporto del gas nazionale e regionale sono nove: tre sulla Rete nazionale e otto operano
sulla Rete regionale (Tav. 3.4). Accanto a Snam Rete Gas, l’impresa maggiore (93,2%),
trasportano gas sulla rete nazionale anche altre due società che ne possiedono e gestiscono
piccoli tratti: Società Gasdotti Italia e Infrastrutture Trasporto Gas.

Accesso alla rete (condizioni per usare la rete)


3• Il decreto legislativo n. 164/00 ha
previsto, fin dal 2000, l’introduzione dell’accesso regolato alle infrastrutture di trasporto e
distribuzione, assegnando all’Autorità per l’energia elettrica e il gas il compito di definire ex ante le
tariffe e i criteri necessari a garantire l’accesso non discriminatorio (i cosiddetti codici).
4• L’Aeeg (ARERA) provvede alla fissazione
di un vincolo massimo sui ricavi, alla loro indicizzazione sulla base di un meccanismo di price-cap,
49
e alla fissazione di una formula tariffaria basata sulla capacità prenotata in entrata e in uscita,
nonché sui volumi di gas effettivamente trasportati ( entrata-uscita)

Saturazione della rete (rete è limitata quindi tende a saturarsi; non tutti operatori trovano
spazio); problematica: incumbent tende a usare interamente la rete
L’analisi ha indicato l’indispensabilità, e l’urgenza, della realizzazione di nuove opere
infrastrutturali nell’approvvigionamento di gas naturale. In tal senso, l’ingresso a medio termine
(2007-2008) nella fase nell’approvvigionamento di operatori stranieri di grandi dimensioni e in
grado di attivare nuove fonti di gas: Exxon Mobil e Qatar Petroleum (GNL rigassificato presso il
terminale di Rovigo) e British Gas (GNL rigassificato presso il terminale di Brindisi) è un elemento
che favorisce gli sviluppi auspicati.
L’ingresso di nuovi operatori può essere consentito nell’immediato anche da misure di capacity
release e di potenziamenti dei gasdotti internazionali da parte di Eni. Tali infrastrutture possono
essere rinforzate in tempi brevi e con costi ridotti, mettendone a disposizione le capacità
addizionali a soggetti diversi, e consentendo un approvvigionamento indipendente di gas da parte
di traders in grado di contrattare direttamente con i fornitori esteri.

Stoccaggio
Negli anni che hanno preceduto la liberalizzazione, lo stoccaggio di gas naturale in giacimento
costituiva uno strumento per ottimizzare i flussi di gas nell’ambito di un sistema verticalmente
integrato e con offerta monopolistica ai consumatori finali.
Con la rottura dell’integrazione verticale e con l’introduzione della possibilità di concorrenza nella
vendita di gas, l’accesso alle infrastrutture di stoccaggio svolge un’indispensabile funzione
strategica. Esso infatti, da un lato permette ai venditori di modulare l’offerta di gas, per far fronte
alla rigidità del profilo delle importazioni e alla forte variabilità che caratterizza la domanda nel
mercato civile; dall’altro, con lo sviluppo del mercato, assolve anche ad altre potenziali funzioni
come, ad esempio, la possibilità di mantenere gas in stoccaggio a fini speculativi (parking).
Prima del decreto Letta solo il titolare di una concessione di coltivazione aveva facoltà di
richiedere anche una concessione di stoccaggio. Attualmente i titolari di concessioni di stoccaggio
devono assicurare e fornire i servizi di stoccaggio minerario, strategico e di modulazione agli utenti
che ne facciano richiesta, qualora tecnicamente ed economicamente realizzabili, sulla base di
tariffe e regole di accesso stabilite dall’ARERA.
Attualmente il principale operatore è Stogit SpA (gruppo SNAM)

Produzione attività libera che è assegnata quasi interamente all’ENI.

Approvvigionamento estero e contratti take or pay


Visto che gran parte del gas naturale arriva dall’Estero, il controllo del settore lo ha chi ha i
contratti con l’Estero: per dare spazio agli operatori sono stati imposti dei tetti massimi di
importazione.
6• L’entrata in vigore del decreto legislativo
n. 164/2000 ha ha previsto, tra le altre misure, l’imposizione di tetti massimi per le importazioni e
le vendite sul mercato finale del gas naturale da parte di un singolo operatore (75% delle
importazioni nel 2002, che si riduce fino al 61% nel 2010), con l’obiettivo di determinare le
condizioni per l’ingresso sul mercato di gas importato da soggetti diversi da Eni e dagli altri due
soggetti storicamente presenti, sia pure con quote modeste, nell’importazione di gas.
7• Tutte le importazioni di Eni si riferiscono
a contratti take or pay pluriennali sottoscritti prima (in molti casi poco prima) dell’entrata in vigore
della direttiva 98/30/CE. Alcuni di questi contratti si contraddistinguono per avere profili di build up
che si estendono per un arco di anni molto lungo
50
2020: Eni 47% importazioni, segue Edison con 17%, Enel 11%; seguono gli altri importatori.ù

Il problema è che i contratti sono di lunga durata; il 28% ancora attivi oltre 20 anni alla fine.

Distribuzione e vendita
Eni ha ancora una quota molto rilevante nella distribuzione nel mercato all’ingrosso (in termini di
volume); esso vende poi in maniera indipendente o ad altri operatori, che a loro volta vendono.

Italgas ha gran parte della distribuzione del gas; faceva parte del gruppo ENI. Si occupa di gran
parte della distribuzione, seguita da altri operatori.

Borsa del gas (come borsa elettrica, anche qui quotazione dei prezzi dai diversi punti di
entrata)
Creata con il decreto legge 31 gennaio 2007. stabilisce:
35• per i titolari di concessioni di coltivazione
di gas naturale, l’obbligo di cedere le aliquote di gas prodotto in Italia dovute allo Stato;
36• per gli importatori, l’obbligo di offrire una
quota del gas importato presso il mercato regolamentato delle capacità.

Mercato finale al dettaglio (liberi o tutelati; distinti sulla grandezza)


6• Nel periodo antecedente l’attuazione
della direttiva 98/30/CE, e nell’ambito delle società che svolgevano in forma integrata sia l’attività
di distribuzione sia l’attività di vendita alla clientela finale, ciascuna di queste imprese era
monopolista locale nei circa 5.700 ambiti comunali dotati di una rete di distribuzione di gas
naturale, con un numero di utenti allacciati alla reti oscillanti tra un minimo di 200 ed un massimo
di un milione. Il risultato di questa struttura estremamente frastagliata è stato un sistema di vendita
al dettaglio caratterizzato da una presenza assolutamente maggioritaria di imprese a base
comunale.
7• Anche a livello della vendita si è assistito
ad un analogo processo di riduzione degli operatori e di concentrazione del mercato a valle (420
nel 2017). Il processo di concentrazione è avvenuto infatti per lo più attraverso acquisizioni, e
pochi clienti allacciati alla rete di distribuzione hanno cambiato il fornitore (Fig. 3.15).
8• I clienti si suddividono in tutelati e liberi.

51
Abbiamo anche operatori piccolissimi e chi sono i principali operatori?

Tasso di switching (dal mercato tutelato al mercato libero)


Sulla base dei dati forniti dagli operatori del trasporto e di quelli provenienti dal SII, la percentuale
di switching, cioe del numero di clienti che ha cambiato fornitore nell’anno solare 2020, e risultata
complessivamente pari al 10,2%, ovvero al 20,4% se valutata in base ai consumi dei clienti che
hanno effettuato il cambio (Tav. 3.36). Rispetto al 2019 le percentuali sono in aumento per i clienti
domestici. L’incremento nei tassi di cambio del settore domestico potrebbe aver risentito
dell’imminenza della fine del regime di tutela (per quanto la data della rimozione della tutela di
prezzo abbia subito vari rinvii).

52
Effetti della liberalizzazione
37• Sui prezzi (documentato)
2020: i prezzi del gas naturale per i consumatori domestici italiani so o stati più alti della media dei
prezzi dell’Area Euro per tutte le classi di consumo.
Per le imprese industriali, negli ultimi anni, quella appartenemìnti alle tre classi a maggior
consumo di gas hanno beneficiato di prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli medi dell’Area Euro.
Tuttavia, tendenzialmente in riduzione almeno fino al 2018: per i grandi utenti, i prezzi inferiori
all’Area Euro.

Conclusioni
Il settore ha diverse caratteristiche tipiche del monopolio naturale legate a:
5• L’infrastruttura (rete di gasdotti, miniere di
stoccaggio).
6• La scala della produzione favorevole alla
coltivazione dei giacimenti da parte di unica impresa.
7• Le necessità gestionali di coordinamento
tra le fasi della filiera ed il dispacciamento.
8• Le caratteristiche economiche dei
contratti di approvvigionamento. (contratti di lungo periodo; incumbent controlla ancora il settore)

Si è potuto realizzare un certo grado di concorrenza:


0• nella fase di importazione del gas
1• nella fase di distribuzione
0– nel mercato all’ingrosso (con la presenza
di venditori internazionali)
1– nella vendita nel mercato tutelato e
libero.
Realizzata la separazione proprietaria della SNAM,
53
2• l’ENI mantiene una posizione dominante
nella produzione e nell’approvvigionamento estero ed una posizione di grande rilievo nella
distribuzione all’ingrosso ed al dettaglio.
3• SNAM controlla il trasporto e lo
stoccaggio (tramite Stogit).
9• È stata creata la borsa del gas.
10• La liberalizzazione, stimolata anche a
livello europeo, è accompagnata da una attenta e continua regolamentazione a cura di ARERA.
(Regolatore)
11• Dato l’interesso strategico del settore, il
tema dell’efficienza deve necessariamente coniugarsi con quello della sicurezza degli
approvvigionamenti internazionali

VIII. Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del settore dei servizi


idrici. E’ giustificato il suo inserimento tra i settori in monopolio naturale?
Descrivete quali soluzioni sono suggerite dalla teoria economica e quali soluzioni
sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore. Quali
problemi rimangono ancora aperti?
IL SETTORE IDRICO
Usi dell’acqua

Usi in competizione dell’acqua: maggiore è per uso irriguo e per la produzione energetico
(idroelettrica), segue uso domestico, per uso produttivo e per allevamento.

PROBLEMA DELL’ACQUA E DEI SERVIZI IDRICI (problema particolarmente sentito in alcune


aree del Mondo; non è una novità!)
La popolazione mondiale priva di accesso sicuro all’acqua potabile è stimata pari ad un miliardo di
persone. Quella priva di servizi di fognatura adeguati, a un miliardo e quattrocento milioni di
persone.
«Il problema non riguarda tanto l’acqua intesa come risorsa naturale, quanto le infrastrutture e i
servizi. Se miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici, non è
dovuto alla scarsità dell’acqua, né alla sua mercificazione, ma alla scarsità di mezzi economici
54
disponibili per investire nei sistemi infrastrutturali. Soprattutto se si considera che la possibilità di
sostenere gli investimenti con le tariffe è limitata dal potere di acquisto insufficiente.
Chi deve investire per realizzare le reti e gli impianti? Con i soldi di chi? È pronta la comunità
internazionale a sostenere uno sforzo finanziario così immane? Lo deve fare rimanendo
essenzialmente un prestatore di risorse, oppure come donatore? E con quale modello gestionale,
organizzativo, di governance? In capo a chi deve essere posto il rischio economico,
particolarmente elevato in un settore come questo – capital intensive, con lunghissimi cicli di vita
dell’investimento…?»

Problema non riguarda tanto alla mancanza dell’acqua stessa ma alla mancanza dei mezzi
economici per infrastrutture: reti di questo settore molto importanti.

ACQUA: BENE PUBBLICO? Discussione sulla privatizzazione,


• L’acqua sembra avere tutte le caratteristiche tecniche di un bene privato (escludibile, rivale
nel consumo): può essere suddiviso, immagazzinato, posseduto privatamente, venduto sul
mercato (ad es. in bottiglia)
• Le riserve idriche sono di proprietà pubblica. Ogni Stato si riserva il diritto di gestirle
attraverso istituzioni o società, pubbliche o private.
• Dal punto di vista etico ogni persona ha diritto ad avere accesso all’acqua ed il prezzo deve
essere accessibile a tutti

LA FORNITURA E GESTIONE DEI SERVIZI IDRICI INTEGRATI COME MONOPOLIO


NATURALE
• Servizi idrici integrati: prelievo (o captazione), adduzione e distribuzione di acqua ad usi
civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue
Qui ci sono le caratteristiche di monopolio naturale con dimensione più locale rispetto al
settore elettrico e del gas naturale.
• L’ammontare degli investimenti, le dimensioni dell’infrastruttura, la complessità nella
gestione, i controlli di qualità comportano che la fornitura e gestione dei servizi idrici
rappresenti un monopolio naturale (locale)

DEFINIZIONI E ASSETTO ORGANIZZATIVO (LEGGE 36/1994, LEGGE GALLI)


• Servizio idrico integrato (SII)
Il Servizio idrico integrato (SII) è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di prelievo (o
captazione), adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle
acque reflue (legge 36/1994, Legge Galli).
Viene identificato intorno a un ATO.

• Ambito territoriale ottimale (ATO)


ATO - L’Ambito territoriale ottimale è una delimitazione del territorio nazionale definita dalle
autorità regionali e costituita allo scopo di organizzare la gestione unitaria dei servizi idrici di
competenza delle
Regioni (l. 36/1994). I confini degli ATO sono individuati principalmente in base ai seguenti criteri:
55
a) rispetto dell’unità del bacino idrografico, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro
vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati;
b) superamento della frammentazione delle gestioni;
c) conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici,
demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative;
d) creazione di un sistema tariffario che garantisca la copertura integrale dei costi di esercizio e di
investimento per i servizi idrici integrati. (questi ATO devono bilanciare le tariffe richieste ai
consumatori con i costi)
Gli ATO sono scesi da 91 nel 2012, a 71 nel 2015 a 62 nel 2019 (fonte: ARERA, 2019); nel tempo
quindi sono diminuiti per una riorganizzazione.
Chi gestisce ATO?
• Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (AATO)
L’Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (AATO) è il soggetto istituzionale a cui la riforma dei
servizi idrici assegna il compito di svolgere tutte le attività precedenti e successive all’affidamento
del SII
Autorità a compito di sorveglianza e redige il piano d’ambito.
• Piano d’ambito
Piano d’ambito - Il Piano d’ambito è il documento di pianificazione generale e strategico della
gestione del SII, predisposto e/o aggiornato dall’Autorità d’ambito. Costituisce il punto di
riferimento della gestione del SII in ciascun ambito territoriale ottimale.
• Ente affidatario del SII
Affidamento del SII - E’ la procedura con cui l’Autorità d’ambito assegna ad un ente prescelto,
detto affidatario, la gestione del SII. L’affidamento avviene principalmente attraverso:
a) gara a società privata;
b) affidamento diretto con procedura ad evidenza pubblica, utilizzata soprattutto per società
miste, come S.p.A. a prevalente capitale pubblico locale;
c) affidamento “in house” a società a capitale interamente pubblico.

Gestore affidatario - E’ il soggetto giuridico che ha la responsabilità complessiva di un impianto


idrico (acquedotto, rete di distribuzione dell'acqua potabile, rete fognaria, impianto di depurazione
delle acque reflue) in quanto ne ha ricevuto l’affidamento all’Autorità d’ambito

Infrastrutture all’Ente pubblico e gestione del servizio idrico integrato a un affidatario (società
pubblica, società mista, società privata); per affidare la gestione a una società privata o mista, si fa
una gara (aste e concessioni).

Sistema visto non dava dei risultati soddisfacenti!


UN PARERE COMUNE FINO AD UNA DECINA DI ANNI FA: L’INEFFICIENZE NELLA
GESTIONE DEI SERVIZI IDRICI
La fornitura del servizio idrico in italia è stata a lungo caratterizzata da un modello di gestione a
carattere municipale, il quale prevedeva l'affidamento in favore dei Comuni. Tuttavia, l’emergere di
rilevanti inefficienze specialmente in termini di volume di perdite idriche, lo scarso coordinamento
tra livello centrale e locale, la presenza di rilevanti asimmetrie informative tra Autorità e gestore,
assieme ad uno scarso livello di investimenti ed al verificarsi di gravi episodi di corruzione, hanno
dato vita ad un generale clima di sfiducia nei confronti degli enti pubblici, tanto da favorire il ricorso
alla privatizzazione del settore, seppure attraverso una normativa non sempre chiara e
trasparente.
 Secondo quanto affermato dai sostenitori della gestione privatizzata dell’acqua, tale processo
favorirebbe l’introduzione di capitali privati, necessari a compiere le dovute opere di manutenzione
sulle infrastrutture idriche preesistenti ed a sostenere la realizzazione di nuovi impianti. Inoltre,
56
sarebbe incentivata la competizione tra le società coinvolte, con il risultato di ottenere forti
riduzioni delle tariffe ai consumatori ed una qualità migliore dell’acqua.

Da monopolio naturale di gestione pubblica all’introduzione di elementi di concorrenza:


UN TENTATIVE DI RIFORMA
0• Il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (conosciuto anche come decreto Brunetta dal
nome dell'ispiratore Renato Brunetta) è un atto normativo della Repubblica italiana. Emanato il 25
giugno 2008 durante il governo Berlusconi IV, e successivamente convertito in legge 6 agosto
2008, n. 133.
1• All'art. 23 bis, la legge prevede la privatizzazione e liberalizzazione dei servizi di pubblica
utilità: fra questi, tutte le aziende municipalizzate, di proprietà di comuni ed enti pubblici, che si
occupano di trasporti, acqua, luce, gas, raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Questo tentativo di riforma scatena come reazione: referendum; esito: maggioranza contraria alla
privatizzazione dell’acqua!

Parlamento allora ha deciso, dopo il referendum, di rafforzare il ruolo dell’ARERA nella gestione di
questo settore.
REGOLAZIONE AFFIDATA AD ARERA
Affidamento ad all’AEEGSI (ora ARERA) del monitoraggio e regolazioine del servizio idrico
integrato.
2• Con il decreto legge 201/11 e Dpcm 20 luglio 2012 sono state attribuite all'Autorità per
l'energia elettrica e il gas "le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici" in
precedenza affidate all'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua.
Queste funzioni fanno riferimento a diversi aspetti del Servizio Idrico Integrato:
3• verifica dei piani d'ambito;
4• definizione dei costi ammissibili e dei criteri per la determinazione delle tariffe a copertura
di questi costi;
5• predisposizione delle convenzioni tipo per l'affidamento del servizio;
6• definizione i livelli minimi di qualità dei servizi per gli aspetti tecnici, contrattuali e per gli
standard di servizio;
Dal 2012, ARERA ha prima di tutto avviato il monitoraggio annuale del servizio idrico integrato per
capire la situazione. Ogni anno redige questa relazione.

Dalla Relazione ARERA


ATO nel 2019 sono 62 con gestione frammentata: comune o consorzi di comuni, azienda con
capitale completamente pubblico, azienda con capitale in maggioranza pubblico, azienda con
capitale in maggioranza privato, azienda con capitale esclusivamente privato; rimane prevalenza
gestione pubblica (completamente o maggioranza).
I costi di produzione di questo servizio: eterogeneità per area geografica perché condizioni diverse
dei territori.
Per quanto riguarda spesa media per l’utenza domestica: molto variabile in base all’area
geografica.
Livelli tariffari in Italia risultano essere tra i più bassi in Europa; tale dato conferma il deficit
infrastrutturale del nostro Paese.

57
Perdite idriche: indicazione di quanta acqua viene persa nei sistemi idrici integrati; si misurano in
maniera precisa perché si vede quanta acqua viene immessa nell’infrastruttura e quanta acqua
viene misurata al consumo (pagata). In Italia sono elevate!
Altro indicatore sono le interruzioni del servizio: problema al sud e alle isole.
Indicatore qualità dell’acqua: ci sono miglioramenti.
Servizio di fognatura: altra criticità del sud.
Servizio di depurazione: problema del Centro.

Problemi aperti
7• Difficoltà della governance multilivello
8• Parcellizazione delle gestioni
9• Ritardi nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione
10• Necessità di fare ulteriormente crescere gli investimenti
11• Aumentare la scala e rafforzare gli enti gestori

12• Difficoltà della governance multilivello:settore con molti attori

0• Parcellizazione delle gestioni: verso una maggiore aggregazione; tanti gestori.

58
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nell’ambito degli obiettivi di economia circolare e
transizione verde ha posto l’attenzione sul necessario rafforzamento della governance e della
gestione del settore.

1• Ritardi nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione (mancano adeguamenti)


L’Italia ad oggi sconta ancora dei ritardi nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione
risulta ancora assoggettata a 4 procedure di infrazione per il mancato o inadeguato attuazione alla
direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271/CEE). Per superare i
contenziosi comunitari sono stati avanzati sia sostegni economici per gli investimenti
infrastrutturali, sia strutture commissariali per supportare le amministrazioni locali alla messa in
opera degli investimenti.

L’Italia è tra i paesi che investe di meno in impianti di raccolta e trattamento delle acque reflue!!!!

59
2• Necessità di crescita degli investimenti
A fronte delle criticità registrate in termini di assetto infrastrutturale i gestori idrici, anche sotto la
spinta della Regolazione, hanno reagito dando un impulso agli investimenti realizzati, che dal
2012 registrano una crescita costante, dopo anni di instabilità, attestandosi nel 2019 ad un valore
pro capite di 46€/ab (+17% rispetto al 2017). Sebbene il trend degli investimenti risulti crescente, il
valore nazionale appare ancora lontano dalla media europea a circa 90 €/ab.

13• La scala conta..


Focalizzando l’attenzione sui gestori industriali (ovvero operatori che gestiscono il servizio in
forma societaria) si osserva come al crescere della dimensione aziendale aumenta il valore pro
capite degli investimenti. Si passa dai 34 €/ab delle gestioni con fatturato inferiore ai 10 milioni di
euro, a un valore di 55 €/ab per le gestioni con fatturato superiore ai 100 milioni di euro.

60
Due utili strumenti:
14• Il meccanismo incentivante di ARERA
15• Il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza

16• Il meccanismo incentivante di ARERA (premi e penalità)


Per indirizzare gli investimenti sugli specifici obiettivi, ARERA ha introdotto la regolazione della
qualità tecnica del servizio idrico adottando che descrivono lo stato qualitativo dei servizi dun
meccanismo incentivante di premi e penalità legato a sei macro-indicatori i acquedotto, fognatura
e depurazione.
In funzione dei valori assunti dai macro-indicatori sono stabilite le classi di appartenenza che
riflettono i livelli di qualità del servizio (A=alta, E=bassa) in base ai quali vengono stabiliti specifici
obiettivi di miglioramento.
Da un’analisi congiunta dello stato attuale di servizio e della tipologia di investimenti realizzati e
programmati, emerge come tale meccanismo abbia generalmente indirizzato le aziende a
destinare investimenti nei segmenti caratterizzati da maggiori inefficienze gestionali.
In riferimento al livello di perdite idriche, ad esempio, si osserva come gli operatori della classe più
performante (A) investono meno di 5 euro per abitante nella riduzione delle perdite idriche, mentre
gli operatori in classe E hanno investito 22,7 €/ab nel 2018 e 25,3 €/ab nel 2019.

3• Piano Nazionale Ripresa e Resilienza

61
Per l’Italia i fondi assegnati nel PNRR alla componente 4 – Tutela del territorio e della risorsa
idrica, ricompresa all’interno della Missione 2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica, sono
pari a 4,38 Mld €, 2% del totale ammontare di risorse previste per il Recovery Plan.

Conclusioni
17• Il servizio idrico integrato è un bene pubblico essenziale e ha le caratteristiche del
monopolio naturale
18• Rispetto agli altri settori, nei servizi idrici la gestione del monopolio è stata mantenuta a
livello locale (comunale, provinciale, regionale)
19• Evidenti problemi e disomogeneità nei costi, tariffe, perdite, qualità, investimenti
20• Azienda pubblica, azienda mista o concessione a privati tramite gara per la gestione di
servizi idrici?
21• Importante ruolo del regolatore per stimolare l’efficienza e l’investimento

Anche in questo settore usate le tre modalità di intervento pubblico nel monopolio naturale.

15.12
IX. Come sta andando l’economia italiana in termini di PIL, PIL pro-capite,
competitività, produttività, costo unitario del lavoro, capacità esportativa? Di quali
problemi soffre? Qual è il suo modello di specializzazione? Qual è la sua
performance innovativa e da cosa dipende? Quali sono i problemi strutturali del
sistema produttivo italiano?
IL QUADRO ECONOMICO ED INDUSTRIALE
Interrogativi:
• Come sta andando l’economia italiana?
• Qual è il modello di specializzazione
• Quali sono i suoi punti di forza e debolezza?

62
X. L’Italia è specializzata in alcuni dei settori: il mobile, la chimica fine e di specialità
e la meccanica strumentale. Descrivete le caratteristiche dei settori ed i loro punti
di forza e di debolezza.

16.12
ALCUNI SETTORI DI SPECIALIZZAZIONE (analisi di alcuni settori di specializzazione in
Italia: caratteristiche, fattori di successo, criticità e prospettive future); quota di export
rilevante
 Il legno-arredamento
 La chimica fine e di specialità
 La meccanica strumentale

Per capire la storia di questi settori introduciamo il concetto di distretto industriale


I DISTRETTI INDUSTRIALI (n di imprese specializzate in un determinato settore: distretto del…;
mappatura dei distretti fatta dall’ISTAT)
Sebbene il modello di sviluppo industriale basato sui distretti non sia un'esclusiva italiana, esso ha
trovato in Italia le condizioni ideali per la sua affermazione sin dagli anni Settanta,
contemporaneamente alle prime avvisaglie di crisi della grande impresa. Molte di esse
intrapresero una profonda riorganizzazione sia avviando azioni di decentramento produttivo sia
sfruttando le potenzialità della specializzazione e della divisione del lavoro tra imprese di uno
stesso settore. Contemporaneamente, si registrò un processo di crescita di un tessuto di piccole
imprese di origine artigiana, fortemente radicate con la produzione tradizionale di aree geografiche
ristrette, che raggiunse gradualmente rilevanti quote di mercato in produzioni di nicchia.
La formazione dei distretti industriali ha interessato prevalentemente settori industriali connotati
da:
 processi produttivi ad alta intensità di lavoro umano e scarsa automazione;
 limitato fabbisogno di capitale fisso (investimenti e attrezzature);
 scarse economie di scala a livello di intero processo produttivo;
 innovazione legata a processi di learning by doing.
Tali caratteristiche sono riscontrabili nella produzione di beni di consumo durevoli per la casa
(mobili, ceramiche) e la persona (occhiali, gioielli, abbigliamento) e dei macchinari impiegati per la
loro produzione.

L'organizzazione del processo produttivo all'interno dei distretti industriali registra un'elevata
scomposizione tra imprese differenti, ciascuna delle quali può conseguire i vantaggi della
specializzazione (efficienze ed economie di scala). Contestualmente, la fitta rete di relazioni
interimpresa garantisce al processo l'adattabilità, in termini di volumi (elasticità) e di
differenziazione di prodotto (flessibilità), necessaria per adeguare rapidamente l'offerta alle
variazioni della domanda.
I rapporti tra imprese sono improntati alla cooperazione tra soggetti che operano a livelli differenti
del sistema produttivo e alla concorrenza fra quelli che svolgono la medesima attività. Ciò da un
lato favorisce il coordinamento, dall'altro conferisce al sistema un elevato dinamismo.
Il successo del modello produttivo dei distretti industriali è concordemente ascritto a due principali
fattori di sviluppo.
- Anzitutto, il forte ancoraggio socio-culturale ad un territorio circoscritto favorisce una rapida
circolazione delle idee e una facile interazione tra gli individui, che condividono una "cultura
distrettuale". Questa non si basa solo sulla condivisione delle conoscenze tecnico-produttive,
veicolate anche mediante specifici canali di formazione, ma include anche la cultura
imprenditoriale e l'identificazione nei valori e negli interessi del distretto.
63
- Un secondo fattore di sviluppo è l'esistenza di un approccio sistemico nelle relazioni
interimpresa secondo la logica della specializzazione flessibile. La natura reticolare delle
strutture organizzative distrettuali deriva spesso non da precisi schemi progettuali guidati da
un'impresa leader, ma come risposta spontanea al contesto competitivo; è così assicurata la
possibilità di sostituire un'impresa con altre che siano in grado di svolgere la medesima attività
lungo il processo produttivo. Contestualmente, si registra una notevole stabilità dei rapporti,
spesso basati su relazioni di mutua fiducia, in grado di favorire la ricerca di forme di
coordinamento che possano accrescere l'efficienza complessiva del distretto.

IL SETTORE DEL LEGNO ARREDAMENTO (quota maggiore sono aziende di piccole dimensioni
a carattere familiare)
L’industria del mobile è uno degli elementi portanti del Made in Italy e detiene posizioni di
leadership in quasi tutti i segmenti di mercato. Il contributo positivo del mobile alla bilancia
commerciale riflette la capacità delle imprese italiane di conquistare quote di mercato all’estero e
di soddisfare buona parte della domanda interna.
Negli ultimi vent’anni si è accresciuta costantemente l’internazionalizzazione commerciale
dell’industria del mobile: la propensione all’export delle imprese mobiliere italiane è passata dal
17% del 1980 al 34% nel 2006. Questa crescita è stata elevata per i mobili da camera e soggiorno
e per i mobili imbottiti, mentre in altri comparti - cucine e mobili per ufficio - è stata frenata anche
dalle specifiche caratteristiche dei prodotti e della distribuzione (si pensi all’importanza delle
produzioni su misura).
Negli ultimi anni emerge come le imprese italiane, pur mantenendo posizioni di leadership,
abbiano subito una graduale erosione delle proprie quote di mercato.

La situazione al 2015: l’Italia ha ancora una posizione di leadership ma i competitor incalzano


La Fig.8 mostra l’andamento delle esportazioni di mobili in legno (dentro e fuori la UE) dei tre più
grandi paesi produttori nel periodo fino alla fine di Marzo 2015. Polonia e Italia hanno avuto
risultati migliori della Germania negli ultimi anni. L’Italia si conferma di gran lunga il maggiore
esportatore europeo di mobili in legno ma la Polonia, in questi ultimi 2 anni, sta colmando il
divario. Alla fine del 2014, la Polonia ha superato la Germania ed è diventata il secondo più
grande esportatore di mobili in legno. Tuttavia, le esportazioni tedesche hanno invertito la
tendenza all’inizio del 2014, dopo un brusco calo nel 2012 e 2013, e sono ora in forte ripresa.
Italia importava dai Paesi dell’Est, e col tempo anche loro però hanno iniziato a specializzarsi.

Andamento consumi in Italia: domanda interna calante; ogni tanto qualcuno cambia/arreda e poi ci
sono competitor forti come IKEA.
All’Estero: imports in crescita e anche l’export! Quindi, fatturato export in crescita; espansione più
importante fuori Europa.

64
Dopo una lunga crisi, negli ultimi tre anni il settore del Legno e Mobili sta registrando una fase di
ripresa. Nel 2017 la produzione sale del 5,1%, in accelerazione rispetto al +2,3% del 2016. Va
segnalato che nel confronto europeo l’Italia è il secondo produttore di Legno e Mobili  dell’UE a 28.
Sul piano della produzione sono evidenti gli effetti della lunga e profonda crisi: nel 2017 il livello
della produzione in Italia rimane del 36,5% inferiore ai livelli del 2007. In positivo anche
il fatturato che nel 2017 sale del 4,2%, rafforzando il +2,8% dell’anno precedente.

Secondo il rapporto CSIL, in Italia, nel 2019, il settore del mobile ha registrato una stabilità delle
vendite sia sul mercato interno sia sui mercati esteri determinando una crescita nulla del fatturato
65
totale del settore a prezzi costanti. Il contesto macroeconomico italiano non ha aiutato le aziende
del settore.
La presenza del bonus mobili (sovvenzione agli acquisiti) ha favorito la tenuta dei consumi interni;
ma l’incertezza legata alle prospettive future continua a limitare l’ammontare effettivo degli acquisti
di mobili e anche le intenzioni future di acquisto.
Sul fronte delle vendite sui mercati esteri delle imprese italiane del settore, il 2019 ha mostrato un
rallentamento della crescita. Nel dettaglio, le vendite sui mercati UE stanno mostrando un ritmo di
marcia leggermente più sostenuto rispetto a quelle sui mercati Extra-UE grazie soprattutto alle
buone performance sul mercato francese e svizzero.

LA CHIMICA FINE E DI SPECIALITÀ


Dal Rapporto 2018-2019
Materie prime organiche, inorganiche e biomasse  Chimica di base (prima trasformazione delle
materie prime in sostanze)  Chimica fine e specialistica (uso delle sostanze chimiche di base
per prodotti/settori specifici): gomma-plastica, farmaceutica, metalli, mezzi di trasporto…
Chimica di base e chimica fine e specialistica hanno caratteristiche, dimensioni diverse e
potenzialità.
I principali gruppi chimici italiani Versalis (del gruppo ENI), Mapei, Braco… Circa 60 miliardi nel
2019

Problematica: molta chimica di base si è sposta verso altri Paesi (dumping), a causa dei vincoli
ambientali molto stringenti.

L’Europa è esportatore di chimica fine e di specialità; non lo è più di chimica base. La chimica di
base che si fa in Europa soddisfa la domanda interna; per la chimica di base l’elemento critico è il
costo delle materie prime e dell’energia.
Tra i fattori penalizzanti per la competitività europea, un elemento critico è rappresentato
dal costo dell’energia e delle materie prime. Per effetto della rivoluzione dello shale gas,
produrre etilene in Europa (dove si utilizza prevalentemente come materia prima la virgin
naphta, un derivato del petrolio) è diventato più costoso non solo rispetto al Medio Oriente,
ma anche agli Stati Uniti. L’etilene è il più diffuso “building block” dell’industria chimica

66
mondiale ed è un elemento fondamentale per molti materiali quali plastica, detergenti e
vernici.

Nel 2019 la produzione chimica mondiale, che realizza un valore pari a 3.3000 miliardi euro- è
cresciuta del 2%, un ritmo sottotono e in significativo rallentamento rispetto all’anno precedente
(+2,8%). La chimica mondiale risente dell’indebolimento del ciclo industriale, delle particolari
difficoltà del settore auto e delle tensioni commerciali, che coinvolgono non solo USA e Cina ma
anche l’UE. Per la chimica europea il 2019 segna il secondo anno consecutivo di contrazione della
produzione (-1,2% dopo il -0,4% dell’anno precedente). Se nel 2018 il calo era stato considerato, in parte
rilevante, connesso a fattori contingenti (secca del fiume Reno e conseguenti problemi logistici in
Germania), nel corso del 2019 è diventato evidente che l’Europa è alle prese con una recessione
industriale, sebbene di moderata entità. La debolezza della chimica si è via via estesa alla gran parte dei
Paesi guidata, in particolare, dalla Germania (primo produttore europeo, in calo del 3,1%). La chimica è un
settore di specializzazione strategico per l’industria europea. Impiega 1,2 milioni di addetti altamente
qualificati e, nell’ultimo anno, ha realizzato un valore della produzione pari a circa 550 miliardi di euro,
confermandosi quale quarto settore industriale europeo e secondo produttore chimico mondiale con una
quota pari al 17%.

L’industria chimica europea genera un consistente avanzo commerciale, 45 miliardi di euro


nel 2019, contribuendo a garantire all’UE equilibrio negli scambi commerciali (Tavola 2.4). Per il
secondo anno consecutivo si assiste, tuttavia, ad un ripiegamento del surplus commerciale
nella chimica di base, a fronte della continua espansione nella chimica fine e specialistica

L’Italia continua ad avere una quota importante a livello europeo: terzo produttore di chimica in
Europa.
In Italia l’industria chimica vede la presenza equilibrata di tre tipologie di attori:
- piccole-medie imprese che hanno un ruolo rilevante in tutta la chimica europea
- medio-grandi gruppi nazionali
- imprese a capitale estero
Nella chimica è presente un nucleo non ristretto di gruppi a controllo nazionale dotati della massa
critica per affrontare le sfide tecnologiche e del mercato globale. Insieme alle maggiori realtà della
chimica di base, figurano medio-grandi gruppi fortemente specializzati e spesso leader nel loro
segmento a livello mondiale o europeo.
L’Italia, inoltre, è ben posizionata nella chimica da biomasse, dove sono presenti imprese
tecnologicamente all’avanguardia. Sul territorio nazionale si stanno realizzando tra i più rilevanti
investimenti a livello mondiale in questo ambito e sono presenti impianti flagship, cioè i primi al
mondo per determinate tecnologie.
Quasi tutti i maggiori gruppi chimici a controllo nazionale hanno realizzato investimenti produttivi
all’Estero, non con finalità di delocalizzazione ma per rafforzare la propria posizione nel mercato
globale, alimentando così, in un circuito virtuoso, anche l’export, la produzione e l’occupazione sul
territorio italiano.
Anche le imprese a capitale estero rappresentano una risorsa importante per l’industria chimica in
Italia. La loro attività crea valore sul territorio in quanto producono e fanno ricerca. In diversi casi
l’Italia ospita un vero e proprio centro di eccellenza, che rappresenta il punto di riferimento del
gruppo a livrllo mondiale per la R&S in determinate aree della chimica o per specifiche produzioni.
Pur essendo fortemente integrata a livello europeo, l’industria chimica, in Italia, presenta alcune
caratteristiche peculiari. Mantiente nella chimica di base una presenza significativa e stratefica,
anche per forti legami di filiera, ma vede un ruolo di particolare rilevanza della chimica fine (i
principi attivi farmaceutici rappresentano un’eccellenza mondiale) e specialistica che rappresenza
il 59% della produione, ben 15% in più della media europea. Si tratta dei settori in cui prevale la
chimica delle formulazioni, ossia la vendita di miscele e prodotti chimici caratterizzati da
67
determinate prestazioni, Negli ultimi 10 anni le imprese di chimica delle specialità hanno sapiuto
costruire un saldo commerciale attivo per ben 3,8 miliardi e triplicato rispetto al precrisi.
La fase attuale, così come gli anni a venire, si caratterizza per i profondi mutamenti dello scenario
politico, sociale, tecnologico e competitivo. Per l’industria chimica la sfida principale risiede
nel promuovere lo sviluppo sostenibile e l’economia circolare. In questo ambito, la chimica
riveste un ruolo strategico in quanto fornisce input essenziali a numerose filiere e possiede le
competenze tecnologiche relative alla gestione delle sostanze e alla trasformazione della materia.
Le sue innovazioni, sempre più orientate alla sostenibilità ambientale, trovano impiego in tutta
l’industria manifatturiera, l’edilizia e l’agricoltura, configurando il settore come una vera e propria
infrastruttura tecnologica.
Per affrontare con successo la trasformazione digitale, l’industria chimica può contare, già oggi, su
una forza lavoro altamente qualificata: basti pensare che il 19% degli addetti è laureato (una
quota quasi doppia della media manifatturiera) e oltre il 42% degli operai è specializzato.
Inoltre, il settore investe fortemente nella formazione che coinvolge, ogni anno, il 42% dei
dipendenti a fronte di una media industriale pari al 26%. Anche i modelli organizzativi sono
avanzati e si basano su coinvolgimento e partecipazione come strumenti per prevenire e superare
possibili conflitti relativi all’impatto sulle risorse umane delle scelte organizzative.

LA MECCANICA STRUMENTALE (campione!)


Definizione:
1. L’insieme delle imprese costruttrici di macchine ed impianti meccanici. Si considerano
«tutti i macchinari destinati alla trasformazione, manipolazione e movimentazione di beni di
qualsiasi origine e destinazione.» Tratto da: Secondo Rolfo «Evoluzione strutturale e
competitività internazionale della meccanica strumentale italiana», L’INDUSTRIA / n.s., a.
XXXI, n. 4, ottobre-dicembre 2010

2. IL SOLE 24 ore: Con la definizione di meccanica strumentale si indica quel settore


strategico dell'economia italiana che riguarda la produzione di macchinari o impianti
destinati a settori produttivi (macchine utensili, macchine tessili, le macchine agricole). Il
settore è caratterizzato da una fortissima propensione all'export e ha un elevato tasso di
competitività.

Caratteristiche settoriali
«un settore sicuramente meno attraente del sistema moda dal punto di vista mediatico, ma anche
di più difficile inquadramento all’interno della letteratura economica dominante per l’essere da un
lato un settore di specializzazione (e non tradizionale) a tecnologia medio-alta e dall’altra non
avere una precisa connotazione distrettuale anzi ponendosi nei confronti di questo sistema in una
posizione ancillare (le macchine a servizio del distretto) se non apertamente contrastante.»

Export calling, redatto da SACE:


la meccanica strumentale è la punta di diamante dell’export nazionale. La meccanica strumentale
raggiunge il 21% di tutto l’export nazionale. Oggi la meccanica strumentale vale 80 miliardi di
euro. Le imprese italiane devono concentrarsi l’attenzione su tre assi importantissimi:
- Crescita, la dimensione relativamente piccola tipica delle imprese italiane può essere un
sinonimo di flessibilità ma anche un limite;
- Internazionalizzazione, fattore innato quando si parla di meccanica strumentale
- Innovazione, ovvero il salto verso la meccanica 4.0.
L’Italia mantiene una buona posizione con un livello di esportazione del 5% (superiore al 2%
medio), in posizione di esportatore netto
68
I tre comparti della meccanica strumentale
• i macchinari “necessari” al funzionamento di un’altra macchina – come pompe, rubinetteria
e valvole;
• gli “autonomi” che operano in maniera indipendente;
• i macchinari ad uso specifico, ossia la meccanica in senso stretto.

Specializzazioni italiane nella meccanica strumentale


4• Macchine per il confezionamento e l’imballaggio: quota su expo mondiale 20,6%.
5• Macchine tessili: quota su expo mondiale 10,4%. Dalla filatura alla torcitura, dalla
roccatura all’aspatura, fino alla tessitura, tintoria, stampa e finissaggio.
6• Macchine per la lavorazione di materie plastiche e gomma: 8,3%. Stampi, estrusori,
stampatrici flessografiche, macchine per soffiaggio e iniezione, per formare e modellare
7• Macchine utensili: quota su expo mondiale 7,8%. La classificazione più diffusa delle
macchine utensili si basa sul “moto di lavoro”: a moto circolare uniforme (trapani, fresatrici, torni),
a moto rettilineo alternato (rettifiche per piani, piallatrici, limatrici, stozzatrici), a moto speciale
(mole, brocciatrici), a moto circolare variabile.

Limiti:
- La dimensione di impresa: molte e molto piccole: 1/3 di quelle tedesche
Il limite dimensionale delle imprese della meccanica italiana non impedisce alle aziende
italiane di raggiungere risultati uguali o superiori ai concorrenti europei: il fatturato per
addetto per l’Italia (242 mila euro) e tra i più alti nell’Ue, superiore a quello della Germania
(227 mila euro) e ben oltre la media europea

Il tratto distintivo delle imprese della meccanica strumentale è l’elevata propensione


all’export. Oggi l’impresa della meccanica strumentale è quindi un po’ meno locale e più
interconnessa globalmente.
Dal punto di vista regionale, la meccanica strumentale è essenzialmente localizzata nel centro-
nord

Le tre direttrici della competitivà: crescere, guardare lontano, innovare.


Dal Rapporto Export 2016/2019 di SACE
8• Crescere (in dimensione)
La piccola dimensione delle aziende italiane è, da una parte, un importante fattore di flessibilità,
dall’altra, un limite fondamentale allo sviluppo dell’intera economia del Paese. Perseguire una
scala più grande non significa abbandonare la nostra tradizione dei distretti industriali, fatti di
piccole e medie imprese interconnesse, con relazioni di filiera forti – un modello che e stato il
motore del successo globale del Made in Italy tradizionale (alimentari, moda e design) e della
meccanica strumentale – in favore di un nuovo modello di grandi imprese alla tedesca. Ma in un
contesto in cui i processi di internazionalizzazione sono diventati più complessi e articolati questo
non basta più. Il modello del distretto tradizionale non riesce infatti a reggere le pressioni
competitive dello scenario attuale perché non e in grado di supportare adeguatamente strategie di
internazionalizzazione diverse dall’esportazione.
Le alternative strategiche, come i consorzi, le aggregazioni temporanee di imprese (ATI), le joint
venture, le operazioni di finanza straordinaria – come fusioni e acquisizioni – e gli investimenti
diretti esteri (IDE) sono spesso un impegno troppo oneroso per le aziende di piccole dimensioni.
Un passo concreto potrebbe essere quello di aggregarsi in reti di imprese: con il contratto di rete
ogni impresa, pur mantenendo la propria identità, decide di legarsi stabilmente ad altre imprese
69
della rete. Queste alleanze non sono circoscritte ne territorialmente ne merceologicamente, ma
anzi inglobano operatori anche dislocati in aree diverse del Paese, con diverse specializzazioni
funzionali e di prodotto, che scelgono di condividere una o più attività. L’obiettivo non e solo quello
di ottenere vantaggi di costo, ma anche di generare sinergie di ricavo, finanziarie e di know-how,
con il risultato di rendere l’intera struttura produttiva più competitiva sul mercato globale.

9• Crescere (solidità finanziaria)


La struttura proprietaria e finanziaria delle imprese costituiscono un altro ostacolo alla crescita
dimensionale. In Italia, storicamente la proprietà e concentrata nelle mani di un singolo azionista e
le famiglie controllano ancora il 77% del capitale nelle imprese industriali. Eppure una cultura
imprenditoriale ossessionata dal controllo societario e spesso nemica della crescita dell’azienda,
che dipenderà da poche fonti di finanziamento, di solito più costose. Le PMI italiane sono, infatti,
molto indebitate ed esposte soprattutto nei confronti delle banche: i debiti bancari rappresentano
quasi il 70% dei debiti finanziari, contro una media del 40% per la Francia e del 30% per gli Stati
Uniti.
Il nostro Paese sconta poi un forte ritardo su tutti i segmenti del mercato dei capitali di rischio.
Poche sono le società che scelgono di aprire il capitale quotandosi: negli ultimi anni, la
capitalizzazione di Borsa si e mantenuta attorno al 30% del Pil, molto indietro rispetto ai mercati
azionari dei principali Paesi avanzati (Germania 49%, Francia 81%, Gran Bretagna 127%, Stati
Uniti 151%). Il ruolo dei private equity e dei venture capital è marginale, e il ricorso ai prestiti
obbligazionari rimane estremamente limitato, con un’incidenza di meno dell’8% dei debiti finanziari
totali delle imprese, ben sotto la media inglese (30%) e americana (50%); inoltre, solo una
bassissima quota del valore delle emissioni di obbligazioni (meno dell’1%) fa capo ad aziende
medio-piccole. Nello scenario attuale di difficolta del credito bancario, aprirsi maggiormente al
mercato dei capitali e agli investitori istituzionali è un imperativo, non un’opzione. Gli strumenti ci
sono, sia tradizionali (quotazione, emissioni obbligazionarie, private equity eventure capital), sia
innovativi (minibond, private placement, prestiti mezzanini e di semi-equity, project bond) e
consentirebbero soprattutto alle PMI di ridurre il costo del credito e di reperire risorse destinate a
finanziare nuovi investimenti, anche esteri, ristrutturazioni degli asset societari, joint venture,
fusioni, acquisizioni e altre operazioni di finanza straordinaria per crescere e competere con una
struttura più solida sui mercati internazionali.

10• Guardare lontano (verso altri mercati ancora)


Per le imprese della meccanica strumentale è naturale guardare oltreconfine. Infatti, delle oltre
duecento aziende italiane intervistate da SACE, circa l’80% dichiara di fare affari con più di dieci
Paesi esteri. Tuttavia, gran parte di queste continua a preferire i mercati vicini: l’Area euro resta la
regione di maggiore interesse, mentre i mercati più lontani (Asia-Pacifico e Africa Centrale e
Meridionale) hanno una rilevanza percepita medio/bassa. L’impressione, tuttavia, e che la
situazione sia destinata a migliorare, seppur in modo graduale: gli imprenditori intervistati
prevedono infatti che, nei prossimi tre anni, i Paesi europei avranno un’attrattività minore, mentre
altre regioni (Est Europa, India, Centro e Sud America, area del Pacifico, escluse Cina e Africa
Subsahariana) assumeranno un’importanza crescente sia per le proprie vendite estere, sia per gli
approvvigionamenti. Nonostante il recente rallentamento dei mercati emergenti, le prospettive di
crescita di molti di essi nel medio/lungo termine rimangono positive, con una classe media in
continua espansione. Dotarsi di capacità di intelligence e individuazione di rischi/opportunità di
marketing e distribuzione su geografie più lontane, ma con buone prospettive future, diventa,
quindi, un must per le imprese che aspirano a crescere nei prossimi anni.

INNOVAZIONE E INDUSTRIA 4.0

70
In Italia si parla da tempo di Industria 4.0: dopo la rivoluzione della meccanica, dell’elettricità e
dell’informatica, la nuova rivoluzione industriale riguarda la“fabbrica intelligente”, i“sistemi cyber-
fisici” o l’Internet delle cose”, ossia lo sviluppo di sistemi tecnologici in grado di scambiarsi
informazioni e interagire con l’ambiente esterno. Nella nuova Industria 4.0 si passerà dalla
produzione centralizzata e quella decentralizzata, i macchinari comunicheranno tra loro per
ottimizzare i processi e migliorare i prodotti, le tecnologie informatiche semplificheranno i flussi tra
reparti e funzioni e agevoleranno il lavoro del management, anche nei rapporti con fornitori e
distributori.
Gli imprenditori – il 70% secondo l’indagine Staufen – sanno che il passaggio a Industria 4.0 e
essenziale per crescere e per competere a livello internazionale, eppure molti ancora esitano
nell’apportare cambiamenti concreti all’interno della propria azienda. Le aree più interessate a
questa nuova ondata di innovazione saranno la produzione, la logistica, la gestione del
magazzino, le vendite e l’assistenza post-vendita, con miglioramenti attesi sul piano dell’efficienza.
Ma produrre apparecchiature elettriche non e lo stesso che produrre macchinari per il packaging o
attrezzature per la lavorazione della plastica: competere in un settore con produzioni in serie, alti
volumi e standardizzazione ha delle dinamiche profondamente diverse rispetto a competere in un
settore con produzioni su commessa, bassi volumi e alta personalizzazione, come tipicamente
avviene per molte imprese della meccanica. In un contesto di questo tipo, la qualità del prodotto e
del servizio offerto, più che i tempi di produzione e i costi contenuti, e cruciale per restare sul
mercato.
Dall’indagine SACE sopracitata emerge che le nostre aziende, rispetto alle concorrenti tedesche,
si distinguono proprio per l’alto grado di personalizzazione del prodotto (80,1%), per l’elevato
contenuto tecnologico dei macchinari (57,3%) e per tutte quelle componenti “sartoriali”che
distinguono la manifattura italiana anche in altri settori. Eppure questo non basta a fregiare l’intero
settore di un brand distintivo a livello Paese, come già avviene nella moda e nell’agroalimentare.
Infatti, ben il 44,2% delle aziende interpellate percepisce il brand dei macchinari Made in Italy
come inferiore al brand Made in Germany, a fronte di un magro 17,2% che lo considera superiore
Insieme alle politiche di prezzo, i nostri imprenditori ritengono, infatti, che la forza del brand sia la
caratteristica distintiva dell’offerta dei concorrenti tedeschi rispetto a quella nazionale. E evidente
che, per fare progressi in questo ambito, le imprese italiane devono muoversi con più decisione
verso una maggior valorizzazione del marchio italiano, investendo non solo in automazione,
innovazione ed efficienza produttiva, ma anche in iniziative di marketing, di comunicazione e
distributive adeguate e pervasive.
Diventare smarter e una strada che va intrapresa e percorsa con convinzione e passa attraverso
l’offerta di prodotti innovativi e di altissima qualità, il rafforzamento delle collaborazioni lungo la
filiera e la preparazione delle proprie persone al nuovo paradigma. Certo, rispetto alla Germania,
che ha avviato il programma “Industrie 4.0” già nel 2013, coinvolgendo governo, aziende e istituti
di ricerca, siamo in ritardo. Occorre un Sistema Paese forte, che metta in atto una politica
industriale mirata, promuova incentivi alla formazione delle figure professionali, sostenga la ricerca
e aggiusti il sistema finanziario alle esigenze delle nuove smart factory. Per ora, alcuni comparti
(ceramica, plastica, imballaggio) più di altri stanno facendo i primi passi con la propria bussola e,
in generale, il settore si sta muovendo verso Industria 4.0 un po’ alla rinfusa; ma se c’e qualcosa
che le nostre aziende della meccanica strumentale hanno capito prima dei concorrenti tedeschi e
che, nelle parole dello scienziato americano Jonathan Schattke, “la necessita e la madre delle
invenzioni, e vero, ma il padre e la creatività, e la conoscenza e la levatrice”.

17.12

XI. Le politiche industriali. Come si possono definire? Che giustificazioni hanno?


Che evoluzione storica hanno avuto? Quali schemi teorici le supportano? Che
71
rischi pongono? Come si possono classificare? Esponete infine, sinteticamente,
un excursus sulle politiche industriali in Italia. Qual è la vostra opinione?
LA POLITICA INDUSTRIALE
• Cosa è la politica industriale?
• Come si giustificano le politiche industriali?
• Quali sono le principali politiche industriali?
• Che efficacia hanno?

Cosa è la politica industriale?


22• Definizione 1, di tipo generale:
- «è richiesta la presenza di istituzioni che creino e mantengano l’ambiente competitivo in cui
gli attori economici si muovono, nel nostro caso le imprese, i consumatori, i lavoratori»
(Pianta, 2013)
- «la politica industriale comprende tutti quei processi tramite i quali i governi
deliberatamente alterano la struttura e le caratteristiche dei sistemi economici» (Rodrik,
2008).
23• Definizione 2, di tipo specifico
- Politiche rivolte a promuovere la produttività e competitività del settore manifatturiero di una
nazione o sistema territoriale locale

Un elenco di definizioni tra il generale e lo specifico

Un tentativo di sintesi

72
Perché la politiche industriale?
Il punto di vista neoclassico è che i mercati sono efficienti per cui non c’è bisogno dell’intervento
pubblico nè per alterare l’allocazione delle risorse nè per scegliere le tecniche di produzione. E
anche se non lo fossero, non è molto probabile che l’intervento pubblico migliori il funzionamento
del sistema economico, anzi rischia di creare monopoli e rendite di posizione (fallimento del
governo).
Le crisi economiche (tra cui la recente del 2008-09) ed i fallimenti del mercato hanno reso il punto
di vista liberista (Washington Consensus) più debole e riproposto il tema delle politiche industriali.
Con quali giustificazioni?

Giustificazione 1: fallimenti del mercato


24• Condotte anticompetitive: collusioni e abusi di posizione dominante
25• Monopoli naturali
26• Esternalità nella produzione (inquinamento locale e globale) e nella domanda (mercati a
rete)
27• Informazione imperfetta e asimmetrica, mercati a termine imperfetti: gli equilibri di
mercato risultanti non sono efficienti (Greenwald and Stiglitz 1986)
28• L’innovazione come bene pubblico: l’investimento in R&D tende ad essere insufficiente in
assenza di stimolo (ricerca di base) e\o protezione. Ci sono esternalità nell’apprendimento.

Giustificazione 2: Promozione dello sviluppo


29• Lo sviluppo è un processo continuo di innovazione tecnologia, ammodernamento
industriale e diversificazione economica (import substitution). I mercati non gestiscono bene
73
queste trasformazioni strutturali. La politica industriale serve guidare il processo di cambiamento
delle risorse umane, industriali e finanziarie.
30• Costruzione e manutenzione delle rete infrastrutturali (trasporti, energia, gas, servizi idrici,
telematica)
31• Promozione di nuove tecnologie: Internet, nuovi materiali, nuovi farmaci, genomica,
batterie agli ioni di litio, ecc.. Molte delle scoperte recente sono state finanziate con fondi pubblici.
Lo Stato agisce come «lender of last resort», prestatore di ultima istanza, in presenza di elevati
rischi di insuccesso industriale che non sarebbero sopportabili dalla finanza privata.
32• Promozione dell’apprendimento come fonte dello sviluppo economico (Solow, 1957) («In
developing countries, a substantial part of growth arises from closing the technology (or
knowledge) gap between themselves and those at the frontier. And within any country, there is
enormous scope for productivity improvement simply by closing the gap between best practices
and average practices”, Stiglitz et al., 2013).
33• Gli Stati intervengono, sia in periodi di crisi sia in periodi normali: it has become obvious
that all governments are engaged in various forms of industrial policies—even those that advocate
horizontal or “neutral” policies end up taking actions that favor certain industries more than others
and therefore shape the sector allocation of the economy. In all countries, some industries,
sectors, and even firms are favored within the legal framework and often heavily subsidized, often
in non-transparent ways. A case in point is that of the banking sector in the United States …Even
economists who oppose sector industrial policy (the so-called “vertical” policies to support specific
industries) acknowledge the need for broad, neutral, “horizontal” industrial policy (one that does
not target specific industries). Yet the lines between the two could be blurry (Stiglitz et al., 2013).
34• La promozione delle aree in ritardo di sviluppo e dell’occupazione: compito tradizionale
affidato alle politiche settoriali o regionali

L’evoluzione storica delle politiche industriali

74
Perché la politica industriale dopo la crisi del 2008-09?
Da Warwick, K. (2013), “Beyond Industrial Policy: Emerging Issues and New Trends”, OECD
Science, Technology and Industry Policy Papers, No. 2, OECD Publishing, Paris.
1. Introduction
Following the economic and financial crisis of 2008-09, policy makers are looking for new sources
of economic growth and employment creation. Some countries are concerned that their economic
growth trajectory has not been sufficiently balanced, with some sectors declining excessively and
others taking too strong a role in overall economic growth. In other countries, there are concerns
that manufacturing production has declined too much, and that knowledge and capabilities have
been irreversibly lost. And in some cases, there is a call for industrial policies to strengthen
specific sectors, technologies or areas of economic activity, such as advanced manufacturing,
knowledge-intensive business services or the ‘green’ economy, with the aim of fostering new
sources of economic growth.
The increased interest in ‘industrial policies’, broadly defined, comes at a time when global value
chains have become more complex and more important, and when competition from emerging
economies is growing, even in activities and markets that were, until recently, considered the core
strengths of OECD countries.
At the same time, many governments still face serious budget constraints following the economic
crisis, and are seeking more effective and often more selective and low-cost policy interventions
that can help strengthen their economy. Establishing priorities in areas where government action
can make a difference is therefore of growing policy interest, and is evident, for example, in the
debate in the European Union on ‘smart specialisation’. But how and where to act remains a
difficult question and the historical experience with targeted interventions and industrial policies is
mixed at best.

Gli schemi teorici a giustificazione delle politiche industriali


35• Laissez-faire: there is no need for an ‘active’ industrial policy, still less a targeted one. The
market automatically selects sectors and firms so as to ensure the efficient allocation of resources.
The role of government is to ensure the best possible environment for business in its approach to
product, labour and capital market regulation and to ensure macroeconomic and financial stability,
i.e. to focus on the ‘framework conditions’.
36• Traditional, state-aids/ownership-based: stimulate certain sectors of the economy through
production subsidies or other forms of state aid or in some cases through the promotion of national
champions through nationalisation, the encouragement of mergers or referential procurement
policies. It is often highlighted in this connection because of its linkages with other industries,
knowledge spillovers due to large R&D investments and dynamic economies of scale. At its worst,
traditional industrial policy came to mean the relatively crude use of taxes and subsidies to
persuade producers and consumers to act in line with government wishes, based on an attempt to
second-guess the market and/or in response to lobbying from those who had most to lose. It was
the failure of many such attempts at a traditional approach to industrial policy that caused a
reaction against industrial policy which continues in some quarters to this day.
9• Neoclassical, market-failure correcting, Pigovian tax/subsidy-based: even in the eyes of
those who favoured a non-interventionist stance, public action is needed to correct market failures
(externalities, market power, capital market failures) and to guarantee the provision of public
goods. Most market failures reflect a mismatch between the structure of private and social benefits
in a particular economic activity. Typically, in the industrial policy context, they may be associated
with positive externalities (of exporting, FDI, innovation, manufacturing, etc.) and informational
asymmetries, implying that private investments will be lower than socially desired levels.
10• Endogenous growth, technological capabilities-based: Firms benefit not only from static
economies of scale and scope but also, over time, from the cumulative learning embodied in
75
building up and maintaining a production process. In particular these theories emphasise the
externalities associated with R&D and the degree to which growth emerging from technological
advances is endogenised. Policies designed to promote investment in tangible and intangible
capital are justified in terms of this approach.
11• Institutionalist, neo-Schumpeterian, evolutionist, systems-based: knowledge is
heterogeneous, context-specific, tacit and ‘sticky’. Actors face genuine uncertainty, to which they
have to adapt. Networks of formal and informal connections between relevant institutions make up
the national system of production and innovation. In this view, the role of industrial policy, hand-in-
hand with innovation policy, is to create and develop institutions to promote networking and
collaboration and to devise strategies to make best use of these institutions. In essence, the
systems approach is designed to overcome co-ordination problems. The process of setting an
industrial strategy may be important in itself as a means of aligning private sector efforts and
governmental priorities. Industrial policy is more about broad ‘vision’ and co-ordination than about
doing out subsidies or providing trade protections.
Rischi di government failure
37• Asimmetria informative: Governments often lack the information and capability to design
effective industrial policies, and hence invite rent-seeking behaviour from economic agents
(Rodrik, 2008; Naudé, 2010a). Information constraints make it extremely difficult for governments
to know which industries and/or firms merit support. In the absence of good measurement, risks
exist that governments resort to barely quantifiable and conceptually weak selection criteria.
38• Sistema politico e rent-seeking: the successful implementation of any industrial policy will
likely depend on the nature of the political system and institutions in the country concerned. Where
the power of economic interest groups exerts undue influence through the political system,
government support of an industry could be based more on political considerations than economic
merits.
39• Inefficienze da eccessiva protezione: protection to perpetuate inefficiency. Krugman and
Obstfeld (2009) describe the cases of India and Pakistan, where manufacturing was protected for
many decades, and where the recent growth of significant exports of manufactures has been
based on light manufactures, rather than the heavy manufactures that had been the target of
protection.
40• Governments assist industries in decline. Often the objective is to attempt to safeguard
employment. But public support for industries in decline entails financing some part of the
operations of industries that have low or negative investment returns. In some cases, rather than
encouraging private sector investment in unprofitable industries that are being subsidised abroad,
it might make more sense to take advantage of the foreign subsidy by importing the cheaper
foreign goods.
41• ‘Soft’ industrial policy. In a world characterised by rapidly increasing internationalisation,
the geographical fragmentation of production and the growing importance of multinational
enterprises, the policy space open to governments is increasingly constrained. In these
circumstances, some countries are shifting their approach away from one-time attempts to ‘pick
winners’ to the design of better processes for search and ‘self-discovery’.

Conclusione su la politica industriale


Accertato che tutti i governi, di fatto, intervengono per diversi motivi, l’interrogativo non è tanto se
lo Stato debba intervenire o no ma come deve farlo nel modo migliore. La contrapposizione
diventa tra fallimenti dei mercato e fallimenti dell’intervento pubblico! (Therefore, the question is
not whether any government should engage in industrial policy but how to do it right. (Stiglitz et
al., 2013)

76
Alcune possibili classificazioni

42• Politiche industriali (manifattura e servizi) vs. politiche economiche (monetarie, creditizie,
fiscali, lavoro)
43• Politiche industriali orizzontali (che influenzano tutti i settori e tutte le imprese, come i
programmi di R&S, la formazione, la legislazione ambientale) vs. politiche industriali verticali o
selettive (mirate a specifici settori, filiere o cluster). Quelle selettive possono essere applicate ai
sistemi locali, ai settori o alle tecnologie per recuperare o guadagnare competitività.
44• Politiche industriali a livello europeo, nazionale o regionale
77
QUALI POLITICHE INDUSTRIALI?
45• Promozione della concorrenza (intese, concentrazioni, abuso di posizione dominante)
46• Regolamentazione dei monopoli naturali (liberalizzazioni, aste,…) – costo dell’energia
elettrica, dei trasporti, delle telecomunicazioni
47• Contributi alla produzione ed in conto capitale, agevolazioni fiscali e aiuti di stato
1. R&S (fallimento del mercato)
2. Investimenti infrastrutturali (nei settori in monopolio naturale)
3. Aree depresse
48• Politiche per l’innovazione: non solo di processo (riduzione dei costi) ma soprattutto di
prodotto e di tipo commerciale
49• Politiche per la formazione del capitale umano

Un sintetico excursus sulle politiche industriali in Italia: descrizione e valutazione


3. Contributi alla produzione ed in conto capitale, agevolazioni fiscali e aiuti di stato

Politiche industriali dirette: tipologie ed effetti


A. Sussidi alle imprese
A. Legge 19 dicembre 1992, n. 488 «intervento straordinario nelle aree depresse»
B. Patti territoriali
A. Legge 23 dicembre 1996, n. 662
C. Crediti di imposta
A. Legge 23 dicembre 2000, n. 288 «disposizioni fiscali per favorire lo sviluppo
equilibrato»
D. Smart Specialization Strategy (S3)
E. Leggi regionali varie
A. legge regionale sarda 15/94 sulla performance delle imprese; legge 27/93 della
Regione Toscana sull’imprenditoria giovanile
F. Legge di stabilità 2015:
A. Patent box
B. Sussidi all’innovazione

Legge 19 dicembre 1992, n. 488 «intervento straordinario nelle aree depresse»

La legge 488/92 nasce dopo la conclusione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, con lo
scopo di sostenere lo sviluppo economico nelle aree depresse del Paese tramite la concessione
ed erogazione di agevolazioni in favore delle attività produttive.
Lo strumento di incentivazione della legge 488 è il contributo a fondo perduto a fronte di
programmi di investimento pluriennali volti “alla realizzazione di nuove attività produttive ovvero
all’incremento della capacità produttiva e dell’occupazione, all’aumento della produttività, al
miglioramento delle condizioni ecologiche legate ai processi produttivi, all’aggiornamento
tecnologico, al rinnovo, alla riorganizzazione, alla diversificazione della produzione, alla modifica
dei cicli produttivi, alla ripresa dell’attività, al cambiamento della localizzazione degli impianti di
unità produttive esistenti” (art. 3).
Destinatarie delle agevolazioni sono le imprese dei settori manifatturiero, commerciale, turistico e
dei servizi, situate nelle aree del Mezzogiorno in ritardo di sviluppo (aree Obiettivo 1), nelle aree
del Centro-Nord a declino industriale (aree Obiettivo 2), nelle zone del Centro-Nord rurali
svantaggiate (aree Obiettivo 5b) e in tutte le altre aree depresse ammesse agli aiuti di
competenza regionale.
78
Dal 1996 al 2003 sono stati pubblicati 13 distinti bandi, di cui 6 riguardanti le imprese del settore
manifatturiero. Con questi 13 bandi sono state concesse agevolazioni per 17 miliardi di euro (circa
il 30% del totale degli aiuti alle imprese), di cui l’88% destinati ad imprese situate nel Mezzogiorno.
I progetti approvati sono stati circa 31.000, di cui due terzi al Sud. A causa delle selettività della
procedura di ammissione, meno del 50% delle richieste di finanziamento presentate sono state
approvate.
Contiene infatti un raro esempio di esplicita clausola valutativa, sotto forma di un esplicito
mandato assegnato allo stesso Ministero dell’Industria a svolgere attività di “valutazione
dell’efficacia degli interventi rispetto allo sviluppo economico delle aree interessate”

L’effetto incentivante delle agevolazioni


l’addizionalità “L’accesso ai contributi della legge 488 ha spinto le imprese a realizzare progetti di
investimento che altrimenti non avrebbero effettuato?”
Metodo di valutazione: un’indagine condotta su un campione di imprese beneficiarie delle
agevolazioni.
Risultato: Emerge chiaramente da questa analisi come l’effetto incentivante delle agevolazioni sia
piuttosto limitato

L’effetto sulla performance delle aziende agevolate


3• effetti sul fatturato, sui livelli di occupazione, sulla redditività e sulla stessa probabilità di
sopravvivenza dell’impresa sul mercato.
Le agevolazioni hanno un effetto positivo sulla performance delle aziende agevolate, ma è difficile
quantificare credibilmente questo effetto

L’effetto sull’occupazione a livello territoriale


8• dell’occupazione complessiva nelle aree territoriali con possibili effetti di spiazzamento o
di spillover
Gli autori concludono che “appare quindi confermata l’ipotesi che al Sud gli effetti di attivazione di
occupazione nell’area, generati dalla 488, sono positivi: non si registra un effetto spiazzamento,
ma al contrario un forte effetto moltiplicativo… legato probabilmente alla creazione di possibilità di
sviluppo a livello locale”.

- Patti territoriali
Il Patto territoriale è uno strumento per lo sviluppo locale avviato operativamente in Italia nel 1998,
che integra interventi di incentivazione al capitale per compensare gli svantaggi localizzativi del
territorio e interventi di contesto (infrastrutture materiali e immateriali) per rimuovere
strutturalmente tali svantaggi.
Due sono i principali obiettivi del patto territoriale: 1) promuovere la cooperazione fra soggetti
pubblici e privati di un dato territorio affinché disegnino e realizzino progetti di miglioramento del
contesto locale; 2) favorire attraverso tali progetti e attraverso la concentrazione territoriale e
tematica un volume di investimenti privati capace di produrre esternalità, ossia vantaggi anche per
altre imprese e per nuovi investimenti.

Conclusioni dello studio del MiSE


4• I dati mostrano che in diversi PT si è verificato un impatto significativo da un punto di vista
economico. Ma il senso di questo impatto non è a prima vista ovvio; soprattutto non è ovvio quale
sia lo specifico valore aggiunto connesso all’esperienza dei Patti, comparata ad altre politiche di
sviluppo.
5• I Patti hanno prodotto l'attivazione di nuovi investimenti privati sul territorio. L'esperienza
dei PTBA si connota tuttavia per il lungo tempo intercorrente fra la verifica della volontà di
79
investimento delle imprese e l'effettiva erogazione dei contributi pubblici: da questo punto di vista
non si tratta di uno strumento particolarmente efficiente.
6• Una maggiore selezione fra i progetti privati di investimento connota i Patti con una
migliore performance; al contrario i patti a peggiore performance si caratterizzano per l'esistenza
di coalizioni chiuse fra gruppi di imprenditori per l'accesso ai fondi pubblici.
7• Dov'è il loro specifico valore aggiunto? L'esperienza dei PTBA permette di confermare
che questo avviene per l'integrazione degli investimenti privati fra loro e con gli interventi pubblici;
per la loro contemporanea realizzazione e per l'effetto che questo produce sulle aspettative.

Un ulteriore valutazione dei Patti territoriali


A partire dal 1997, il programma dei Patti Territoriali è stato uno dei principali strumenti di
intervento pubblico per lo sviluppo locale delle aree sottoutilizzate del paese (Mezzogiorno più
alcune aree del Centro Nord eleggibili per i fondi strutturali dell’Unione Europea). Il Patto
Territoriale è un “contratto” firmato dai rappresentanti delle amministrazioni locali di un gruppo di
comuni contigui, degli imprenditori e dei sindacati contenente il dettaglio delle iniziative
imprenditoriali e degli investimenti pubblici per cui si chiede il finanziamento pubblico. Il sostegno
pubblico per ciascun Patto è fissato a un massimo di 50 milioni di euro. Nel decennio 1996-2006
sono stati attivati 220 Patti, con un onere per l’amministrazione pubblica pari a 5,5 miliardi di euro.
Accetturo e de Biasio (2011) valutano l’impatto di questo programma sulla crescita dell’attività
economica nelle aree che hanno beneficiato dell’intervento nel periodo 1996-2004. Il lavoro si
concentra sui primi 51 Patti Territoriali approvati nel biennio 1997-99, per cui sono disponibili
maggiori dati. Per valutare se l’intervento abbia generato una crescita dell’occupazione e delle
imprese superiore a quella che si sarebbe ottenuta in assenza del programma, si confronta
l’andamento dell’attività economica nei comuni beneficiari con quella dei comuni non eleggibili
che, per caratteristiche socio-economiche, risultavano simili ai comuni trattati.
Il lavoro mostra come la partecipazione a un Patto Territoriale non abbia generato un aumento
dell’attività economica delle aree interessate. Questo risultato è confermato anche per quel
sottogruppo di comuni appartenenti ai Patti Territoriali che hanno mostrato la miglior capacità di
utilizzo dei fondi loro stanziati. Non risultano, inoltre, eterogeneità territoriali nella performance tra i
Patti del Mezzogiorno e quelli del Centro Nord.

- Il credito di imposta
0• Il credito d’imposta introdotto con la Legge no. 388 del 2000 ha rappresentato il principale
intervento di sostegno agli investimenti nelle aree in ritardo di sviluppo; da quando è stato
introdotto e sino al 2005, sono state così finanziate 200.340 imprese per un totale di 5,7 miliardi di
euro.
1• Il credito d’imposta riduce il costo dell’investimento senza alterarne il rendimento. Nel
caso della Legge 388, il bonus fiscale può essere portato in detrazione a qualsiasi tipo di
pagamento da effettuare alla Pubblica Amministrazione; il programma quindi non è circoscritto alle
sole imprese che presentano un utile d’esercizio. Gli incentivi hanno riguardato soltanto imprese
operanti in determinate aree, situate principalmente nelle regioni meridionali, con percentuali di
sgravi differenziate per regione.
2• Gli investimenti delle imprese che hanno fatto ricorso al credito d’imposta sono stati
confrontati sia con quelli delle imprese localizzate in aree agevolate che hanno scelto di non
utilizzare gli sgravi, sia con gli investimenti delle imprese localizzate in aree non agevolate, che
non potevano quindi usare gli incentivi. In media, gli investimenti delle imprese che hanno scelto di
beneficiare della detrazione sono risultati superiori a quelli di imprese, con caratteristiche simili,
appartenenti ai due gruppi di controllo.
3• Il credito d’imposta sembra quindi essersi positivamente riflesso sulla crescita degli
investimenti, consentendo l’attivazione di iniziative che in assenza di agevolazione non sarebbero
80
state avviate. Inoltre, l’effetto sull’accumulazione non pare che possa essere ricondotto a
fenomeni di sostituzione intertemporale, oppure che abbia prodotto distorsioni sull’efficienza e la
redditività delle imprese sussidiate.
4• Per quanto riguarda il controllo dei flussi di spesa da parte dell’amministrazione erogante,
tuttavia, il credito d’imposta presenta significative limitazioni. In particolare, a causa
dell’automaticità di erogazione del beneficio e della mancanza di filtri autorizzativi, è difficile per
l’amministrazione prevedere il numero di imprese che faranno ricorso agli sgravi e le dimensioni
complessive degli sgravi stessi.
5• Nell’esperienza concreta di attuazione della Legge 388, dopo meno di due anni
dall’avvio dell’iniziativa, le allocazioni di bilancio per il credito d’imposta vennero drasticamente
diminuite per far fronte ai vincoli di finanza pubblica; contestualmente fu introdotto un criterio di
approvazione ex-ante delle richieste di agevolazione, basato su un meccanismo di precedenza
temporale delle richieste.

- Smart Specialisation Strategy (S3)


21• Lanciata dalla Commissione europea e sostenuta da una piattaforma dedicata, la “Smart
Specialisation Strategy” risponde a tre questioni chiave:
0– promuovere l’eccellenza europea e mettere a sistema gli sforzi in materia di sostegno
all’innovazione;
1– evitare la frammentazione e la tendenza alla sovrapposizione di specializzazioni negli
stessi campi;
2– sviluppare strategie d’innovazione realistiche e attuabili, in particolare nelle regioni meno
avanzate.
22• La strategia di “smart specialisation” è una strategia d’innovazione concepita a livello
regionale, ma valutata e messa a sistema a livello nazionale ed europeo. L’obiettivo generale di
valorizzare le eccellenze si traduce, a livello operativo, nella valorizzazione dei settori e/o delle
nicchie di mercato dove i territori dispongono di chiari vantaggi competitivi o di determinate
potenzialità di sviluppo imprenditoriale.
23• L’approccio viene fatto proprio anche dal Programma Horizon 2020, che sottolinea
l’importanza di questo concetto in ciascuno dei tre pilastri del Programma (excellence in science,
leadership industriale, sfide sociali) e imposta sinergie con i fondi strutturali e, più in generale, con
la politica di coesione dell’Unione europea. La Commissione europea ha ripreso il concetto
utilizzandolo come raccomandazione per:
3– migliorare l’efficacia dei sistemi nazionali e regionali responsabili dell’attuazione delle
politiche di ricerca e innovazione;
4– ripartire e mettere a sistema gli interventi dei fondi europei (Horizon, Cosme, fondi
strutturali) nel loro sostegno all’innovazione.

Conclusioni su «Contributi alla produzione ed in conto capitale, agevolazioni fiscali e aiuti di stato”
- Principalmente destinate alle aree territoriali in ritardo di sviluppo (agevolazioni fiscali, patti
territoriali): orizzontali
- Ma anche Smart Specialisation Strategy (S3): verticali
- Efficacia: parziale, dubbia
- Scarsità di fondi
- Discontinue

4. Le politiche per l‘innovazione


- Fondo per le Agevolazioni della Ricerca (FAR)
- Fondo per l’Innovazione Tecnologica (FIT)
- Industria 2015 (2006)
81
- Legge di stabilità per il 2015
• Patent Box
• Credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo
- Legge di stabilità per il 2015
• Piano nazionale Industria 4.0
- Legislazione regionale FVG

Politiche per la ricerca accademica, industriale e per l‘innovazione


Due sono i pilastri della politica per l’innovazione:
- Fondo per le Agevolazioni della Ricerca (FAR)
- Fondo per l’Innovazione Tecnologica (FIT)
Inoltre, sono presenti numerose politiche regionali: esempio FVG

Fondo per le Agevolazioni della Ricerca (FAR)


8• Il FAR, istituito nel 1968, è stato più volte oggetto di revisione fino alla riforma del 1999
(DL 297). Esso è uno strumento che comprende misure diverse: bottom-up di tipo
selettivo/valutativo, top-down, di tipo negoziale, così come misure fiscali di tipo automatico rivolte
alle PMI. Gli aiuti consistono in sussidi a fondo perduto, crediti agevolati e credito d’imposta. Il
Fondo comprende anche la parte della legge 488/1992 dedicata ai progetti di R/S nelle aree
depresse e i programmi co-finanziati dai fondi europei FESR e FER per le regioni Obiettivo 1.
Valutazione ex-post del FAR (Potì-Cirulli)
9• La misura di politica esaminata ha avuto un effetto medio aggregato positivo
sull’investimento industriale in ricerca, che tuttavia sottende importanti differenze tra le imprese.
Le differenze di effetto (addizionalità o spiazzamento) delle imprese non sono state dovute tanto a
diversa sensibilità ai vincoli finanziari (come la teoria generalmente sostiene), quanto ad altri
caratteri quali la dimensione e l’orientamento strategico, relativo in particolare alla capacità di
trasformazione dei risultati di ricerca in output innovativi.

Fondo per l’Innovazione Tecnologica (FIT)


Il FIT (Fondo per l'Innovazione Tecnologica) è destinato al sostegno dei programmi di ricerca
relativi ad attività preponderanti di sviluppo precompetitivo (secondo la definizione di seguito
riportata), che siano presentati da imprese, anche congiuntamente a Università o enti di ricerca.

Sviluppo Precompetitivo: E' la concretizzazione dei risultati della ricerca industriali in un piano,
progetto o disegno per prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati o migliorati, siano
essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non
idoneo ai fini commerciali.

Una critica alle politiche per l’innovazione


(da Sandro Trento, Innovazione e crescita delle imprese nei settori tradizionali, Centro Studi
Confindustria, Working Paper Luglio 2007 – n. 57)
9• Il sostegno pubblico allʹattività di R&S si è finora articolato in incentivi di natura finanziaria
(contributi in conto capitale e interesse, finanziamenti agevolati e concessioni di garanzie),
incentivi fiscali (come il credito di imposta) e incentivi di carattere infrastrutturale (centri di ricerca,
agenzie per il trasferimento delle tecnologie, parchi scientifici e tecnologici)
10• Le politiche a sostegno dellʹinnovazione in Italia sono frammentate e non rientrano in un
quadro di azione coerente e di ampio respiro.
11• Scarsa attenzione è invece rivolta alle innovazioni di prodotto e, tra queste, al sostegno
alla fase di commercializzazione, che in qualche caso è espressamente esclusa dalla definizione
di attività innovativa e dunque da eventuali sostegni.
82
 
INNOVAZIONE E PRODUTTIVITÀ NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE: EVIDENZA EMPIRICA
PER L’ITALIA -  B. H. Hall, F. Lotti, J. Mairesse - Tema di discussione n. 718, giugno 2009

24• La crescita della produttività del lavoro in Italia è stata nell’ultimo decennio tra le più
basse dell’UE, particolarmente nel settore manifatturiero. Tra le possibili cause di questa
deludente performance, spicca il basso investimento in ricerca e sviluppo (R&S). Nel 2006, l’Italia
ha investito in R&S solo l’1,14 per cento del PIL, un valore ben al di sotto della media europea
(1,77) e degli obiettivi del trattato di Lisbona. Mentre il contributo pubblico alla spesa in R&S risulta
in linea con quello degli altri paesi europei, quello privato risulta particolarmente basso. Ciò
potrebbe discendere, in parte, dalla frammentazione del sistema produttivo italiano, in cui oltre il
99 per cento delle imprese attive ha meno di 250 dipendenti.
25• La letteratura teorica ed empirica mostra che la relazione tra innovazione e dimensione di
impresa è positiva. L’attività innovativa delle piccole e medie imprese (PMI), sia essa radicale o
incrementale, si differenzia da quella delle grandi imprese per il limitato ricorso alla spesa in R&S.
26• Utilizzando i dati provenienti da tre indagini successive sulle imprese manifatturiere
italiane condotte da Unicredit che si riferiscono al periodo 1995-2003, il lavoro esamina come e in
quali condizioni si svolga l’attività innovativa nelle imprese con meno di 250 addetti. Viene stimato
un modello che coglie i legami tra innovazione, investimenti in R&S, dimensione d’impresa e
produttività, la cui formulazione risulta particolarmente adatta per le PMI in quanto si basa su un
modello comportamentale che permette di ricostruire lo sforzo innovativo anche delle imprese che
non hanno, o non hanno riportato, spese in R&S.

INNOVAZIONE E PRODUTTIVITÀ NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE: EVIDENZA EMPIRICA


PER L’ITALIA
 B. H. Hall, F. Lotti, J. Mairesse - Tema di discussione n. 718, giugno 2009

- Dai risultati emerge che l’intensità di R&S (misurata come spesa in R&S per addetto) risulta
più elevata nelle imprese più esposte alla concorrenza internazionale; tale effetto è più forte
nei settori high-tech, nei quali lo sforzo innovativo è di norma doppio rispetto a quello dei
settori low tech.
- La dimensione d’impresa, l’intensità di R&S e gli investimenti materiali aumentano la
probabilità di ottenere innovazioni, ma è la spesa in R&S ad avere l’impatto maggiore:
raddoppiandone il valore, la probabilità di realizzare innovazioni aumenta del 20 per cento
per quelle di processo, del 25 per cento per quelle di prodotto.
- Come atteso, l’attività innovativa, soprattutto di processo, ha un effetto positivo sulla
produttività del lavoro. L’innovazione di prodotto risulta più rilevante per le imprese dei
settori high-tech; in questi ultimi, le imprese con più di 15 anni risultano significativamente
meno produttive rispetto a quelle più giovani.

Industria 2015
Industria 2015 è il nome sintetico del Disegno di legge per la competitività ed il rilancio della
politica industriale, approvato il 22 settembre del 2006 dal Governo Prodi II.
Il Disegno di legge mira a riportare al centro dell'attenzione i temi dell'impresa, che esso intende
come il luogo dove la tradizione e l'innovazione si incontrano, si crea nuova ricchezza, si
valorizzano le singole competenze, i giovani trovano il loro sbocco professionale. Inoltre, nella
comune presenza di personale italiano e immigrato, Industria 2015 vede il tempo trascorso
all'interno dell'impresa come un'occasione privilegiata per la pacifica integrazione di culture
diverse.

83
Nell'attuazione degli interventi previsti, il Ministero dello sviluppo economico è assistito dall'Istituto
per la Promozione Industriale (IPI), sua agenzia tecnica.
Gli strumenti sui quali ruota l'azione di Industria 2015 sono: i Progetti di innovazione industriale
(PII), le Reti d’impresa, la Finanza innovativa.
Ogni PII è individuato in base alle linee strategiche di Industria 2015, seguendo il criterio di un
palese impatto macroeconomico di livello nazionale, e deve possedere le seguenti caratteristiche:
27• focalizzazione sugli obiettivi di avanzamento tecnologico definiti nelle linee strategiche;
28• ricaduta industriale in termini di nuovi processi, prodotti o servizi;
29• integrazione di strumenti di aiuto alle imprese, azioni di contesto, misure di
regolamentazione e semplificazione amministrativa;
12• coinvolgimento di grandi imprese, PMI, centri di ricerca;
13• sinergia dei soggetti pubblici responsabili delle azioni a sostegno, e particolarmente delle
Regioni che possono anche intervenire nelle operazioni di finanziamento;
14• attenzione allo sviluppo delle imprese giovanili.
I primi cinque PII individuati hanno per oggetto i seguenti temi: Efficienza energetica, Mobilità
sostenibile, Nuove tecnologie per la vita, Nuove tecnologie per il made in Italy, Tecnologie
innovative per i Beni culturali.
Le Reti d'impresa costituiscono un'alternativa per quelle aziende che vogliono aumentare la loro
forza senza doversi necessariamente unire in una fusione o ricadere sotto il controllo di un unico
soggetto.
Finanza innovativa. Con Industria 2015 nascono due nuovi fondi pubblici per realizzare gli obiettivi
di innovazione industriale e sostenere lo sviluppo del sistema produttivo italiano: il Fondo per la
competitività e lo sviluppo, il Fondo per la finanza d'impresa.

Il Sole24 ore: Industria 2015, la beffa per le imprese


0• «Numerose aziende infatti sono in attesa - molte anche da quattro anni - di ricevere i
fondi stanziati dal programma Industria 2015.»
1• «Le aziende hanno cominciato a lavorare e si affronta l'aspetto finanziario, con una
sorpresa che ha dell'incredibile: il ministero prepara un apposito modulo necessario per la
richiesta di una fidejussione bancaria da parte delle imprese impegnate nello sviluppo del
progetto. Un testo farraginoso, in cui non erano nemmeno indicati i limiti di validità. Il risultato è
stato che tutte le banche non hanno accettato come valido quel documento. Le anticipazioni
quindi sono state concesse come normali prestiti bancari. E oggi molte aziende segnalano che le
banche si stanno muovendo per rientrare delle somme erogate».
Industria 2015, i numeri di un progetto mai decollato (https://www.digital4.biz/)
2• 800 milioni per l’innovazione, 303 progetti presentati e solo 3 che sono arrivati in fondo.
La Corte dei Conti certifica il fallimento di Industria 2015, una storia che testimonia il difficile
rapporto italiano con il mondo dell’innovazione. “Le somme complessivamente erogate - pari a
23.287.903 euro - ammontano al 3% di quelle impegnate, 663.239.227 euro risultano andati in
perenzione (in pratica non sono stati utilizzati, ndr). Nessuna attuazione è stata data alle Azioni
connesse ai Progetti” è la conclusione della Corte.  
3• Secondo i giudici  le criticità più significative hanno riguardato i tempi molto lunghi
necessari per giungere all’emanazione dei decreti di concessione (23-25 mesi in media), la poca
stabilità dei programmi, soggetti a frequenti variazioni - anche prima del decreto di concessione - e
proroghe oltre alla scarsità delle erogazioni richieste. Scarsa tempestività è stata anche riscontrata
nel processo di nomina dei technical officer, le figure che avrebbero avuto il compito di dare una
valutazione tecnico scientifica sui progetti. Altri fattori che hanno complicato la vita del progetto
sono da addebitare alla crisi economica e “all'incertezza che ha caratterizzato l’assetto
istituzionale degli organismi demandati dell’attuazione dei Progetti - Agenzia per la diffusione delle
tecnologie per l’innovazione mai divenuta effettivamente operativa nell’esercizio dei compiti di
84
supporto e di istruttoria tecnico-scientifica per la valutazione dei Progetti, Istituto per la promozione
industriale – titolare della funzione di supporto al Mise per la definizione e implementazione dei
Progetti, soppresso a due anni dall’introduzione dello strumento – con la conseguente necessità
dell’adozione di strumenti sostitutivi non sempre adeguati e comunque comportanti maggiori
costi”.  Poi è arrivato il governo successivo che a Industria 2015 ci credeva molto poco e infine la
spending review che ha cancellato duecento milioni dei 663 in teoria ancora a disposizione. Il
resto è stato congelato.

Recenti incentivi all’innovazione


Legge di stabilità per il 2015:
15• Patent Box: prevedono una tassazione agevolata sui redditi derivanti dalle opere di
ingegno (marchi e brevetti) consistente in una deduzione pari al 30% nel 2015, al 40% nel 2016 e
al 50% dal 2017 di tali redditi.
16• Credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo: L’agevolazione è fruibile da tutte le
imprese senza limiti di fatturato, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in
cui operano e dal regime contabile adottato. L’agevolazione fiscale, utilizzabile a compensazione,
è pari al 25 per cento delle spese incrementali sostenute annualmente nel periodo 2015-2019
rispetto alla media realizzata nei tre anni precedenti. L’aliquota è elevata al 50 per cento per le
spese relative all’impiego di personale qualificato e per quelle relative a contratti di ricerca con
università o altri enti equiparati e con start-up innovative.
L’investimento minimo per accedere allo sgravio fiscale è pari a 30 mila euro mentre il beneficio
massimo annuale è ammesso fino a 5 milioni di euro per ciascun soggetto.
30• Costo: valutato in 2,4 miliardi totali nel periodo 2015-2020 (255,5 milioni di euro per il
2015, 428,7 milioni di euro per il 2016, 519,7 milioni di euro per il 2017, 547 milioni di euro per
gli anni 2018 e 2019 e 164 milioni di euro per l'anno 2020).

Legge di bilancio 2019

Politiche regionali – dal sito FVG

85
La valutazione delle politiche
- Avendo invece a disposizione risorse assai limitate per le politiche industriali va in tutti modi
evitato di usarle in modo inefficiente. Ciò richede un’adeguato processo di valutazione che
esplichi tutte e tre le fasi del processo: quella ex-ante, in-itinere ed ex-post, così come
adeguatamente prescritto dall’Unità di valutazione degli investimenti pubblici (UVAL) che opera
presso il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica del Ministero dello Sviluppo
Economico.
- La valutazione è anche prevista dai Fondi Strutturali europei
- La fase di valutazione ex-ante prevede: la descrizione dei problemi, l’analisi dei bisogni,
l’analisi della logica o della teoria del programma, lo studio di fattibilità e l’aiuto alla decisione.
- La fase di valutazione in itinere prevede: l’analisi dell’implementazione, la valutazione del
processo, ed il monitoraggio del programma.
- La fase di valutazione ex post prevede: la valutazione degli esiti, l’analisi costi- benefici,
l’analisi costi-efficacia. Questo tipo di valutazione è la più difficile e la meno applicata, anche a
livello europeo.
- Le regioni italiane hanno in passato scarsamente applicato questi principi alle loro politiche
industriali e quindi mancano adeguati elementi (dati, informazioni, pubblicazioni) che oggi
sarebbe utili per poter adeguatamente intervenire ad arrestare il declino industriale.

Conclusione sulle politiche per l’innovazione


- Esistono molte sperimentazioni
- Sono realizzate a diversi livelli: europeo, nazionale, regionale
- È difficile documentarne l’efficacia: dipende dal settore, dalla dimensione
dell’impresa, dalla localizzazione, se è innovazione di processo o di prodotto
- Si è oscillato tra politiche orizzontali e politiche selettive

86
- La gestione delle politiche selettive è stata spesso approssimativa (Industria
2015)
- Mancano di continuità temporale
- I finanziamenti risentono della crisi economica
- La valutazione ex-post dell’efficacia delle misure è carente

Le politiche per la formazione del capitale umano


Esistono due gruppi di motivazioni principali per le politiche industriali: i fallimenti del mercato e la
promozione dello sviluppo
Esistono 5 diversi tipi di politiche industriale: da costo zero per il bilancio pubblico quali le politiche
della concorrenza fino a molto onerose quali le politiche industriali dirette.
Esistono molte tipologie di politiche industriali, con contributi alla produzione ed agli investimenti,
sia a livello nazionale che regionale, quali i sussidi alle imprese ex Legge 19 488\1992, i Patti
territoriali ex legge 662\1996, i crediti di imposta ex Legge 288\2000, Industria 2015, Industria 4.0
e le leggi regionali di promozione dell’innovazione.
Gli studi esistenti sull’efficacia delle diverse politiche promosse in Italia giungono a risultati
contrastanti: alcuni positivi, altri negativi.
In generale, emerge che le politiche a sostegno delle imprese sono state numerose, ma spesso
frammentarie e discontinue e che si è manifestato un circolo vizioso: aumento del debito pubblico
- eliminazione degli incentivi al capitale ed al lavoro
La formazione del capitale umano va rafforzata

87

Potrebbero piacerti anche