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Se la domanda incrocia i costi medi nella fase discendente (la curva dei
costi marginali sta sotto alla curva dei costi medi), ci si trova in una
fase in cui ci sono le condizioni di rendimenti di scala crescenti:
all’aumentare della scala della produzione, i costi medi diminuiscono.

Normalmente, la domanda si incrocia nel tratto ascendente dei costi


medi, oltre al punto di incrocio tra costi medi e costi marginali.

Si ipotizzi che quanto detto sopra possa succedere con costi marginali costanti (i costi marginali nei settori
di monopolio naturale sono irrisori), cioè che la domanda incrocia prima la curva dei costi medi e poi la
curva dei costi marginali: problemi nel conciliare efficienza produttiva ed efficienza allocativa!

Costi totali= costi fissi F+costi variabili (con costi marginali costanti)
c*Y

se divido per Y (livello di produzione) trovo la


curva dei costi medi= F/Y + c

La curva dei costi medi ha una parte costante (c) e una parte variabile
(F/Y) che è decrescente al crescere della quantità prodotta: > Y < F

I costi fissi sostenuti F si distribuiscono fra la quantità che viene prodotta Y: più si riesce a produrre, più si
riesce ad ammortizzare/distribuire i costi fissi, diminuendo in questo modo i costi medi (che saranno
comunque maggiori ai costi marginali).

La situazione appena descritta è possibile trovarla nei settori (con elementi di monopolio naturale) in cui
l’investimento fisso per produrre e distribuire è molto elevato e spesso ha a che fare con un’infrastruttura a
rete di distribuzione di questo bene/servizio su ampia scala; alcuni esempi: energia elettrica, gas naturale,
trasporto ferroviario, servizi idrici… In questi settori la parte di costo fisso F è una quantità molto
importante ed elevata: soddisfare l’intera domanda non esaurisce le economie di scala; mentre, il costo di
servire un nuovo utente è molto basso (c).
Altro aspetto importante di questi settori è che offrono tutti servizi essenziali per lo sviluppo di un territorio;
c’è un grosso sforzo da parte delle aziende per tenere in efficienza questi servizi, per modernizzarli, per
mantenerli… Si tratta di servizi essenziali di carattere economico che forniscono infrastrutture di base su cui
costruire altre attività. Queste caratteristiche hanno fatto sì che, storicamente, questi settori fossero gestiti da
una sola impresa (in Italia: ENEL, ENI, RAI…).
Si chiamano settori in monopolio naturale perché la scala minima efficiente di questi settori coincide con
l’intera area di mercato e se lo stesso servizio fosse fornito da due aziende, ognuna con la propria rete, le
economie di scala non sarebbero sfruttate a pieno.

Se la domanda è soddisfatta da un’azienda allora Q; invece, se


domanda è soddisfatta da due aziende allora Q/2.

Per questo motivo, in questi settori, non ha senso duplicare


un’infrastruttura perché si raddoppierebbero i costi fissi (non è
ragionevole far entrare un altro produttore): la condizione naturale
del mercato è il monopolio.

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Tre esiti possibili che si possono avere in questi mercati:

Monopolio naturale in C
RM=CMa
- monopolista massimizza il suo profitto
- generando una perdita di benessere

Monopolio naturale in A
P=CM
- ottimo allocativo perché il
Regolatore impone il prezzo che garantisce
l’efficienza allocativa; i prezzi pagati
riflettono i costi di produzione (benessere
sociale è massimo)
- ma in questa situazione il
monopolista non copre i costi di produzione e
quindi realizza una perdita

Come coprire la perdita? Dato che è stato il Regolatore a imporre P=CM allora il Regolatore dovrà
occuparsi di coprire tale perdita: fiscalità generale (fondi pubblici: risorse di tutti i cittadini che
contribuiscono a coprire la perdita del monopolista).

Monopolio naturale in B
P= CMe
- il Regolatore sceglie di permettere al monopolista naturale (privato o
pubblico) di coprire i costi ed avere profitto nullo (non ci sono perdite
come in A quindi per il monopolista è sostenibile)
- ma B non è un ottimo allocativo (c’è una piccola perdita di benessere;
comunque, minore all’esito in C!)

 Nessuna delle tre soluzioni è perfetta

Il monopolio naturale è un esempio classico di fallimento del mercato.


Un’industria ha natura di monopolio naturale se un particolare bene o servizio è prodotto al minimo costo
quando è prodotto da una singola azienda. A prima vista le caratteristiche di un’industria che presenta
condizioni di monopolio naturale sono quelle di avere curva di costo medio e di costo marginale di lungo
periodo decrescenti, che denotano la presenza di economie di scala (rendimenti di scala crescenti).
Queste condizioni si realizzano quando gli investimenti fissi sono talmente elevati da non poter essere
saturati dalla domanda di mercato.
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Il dilemma del monopolio di mercato (aspetto problematico): conciliare l’efficienza produttiva (min
costi) con l’efficienza allocativa (no perdita benessere) in quanto:
1. dal punto di vista dell’efficienza produttiva è socialmente ottimale che ci sia un solo produttore
perché riesce a sfruttare al massimo le economie di scala
2. ma se c’è un solo produttore:
- mancheranno gli stimoli concorrenziali all’efficienza che rendono il prezzo pari al costo marginale;
essendoci un’unica impresa, niente garantisce che questa impresa sarà efficiente.
La concorrenza stimola l’efficienza perché crea una gara tra imprese e spinge all’innovazione ma se in
questi settori la concorrenza non ha senso la concorrenza, cosa stimola l’efficienza? Problema storicamente
risolto dando la gestione di questi settori al gestore pubblico; rimasto il problema dell’efficienza! Altra
soluzione adottata: scomporre il monopolio.
- se non c’è un Regolatore, il singolo produttore avrà l’incentivo a comportarsi da monopolista e a praticare
un prezzo di monopolio
3. però se si riuscisse a costringere il monopolista naturale a praticare un prezzo pari al costo marginale,
problema perchè a quel prezzo il monopolista naturale realizza una perdita (esito in A)

Concetto “costo sub-additivo”: esistono le condizioni di monopolio naturale quando il C(q) è inferiore alla
somma di C(q1)+ C(q2)… Cioè quando il costo di produrre tutto da un’unica azienda è inferiore al costo di
produrre separatamente le parti (q prodotta da tante diverse aziende):
K
dato q i
 q allora C  q   C  q1   C  q 2   ....  C  q n 
i 1

Caso azienda mono-prodotto


Azienda che produce un solo bene/servizio; le economie di scala sono una condizione sufficiente ma non
necessaria.
La sub-additività si estende fino al punto Q*.
Se la curva di domanda è bassa, è bene che a produrre sia un’unica
impresa perché quell’impresa ha curva di costo medio più bassa di
quando sono due le imprese a produrre.
Se la curva di domanda è molto più alta, è bene che ci siano due
imprese a produrre perché con due imprese la curva dei costi medi
è più bassa.
Se la curva di domanda passa tra M e P, è bene che ci sia un’unica
impresa a produrre.
Quindi, fino a Q’ ho economie di scala perché costi medi sono decrescenti; tra Q’ a Q* i costi medi sono
decrescenti ma è bene che vi sia un’unica impresa che produca.
Per questo motivo la condizione è sufficiente ma non necessaria.

Caso azienda multi-prodotto


Nelle imprese multi-prodotto ho sia economia di scala sia economie di scopo; economie di scopo quando la
curva dei costi per produrre congiuntamente q1 e q2 è inferiore a produrre separatamente q1 e q2. La
produzione congiunta è conveniente:
C  q1 , q2   C  q1 , 0   C  0, q2 
In questo caso si può dimostrare che:
 le economie di scala non sono una condizione sufficiente (perché le diseconomie di scopo possono
compensare le economie di scala); vale a dire, la sola presenza delle economie di scala non garantisce la
sub-additività della funzione di costo (come era invece nel caso mono-prodotto)
 mentre in presenza di economie di scala e di scopo è probabile che ci sia sub-additività

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Soluzioni possibili al monopolio naturale

1. Non intervento
Se il potere monopolistico non è considerevole, una possibilità da considerare è quella di non intervenire.
Possono essere tollerati dei gradi di inefficienza dei monopoli locali poiché il costo dell’intervento sarebbe
maggiore ai benefici.

2. Soluzioni ideali
A. Prezzi lineari
Questa alternativa prevede che il prezzo sia linearmente uguale al costo marginale, per cui la spesa per i
consumatori sarebbe proporzionale alla quantità acquistata.
Il vantaggio sarebbe quello di avere efficienza allocativa ma, per il monopolista, c’è una perdita perché il
prezzo è inferiore al costo medio. La perdita può teoricamente essere coperta con un sussidio finanziato con
una tassa lump-sum (non distorsiva). A questo punto però si creerebbero una serie di problemi poiché se la
perdita è coperta da un sussidio, c’è un indebolimento degli incentivi al controllo dei costi (la copertura della
perdita garantita non incentiva le imprese ad essere efficienti); inoltre, ci sono effetti redistributivi a
svantaggio di chi non consuma il bene (i costi sono a carico di tutti, i benefici vanno però solo a chi
usufruisce del bene/servizio). Infine, è politicamente difficile sussidiare un monopolio naturale se questo è in
mani private.
Dunque, si potrebbe ritenere meglio praticare P=Cme ma ciò porterebbe ad una perdita di benessere.

B. Prezzo non lineare


La spesa per i consumatori è una funzione non lineare della quantità acquistata:
p = F + MC, dove F= componente fissa e π*MC = componente variabile
Come distribuire la componente fissa F?
- Tariffa a due parti: una parte proporzionale al costo marginale e una parte fissa; in questo modo è possibile
ottenere l’efficienza allocativa. Stabilendo una perdita K ad un numero di consumatori pari ad N, la tariffa
fissa (che non è discriminatoria) dovrà essere uguale a K/N. Applicando questo metodo non c’è bisogno di
sussidi in quanto la perdita è incorporata nel prezzo.
I problemi attinenti a questo metodo di applicazione riguardano il fatto che la parte fissa è divisa tra un
numero di consumatori diversi tra loro le cui quantità consumate sono molto diverse. Nel caso di
consumatori meno abbienti, una quota fissa troppo elevata comporta la loro estromissione dal mercato. In
conseguenza all’estromissione dal mercato di alcuni consumatori, la quantità venduta si riduce e non c’è più
efficienza allocativa. Per far fronte a tale problema è possibile ricorrere a tariffe discriminatorie a patto che
queste non siano illegali quindi la soluzione migliore è quella di usare tariffe minime che non estromettono
nessuno.
- Tariffa a molte parti
In questo caso si verifica un’autoselezione degli utenti che scelgono il loro piano tariffario sulla base delle
loro esigenze; il monopolista non sta discriminando in quanto sono gli stessi consumatori a scegliere la
fascia favorita. Il vantaggio di tale soluzione consiste dunque nel fatto che nessuno è escluso dal mercato ma
sono gli stessi utenti ad auto discriminarsi. Applicando questo metodo, si applicano tariffe declinanti che
riflettono bene il fatto che il costo marginale è declinante (economie di scala) ovvero che i consumatori che
consumano di più pagheranno di meno. La tariffa declinante può essere vista come un meccanismo di
autoselezione dei consumatori utile, quindi, per evitare il rischio di esclusione di alcuni consumatori.
- Ramsey pricing
Ramsey ha proposto una formula di prezzo tale per cui i prezzi pagati sono inversamente proporzionali
all’elasticità della domanda: chi ha l’elasticità più elevata pagherà meno. In questo modo la perdita viene
distribuita in base all’elasticità. Con il Ramsey pricing, c’è sempre una perdita di benessere ma è
minimizzata.
Nella scienza delle finanze, vengono tassati maggiormente i beni a domanda rigida, quelli cioè il cui
consumo non si modifica molto se c’è un aumento dei prezzi, poco sensibili alla variazione dei prezzi
(sigarette, benzina ecc.…).
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3. Soluzioni istituzionali: Impresa pubblica, Regolamentazione economica, Franchise bidding (asta
competitiva per la concessione)

2)
L’impresa pubblica è la soluzione tradizionale al problema di monopolio naturale adottata fino agli anni
‘90, periodo di inizio di un tentativo di liberalizzazione, privatizzazione, permettendo l’ingresso a più
operatori.
L’impresa pubblica, l’azienda monopolista è di proprietà pubblica e viene gestita da managers pubblici,
soggetti al controllo politico e quindi agli elettori.
La soluzione al monopolio naturale dell’impresa pubblica consiste nel cambiare la funzione obiettivo del
monopolista, da massimizzazione dei profitti (riduzione dei costi e adozione di prezzi soddisfacenti) a
massimizzazione del benessere sociale (prezzi bassi, servizi ampi e qualitativamente buoni).
Infatti, le imprese private puntano alla massimizzazione dei profitti per soddisfare i propri azionisti o il
proprio valore di borsa; le imprese pubbliche puntano a servire il servizio al minimo costo; nelle imprese
pubbliche, infatti, non vi sono azioni da massimizzare, ma c’è un servizio da sostenere nell’interesse della
comunità.

Le imprese pubbliche (intervento pubblico nell’economia tramite le imprese pubbliche) non sono usate solo
nel caso di monopoli naturali, ma anche per:
• Abolizione della proprietà privata: tutte le forme di produzione nei paesi comunisti (nei Paesi dove sono
prevalse certe ideologie, volontà di sostituire la proprietà privata con forme di proprietà pubblica; esempi
attuali sono Cuba e Cina)
• Promozione dello sviluppo economico (imprese pubbliche storicamente usate per la promozione dello
sviluppo economico): per esempio IRI (Istituto per la ricostruzione industriale, 1933-2002) in Italia
(chimica, cantieri navali, siderurgia, agricoltura, industria, banca, ecc.); idea che in assenza di
investimenti privati, impresa pubblica sia la soluzione
• Fornitura di beni pubblici (ospedali, difesa, istruzione); per la loro natura di beni pubblici (non rivalità-
non escludibilità): imprese private non ne offrirebbero abbastanza
• Partecipazione e controllo pubblico in aziende strategiche (auto, chimica, siderurgia, armi, aerospaziale,
meccanica); intervento pubblico con quote volte a finanziare e/o co-dirigere
• Monopolio naturale nazionale e locale (energia elettrica, gas, servizi idrici, gestione di porti, aeroporti,
ecc.)

Solo in Italia intervento pubblico? NO


Si osserva che in diversi Paesi, ci sono alcuni settori in cui intervento pubblico (poste) è presente; alcuni
settori misti (trasporti, sanità, istruzione) e altri senza alcun intervento pubblico (alcool). Quadro è molto
misto!

Secondo Musgrave, il ruolo dello Stato nell’economia è estremamente importante ed è distinto in tre
funzioni:
- stabilizzazione (risposta dello Stato alla crisi: intervento anticiclico con emissione di risorse…)
- distribuzione (equità tra i cittadini; redistribuzione della ricchezza per assetto sociale equilibrato: spostare
risorse)
- allocazione (fornitura di beni pubblici e correzione delle esternalità)
- (aggiunta di Danielis) produzione: produzione diretta di beni pubblici, produzione diretta o indiretta di beni
in settori di monopolio naturale e finanziamento della ricerca e sviluppo
Principali motivazioni a favore dell’impresa pubblica come soluzione utile ed efficiente per la gestione
dei monopoli naturali:
1. Necessità di ingenti investimenti infrastrutturali in settori strategici con una durata in vita lunga e a
redditività molto lenta (esternalità produttive; energia, strade, gas, telefonia, acqua…)

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2. Infrastrutture a rete con interconnessioni (esternalità di rete; rischio di una sottoproduzione e quindi
c’è bisogno di una soglia critica molto elevata)
3. Obbligo di servizio pubblico (servizio universale anche se non economico; settori che producono
beni e servizi di base)
4. Monopolio privato inaccettabile (impresa pubblica è un’alternativa)
Per questi motivi, l’impresa pubblica è stata la forma più usata, anche nel caso di investimenti inizialmente
privati. La discussione sul ruolo dello Stato è un tema sempre molto dibattuto ed attuale; un esempio attuale
e importante è l’infrastruttura della fibra ottica che è fondamentale per le telecomunicazioni.

Problemi con i monopoli pubblici:


- X-inefficiency a causa dell’assenza di incentivi concorrenziali: eccesso di uso di input di capitale e
lavoro, scarso controllo dei costi
- Cattura politica (uso del settore e criteri decisi dalla politica)
- Scarsi incentivi all’efficienza dei manager
- Scarso incentivo agli investimenti privati (a causa dell’intervento pubblico)

L’impresa pubblica come soluzione al dilemma del monopolio naturale?


• L’azienda monopolista è di proprietà pubblica e viene gestita da managers pubblici, soggetti al
controllo politico e quindi agli elettori
• In questo modo la funzione obiettivo del monopolista non è la massimizzazione dei profitti ma la
massimizzazione del benessere sociale
Modello principale-agente (o Modello d'agenzia) è definita da Michael Jensen e William H. Meckling come
"un contratto in base al quale una o più persone (principale) obbliga un'altra persona (agente) a ricoprire per
suo conto una data mansione, che implica una delega di potere all'agente". Tale definizione è molto
generale, e comprende qualsiasi relazione tra due individui, in cui uno dei due delega parte del proprio
potere all'altro. Il contratto di agenzia, però, presenta alcuni rischi, dovuti al comportamento opportunistico
delle parti, che tendono a massimizzare la propria utilità (tale comportamento opportunistico non è
eliminabile, può essere tuttavia limitato).
Vi possono essere due tipi di opportunismo:
 Selezione avversa (opportunismo ex ante): L'agente fornirà al principale delle informazioni erronee o
incomplete sulle proprie capacità e competenze per farsi assumere. (contratti assicurativi: nascondere
malattie, difetti)
 Azzardo morale (opportunismo ex post): È costituito dal comportamento scorretto che l'agente mette in
atto in presenza di asimmetrie informative e per via dell'incompletezza del contratto (specie nel caso in
cui non sia verificabile se le parti hanno effettivamente adempiuto in modo corretto agli obblighi del
contratto) (contratti assicurativi: svolgere attività rischiose dopo aver sottoscritto un contratto)
Sono inoltre presenti delle asimmetrie informative a favore dell'agente, in quanto esso è sicuramente a
conoscenza di un maggior numero di informazioni rispetto al principale sul ruolo da svolgere, e può sfruttare
queste asimmetrie informative tenendo comportamenti opportunistici.

Teoria positiva dell’impresa


Il modello manageriale di impresa enuncia le principali caratteristiche di un’impresa (es. SPA). Si evidenzia
che:
• c’è separazione tra proprietà e controllo
• i proprietari non possono controllare perfettamente le scelte dei manager, in quanto difettano di
informazioni (per ragioni di conoscenza e di tempo)
• le scelte dei manager possono non coincidere con gli interessi della proprietà
• l’utilità dei manager dipende dal reddito, dai benefici non pecuniari (staff a disposizione, spese di
rappresentanza) e dallo sforzo
• i proprietari devono creare una struttura di incentivi tali da indurre i manager a fare le scelte migliori
per la proprietà
La principale differenza nell’applicare lo schema di analisi del modello manageriale all’impresa privata e
all’impresa pubblica consiste:
• negli interessi dei proprietari
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• e nei meccanismi disponibili per l’incentivazione dei managers

Impresa privata
• il proprietario vuole massimizzare i profitti, per cui per ricomporre il conflitto proprietario (azionisti)-
manager, fa dipendere la retribuzione del manager dai profitti dell’azienda (attraverso premi e
partecipazioni azionarie)
– il problema non è completamente risolto perché il manager riceve una parte dei profitti. La
retribuzione dei manager può essere enormemente più elevata di quella degli altri lavoratori
• c’è un incentivo implicito nel mercato del lavoro in quanto la redditività dell’azienda aumenta la
reputazione del manager e quindi il suo reddito futuro
• ulteriormente, il manager è soggetto al rischio di licenziamento, in modo diretto o tramite il mercato dei
capitali (l’acquisizione dell’azienda e la sostituzione del management)

Impresa pubblica
Non esiste una simile struttura di incentivi perché:
• il benessere sociale è più difficile da misurare del profitto
• è quasi assente il rischio di licenziamento indiretto tramite il mercato dei capitali, data la non
trasferibilità della proprietà
• il prezzo e la quantità e qualità dei servizi potrebbero rappresentare indicatori di performance in
alternativa al profitto, ma questi possono essere usati strumentalmente dai managers per massimizzare la
loro popolarità
• le inefficienze dei manager ed il loro desiderio di massimizzare la popolarità e minimizzare i conflitti si
possono tradurre facilmente in generose concessioni salariali ed eccesso di investimento
• le imprese pubbliche sono inoltre caratterizzate da frequenti sussidi incrociati

Nel confronto tra impresa privata e pubblica la teoria economica predice quindi che le imprese
pubbliche:
• adotteranno prezzi più bassi
• praticheranno una minore discriminazione dei prezzi
• guadagneranno minori profitti
• saranno meno efficienti
• useranno più capitale e lavoro

Conclusioni
La gestione del monopolio naturale tramite l’impresa pubblica presenta dunque sia aspetti positivi sia aspetti
problematici
Nelle fasi iniziali dello sviluppo economico, in assenza di capitali privati, l’impresa pubblica è la soluzione
più praticabile.
Successivamente, in presenza di un mercato di capitali e tramite la costituzione delle autorità di settore, si
cerca di privatizzare\liberalizzare i settori in monopolio naturale scorporando il settore (unbundling) e
introducendo quanti più meccanismi concorrenziali possibili.
Le autorità di regolazione sorvegliano i monopolisti pubblici, misti o privati.

3) Il settore in monopolio naturale è gestito da un monopolista privato o semi-pubblico che definisce le


linee strategiche, effettua gli investimenti, produce il bene o servizio e gestisce i costi.
Il suo operato è sorvegliato da un’Agenzia di Regolamentazione (AdR) che monitora la fornitura e qualità
del servizio, controlla il livello e la struttura dei prezzi (rate level e rate structure), definisce le regole di
funzionamento del settore in modo da:
- prevenire l’estrazione delle rendite di monopolio
- incentivare l’efficienza produttiva
- regolare l’accesso all’infrastruttura
- prevenire comportamenti predatori

Le Agenzie di Regolamentazione si occupano di due problemi:


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1) determinazione del livello dei prezzi (rate level)
Far in modo che il monopolista, da una parte, sia efficiente e, dall’altra, non faccia delle perdite perché
altrimenti queste andrebbero coperte dalla fiscalità generale. Si determinerà quindi un livello dei prezzi tale
per cui si coprano i costi e si remunerino gli investimenti.
∑ pi q i=Spese + s( RB)
pi= prezzo del servizioi
q i=quantità del servizioi
s=giusto tasso di rendimento dell ' investimento
RB=investimento dell ' azienda(ratebase )
Riguardo alla valutazione dell’investimento base si sa esserci incertezza (difficoltà nella valutazione!).
I metodi di valutazione possibili sono: valore storico, valore di riproduzione del vecchio investimento,
valore di sostituzione con nuova tecnologia, valore di borsa.

Il problema sta nel trovare come incentivare il monopolista naturale a contenere i prezzi:
Prima soluzione all’incentivo: piano sliding scale
L’idea è di utilizzare nella fissazione del livello dei prezzi la seguente formula:
ra = rt + h(r* - rt)
dove: ra = redditività risultante (actual), rt = redditività al tempo t, r* = redditività obiettivo
• se h=1, ra=r* : i prezzi sono fissati in modo da garantire in ogni caso all’azienda la redditività obiettivo,
nessun incentivo (cost-plus)
• se h=0, ra=rt : i guadagni di efficienza sono completamente a vantaggio dell’azienda, così come eventuali
perdite, incentivo massimo (fixed-price)
• se h=1/2 i rischi ed i guadagni del monopolista naturale sono condivisi dalla società, incentivo parziale e
condivisione dei rischi! (sliding scale)
Permette di condividere i rischi e la remunerazione tra il monopolista e la società (i consumatori).

Seconda soluzione: price caps e standards di redditività


La formula dice che l'incremento del prezzo consentito è pari all'incremento nel tasso d'inflazione, meno un
x% che è il tasso di incremento della produttività che il monopolista deve ottenere:
∆p = RPI – x
∆p = adeguamento dei prezzi consentito
RPI = tasso di inflazione (retail price index) osservato
x = tasso di incremento della produttività prefissato (obiettivo): quello si vuole che il monopolista realizzi
• contiene un incentivo all’efficienza (almeno pari al tasso di incremento della produttività prefissato)
• i ritardi regolativi sono inseriti nella formula in modo non accidentale
• permette la condivisione dei guadagni di produttività

2) determinazione della struttura dei prezzi (rate structure)


Il monopolista naturale, quasi sempre, produce più di un bene o lo destina a gruppi di consumatori diversi tra
di loro. Come fissare la struttura dei prezzi (come fissare dei prezzi per i diversi utenti)?
Il problema è tenere conto:
• dei diversi beni e servizi
• dei diversi gruppi di utenti (aziende-famiglie, agiati-disagiati)
• della copertura e ripartizione dei costi comuni legati all’infrastruttura

Due possibili soluzioni


1. prezzo di piena distribuzione dei costi (FDC)/ Soluzione di tipo ingegneristico: non guarda alla
domanda ma solo ai consumi; è un modo ragionevole ma necessariamente arbitrario e non ha alcuna
relazione con l’efficienza economica.
2. prezzi di Ramsey (garantisce la minimizzazione della perdita di benessere): secondo Ramsey bisogna
guardare l’elasticità della curva di domanda ed aumentare i prezzi sulla base di tale elasticità, quanto più è
elevata la curva di domanda minore sarà l’incremento dei prezzi.
Il criterio economico è quello di usare i prezzi di Ramsey; l’Autorità di Regolamentazione secondo gli
economisti dovrebbe studiare la struttura dei prezzi non solo sulla base dei costi, ma anche sulla base
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dell’elasticità, e dovrebbe puntare a trovare quella struttura dei costi che minimizza la perdita di benessere.
Quindi la più efficiente dal punto di vista economico.

Cos’è un sussidio incrociato? Un sussidio incrociato nasce quando un gruppo di consumatori paga per un
bene di più di quanto costerebbe produrre quel bene in modo isolato, sussidiando in questo modo altri gruppi
di consumatori. Per verificare la presenza di un sussidio incrociato si può usare il criterio del costo medio
isolato; nel caso dei prezzi Ramsey non ci sono mai sussidi incrociati! Esempio, esiste un sussidio
incrociato per le tariffe degli autobus, il prezzo del biglietto è uguale per tutti, non dipende dal tipo di
servizio richiesto; la situazione che si verifica è che chi fa viaggi bevi sussidia chi fa viaggi lunghi.

3) L’asta competitiva è una soluzione al problema del monopolio naturale; consiste nel fatto che la
possibilità di svolgere il servizio nei settori in monopolio naturale viene concessa tramite aste al miglior
offerente. Tale strumento è tipicamente usato dalle amministrazioni pubbliche e private per selezionare i
fornitori di un servizio.

Teoria del franchise bidding


Se un’industria presenta caratteristiche di monopolio naturale c'è il rischio che il prezzo sia eccessivamente
alto. Invece della regolamentazione dei prezzi, Demsetz propose di usare un meccanismo d'asta per ottenere
la concessione (franchise bidding)
• La licenza è concessa a chi si impegnerà a fornire il servizio al prezzo minore (selezione all’ingresso dei
concorrenti)
• Se la competizione è sufficiente, il prezzo tenderà ad eguagliare i costi medi
• Lo Stato (non gestisce il servizio ma) svolge la funzione di banditore d'asta invece che di regolatore
• Alla concorrenza nel mercato (replicare infrastrutture non è conveniente) si sostituisce la concorrenza
per il mercato (selezione all’ingresso del mercato)
Esempi:
- Ambito monopoli naturali (più piccolo; a livello locale o regionale): trasporto pubblico regionale su
autobus, servizio di trasporto ferroviario regionale, gestione autostradale (in Italia, circa una trentina
di concessioni), banchine dei porti marittimi (gestione di ogni molo offerto tramite concessione),
gestione dei servizi idrici e di prelievo\smaltimento rifiuti, frequenze televisive o telefoniche.
- Ambito diverso dai monopoli naturali: in enti pubblici (fornitura di apparecchiature medicali e di
farmaci, servizi di pulizia e custodia, apparecchiature informatiche) e in aziende private (rasporti,
pulizia, e servizi vari di tipo non-core, ecc.).
Si può dire che l’asta seleziona le aziende in base alla loro efficienza sarà selezionata l’azienda con costi
medi più bassi.
P
Queste quattro imprese sono dotate di diverse tecnologie e quindi hanno diverse
funzioni di costo medio, prendono parte ad un’asta inglese modificata (vince la
licenza chi offre il servizio al prezzo più basso).
Se viene bandito un prezzo leggermente inferiore a P2 solo l'impresa 1 rimarrà in
P4 gara e si aggiudicherà l'asta. Si noti che l'asta è stata vinta dall'impresa più
A C 4
P3
A A C 3
efficiente; quindi, il meccanismo d'asta ha funzionato come meccanismo di
P2

P1 B
A C 2 selezione. Idealmente, ci si aspetta che all’asta partecipi un numero consistente di
D
A C 1
competitori e che quindi vinca il migliore; potrebbe però anche esserci un solo
F ig . 1 3 .2
Q partecipante.

Le caratteristiche dell’asta sono quindi tre:


1. ottiene la licenza l’azienda più efficiente
2. il prezzo eccede il costo medio di produzione dell’assegnatario
3. c’è una perdita di benessere del consumatore a causa dell’insufficiente concorrenza (maggiore è la
concorrenza, minore è la perdita di benessere)

pro meccanismo d’asta


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• non impone nessun requisito informativo
• non si corrono rischi di inefficienza da sovra-capitalizzazione come nella regolamentazione
contro meccanismo d’asta
• i prezzi risultanti differiscono dai prezzi marginali (contrariamente alla tariffa in due parti, a meno
che l'asta non si basi, invece che su un unico prezzo, su una tariffa a due parti o struttura dei prezzi)

La qualità del servizio (problema 1)


Una delle difficoltà nell'uso delle aste per attribuire la concessione per i monopoli naturali si ha nel caso in
cui il servizio non sia omogeneo e diventa dunque importante tenere conto nel selezionare il vincitore anche
della qualità del servizio (affidabilità, precisione, durata, ecc..).
In quanto:
• gli attributi qualitativi del servizio devono venire pre-specificati assieme al prezzo
• la qualità è difficile da verificare e può essere controllata solo ex-post
• c'è un incentivo per l'aggiudicatario a ridurre la qualità dopo l'assegnazione (dal punto di vista dei suoi
profitti, gli conviene limitare le spese per la qualità)
• la scelta del banditore è molto più complessa e discrezionale
• diventando la scelta più complessa e discrezionale, aumenta il rischio di attività rent-seeking (implica
generalmente l'estrazione di valore non controbilanciato da altro, senza che ci sia alcun contributo alla
produttività).
Variabilità della domanda e dei costi (problema 2)
Siccome le condizioni della domanda e dei costi possono mutare rapidamente nel tempo (influendo
positivamente o negativamente sui profitti del monopolista) è necessario che se ne tenga conto; condizioni
contrattuali dell’asta vengono meno.
Le possibilità sono due:
- concessione per un periodo di tempo breve e quindi avere aste frequenti in modo che non sia necessario
specificare come si farà fronte ai cambiamenti nei costi o nella domanda
MA: (problema 3)
• Le concessioni brevi e le aste frequenti hanno il vantaggio di permettere la verifica dei requisiti di
qualità previsti nei contratti. Nel caso però in cui l'investimento iniziale sia molto elevato, una
concessione di breve durata non è praticabile in quanto non permette di ammortizzare i costi sostenuti
• Le concessioni lunghe forniscono un incentivo all'investimento di lungo periodo, che richiede un lungo
ammortamento. Sono però difficili da scrivere; è necessario prevedere come far fronte ai cambiamenti
della domanda e dei costi
-predefinire nel contratto le regole di adeguamento ai cambiamenti imprevedibili dei costi e della
domanda
Vantaggio delle imprese che già prestavano il servizio (incumbents) (problema 4)
• l'impresa che già si era già aggiudicata l'asta o che prestava il servizio in regime di monopolio pubblico
ha acquisito un vantaggio che può essere rilevante sulle imprese concorrenti in termini di investimenti e
conoscenza dei costi (incumbents ha una migliore conoscenza della struttura di mercato) e del mercato e
di spese irrecuperabili già effettuate.
• i decisori politici tendono a mantenere lo status quo (decisori politici sanno che questa impresa fa questo
servizio, sa che ha i dipendenti… distorsione a favore dell’incumbent)
Controllare i comportamenti opportunistici (problema 5)
Un'ulteriore difficoltà delle aste è controllare il comportamento opportunistico ex-post: offrire un prezzo
basso per vincere l'asta e poi chiedere adeguamenti nei prezzi per far fronte a imprevisti aumenti nei costi
(sfruttando la presenza di costi irrecuperabili d'asta). Esistono però clausole di precauzione (esclusione
prezzi estremi) o penalità per disincentivare un comportamento opportunistico.

Conclusioni:

10
Si è visto che con le aste (franchise bidding), lo Stato svolge la funzione di bandire d’asta invece che di
regolare. Alla concorrenza nel mercato si sostituisce la concorrenza per il mercato.
Il ruolo dello Stato è più importante di quanto appaia (non solo arbitro ma anche regolatore perché vi sono
diverse problematiche) a prima vista a causa:
• delle incertezze legate alla qualità
• della variabilità nel tempo dei costi e della domanda futura
• della necessità di considerevoli investimenti iniziali che impongono concessioni di durata non breve
• dell’opportunismo del vincitore
• del probabile vantaggio della azienda che già fornisce il servizio (avendo ricevuto la concessione)
rispetto alle altre
Il vantaggio teorico del franchise bidding rispetto ad altre forme di regolamentazione tende pertanto a
scemare. Il franchise bidding tende ad assomigliare alla regolamentazione: differenze sono di grado e non di
natura.
5)
Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del SETTORE FERROVIARIO
Principali caratteristiche tecnico-economiche
• Elementi del monopolio naturale di natura fissa (costi fissi): binari, stazioni, locomotive e vagoni (in
proprietà o in affitto); rete va ammodernata e messa in sicurezza periodicamente, stazioni sono punti di
intersezione tra linee e dove persone sostano quindi interessanti dal punto di vista economico (attività
commerciali), locomotive e vagoni costruiti ad hoc
• Principali costi variabili: personale (macchinisti, personale viaggiante...), pedaggi, energia; importanti
perché, ad esempio macchinisti, hanno corsi di formazione che durano due anni
• Elevata intensità di capitale (con vita economica però molto elevata) con limitata sostituibilità di capitale
e lavoro
• Settore a rete: nodi e connessioni  programmazione integrata: ottimizzare la domanda e l’offerta;
domanda arriva da tanti punti della rete quindi offerta deve ottimizzare tempi e costi di trasporto
Presenta tutte le caratteristiche favorevoli all’economie di scala.

La domanda di trasporto ferroviario è segmentabile in tre servizi:


1. Trasporto di media e lunga percorrenza dei passeggeri, in cui il trasporto ferroviario ha come
sostituti, oltre al trasporto individuale o collettivo su gomma, anche il trasporto aereo
– Alta velocità (numero contenuto di fermate; collega le città più importanti)
– Velocità contenuta (numero di fermate elevato; si ferma spesso)
2. Trasporto locale di passeggeri all’interno di un sistema locale del lavoro: come quello regionale;
punti di raccolta e punti di destinazione
3. Trasporto merci: vagone che va dal punto di origine a un punto di destinazione; un unico treno senza
soste, oppure treno che raccoglie/consegna presso stazioni vagoni merce
Siccome ci sono tre tipologie di servizio, esistono delle economie di scala; ci sono anche le economie di
scopo (azienda attiva nel trasporto merci è attiva anche nel servizio di trasporto m/l percorrenza)? Potenziale
presenza di economie di scopo.

Obiettivi pubblici del trasporto ferroviario


• garantire il diritto alla mobilità dei cittadini. Il riconoscimento di un diritto alla mobilità si traduce
nell’attribuzione al trasporto ferroviario della qualifica di “servizio universale”, per il cui svolgimento
sono imposti e compensati specifici obblighi di servizio pubblico (OSP). (servizio offerto anche in fasce
orarie deboli, punti con poca domanda)
• favorire il riequilibrio modale a scapito dell’automobile per il minor inquinamento, congestione,
incidentalità e costi di usura delle strade.
Presenza di motivazioni sociali (extra-economiche)

È giustificato il suo inserimento tra i settori in monopolio naturale?


• Presenta tutte le caratteristiche favorevoli all’economie di scala
• Potenziale presenza di economie di scopo
• Presenza di motivazioni sociali (extra-economiche)
11
 presenta caratteristiche di monopolio naturale

Quali soluzioni sono suggerite dalla teoria economica?


La teoria economica suggerisce:
A. Unbundling: la separazione proprietaria fra gestore della rete e gestore del servizio (si scorpora il
monopolio naturale: gestione e fornitura a due imprese diverse)

B. La gestione del servizio è offerta ad uno o più operatori in concorrenza fra loro (concorrenza per il
mercato).

C. La gestione della rete è sorvegliata da una autorità di regolazione che garantisce l’accesso alla rete equo
e non discriminatorio.
A. Separazione proprietaria tra gestore della rete e gestore del servizio e l’affidamento di quest’ultimo
ad operatori in concorrenza fra loro. Il vantaggio è quello di garantire in maniera equa e non
discriminatoria l’accesso alla rete, stimolando la concorrenza.
L’integrazione ha però dei vantaggi industriali che la separazione non ha come le economie di scopo,
vantaggi informativi (chi opera i treni conosce al meglio le criticità della rete), incentivi alla
manutenzione/investimento della rete (il mancato ammodernamento della rete ha effetti sulla operatività dei
treni) e riduzione dei costi di transazione (non si sono contratti da scrivere e monitorare tra aziende diverse).
Le analisi empiriche non sono conclusive né sugli effetti in termini di efficienza legati all’integrazione
verticale, né sulla presenza di economie di scopo fra il trasporto merci e quello passeggeri. Alcuni autori
mostrano che empiricamente la separazione verticale non determinerebbe significative differenze
nell’efficienza tecnica complessiva.
Nel caso un’impresa effettui sia servizi concorrenziali sia servizi pubblici è necessario evitare
comportamenti e strategie volti a falsare il gioco della concorrenza sul mercato concorrenziale grazie ai
ricavi ricevuti per il servizio pubblico.

B. Concorrenza per il mercato, nel caso non sia possibile avere più di un gestore e/o se il regolatore ha
scelto di sussidiare anche parzialmente il servizio.
La definizione di meccanismi di concorrenza per il mercato comporta numerose scelte di dettaglio quali:
• la dimensione del mercato da mettere a gara. Trade-off tra facilità di monitoraggio e numero di
potenziali partecipanti alla gara (rischi di collusione);
• il numero di tratte da affidare a ciascun gestore;
• le caratteristiche del contratto di servizio;
• la definizione del livello delle tariffe e dei sussidi;
• il meccanismo d’asta.

C. Contratto di servizio
Si tratta di uno strumento complementare alle gare è il contratto di servizio (CS): in presenza di asimmetrie
informative, definisce meccanismi di incentivo affinché il gestore offra la quantità e gli standard richiesti del
servizio.
Se lo stesso gestore ha oneri di servizio su alcune tratte ma non su altre (potenzialmente remunerative),
l’ente locale contraente può consentire all’impresa ferroviaria l’utilizzo di sussidi incrociati fra i due tipi di
servizio; tuttavia, ciò non dovrebbe essere ammesso qualora sulle tratte remunerative il gestore sia in
concorrenza con altre imprese.

Quali soluzioni sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore?
Politica ferroviaria europea: realizzazione del mercato unico, la riduzione dei sussidi pubblici e la
promozione della concorrenza  creare una rete europea e permettere la concorrenza a livello europeo!
Quattro pacchetti ferroviari:
1° regole trasparenti e uniformi di accesso alla rete e prime misure per la liberalizzazione del trasporto
ferroviario di merci trans-europeo
2° piena apertura del mercato UE del trasporto ferroviario merci
3° apertura del mercato dei servizi ferroviari dei passeggeri
12
4° a) obbligatoria l'apertura alla concorrenza fra gli operatori nell'ambito dell'aggiudicazione dei contratti di
servizio pubblico di trasporto ferroviario, b) separazione fra il gestore dell'infrastruttura e l'operatore
storico (unbundling), neutrale rispetto la separazione totale delle attività, c) rafforzamento del ruolo
dell'Agenzia ferroviaria europea

Risultati dell’applicazione dei pacchetti


Gli incumbent (nazionali) ancora controllano il
mercato (ad eccezione del Regno Unito e in
misura minore nelle merci). Trasporto delle
merci, in Italia, 50% Trenitalia; meno
integrato.

Italia
In Europa il processo di liberalizzazione definito a livello europeo non ha dato risultati soddisfacenti. In
molti paesi la separazione verticale fra rete e gestore incumbent è ancora solo formale e il libero accesso di
concorrenti incontra notevoli ostacoli (fra cui quello della mancanza della reciprocità).
In Italia il recepimento della normativa europea è a uno stadio formalmente più avanzato rispetto ad altri
paesi europei:
• Separazione contabile: RFI e Trenitalia
• Alta velocità: nuovo entrante Italo - Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV)
• Trasporto merci: molti entranti (Rail Traction Company, ..)
• Gare per il trasporto regionale: numero limitato
• mantenimento dei “servizi essenziali”. Gli Stati possono erogare una compensazione corrispondente
che non costituisce aiuto di stato.

Separazione societaria non proprietaria


Nel 1992 l’ente Ferrovie dello Stato (FS), costituito nel 1986, è stato trasformato in società per azioni, di
proprietà interamente pubblica, a cui è attribuita la concessione per l’esercizio del servizio ferroviario
pubblico. La separazione tra gestore dell’infrastruttura e dei servizi di trasporto è stata completata nel luglio
2001 con la creazione di Rete ferroviaria italiana (RFI). Nel 2002 il gruppo FS è stato completamente
ridisegnato, creando una holding Ferrovie dello Stato spa, di proprietà del Ministero dell’Economia e delle
finanze (MEF) con al suo interno numerose società autonome, tra cui RFI e Trenitalia.

Separazione contabile: Rete ferroviaria italiana


A RFI è stata trasferita la titolarità della concessione prima in capo a FS, la cui durata è stata ridotta nel 2000
da 70 a 60 anni e la gestione dell’infrastruttura (inclusi gli investimenti), di proprietà dello Stato. È compito
di RFI amministrare il funzionamento della rete assicurando la circolazione in sicurezza dei treni.
L’attività di RFI consiste nella vendita delle tracce orarie sulla rete nazionale alle imprese ferroviarie e
nell’attuazione degli interventi di manutenzione e ampliamento programmati, a fronte dei quali RFI riceve
dallo Stato contributi in conto esercizio. L’allocazione delle tracce avviene in contropartita di un pedaggio.
Anche le ferrovie regionali devono richiedere le tracce a RFI per la parte di trasporto regionale che transita
sulla rete nazionale.

Gruppo Ferrovie dello Stato Italia spa (1905-): insieme di controllate divise in diverse tipologie (trasporto,
infrastruttura, servizi immobiliari, altri servizi); monopolista si è esteso anche in altre aree e anche
all’Estero. È una delle più grandi realtà industriali del Paese. Recentemente, Ferrovie dello Stato si è
aggiudicata gara AV in Spagna.

Trasporto merci

13
Trasporto regionale
Decreto Burlando: trasferimento alle Regionidelle competenze di programmazione, amministrazione e
controllo e delle risorse finanziarie relative al trasporto ferroviario locale dei passeggeri. Scelta del gestore
mediante gare.
L’applicazione è graduale e incerta, con un ripetuto ricorso a proroghe e a regimi transitori. Introduzione di
un Contratto di Servizio con il gestore di durata non superiore a 9 anni (modificata in 6 anni rinnovabili di
altri 6), che preveda compensazioni economiche per Obblighi di Servizio Pubblico.
Una delle difficoltà più importanti incontrate dalle Regioni nell’avviare le gare è stata quella del reperimento
del materiale rotabile, che Trenitalia non ha loro trasferito, nonostante fosse stato acquistato con contributi
statali e regionali. Non è stata invece presa in considerazione la possibilità di trasferire il materiale rotabile a
separate rolling stock companies che poi potevano offrirlo in leasing alle imprese ferroviarie (come nel caso
inglese). Solo il materiale delle ferrovie regionali (ex concesse) è di norma di proprietà del demanio della
Regione.

Il Regolatore
-fino al 2013
In Italia, oltre all’AGCM, per la parte di competenza relativa alla promozione della concorrenza, la
regolamentazione del settore era, fino al 2013, nelle mani dell’Ufficio per la regolazione dei Servizi
Ferroviari, organo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, deputato a svolgere i compiti di
controllo, monitoraggio e regolazione in ambito ferroviario con particolare riferimento alla vigilanza sulla
concorrenza nei mercati del trasporto ferroviario ed alla risoluzione del relativo contenzioso. Proprietario e
regolatore coincidevano nella stessa figura, anomalia questa che prestava il fianco alla critica che le
procedure per il rilascio delle licenze e, soprattutto, le regole per l’accesso (in particolare in termini di
sicurezza) fossero strumentalmente fissate per favorire Trenitalia a discapito dei concorrenti privati.
-dopo il 2013
L’Autorità di regolazione dei trasporti si insedia a Torino. Il compito «nel settore del trasporto ferroviario,
sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e gli enti locali interessati, è di definire gli
ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento. L’Autorità, dopo un congruo
periodo di osservazione, analizza l’efficienza dei diversi gradi di separazione tra l’impresa che gestisce
l’infrastruttura e l’impresa ferroviaria, anche in relazione alle esperienze degli altri Stati membri dell’UE e
all’esigenza di tutelare l’utenza pendolare (art. 37 decreto-legge n. 1/2012)»

In sintesi in Italia:
• Si è realizzata solo la separazione societaria\contabile e non quella proprietaria (UK, Olanda, Svezia)
• L’incumbent ha un ruolo ancora determinante, in particolare nel trasporto passeggeri, meno nel
trasporto merci
• Nella fetta di mercato più ricca, c’è concorrenza tra due operatori: Trenitalia e NTV
• Il Gruppo FSI da alcuni anni realizza profitti
• Proseguono gli investimenti e l’ammodernamento del settore ferroviario
• Le quote di mercato rispetto alle altre modalità di trasporto sono costanti
• Il Gruppo FSI opera e concorre anche in mercati esteri (Germania, Spagna, Grecia...)

14
Nonostante siano chiaramente presenti condizioni di monopolio naturale (economie di scale e di scopo
legate all’infrastruttura, al materiale rotabile ed al servizio), la regolazione tenta di stimolare l’efficienza del
concessionario monopolista (ex-pubblico) e di introdurre, laddove possibile, elementi di concorrenza nel
mercato (separazione tra infrastruttura e servizio) o per il mercato (gare per i servizi regionali). La qualità
del servizio e gli obblighi di servizio pubblico sono assicurati tramite Contratti di Servizio. Il finanziamento
all’infrastruttura è assicurato tramite sussidi pubblici.

6)
Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del SETTORE ELETTRICO. È giustificato il suo
inserimento tra i settori in monopolio naturale?

Fonti primarie di energia: combustibili fossili (petrolio, gas naturali, idrocarburi e carbon fossile),
combustibili rinnovabili, come il biogas, la biomassa (uso prodotti agricoli per produrre energia elettrica),
gli RSU o gli scarti di legname, idrica (idroelettrica, maree, moto ondoso, a "osmosi"), nucleare, solare,
eolica, geotermica.

L’industria elettrica è scomponibile in quattro fasi:


1. La produzione
2. La trasmissione: più vicina è, meglio è
3. Distribuzione e dispacciamento: la distribuzione su linee di media basse tensioni, il dispacciamento è
il coordinamento di tutte le fasi.
4. Vendita: operazione più commerciale, la contrattazione con gli utenti.

TRADIZIONALE

Produzione: conversione in energia elettrica di una particolare forma di energia.


L’assetto organizzativo tradizionale prevedeva il monopolio a causa delle:
0– economie di scala che si realizzano a livello di impianto (sunk cost)
1– economie da integrazione verticale con tutti i segmenti della trasmissione e distribuzione (evitare
costi di transazione e di coordinamento in risposta ai continui cambiamenti delle condizioni di domanda e
offerta, bilanciare la fornitura e il consumo di energia in modo continuo ed in ogni punto della rete)

Trasmissione (e dispacciamento: coordinamento domanda e offerta) e Distribuzione


Trasmissione: trasporto di energia dall’impianto di generazione fino ad un nodo della rete prossimo
all’utilizzatore finale, tramite una rete ad alta tensione che si estende sul territorio nazionale.

15
Distribuzione: il collegamento tra reti ad alta tensione nazionali e reti a medio bassa tensione che si
estendono a livello locale, raggiungendo i consumatori. (gestione medio-bassa tensione).

Queste due fasi, strettamente interconnesse, sono casi tipici di monopolio naturale, in quanto si basano sulla
gestione di un network, che indipendentemente dalla dimensione dell’area geografica interessata non è mai
conveniente duplicare.

Vendita (aspetto commerciale)


Solitamente veniva effettuata da un distributore autorizzato, le tariffe erano regolamentate e l’utente finale
non era dotato di discrezionalità di scelta.

Essa era in mano a monopolisti locali; ad enti pubblici locali che si occupavano di gestirne la vendita. Essi
compravano da Enel e poi distribuivano energia elettrica; utenti finali non avevano possibilità di scelta
perché c’era solo l’ente locale.

Caratteristiche della domanda di energia


0• Aleatoria e fluttuante, toccando un massimo in determinati periodi (nei mesi invernali o estivi) e in
certi orari di punta.; domanda concentrata giorno/notte rispetto la notte oppure a seconda del tempo del
clima= non c’è una domanda costante!
1• Non immagazzinabile se non tramite il ricarico dei bacini idrici o accumulatori elettrochimici; non
posso immagazzinare l’energia elettrica se non in modo parziale con bacini idrici (bacini di ricarica: porto ad
esempio l’acqua da valle a monte; Norvegia, circa il 93% dell’energia che consumano viene tutto
dall’idroelettrica grazie ai bacini di ricarica perciò vantaggio nel costo, nella sostenibilità e la domanda è
modulabile, per questi motivi l’energia elettrica è usata per tantissime cose come il riscaldamento, il
trasporto…)
2• Evitare il blackout: condizione imprescindibile per il funzionamento del sistema elettrico è il
continuo soddisfacimento della domanda di elettricità.
Conseguenze:
- una capacità produttiva dimensionata sui picchi di domanda
- programmazione con largo anticipo degli investimenti in nuova capacità, basata sulle previsioni di crescita
della domanda
- l’importanza della funzione di dispacciamento (coordinamento domanda-offerta), che deve centralizzare il
compito di allocare la produzione tra le diverse centrali in modo da soddisfare con continuità la richiesta
Importanza dell’integrazione verticale: è quello che è successo fino agli ‘90 con ENEL ma c’è stato un
cambiamento: l’instabilità della domanda, se il mercato è libero, determina una generale instabilità dei
prezzi mentre la fornitura al cliente finale prevede solitamente delle tariffe fisse. Nell’organizzazione
tradizionale dell’industria elettrica questo problema non sussiste in quanto produzione e vendita sono
verticalmente integrati. Non essendo presenti sostituti, la domanda di energia elettrica è estremamente
anelastica, in particolare nel breve periodo.

Quali soluzioni per gestire il settore elettrico?


0• Modello tradizionale: monopolista pubblico verticalmente integrato (quello che abbiamo visto e
quello che è stato usato in Italia fino al 1992 con ENEL)
Il modello organizzativo tradizionale che ha caratterizzato l’industria elettrica europea dal secondo
dopoguerra alla metà degli anni Ottanta si è basato su un monopolio legale integrato sia a livello verticale
che orizzontale. Gli Stati Uniti hanno optato per lo più per una struttura in cui era presente un monopolista
privato operante in un regime tariffario regolato da un’apposita commissione statale.

1• Nuovo modello: deregolamentazione\liberalizzazione del settore elettrico


NUOVA ORGANIZZAZIONE
Nuova organizzazione Industria Elettrica
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 “Trasmissione e dispacciamento” considerato il vero nucleo del monopolio naturale, là dove è richiesta
l’impresa pubblica; le altre fasi sono state liberalizzate: messe sul mercato di concorrenza.

Deregolamentazione del settore elettrico: l’analisi economica si è interrogata sull’entità delle economie di
scala e sulla natura della funzione di costo dei singoli segmenti e dell’intera filiera, giungendo alla
conclusione che: produzione, distribuzione e vendita sono fasi che per caratteristiche tecnico-economiche
sembrano adatti a sostenere un regime competitivo; mentre, trasmissione e dispacciamento continuano a
mantenere evidenti elementi di monopolio naturale.

Fase della produzione: dal 1992, uso del petrolio per produrre energia elettrica quasi completamento
sostituito dal gas naturale (metano) sia per motivi economici (aumento del prezzo del petrolio) sia per motivi
ambientali (effetto gas serra, produzione di CO2). Inoltre, si è fatta strada la produzione di energia elettrica
con fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico, biomasse, geotermico; maggior numero di
investitori che producono in diversi modi l’energia elettrica).
In UE il 34% dell’energia elettrica proviene da fonti rinnovabili, che stanno superando quelle fossili.
Germania ha un tasso di crescita di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili molto elevato! (fonte
eolica quella che è cresciuta maggiormente)
Nonostante che la scala minima efficiente vari in modo sostanziale in base alla tecnologia di produzione
impiegata, l’introduzione in anni recenti delle centrali termoelettriche a ciclo combinato, un’innovazione
tecnologica che ha permesso di produrre energia elettrica ad una scala ridotta (competizione!)
Le produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è per sua natura dispersa in molti impianti isolati
(parchi solari o eolici): impianti "ad isola" o impianti "connessi in rete”, tanto che si parla di “produzione
distribuita”.
Le economie di scala appaiono sufficientemente contenute rispetto alle dimensioni del mercato per
permettere la presenza di più operatori nel segmento della produzione.

Fase distribuzione e vendita: non sono state riscontrate significative economie di scala o di scopo nel
segmento della vendita.

Quali soluzioni sono suggerite dalla teoria economica?


Prescrizioni della teoria economica per realizzare la riforma del settore elettrico
1. la separazione (unbundling) dell’incumbent verticalmente integrato in diverse società di generazione,
trasmissione, distribuzione e retail.
2. la creazione di un mercato wholesale (all’ingrsso) a cui hanno accesso produttori e utilizzatori finali:
- distributori che hanno clienti soggetti a tariffe regolate,
- clienti che sono autorizzati a rifornirsi direttamente sul mercato e agenti di mercato che svolgono l’attività
di intermediari.
3. la presenza di un’autorità di regolazione che svolge funzioni di:
- supervisione dei segmenti operanti in condizione di monopolio (trasmissione e distribuzione) e determini le
tariffe di servizio per l’erogazione dei servizi di trasmissione, di distribuzione, di misura dell’energia
elettrica, di connessione,
- monitoraggio del grado di competizione nei segmenti di generazione e vendita, in collaborazione con le
preesistenti autorità garanti della concorrenza.
4. la costituzione di un Indipendent System Operator (ISO) o di un Transmission System Operator
(TSO), che garantisca la stabilità e affidabilità della rete di trasmissione e distribuzione.

17
Il gestore della rete in particolare deve garantire il bilanciamento continuo tra domanda e offerta,
compensare le perdite di rete e monitorare le linee ad alta tensione.

Quali soluzioni sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore?
Riforme introdotte in Italia
Decreto Bersani prevedeva una graduale liberalizzazione delle attività lungo tutta la catena di valore
(produzione, esportazione, importazione, acquisto e vendita di energia elettrica). Venne seguito dal decreto
legislativo che istituì l'effettiva liberalizzazione del mercato del gas.
Nel 1995 fu creata l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, un'autorità amministrativa indipendente, poi
diventata ARERA (Autorità di Regolamentazione per Energia Reti e Ambienti).
Il decreto Bersani bis segnò la completa liberalizzazione del mercato energetico italiano, aprendolo ai nuovi
fornitori e permettendo agli utenti di scegliere liberamente l'operatore a cui rivolgersi per le proprie utenze.
Il quadro regolatorio prevedeva un periodo di coesistenza del mercato libero e quello regolato (Servizio di
maggior tutela) per permettere ai consumatori di effettuare un passaggio graduale e agevole.
La fine del servizio di maggior tutela è stata rinviata più volte: ulteriore slittamento al 1º gennaio 2022 per
gli utenti privati e al 1º gennaio 2021 per le PMI.

Principi ispiratori
 separazione, societaria e proprietaria a seconda dei casi, di ciascuna di queste fasi
0– generazione (produzione) di energia elettrica;
1– distribuzione di energia elettrica e la vendita ai clienti vincolati;
2– la vendita ai clienti idonei;
3– l'esercizio dei diritti di proprietà della rete di trasmissione elettrica;
4– la dismissione delle centrali elettronucleari italiane
 Ciascuna fase viene opportunamente regolamentata in modo da ottenere le migliori condizioni capaci di
garantire l'effettiva realizzazione dell'apertura del mercato al fine di garantire l'ingresso di capitali privati
e una concorrenza tra molteplici operatori con il fine ultimo di avere delle tariffe più basse rispetto ad
una situazione di tipo monopolistica.
 Istituzione di particolari soggetti a carattere pubblico che hanno il compito di ottimizzare il
funzionamento del mercato.

Il decreto ha imposto una soglia percentuale alla produzione di energia elettrica dell'ENEL pari al 50%
dell'energia prodotta in Italia; inoltre, ha imposto all'ex operatore monopolista la vendita di una capacità di
produzione ad altri soggetti in modo da creare altri operatori elettrici.

Enel S.p.A. (originariamente acronimo di Ente nazionale per l'energia elettrica) è una multinazionale
dell’energia e uno dei principali operatori integrati globali nei settori dell'energia elettrica e gas. Istituita
come ente pubblico a fine 1962, si è trasformata nel 1992 in società per azioni e nel 1999, in seguito alla
liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica in Italia, privatizzata. Lo Stato italiano, tramite il Ministero
dell'economia e delle finanze, rimane comunque il principale azionista col 23,6% del capitale sociale, al 1º
aprile 2016. Enel è la 84ª azienda al mondo per fatturato.
nel mercato italiano…
0• produzione di energia elettrica
1• fornitura di energia elettrica
2• distribuzione e della trasformazione di energia elettrica e manutenzione degli impianti
3• gestione del servizio di maggior tutela, ovvero la fornitura di energia a prezzi stabiliti dall'Autorità
per l'energia elettrica e il gas nelle aree nelle quali è concessionaria del servizio.
4• illuminazione pubblica ed artistica
In seguito alla liberalizzazione del mercato, Enel non può produrre più del 50% dell'energia elettrica
prodotta sul territorio nazionale ed è obbligata, al pari di tutte le aziende produttrici, a collegare alla rete
elettrica chiunque ne faccia richiesta (servizio universale), secondo le normative europee.
In generale Enel è soggetta alla supervisione e alle decisioni dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
18
… e a livello globale il gruppo Enel, attraverso le sue controllate, svolge le seguenti attività:
5• produzione, distribuzione e rivendita di energia elettrica e gas
6• produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili
7• opera nel settore del gas
8• svolge attività finanziarie di raccolta fondi sui mercati, impiegandoli in operazioni di investimento
Enel è diventata una grande società multinazionale dell’energia.

Trasmissione e Dispacciamento
Trasmissione di energia elettrica (alta, media tensione) - distribuzione (bassa tensione)
Il decreto ha sancito che la rete dovesse essere gestita in regime di monopolio:
0• Creazione di una società proprietaria della concessione delle infrastrutture della rete, prima
appartenenti all'ENEL (TERNA). Terna diventa pienamente indipendente a seguito della quotazione alla
Borsa di Milano e con la successiva vendita da parte di ENEL del capitale azionario in suo possesso di
Terna ad investitori istituzionali. A Terna viene affidato anche la funzione di Dispacciamento, ovvero la
gestione in tempo reale dei flussi di energia sulla rete elettrica in modo da garantire nell'unità di tempo che si
verifichi l'uguaglianza tra energia immessa in rete e energia consumata.
1• Dato che tale business viene gestito attraverso un monopolio le tariffe che Terna impone per erogare
il suo servizio sono determinate da norme emesse dall’Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, AEEG poi
ARERA.

Il Gruppo Terna è un grande operatore di reti per la trasmissione dell'energia elettrica.


Attraverso Terna Rete Italia gestisce in sicurezza la Rete di Trasmissione Nazionale con oltre 63.500 km di
linee in alta tensione. Attraverso Terna Plus gestisce le nuove opportunità di business e le attività non
tradizionali, anche all’estero. Il Gruppo Terna è il primo operatore indipendente in Europa e il sesto al
mondo per chilometri di linee gestite.

Il Gestore dei Mercati Energetici (GME): gestisce domanda-offerta tra produttori e distributori
dell’energia elettrica; è la società responsabile in Italia dell'organizzazione e della gestione del mercato
elettrico, oltre che di assicurare la gestione economica di un'adeguata disponibilità della riserva di potenza,
ed è di proprietà del Ministero dell’Economia e delle finanze. Al GME è inoltre affidata l’organizzazione
delle sedi di contrattazione dei certificati verdi, dei titoli di efficienza energetica ("certificati bianchi") e
delle Unità di Emissione (emission trading).

Distribuzione e vendita di energia elettrica


Apertura di questa fase in modo graduale utilizzando come discriminante il consumo annuale di energia
elettrica dei vari utenti. I clienti che consumavano (essenzialmente grosse utenze industriali come, ad
esempio, acciaierie o cementifici) di più sono stati i primi a poter scegliere da chi acquistare energia elettrica
poi via via si è progressivamente allargata il mercato a clienti che via consumavano di meno.
Divisi in due grossi gruppi:
0• i clienti idonei, quelli che cioè potevano acquistare energia elettrica sul libero mercato
1• i clienti vincolati che invece si trovano nella stessa condizione precedente alla liberalizzazione.
Non essendoci più un monopolista è stato necessario istituire una figura, più precisamente un ente a
controllo pubblico che si occupasse di fornire elettricità ai clienti vincolati acquistandola dalla pluralità di
operatori che la producevano, tale figura si chiama Acquirente Unico (AU).

Il Decreto ha permesso che la vendita di energia elettrica si realizzi attraverso due modalità:
2• Contratti bilaterali, realizzati direttamente tra il venditore e il compratore;
3• Contrattazione nella Borsa Elettrica, realizzati tra il venditore e il compratore attraverso una
piattaforma telematica;
I venditori sono o società elettriche che producono l'energia che vendono o società di trading che pur non
avendo capacità di generazione rivendono energia che comprano da altri operatori o che importano
dall'estero. I compratori sono tutti quelli che possono accedere al libero mercato.

Certificato verde (attestazione che certifica il fatto che non hai emesso CO2)
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Al fine di favorire l'utilizzo di fonti rinnovabili nella generazione elettrica il Decreto introduce l'obbligo per
produttori e importatori di energia elettrica da fonti non rinnovabili di immettere ogni anno in rete una
percentuale di tale energia pari al 2% dell'energia prodotta o importata nell'anno precedente per la parte
eccedente i 100 GWh. Tale valore percentuale è suscettibile di un incremento annuale pari allo 0,35%. In
questo modo quei produttori e importatori di energia elettrica che non abbiano venduto la percentuale
imposta di energia proveniente da fonti rinnovabili saranno obbligati a soddisfare questo obbligo comprando
i certificati verdi che vengono riconosciuti dal GSE ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Si tratta di titoli negoziabili, il cui utilizzo è diffuso in molti Stati come ad esempio nei Paesi Bassi, Svezia,
UK e alcuni stati USA.
Il certificato verde corrisponde ad una certa quantità di emissioni di CO2: se un impianto produce energia
emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un impianto alimentato con fonti fossili perché "da fonti
rinnovabili", il gestore ottiene dei certificati verdi che può rivendere (a prezzi di mercato) a industrie o
attività che sono obbligate a produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili ma non lo fanno
autonomamente.

La promozione della concorrenza per i clienti finali: maggior tutela, mercato libero e salvaguardia
Ad oggi tutti i clienti possono attivare le utenze:
2– con il mercato tutelato, pagando la luce ed il gas al prezzo regolamentato dall'Autorità;
3– con il mercato libero, confrontando le tariffe e scegliendo il prezzo più conveniente.
Da gennaio 2022, i clienti in maggior tutela non potranno più pagare la luce ed il gas al prezzo del tutelato,
ma dovranno scegliere un fornitore del libero mercato. Per i clienti residenziali non ancora passati al
mercato libero rimarranno tecnicamente senza fornitore, ma nella pratica non sarà così. Infatti, in questo
caso la legge prevede il passaggio automatico al servizio di salvaguardia. Tale servizio è erogato
dall’esercente la salvaguardia, ovvero un fornitore scelto tramite una gara organizzata dall'Acquirente Unico
(la società garante della fornitura di energia elettrica ai piccoli consumatori).
Progressivamente scegliere da chi comprare energia elettrica: diversi fornitori e quindi libertà di scelta tra
concorrenti; scelta fornitore e scelta della fonte dell’energia; prezzi differenziati.
Idea del Regolatore è abolire il mercato tutelato; era gennaio 2021, poi gennaio 2022 ad ora entro gennaio
2023. Chi non passa al mercato libera entra nel regime di salvaguardia.

Quali sono i principali risultati della deregolamentazione?


2• In termini di prezzo (documentate)
4– I prezzi per i consumatori domestici: come ormai da anni, i prezzi dell’energia elettrica per i
consumatori domestici italiani si confermano inferiori ai prezzi mediamente praticati nell’UE e nell’Area
Euro per le prime due classi di consumo; i prezzi per le restanti classi di consumo sono invece superiori. Va
considerato, tuttavia, che il 97% degli italiani si colloca nelle prime tre classi di consumo.
5– I prezzi per le industrie: come ormai da anni, i prezzi dell’energia elettrica in Italia per i consumatori
industriali si confermano superiori a quelli dell’Area euro per tutte le classi di consumo.
6– La struttura dei prezzi: approvvigionamento è la componente maggiore, seguono A3 rinnovabili
(componente energie rinnovabili), costi di rete e di misura, imposte e altri oneri generali.
3• In termini di investimenti e qualità del servizio (non documentate)

Conclusione
Questo settore aveva le caratteristiche e quindi è stato gestito come monopolio naturale; lo è stato nelle fasi
di costruzione del settore fino agli ’90 poi si è dato spazio ai mercati sia per ragioni tecnologiche sia per
ragioni di efficienza. È un chiaro esempio di politica industriale, ovvero di come l’intervento pubblico
coordina e gestisce il passaggio da un’organizzazione di mercato verticalmente integrata ad una in cui sono
presenti, dove possibile, aree di concorrenza.

È necessario:
3• l’unbundling;
4• la riduzione del peso dell’incumbent;
5• il coordinamento delle fasi;
6• l’organizzazione della domanda (clienti idonei e vincolati);
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7• la creazione di un mercato dell’energia elettrica;
8• la regolamentazione tramite un’Autorità autonoma e competente per impedire sia l’abuso di
posizione dominante sia la creazione di ostacoli all’accesso alla rete (prezzi di accesso non
giustificati);
9• garantire continuità agli investimenti alla rete ed al suo ammodernamento;
10• guidare il passaggio da fonti non rinnovabili a fonti rinnovabili: tentativo di produrre l’energia
in maniera sempre più pulito e con minore emissione di CO2

Quali problemi rimangono ancora aperti?


Problema ancora aperto: integrazione tra fonti non rinnovabili e fonti rinnovabili (problema della variabilità
delle fonti rinnovabili)
Permangono problemi riguardo “l'aleatorietà” (o “intermittenza”), “non programmabilità”, “scarsa
prevedibilità” di molte delle fonti di energia rinnovabile (in particolare solare fotovoltaico ed eolico), che
impongono un ripensamento globale delle reti elettriche e la necessità di costruire grandi infrastrutture per lo
stoccaggio dell'energia, come ad esempio bacini idroelettrici di pompaggio o la costruzione (con materiali
rari o inquinanti) di accumulatori elettrochimici. Secondo i sostenitori delle energie rinnovabili,
l'integrazione o mix di più fonti rinnovabili in un unico sistema di produzione energetico alternativo,
supportato da una rete elettrica di tipo smart grid, è possibile e sarebbe in grado di garantire una transizione
energetica da fonti fossili a fonti rinnovabili. I recenti obiettivi europei sono molto ambiziosi (70% al 2050).
7)
Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del SETTORE DEL GAS NATURALE. È
giustificato il suo inserimento tra i settori in monopolio naturale? Descrivete quali soluzioni sono suggerite
dalla teoria economica e Quali problemi rimangono ancora aperti?

Negli ultimi anni c’è stata un'impennata nell'uso di gas naturale, conseguente alla richiesta di fonti
alternative al petrolio; processo di sostituzione in tutti i Paesi, non solo in Italia.
Utilizzi del gas naturale:
- Generazione di energia elettrica
- Combustibile per autotrazione: metano
- Uso domestico, commerciale, industriale: cucinare, per scaldare l'acqua sanitaria, per riscaldamento e il
condizionamento degli edifici
La produzione di gas naturale ha avuto una progressione molto rapida in tutte le aree del Mondo; la
distribuzione non è però uniforme: quasi coincidono i Paesi con petrolio con Paesi con gas naturale (Russia,
Iran, Qatar, Stati Uniti).
Massima disponibilità in Europa la ha la Russia; quasi tutti i Paesi Europei sono dipendenti: necessari
metanodotti.
Si stima che la nazione con la più grande riserva di gas da argille sia la Cina dove, tuttavia, si riscontrano
numerosi problemi legati soprattutto a tematiche ambientali. Il gas da argille ha attirato notevole interesse
economico negli ultimi due decenni soprattutto negli Stati Uniti, dove la produzione di shale gas è passata,
nel decennio 2000-2010, da 10 a 140 miliardi di metri cubi, circa il 23 % del fabbisogno di gas naturale
annuale del paese. L'aumento della produzione, considerato da alcuni una nuova età dell'oro, ha avvicinato il
paese all'indipendenza energetica e fatto crollare i prezzi del metano a livello mondiale, dato che gli USA da
importatori di metano passano a essere esportatori.

Impatti ambientali
0• Clima: nelle prime fasi di estrazione si libera in atmosfera una piccola quantità di gas metano, uno
dei principali responsabili dell'effetto serra.
1• Acqua e aria: L'acqua utilizzata per effettuare la fratturazione idraulica viene addizionate con agenti
chimici (per circa lo 0,5%) per ridurre l'attrito, o per eliminare i microrganismi. Dell'acqua introdotta ne
viene recuperata circa il 50-70%
2• Paesaggio: permanenza delle torri di perforazione (che può variare dalle settimane ad alcuni mesi),
3• Rischio sismico: incremento del rischio sismico anche in aree tradizionalmente non interessate.

21
Anche in Europa ci sono delle zone ma sono molto abitate quindi non si procede con l’estrazione.

I prezzi. Essendo delle risorse molto localizzate e di difficile da trasportare, i prezzi sono molto
differenziati. Avere un prezzo basso dell’energia è un aspetto strategico e per questo motivo gli Stati Uniti
per questo motivo sono molto avvantaggiati rispetto ai suoi rivali da questo punto di vista.
Offerta e domanda: uso del gas naturale dipende dall’uso durante le stagioni e dalla produzione economica
 i prezzi sono molto variabili

Il settore ha diverse caratteristiche tipiche del monopolio naturale legate a:


 L’infrastruttura (rete di gasdotti, miniere di stoccaggio).
 La scala della produzione favorevole alla coltivazione dei giacimenti da parte di unica impresa.
 Le necessità gestionali di coordinamento tra le fasi della filiera ed il dispacciamento.
 Le caratteristiche economiche dei contratti di approvvigionamento, che sono contratti di lungo
periodo.

La filiera del gas naturale


Approvigionamento
Produzione: serie di attività necessarie a rendere il gas disponibile per l’immissione in rete: l’esplorazione,
la trivellazione, l’estrazione e la raccolta.
Il gas naturale è presente nel sottosuolo terrestre e marino che ne impedisce la migrazione e permette
l’accumulazione degli stessi in un giacimento. L’attività esplorativa si basa su studi geologici ed è
finalizzata all’individuazione dei giacimenti ed alla potenzialità degli stessi ai fini commerciali.
Se lo sfruttamento del giacimento risulta conveniente, si procede all’estrazione ed al trattamento per ottenere
un prodotto omogeneo e facilmente trasportabile. Il gas naturale proveniente da pozzi diversi viene
successivamente raccolto nel luogo in cui è immesso nel gasdotto.

Italia ha un po’ di gas naturale: in riduzione; parte estratta da mare e l’altra da terra. Comunque, minima
rispetto al fabbisogno.

Importazione
La principale difficoltà nell'utilizzo del gas naturale è il trasporto.
I gasdotti sono economici, ma non permettono l'attraversamento di oceani e spesso, quando si tratta di
gasdotti internazionali, passano in territori di altri Stati, i quali potrebbero interromperne il flusso per motivi
politici o altro. Vengono utilizzate anche navi per il trasporto di gas naturale liquefatto, definite metaniere,
ma hanno costi più alti e problemi di sicurezza.

Infrastrutture
Stoccaggio (differenza tra energia elettrica e gas naturale); stock risolve problema della variabilità della
domanda ed ha anche importanza strategica perché si compra quando costa meno.
La domanda di gas naturale, presenta caratteristiche di variabilità (stagionale, giornaliera ed oraria)
soprattutto per quanto riguarda l’utenza domestica. Lo stoccaggio permette di accumulare gas, al fine di
bilanciare i consumi e la produzione in ogni periodo, coprire il rischio di interruzione degli
approvvigionamenti legati alla sospensione della produzione nazionale, ai rapporti sociopolitici con
l’importatore ed a problemi tecnici della rete di trasporto ed ottimizzare la coltivazione di giacimenti di gas
naturale nel territorio italiano.

Trasporto

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La rete di trasporto si suddivide in "primaria" (o dorsale), relativa la trasporto di gas direttamente dai luoghi
di produzione od importazione, e "secondaria" comprendente l'insieme delle condotte (adduttori secondari)
che collegano la rete primaria e raggiungono i centri di consumo. La rete primaria italiana di metanodotti ha
una lunghezza di circa 30.000 km ed è presente in maniera estesa su tutto il territorio nazionale ad
esclusione della Sardegna. La rete della Snam rappresenta il 96% della rete primaria nazionale. Altri
operatori sono presenti con reti locali, in particolare nelle regioni adriatiche (Marche, Abruzzo e Molise).

Distribuzione e dispacciamento
la fase della distribuzione consiste nel trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la
consegna agli utenti finali e si distingue in distribuzione primaria e secondaria. La prima permette la
consegna diretta alle utenze industriali, termoelettriche ed alle aziende di distribuzione, la seconda permette
la consegna del gas da parte delle aziende di distribuzione alle utenze civili, alle piccole imprese industriali
ed artigiane ed al terziario.
Il coordinamento tra le attività di produzione, trasporto, stoccaggio e distribuzione è svolto dal
dispacciamento, la cui funzione principale è quella di assicurare che il gas venga fornito ai consumatori
senza interruzioni e nel rispetto dei termini contrattuali. Il dispacciamento deve programmare, su base
giornaliera, l’esercizio della rete gasdotti e determinare le condizioni di funzionamento dei relativi impianti.
La programmazione dell’esercizio è legata a tecniche previsionali sulla domanda di gas da parte dell’utenza.

Commercializzazione
Vendita: nel sistema tradizionale, caratterizzata da monopolisti locali

Il tradizionale assetto organizzativo del servizio in Italia


Data: la natura strategica del gas naturale, i notevoli investimenti nella rete, la necessaria armonizzazione tra
le diverse fasi della filiera, la necessità di stipulare contratti di approvvigionamenti di lungo periodo con
Stati esteri  settore del gas è stato considerato un monopolio naturale ed affidata ad una azienda pubblica:
ENI.

UE
Con la Direttiva 2003/55 ha invitato a intraprendere rapidamente i lavori per completare il mercato interno
nel settore dell'energia elettrica e del gas e ad accelerare la liberalizzazione in tali settori, nell'intento di
realizzare un mercato interno pienamente operativo.
0• Separazione dei gestori della rete di trasporto da business collegati: si impone separazione giuridica
per garantire indipendenza decisionale (Legal Unbundling)
1• Trasporto, stoccaggio e GNL: i proprietari di tali strutture designano uno o più gestori del sistema.
Questi gestiscono economicamente strutture, non ne discriminano l’accesso e garantiscono informazioni
sufficienti e non distorte per l’accesso
2• Accesso alla rete upstream: Stati membri devono garantire accesso alle reti di importazione a
imprese terze
3• Accesso al sistema: Sistema di accesso basato su tariffe regolamentate e pubblicate, praticabili a tutti
i clienti idonei, non discriminatorie
4• Regolatore di mercato: istituzione di organo di supervisione
5• Obbligo servizio pubblico: Stati membri informano ogni due anni la Commissione su tutte le norme
adottate per rispondere a obblighi servizio pubblico. Stabilito obbligo controllo sicurezza degli
approvvigionamenti, rapporto annuale

Il Parlamento europeo ha poi ritenuto necessario emanare due ulteriori direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE
( “Terzo Pacchetto”)
0• Unbundling: garantire accesso non discriminato alla rete e stimolare investimenti in overcapacity
1• Autorità di regolazione: potenziamento funzione, poteri, indipendenza regolatore + istituzione
Agenzia per il coordinamento dei Regolatori (ACER)
2• Coordinamento dei Transport System Operators: costituzione dell’European Network TSO-G, Rete
Europea dei TSO del gas naturale.
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3• Coordinamento per pianificazione e sviluppo reti e per migliorare sicurezza energetica
4• Impulso agli investimenti: norme per migliorare capacità di interconnessione e di importazione
5• Condizioni di accesso di terzi, limitare abusi posizione dominante, rafforzare sicurezza
approvvigionamenti
6• introdotte 3 opzioni di separazione dei TSO da imprese legate a produzione o vendita di gas
- Ownership Unbundling (OU): separazione proprietaria
- Independent System Operator (ISO): gestione rete affidata a soggetto terzo
- Independent Transmission Operator (ITO): gestore di rete società con amministratori separati

Quali soluzioni sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo settore?
Liberalizzazione in Italia
Decreto Letta:
7• la separazione societaria
8• l’accesso regolato a tutte le infrastrutture di sistema
9• il riconoscimento della libertà di scelta del fornitore per tutti i clienti a decorrere dal 1° gennaio 2003
10• l’imposizione di tetti massimi per le importazioni e le vendite sul mercato finale da parte di un
singolo operatore settore

ENI - Ente Nazionale Idrocarburi


Eni S.p.A., originariamente acronimo di Ente Nazionale Idrocarburi, è un'azienda multinazionale creata
dallo Stato italiano come ente pubblico nel 1953 convertita in società per azioni nel 1992. Presente in circa
71 paesi, l'Eni è attiva nei settori del petrolio, del gas naturale, della petrolchimica, della produzione di
energia elettrica, dell'ingegneria e costruzioni. È l’ottavo gruppo petrolifero mondiale per giro d'affari. Dal
1995 al 2001 lo Stato italiano ha venduto in cinque fasi parte consistente del capitale azionario,
conservandone una quota superiore al 30% (sommando le quote del Tesoro e della Cassa Depositi e Prestiti),
e detenendo comunque il controllo effettivo della società.
Aspetti critici
11• Unbundling
12• Produzione concentrata
13• Approvvigionamento estero e contratti take or pay*
14• Capacità di stoccaggio
15• Accesso alla rete
16• Saturazione della rete
* Clausola inclusa nei contratti di acquisto di gas naturale, in base alla quale l'acquirente è tenuto a
corrispondere comunque, interamente o parzialmente, il prezzo di una quantità minima di gas prevista dal
contratto, anche nell'eventualità che non ritiri tale gas.

La separazione societaria, amministrativa e contabile


Il decreto Letta sancisce l’unbundling delle imprese verticalmente integrate.
L’Autorità (AEEG) ha emanato i criteri per la separazione societaria, per mantenere separati sotto il profilo
amministrativo e gestionale le attività delle imprese integrate che erogano i servizi nel settore, al fine di
evitare discriminazioni, sussidi incrociati e distorsioni della concorrenza e di promuovere una maggiore
trasparenza del sistema tariffario.
Appare evidente che la separazione societaria comprenda quella amministrativa, la quale, a sua volta,
include la separazione contabile. La separazione amministrativa e gestionale impone all’impresa la
creazione di distinte strutture amministrative (divisioni) dotate di autonomia gestionale, come se fossero
imprese separate.
Non prevista dal decreto Letta, ma auspicata dall’Autorità, è la separazione proprietaria realizzabile
assegnando differenti azionisti alle diverse società, le quali non farebbero più parte dello stesso gruppo.
La separazione proprietaria rappresenterebbe, secondo l’antitrust, un provvedimento indispensabile per il
definito assetto competitivo del mercato, eliminando ogni forma discriminatoria di accesso.

Trasporto e accesso alla rete

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La rete di trasporto italiana era gestita da un ristretto numero di imprese integrate: Snam (controllata da Eni),
con circa il 96% della rete. Dal 2012 si è realizzata la separazione proprietaria dal gruppo Eni che ha
venduto circa il 30% del capitale di Snam alla Cassa Depositi e Prestiti. Nel 2017 le imprese che gestiscono
la Rete di trasporto del gas nazionale e regionale sono nove: tre sulla Rete nazionale e otto operano sulla
Rete regionale. Accanto a Snam Rete Gas, l’impresa maggiore (93,2%), trasportano gas sulla rete nazionale
anche altre due società che ne possiedono e gestiscono piccoli tratti: Società Gasdotti Italia e Infrastrutture
Trasporto Gas.

Accesso alla rete (condizioni per usare la rete)


Fin dal 2000, introduzione dell’accesso regolato alle infrastrutture di trasporto e distribuzione, assegnando
all’Autorità per l’energia elettrica e il gas il compito di definire ex ante le tariffe e i criteri necessari a
garantire l’accesso non discriminatorio (i cosiddetti codici).
L’Aeeg (ARERA) provvede alla fissazione di un vincolo massimo sui ricavi, alla loro indicizzazione sulla
base di un meccanismo di price-cap, e alla fissazione di una formula tariffaria basata sulla capacità prenotata
in entrata e in uscita, nonché sui volumi di gas effettivamente trasportati (entrata-uscita)

Saturazione della rete (rete è limitata quindi tende a saturarsi; non tutti operatori trovano spazio);
problematica: incumbent tende a usare interamente la rete.
L’analisi ha indicato l’indispensabilità, e l’urgenza, della realizzazione di nuove opere infrastrutturali
nell’approvvigionamento di gas naturale. In tal senso, l’ingresso a medio termine (2007-2008) nella fase
nell’approvvigionamento di operatori stranieri di grandi dimensioni e in grado di attivare nuove fonti di gas:
Exxon Mobil e Qatar Petroleum (GNL rigassificato presso il terminale di Rovigo) e British Gas (GNL
rigassificato presso il terminale di Brindisi) è un elemento che favorisce gli sviluppi auspicati.
L’ingresso di nuovi operatori può essere consentito nell’immediato anche da misure di capacity release e di
potenziamenti dei gasdotti internazionali da parte di Eni. Tali infrastrutture possono essere rinforzate in
tempi brevi e con costi ridotti, mettendone a disposizione le capacità addizionali a soggetti diversi, e
consentendo un approvvigionamento indipendente di gas da parte di traders in grado di contrattare
direttamente con i fornitori esteri.

Stoccaggio
Negli anni che hanno preceduto la liberalizzazione, lo stoccaggio di gas naturale in giacimento costituiva
uno strumento per ottimizzare i flussi di gas nell’ambito di un sistema verticalmente integrato e con offerta
monopolistica ai consumatori finali. Con la rottura dell’integrazione verticale e con l’introduzione della
possibilità di concorrenza nella vendita di gas, l’accesso alle infrastrutture di stoccaggio svolge
un’indispensabile funzione strategica. Esso, infatti, da un lato permette ai venditori di modulare l’offerta di
gas, per far fronte alla rigidità del profilo delle importazioni e alla forte variabilità che caratterizza la
domanda nel mercato civile; dall’altro, con lo sviluppo del mercato, assolve anche ad altre potenziali
funzioni come, ad esempio, la possibilità di mantenere gas in stoccaggio a fini speculativi (parking).
Prima del decreto Letta solo il titolare di una concessione di coltivazione aveva facoltà di richiedere anche
una concessione di stoccaggio. Attualmente i titolari di concessioni di stoccaggio devono assicurare e fornire
i servizi di stoccaggio minerario, strategico e di modulazione agli utenti che ne facciano richiesta, qualora
tecnicamente ed economicamente realizzabili, sulla base di tariffe e regole di accesso stabilite dall’ARERA.
Attualmente il principale operatore è Stogit SpA (gruppo SNAM)

Produzione attività libera che è assegnata quasi interamente all’ENI.

Approvvigionamento estero e contratti take or pay


Visto che gran parte del gas naturale arriva dall’Estero, il controllo del settore lo ha chi ha i contratti con
l’Estero: per dare spazio agli operatori sono stati imposti dei tetti massimi di importazione.
Nel 2000 si è previsto, tra le altre misure, l’imposizione di tetti massimi per le importazioni e le vendite sul
mercato finale del gas naturale da parte di un singolo operatore (75% delle importazioni nel 2002, che si
riduce fino al 61% nel 2010), con l’obiettivo di determinare le condizioni per l’ingresso sul mercato di gas
importato da soggetti diversi da Eni e dagli altri due soggetti storicamente presenti, sia pure con quote
modeste, nell’importazione di gas.
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Tutte le importazioni di Eni si riferiscono a contratti take or pay pluriennali sottoscritti prima (in molti casi
poco prima) dell’entrata in vigore della direttiva 98/30/CE. Alcuni di questi contratti si contraddistinguono
per avere profili di build up che si estendono per un arco di anni molto lungo.

2020: Eni 47% importazioni, segue Edison con 17%, Enel 11%; seguono gli altri importatori.
Il problema è che i contratti sono di lunga durata; il 28% ancora attivi oltre 20 anni alla fine.

Distribuzione e vendita
Eni ha ancora una quota molto rilevante nella distribuzione nel mercato all’ingrosso (in termini di volume);
esso vende poi in maniera indipendente o ad altri operatori, che a loro volta vendono.
Italgas ha gran parte della distribuzione del gas; faceva parte del gruppo ENI. Si occupa di gran parte della
distribuzione, seguita da altri operatori.

Borsa del gas (come borsa elettrica, anche qui quotazione dei prezzi dai diversi punti di entrata)
Per i titolari di concessioni di coltivazione di gas naturale, l’obbligo di cedere le aliquote di gas prodotto in
Italia dovute allo Stato.
Per gli importatori, l’obbligo di offrire una quota del gas importato presso il mercato regolamentato delle
capacità.

Mercato finale al dettaglio (liberi o tutelati; distinti sulla grandezza)


Nell’ambito delle società che svolgevano in forma integrata sia l’attività di distribuzione sia l’attività di
vendita alla clientela finale, ciascuna di queste imprese era monopolista locale nei circa 5.700 ambiti
comunali dotati di una rete di distribuzione di gas naturale, con un numero di utenti allacciati alle reti
oscillanti tra un minimo di 200 ed un massimo di un milione. Il risultato di questa struttura estremamente
frastagliata è stato un sistema di vendita al dettaglio caratterizzato da una presenza assolutamente
maggioritaria di imprese a base comunale. Anche a livello della vendita si è assistito ad un analogo processo
di riduzione degli operatori e di concentrazione del mercato a valle (420 nel 2017). Il processo di
concentrazione è avvenuto infatti per lo più attraverso acquisizioni, e pochi clienti allacciati alla rete di
distribuzione hanno cambiato il fornitore
I clienti si suddividono in tutelati e liberi.
Tasso di switching (dal mercato tutelato al mercato libero)
Sulla base dei dati forniti dagli operatori del trasporto e di quelli provenienti dal SII, la percentuale di
switching, cioè del numero di clienti che ha cambiato fornitore nell’anno solare 2020, è risultata
complessivamente pari al 10,2%, ovvero al 20,4% se valutata in base ai consumi dei clienti che hanno
effettuato il cambio. Rispetto al 2019 le percentuali sono in aumento per i clienti domestici. L’incremento
nei tassi di cambio del settore domestico potrebbe aver risentito dell’imminenza della fine del regime di
tutela (per quanto la data della rimozione della tutela di prezzo abbia subito vari rinvii).

Effetti della liberalizzazione


17• Sui prezzi (documentato)
2020: i prezzi del gas naturale per i consumatori domestici italiani sono stati più alti della media dei prezzi
dell’Area Euro per tutte le classi di consumo.
Per le imprese industriali, negli ultimi anni, quella appartenenti alle tre classi a maggior consumo di gas
hanno beneficiato di prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli medi dell’Area Euro. Tuttavia, tendenzialmente
in riduzione almeno fino al 2018: per i grandi utenti, i prezzi inferiori all’Area Euro.

Conclusioni
Il settore ha diverse caratteristiche tipiche del monopolio naturale legate a:
4• L’infrastruttura (rete di gasdotti, miniere di stoccaggio).
5• La scala della produzione favorevole alla coltivazione dei giacimenti da parte di unica impresa.
6• Le necessità gestionali di coordinamento tra le fasi della filiera ed il dispacciamento.
7• Le caratteristiche economiche dei contratti di approvvigionamento. (contratti di lungo periodo;
incumbent controlla ancora il settore)

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Si è potuto realizzare un certo grado di concorrenza:
0• nella fase di importazione del gas
1• nella fase di distribuzione
0– nel mercato all’ingrosso (con la presenza di venditori internazionali)
1– nella vendita nel mercato tutelato e libero

Realizzata la separazione proprietaria della SNAM,


2• l’ENI mantiene una posizione dominante nella produzione e nell’approvvigionamento estero ed una
posizione di grande rilievo nella distribuzione all’ingrosso ed al dettaglio.
3• SNAM controlla il trasporto e lo stoccaggio (tramite Stogit).
8• È stata creata la borsa del gas.
9• La liberalizzazione, stimolata anche a livello europeo, è accompagnata da una attenta e continua
regolamentazione a cura di ARERA. (Regolatore)
10• Dato l’interesso strategico del settore, il tema dell’efficienza deve necessariamente coniugarsi con
quello della sicurezza degli approvvigionamenti internazionali

8)
Descrivete le caratteristiche tecnologiche ed economiche del SETTORE DEI SERVIZI IDRICI. È
giustificato il suo inserimento tra i settori in monopolio naturale? Descrivete quali soluzioni sono suggerite
dalla teoria economica e quali soluzioni sono state scelte in Italia per gestire in modo più efficiente questo
settore. Quali problemi rimangono ancora aperti?

Usi in competizione dell’acqua (Paesi OECD): maggiore è per uso irriguo e per la produzione energetico
(idroelettrica), segue uso domestico, per uso produttivo e per allevamento.
Problema dell’acqua e dei servizi idrici (problema particolarmente sentito in alcune aree del Mondo; non è
una novità!): la popolazione mondiale priva di accesso sicuro all’acqua potabile è stimata pari ad un
miliardo di persone. Quella priva di servizi di fognatura adeguati, a un miliardo e quattrocento milioni di
persone.
Il problema non riguarda tanto l’acqua intesa come risorsa naturale, quanto le infrastrutture e i servizi:
scarsità di mezzi economici disponibili per investire nei sistemi infrastrutturali. Soprattutto se si considera
che la possibilità di sostenere gli investimenti con le tariffe è limitata dal potere di acquisto insufficiente.

Acqua: bene pubblico? Discussione sulla sua privatizzazione:


• L’acqua sembra avere tutte le caratteristiche tecniche di un bene privato (escludibile, rivale nel
consumo): può essere suddiviso, immagazzinato, posseduto privatamente, venduto sul mercato (ad es. in
bottiglia)
• Le riserve idriche sono di proprietà pubblica. Ogni Stato si riserva il diritto di gestirle attraverso
istituzioni o società, pubbliche o private.
• Dal punto di vista etico ogni persona ha diritto ad avere accesso all’acqua ed il prezzo deve essere
accessibile a tutti
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La fornitura e gestione dei servizi idrici integrati come monopolio naturale
• Servizi idrici integrati: prelievo (o captazione), adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di
fognatura e di depurazione delle acque reflue. Qui ci sono le caratteristiche di monopolio naturale
con dimensione più locale rispetto al settore elettrico e del gas naturale!!!
• L’ammontare degli investimenti, le dimensioni dell’infrastruttura, la complessità nella gestione, i
controlli di qualità comportano che la fornitura e gestione dei servizi idrici rappresenti un monopolio
naturale (locale)

Definizioni e assetto organizzativo


• Servizio idrico integrato (SII)
Il Servizio idrico integrato (SII) è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di prelievo (o captazione),
adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue (legge
36/1994, Legge Galli).
Viene identificato intorno a un ATO.
• Ambito territoriale ottimale (ATO)
ATO - L’Ambito territoriale ottimale è una delimitazione del territorio nazionale definita dalle autorità
regionali e costituita allo scopo di organizzare la gestione unitaria dei servizi idrici di competenza delle
Regioni (l. 36/1994).
I confini degli ATO sono individuati principalmente in base ai seguenti criteri:
a) rispetto dell’unità del bacino idrografico, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di
destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati;
b) superamento della frammentazione delle gestioni;
c) conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici,
tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative;
d) creazione di un sistema tariffario che garantisca la copertura integrale dei costi di esercizio e di
investimento per i servizi idrici integrati. (questi ATO devono bilanciare le tariffe richieste ai consumatori
con i costi)
Gli ATO sono scesi da 91 nel 2012, a 71 nel 2015 a 62 nel 2019 (fonte: ARERA, 2019); nel tempo, quindi,
sono diminuiti per una riorganizzazione.
Chi gestisce ATO?

• Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (AATO)


L’Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (AATO) è il soggetto istituzionale a cui la riforma dei servizi
idrici assegna il compito di svolgere tutte le attività precedenti e successive all’affidamento del SII. Autorità
ha compito di sorveglianza e redige il piano d’ambito.
Piano d’ambito: è il documento di pianificazione generale e strategico della gestione del SII, predisposto
e/o aggiornato dall’Autorità d’ambito. Costituisce il punto di riferimento della gestione del SII in ciascun
ambito territoriale ottimale.
• Ente affidatario del SII
Affidamento del SII - È la procedura con cui l’Autorità d’ambito assegna ad un ente prescelto, detto
affidatario, la gestione del SII. L’affidamento avviene principalmente attraverso:
a) gara a società privata;
b) affidamento diretto con procedura ad evidenza pubblica, utilizzata soprattutto per società miste,
come S.p.A. a prevalente capitale pubblico locale;
c) affidamento “in house” a società a capitale interamente pubblico.

Gestore affidatario - È il soggetto giuridico che ha la responsabilità complessiva di un impianto idrico


(acquedotto, rete di distribuzione dell'acqua potabile, rete fognaria, impianto di depurazione delle acque
reflue) in quanto ne ha ricevuto l’affidamento all’Autorità d’ambito.
Infrastrutture all’Ente pubblico e gestione del servizio idrico integrato a un affidatario (società pubblica,
società mista, società privata); per affidare la gestione a una società privata o mista, si fa una gara (aste e
concessioni).
28
Sistema visto non dava dei risultati soddisfacenti!

La fornitura del servizio idrico in Italia è stata a lungo caratterizzata da un modello di gestione a carattere
municipale, il quale prevedeva l'affidamento in favore dei Comuni. Tuttavia, l’emergere di rilevanti
inefficienze specialmente in termini di volume di perdite idriche, lo scarso coordinamento tra livello centrale
e locale, la presenza di rilevanti asimmetrie informative tra Autorità e gestore, assieme ad uno scarso livello
di investimenti ed al verificarsi di gravi episodi di corruzione, hanno dato vita ad un generale clima di
sfiducia nei confronti degli enti pubblici, tanto da favorire il ricorso alla privatizzazione del settore, seppure
attraverso una normativa non sempre chiara e trasparente.
Secondo quanto affermato dai sostenitori della gestione privatizzata dell’acqua, tale processo favorirebbe
l’introduzione di capitali privati, necessari a compiere le dovute opere di manutenzione sulle infrastrutture
idriche preesistenti ed a sostenere la realizzazione di nuovi impianti. Inoltre, sarebbe incentivata la
competizione tra le società coinvolte, con il risultato di ottenere forti riduzioni delle tariffe ai consumatori ed
una qualità migliore dell’acqua.

Da monopolio naturale di gestione pubblica all’introduzione di elementi di concorrenza:


Un tentativo di riforma
Decreto Brunetta: privatizzazione e liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità: fra questi, tutte le aziende
municipalizzate, di proprietà di comuni ed enti pubblici, che si occupano di trasporti, acqua, luce, gas,
raccolta e smaltimento dei rifiuti. Questo tentativo di riforma scatena come reazione: referendum; esito:
maggioranza contraria alla privatizzazione dell’acqua! Parlamento allora ha deciso, dopo il referendum, di
rafforzare il ruolo dell’ARERA nella gestione di questo settore.
Regolazione affidata ad ARERA
Affidamento ad all’AEEGSI (ora ARERA) del monitoraggio e regolazione del servizio idrico integrato.
Con il decreto legge 201/11 e Dpcm 20 luglio 2012 sono state attribuite all'Autorità per l'energia elettrica e il
gas "le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici" in precedenza affidate all'Agenzia
nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua.
Queste funzioni fanno riferimento a diversi aspetti del Servizio Idrico Integrato:
0• verifica dei piani d'ambito;
1• definizione dei costi ammissibili e dei criteri per la determinazione delle tariffe a copertura di questi
costi;
2• predisposizione delle convenzioni tipo per l'affidamento del servizio;
3• definizione i livelli minimi di qualità dei servizi per gli aspetti tecnici, contrattuali e per gli standard
di servizio.
Dal 2012, ARERA ha prima di tutto avviato il monitoraggio annuale del servizio idrico integrato per capire
la situazione. Ogni anno redige questa relazione.
Dalla Relazione ARERA: ATO nel 2019 sono 62 con gestione frammentata: comune o consorzi di comuni,
azienda con capitale completamente pubblico, azienda con capitale in maggioranza pubblico, azienda con
capitale in maggioranza privato, azienda con capitale esclusivamente privato; rimane prevalenza gestione
pubblica (completamente o maggioranza).
I costi di produzione di questo servizio: eterogeneità per area geografica perché condizioni diverse dei
territori.
Per quanto riguarda spesa media per l’utenza domestica: molto variabile in base all’area geografica.
Livelli tariffari in Italia risultano essere tra i più bassi in Europa; tale dato conferma il deficit infrastrutturale
del nostro Paese. Perdite idriche: indicazione di quanta acqua viene persa nei sistemi idrici integrati; si
misurano in maniera precisa perché si vede quanta acqua viene immessa nell’infrastruttura e quanta acqua
viene misurata al consumo (pagata). In Italia sono elevate! Altro indicatore sono le interruzioni del servizio:
problema al sud e alle isole. Indicatore qualità dell’acqua: ci sono miglioramenti. Servizio di fognatura: altra
criticità del sud. Servizio di depurazione: problema del Centro.

Problemi aperti
4• Difficoltà della governance multilivello

29
0• Parcellizzazione delle gestioni: verso una maggiore aggregazione; tanti gestori.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nell’ambito degli obiettivi di economia circolare e transizione
verde ha posto l’attenzione sul necessario rafforzamento della governance e della gestione del settore.

1• Ritardi nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione (mancano adeguamenti)


L’Italia ad oggi sconta ancora dei ritardi nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione risulta
ancora assoggettata a 4 procedure di infrazione per il mancato o inadeguato attuazione alla direttiva sul
trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271/CEE). Per superare i contenziosi comunitari sono
stati avanzati sia sostegni economici per gli investimenti infrastrutturali, sia strutture commissariali per
supportare le amministrazioni locali alla messa in opera degli investimenti.

L’Italia è tra i paesi che investe di meno in impianti di raccolta e trattamento delle acque reflue!!!!

2• Necessità di crescita degli investimenti


A fronte delle criticità registrate in termini di assetto infrastrutturale i gestori idrici, anche sotto la spinta
della Regolazione, hanno reagito dando un impulso agli investimenti realizzati, che dal 2012 registrano una
crescita costante, dopo anni di instabilità, attestandosi nel 2019 ad un valore pro capite di 46€/ab (+17%
rispetto al 2017). Sebbene il trend degli investimenti risulti crescente, il valore nazionale appare ancora
lontano dalla media europea a circa 90 €/ab.

5• Aumentare la scala e rafforzare gli enti gestori


Focalizzando l’attenzione sui gestori industriali (ovvero operatori che gestiscono il servizio in forma
societaria) si osserva come al crescere della dimensione aziendale aumenta il valore pro capite degli
investimenti. Si passa dai 34 €/ab delle gestioni con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro, a un valore di
55 €/ab per le gestioni con fatturato superiore ai 100 milioni di euro.

Due utili strumenti:


- Il meccanismo incentivante di ARERA (premi e penalità)

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Per indirizzare gli investimenti sugli specifici obiettivi, ARERA ha introdotto la regolazione della qualità
tecnica del servizio idrico adottando che descrivono lo stato qualitativo dei servizi di un meccanismo
incentivante di premi e penalità legato a sei macro-indicatori l’acquedotto, fognatura e depurazione.
In funzione dei valori assunti dai macro-indicatori sono stabilite le classi di appartenenza che riflettono i
livelli di qualità del servizio (A=alta, E=bassa) in base ai quali vengono stabiliti specifici obiettivi di
miglioramento. Da un’analisi congiunta dello stato attuale di servizio e della tipologia di investimenti
realizzati e programmati, emerge come tale meccanismo abbia generalmente indirizzato le aziende a
destinare investimenti nei segmenti caratterizzati da maggiori inefficienze gestionali.
In riferimento al livello di perdite idriche, ad esempio, si osserva come gli operatori della classe più
performante (A) investono meno di 5 euro per abitante nella riduzione delle perdite idriche, mentre gli
operatori in classe E hanno investito 22,7 €/ab nel 2018 e 25,3 €/ab nel 2019.

- Piano Nazionale Ripresa e Resilienza


Per l’Italia i fondi assegnati nel PNRR alla componente 4 – Tutela del territorio e della risorsa idrica,
ricompresa all’interno della Missione 2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica, sono pari a 4,38 Mld €,
2% del totale ammontare di risorse previste per il Recovery Plan.

Conclusioni
6• Il servizio idrico integrato è un bene pubblico essenziale e ha le caratteristiche del monopolio
naturale
7• Rispetto agli altri settori, nei servizi idrici la gestione del monopolio è stata mantenuta a livello locale
(comunale, provinciale, regionale)
8• Evidenti problemi e disomogeneità nei costi, tariffe, perdite, qualità, investimenti
9• Azienda pubblica, azienda mista o concessione a privati tramite gara per la gestione di servizi idrici?
10• Importante ruolo del regolatore per stimolare l’efficienza e l’investimento
Anche in questo settore usate le tre modalità di intervento pubblico (impresa pubblica, regolamentazione,
asta competitiva) nel monopolio naturale.

9) ECONOMIA ITALIANA
Prospettiva mondiale
GDP: prodotto interno lordo.
A livello del PIL l’Italia ha avuto una crescita da 486 nel 1960, a 1744 nel 2020. I prezzi non posso essere
comunque paragonati a causa dell’inflazione.
Guardando alle quote di PIL mondiale (% sul GDP mondiale). 2020: Cina rappresenta il 17,9% mentre
l’Italia solamente il 2,1%, del PIL mondiale.
Tutto quello che è autoprodotto non c’è nel PIL, perché non passa attraverso uno scambio. Il PIL misura
tutto quello che viene scambiato sul mercato. Il PIL, quindi, è un indicatore un po’ particolare, misura tutto
quello che riguarda una transazione economica; alcuni Paesi scambiano di più, altri meno (autoproduzione).
I paesi che hanno un PIL elevato sono paesi che sono ricchi; quindi, dà qualche indicazione anche sul
benessere del paese.
La Cina a livello di crescita e di incremento della produzione scambiata sul mercato ha fatto dei passi in
avanti notevolissimi; nel 2020 ha superato l’Europa. L’Italia è dimezzata in termini di quota di PIL
mondiale, dal 1960 al 2020. Russia ha un PIL molto basso con una popolazione molto grande.
31
GDP pro-capite a parità di potere d’acquisto (valori correnti)
PPP = a parità di potere d’acquisto: dati sono armonizzati al potere d’acquisto.
1$ in un Paese povero si tiene conto che questo dollaro compra molto.
Quindi, aggiustato per il potere d’acquisto della moneta, i risultati sono questi (al netto del potere
d’acquisto): quanta ricchezza ha a disposizione ciascun abitante nel suo Paese. Ad esempio, la ricchezza a
disposizione in Italia è pari a 41.840, sotto alla media europea e alla Germania.
Media mondale sta come la media della Cina (in crescita ma ancora non nelle fasce alte).

La preoccupante anomalia italiana: GDP (valori costanti 2015 US$; si annulla effetto dell’inflazione)
Anno base è 2000 = 100
Italia, dal 2000 al 2001, è cresciuta da 100 a 101-102; negli anni c’è un’anomalia: cresce di non molto fino
al 2007 e poi non cresce più rispetto ad altri Paesi UE (sia area euro e non euro). Nel 2019 gli altri Paesi
arrivano ad una crescita molto alta poi nel 2020 il PIL è crollato ovunque.
Quindi, Italia crisi nel 2009, poi crisi di nuovo dal 2011 al 2013 per poi risalire nel 2019 e crollare 2020:
andamento sempre sotto agli altri Paesi considerati.

Conclusioni su quadro macroeconomico: in un quadro che vede l’emergere di nuovi paesi, l’economia
italiana è sostanzialmente ferma.
Vediamo se si riesce a capire perché questa anomalia attraverso dati sulla: competitività, produttività,
capacità esportativa, innovazione.

COMPETITIVITÀ: la competitività di un Paese è un concetto difficilmente misurabile, non esiste un


indicatore. Per misurarla si fa riferimento ad un indicatore sintetico contenuto nel “Global Competitiveness
Report”, esso è composto da quattro tipologie di indicatori (composti a loro volta da altri indicatori):
1. Enabling Environment (l’ambiente istituzionale: istituzioni, infrastrutture, adozione ICT, stabilità
macroeconomica);
2. Human capital (capitale umano dal punto di vista della salute e capacità);
3. Markets (mercato dei prodotti, mercato del lavoro, mercati finanziari, dimensione del mercato);
4. Innovation Ecosystem (ecosistema innovativo: dinamismo imprenditoriale e capacità innovative delle
imprese).
Per alcuni indicatori abbiamo dei dati precisi e su altri abbiamo una raccolta di opinioni; importanti saranno
i pesi che verranno dati.

Italia si trova al 30esimo posto al Mondo (141), per indicatore salute sarebbe sesta; primo posto c’è
Singapore, seguono USA, Paesi Bassi, Svizzera, Giappone…

Conclusioni su competitività: sebbene sia difficile da definire e sia determinata da diversi fattori
quantitativi e qualitativi, nel 2019 all’Italia è stato assegnato il 30 posto su 141 Paesi.
PRODUTTIVITÀ
Un ulteriore indicatore per spiegare la nostra situazione è la produttività; in economia, la produttività può
essere definita in via di prima approssimazione come il rapporto tra la quantità di output e le quantità di uno
o più input utilizzati per la sua produzione (lavoro o capitale). Viene calcolata con riferimento alla singola
impresa, all’industria o più in generale alla nazione.
- La produttività del lavoro è quanto output produco per unità di lavoro impiegato;
- La produttività di capitale è quanto output produco su quantità di capitale impiegato.
A livello settoriale, misuro la produttività con il valore aggiunto; il valore aggiunto in economia è la misura
dell’incremento che si verifica nell’ambito della produzione e distribuzione di veni e servizi finali grazie ai
fattori produttivi adoperati, capitale e lavoro, a partire da beni e risorse primarie iniziali. Esso può essere
osservato in tre modi differenti ma tra di loro equivalenti:
-dal punto di vista della produzione, sottraendo al valore dei beni e servizi prodotti il valore dei beni e
servizi necessari per produrli
-osservando come i redditi vengono distribuiti ai fattori della produzione
32
-sommando il valore dei beni e servizi venduti al consumatore finale (spesa)

In particolare, soprattutto in ambito neoclassico, viene spesso utilizzata la Total Factor Productivity (TFP), o
produttività totale dei fattori. Si considerano cioè input le quantità di servizi forniti dai fattori produttivi per
unità di tempo e, in aggiunta alle produttività dei singoli fattori, si calcola una produttività totale definita
come il rapporto tra un indice di output e un indice di input, media ponderata degli indici di lavoro e
capitale. La TFP costituisce la parte della crescita economica non spiegata dall’andamento dell’impiego dei
fattori produttivi K e N.

Ogni anno ISTAT si occupa dell’andamento della produttività; in Italia, produttività sia del capitale sia del
lavoro è ferma, anche se impieghiamo risorse.
Nell’anno della pandemia è caduta tantissimo quella del capitale!
In un confronto internazionale, Italia ha incrementi minori. Inoltre, a livello di settori, alcuni hanno avuto un
incremento positivo (quelli industriali).
La produttività del lavoro è in calo in tutto il mondo, in Italia tassi più rapidi; perché? L’Italia, come in altri
Stati UE, il costo del lavoro è aumentato ma è il costo del lavoro per unità di prodotto in Italia, rispetto agli
altri Paesi considerati, è elevato (investimenti bassi).

Conclusioni su produttività: l’indicatore di produttività basato sui prezzi dei prodotti e sul costo unitario
del lavoro mostrano in Italia una dinamica negativa più a causa della lenta dinamica della produttività del
lavoro che del costo del lavoro.
La domanda aperta è che come mai la produttività aggregata del lavoro è così bassa?
Alcune ipotesi sulle cause della perdita di competitività dell’Italia:
- Ipotesi infrastrutturale: insufficienza delle reti di comunicazione fisica o telematica
- Eccessiva dipendenza energetica dall’estero, in particolare dalle fonti di energia fossili;
- Livello abnorme dei costi delle transazioni, attribuibile in larga parte agli ostacoli e agli eccessi
burocratici
- Nanismo d’impresa: il 94.4% delle imprese ha meno di 10 dipendenti
- Specializzazione produttiva: scarsa presenza nei settori manifatturieri più dinamici dal punto di vista
della creazione di valore
- Investimenti: l’Italia sperimenta la carenza di investimenti nelle produzioni più innovative dalle quali
ottenere la generazione di maggior valore aggiunto
- Il sotto-investimento in Ict, il “nanismo” delle imprese, la bassa selezione all’uscita, la formazione del
personale, le modalità di partecipazione alle catene globali del valore

CAPACITÀ ESPORTATIVA
Le evidenze mostrano che Italia continua ad esportare; siamo esportatori netti, quindi esportiamo più di
quanto importiamo e il saldo è in continuo aumento. A livello mondiale, siamo tra i primi 10.
In particolare, Italia esporta macchinari, prodotti tessili... Quota di esportazione maggiore sull’area euro è
del settore del mobile, delle calzature, dei macchinari, del vetro e della ceramica. Invece, i principali prodotti
importati sono chimica, metalli, gas naturale.

Specializzazione produttiva (dopo si esporta più della media): tessile, abbigliamento, articoli in pelle e
simili, prodotti in metallo, industria del legno, mobili.

Conclusioni sulla capacità esportativa: pur in un quadro di riduzione della quota italiana nel commercio
internazionale, la capacità esportativa sembra tutto sommato reggere.

Industria manifatturiera
33
Grafico Smile: prendo passaggi
di una filiera produttiva e li
metto in ordine in base al minore
o maggior valore aggiunto
prodotto.

Un Paese con elevato valore


aggiunto deve essere forte
nella fase iniziale o finale del
valore aggiunto.

I più grandi paesi manifatturieri al mondo sono paesi, come la Cina, che sono specializzati nella produzione;
il peso del settore manifatturiero sul sistema economico sta calando. In Italia sta calando molto, più che in
Germania.

Ragioni per la caduta del settore manifatturiero nei paesi occidentali?


 Saturazione della domanda di prodotti manifatturieri, in particolare nella zona OCSE.
 Una crescente internazionalizzazione della produzione manifatturiera.
 Rapida crescita della produttività fisica nel settore manifatturiero. Un primo effetto è che, nonostante la
crescita della produzione, è necessario meno lavoro per produrre i beni. Inoltre, l’aumento della quantità
dei beni prodotti può ridurre più che proporzionalmente il loro prezzo e, di conseguenza, il peso del
settore in termini relativi.
 La distinzione tra manifattura e servizi diventa progressivamente più sfuocata. Ciò implica anche che
alcune imprese inizialmente classificati come imprese manifatturiere sono ora classificati come società
di servizi.

Conclusioni su manifatturiero
- Il settore manifatturiero è ritenuto uno dei settori più importanti per la crescita economica
- Il peso del settore manifatturiero in Italia è relativamente basso e calante
- Da un lato ciò può essere pensato come una caratteristica delle economie avanzate (la terziarizzazione, la
specializzazione nei servizi alla produzione, la riduzione del peso delle manifatture in valore ma non in
quantità), ma è anche vero che in Italia la de-industrializzazione è proceduta più velocemente che in altri
paesi (es. Germania)

Modello di specializzazione italiana


L’Indice di specializzazione è definito come quota delle esportazioni settoriali sul totale delle esportazioni
del Paese, in rapporto alla qupta delle esportazioni settoriali mondiali sul totale delle esportazioni mondiali;
se maggiore di 1 (o 100) allora si dice che il Paese è specializzato in quel settore.
Italia specializzata in settori con medio-bassa tecnologia e bassa tecnologia; è debole nel settori high tech e
ict.

Conclusione su settori di specializzazione italiani


Complessivamente, si può affermare che il modello di specializzazione internazionale dell’industria italiana,
pur avendo mantenuto i suoi tratti qualitativi essenziali (mobili, bevande, prodotti in metallo, macchinari),
ne abbia cambiato significativamente l’intensità, allontanandosi sempre più dai settori tradizionali, in favore
di una più evidente specializzazione nell’industria meccanica e di una riduzione degli svantaggi comparati in
alcuni settori a forti economie di scala. Rimane la scarsa specializzazione nei settori ad alta intensità di
ricerca e sviluppo.
34
INNOVAZIONE
Ogni anno l’Unione Europea va a vedere quali sono i paesi innovatori. L’Italia, a livello innovatore, è
moderato.
L’Italia è un Paese poco innovativo, infatti, la spesa in R&S (pubblica e privata; più debole parte privata) –
come percentuale del Pil – in Italia è sotto la media europea: solo l’1,09%.
Non solo, nei 5 settori in cui si spende di più in R&S l’Italia non è specializzata. Si tratta dei seguenti settori:
• Farmaceutico- biotecnologie
• Automobilistico
• Hardware e apparecchiature tecnologiche
• Apparecchiature elettroniche ed elettriche
• Software e computer
A livello nazionale, il Friuli-Venezia Giulia rappresenta la regione più innovativa. L’Italia tende ad essere
poco innovativa perché è costituita soprattutto da PMI (piccole medie imprese), le quali non hanno
abbastanza risorse finanziarie per spendere in R&S. Mediamente, infatti, sono soprattutto le grandi imprese
a fare R&S.

Innovazione e dimensione di impresa


La dimensione d’impresa (2019): l’Italia ha tante piccole imprese e poche grandi imprese
 nanismo d’impresa; è dimostrato che innovazione si fa soprattutto nelle grandi imprese.

Perché ci sono poche grandi imprese in Italia? Alcune ipotesi:


- Tradizione di grandi aziende di Stato (IRI,), poi privatizzate, che non sono riuscite a imporsi nel nuovo
panorama competitivo europeo e mondiale
- Tradizione di capitalismo famigliare invece che di società quotate in borsa
- Istituzioni finanziarie insufficienti e maggior ricorso al credito bancario
- Specializzazione produttiva in settori di nicchia
- Vincoli amministrativi e fiscali maggiori nelle grandi imprese
- Costo del lavoro per le grandi imprese più alto
- Relazioni sindacali più difficili
- Maggiore dinamismo degli imprenditori delle PMI operanti nei distretti industriali

Conclusioni su innovazione in Italia


 Si innova in misura moderata
 La spesa in R&S, sia pubblica che privata, è contenuta
 Le PMI, tipiche del tessuto industriale italiano, investono meno delle grandi aziende (in Italia in numero
calante)
 La specializzazione produttiva italiana è in settori a bassa intensità di R&S

Conclusioni generali
Italia ha una dinamica di crescita relativamente lenta; La specializzazione produttiva è in settori a contenuto
tecnologico medio-basso e scarsa dinamica di crescita in termini di valore aggiunto ed esportazione;
Prevalgono le PMI (modello distrettuale). Poche grandi aziende; Le PMI investono relativamente meno in
R&S delle grandi aziende. Sono meno innovative nei prodotti; Pur con questi limiti, ci sono alcuni settori di
eccellenza.

Danielis
Domanda 1: Perché l’Italia ha una bassa produttività?
Abbiamo una specializzazione in settori relativamente labour intesive (moda, mobili, chimica fine, macchine
utensili) invece che capital intensive (chimica di base, siderurgia, veicoli, elettronica, farmaceutico).
Prevalenza di PMI su grandi aziende (a capitale privato o pubblico\privato): limitate spese in R&S e
innovazione di prodotto
35
Domanda 2: Perché il rallentamento dell’Italia?
Oltre alle spiegazioni comunemente citate (cfr. World Economic forum: mercato del lavoro, mercati
finanziari, debito, burocrazia e istitutizioni, dualismo) ci sono spiegazione anche di tipo strutturale quali la
specializzazione italiana in settori maturi, a basso valore aggiunto per adetto, a relativamente basso
contenuto tecnologico, di nicchia. Quali politiche industriali?

10) Settori di specializzazione in Italia: quota rilevante di export.

Distretti industriali: agglomerazione di imprese di piccola e media dimensione ubicate in un ambito


territoriale, specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate tra loro; inizialmente
finalizzati al consumo interno. Progressivamente, hanno iniziato a internalizzarsi.
La formazione dei distretti industriali ha interessato settori industriali connotati da processi produttivi ad alta
intensità di lavoro umano e scarsa automazione, limitato fabbisogno di capitale fisso (investimenti e
attrezzature), scarse economie di scala a livello di intero processo produttivo, innovazione legata a processi
di learning by doing. Tali caratteristiche sono riscontrabili nella produzione di beni di consumo durevoli per
la casa, per la persona e dei macchinari impiegati per la loro produzione.

SETTORE DEL LEGNO ARREDAMENTO


Distretto industriale del Mobile: le sue origini possono essere rintracciare negli anni Cinquanta quando, a
seguito del boom economico della ricostruzione post-bellica, si produce un aumento generale dei consumi,
portando ad una maggiore richiesta di mobili per l’arredamento delle case.
La diffusione delle aziende del mobile è avvenuta in due direzioni:
1. La trasformazione di alcune piccole botteghe artigiane
2. Nascita dal nulla di nuove imprese
L’industria del mobile è uno degli elementi portanti del Made in Italy e detiene posizioni di leadership in
quasi tutti i segmenti di mercato. Il contributo positivo del mobile alla bilancia commerciale riflette la
capacità delle imprese italiane di conquistare quote di mercato all’estero e di soddisfare buona parte della
domanda interna.
Negli ultimi vent’anni si è accresciuta costantemente l’internazionalizzazione commerciale dell’industria del
mobile: la propensione all’export delle imprese mobiliere italiane è passata dal 17% del 1980 al 34% nel
2006. Questa crescita è stata elevata per i mobili da camera e soggiorno e per i mobili imbottiti, mentre in
altri comparti - cucine e mobili per ufficio - è stata frenata anche dalle specifiche caratteristiche dei prodotti
e della distribuzione (si pensi all’importanza delle produzioni su misura).
Negli ultimi anni emerge come le imprese italiane, pur mantenendo posizioni di leadership, abbiano subito
una graduale erosione delle proprie quote di mercato.
Nel 2004, la quota di esportazione inizia a calare. Emerge la Cina e anche la Polonia. Noi importavamo il
legno dai paesi dell’Est e poi facevamo la lavorazione.
Molti di questi paesi che avevano il legno hanno iniziato loro stessi a fare le lavorazioni, quindi sono
diventati dei competitor.
Fino alla fine di marzo 2015, Polonia e Italia hanno avuto risultati migliori della Germania negli ultimi anni.
L’Italia si conferma di gran lunga il maggiore esportatore europeo di mobili in legno ma la Polonia, in questi
ultimi 2 anni, sta colmando il divario. Alla fine del 2014, la Polonia ha superato la Germania ed è diventata
il secondo più grande esportatore di mobili in legno. Tuttavia, le esportazioni tedesche hanno invertito la
tendenza all’inizio del 2014, dopo un brusco calo nel 2012 e 2013, e sono ora in forte ripresa.

Nel 2015 la domanda di mobili in Italia ha iniziato a ridursi per colpa della crisi, ma altri motivi che non
incentivano alla crescita della domanda sono: il mercato è saturo, i consumatori non hanno la disponibilità
economica a comprare i mobili, c’è una perdita grossa del consumo di mobili, la crescita di IKEA: anche se
pure IKEA ha sofferto la crisi, ma in maniera molto più leggera
La domanda mondiale rimane ugualmente salda, si è riscontrato ancora un’esigenza cospicua e quindi grazie
alle esportazioni le aziende italiane riescono ad andare avanti, in quanto sono ancora presenti nei mercati
internazionali.

36
I mercati in crescita sono quelli asiatici e gli Stati Uniti, ma hanno ancora un peso inferiore rispetto alla
domanda Europea. Anche se c’è un calo della domanda europea e con la crescita dei nuovi mercati (Cina e
Stati Uniti) le aziende italiane riescono a controbilanciarsi.

Dati recenti. Dopo una lunga crisi, negli ultimi tre anni il settore del Legno e Mobili sta registrando una
fase di ripresa. Nel 2017 la produzione sale del 5,1%, in accelerazione rispetto al +2,3% del 2016. Va
segnalato che nel confronto europeo l’Italia è il secondo produttore di Legno e Mobili dell’UE a 28. Sul
piano della produzione sono evidenti gli effetti della lunga e profonda crisi: nel 2017 il livello della
produzione in Italia rimane del 36,5% inferiore ai livelli del 2007. In positivo anche il fatturato che nel 2017
sale del 4,2%, rafforzando il +2,8% dell’anno precedente.
Secondo il rapporto CSIL, in Italia, nel 2019, il settore del mobile ha registrato una stabilità delle vendite sia
sul mercato interno che sui mercati esteri determinando una crescita nulla del fatturato totale del settore a
prezzi costanti. Il contesto macroeconomico italiano non ha aiutato le aziende del settore.
La presenza del bonus mobili ha favorito la tenuta dei consumi interni; ma, d’altro canto, l’incertezza legata
alle prospettive future continua a limitare l’ammontare effettivo degli acquisti di mobili e anche le intenzioni
future di acquisto.

Sul fronte delle vendite sui mercati esteri delle imprese italiane del settore, il 2019 ha mostrato un
rallentamento della crescita. Nel dettaglio, le vendite sui mercati dell’Unione Europea stanno mostrando un
ritmo di marcia leggermente più sostenuto rispetto a quelle sui mercati Extra-UE grazie soprattutto alle
buone performance sul mercato francese e svizzero.
 Un settore che è cresciuto in modo molto importante a seguito del boom economico. Successivamente
rallenta la domanda interna e questo settore ha avuto la capacità di esportare, rimanendo però sempre
abbastanza piccolo con molte aziende di tipo tradizionale.

CHIMICA FINE E DI SPECIALITÀ


37
I prodotti della chimica di base comprendono i prodotti
chimici e intermedi chimici di base, caratterizzati dai
grossi volumi di consumo, dai prezzi bassi, da un’elevata
competizione sui prezzi stessi, dalla standardizzazione
produttiva e dalla scarsa innovazione di prodotto e di
processo. I prodotti della chimica secondaria, invece, sono
identificati da limitati volumi di consumo, flessibilità
produttiva, maggior innovazione di prodotto e di
tecnologia e di fabbricazione, prezzi mediamente più
elevati, maggior valorizzazione del servizio offerto al
cliente rispetto al puro prezzo di vendita del prodotto.
Si rende quindi necessaria ulteriore precisazione: tra i
prodotti della chimica secondaria rientrano, ma non ne
sono un sinonimo, i “principi attivi, intermedi di chimica
fine, additivi e ausiliari” che sono oggetto del presente
studio.
Dal punto di vista del fatturato, il grosso viene reperito dalla chimica di base. Una delle più grandi aziende
della chimica di base è la BASF (Germania) che da sola fa più di 50 miliardi di fatturato.
La chimica fine e di specialità è un settore riconosciuto come un po' di nicchia e di specializzazione.

Montecatini Edison S.p.A., dal 1966 al 1969, abbreviato poi in Montedison S.p.A., è stato un grande
gruppo industriale e finanziario italiano, conosciuto con questo nome fino al 2002; attivo prevalentemente
nella chimica, aveva però interessi in numerosi altri settori, quali farmaceutica, energia, metallurgia,
agroalimentare, assicurazioni, editoria. All'inizio fu una grande public company, la numero uno in Italia
nella chimica, quinta in Europa e settima al mondo. Nella seconda metà degli anni Ottanta diventò con la
Ferruzzi il secondo maggior gruppo industriale privato italiano. Nel 2001 è stato sempre il secondo gruppo
privato italiano prima di essere scalato dalla FIAT con la francese EDF come alleata ed essere smembrato e
venduto nel 2002. Viene tenuta solo la parte energetica in una società (Edison) il cui controllo finisce in
mano pubblica francese (EDF) e italiana (Aem, controllata dal comune di Milano).

Tendenze recenti nella chimica, da Federchimica


L’industria chimica in italia. Rapporto 2019-2020
Nel 2019 la produzione chimica mondiale – che realizza un valore pari a circa 3.300 miliardi di euro – è
cresciuta del 2%, un ritmo sottotono e in significativo rallentamento rispetto all’anno precedente (+2,8%).
La chimica mondiale risente dell’indebolimento del ciclo industriale, delle particolari difficoltà del settore
auto e delle tensioni commerciali, che coinvolgono non solo USA e Cina ma anche l’UE.
L’Europa, come l’Italia, è un esportatore di chimica fine.
Per la chimica europea il 2019 segna il secondo anno consecutivo di contrazione della produzione (-1,2%
dopo il -0,4% dell’anno precedente). Se nel 2018 il calo era stato considerato, in parte rilevante, connesso a
fattori contingenti (secca del fiume Reno e conseguenti problemi logistici in Germania), nel corso del 2019 è
diventato evidente che l’Europa è alle prese con una recessione industriale, sebbene di moderata entità.
La debolezza della chimica si è via via estesa alla gran parte dei Paesi guidata, in particolare, dalla Germania
(primo produttore europeo, in calo del 3,1%).

La chimica è un settore di specializzazione strategico per l’industria europea. Impiega 1,2 milioni di addetti
altamente qualificati e, nell’ultimo anno, ha realizzato un valore della produzione pari a circa 550 miliardi di
euro, confermandosi quale quarto settore industriale europeo e secondo produttore chimico mondiale con
una quota pari al 17%.
L’industria chimica europea genera un consistente avanzo commerciale, 45 miliardi di euro nel 2019,
contribuendo a garantire all’UE equilibrio negli scambi commerciali. Per il secondo anno consecutivo si
assiste, tuttavia, ad un ripiegamento del surplus commerciale nella chimica di base, a fronte della continua
espansione nella chimica fine e specialistica. Tra i fattori penalizzanti per la competitività europea, un
elemento critico è rappresentato dal costo dell’energia e delle materie prime. Per effetto della rivoluzione
dello shale gas, produrre etilene in Europa (dove si utilizza prevalentemente come materia prima la virgin
38
naphta, un derivato del petrolio) è diventato più costoso non solo rispetto al Medio Oriente, ma anche agli
Stati Uniti. L’etilene è il più diffuso “building block” dell’industria chimica mondiale ed è un elemento
fondamentale per molti materiali quali plastica, detergenti e vernici.
L’Italia rappresenta il terzo produttore chimico europeo con una quota prossima al 10% e un valore della
produzione, nel 2019, pari a 55 miliardi di euro (89 miliardi inclusa la farmaceutica). Sul territorio nazionale
sono attive oltre 2.800 imprese chimiche con quasi 3.800 insediamenti nei quali lavorano 112 mila addetti
altamente qualificati (179 mila, considerando anche la farmaceutica).
In Italia l’industria chimica vede la presenza equilibrata di tre tipologie di attori (Tavola 2.10): 1) le PMI,
che hanno un ruolo rilevante in tutta la chimica europea, ma ancor più significativo in Italia (39% del valore
della produzione), 2) i medio-grandi gruppi nazionali (23%) e 3) le imprese a capitale estero (38%).
Nella chimica è presente un nucleo non ristretto di gruppi a controllo nazionale dotati della massa critica per
affrontare le sfide tecnologiche e del mercato globale. Insieme alle maggiori realtà della chimica di base,
figurano medio-grandi gruppi fortemente specializzati e spesso leader nel loro segmento a livello mondiale o
europeo.
L’Italia, inoltre, è ben posizionata nella chimica da biomasse, dove sono presenti imprese tecnologicamente
all’avanguardia. Sul territorio nazionale si stanno realizzando tra i più rilevanti investimenti a livello
mondiale in questo ambito e sono presenti impianti flagship, cioè i primi al mondo per determinate
tecnologie.
Quasi tutti i maggiori gruppi chimici a controllo nazionale hanno realizzato investimenti produttivi
all’estero, non con finalità di delocalizzazione ma per rafforzare la propria posizione nel mercato globale,
alimentando così, in un circuito virtuoso, anche l’export, la produzione e l’occupazione sul territorio
italiano.
Anche le imprese a capitale estero rappresentano una risorsa importante per l’industria chimica in Italia. La
loro attività crea valore sul territorio in quanto producono e fanno ricerca. In diversi casi l’Italia ospita un
vero e proprio centro di eccellenza, che rappresenta il punto di riferimento del gruppo a livello mondiale per
la R&S in determinate aree della chimica o per specifiche produzioni.
Pur essendo fortemente integrata a livello europeo, l’industria chimica presenta, in Italia, alcune
caratteristiche peculiari. Mantiene nella chimica di base una presenza significativa e strategica, anche per i
forti legami di filiera, ma vede un ruolo di particolare rilevanza della chimica fine (i principi attivi
farmaceutici rappresentano un’eccellenza mondiale) e specialistica, che rappresenta il 59% della produzione,
ben 15 punti % in più della media europea. Si tratta dei settori in cui prevale la chimica delle formulazioni,
ossia la vendita di miscele e prodotti chimici caratterizzati da determinate prestazioni. Negli ultimi 10 anni
le imprese di chimica delle specialità hanno saputo costruire un saldo commerciale attivo per ben 3,8
miliardi e triplicato rispetto al pre-crisi.
La fase attuale, così come gli anni a venire, si caratterizza per i profondi mutamenti dello scenario politico,
sociale, tecnologico e competitivo. Per l’industria chimica la sfida principale risiede nel promuovere lo
sviluppo sostenibile e l’economia circolare. In questo ambito, la chimica riveste un ruolo strategico in
quanto fornisce input essenziali a numerose filiere e possiede le competenze tecnologiche relative alla
gestione delle sostanze e alla trasformazione della materia. Le sue innovazioni, sempre più orientate alla
sostenibilità ambientale, trovano impiego in tutta l’industria manifatturiera, l’edilizia e l’agricoltura,
configurando il settore come una vera e propria infrastruttura tecnologica.
Per affrontare con successo la trasformazione digitale, l’industria chimica può contare, già oggi, su una forza
lavoro altamente qualificata: basti pensare che il 19% degli addetti è laureato (una quota quasi doppia della
media manifatturiera) e oltre il 42% degli operai è specializzato.

Inoltre, il settore investe fortemente nella formazione che coinvolge, ogni anno, il 42% dei dipendenti a
fronte di una media industriale pari al 26%. Anche i modelli organizzativi sono avanzati e si basano su
coinvolgimento e partecipazione come strumenti per prevenire e superare possibili conflitti relativi
all’impatto sulle risorse umane delle scelte organizzative.

MECCANICA STRUMENTALE
Definizione: L’insieme delle imprese costruttrici di macchine ed impianti meccanici. Si considerano «tutti i
macchinari destinati alla trasformazione, manipolazione e movimentazione di beni di qualsiasi origine e
destinazione.»
39
IL SOLE 24 ore: Con la definizione di meccanica strumentale si indica quel settore strategico dell'economia
italiana che riguarda la produzione di macchinari o impianti destinati a settori produttivi (macchine utensili,
macchine tessili, le macchine agricole). Il settore è caratterizzato da una fortissima propensione all'export e
ha un elevato tasso di competitività.

Caratteristiche settoriali. «un settore sicuramente meno attraente del sistema moda dal punto di vista
mediatico, ma anche di più difficile inquadramento all’interno della letteratura economica dominante per
l’essere da un lato un settore di specializzazione (e non tradizionale) a tecnologia medio-alta e dall’altra non
avere una precisa connotazione distrettuale anzi ponendosi nei confronti di questo sistema in una posizione
ancillare (le macchine a servizio del distretto) se non apertamente contrastante.»

La meccanica strumentale è la punta di diamante dell’export nazionale. La meccanica strumentale raggiunge


il 21% di tutto l’export nazionale. Oggi la meccanica strumentale vale 80 miliardi di euro. Le imprese
italiane devono concentrarsi l’attenzione su tre assi importantissimi:
 Crescita, la dimensione relativamente piccola tipica delle imprese italiane può essere un sinonimo di
flessibilità ma anche un limite;
 Internazionalizzazione, fattore innato quando si parla di meccanica strumentale;
 Innovazione, ovvero il salto verso la meccanica 4.0.

Dal punto di vista del commercio mondiale l’Italia nel settore della meccanica strumentale ha un peso del
5% sull’intero mercato mondiale, considerando che mediamente l’Italia pesa sul mercato mondiale non più
del 2% negli altri settori di export; da questa considerazione si può constatare che il settore della meccanica
strumentale è il più importante settore esportato dall’Italia.
Allo stesso tempo però l’Italia importa 2,1% di meccanica strumentale, quindi il saldo netto della meccanica
è del 3%.
I principali esportatori di questo settore sono: la Cina, la Germania, gli Stati Uniti e il Giappone. L’Italia è al
5 posto.

I tre comparti della meccanica strumentale sono:


• i macchinari “necessari” al funzionamento di un’altra macchina – come pompe, rubinetteria e
valvole;
• gli “autonomi” che operano in maniera indipendente;
• i macchinari ad uso specifico, ossia la meccanica in senso stretto.

Specializzazioni italiane nella meccanica strumentale


 Macchine per il confezionamento e l’imballaggio: quota su expo mondiale 20,6%.
 Macchine tessili: quota su expo mondiale 10,4%. Dalla filatura alla torcitura, dalla roccatura
all’aspatura, fino alla tessitura, tintoria, stampa e finissaggio.
 Macchine per la lavorazione di materie plastiche e gomma: 8,3%. Stampi, estrusori, stampatrici
flessografiche, macchine per soffiaggio e iniezione, per formare e modellare
 Macchine utensili: quota su expo mondiale 7,8%. La classificazione più diffusa delle macchine
utensili si basa sul “moto di lavoro”: a moto circolare uniforme (trapani, fresatrici, torni), a moto
rettilineo alternato (rettifiche per piani, piallatrici, limatrici, stozzatrici), a moto speciale (mole,
brocciatrici), a moto circolare variabile.

Limiti
La dimensione dell’impresa: numero dipendenti in percentuale è del 19,1% a differenza dellaGermania che
ne ha 66,4%. Essere piccoli non vuol dire essere poco funzionanti, in alcuni mercati di nicchia questo
aspetto è molto efficiente, ma allo stesso tempo vuol dire che tale impresa rimarrà nel mercato di nicchia.
Il limite dimensionale delle imprese della meccanica italiana non impedisce alle aziende italiane di
raggiungere risultati uguali o superiori ai concorrenti europei: il fatturato per addetto per l’Italia (242 mila
euro) e tra i più alti nell’Ue, superiore a quello della Germania (227 mila euro) e ben oltre la media europea.
40
Il tratto distintivo delle imprese della meccanica strumentale è l’elevata propensione all’export. Oggi
l’impresa della meccanica strumentale è quindi un po’ meno locale e più interconnessa globalmente.
Dal punto di vista regionale, la meccanica strumentale è essenzialmente localizzata nel centro-nord.

Le tre direttrici della competitività: crescere, guardare lontano, innovare. Dal Rapporto Export 2016/2019 di
SACE
Crescere (in dimensione)
La piccola dimensione delle aziende italiane è, da una parte, un importante fattore di flessibilità, dall’altra,
un limite fondamentale allo sviluppo dell’intera economia del Paese. Il modello del distretto tradizionale non
riesce infatti a reggere le pressioni competitive dello scenario attuale perché non è in grado di supportare
adeguatamente strategie di internazionalizzazione diverse dall’esportazione.
Le alternative strategiche, come i consorzi, le aggregazioni temporanee di imprese (ATI), le joint venture, le
operazioni di finanza straordinaria – come fusioni e acquisizioni – e gli investimenti diretti esteri (IDE) sono
spesso un impegno troppo oneroso per le aziende di piccole dimensioni. Un passo concreto potrebbe essere
quello di aggregarsi in reti di imprese: L’obiettivo non è solo quello di ottenere vantaggi di costo, ma anche
di generare sinergie di ricavo, finanziarie e di know-how, con il risultato di rendere l’intera struttura
produttiva più competitiva sul mercato globale.

Crescere (solidità finanziaria)


La struttura proprietaria e finanziaria delle imprese costituiscono un altro ostacolo alla crescita
dimensionale. In Italia, storicamente la proprietà e concentrata nelle mani di un singolo azionista e le
famiglie controllano ancora il 77% del capitale nelle imprese industriali. Le PMI italiane sono, infatti, molto
indebitate ed esposte soprattutto nei confronti delle banche. Il nostro Paese sconta poi un forte ritardo su
tutti i segmenti del mercato dei capitali di rischio. Poche sono le società che scelgono di aprire il capitale
quotandosi: negli ultimi anni, la capitalizzazione di Borsa si è mantenuta attorno al 30% del Pil, molto
indietro rispetto ai mercati azionari dei principali Paesi avanzati (Germania 49%, Francia 81%, Gran
Bretagna 127%, Stati Uniti 151%). Gli strumenti ci sono, sia tradizionali (quotazione, emissioni
obbligazionarie, private equity eventure capital), sia innovativi (minibond, private placement, prestiti
mezzanini e di semi-equity, project bond) e consentirebbero soprattutto alle PMI di ridurre il costo del
credito e di reperire risorse destinate a finanziare nuovi investimenti, anche esteri, ristrutturazioni degli asset
societari, joint venture, fusioni, acquisizioni e altre operazioni di finanza straordinaria per crescere e
competere con una struttura più solida sui mercati internazionali.

Guardare lontano
Per le imprese della meccanica strumentale è naturale guardare oltreconfine. Infatti, delle oltre duecento
aziende italiane intervistate da SACE, circa l’80% dichiara di fare affari con più di dieci Paesi esteri.
Tuttavia, gran parte di queste continua a preferire i mercati vicini: l’Area euro resta la regione di maggiore
interesse, mentre i mercati più lontani (Asia-Pacifico e Africa Centrale e Meridionale) hanno una rilevanza
percepita medio/bassa. L’impressione, tuttavia, è che la situazione sia destinata a migliorare, seppur in modo
graduale. Dotarsi di capacità di intelligence e individuazione di rischi/opportunità di marketing e
distribuzione su geografie più lontane, ma con buone prospettive future, diventa, quindi, un must per le
imprese che aspirano a crescere nei prossimi anni.
Innovazione e industria 4.0
In Italia si parla da tempo di Industria 4.0: dopo la rivoluzione della meccanica, dell’elettricità e
dell’informatica, la nuova rivoluzione industriale riguarda la “fabbrica intelligente”, i “sistemi cyber-fisici”
o l’Internet delle cose”, ossia lo sviluppo di sistemi tecnologici in grado di scambiarsi informazioni e
interagire con l’ambiente esterno. Nella nuova Industria 4.0 si passerà dalla produzione centralizzata e quella
decentralizzata, i macchinari comunicheranno tra loro per ottimizzare i processi e migliorare i prodotti, le
tecnologie informatiche semplificheranno i flussi tra reparti e funzioni e agevoleranno il lavoro del
management, anche nei rapporti con fornitori e distributori.
Gli imprenditori – il 70% secondo l’indagine Staufen – sanno che il passaggio a Industria 4.0 è essenziale
per crescere e per competere a livello internazionale, eppure molti ancora esitano nell’apportare
cambiamenti concreti all’interno della propria azienda. Le aree più interessate a questa nuova ondata di
41
innovazione saranno la produzione, la logistica, la gestione del magazzino, le vendite e l’assistenza post-
vendita, con miglioramenti attesi sul piano dell’efficienza. Ma produrre apparecchiature elettriche non e lo
stesso che produrre macchinari per il packaging o attrezzature per la lavorazione della plastica: competere in
un settore con produzioni in serie, alti volumi e standardizzazione ha delle dinamiche profondamente diverse
rispetto a competere in un settore con produzioni su commessa, bassi volumi e alta personalizzazione, come
tipicamente avviene per molte imprese della meccanica. In un contesto di questo tipo, la qualità del prodotto
e del servizio offerto, più che i tempi di produzione e i costi contenuti, e cruciale per restare sul mercato.

Dall’indagine SACE sopracitata emerge che le nostre aziende, rispetto alle concorrenti tedesche, si
distinguono proprio per l’alto grado di personalizzazione del prodotto (80,1%), per l’elevato contenuto
tecnologico dei macchinari (57,3%) e per tutte quelle componenti “sartoriali “che distinguono la manifattura
italiana anche in altri settori. Eppure, questo non basta a fregiare l’intero settore di un brand distintivo a
livello Paese, come già avviene nella moda e nell’agroalimentare. È evidente che, per fare progressi in
questo ambito, le imprese italiane devono muoversi con più decisione verso una maggior valorizzazione del
marchio italiano, investendo non solo in automazione, innovazione ed efficienza produttiva, ma anche in
iniziative di marketing, di comunicazione e distributive adeguate e pervasive.

Diventare smarter e una strada che va intrapresa e percorsa con convinzione e passa attraverso l’offerta di
prodotti innovativi e di altissima qualità, il rafforzamento delle collaborazioni lungo la filiera e la
preparazione delle proprie persone al nuovo paradigma. Certo, rispetto alla Germania, che ha avviato il
programma “Industrie 4.0” già nel 2013, coinvolgendo governo, aziende e istituti di ricerca, siamo in ritardo.
Occorre un Sistema Paese forte, che metta in atto una politica industriale mirata, promuova incentivi alla
formazione delle figure professionali, sostenga la ricerca e aggiusti il sistema finanziario alle esigenze delle
nuove smart factory. Per ora, alcuni comparti (ceramica, plastica, imballaggio) più di altri stanno facendo i
primi passi con la propria bussola e, in generale, il settore si sta muovendo verso Industria 4.0 un po’ alla
rinfusa; ma se c’e qualcosa che le nostre aziende della meccanica strumentale hanno capito prima dei
concorrenti tedeschi e che, nelle parole dello scienziato americano Jonathan Schattke, “la necessita e la
madre delle invenzioni, e vero, ma il padre e la creatività, e la conoscenza e la levatrice”.

11)
Le POLITICHE INDUSTRIALI si possono definire in modo generale o specifico:
- Generale
«è richiesta la presenza di istituzioni che creino e mantengano l’ambiente competitivo in cui gli attori
economici si muovono, nel nostro caso le imprese, i consumatori, i lavoratori»: istituzioni che creano e
mantengono ambiente competitivo
«la politica industriale comprende tutti quei processi tramite i quali i governi deliberatamente alterano la
struttura e le caratteristiche dei sistemi economici»: definizione più interventista rispetto a quella di prima
- Specifico, politiche rivolte a promuovere la produttività e competitività del settore manifatturiero di una
nazione o sistema territoriale locale.
 Esistono diverse definizioni di politica industriale, tra il generale e lo specifico.
Si è cercato un tentativo di sintesi ma esistono numerose definizioni che dipendono anche dalla visione
interventista.

Motivazione a favore e contro le politiche industriali


- punto di vista neoclassico è che i mercati sono efficienti per cui non c’è bisogno dell’intervento pubblico
né per alterare l’allocazione delle risorse né per scegliere le tecniche di produzione. E anche se non lo
fossero, non è molto probabile che l’intervento pubblico migliori il funzionamento del sistema economico,
anzi rischia di creare monopoli e rendite di posizione (fallimento del governo); il pensiero interventista crede
sia necessario intervento dello Stato in determinata situazioni (modo di pensare che prevale durante le crisi).
- le crisi economiche (la crisi finanziaria del 2008-09 e la pandemia di questi anni) ed i fallimenti del
mercato hanno reso il punto di vista liberista più debole e riproposto il tema delle politiche industriali, le
quali riacquistano credibilità. Con quali giustificazioni?

A FAVORE:
42
Giustificazione 1: i fallimenti del mercato (i mercati possono essere non efficienti), motivi?
- Condotte anti-competitive: concorrenza non funziona a causa di collusioni e abusi di posizione
dominante
- Monopoli naturali: situazioni in cui la concorrenza non c’è
- Esternalità nella produzione (inquinamento locale e globale) e nella domanda (mercati a rete)
- Informazione imperfetta e asimmetrica, mercati a termine imperfetti
- L’innovazione come bene pubblico: l’investimento in R&D tende ad essere insufficiente in assenza di
stimolo (ricerca di base) e\o protezione. Ci sono esternalità nell’apprendimento.
Giustificazione 2: promozione dello sviluppo
- Lo sviluppo è un processo continuo di innovazione tecnologia, ammodernamento industriale e
diversificazione economica (import substitution). I mercati non gestiscono bene queste trasformazioni
strutturali. La politica industriale serve guidare il processo di cambiamento delle risorse umane,
industriali e finanziarie.
- Costruzione e manutenzione delle reti infrastrutturali (trasporti, energia, gas, servizi idrici, telematica)
- Promozione di nuove tecnologie: Internet, nuovi materiali, nuovi farmaci, genomica, batterie agli ioni di
litio, ecc... Molte delle scoperte recente sono state finanziate con fondi pubblici. Lo Stato agisce come
prestatore di ultima istanza, in presenza di elevati rischi di insuccesso industriale che non sarebbero
sopportabili dalla finanza privata.
- Promozione dell’apprendimento come fonte dello sviluppo economico
Gli Stati intervengono, sia in periodi di crisi sia in periodi normali: è diventato ovvio che tutti i governi sono
impegnati in varie forme di politiche industriali, anche quelli che sostengono politiche orizzontali o
"neutrali" finiscono per intraprendere azioni che favoriscono determinate industrie più di altre e quindi
modellano l'allocazione settoriale dell'economia. In tutti i paesi, alcune industrie, settori e persino aziende
sono favoriti all'interno del quadro giuridico e spesso fortemente sovvenzionati, spesso in modi non
trasparenti.
La promozione delle aree in ritardo di sviluppo e dell’occupazione: compito tradizionale affidato alle
politiche settoriali o regionali.

CONTRO:
- Asimmetrie informative: I governi spesso non hanno le informazioni e la capacità di progettare politiche
industriali efficaci e quindi invitano gli agenti economici a cercare la rendita (Rodrik, 2008; Naudé,
2010a). I vincoli informativi rendono estremamente difficile per i governi sapere quali industrie e/o
imprese meritano sostegno. In assenza di una buona misurazione, esistono rischi che i governi ricorrano
a criteri di selezione appena quantificabili e concettualmente deboli.
- Cattura politica e rent-seeking: il successo dell'attuazione di qualsiasi politica industriale dipenderà
probabilmente dalla natura del sistema politico e delle istituzioni del paese interessato. Laddove il potere
dei gruppi di interesse economico esercita un'influenza indebita attraverso il sistema politico, il sostegno
del governo a un'industria potrebbe essere basato più su considerazioni politiche che su meriti
economici.
- Inefficienze da eccessiva protezione: protezione per perpetuare l'inefficienza. Krugman e Obstfeld
(2009) descrivono i casi di India e Pakistan, dove la produzione è stata protetta per molti decenni e dove
la recente crescita di esportazioni significative di manufatti si è basata su manufatti leggeri, piuttosto che
sui manufatti pesanti che erano stati l'obiettivo della protezione.
- I governi assistono le aziende in declino. Spesso l'obiettivo è quello di cercare di salvaguardare
l'occupazione. Ma il sostegno pubblico alle industrie in declino comporta il finanziamento di una parte
delle operazioni delle industrie che hanno rendimenti degli investimenti bassi o negativi. In alcuni casi,
piuttosto che incoraggiare gli investimenti del settore privato in industrie non redditizie che vengono
sovvenzionate all'estero, potrebbe avere più senso approfittare del sussidio estero importando i beni
stranieri più economici.

43
Strategia industriale dopo crisi 2008-09
A seguito della crisi economica e finanziaria del 2008-09, i responsabili politici sono alla ricerca di nuove
fonti di crescita economica e di creazione di posti di lavoro. Alcuni paesi temono che la loro traiettoria di
crescita economica non sia stata sufficientemente equilibrata, con alcuni settori in calo eccessivo e altri che
assumono un ruolo troppo forte nella crescita economica complessiva. In altri paesi, ci sono preoccupazioni
che la produzione manifatturiera sia diminuita troppo che le conoscenze e le capacità siano state
irreversibilmente perse. E in alcuni casi, c'è un appello a politiche industriali per rafforzare settori specifici,
tecnologie o aree di attività economica, come la produzione avanzata, i servizi alle imprese ad alta intensità
di conoscenza o l'economia "verde", con l'obiettivo di promuovere nuove fonti di crescita economica.
Il crescente interesse per le "politiche industriali", ampiamente definite, arriva in un momento in cui le
catene globali del valore sono diventate più complesse e più importanti, e in cui la concorrenza delle
economie emergenti è in crescita, anche in attività e mercati che erano, fino a poco tempo fa, considerati i
punti di forza fondamentali dei paesi OCSE.
Allo stesso tempo, molti governi devono ancora affrontare gravi vincoli di bilancio a seguito della crisi
economica e sono alla ricerca di interventi politici più efficaci e spesso più selettivi e a basso costo che
possano contribuire a rafforzare la loro economia. Stabilire priorità in settori in cui l’azione dei governi può
fare la differenza è quindi di crescente interesse politico ed è evidente, ad esempio, nel dibattito in seno all'
Unione europea sulla " specializzazione intelligente". Ma come e dove agire rimane una questione difficile e
l'esperienza storica con interventi mirati e politiche industriali si mescola al massimo.

Strategia industriale europea per la pandemia


Obiettivi principali di questa strategia sono:
- Rafforzare il mercato unico;
- Rafforzare l’indipendenza dell’Ue su settori strategici;
- Accelerare la transizione digitale e verde
Rafforzare il mercato europeo
Obiettivi: Porre le condizioni per far crescere le aziende; Aumentare dimensione e integrazione del mercato
unico; Rafforzare gli scambi commerciali dell’Ue con i mercati globali. Tramite una serie di strumenti:
Incentivi all’innovazione tecnologica; Condivisione delle risorse sul modello degli IPCEI (i grandi progetti
comuni di interesse europeo); Armonizzazione delle tasse; Revisione delle norme sulla concorrenza;
Verifica dell’adeguatezza di varie linee guida sugli aiuti di Stato
 rendere il mercato europeo più coeso, più forte e più capace

Rafforzare l’indipendenza dell’Ue in 6 settori strategici


1. Materie prime strategiche: terre rare, gallio e indio, silicone e metalli del gruppo del platino.
2. Principi attivi farmaceutici (API)
3. Batterie al litio
4. Idrogeno: (elettrolizzatori e celle a combustione)
5. Semiconduttori
6. Cloud ed Edge computing
Sono stati riconosciuti come gli elementi chiave da rafforzare: laddove possibile, attraverso risorse
introdotte, si sta realizzando capacità produttiva; intervento di alterare settori di specializzazione.
Import substitution: sostituzione degli inputs importati con la produzione interna

Transizione digitale e verde


- digitale: sviluppo di reti a banda larga, digitalizzazione della PA, applicazione dell’intelligenza artificiale
nell’industria e nella PA
- verde: neutralità climatica, azzeramento dell’inquinamento, adattamento ai cambiamenti climatici,
ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, economia circolare

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 La conclusione che Stiglitz trae riguardo la politica industriale è che, accertato che tutti i governi, di fatto,
intervengono per diversi motivi, l’interrogativo non è tanto se lo Stato debba intervenire o no ma come
deve farlo nel modo migliore. La contrapposizione diventa tra fallimenti del mercato e fallimenti
dell’intervento pubblico!

Alcune possibili classificazioni delle politiche industriali


 Politiche industriali (sono più ristrette) (manifattura e servizi) vs. politiche economiche (monetarie,
creditizie, fiscali, lavoro)
 Politiche industriali orizzontali vs. politiche industriali verticali o selettive
 Politiche industriali a livello europeo, nazionale o regionale (chi fa la politica industriale)

Quando la politica industriale è di


tipo generale è neutra, le politiche
selettive vanno a selezionare alcuni
settori piuttosto che altri e così via.
La distinzione si può vedere a livello
di prodotti, lavoro e competenze,
mercati finanziari ecc…

Data la classificazione, introduciamo le politiche industriali in Italia (sette tipologie)


1. Promozione della concorrenza (intese, concentrazioni, abuso di posizione dominante; concorrenza
ingrediente del successo dei sistemi industriali)
2. Regolamentazione dei monopoli naturali (liberalizzazioni, aste, …; crea condizioni per efficienza del
sistema) – costo dell’energia elettrica, dei trasporti, delle telecomunicazioni: crea le condizioni su alcuni
settori importanti per il funzionamento di un sistema
3. Politiche per le aree in ritardo di sviluppo
– Contributi alla produzione ed in conto capitale, agevolazioni fiscali e aiuti di stato
4. Politiche verticali per la competitività industriale:
– Industria 2015
– Smart Specialization Strategy
5. Politiche orizzontali per lo sviluppo industriale:
– Industria 4.0: super-ammortamento e iper-ammortamento
– Politiche regionali
6. PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
7. Politiche per la formazione del capitale umano

1. e 2. ne abbiamo già parlato


3.Politiche industriali per le aree in ritardo di sviluppo: tipologie ed effetti
A. Sussidi alle imprese
– Legge 19 dicembre 1992, n. 488 «intervento straordinario nelle aree depresse»
45
B. Patti territoriali
– Legge 23 dicembre 1996, n. 662
C. Crediti di imposta
– Legge 23 dicembre 2000, n. 288 «disposizioni fiscali per favorire lo sviluppo equilibrato»
Uno dei problemi importanti dell’Italia è il dualismo, le aree in ritardo di sviluppo. In alcune regioni lo
sviluppo industriale è partito molto tardi o neanche mai partito, sono molto scarse in certe aree.
Nelle aree del Mezzogiorno si è cercato di intervenire con politiche industriali (allocazione di risorse
pubbliche nel sud per investire) già dal dopo guerra, talvolta con successo, anche se non si è ridotto il
divario in modo completo.

- Sussidi
Negli anni Novanta, altra serie di interventi per spostare risorse verso il Sud Italia (fondi a disposizione per
le attività localizzate in determinate regioni italiane, per lo sviluppo di aree depresse).
Questi interventi sono stati poi valutati dagli economisti: confronto tra zone che avevano ricevuto
agevolazioni e quelle zone che non le avevano ricevute; effetto addizionale o effetto sostitutivo? Risultato:
emerge come effetto incentivante sia piuttosto limitato.
Altro aspetto valutato è quello sulla performance delle aziende che sono state agevolate: agevolazioni hanno
avuto un effetto positivo sulla performance ma difficile quantificare questo effetto.

Questo strumento non era completamente soddisfacente, e quindi nasce un’altra idea: l’idea era quelli non
finanziare la singola azienda ma finanziare territori, quindi finanziare lo sviluppo del territorio finanziando
sia le aziende sia gli enti pubblici che supportavano queste aziende.

- Patti territoriali: è uno strumento per lo sviluppo locale avviato operativamente in Italia nel 1998, che
integra interventi di incentivazione al capitale per compensare gli svantaggi localizzativi del territorio e
interventi di contesto (infrastrutture materiali e immateriali) per rimuovere strutturalmente tali svantaggi.
Due sono i principali obiettivi del patto territoriale: 1) promuovere la cooperazione fra soggetti pubblici
e privati di un dato territorio affinché disegnino e realizzino progetti di miglioramento del contesto
locale; 2) favorire attraverso tali progetti e attraverso la concentrazione territoriale e tematica un volume
di investimenti privati capace di produrre esternalità, ossia vantaggi anche per altre imprese e per nuovi
investimenti.
Risultati (conclusioni contrastanti):
Ministero Sviluppo Economico: dati dimostrano che c’è stato un impatto significativo da un punto di vista
economico perché ha attivato nuovi investimenti laddove progetti erano più selezionati. Al contrario, studi
della Banca d’Italia: questo strumento non ha effettivamente funzionato in modo efficace

- Credito di imposta
Ha rappresentato il principale intervento di sostegno agli investimenti nelle aree in ritardo di sviluppo; da
quando è stato introdotto e sino al 2005, sono state così finanziate 200.340 imprese per un totale di 5,7
miliardi di euro. Esso riduce il costo dell’investimento senza alterarne il rendimento.
Non si seleziona l’ambito; fai investimento e poi ottiene il credito.
Il credito d’imposta sembra quindi essersi positivamente riflesso sulla crescita degli investimenti,
consentendo l’attivazione di iniziative che in assenza di agevolazione non sarebbero state avviate. Inoltre,
l’effetto sull’accumulazione non pare che possa essere ricondotto a fenomeni di sostituzione intertemporale,
oppure che abbia prodotto distorsioni sull’efficienza e la redditività delle imprese sussidiate.
Conclusioni riguardo Politiche industriali per le aree in ritardo di sviluppo:
 Principalmente destinate alle aree territoriali in ritardo di sviluppo (agevolazioni fiscali, patti
territoriali), per lo più di natura orizzontale
 Efficacia: parziale, dubbia
 Scarsità di fondi
 Discontinue
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4.Politiche industriali selettive
Due politiche industriali di tipo selettivo promosse negli anni 2000:
- Industria 2015 (verticale)
Industria 2015 è un disegno di legge per la competitività ed il rilancio della politica industriale, approvato
dal Governo Prodi II. Si crea un istituto per la promozione della competitività industriale, cioè un’agenzia
che seleziona i progetti, individuando quindi aree specifiche da finanziare. Vengono individuate queste aree:
Efficienza energetica, Mobilità sostenibile, Nuove tecnologie per la vita, Nuove tecnologie per il made in
Italy, Tecnologie innovative per i Beni culturali.
Inoltre, si vollero finanziare le Reti d'impresa, le quali costituiscono un'alternativa per quelle aziende che
vogliono aumentare la loro forza senza doversi necessariamente unire in una fusione o ricadere sotto il
controllo di un unico soggetto. Infine, con Industria 2015 nascono due nuovi fondi pubblici per realizzare gli
obiettivi di innovazione industriale e sostenere lo sviluppo del sistema produttivo italiano: il Fondo per la
competitività e lo sviluppo, il Fondo per la finanza d'impresa.

Esito: su 303 progetti solo 3 sono arrivati infondo; no finanziamenti, iter lungo, Governo successivo non
credeva più nel progetto.

- Smart Specialisation Strategy (S3) (verticale)


La Comunità Europea nel programma di interventi 2014-2020 dice alle regioni “ditemi quali sono i vostri
punti di forza e finanzio progetti incentrati sui punti di forza che volete rafforzare”.
Processo di finanziamento selettivo, su aree tematiche competitive; ancora in corso.

La strategia di “smart specialisation” è una strategia d’innovazione concepita a livello regionale, ma valutata
e messa a sistema a livello nazionale ed europeo. L’obiettivo generale di valorizzare le eccellenze si traduce,
a livello operativo, nella valorizzazione dei settori e/o delle nicchie di mercato dove i territori dispongono di
chiari vantaggi competitivi o di determinate potenzialità di sviluppo imprenditoriale.

Questi progetti europei hanno anche un importante aspetto di valutazione: è necessario indicare nel progetto
gli obiettivi e quali indicatori.

Conclusioni sulle Politiche selettive per la competitività industriale:


 La gestione di Industria 2015 è stata approssimativa e sostanzialmente fallimentare (fallimento)
 La S3 è ancora in corso e non è stata adeguatamente valutata

5.Politiche per l’innovazione


Serie di leggi di stabilità che hanno finanziato l’innovazione: tema centrale delle politiche industriale è
sembrata essere l’innovazione.

- Legge di stabilità 2015 che ha finanziato “Patent Box”, “Credito d’imposta per attività di R&S”

- Legge di stabilità 2017-2020: Piano nazionale Industria 4.0

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Strumenti: iperammortamento e superammortamento (agevolazioni fiscali e benefici concreti per le
imprese)
La legge di bilancio 2019: segue la stessa strada.

- Legislazione regionale FVG


Anche le regioni possono fare politiche industriali.
Conclusione sulle Politiche orizzontali per lo sviluppo industriale
 Mancano valutazioni di efficacia, efficienza, addizionalità di questi strumenti (non sappiamo se c’è stato
un effetto e com’è stato, se hanno permesso investimenti)
 È probabile che gli esiti dipendano dal settore, dalla dimensione dell’impresa, dalla localizzazione, se è
innovazione di processo o di prodotto, ecc.

Molti di queste politiche è difficile dire che esito abbiano avuto perché mancano degli studi
indipendenti che facciano le valutazioni come si dovrebbero fare, cioè ex ante, in itinere ed ex post.

6.PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza


Comprende diversi temi come digitalizzazione, salute, economia circolare… Esso prevede anche
“Attuazione, monitoraggio e valutazione”.
Mette a disposizione molte risorse.

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7.Politiche per la formazione del capitale umano
Livello di istruzione popolazione over 25: dal 1950 al 2010, il livello di istruzione conseguito (scuola
primaria, scuola secondaria e scuola terziaria) è generalmente aumentato (scolarità: dinamica in aumento dal
secondo dopo guerra).
2020: le percentuali di giovani 25-34 anni con un livello di istruzione superiore alla scuola dell’obbligo è
ancora elevato. Il Paese più ostruito è Corea, il meno è Cina. Italia sotto media UE e Paesi OECD: noi nella
terziaria siamo molto deboli.

Conclusioni sulle politiche industriali


- Esistono due gruppi di motivazioni principali per le politiche industriali: i fallimenti del mercato e la
promozione dello sviluppo
- D’altro canto, ci sono motivi di fallimento delle politiche industriali (asimmetria informative, cattura
politica e rent seeking, inefficienze da eccessiva protezione, assistenza aziende in declino)
- Esistono diversi tipi di politiche industriale: da costo zero per il bilancio pubblico quali le politiche della
concorrenza fino a molto onerose quali le politiche industriali di sostegno finanziario selettivo o
verticale.
- Gli studi esistenti sull’efficacia ed efficienza delle diverse politiche promosse in Italia giungono a
risultati contrastanti: alcuni positivi, altri negativi.
- In generale, emerge che le politiche a sostegno delle imprese sono state numerose, ma spesso
frammentarie e discontinue e che si è manifestato un circolo vizioso: aumento del debito pubblico -
eliminazione degli incentivi al capitale ed al lavoro.
- Il PNRR rappresenta un notevole opportunità
- La formazione del capitale umano va rafforzata; quota si ferma ai 15 anni per effetto generazionale,
mancanza di stimoli, altro…

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