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ANGELICA E MEDORO (PARAFRASI E APPUNTI)

17
Gli sopravenne a caso una donzella,
avolta in pastorale ed umil veste,
ma di real presenza e in viso bella,
d'alte maniere e accortamente oneste.
Tanto è ch'io non ne dissi più novella,
ch'a pena riconoscer la dovreste:
questa, se non sapete, Angelica era,
del gran Can del Catai la figlia altiera.

Per caso sopraggiunse una fanciulla, avvolta in una veste umile e pastorale, ma con
atteggiamento regale e bella in viso, di maniere nobili e altamente dignitose. È talmente tanto
che non ne parlo più, che la dovreste a malapena riconoscere: questa, se non lo sapete, era
Angelica, la figlia altera del gran re del Catai.

VERSO 17

- A CASO- riconduce al concetto di Ariosto della casualità. L’uomo vittima della casualità che
può esercitare il suo volere solo nella finzione letteraria

- Nel 2-3-4 verso si parla del rapporto tra apparenza e realtà. Dietro l’abito umile ci sono le
maniere regali. L’abito è la prima cosa che viene percepita e poi soltanto in secondo luogo, si
percepisce l’atteggiamento che però non tutti colgono

- Che è Angelica viene specificato solo alla fine (rimane un po’ in sospeso)

ALTIERA- oltre che nobile, può essere parafrasato come altera poiché si verrà a capire in seguito la sua
arroganza e tracotanza.

18
Poi che 'l suo annello Angelica riebbe,
di che Brunel l'avea tenuta priva,
in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,
ch'esser parea di tutto 'l mondo schiva.
Se ne va sola, e non si degnerebbe
compagno aver qual più famoso viva:
si sdegna a rimembrar che già suo amante
abbia Orlando nomato, o Sacripante.

Dopo che Angelica aveva recuperato il suo anello che le era stato rubato da Brunello, divenne
così altera e orgogliosa che sembrava avesse in disdegno il mondo intero. Se ne va da sola e
non si degnerebbe di avere per compagno neppure l'uomo più famoso: si sdegna a ricordare
che abbia chiamato Orlando o Sacripante come suo amante

VERSO 18

- Anello che fu rubato ad Angelica e lei per trovare l’oggetto del desiderio si reca al
palazzo di Atlante.

- Brunello è colui che ruba l’anello e molti altri si serviranno di lui

19
E sopra ogn'altro error via più pentita
era del ben che già a Rinaldo volse,
troppo parendole essersi avilita,
ch'a riguardar sì basso gli occhi volse.
Tant'arroganza avendo Amor sentita,
più lungamente comportar non volse:
dove giacea Medor, si pose al varco,
e l'aspettò, posto lo strale all'arco

E più di ogni altra cosa si pente di aver voluto bene a Rinaldo, sembrandole di essersi umiliata
troppo, poiché volse gli occhi a guardare così in basso. Amore, avendo sentito una tale
arroganza, non volle sopportarla oltre: si appostò là dove giaceva Medoro e aspettò Angelica,
dopo aver incoccato la freccia nell'arco.

VERSO 19

- Dopo avere descritto il suo arrivo, e il suo modo altero di porsi nei confronti dei
paladini, si passa alla visione di Amore.

- Amore per vendetta, come se Angelica avesse peccato di ubris nei confronti del dio
Amore, la punisce facendola innamorare di Medoro che era un umilissimo saraceno,
tutto il contrario dei paladini francesi

- Ariosto da umanista, riprende i canoni della tradizione classica e quando parla di


Amore, parla del modello imprescindibile offerto da Ovidio (amore come una divinità
che scaglia le sue frecce)

20
Quando Angelica vide il giovinetto
languir ferito, assai vicino a morte,
che del suo re che giacea senza tetto,
più che del proprio mal si dolea forte;
insolita pietade in mezzo al petto
si sentì entrar per disusate porte,
che le fe' il duro cor tenero e molle,
e più, quando il suo caso egli narrolle.

Quando Angelica vide il ragazzo languire ferito, molto vicino alla morte e che si rammaricava
fortemente del fatto che il suo re giaceva insepolto, assai più che del proprio male, lei si sentì
entrare un'insolita pietà nel petto da porte da lei non usate, che le intenerì e ammorbidì il
cuore duro, ancor più quando lui le narrò la sua storia

VERSO 20

- ANGELICA cambia da un momento all’altro ì. Da donna altera, il suo cuore di pietra


si ammorbidisce a causa di forze maggiori. L’uomo è ora ciò che non sarà tra un
attimo se accade qualcosa. Sottolinea la mutevolezza della condizione umana.

21
E rivocando alla memoria l'arte
ch'in India imparò già di chirugia
(che par che questo studio in quella parte
nobile e degno e di gran laude sia;
e senza molto rivoltar di carte,
che 'l patre ai figli ereditario il dia),
si dispose operar con succo d'erbe,
ch'a più matura vita lo riserbe.

E riportando alla memoria l'arte medica che aveva imparato in India (infatti sembra che questo
studio laggiù sia nobile, degno e assai lodato, e senza spendere troppo parole pare che si
erediti di padre in figlio), decise di curarlo con un succo d'erbe, per far sì che potesse vivere a
lungo.

VERSO 21

-Si viene a scoprire sempre di più di Angelica, la quale è abile nelle scienze mediche e dunque
ha una grande conoscenza della natura (rapporto privilegiato). Ciò avviene fin dall’antichità.
Nell prime civiltà, all’interno delle rigide gerarchie c’erano i sacerdoti i quali avevano un
rapporto privilegiato con la natura e con le divinità proprio perché conoscevano bene ciò che li
circondava.

22
E ricordossi che passando avea
veduta un'erba in una piaggia amena;
fosse dittamo, o fosse panacea,
o non so qual, di tal effetto piena,
che stagna il sangue, e de la piaga rea
leva ogni spasmo e perigliosa pena.
La trovò non lontana, e quella colta,
dove lasciato avea Medor, diè volta.

E si ricordò che passando aveva visto in una bella radura un'erba, forse dittamo o forse
panacea o non so quale, dotata dell'effetto di far fermare il sangue e di levare ogni spasimo e
dolore da una grave ferita. La trovò non lontano da lì e, dopo averla raccolta, si precipitò dove
aveva lasciato Medoro

VERSO 22

- Vicinanza emotiva e trasporto per uno sconosciuto

23
Nel ritornar s'incontra in un pastore
ch'a cavallo pel bosco ne veniva,
cercando una iuvenca, che già fuore
duo dì di mandra e senza guardia giva.
Seco lo trasse ove perdea il vigore
Medor col sangue che del petto usciva;
e già n'avea di tanto il terren tinto,
ch'era omai presso a rimanere estinto.

Mentre tornava incontrò un pastore che attraversava il bosco a cavallo, cercando una giovenca
che già da due giorni aveva lasciato la mandria e andava senza scorta. Lo portò con sé dove
Medoro perdeva forze insieme al sangue che colava dal petto; e con esso aveva a tal punto
bagnato il terreno che ormai era vicino alla morte

24
Del palafreno Angelica giù scese,
e scendere il pastor seco fece anche.
Pestò con sassi l'erba, indi la prese,
e succo ne cavò fra le man bianche;
ne la piaga n'infuse, e ne distese
e pel petto e pel ventre e fin a l'anche:
e fu di tal virtù questo liquore,
che stagnò il sangue, e gli tornò il vigore;

Angelica smontò da cavallo e fece scendere anche il pastore. Pestò l'erba con sassi e poi la
prese, ricavandone un succo con le mani bianche; la infuse nella ferita e la spalmò anche sul
petto, sul ventre e persino sui fianchi: e questo liquido fu di tale potere, che fermò il sangue e
a Medoro tornarono le forze.

25
e gli diè forza, che poté salire
sopra il cavallo che 'l pastor condusse.
Non però volse indi Medor partire
prima ch'in terra il suo signor non fusse.
E Cloridan col re fe' sepelire;
e poi dove a lei piacque si ridusse.
Ed ella per pietà ne l'umil case
del cortese pastor seco rimase.

Gli diede forza, al punto che Medoro poté salire sul cavallo portato dal pastore. Medoro però
non volle andarsene da lì prima di aver sepolto il suo re. Fece seppellire insieme a lui anche
Cloridano e poi accettò di seguire Angelica dove lei volesse. Lei per pietà di lui rimase
nell'umile dimora del pastore.

VERSO 25

-La scelta delle ultime righe è molto importante perché si prodiga molto per questo
sconosciuto che è umile senza calcolo e ciò rappresenta una novità nella vita di Angelica.
Questo cambiamento totale si concretizza nella scelta di rimanere nell’umile dimora del
pastore insieme a lui.

26
Né fin che nol tornasse in sanitade,
volea partir: così di lui fe' stima,
tanto se intenerì de la pietade
che n'ebbe, come in terra il vide prima.
Poi vistone i costumi e la beltade,
roder si sentì il cor d'ascosa lima;
roder si sentì il core, e a poco a poco
tutto infiammato d'amoroso fuoco.

E non voleva partire prima che lui guarisse: così lo stimava e a tal punto la intenerì la pietà
che sentiva per lui, da quando lo aveva visto a terra. Poi, dopo aver visto gli atteggiamenti e la
bellezza di Medoro, sentì il cuore consumato da una lima nascosta; sentì il cuore consumato e,
poco a poco, acceso tutto dal fuoco della passione.

VERSO 26

- Rodersi sentì il core -- anafora formulare , ripetizione enfatica

- Tutto quello che accade è irrazionale e Angelica nulla ha potuto da quando è stata
colpita da Amore.

27
Stava il pastore in assai buona e bella
stanza, nel bosco infra duo monti piatta,
con la moglie e coi figli; ed avea quella
tutta di nuovo e poco inanzi fatta.
Quivi a Medoro fu per la donzella
la piaga in breve a sanità ritratta:
ma in minor tempo si sentì maggiore
piaga di questa avere ella nel core.

Il pastore abitava in una bella fattoria, stretta nel bosco tra due monti, con la moglie e i figli; e
aveva costruito quella casa nuova da poco tempo. Qui la ferita di Medoro fu in poco tempo
guarita dalla fanciulla, ma lei in un tempo più breve sentì di avere una ferita più profonda di
quella di lui nel cuore.

28
Assai più larga piaga e più profonda
nel cor sentì da non veduto strale,
che da' begli occhi e da la testa bionda
di Medoro aventò l'Arcier c'ha l'ale.
Arder si sente, e sempre il fuoco abonda;
e più cura l'altrui che 'l proprio male:
di sé non cura, e non è ad altro intenta,

ch'a risanar chi lei fere e tormenta.

Angelica sentì nel cuore una piaga assai più larga e più profonda causata da una freccia
invisibile, che l'arciere alato [Amore] le scagliò attraverso i begli occhi e la testa bionda di
Medoro. Lei si sente bruciare e il fuoco è sempre vivo: e si cura più del male del giovane che
del proprio: non si cura di se stessa e non è attenta ad altro ne non a curare chi la ferisce e la
tormenta [d'amore]

VERSO 28

- Motivo certamente classico che poi si è riversato anche nella poesia stilnovista, gli occhi come
la causa dell’innamoramento mezzo attraverso cui si manifesta Amore.

- Parallelismo tra ferita di guerra e d’amore. Qui ritorna un motivo classico della poesia
elegiaca di cui Ovidio è il massimo esponente, il quale parlava della militia amoris cioè della
guerra d’amore. Vi era il soldato che combatteva in guerra per difendere Roma e chi
rinunciava a prendere parte attivamente alla vita politica per dedicarsi alla guerra d’amore,
alla conquista della donna amata che era una donna che non ricambiava l’amore del poeta il
quale era disperato davanti alla porta della donna amata (παρακλαυσίθυρον), il quale veniva
svolto anche dopo i simposi.

29
La sua piaga più s'apre e più incrudisce,
quanto più l'altra si ristringe e salda.
Il giovine si sana: ella languisce
di nuova febbre, or agghiacciata, or calda.
Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce:
la misera si strugge, come falda
strugger di nieve intempestiva suole,
ch'in loco aprico abbia scoperta il sole.

La sua ferita si apre e si aggrava tanto più l'altra guarisce e si cicatrizza. Il giovane guarisce,
lei soffre per una nuova febbre, ora fredda, ora accaldata. In lui la bellezza rifiorisce di giorno
in giorno: la povera Angelica si strugge, come la neve fuori stagione si scioglie quando il sole
l'abbia sorpresa in un luogo aperto.

30
Se di disio non vuol morir, bisogna
che senza indugio ella se stessa aiti:
e ben le par che di quel ch'essa agogna,
non sia tempo aspettar ch'altri la 'nviti.
Dunque, rotto ogni freno di vergogna,
la lingua ebbe non men che gli occhi arditi:
e di quel colpo domandò mercede,
che, forse non sapendo, esso le diede.
Se non vuole morire di desiderio, bisogna che aiuti se stessa senza esitare; e le sembra che
non debba aspettare che lui la inviti a godere di quello che lei desidera. Dunque, abbandonata
ogni resistenza, ebbe la lingua ardita non meno degli occhi: e chiese a Medoro pietà di quella
ferita [amorosa] che lui, forse senza saperlo, le aveva inferta.

31
O conte Orlando, o re di Circassia,
vostra inclita virtù, dite, che giova?
Vostro alto onor dite in che prezzo sia,
o che mercé vostro servir ritruova.
Mostratemi una sola cortesia
che mai costei v'usasse, o vecchia o nuova,
per ricompensa e guidardone e merto
di quanto avete già per lei sofferto.

O conte Orlando, o re di Circassia [Sacripante], ditemi, a cosa serve la vostra nobile virtù?
Ditemi qual è il valore del vostro alto onore, o che ricompensa ottiene il vostro servizio ad
Angelica. Mostratemi un solo atto cortese che costei vi abbia mai usato, o in passato o più di
recente, come compenso o riconoscimento di quanto avete sofferto per lei.

Verso 31

- Pathos interrotto dall’intervento violento dell’Ariosto ironico che si rivolge ai paladini


di Francia. Li prende in giro

32
Oh se potessi ritornar mai vivo,
quanto ti parria duro, o re Agricane!
che già mostrò costei sì averti a schivo
con repulse crudeli ed inumane.
O Ferraù, o mille altri ch'io non scrivo,
ch'avete fatto mille pruove vane
per questa ingrata, quanto aspro vi fôra,
s'a costu' in braccio voi la vedesse ora!

Oh, se tu potessi tornare in vita, o re Agricane, quanto tutto ciò ti sembrerebbe crudele! Infatti
costei mostrò di non volerti, con un rifiuto crudele e insensibile. O Ferraù, o mille altri che non
cito, che avete compiuto mille imprese inutili per questa donna ingrata, quanto sarebbe duro
per voi sopportare la vista di lei in braccio a costui [Medoro]!

33
Angelica a Medor la prima rosa
coglier lasciò, non ancor tocca inante:
né persona fu mai sì aventurosa,
ch'in quel giardin potesse por le piante.
Per adombrar, per onestar la cosa,
si celebrò con cerimonie sante
il matrimonio, ch'auspice ebbe Amore,
e pronuba la moglie del pastore.

Angelica lasciò che Medoro cogliesse la sua prima rosa [la verginità], non ancora toccata da
nessuno: e nessuno era stato così fortunato da potersi avventurare in quel giardino [da aver
potuto sfiorarla]. Per coprire e rendere legittima la cosa, si celebrò un matrimonio con una
santa cerimonia, che ebbe come auspice (sacerdote) l'Amore e come testimone la moglie del
pastore
Verso 33

- Metafora del giardino e della rosa per indicare la verginità

34
Fersi le nozze sotto all'umil tetto
le più solenni che vi potean farsi;
e più d'un mese poi stero a diletto
i duo tranquilli amanti a ricrearsi.
Più lunge non vedea del giovinetto
la donna, né di lui potea saziarsi;
né, per mai sempre pendergli dal collo,
il suo disir sentia di lui satollo.

Le nozze furono celebrate sotto l'umile tetto e furono le più solenni possibile; e poi i due
tranquilli amanti rimasero lì più di un mese piacevolmente a dilettarsi. La donna non vedeva
più in là del giovane e non riusciva a saziarsi di lui: e non sentiva soddisfatto il suo desiderio di
lui, anche se era sempre abbracciata al suo collo.

35
Se stava all'ombra o se del tetto usciva,
avea dì e notte il bel giovine a lato:
matino e sera or questa or quella riva
cercando andava, o qualche verde prato:
nel mezzo giorno un antro li copriva,
forse non men di quel commodo e grato,
ch'ebber, fuggendo l'acque, Enea e Dido,
de' lor secreti testimonio fido.

Se Angelica stava in casa oppure ne usciva, aveva giorno e notte il bel giovane al suo fianco:
mattina e sera lei andava cercando un fiume, o qualche verde prato: nel pomeriggio si
riparavano in una grotta, forse non meno comoda e gradita di quella che Enea e Didone
ebbero fuggendo il temporale, fidata testimone dei loro segreti.

Verso 35

- Qui c’è un’evidente allusione alla storia d’amore tra Enea e Didone descritta da Virgilio nel
quarto libro dell’Eneide. Ed è evidente la volontà di Ariosto di inserire un elemento classico
nella cornice medievale

36
Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto
vedesse ombrare o fonte o rivo puro,
v'avea spillo o coltel subito fitto;
così, se v'era alcun sasso men duro:
ed era fuori in mille luoghi scritto,
e così in casa in altritanti il muro,
Angelica e Medoro, in vari modi
legati insieme di diversi nodi.

Fra tanti piaceri, ovunque Angelica vedesse un albero dritto che faceva ombra a un puro
ruscello o a una fonte, lo incideva subito con uno spillone o un coltello; così faceva anche se
c'era un sasso morbido: e lì intorno erano scritti in mille posti i nomi di Angelica e Medoro e in
altrettanti posti il muro in casa, legati insieme da diversi nodi.
37
Poi che le parve aver fatto soggiorno
quivi più ch'a bastanza, fe' disegno
di fare in India del Catai ritorno,
e Medor coronar del suo bel regno.
Portava al braccio un cerchio d'oro, adorno
di ricche gemme, in testimonio e segno
del ben che 'l conte Orlando le volea;
e portato gran tempo ve l'avea.

Quando ad Angelica sembrò di aver soggiornato abbastanza tempo in quei luoghi, decise di
tornare in India, nel Catai, e di rendere Medoro sovrano del suo bel regno. Lei portava al
braccio un bracciale d'oro, ornato di ricche gemme, come testimonianza e segno dell'amore
che il conte Orlando provava per lei; e lo portava ormai da parecchio tempo.

Verso 37

- Intromissione di un’oggetto, donatogli da Orlando

38
Quel donò già Morgana a Ziliante,
nel tempo che nel lago ascoso il tenne;
ed esso, poi ch'al padre Monodante,
per opra e per virtù d'Orlando venne,
lo diede a Orlando: Orlando ch'era amante,
di porsi al braccio il cerchio d'or sostenne,
avendo disegnato di donarlo
alla regina sua di ch'io vi parlo.

Un tempo Morgana donò tale bracciale a Ziliante, nel tempo in cui lo tenne nascosto nel lago;
e dopo che Morgana era tornata al padre Monodante per opera e valore di Orlando, diede il
bracciale al paladino: Orlando, che amava Angelica, accettò di tenerlo al braccio, avendo
deciso di donarlo alla sua regina di cui ora vi parlo.

Verso 38

- Il primi due versi si riferiscono al fatto che Ziliante era stato trasformato in drago da Morgana
con un incantesimo ma Ziliante morì e ci tenne a seppellirlo nel lago. Passaggio bracciale:
MorganaZilianteMonodanteOrlandoAngelica.

39
Non per amor del paladino, quanto
perch'era ricco e d'artificio egregio,
caro avuto l'avea la donna tanto,
che più non si può aver cosa di pregio.
Se lo serbò ne l'Isola del pianto,
non so già dirvi con che privilegio,
là dove esposta al marin mostro nuda
fu da la gente inospitale e cruda.

La donna l'aveva avuto caro non per amore del paladino, ma perché era prezioso e di egregia
fattura, al punto che non si può avere più cura di un oggetto pregiato. Lei lo conservò nell'isola
di Ebuda, non saprei dirvi per quale privilegio, là dove venne esposta nuda al mostro marino
[l'orca] dalla gente crudele e inospitale.

Verso 39
- Riferimento ad un episodio narrato nell’Orlando innamorato, in cui Angelica venne rapita dai
corsari e destinata ad un orca ma riuscì a fuggire grazie a Ruggiero.

40
Quivi non si trovando altra mercede
ch'al buon pastor ed alla moglie dessi,
che serviti gli avea con sì gran fede
dal dì che nel suo albergo si fur messi,
levò dal braccio il cerchio e gli lo diede,
e volse per suo amor che lo tenessi.
Indi saliron verso la montagna
che divide la Francia da la Spagna.

Qui, non trovando altra ricompensa da offrire al buon pastore e alla moglie, che li avevano
serviti con tale fedeltà dal giorno in cui trovarono ospitalità in casa loro, si tolse il bracciale e
glielo donò, e volle che lo tenesse per amor suo. Poi salirono verso le montagne che dividono
Francia e Spagna [i Pirenei].

41
Dentro a Valenza o dentro a Barcellona
per qualche giorno avea pensato porsi,
fin che accadesse alcuna nave buona
che per Levante apparecchiasse a sciorsi.
Videro il mar scoprir sotto a Girona
ne lo smontar giù dei montani dorsi;
e costeggiando a man sinistra il lito,
a Barcellona andar pel camin trito.

Angelica aveva pensato di soggiornare qualche giorno a Valenza o a Barcellona, finché


arrivasse una nave pronta a salpare per l'Oriente. Mentre scendevano dalle montagne videro
aprirsi il mare sotto a Girona; e costeggiando la costa a sinistra, andarono verso Barcellona
lungo il cammino consueto.

42
Ma non vi giunser prima, ch'un uom pazzo
giacer trovato in su l'estreme arene,
che, come porco, di loto e di guazzo
tutto era brutto e volto e petto e schene.
Costui si scagliò lor come cagnazzo
ch'assalir forestier subito viene;
e diè lor noia, e fu per far lor scorno.
Ma di Marfisa a ricontarvi torno.

Ma non vi arrivarono prima di trovare un uomo pazzo, sdraiato sulla spiaggia e che, simile a
un maiale, era tutto sporco di fango e acqua sudicia, sul volto, sul petto e sulla schiena. Costui
si scagliò contro di loro come un cane arrabbiato che assale subito uno straniero; e diede loro
fastidio e fu sul punto di danneggiarli. Ma ora riprendo a raccontarvi di Marfisa.

Verso 42

- Ariosto ci fa immergere nella situazione e sul punto di scoprire il seguito, ci distoglie da


questa situazione. Questo è un esempio tipico di entrelacemont, portare avanti un filo
narrativo, interromperlo bruscamente per poi riprenderlo in seguito. Ciò crea un’effetto di
suspance. Il tempo va dal passato al presente.

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