Se la domanda incrocia i costi medi nella fase discendente (la curva dei
costi marginali sta sotto alla curva dei costi medi), ci si trova in una
fase in cui ci sono le condizioni di rendimenti di scala crescenti:
all’aumentare della scala della produzione, i costi medi diminuiscono.
Si ipotizzi che quanto detto sopra possa succedere con costi marginali costanti (i costi marginali nei settori
di monopolio naturale sono irrisori), cioè che la domanda incrocia prima la curva dei costi medi e poi la
curva dei costi marginali: problemi nel conciliare efficienza produttiva ed efficienza allocativa!
Costi totali= costi fissi F+costi variabili (con costi marginali costanti)
c*Y
La curva dei costi medi ha una parte costante (c) e una parte variabile
(F/Y) che è decrescente al crescere della quantità prodotta: > Y < F
I costi fissi sostenuti F si distribuiscono fra la quantità che viene prodotta Y: più si riesce a produrre, più si
riesce ad ammortizzare/distribuire i costi fissi, diminuendo in questo modo i costi medi (che saranno
comunque maggiori ai costi marginali).
La situazione appena descritta è possibile trovarla nei settori (con elementi di monopolio naturale) in cui
l’investimento fisso per produrre e distribuire è molto elevato e spesso ha a che fare con un’infrastruttura a
rete di distribuzione di questo bene/servizio su ampia scala; alcuni esempi: energia elettrica, gas naturale,
trasporto ferroviario, servizi idrici… In questi settori la parte di costo fisso F è una quantità molto
importante ed elevata: soddisfare l’intera domanda non esaurisce le economie di scala; mentre, il costo di
servire un nuovo utente è molto basso (c).
Altro aspetto importante di questi settori è che offrono tutti servizi essenziali per lo sviluppo di un territorio;
c’è un grosso sforzo da parte delle aziende per tenere in efficienza questi servizi, per modernizzarli, per
mantenerli… Si tratta di servizi essenziali di carattere economico che forniscono infrastrutture di base su cui
costruire altre attività. Queste caratteristiche hanno fatto sì che, storicamente, questi settori fossero gestiti da
una sola impresa (in Italia: ENEL, ENI, RAI…).
Si chiamano settori in monopolio naturale perché la scala minima efficiente di questi settori coincide con
l’intera area di mercato e se lo stesso servizio fosse fornito da due aziende, ognuna con la propria rete, le
economie di scala non sarebbero sfruttate a pieno.
1
Tre esiti possibili che si possono avere in questi mercati:
Monopolio naturale in C
RM=CMa
- monopolista massimizza il suo profitto
- generando una perdita di benessere
Monopolio naturale in A
P=CM
- ottimo allocativo perché il
Regolatore impone il prezzo che garantisce
l’efficienza allocativa; i prezzi pagati
riflettono i costi di produzione (benessere
sociale è massimo)
- ma in questa situazione il
monopolista non copre i costi di produzione e
quindi realizza una perdita
Come coprire la perdita? Dato che è stato il Regolatore a imporre P=CM allora il Regolatore dovrà
occuparsi di coprire tale perdita: fiscalità generale (fondi pubblici: risorse di tutti i cittadini che
contribuiscono a coprire la perdita del monopolista).
Monopolio naturale in B
P= CMe
- il Regolatore sceglie di permettere al monopolista naturale (privato o
pubblico) di coprire i costi ed avere profitto nullo (non ci sono perdite
come in A quindi per il monopolista è sostenibile)
- ma B non è un ottimo allocativo (c’è una piccola perdita di benessere;
comunque, minore all’esito in C!)
Concetto “costo sub-additivo”: esistono le condizioni di monopolio naturale quando il C(q) è inferiore alla
somma di C(q1)+ C(q2)… Cioè quando il costo di produrre tutto da un’unica azienda è inferiore al costo di
produrre separatamente le parti (q prodotta da tante diverse aziende):
K
dato q i
q allora C q C q1 C q 2 .... C q n
i 1
3
Soluzioni possibili al monopolio naturale
1. Non intervento
Se il potere monopolistico non è considerevole, una possibilità da considerare è quella di non intervenire.
Possono essere tollerati dei gradi di inefficienza dei monopoli locali poiché il costo dell’intervento sarebbe
maggiore ai benefici.
2. Soluzioni ideali
A. Prezzi lineari
Questa alternativa prevede che il prezzo sia linearmente uguale al costo marginale, per cui la spesa per i
consumatori sarebbe proporzionale alla quantità acquistata.
Il vantaggio sarebbe quello di avere efficienza allocativa ma, per il monopolista, c’è una perdita perché il
prezzo è inferiore al costo medio. La perdita può teoricamente essere coperta con un sussidio finanziato con
una tassa lump-sum (non distorsiva). A questo punto però si creerebbero una serie di problemi poiché se la
perdita è coperta da un sussidio, c’è un indebolimento degli incentivi al controllo dei costi (la copertura della
perdita garantita non incentiva le imprese ad essere efficienti); inoltre, ci sono effetti redistributivi a
svantaggio di chi non consuma il bene (i costi sono a carico di tutti, i benefici vanno però solo a chi
usufruisce del bene/servizio). Infine, è politicamente difficile sussidiare un monopolio naturale se questo è in
mani private.
Dunque, si potrebbe ritenere meglio praticare P=Cme ma ciò porterebbe ad una perdita di benessere.
2)
L’impresa pubblica è la soluzione tradizionale al problema di monopolio naturale adottata fino agli anni
‘90, periodo di inizio di un tentativo di liberalizzazione, privatizzazione, permettendo l’ingresso a più
operatori.
L’impresa pubblica, l’azienda monopolista è di proprietà pubblica e viene gestita da managers pubblici,
soggetti al controllo politico e quindi agli elettori.
La soluzione al monopolio naturale dell’impresa pubblica consiste nel cambiare la funzione obiettivo del
monopolista, da massimizzazione dei profitti (riduzione dei costi e adozione di prezzi soddisfacenti) a
massimizzazione del benessere sociale (prezzi bassi, servizi ampi e qualitativamente buoni).
Infatti, le imprese private puntano alla massimizzazione dei profitti per soddisfare i propri azionisti o il
proprio valore di borsa; le imprese pubbliche puntano a servire il servizio al minimo costo; nelle imprese
pubbliche, infatti, non vi sono azioni da massimizzare, ma c’è un servizio da sostenere nell’interesse della
comunità.
Le imprese pubbliche (intervento pubblico nell’economia tramite le imprese pubbliche) non sono usate solo
nel caso di monopoli naturali, ma anche per:
• Abolizione della proprietà privata: tutte le forme di produzione nei paesi comunisti (nei Paesi dove sono
prevalse certe ideologie, volontà di sostituire la proprietà privata con forme di proprietà pubblica; esempi
attuali sono Cuba e Cina)
• Promozione dello sviluppo economico (imprese pubbliche storicamente usate per la promozione dello
sviluppo economico): per esempio IRI (Istituto per la ricostruzione industriale, 1933-2002) in Italia
(chimica, cantieri navali, siderurgia, agricoltura, industria, banca, ecc.); idea che in assenza di
investimenti privati, impresa pubblica sia la soluzione
• Fornitura di beni pubblici (ospedali, difesa, istruzione); per la loro natura di beni pubblici (non rivalità-
non escludibilità): imprese private non ne offrirebbero abbastanza
• Partecipazione e controllo pubblico in aziende strategiche (auto, chimica, siderurgia, armi, aerospaziale,
meccanica); intervento pubblico con quote volte a finanziare e/o co-dirigere
• Monopolio naturale nazionale e locale (energia elettrica, gas, servizi idrici, gestione di porti, aeroporti,
ecc.)
Secondo Musgrave, il ruolo dello Stato nell’economia è estremamente importante ed è distinto in tre
funzioni:
- stabilizzazione (risposta dello Stato alla crisi: intervento anticiclico con emissione di risorse…)
- distribuzione (equità tra i cittadini; redistribuzione della ricchezza per assetto sociale equilibrato: spostare
risorse)
- allocazione (fornitura di beni pubblici e correzione delle esternalità)
- (aggiunta di Danielis) produzione: produzione diretta di beni pubblici, produzione diretta o indiretta di beni
in settori di monopolio naturale e finanziamento della ricerca e sviluppo
Principali motivazioni a favore dell’impresa pubblica come soluzione utile ed efficiente per la gestione
dei monopoli naturali:
1. Necessità di ingenti investimenti infrastrutturali in settori strategici con una durata in vita lunga e a
redditività molto lenta (esternalità produttive; energia, strade, gas, telefonia, acqua…)
5
2. Infrastrutture a rete con interconnessioni (esternalità di rete; rischio di una sottoproduzione e quindi
c’è bisogno di una soglia critica molto elevata)
3. Obbligo di servizio pubblico (servizio universale anche se non economico; settori che producono
beni e servizi di base)
4. Monopolio privato inaccettabile (impresa pubblica è un’alternativa)
Per questi motivi, l’impresa pubblica è stata la forma più usata, anche nel caso di investimenti inizialmente
privati. La discussione sul ruolo dello Stato è un tema sempre molto dibattuto ed attuale; un esempio attuale
e importante è l’infrastruttura della fibra ottica che è fondamentale per le telecomunicazioni.
Impresa privata
• il proprietario vuole massimizzare i profitti, per cui per ricomporre il conflitto proprietario (azionisti)-
manager, fa dipendere la retribuzione del manager dai profitti dell’azienda (attraverso premi e
partecipazioni azionarie)
– il problema non è completamente risolto perché il manager riceve una parte dei profitti. La
retribuzione dei manager può essere enormemente più elevata di quella degli altri lavoratori
• c’è un incentivo implicito nel mercato del lavoro in quanto la redditività dell’azienda aumenta la
reputazione del manager e quindi il suo reddito futuro
• ulteriormente, il manager è soggetto al rischio di licenziamento, in modo diretto o tramite il mercato dei
capitali (l’acquisizione dell’azienda e la sostituzione del management)
Impresa pubblica
Non esiste una simile struttura di incentivi perché:
• il benessere sociale è più difficile da misurare del profitto
• è quasi assente il rischio di licenziamento indiretto tramite il mercato dei capitali, data la non
trasferibilità della proprietà
• il prezzo e la quantità e qualità dei servizi potrebbero rappresentare indicatori di performance in
alternativa al profitto, ma questi possono essere usati strumentalmente dai managers per massimizzare la
loro popolarità
• le inefficienze dei manager ed il loro desiderio di massimizzare la popolarità e minimizzare i conflitti si
possono tradurre facilmente in generose concessioni salariali ed eccesso di investimento
• le imprese pubbliche sono inoltre caratterizzate da frequenti sussidi incrociati
Nel confronto tra impresa privata e pubblica la teoria economica predice quindi che le imprese
pubbliche:
• adotteranno prezzi più bassi
• praticheranno una minore discriminazione dei prezzi
• guadagneranno minori profitti
• saranno meno efficienti
• useranno più capitale e lavoro
Conclusioni
La gestione del monopolio naturale tramite l’impresa pubblica presenta dunque sia aspetti positivi sia aspetti
problematici
Nelle fasi iniziali dello sviluppo economico, in assenza di capitali privati, l’impresa pubblica è la soluzione
più praticabile.
Successivamente, in presenza di un mercato di capitali e tramite la costituzione delle autorità di settore, si
cerca di privatizzare\liberalizzare i settori in monopolio naturale scorporando il settore (unbundling) e
introducendo quanti più meccanismi concorrenziali possibili.
Le autorità di regolazione sorvegliano i monopolisti pubblici, misti o privati.
Il problema sta nel trovare come incentivare il monopolista naturale a contenere i prezzi:
Prima soluzione all’incentivo: piano sliding scale
L’idea è di utilizzare nella fissazione del livello dei prezzi la seguente formula:
ra = rt + h(r* - rt)
dove: ra = redditività risultante (actual), rt = redditività al tempo t, r* = redditività obiettivo
• se h=1, ra=r* : i prezzi sono fissati in modo da garantire in ogni caso all’azienda la redditività obiettivo,
nessun incentivo (cost-plus)
• se h=0, ra=rt : i guadagni di efficienza sono completamente a vantaggio dell’azienda, così come eventuali
perdite, incentivo massimo (fixed-price)
• se h=1/2 i rischi ed i guadagni del monopolista naturale sono condivisi dalla società, incentivo parziale e
condivisione dei rischi! (sliding scale)
Permette di condividere i rischi e la remunerazione tra il monopolista e la società (i consumatori).
Cos’è un sussidio incrociato? Un sussidio incrociato nasce quando un gruppo di consumatori paga per un
bene di più di quanto costerebbe produrre quel bene in modo isolato, sussidiando in questo modo altri gruppi
di consumatori. Per verificare la presenza di un sussidio incrociato si può usare il criterio del costo medio
isolato; nel caso dei prezzi Ramsey non ci sono mai sussidi incrociati! Esempio, esiste un sussidio
incrociato per le tariffe degli autobus, il prezzo del biglietto è uguale per tutti, non dipende dal tipo di
servizio richiesto; la situazione che si verifica è che chi fa viaggi bevi sussidia chi fa viaggi lunghi.
3) L’asta competitiva è una soluzione al problema del monopolio naturale; consiste nel fatto che la
possibilità di svolgere il servizio nei settori in monopolio naturale viene concessa tramite aste al miglior
offerente. Tale strumento è tipicamente usato dalle amministrazioni pubbliche e private per selezionare i
fornitori di un servizio.
P1 B
A C 2 selezione. Idealmente, ci si aspetta che all’asta partecipi un numero consistente di
D
A C 1
competitori e che quindi vinca il migliore; potrebbe però anche esserci un solo
F ig . 1 3 .2
Q partecipante.
Conclusioni:
10
Si è visto che con le aste (franchise bidding), lo Stato svolge la funzione di bandire d’asta invece che di
regolare. Alla concorrenza nel mercato si sostituisce la concorrenza per il mercato.
Il ruolo dello Stato è più importante di quanto appaia (non solo arbitro ma anche regolatore perché vi sono
diverse problematiche) a prima vista a causa:
• delle incertezze legate alla qualità
• della variabilità nel tempo dei costi e della domanda futura
• della necessità di considerevoli investimenti iniziali che impongono concessioni di durata non breve
• dell’opportunismo del vincitore
• del probabile vantaggio della azienda che già fornisce il servizio (avendo ricevuto la concessione)
rispetto alle altre
Il vantaggio teorico del franchise bidding rispetto ad altre forme di regolamentazione tende pertanto a
scemare. Il franchise bidding tende ad assomigliare alla regolamentazione: differenze sono di grado e non di
natura.
5)
Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del SETTORE FERROVIARIO
Principali caratteristiche tecnico-economiche
• Elementi del monopolio naturale di natura fissa (costi fissi): binari, stazioni, locomotive e vagoni (in
proprietà o in affitto); rete va ammodernata e messa in sicurezza periodicamente, stazioni sono punti di
intersezione tra linee e dove persone sostano quindi interessanti dal punto di vista economico (attività
commerciali), locomotive e vagoni costruiti ad hoc
• Principali costi variabili: personale (macchinisti, personale viaggiante...), pedaggi, energia; importanti
perché, ad esempio macchinisti, hanno corsi di formazione che durano due anni
• Elevata intensità di capitale (con vita economica però molto elevata) con limitata sostituibilità di capitale
e lavoro
• Settore a rete: nodi e connessioni programmazione integrata: ottimizzare la domanda e l’offerta;
domanda arriva da tanti punti della rete quindi offerta deve ottimizzare tempi e costi di trasporto
Presenta tutte le caratteristiche favorevoli all’economie di scala.
B. La gestione del servizio è offerta ad uno o più operatori in concorrenza fra loro (concorrenza per il
mercato).
C. La gestione della rete è sorvegliata da una autorità di regolazione che garantisce l’accesso alla rete equo
e non discriminatorio.
A. Separazione proprietaria tra gestore della rete e gestore del servizio e l’affidamento di quest’ultimo
ad operatori in concorrenza fra loro. Il vantaggio è quello di garantire in maniera equa e non
discriminatoria l’accesso alla rete, stimolando la concorrenza.
L’integrazione ha però dei vantaggi industriali che la separazione non ha come le economie di scopo,
vantaggi informativi (chi opera i treni conosce al meglio le criticità della rete), incentivi alla
manutenzione/investimento della rete (il mancato ammodernamento della rete ha effetti sulla operatività dei
treni) e riduzione dei costi di transazione (non si sono contratti da scrivere e monitorare tra aziende diverse).
Le analisi empiriche non sono conclusive né sugli effetti in termini di efficienza legati all’integrazione
verticale, né sulla presenza di economie di scopo fra il trasporto merci e quello passeggeri. Alcuni autori
mostrano che empiricamente la separazione verticale non determinerebbe significative differenze
nell’efficienza tecnica complessiva.
Nel caso un’impresa effettui sia servizi concorrenziali sia servizi pubblici è necessario evitare
comportamenti e strategie volti a falsare il gioco della concorrenza sul mercato concorrenziale grazie ai
ricavi ricevuti per il servizio pubblico.
B. Concorrenza per il mercato, nel caso non sia possibile avere più di un gestore e/o se il regolatore ha
scelto di sussidiare anche parzialmente il servizio.
La definizione di meccanismi di concorrenza per il mercato comporta numerose scelte di dettaglio quali:
• la dimensione del mercato da mettere a gara. Trade-off tra facilità di monitoraggio e numero di
potenziali partecipanti alla gara (rischi di collusione);
• il numero di tratte da affidare a ciascun gestore;
• le caratteristiche del contratto di servizio;
• la definizione del livello delle tariffe e dei sussidi;
• il meccanismo d’asta.
C. Contratto di servizio
Si tratta di uno strumento complementare alle gare è il contratto di servizio (CS): in presenza di asimmetrie
informative, definisce meccanismi di incentivo affinché il gestore offra la quantità e gli standard richiesti del
servizio.
Se lo stesso gestore ha oneri di servizio su alcune tratte ma non su altre (potenzialmente remunerative),
l’ente locale contraente può consentire all’impresa ferroviaria l’utilizzo di sussidi incrociati fra i due tipi di
servizio; tuttavia, ciò non dovrebbe essere ammesso qualora sulle tratte remunerative il gestore sia in
concorrenza con altre imprese.
Quali soluzioni sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore?
Politica ferroviaria europea: realizzazione del mercato unico, la riduzione dei sussidi pubblici e la
promozione della concorrenza creare una rete europea e permettere la concorrenza a livello europeo!
Quattro pacchetti ferroviari:
1° regole trasparenti e uniformi di accesso alla rete e prime misure per la liberalizzazione del trasporto
ferroviario di merci trans-europeo
2° piena apertura del mercato UE del trasporto ferroviario merci
3° apertura del mercato dei servizi ferroviari dei passeggeri
12
4° a) obbligatoria l'apertura alla concorrenza fra gli operatori nell'ambito dell'aggiudicazione dei contratti di
servizio pubblico di trasporto ferroviario, b) separazione fra il gestore dell'infrastruttura e l'operatore
storico (unbundling), neutrale rispetto la separazione totale delle attività, c) rafforzamento del ruolo
dell'Agenzia ferroviaria europea
Italia
In Europa il processo di liberalizzazione definito a livello europeo non ha dato risultati soddisfacenti. In
molti paesi la separazione verticale fra rete e gestore incumbent è ancora solo formale e il libero accesso di
concorrenti incontra notevoli ostacoli (fra cui quello della mancanza della reciprocità).
In Italia il recepimento della normativa europea è a uno stadio formalmente più avanzato rispetto ad altri
paesi europei:
• Separazione contabile: RFI e Trenitalia
• Alta velocità: nuovo entrante Italo - Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV)
• Trasporto merci: molti entranti (Rail Traction Company, ..)
• Gare per il trasporto regionale: numero limitato
• mantenimento dei “servizi essenziali”. Gli Stati possono erogare una compensazione corrispondente
che non costituisce aiuto di stato.
Gruppo Ferrovie dello Stato Italia spa (1905-): insieme di controllate divise in diverse tipologie (trasporto,
infrastruttura, servizi immobiliari, altri servizi); monopolista si è esteso anche in altre aree e anche
all’Estero. È una delle più grandi realtà industriali del Paese. Recentemente, Ferrovie dello Stato si è
aggiudicata gara AV in Spagna.
Trasporto merci
13
Trasporto regionale
Decreto Burlando: trasferimento alle Regionidelle competenze di programmazione, amministrazione e
controllo e delle risorse finanziarie relative al trasporto ferroviario locale dei passeggeri. Scelta del gestore
mediante gare.
L’applicazione è graduale e incerta, con un ripetuto ricorso a proroghe e a regimi transitori. Introduzione di
un Contratto di Servizio con il gestore di durata non superiore a 9 anni (modificata in 6 anni rinnovabili di
altri 6), che preveda compensazioni economiche per Obblighi di Servizio Pubblico.
Una delle difficoltà più importanti incontrate dalle Regioni nell’avviare le gare è stata quella del reperimento
del materiale rotabile, che Trenitalia non ha loro trasferito, nonostante fosse stato acquistato con contributi
statali e regionali. Non è stata invece presa in considerazione la possibilità di trasferire il materiale rotabile a
separate rolling stock companies che poi potevano offrirlo in leasing alle imprese ferroviarie (come nel caso
inglese). Solo il materiale delle ferrovie regionali (ex concesse) è di norma di proprietà del demanio della
Regione.
Il Regolatore
-fino al 2013
In Italia, oltre all’AGCM, per la parte di competenza relativa alla promozione della concorrenza, la
regolamentazione del settore era, fino al 2013, nelle mani dell’Ufficio per la regolazione dei Servizi
Ferroviari, organo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, deputato a svolgere i compiti di
controllo, monitoraggio e regolazione in ambito ferroviario con particolare riferimento alla vigilanza sulla
concorrenza nei mercati del trasporto ferroviario ed alla risoluzione del relativo contenzioso. Proprietario e
regolatore coincidevano nella stessa figura, anomalia questa che prestava il fianco alla critica che le
procedure per il rilascio delle licenze e, soprattutto, le regole per l’accesso (in particolare in termini di
sicurezza) fossero strumentalmente fissate per favorire Trenitalia a discapito dei concorrenti privati.
-dopo il 2013
L’Autorità di regolazione dei trasporti si insedia a Torino. Il compito «nel settore del trasporto ferroviario,
sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e gli enti locali interessati, è di definire gli
ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento. L’Autorità, dopo un congruo
periodo di osservazione, analizza l’efficienza dei diversi gradi di separazione tra l’impresa che gestisce
l’infrastruttura e l’impresa ferroviaria, anche in relazione alle esperienze degli altri Stati membri dell’UE e
all’esigenza di tutelare l’utenza pendolare (art. 37 decreto-legge n. 1/2012)»
In sintesi in Italia:
• Si è realizzata solo la separazione societaria\contabile e non quella proprietaria (UK, Olanda, Svezia)
• L’incumbent ha un ruolo ancora determinante, in particolare nel trasporto passeggeri, meno nel
trasporto merci
• Nella fetta di mercato più ricca, c’è concorrenza tra due operatori: Trenitalia e NTV
• Il Gruppo FSI da alcuni anni realizza profitti
• Proseguono gli investimenti e l’ammodernamento del settore ferroviario
• Le quote di mercato rispetto alle altre modalità di trasporto sono costanti
• Il Gruppo FSI opera e concorre anche in mercati esteri (Germania, Spagna, Grecia...)
14
Nonostante siano chiaramente presenti condizioni di monopolio naturale (economie di scale e di scopo
legate all’infrastruttura, al materiale rotabile ed al servizio), la regolazione tenta di stimolare l’efficienza del
concessionario monopolista (ex-pubblico) e di introdurre, laddove possibile, elementi di concorrenza nel
mercato (separazione tra infrastruttura e servizio) o per il mercato (gare per i servizi regionali). La qualità
del servizio e gli obblighi di servizio pubblico sono assicurati tramite Contratti di Servizio. Il finanziamento
all’infrastruttura è assicurato tramite sussidi pubblici.
6)
Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del SETTORE ELETTRICO. È giustificato il suo
inserimento tra i settori in monopolio naturale?
Fonti primarie di energia: combustibili fossili (petrolio, gas naturali, idrocarburi e carbon fossile),
combustibili rinnovabili, come il biogas, la biomassa (uso prodotti agricoli per produrre energia elettrica),
gli RSU o gli scarti di legname, idrica (idroelettrica, maree, moto ondoso, a "osmosi"), nucleare, solare,
eolica, geotermica.
TRADIZIONALE
15
Distribuzione: il collegamento tra reti ad alta tensione nazionali e reti a medio bassa tensione che si
estendono a livello locale, raggiungendo i consumatori. (gestione medio-bassa tensione).
Queste due fasi, strettamente interconnesse, sono casi tipici di monopolio naturale, in quanto si basano sulla
gestione di un network, che indipendentemente dalla dimensione dell’area geografica interessata non è mai
conveniente duplicare.
Essa era in mano a monopolisti locali; ad enti pubblici locali che si occupavano di gestirne la vendita. Essi
compravano da Enel e poi distribuivano energia elettrica; utenti finali non avevano possibilità di scelta
perché c’era solo l’ente locale.
Deregolamentazione del settore elettrico: l’analisi economica si è interrogata sull’entità delle economie di
scala e sulla natura della funzione di costo dei singoli segmenti e dell’intera filiera, giungendo alla
conclusione che: produzione, distribuzione e vendita sono fasi che per caratteristiche tecnico-economiche
sembrano adatti a sostenere un regime competitivo; mentre, trasmissione e dispacciamento continuano a
mantenere evidenti elementi di monopolio naturale.
Fase della produzione: dal 1992, uso del petrolio per produrre energia elettrica quasi completamento
sostituito dal gas naturale (metano) sia per motivi economici (aumento del prezzo del petrolio) sia per motivi
ambientali (effetto gas serra, produzione di CO2). Inoltre, si è fatta strada la produzione di energia elettrica
con fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico, biomasse, geotermico; maggior numero di
investitori che producono in diversi modi l’energia elettrica).
In UE il 34% dell’energia elettrica proviene da fonti rinnovabili, che stanno superando quelle fossili.
Germania ha un tasso di crescita di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili molto elevato! (fonte
eolica quella che è cresciuta maggiormente)
Nonostante che la scala minima efficiente vari in modo sostanziale in base alla tecnologia di produzione
impiegata, l’introduzione in anni recenti delle centrali termoelettriche a ciclo combinato, un’innovazione
tecnologica che ha permesso di produrre energia elettrica ad una scala ridotta (competizione!)
Le produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è per sua natura dispersa in molti impianti isolati
(parchi solari o eolici): impianti "ad isola" o impianti "connessi in rete”, tanto che si parla di “produzione
distribuita”.
Le economie di scala appaiono sufficientemente contenute rispetto alle dimensioni del mercato per
permettere la presenza di più operatori nel segmento della produzione.
Fase distribuzione e vendita: non sono state riscontrate significative economie di scala o di scopo nel
segmento della vendita.
17
Il gestore della rete in particolare deve garantire il bilanciamento continuo tra domanda e offerta,
compensare le perdite di rete e monitorare le linee ad alta tensione.
Quali soluzioni sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore?
Riforme introdotte in Italia
Decreto Bersani prevedeva una graduale liberalizzazione delle attività lungo tutta la catena di valore
(produzione, esportazione, importazione, acquisto e vendita di energia elettrica). Venne seguito dal decreto
legislativo che istituì l'effettiva liberalizzazione del mercato del gas.
Nel 1995 fu creata l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, un'autorità amministrativa indipendente, poi
diventata ARERA (Autorità di Regolamentazione per Energia Reti e Ambienti).
Il decreto Bersani bis segnò la completa liberalizzazione del mercato energetico italiano, aprendolo ai nuovi
fornitori e permettendo agli utenti di scegliere liberamente l'operatore a cui rivolgersi per le proprie utenze.
Il quadro regolatorio prevedeva un periodo di coesistenza del mercato libero e quello regolato (Servizio di
maggior tutela) per permettere ai consumatori di effettuare un passaggio graduale e agevole.
La fine del servizio di maggior tutela è stata rinviata più volte: ulteriore slittamento al 1º gennaio 2022 per
gli utenti privati e al 1º gennaio 2021 per le PMI.
Principi ispiratori
separazione, societaria e proprietaria a seconda dei casi, di ciascuna di queste fasi
0– generazione (produzione) di energia elettrica;
1– distribuzione di energia elettrica e la vendita ai clienti vincolati;
2– la vendita ai clienti idonei;
3– l'esercizio dei diritti di proprietà della rete di trasmissione elettrica;
4– la dismissione delle centrali elettronucleari italiane
Ciascuna fase viene opportunamente regolamentata in modo da ottenere le migliori condizioni capaci di
garantire l'effettiva realizzazione dell'apertura del mercato al fine di garantire l'ingresso di capitali privati
e una concorrenza tra molteplici operatori con il fine ultimo di avere delle tariffe più basse rispetto ad
una situazione di tipo monopolistica.
Istituzione di particolari soggetti a carattere pubblico che hanno il compito di ottimizzare il
funzionamento del mercato.
Il decreto ha imposto una soglia percentuale alla produzione di energia elettrica dell'ENEL pari al 50%
dell'energia prodotta in Italia; inoltre, ha imposto all'ex operatore monopolista la vendita di una capacità di
produzione ad altri soggetti in modo da creare altri operatori elettrici.
Enel S.p.A. (originariamente acronimo di Ente nazionale per l'energia elettrica) è una multinazionale
dell’energia e uno dei principali operatori integrati globali nei settori dell'energia elettrica e gas. Istituita
come ente pubblico a fine 1962, si è trasformata nel 1992 in società per azioni e nel 1999, in seguito alla
liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica in Italia, privatizzata. Lo Stato italiano, tramite il Ministero
dell'economia e delle finanze, rimane comunque il principale azionista col 23,6% del capitale sociale, al 1º
aprile 2016. Enel è la 84ª azienda al mondo per fatturato.
nel mercato italiano…
0• produzione di energia elettrica
1• fornitura di energia elettrica
2• distribuzione e della trasformazione di energia elettrica e manutenzione degli impianti
3• gestione del servizio di maggior tutela, ovvero la fornitura di energia a prezzi stabiliti dall'Autorità
per l'energia elettrica e il gas nelle aree nelle quali è concessionaria del servizio.
4• illuminazione pubblica ed artistica
In seguito alla liberalizzazione del mercato, Enel non può produrre più del 50% dell'energia elettrica
prodotta sul territorio nazionale ed è obbligata, al pari di tutte le aziende produttrici, a collegare alla rete
elettrica chiunque ne faccia richiesta (servizio universale), secondo le normative europee.
In generale Enel è soggetta alla supervisione e alle decisioni dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
18
… e a livello globale il gruppo Enel, attraverso le sue controllate, svolge le seguenti attività:
5• produzione, distribuzione e rivendita di energia elettrica e gas
6• produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili
7• opera nel settore del gas
8• svolge attività finanziarie di raccolta fondi sui mercati, impiegandoli in operazioni di investimento
Enel è diventata una grande società multinazionale dell’energia.
Trasmissione e Dispacciamento
Trasmissione di energia elettrica (alta, media tensione) - distribuzione (bassa tensione)
Il decreto ha sancito che la rete dovesse essere gestita in regime di monopolio:
0• Creazione di una società proprietaria della concessione delle infrastrutture della rete, prima
appartenenti all'ENEL (TERNA). Terna diventa pienamente indipendente a seguito della quotazione alla
Borsa di Milano e con la successiva vendita da parte di ENEL del capitale azionario in suo possesso di
Terna ad investitori istituzionali. A Terna viene affidato anche la funzione di Dispacciamento, ovvero la
gestione in tempo reale dei flussi di energia sulla rete elettrica in modo da garantire nell'unità di tempo che si
verifichi l'uguaglianza tra energia immessa in rete e energia consumata.
1• Dato che tale business viene gestito attraverso un monopolio le tariffe che Terna impone per erogare
il suo servizio sono determinate da norme emesse dall’Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, AEEG poi
ARERA.
Il Gestore dei Mercati Energetici (GME): gestisce domanda-offerta tra produttori e distributori
dell’energia elettrica; è la società responsabile in Italia dell'organizzazione e della gestione del mercato
elettrico, oltre che di assicurare la gestione economica di un'adeguata disponibilità della riserva di potenza,
ed è di proprietà del Ministero dell’Economia e delle finanze. Al GME è inoltre affidata l’organizzazione
delle sedi di contrattazione dei certificati verdi, dei titoli di efficienza energetica ("certificati bianchi") e
delle Unità di Emissione (emission trading).
Il Decreto ha permesso che la vendita di energia elettrica si realizzi attraverso due modalità:
2• Contratti bilaterali, realizzati direttamente tra il venditore e il compratore;
3• Contrattazione nella Borsa Elettrica, realizzati tra il venditore e il compratore attraverso una
piattaforma telematica;
I venditori sono o società elettriche che producono l'energia che vendono o società di trading che pur non
avendo capacità di generazione rivendono energia che comprano da altri operatori o che importano
dall'estero. I compratori sono tutti quelli che possono accedere al libero mercato.
Certificato verde (attestazione che certifica il fatto che non hai emesso CO2)
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Al fine di favorire l'utilizzo di fonti rinnovabili nella generazione elettrica il Decreto introduce l'obbligo per
produttori e importatori di energia elettrica da fonti non rinnovabili di immettere ogni anno in rete una
percentuale di tale energia pari al 2% dell'energia prodotta o importata nell'anno precedente per la parte
eccedente i 100 GWh. Tale valore percentuale è suscettibile di un incremento annuale pari allo 0,35%. In
questo modo quei produttori e importatori di energia elettrica che non abbiano venduto la percentuale
imposta di energia proveniente da fonti rinnovabili saranno obbligati a soddisfare questo obbligo comprando
i certificati verdi che vengono riconosciuti dal GSE ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Si tratta di titoli negoziabili, il cui utilizzo è diffuso in molti Stati come ad esempio nei Paesi Bassi, Svezia,
UK e alcuni stati USA.
Il certificato verde corrisponde ad una certa quantità di emissioni di CO2: se un impianto produce energia
emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un impianto alimentato con fonti fossili perché "da fonti
rinnovabili", il gestore ottiene dei certificati verdi che può rivendere (a prezzi di mercato) a industrie o
attività che sono obbligate a produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili ma non lo fanno
autonomamente.
La promozione della concorrenza per i clienti finali: maggior tutela, mercato libero e salvaguardia
Ad oggi tutti i clienti possono attivare le utenze:
2– con il mercato tutelato, pagando la luce ed il gas al prezzo regolamentato dall'Autorità;
3– con il mercato libero, confrontando le tariffe e scegliendo il prezzo più conveniente.
Da gennaio 2022, i clienti in maggior tutela non potranno più pagare la luce ed il gas al prezzo del tutelato,
ma dovranno scegliere un fornitore del libero mercato. Per i clienti residenziali non ancora passati al
mercato libero rimarranno tecnicamente senza fornitore, ma nella pratica non sarà così. Infatti, in questo
caso la legge prevede il passaggio automatico al servizio di salvaguardia. Tale servizio è erogato
dall’esercente la salvaguardia, ovvero un fornitore scelto tramite una gara organizzata dall'Acquirente Unico
(la società garante della fornitura di energia elettrica ai piccoli consumatori).
Progressivamente scegliere da chi comprare energia elettrica: diversi fornitori e quindi libertà di scelta tra
concorrenti; scelta fornitore e scelta della fonte dell’energia; prezzi differenziati.
Idea del Regolatore è abolire il mercato tutelato; era gennaio 2021, poi gennaio 2022 ad ora entro gennaio
2023. Chi non passa al mercato libera entra nel regime di salvaguardia.
Conclusione
Questo settore aveva le caratteristiche e quindi è stato gestito come monopolio naturale; lo è stato nelle fasi
di costruzione del settore fino agli ’90 poi si è dato spazio ai mercati sia per ragioni tecnologiche sia per
ragioni di efficienza. È un chiaro esempio di politica industriale, ovvero di come l’intervento pubblico
coordina e gestisce il passaggio da un’organizzazione di mercato verticalmente integrata ad una in cui sono
presenti, dove possibile, aree di concorrenza.
È necessario:
3• l’unbundling;
4• la riduzione del peso dell’incumbent;
5• il coordinamento delle fasi;
6• l’organizzazione della domanda (clienti idonei e vincolati);
20
7• la creazione di un mercato dell’energia elettrica;
8• la regolamentazione tramite un’Autorità autonoma e competente per impedire sia l’abuso di
posizione dominante sia la creazione di ostacoli all’accesso alla rete (prezzi di accesso non
giustificati);
9• garantire continuità agli investimenti alla rete ed al suo ammodernamento;
10• guidare il passaggio da fonti non rinnovabili a fonti rinnovabili: tentativo di produrre l’energia
in maniera sempre più pulito e con minore emissione di CO2
Negli ultimi anni c’è stata un'impennata nell'uso di gas naturale, conseguente alla richiesta di fonti
alternative al petrolio; processo di sostituzione in tutti i Paesi, non solo in Italia.
Utilizzi del gas naturale:
- Generazione di energia elettrica
- Combustibile per autotrazione: metano
- Uso domestico, commerciale, industriale: cucinare, per scaldare l'acqua sanitaria, per riscaldamento e il
condizionamento degli edifici
La produzione di gas naturale ha avuto una progressione molto rapida in tutte le aree del Mondo; la
distribuzione non è però uniforme: quasi coincidono i Paesi con petrolio con Paesi con gas naturale (Russia,
Iran, Qatar, Stati Uniti).
Massima disponibilità in Europa la ha la Russia; quasi tutti i Paesi Europei sono dipendenti: necessari
metanodotti.
Si stima che la nazione con la più grande riserva di gas da argille sia la Cina dove, tuttavia, si riscontrano
numerosi problemi legati soprattutto a tematiche ambientali. Il gas da argille ha attirato notevole interesse
economico negli ultimi due decenni soprattutto negli Stati Uniti, dove la produzione di shale gas è passata,
nel decennio 2000-2010, da 10 a 140 miliardi di metri cubi, circa il 23 % del fabbisogno di gas naturale
annuale del paese. L'aumento della produzione, considerato da alcuni una nuova età dell'oro, ha avvicinato il
paese all'indipendenza energetica e fatto crollare i prezzi del metano a livello mondiale, dato che gli USA da
importatori di metano passano a essere esportatori.
Impatti ambientali
0• Clima: nelle prime fasi di estrazione si libera in atmosfera una piccola quantità di gas metano, uno
dei principali responsabili dell'effetto serra.
1• Acqua e aria: L'acqua utilizzata per effettuare la fratturazione idraulica viene addizionate con agenti
chimici (per circa lo 0,5%) per ridurre l'attrito, o per eliminare i microrganismi. Dell'acqua introdotta ne
viene recuperata circa il 50-70%
2• Paesaggio: permanenza delle torri di perforazione (che può variare dalle settimane ad alcuni mesi),
3• Rischio sismico: incremento del rischio sismico anche in aree tradizionalmente non interessate.
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Anche in Europa ci sono delle zone ma sono molto abitate quindi non si procede con l’estrazione.
I prezzi. Essendo delle risorse molto localizzate e di difficile da trasportare, i prezzi sono molto
differenziati. Avere un prezzo basso dell’energia è un aspetto strategico e per questo motivo gli Stati Uniti
per questo motivo sono molto avvantaggiati rispetto ai suoi rivali da questo punto di vista.
Offerta e domanda: uso del gas naturale dipende dall’uso durante le stagioni e dalla produzione economica
i prezzi sono molto variabili
Italia ha un po’ di gas naturale: in riduzione; parte estratta da mare e l’altra da terra. Comunque, minima
rispetto al fabbisogno.
Importazione
La principale difficoltà nell'utilizzo del gas naturale è il trasporto.
I gasdotti sono economici, ma non permettono l'attraversamento di oceani e spesso, quando si tratta di
gasdotti internazionali, passano in territori di altri Stati, i quali potrebbero interromperne il flusso per motivi
politici o altro. Vengono utilizzate anche navi per il trasporto di gas naturale liquefatto, definite metaniere,
ma hanno costi più alti e problemi di sicurezza.
Infrastrutture
Stoccaggio (differenza tra energia elettrica e gas naturale); stock risolve problema della variabilità della
domanda ed ha anche importanza strategica perché si compra quando costa meno.
La domanda di gas naturale, presenta caratteristiche di variabilità (stagionale, giornaliera ed oraria)
soprattutto per quanto riguarda l’utenza domestica. Lo stoccaggio permette di accumulare gas, al fine di
bilanciare i consumi e la produzione in ogni periodo, coprire il rischio di interruzione degli
approvvigionamenti legati alla sospensione della produzione nazionale, ai rapporti sociopolitici con
l’importatore ed a problemi tecnici della rete di trasporto ed ottimizzare la coltivazione di giacimenti di gas
naturale nel territorio italiano.
Trasporto
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La rete di trasporto si suddivide in "primaria" (o dorsale), relativa la trasporto di gas direttamente dai luoghi
di produzione od importazione, e "secondaria" comprendente l'insieme delle condotte (adduttori secondari)
che collegano la rete primaria e raggiungono i centri di consumo. La rete primaria italiana di metanodotti ha
una lunghezza di circa 30.000 km ed è presente in maniera estesa su tutto il territorio nazionale ad
esclusione della Sardegna. La rete della Snam rappresenta il 96% della rete primaria nazionale. Altri
operatori sono presenti con reti locali, in particolare nelle regioni adriatiche (Marche, Abruzzo e Molise).
Distribuzione e dispacciamento
la fase della distribuzione consiste nel trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la
consegna agli utenti finali e si distingue in distribuzione primaria e secondaria. La prima permette la
consegna diretta alle utenze industriali, termoelettriche ed alle aziende di distribuzione, la seconda permette
la consegna del gas da parte delle aziende di distribuzione alle utenze civili, alle piccole imprese industriali
ed artigiane ed al terziario.
Il coordinamento tra le attività di produzione, trasporto, stoccaggio e distribuzione è svolto dal
dispacciamento, la cui funzione principale è quella di assicurare che il gas venga fornito ai consumatori
senza interruzioni e nel rispetto dei termini contrattuali. Il dispacciamento deve programmare, su base
giornaliera, l’esercizio della rete gasdotti e determinare le condizioni di funzionamento dei relativi impianti.
La programmazione dell’esercizio è legata a tecniche previsionali sulla domanda di gas da parte dell’utenza.
Commercializzazione
Vendita: nel sistema tradizionale, caratterizzata da monopolisti locali
UE
Con la Direttiva 2003/55 ha invitato a intraprendere rapidamente i lavori per completare il mercato interno
nel settore dell'energia elettrica e del gas e ad accelerare la liberalizzazione in tali settori, nell'intento di
realizzare un mercato interno pienamente operativo.
0• Separazione dei gestori della rete di trasporto da business collegati: si impone separazione giuridica
per garantire indipendenza decisionale (Legal Unbundling)
1• Trasporto, stoccaggio e GNL: i proprietari di tali strutture designano uno o più gestori del sistema.
Questi gestiscono economicamente strutture, non ne discriminano l’accesso e garantiscono informazioni
sufficienti e non distorte per l’accesso
2• Accesso alla rete upstream: Stati membri devono garantire accesso alle reti di importazione a
imprese terze
3• Accesso al sistema: Sistema di accesso basato su tariffe regolamentate e pubblicate, praticabili a tutti
i clienti idonei, non discriminatorie
4• Regolatore di mercato: istituzione di organo di supervisione
5• Obbligo servizio pubblico: Stati membri informano ogni due anni la Commissione su tutte le norme
adottate per rispondere a obblighi servizio pubblico. Stabilito obbligo controllo sicurezza degli
approvvigionamenti, rapporto annuale
Il Parlamento europeo ha poi ritenuto necessario emanare due ulteriori direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE
( “Terzo Pacchetto”)
0• Unbundling: garantire accesso non discriminato alla rete e stimolare investimenti in overcapacity
1• Autorità di regolazione: potenziamento funzione, poteri, indipendenza regolatore + istituzione
Agenzia per il coordinamento dei Regolatori (ACER)
2• Coordinamento dei Transport System Operators: costituzione dell’European Network TSO-G, Rete
Europea dei TSO del gas naturale.
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3• Coordinamento per pianificazione e sviluppo reti e per migliorare sicurezza energetica
4• Impulso agli investimenti: norme per migliorare capacità di interconnessione e di importazione
5• Condizioni di accesso di terzi, limitare abusi posizione dominante, rafforzare sicurezza
approvvigionamenti
6• introdotte 3 opzioni di separazione dei TSO da imprese legate a produzione o vendita di gas
- Ownership Unbundling (OU): separazione proprietaria
- Independent System Operator (ISO): gestione rete affidata a soggetto terzo
- Independent Transmission Operator (ITO): gestore di rete società con amministratori separati
Quali soluzioni sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore?
Liberalizzazione in Italia
Decreto Letta:
7• la separazione societaria
8• l’accesso regolato a tutte le infrastrutture di sistema
9• il riconoscimento della libertà di scelta del fornitore per tutti i clienti a decorrere dal 1° gennaio 2003
10• l’imposizione di tetti massimi per le importazioni e le vendite sul mercato finale da parte di un
singolo operatore settore
24
La rete di trasporto italiana era gestita da un ristretto numero di imprese integrate: Snam (controllata da Eni),
con circa il 96% della rete. Dal 2012 si è realizzata la separazione proprietaria dal gruppo Eni che ha
venduto circa il 30% del capitale di Snam alla Cassa Depositi e Prestiti. Nel 2017 le imprese che gestiscono
la Rete di trasporto del gas nazionale e regionale sono nove: tre sulla Rete nazionale e otto operano sulla
Rete regionale. Accanto a Snam Rete Gas, l’impresa maggiore (93,2%), trasportano gas sulla rete nazionale
anche altre due società che ne possiedono e gestiscono piccoli tratti: Società Gasdotti Italia e Infrastrutture
Trasporto Gas.
Saturazione della rete (rete è limitata quindi tende a saturarsi; non tutti operatori trovano spazio);
problematica: incumbent tende a usare interamente la rete.
L’analisi ha indicato l’indispensabilità, e l’urgenza, della realizzazione di nuove opere infrastrutturali
nell’approvvigionamento di gas naturale. In tal senso, l’ingresso a medio termine (2007-2008) nella fase
nell’approvvigionamento di operatori stranieri di grandi dimensioni e in grado di attivare nuove fonti di gas:
Exxon Mobil e Qatar Petroleum (GNL rigassificato presso il terminale di Rovigo) e British Gas (GNL
rigassificato presso il terminale di Brindisi) è un elemento che favorisce gli sviluppi auspicati.
L’ingresso di nuovi operatori può essere consentito nell’immediato anche da misure di capacity release e di
potenziamenti dei gasdotti internazionali da parte di Eni. Tali infrastrutture possono essere rinforzate in
tempi brevi e con costi ridotti, mettendone a disposizione le capacità addizionali a soggetti diversi, e
consentendo un approvvigionamento indipendente di gas da parte di traders in grado di contrattare
direttamente con i fornitori esteri.
Stoccaggio
Negli anni che hanno preceduto la liberalizzazione, lo stoccaggio di gas naturale in giacimento costituiva
uno strumento per ottimizzare i flussi di gas nell’ambito di un sistema verticalmente integrato e con offerta
monopolistica ai consumatori finali. Con la rottura dell’integrazione verticale e con l’introduzione della
possibilità di concorrenza nella vendita di gas, l’accesso alle infrastrutture di stoccaggio svolge
un’indispensabile funzione strategica. Esso, infatti, da un lato permette ai venditori di modulare l’offerta di
gas, per far fronte alla rigidità del profilo delle importazioni e alla forte variabilità che caratterizza la
domanda nel mercato civile; dall’altro, con lo sviluppo del mercato, assolve anche ad altre potenziali
funzioni come, ad esempio, la possibilità di mantenere gas in stoccaggio a fini speculativi (parking).
Prima del decreto Letta solo il titolare di una concessione di coltivazione aveva facoltà di richiedere anche
una concessione di stoccaggio. Attualmente i titolari di concessioni di stoccaggio devono assicurare e fornire
i servizi di stoccaggio minerario, strategico e di modulazione agli utenti che ne facciano richiesta, qualora
tecnicamente ed economicamente realizzabili, sulla base di tariffe e regole di accesso stabilite dall’ARERA.
Attualmente il principale operatore è Stogit SpA (gruppo SNAM)
2020: Eni 47% importazioni, segue Edison con 17%, Enel 11%; seguono gli altri importatori.
Il problema è che i contratti sono di lunga durata; il 28% ancora attivi oltre 20 anni alla fine.
Distribuzione e vendita
Eni ha ancora una quota molto rilevante nella distribuzione nel mercato all’ingrosso (in termini di volume);
esso vende poi in maniera indipendente o ad altri operatori, che a loro volta vendono.
Italgas ha gran parte della distribuzione del gas; faceva parte del gruppo ENI. Si occupa di gran parte della
distribuzione, seguita da altri operatori.
Borsa del gas (come borsa elettrica, anche qui quotazione dei prezzi dai diversi punti di entrata)
Per i titolari di concessioni di coltivazione di gas naturale, l’obbligo di cedere le aliquote di gas prodotto in
Italia dovute allo Stato.
Per gli importatori, l’obbligo di offrire una quota del gas importato presso il mercato regolamentato delle
capacità.
Conclusioni
Il settore ha diverse caratteristiche tipiche del monopolio naturale legate a:
4• L’infrastruttura (rete di gasdotti, miniere di stoccaggio).
5• La scala della produzione favorevole alla coltivazione dei giacimenti da parte di unica impresa.
6• Le necessità gestionali di coordinamento tra le fasi della filiera ed il dispacciamento.
7• Le caratteristiche economiche dei contratti di approvvigionamento. (contratti di lungo periodo;
incumbent controlla ancora il settore)
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Si è potuto realizzare un certo grado di concorrenza:
0• nella fase di importazione del gas
1• nella fase di distribuzione
0– nel mercato all’ingrosso (con la presenza di venditori internazionali)
1– nella vendita nel mercato tutelato e libero
8)
Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del SETTORE DEI SERVIZI IDRICI. È
giustificato il suo inserimento tra i settori in monopolio naturale? Descrivete quali soluzioni sono suggerite
dalla teoria economica e quali soluzioni sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo
settore. Quali problemi rimangono ancora aperti?
Usi in competizione dell’acqua (Paesi OECD): maggiore è per uso irriguo e per la produzione energetico
(idroelettrica), segue uso domestico, per uso produttivo e per allevamento.
Problema dell’acqua e dei servizi idrici (problema particolarmente sentito in alcune aree del Mondo; non è
una novità!): la popolazione mondiale priva di accesso sicuro all’acqua potabile è stimata pari ad un
miliardo di persone. Quella priva di servizi di fognatura adeguati, a un miliardo e quattrocento milioni di
persone.
Il problema non riguarda tanto l’acqua intesa come risorsa naturale, quanto le infrastrutture e i servizi:
scarsità di mezzi economici disponibili per investire nei sistemi infrastrutturali. Soprattutto se si considera
che la possibilità di sostenere gli investimenti con le tariffe è limitata dal potere di acquisto insufficiente.
La fornitura del servizio idrico in Italia è stata a lungo caratterizzata da un modello di gestione a carattere
municipale, il quale prevedeva l'affidamento in favore dei Comuni. Tuttavia, l’emergere di rilevanti
inefficienze specialmente in termini di volume di perdite idriche, lo scarso coordinamento tra livello centrale
e locale, la presenza di rilevanti asimmetrie informative tra Autorità e gestore, assieme ad uno scarso livello
di investimenti ed al verificarsi di gravi episodi di corruzione, hanno dato vita ad un generale clima di
sfiducia nei confronti degli enti pubblici, tanto da favorire il ricorso alla privatizzazione del settore, seppure
attraverso una normativa non sempre chiara e trasparente.
Secondo quanto affermato dai sostenitori della gestione privatizzata dell’acqua, tale processo favorirebbe
l’introduzione di capitali privati, necessari a compiere le dovute opere di manutenzione sulle infrastrutture
idriche preesistenti ed a sostenere la realizzazione di nuovi impianti. Inoltre, sarebbe incentivata la
competizione tra le società coinvolte, con il risultato di ottenere forti riduzioni delle tariffe ai consumatori ed
una qualità migliore dell’acqua.
Problemi aperti
4• Difficoltà della governance multilivello
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0• Parcellizzazione delle gestioni: verso una maggiore aggregazione; tanti gestori.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nell’ambito degli obiettivi di economia circolare e transizione
verde ha posto l’attenzione sul necessario rafforzamento della governance e della gestione del settore.
L’Italia è tra i paesi che investe di meno in impianti di raccolta e trattamento delle acque reflue!!!!
30
Per indirizzare gli investimenti sugli specifici obiettivi, ARERA ha introdotto la regolazione della qualità
tecnica del servizio idrico adottando che descrivono lo stato qualitativo dei servizi di un meccanismo
incentivante di premi e penalità legato a sei macro-indicatori l’acquedotto, fognatura e depurazione.
In funzione dei valori assunti dai macro-indicatori sono stabilite le classi di appartenenza che riflettono i
livelli di qualità del servizio (A=alta, E=bassa) in base ai quali vengono stabiliti specifici obiettivi di
miglioramento. Da un’analisi congiunta dello stato attuale di servizio e della tipologia di investimenti
realizzati e programmati, emerge come tale meccanismo abbia generalmente indirizzato le aziende a
destinare investimenti nei segmenti caratterizzati da maggiori inefficienze gestionali.
In riferimento al livello di perdite idriche, ad esempio, si osserva come gli operatori della classe più
performante (A) investono meno di 5 euro per abitante nella riduzione delle perdite idriche, mentre gli
operatori in classe E hanno investito 22,7 €/ab nel 2018 e 25,3 €/ab nel 2019.
Conclusioni
6• Il servizio idrico integrato è un bene pubblico essenziale e ha le caratteristiche del monopolio
naturale
7• Rispetto agli altri settori, nei servizi idrici la gestione del monopolio è stata mantenuta a livello locale
(comunale, provinciale, regionale)
8• Evidenti problemi e disomogeneità nei costi, tariffe, perdite, qualità, investimenti
9• Azienda pubblica, azienda mista o concessione a privati tramite gara per la gestione di servizi idrici?
10• Importante ruolo del regolatore per stimolare l’efficienza e l’investimento
Anche in questo settore usate le tre modalità di intervento pubblico (impresa pubblica, regolamentazione,
asta competitiva) nel monopolio naturale.
9) ECONOMIA ITALIANA
Prospettiva mondiale
GDP: prodotto interno lordo.
A livello del PIL l’Italia ha avuto una crescita da 486 nel 1960, a 1744 nel 2020. I prezzi non posso essere
comunque paragonati a causa dell’inflazione.
Guardando alle quote di PIL mondiale (% sul GDP mondiale). 2020: Cina rappresenta il 17,9% mentre
l’Italia solamente il 2,1%, del PIL mondiale.
Tutto quello che è autoprodotto non c’è nel PIL, perché non passa attraverso uno scambio. Il PIL misura
tutto quello che viene scambiato sul mercato. Il PIL, quindi, è un indicatore un po’ particolare, misura tutto
quello che riguarda una transazione economica; alcuni Paesi scambiano di più, altri meno (autoproduzione).
I paesi che hanno un PIL elevato sono paesi che sono ricchi; quindi, dà qualche indicazione anche sul
benessere del paese.
La Cina a livello di crescita e di incremento della produzione scambiata sul mercato ha fatto dei passi in
avanti notevolissimi; nel 2020 ha superato l’Europa. L’Italia è dimezzata in termini di quota di PIL
mondiale, dal 1960 al 2020. Russia ha un PIL molto basso con una popolazione molto grande.
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GDP pro-capite a parità di potere d’acquisto (valori correnti)
PPP = a parità di potere d’acquisto: dati sono armonizzati al potere d’acquisto.
1$ in un Paese povero si tiene conto che questo dollaro compra molto.
Quindi, aggiustato per il potere d’acquisto della moneta, i risultati sono questi (al netto del potere
d’acquisto): quanta ricchezza ha a disposizione ciascun abitante nel suo Paese. Ad esempio, la ricchezza a
disposizione in Italia è pari a 41.840, sotto alla media europea e alla Germania.
Media mondale sta come la media della Cina (in crescita ma ancora non nelle fasce alte).
La preoccupante anomalia italiana: GDP (valori costanti 2015 US$; si annulla effetto dell’inflazione)
Anno base è 2000 = 100
Italia, dal 2000 al 2001, è cresciuta da 100 a 101-102; negli anni c’è un’anomalia: cresce di non molto fino
al 2007 e poi non cresce più rispetto ad altri Paesi UE (sia area euro e non euro). Nel 2019 gli altri Paesi
arrivano ad una crescita molto alta poi nel 2020 il PIL è crollato ovunque.
Quindi, Italia crisi nel 2009, poi crisi di nuovo dal 2011 al 2013 per poi risalire nel 2019 e crollare 2020:
andamento sempre sotto agli altri Paesi considerati.
Conclusioni su quadro macroeconomico: in un quadro che vede l’emergere di nuovi paesi, l’economia
italiana è sostanzialmente ferma.
Vediamo se si riesce a capire perché questa anomalia attraverso dati sulla: competitività, produttività,
capacità esportativa, innovazione.
Italia si trova al 30esimo posto al Mondo (141), per indicatore salute sarebbe sesta; primo posto c’è
Singapore, seguono USA, Paesi Bassi, Svizzera, Giappone…
Conclusioni su competitività: sebbene sia difficile da definire e sia determinata da diversi fattori
quantitativi e qualitativi, nel 2019 all’Italia è stato assegnato il 30 posto su 141 Paesi.
PRODUTTIVITÀ
Un ulteriore indicatore per spiegare la nostra situazione è la produttività; in economia, la produttività può
essere definita in via di prima approssimazione come il rapporto tra la quantità di output e le quantità di uno
o più input utilizzati per la sua produzione (lavoro o capitale). Viene calcolata con riferimento alla singola
impresa, all’industria o più in generale alla nazione.
- La produttività del lavoro è quanto output produco per unità di lavoro impiegato;
- La produttività di capitale è quanto output produco su quantità di capitale impiegato.
A livello settoriale, misuro la produttività con il valore aggiunto; il valore aggiunto in economia è la misura
dell’incremento che si verifica nell’ambito della produzione e distribuzione di veni e servizi finali grazie ai
fattori produttivi adoperati, capitale e lavoro, a partire da beni e risorse primarie iniziali. Esso può essere
osservato in tre modi differenti ma tra di loro equivalenti:
-dal punto di vista della produzione, sottraendo al valore dei beni e servizi prodotti il valore dei beni e
servizi necessari per produrli
-osservando come i redditi vengono distribuiti ai fattori della produzione
32
-sommando il valore dei beni e servizi venduti al consumatore finale (spesa)
In particolare, soprattutto in ambito neoclassico, viene spesso utilizzata la Total Factor Productivity (TFP), o
produttività totale dei fattori. Si considerano cioè input le quantità di servizi forniti dai fattori produttivi per
unità di tempo e, in aggiunta alle produttività dei singoli fattori, si calcola una produttività totale definita
come il rapporto tra un indice di output e un indice di input, media ponderata degli indici di lavoro e
capitale. La TFP costituisce la parte della crescita economica non spiegata dall’andamento dell’impiego dei
fattori produttivi K e N.
Ogni anno ISTAT si occupa dell’andamento della produttività; in Italia, produttività sia del capitale sia del
lavoro è ferma, anche se impieghiamo risorse.
Nell’anno della pandemia è caduta tantissimo quella del capitale!
In un confronto internazionale, Italia ha incrementi minori. Inoltre, a livello di settori, alcuni hanno avuto un
incremento positivo (quelli industriali).
La produttività del lavoro è in calo in tutto il mondo, in Italia tassi più rapidi; perché? L’Italia, come in altri
Stati UE, il costo del lavoro è aumentato ma è il costo del lavoro per unità di prodotto in Italia, rispetto agli
altri Paesi considerati, è elevato (investimenti bassi).
Conclusioni su produttività: l’indicatore di produttività basato sui prezzi dei prodotti e sul costo unitario
del lavoro mostrano in Italia una dinamica negativa più a causa della lenta dinamica della produttività del
lavoro che del costo del lavoro.
La domanda aperta è che come mai la produttività aggregata del lavoro è così bassa?
Alcune ipotesi sulle cause della perdita di competitività dell’Italia:
- Ipotesi infrastrutturale: insufficienza delle reti di comunicazione fisica o telematica
- Eccessiva dipendenza energetica dall’estero, in particolare dalle fonti di energia fossili;
- Livello abnorme dei costi delle transazioni, attribuibile in larga parte agli ostacoli e agli eccessi
burocratici
- Nanismo d’impresa: il 94.4% delle imprese ha meno di 10 dipendenti
- Specializzazione produttiva: scarsa presenza nei settori manifatturieri più dinamici dal punto di vista
della creazione di valore
- Investimenti: l’Italia sperimenta la carenza di investimenti nelle produzioni più innovative dalle quali
ottenere la generazione di maggior valore aggiunto
- Il sotto-investimento in Ict, il “nanismo” delle imprese, la bassa selezione all’uscita, la formazione del
personale, le modalità di partecipazione alle catene globali del valore
CAPACITÀ ESPORTATIVA
Le evidenze mostrano che Italia continua ad esportare; siamo esportatori netti, quindi esportiamo più di
quanto importiamo e il saldo è in continuo aumento. A livello mondiale, siamo tra i primi 10.
In particolare, Italia esporta macchinari, prodotti tessili... Quota di esportazione maggiore sull’area euro è
del settore del mobile, delle calzature, dei macchinari, del vetro e della ceramica. Invece, i principali prodotti
importati sono chimica, metalli, gas naturale.
Specializzazione produttiva (dopo si esporta più della media): tessile, abbigliamento, articoli in pelle e
simili, prodotti in metallo, industria del legno, mobili.
Conclusioni sulla capacità esportativa: pur in un quadro di riduzione della quota italiana nel commercio
internazionale, la capacità esportativa sembra tutto sommato reggere.
Industria manifatturiera
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Grafico Smile: prendo passaggi
di una filiera produttiva e li
metto in ordine in base al minore
o maggior valore aggiunto
prodotto.
I più grandi paesi manifatturieri al mondo sono paesi, come la Cina, che sono specializzati nella produzione;
il peso del settore manifatturiero sul sistema economico sta calando. In Italia sta calando molto, più che in
Germania.
Conclusioni su manifatturiero
- Il settore manifatturiero è ritenuto uno dei settori più importanti per la crescita economica
- Il peso del settore manifatturiero in Italia è relativamente basso e calante
- Da un lato ciò può essere pensato come una caratteristica delle economie avanzate (la terziarizzazione, la
specializzazione nei servizi alla produzione, la riduzione del peso delle manifatture in valore ma non in
quantità), ma è anche vero che in Italia la de-industrializzazione è proceduta più velocemente che in altri
paesi (es. Germania)
Conclusioni generali
Italia ha una dinamica di crescita relativamente lenta; La specializzazione produttiva è in settori a contenuto
tecnologico medio-basso e scarsa dinamica di crescita in termini di valore aggiunto ed esportazione;
Prevalgono le PMI (modello distrettuale). Poche grandi aziende; Le PMI investono relativamente meno in
R&S delle grandi aziende. Sono meno innovative nei prodotti; Pur con questi limiti, ci sono alcuni settori di
eccellenza.
Danielis
Domanda 1: Perché l’Italia ha una bassa produttività?
Abbiamo una specializzazione in settori relativamente labour intesive (moda, mobili, chimica fine, macchine
utensili) invece che capital intensive (chimica di base, siderurgia, veicoli, elettronica, farmaceutico).
Prevalenza di PMI su grandi aziende (a capitale privato o pubblico\privato): limitate spese in R&S e
innovazione di prodotto
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Domanda 2: Perché il rallentamento dell’Italia?
Oltre alle spiegazioni comunemente citate (cfr. World Economic forum: mercato del lavoro, mercati
finanziari, debito, burocrazia e istitutizioni, dualismo) ci sono spiegazione anche di tipo strutturale quali la
specializzazione italiana in settori maturi, a basso valore aggiunto per adetto, a relativamente basso
contenuto tecnologico, di nicchia. Quali politiche industriali?
Nel 2015 la domanda di mobili in Italia ha iniziato a ridursi per colpa della crisi, ma altri motivi che non
incentivano alla crescita della domanda sono: il mercato è saturo, i consumatori non hanno la disponibilità
economica a comprare i mobili, c’è una perdita grossa del consumo di mobili, la crescita di IKEA: anche se
pure IKEA ha sofferto la crisi, ma in maniera molto più leggera
La domanda mondiale rimane ugualmente salda, si è riscontrato ancora un’esigenza cospicua e quindi grazie
alle esportazioni le aziende italiane riescono ad andare avanti, in quanto sono ancora presenti nei mercati
internazionali.
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I mercati in crescita sono quelli asiatici e gli Stati Uniti, ma hanno ancora un peso inferiore rispetto alla
domanda Europea. Anche se c’è un calo della domanda europea e con la crescita dei nuovi mercati (Cina e
Stati Uniti) le aziende italiane riescono a controbilanciarsi.
Dati recenti. Dopo una lunga crisi, negli ultimi tre anni il settore del Legno e Mobili sta registrando una
fase di ripresa. Nel 2017 la produzione sale del 5,1%, in accelerazione rispetto al +2,3% del 2016. Va
segnalato che nel confronto europeo l’Italia è il secondo produttore di Legno e Mobili dell’UE a 28. Sul
piano della produzione sono evidenti gli effetti della lunga e profonda crisi: nel 2017 il livello della
produzione in Italia rimane del 36,5% inferiore ai livelli del 2007. In positivo anche il fatturato che nel 2017
sale del 4,2%, rafforzando il +2,8% dell’anno precedente.
Secondo il rapporto CSIL, in Italia, nel 2019, il settore del mobile ha registrato una stabilità delle vendite sia
sul mercato interno che sui mercati esteri determinando una crescita nulla del fatturato totale del settore a
prezzi costanti. Il contesto macroeconomico italiano non ha aiutato le aziende del settore.
La presenza del bonus mobili ha favorito la tenuta dei consumi interni; ma, d’altro canto, l’incertezza legata
alle prospettive future continua a limitare l’ammontare effettivo degli acquisti di mobili e anche le intenzioni
future di acquisto.
Sul fronte delle vendite sui mercati esteri delle imprese italiane del settore, il 2019 ha mostrato un
rallentamento della crescita. Nel dettaglio, le vendite sui mercati dell’Unione Europea stanno mostrando un
ritmo di marcia leggermente più sostenuto rispetto a quelle sui mercati Extra-UE grazie soprattutto alle
buone performance sul mercato francese e svizzero.
Un settore che è cresciuto in modo molto importante a seguito del boom economico. Successivamente
rallenta la domanda interna e questo settore ha avuto la capacità di esportare, rimanendo però sempre
abbastanza piccolo con molte aziende di tipo tradizionale.
Montecatini Edison S.p.A., dal 1966 al 1969, abbreviato poi in Montedison S.p.A., è stato un grande
gruppo industriale e finanziario italiano, conosciuto con questo nome fino al 2002; attivo prevalentemente
nella chimica, aveva però interessi in numerosi altri settori, quali farmaceutica, energia, metallurgia,
agroalimentare, assicurazioni, editoria. All'inizio fu una grande public company, la numero uno in Italia
nella chimica, quinta in Europa e settima al mondo. Nella seconda metà degli anni Ottanta diventò con la
Ferruzzi il secondo maggior gruppo industriale privato italiano. Nel 2001 è stato sempre il secondo gruppo
privato italiano prima di essere scalato dalla FIAT con la francese EDF come alleata ed essere smembrato e
venduto nel 2002. Viene tenuta solo la parte energetica in una società (Edison) il cui controllo finisce in
mano pubblica francese (EDF) e italiana (Aem, controllata dal comune di Milano).
La chimica è un settore di specializzazione strategico per l’industria europea. Impiega 1,2 milioni di addetti
altamente qualificati e, nell’ultimo anno, ha realizzato un valore della produzione pari a circa 550 miliardi di
euro, confermandosi quale quarto settore industriale europeo e secondo produttore chimico mondiale con
una quota pari al 17%.
L’industria chimica europea genera un consistente avanzo commerciale, 45 miliardi di euro nel 2019,
contribuendo a garantire all’UE equilibrio negli scambi commerciali. Per il secondo anno consecutivo si
assiste, tuttavia, ad un ripiegamento del surplus commerciale nella chimica di base, a fronte della continua
espansione nella chimica fine e specialistica. Tra i fattori penalizzanti per la competitività europea, un
elemento critico è rappresentato dal costo dell’energia e delle materie prime. Per effetto della rivoluzione
dello shale gas, produrre etilene in Europa (dove si utilizza prevalentemente come materia prima la virgin
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naphta, un derivato del petrolio) è diventato più costoso non solo rispetto al Medio Oriente, ma anche agli
Stati Uniti. L’etilene è il più diffuso “building block” dell’industria chimica mondiale ed è un elemento
fondamentale per molti materiali quali plastica, detergenti e vernici.
L’Italia rappresenta il terzo produttore chimico europeo con una quota prossima al 10% e un valore della
produzione, nel 2019, pari a 55 miliardi di euro (89 miliardi inclusa la farmaceutica). Sul territorio nazionale
sono attive oltre 2.800 imprese chimiche con quasi 3.800 insediamenti nei quali lavorano 112 mila addetti
altamente qualificati (179 mila, considerando anche la farmaceutica).
In Italia l’industria chimica vede la presenza equilibrata di tre tipologie di attori (Tavola 2.10): 1) le PMI,
che hanno un ruolo rilevante in tutta la chimica europea, ma ancor più significativo in Italia (39% del valore
della produzione), 2) i medio-grandi gruppi nazionali (23%) e 3) le imprese a capitale estero (38%).
Nella chimica è presente un nucleo non ristretto di gruppi a controllo nazionale dotati della massa critica per
affrontare le sfide tecnologiche e del mercato globale. Insieme alle maggiori realtà della chimica di base,
figurano medio-grandi gruppi fortemente specializzati e spesso leader nel loro segmento a livello mondiale o
europeo.
L’Italia, inoltre, è ben posizionata nella chimica da biomasse, dove sono presenti imprese tecnologicamente
all’avanguardia. Sul territorio nazionale si stanno realizzando tra i più rilevanti investimenti a livello
mondiale in questo ambito e sono presenti impianti flagship, cioè i primi al mondo per determinate
tecnologie.
Quasi tutti i maggiori gruppi chimici a controllo nazionale hanno realizzato investimenti produttivi
all’estero, non con finalità di delocalizzazione ma per rafforzare la propria posizione nel mercato globale,
alimentando così, in un circuito virtuoso, anche l’export, la produzione e l’occupazione sul territorio
italiano.
Anche le imprese a capitale estero rappresentano una risorsa importante per l’industria chimica in Italia. La
loro attività crea valore sul territorio in quanto producono e fanno ricerca. In diversi casi l’Italia ospita un
vero e proprio centro di eccellenza, che rappresenta il punto di riferimento del gruppo a livello mondiale per
la R&S in determinate aree della chimica o per specifiche produzioni.
Pur essendo fortemente integrata a livello europeo, l’industria chimica presenta, in Italia, alcune
caratteristiche peculiari. Mantiene nella chimica di base una presenza significativa e strategica, anche per i
forti legami di filiera, ma vede un ruolo di particolare rilevanza della chimica fine (i principi attivi
farmaceutici rappresentano un’eccellenza mondiale) e specialistica, che rappresenta il 59% della produzione,
ben 15 punti % in più della media europea. Si tratta dei settori in cui prevale la chimica delle formulazioni,
ossia la vendita di miscele e prodotti chimici caratterizzati da determinate prestazioni. Negli ultimi 10 anni
le imprese di chimica delle specialità hanno saputo costruire un saldo commerciale attivo per ben 3,8
miliardi e triplicato rispetto al pre-crisi.
La fase attuale, così come gli anni a venire, si caratterizza per i profondi mutamenti dello scenario politico,
sociale, tecnologico e competitivo. Per l’industria chimica la sfida principale risiede nel promuovere lo
sviluppo sostenibile e l’economia circolare. In questo ambito, la chimica riveste un ruolo strategico in
quanto fornisce input essenziali a numerose filiere e possiede le competenze tecnologiche relative alla
gestione delle sostanze e alla trasformazione della materia. Le sue innovazioni, sempre più orientate alla
sostenibilità ambientale, trovano impiego in tutta l’industria manifatturiera, l’edilizia e l’agricoltura,
configurando il settore come una vera e propria infrastruttura tecnologica.
Per affrontare con successo la trasformazione digitale, l’industria chimica può contare, già oggi, su una forza
lavoro altamente qualificata: basti pensare che il 19% degli addetti è laureato (una quota quasi doppia della
media manifatturiera) e oltre il 42% degli operai è specializzato.
Inoltre, il settore investe fortemente nella formazione che coinvolge, ogni anno, il 42% dei dipendenti a
fronte di una media industriale pari al 26%. Anche i modelli organizzativi sono avanzati e si basano su
coinvolgimento e partecipazione come strumenti per prevenire e superare possibili conflitti relativi
all’impatto sulle risorse umane delle scelte organizzative.
MECCANICA STRUMENTALE
Definizione: L’insieme delle imprese costruttrici di macchine ed impianti meccanici. Si considerano «tutti i
macchinari destinati alla trasformazione, manipolazione e movimentazione di beni di qualsiasi origine e
destinazione.»
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IL SOLE 24 ore: Con la definizione di meccanica strumentale si indica quel settore strategico dell'economia
italiana che riguarda la produzione di macchinari o impianti destinati a settori produttivi (macchine utensili,
macchine tessili, le macchine agricole). Il settore è caratterizzato da una fortissima propensione all'export e
ha un elevato tasso di competitività.
Caratteristiche settoriali. «un settore sicuramente meno attraente del sistema moda dal punto di vista
mediatico, ma anche di più difficile inquadramento all’interno della letteratura economica dominante per
l’essere da un lato un settore di specializzazione (e non tradizionale) a tecnologia medio-alta e dall’altra non
avere una precisa connotazione distrettuale anzi ponendosi nei confronti di questo sistema in una posizione
ancillare (le macchine a servizio del distretto) se non apertamente contrastante.»
Dal punto di vista del commercio mondiale l’Italia nel settore della meccanica strumentale ha un peso del
5% sull’intero mercato mondiale, considerando che mediamente l’Italia pesa sul mercato mondiale non più
del 2% negli altri settori di export; da questa considerazione si può constatare che il settore della meccanica
strumentale è il più importante settore esportato dall’Italia.
Allo stesso tempo però l’Italia importa 2,1% di meccanica strumentale, quindi il saldo netto della meccanica
è del 3%.
I principali esportatori di questo settore sono: la Cina, la Germania, gli Stati Uniti e il Giappone. L’Italia è al
5 posto.
Limiti
La dimensione dell’impresa: numero dipendenti in percentuale è del 19,1% a differenza dellaGermania che
ne ha 66,4%. Essere piccoli non vuol dire essere poco funzionanti, in alcuni mercati di nicchia questo
aspetto è molto efficiente, ma allo stesso tempo vuol dire che tale impresa rimarrà nel mercato di nicchia.
Il limite dimensionale delle imprese della meccanica italiana non impedisce alle aziende italiane di
raggiungere risultati uguali o superiori ai concorrenti europei: il fatturato per addetto per l’Italia (242 mila
euro) e tra i più alti nell’Ue, superiore a quello della Germania (227 mila euro) e ben oltre la media europea.
40
Il tratto distintivo delle imprese della meccanica strumentale è l’elevata propensione all’export. Oggi
l’impresa della meccanica strumentale è quindi un po’ meno locale e più interconnessa globalmente.
Dal punto di vista regionale, la meccanica strumentale è essenzialmente localizzata nel centro-nord.
Le tre direttrici della competitività: crescere, guardare lontano, innovare. Dal Rapporto Export 2016/2019 di
SACE
Crescere (in dimensione)
La piccola dimensione delle aziende italiane è, da una parte, un importante fattore di flessibilità, dall’altra,
un limite fondamentale allo sviluppo dell’intera economia del Paese. Il modello del distretto tradizionale non
riesce infatti a reggere le pressioni competitive dello scenario attuale perché non è in grado di supportare
adeguatamente strategie di internazionalizzazione diverse dall’esportazione.
Le alternative strategiche, come i consorzi, le aggregazioni temporanee di imprese (ATI), le joint venture, le
operazioni di finanza straordinaria – come fusioni e acquisizioni – e gli investimenti diretti esteri (IDE) sono
spesso un impegno troppo oneroso per le aziende di piccole dimensioni. Un passo concreto potrebbe essere
quello di aggregarsi in reti di imprese: L’obiettivo non è solo quello di ottenere vantaggi di costo, ma anche
di generare sinergie di ricavo, finanziarie e di know-how, con il risultato di rendere l’intera struttura
produttiva più competitiva sul mercato globale.
Guardare lontano
Per le imprese della meccanica strumentale è naturale guardare oltreconfine. Infatti, delle oltre duecento
aziende italiane intervistate da SACE, circa l’80% dichiara di fare affari con più di dieci Paesi esteri.
Tuttavia, gran parte di queste continua a preferire i mercati vicini: l’Area euro resta la regione di maggiore
interesse, mentre i mercati più lontani (Asia-Pacifico e Africa Centrale e Meridionale) hanno una rilevanza
percepita medio/bassa. L’impressione, tuttavia, è che la situazione sia destinata a migliorare, seppur in modo
graduale. Dotarsi di capacità di intelligence e individuazione di rischi/opportunità di marketing e
distribuzione su geografie più lontane, ma con buone prospettive future, diventa, quindi, un must per le
imprese che aspirano a crescere nei prossimi anni.
Innovazione e industria 4.0
In Italia si parla da tempo di Industria 4.0: dopo la rivoluzione della meccanica, dell’elettricità e
dell’informatica, la nuova rivoluzione industriale riguarda la “fabbrica intelligente”, i “sistemi cyber-fisici”
o l’Internet delle cose”, ossia lo sviluppo di sistemi tecnologici in grado di scambiarsi informazioni e
interagire con l’ambiente esterno. Nella nuova Industria 4.0 si passerà dalla produzione centralizzata e quella
decentralizzata, i macchinari comunicheranno tra loro per ottimizzare i processi e migliorare i prodotti, le
tecnologie informatiche semplificheranno i flussi tra reparti e funzioni e agevoleranno il lavoro del
management, anche nei rapporti con fornitori e distributori.
Gli imprenditori – il 70% secondo l’indagine Staufen – sanno che il passaggio a Industria 4.0 è essenziale
per crescere e per competere a livello internazionale, eppure molti ancora esitano nell’apportare
cambiamenti concreti all’interno della propria azienda. Le aree più interessate a questa nuova ondata di
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innovazione saranno la produzione, la logistica, la gestione del magazzino, le vendite e l’assistenza post-
vendita, con miglioramenti attesi sul piano dell’efficienza. Ma produrre apparecchiature elettriche non e lo
stesso che produrre macchinari per il packaging o attrezzature per la lavorazione della plastica: competere in
un settore con produzioni in serie, alti volumi e standardizzazione ha delle dinamiche profondamente diverse
rispetto a competere in un settore con produzioni su commessa, bassi volumi e alta personalizzazione, come
tipicamente avviene per molte imprese della meccanica. In un contesto di questo tipo, la qualità del prodotto
e del servizio offerto, più che i tempi di produzione e i costi contenuti, e cruciale per restare sul mercato.
Dall’indagine SACE sopracitata emerge che le nostre aziende, rispetto alle concorrenti tedesche, si
distinguono proprio per l’alto grado di personalizzazione del prodotto (80,1%), per l’elevato contenuto
tecnologico dei macchinari (57,3%) e per tutte quelle componenti “sartoriali “che distinguono la manifattura
italiana anche in altri settori. Eppure, questo non basta a fregiare l’intero settore di un brand distintivo a
livello Paese, come già avviene nella moda e nell’agroalimentare. È evidente che, per fare progressi in
questo ambito, le imprese italiane devono muoversi con più decisione verso una maggior valorizzazione del
marchio italiano, investendo non solo in automazione, innovazione ed efficienza produttiva, ma anche in
iniziative di marketing, di comunicazione e distributive adeguate e pervasive.
Diventare smarter e una strada che va intrapresa e percorsa con convinzione e passa attraverso l’offerta di
prodotti innovativi e di altissima qualità, il rafforzamento delle collaborazioni lungo la filiera e la
preparazione delle proprie persone al nuovo paradigma. Certo, rispetto alla Germania, che ha avviato il
programma “Industrie 4.0” già nel 2013, coinvolgendo governo, aziende e istituti di ricerca, siamo in ritardo.
Occorre un Sistema Paese forte, che metta in atto una politica industriale mirata, promuova incentivi alla
formazione delle figure professionali, sostenga la ricerca e aggiusti il sistema finanziario alle esigenze delle
nuove smart factory. Per ora, alcuni comparti (ceramica, plastica, imballaggio) più di altri stanno facendo i
primi passi con la propria bussola e, in generale, il settore si sta muovendo verso Industria 4.0 un po’ alla
rinfusa; ma se c’e qualcosa che le nostre aziende della meccanica strumentale hanno capito prima dei
concorrenti tedeschi e che, nelle parole dello scienziato americano Jonathan Schattke, “la necessita e la
madre delle invenzioni, e vero, ma il padre e la creatività, e la conoscenza e la levatrice”.
11)
Le POLITICHE INDUSTRIALI si possono definire in modo generale o specifico:
- Generale
«è richiesta la presenza di istituzioni che creino e mantengano l’ambiente competitivo in cui gli attori
economici si muovono, nel nostro caso le imprese, i consumatori, i lavoratori»: istituzioni che creano e
mantengono ambiente competitivo
«la politica industriale comprende tutti quei processi tramite i quali i governi deliberatamente alterano la
struttura e le caratteristiche dei sistemi economici»: definizione più interventista rispetto a quella di prima
- Specifico, politiche rivolte a promuovere la produttività e competitività del settore manifatturiero di una
nazione o sistema territoriale locale.
Esistono diverse definizioni di politica industriale, tra il generale e lo specifico.
Si è cercato un tentativo di sintesi ma esistono numerose definizioni che dipendono anche dalla visione
interventista.
A FAVORE:
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Giustificazione 1: i fallimenti del mercato (i mercati possono essere non efficienti), motivi?
- Condotte anti-competitive: concorrenza non funziona a causa di collusioni e abusi di posizione
dominante
- Monopoli naturali: situazioni in cui la concorrenza non c’è
- Esternalità nella produzione (inquinamento locale e globale) e nella domanda (mercati a rete)
- Informazione imperfetta e asimmetrica, mercati a termine imperfetti
- L’innovazione come bene pubblico: l’investimento in R&D tende ad essere insufficiente in assenza di
stimolo (ricerca di base) e\o protezione. Ci sono esternalità nell’apprendimento.
Giustificazione 2: promozione dello sviluppo
- Lo sviluppo è un processo continuo di innovazione tecnologia, ammodernamento industriale e
diversificazione economica (import substitution). I mercati non gestiscono bene queste trasformazioni
strutturali. La politica industriale serve guidare il processo di cambiamento delle risorse umane,
industriali e finanziarie.
- Costruzione e manutenzione delle reti infrastrutturali (trasporti, energia, gas, servizi idrici, telematica)
- Promozione di nuove tecnologie: Internet, nuovi materiali, nuovi farmaci, genomica, batterie agli ioni di
litio, ecc... Molte delle scoperte recente sono state finanziate con fondi pubblici. Lo Stato agisce come
prestatore di ultima istanza, in presenza di elevati rischi di insuccesso industriale che non sarebbero
sopportabili dalla finanza privata.
- Promozione dell’apprendimento come fonte dello sviluppo economico
Gli Stati intervengono, sia in periodi di crisi sia in periodi normali: è diventato ovvio che tutti i governi sono
impegnati in varie forme di politiche industriali, anche quelli che sostengono politiche orizzontali o
"neutrali" finiscono per intraprendere azioni che favoriscono determinate industrie più di altre e quindi
modellano l'allocazione settoriale dell'economia. In tutti i paesi, alcune industrie, settori e persino aziende
sono favoriti all'interno del quadro giuridico e spesso fortemente sovvenzionati, spesso in modi non
trasparenti.
La promozione delle aree in ritardo di sviluppo e dell’occupazione: compito tradizionale affidato alle
politiche settoriali o regionali.
CONTRO:
- Asimmetrie informative: I governi spesso non hanno le informazioni e la capacità di progettare politiche
industriali efficaci e quindi invitano gli agenti economici a cercare la rendita (Rodrik, 2008; Naudé,
2010a). I vincoli informativi rendono estremamente difficile per i governi sapere quali industrie e/o
imprese meritano sostegno. In assenza di una buona misurazione, esistono rischi che i governi ricorrano
a criteri di selezione appena quantificabili e concettualmente deboli.
- Cattura politica e rent-seeking: il successo dell'attuazione di qualsiasi politica industriale dipenderà
probabilmente dalla natura del sistema politico e delle istituzioni del paese interessato. Laddove il potere
dei gruppi di interesse economico esercita un'influenza indebita attraverso il sistema politico, il sostegno
del governo a un'industria potrebbe essere basato più su considerazioni politiche che su meriti
economici.
- Inefficienze da eccessiva protezione: protezione per perpetuare l'inefficienza. Krugman e Obstfeld
(2009) descrivono i casi di India e Pakistan, dove la produzione è stata protetta per molti decenni e dove
la recente crescita di esportazioni significative di manufatti si è basata su manufatti leggeri, piuttosto che
sui manufatti pesanti che erano stati l'obiettivo della protezione.
- I governi assistono le aziende in declino. Spesso l'obiettivo è quello di cercare di salvaguardare
l'occupazione. Ma il sostegno pubblico alle industrie in declino comporta il finanziamento di una parte
delle operazioni delle industrie che hanno rendimenti degli investimenti bassi o negativi. In alcuni casi,
piuttosto che incoraggiare gli investimenti del settore privato in industrie non redditizie che vengono
sovvenzionate all'estero, potrebbe avere più senso approfittare del sussidio estero importando i beni
stranieri più economici.
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Strategia industriale dopo crisi 2008-09
A seguito della crisi economica e finanziaria del 2008-09, i responsabili politici sono alla ricerca di nuove
fonti di crescita economica e di creazione di posti di lavoro. Alcuni paesi temono che la loro traiettoria di
crescita economica non sia stata sufficientemente equilibrata, con alcuni settori in calo eccessivo e altri che
assumono un ruolo troppo forte nella crescita economica complessiva. In altri paesi, ci sono preoccupazioni
che la produzione manifatturiera sia diminuita troppo che le conoscenze e le capacità siano state
irreversibilmente perse. E in alcuni casi, c'è un appello a politiche industriali per rafforzare settori specifici,
tecnologie o aree di attività economica, come la produzione avanzata, i servizi alle imprese ad alta intensità
di conoscenza o l'economia "verde", con l'obiettivo di promuovere nuove fonti di crescita economica.
Il crescente interesse per le "politiche industriali", ampiamente definite, arriva in un momento in cui le
catene globali del valore sono diventate più complesse e più importanti, e in cui la concorrenza delle
economie emergenti è in crescita, anche in attività e mercati che erano, fino a poco tempo fa, considerati i
punti di forza fondamentali dei paesi OCSE.
Allo stesso tempo, molti governi devono ancora affrontare gravi vincoli di bilancio a seguito della crisi
economica e sono alla ricerca di interventi politici più efficaci e spesso più selettivi e a basso costo che
possano contribuire a rafforzare la loro economia. Stabilire priorità in settori in cui l’azione dei governi può
fare la differenza è quindi di crescente interesse politico ed è evidente, ad esempio, nel dibattito in seno all'
Unione europea sulla " specializzazione intelligente". Ma come e dove agire rimane una questione difficile e
l'esperienza storica con interventi mirati e politiche industriali si mescola al massimo.
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La conclusione che Stiglitz trae riguardo la politica industriale è che, accertato che tutti i governi, di fatto,
intervengono per diversi motivi, l’interrogativo non è tanto se lo Stato debba intervenire o no ma come
deve farlo nel modo migliore. La contrapposizione diventa tra fallimenti del mercato e fallimenti
dell’intervento pubblico!
- Sussidi
Negli anni Novanta, altra serie di interventi per spostare risorse verso il Sud Italia (fondi a disposizione per
le attività localizzate in determinate regioni italiane, per lo sviluppo di aree depresse).
Questi interventi sono stati poi valutati dagli economisti: confronto tra zone che avevano ricevuto
agevolazioni e quelle zone che non le avevano ricevute; effetto addizionale o effetto sostitutivo? Risultato:
emerge come effetto incentivante sia piuttosto limitato.
Altro aspetto valutato è quello sulla performance delle aziende che sono state agevolate: agevolazioni hanno
avuto un effetto positivo sulla performance ma difficile quantificare questo effetto.
Questo strumento non era completamente soddisfacente, e quindi nasce un’altra idea: l’idea era quelli non
finanziare la singola azienda ma finanziare territori, quindi finanziare lo sviluppo del territorio finanziando
sia le aziende sia gli enti pubblici che supportavano queste aziende.
- Patti territoriali: è uno strumento per lo sviluppo locale avviato operativamente in Italia nel 1998, che
integra interventi di incentivazione al capitale per compensare gli svantaggi localizzativi del territorio e
interventi di contesto (infrastrutture materiali e immateriali) per rimuovere strutturalmente tali svantaggi.
Due sono i principali obiettivi del patto territoriale: 1) promuovere la cooperazione fra soggetti pubblici
e privati di un dato territorio affinché disegnino e realizzino progetti di miglioramento del contesto
locale; 2) favorire attraverso tali progetti e attraverso la concentrazione territoriale e tematica un volume
di investimenti privati capace di produrre esternalità, ossia vantaggi anche per altre imprese e per nuovi
investimenti.
Risultati (conclusioni contrastanti):
Ministero Sviluppo Economico: dati dimostrano che c’è stato un impatto significativo da un punto di vista
economico perché ha attivato nuovi investimenti laddove progetti erano più selezionati. Al contrario, studi
della Banca d’Italia: questo strumento non ha effettivamente funzionato in modo efficace
- Credito di imposta
Ha rappresentato il principale intervento di sostegno agli investimenti nelle aree in ritardo di sviluppo; da
quando è stato introdotto e sino al 2005, sono state così finanziate 200.340 imprese per un totale di 5,7
miliardi di euro. Esso riduce il costo dell’investimento senza alterarne il rendimento.
Non si seleziona l’ambito; fai investimento e poi ottiene il credito.
Il credito d’imposta sembra quindi essersi positivamente riflesso sulla crescita degli investimenti,
consentendo l’attivazione di iniziative che in assenza di agevolazione non sarebbero state avviate. Inoltre,
l’effetto sull’accumulazione non pare che possa essere ricondotto a fenomeni di sostituzione intertemporale,
oppure che abbia prodotto distorsioni sull’efficienza e la redditività delle imprese sussidiate.
Conclusioni riguardo Politiche industriali per le aree in ritardo di sviluppo:
Principalmente destinate alle aree territoriali in ritardo di sviluppo (agevolazioni fiscali, patti
territoriali), per lo più di natura orizzontale
Efficacia: parziale, dubbia
Scarsità di fondi
Discontinue
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4.Politiche industriali selettive
Due politiche industriali di tipo selettivo promosse negli anni 2000:
- Industria 2015 (verticale)
Industria 2015 è un disegno di legge per la competitività ed il rilancio della politica industriale, approvato
dal Governo Prodi II. Si crea un istituto per la promozione della competitività industriale, cioè un’agenzia
che seleziona i progetti, individuando quindi aree specifiche da finanziare. Vengono individuate queste aree:
Efficienza energetica, Mobilità sostenibile, Nuove tecnologie per la vita, Nuove tecnologie per il made in
Italy, Tecnologie innovative per i Beni culturali.
Inoltre, si vollero finanziare le Reti d'impresa, le quali costituiscono un'alternativa per quelle aziende che
vogliono aumentare la loro forza senza doversi necessariamente unire in una fusione o ricadere sotto il
controllo di un unico soggetto. Infine, con Industria 2015 nascono due nuovi fondi pubblici per realizzare gli
obiettivi di innovazione industriale e sostenere lo sviluppo del sistema produttivo italiano: il Fondo per la
competitività e lo sviluppo, il Fondo per la finanza d'impresa.
Esito: su 303 progetti solo 3 sono arrivati infondo; no finanziamenti, iter lungo, Governo successivo non
credeva più nel progetto.
La strategia di “smart specialisation” è una strategia d’innovazione concepita a livello regionale, ma valutata
e messa a sistema a livello nazionale ed europeo. L’obiettivo generale di valorizzare le eccellenze si traduce,
a livello operativo, nella valorizzazione dei settori e/o delle nicchie di mercato dove i territori dispongono di
chiari vantaggi competitivi o di determinate potenzialità di sviluppo imprenditoriale.
Questi progetti europei hanno anche un importante aspetto di valutazione: è necessario indicare nel progetto
gli obiettivi e quali indicatori.
- Legge di stabilità 2015 che ha finanziato “Patent Box”, “Credito d’imposta per attività di R&S”
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Strumenti: iperammortamento e superammortamento (agevolazioni fiscali e benefici concreti per le
imprese)
La legge di bilancio 2019: segue la stessa strada.
Molti di queste politiche è difficile dire che esito abbiano avuto perché mancano degli studi
indipendenti che facciano le valutazioni come si dovrebbero fare, cioè ex ante, in itinere ed ex post.
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7.Politiche per la formazione del capitale umano
Livello di istruzione popolazione over 25: dal 1950 al 2010, il livello di istruzione conseguito (scuola
primaria, scuola secondaria e scuola terziaria) è generalmente aumentato (scolarità: dinamica in aumento dal
secondo dopo guerra).
2020: le percentuali di giovani 25-34 anni con un livello di istruzione superiore alla scuola dell’obbligo è
ancora elevato. Il Paese più ostruito è Corea, il meno è Cina. Italia sotto media UE e Paesi OECD: noi nella
terziaria siamo molto deboli.
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