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Capitolo 2

L'istituto del matrimonio nel diritto islamico

2.1 Il matrimonio musulmano, natura giuridica e tratti distintivi

Il diritto musulmano classico riconosce e tutela soltanto la famiglia legittima,

fondata sulla discendenza maschile, avente carattere patriarcale e basata sul vincolo

di sangue, detto nasab, in ragione del quale l'uomo gode di una posizione di assoluta

preminenza1, tanto nei confronti della moglie, quanto rispetto ai figli.

Base della famiglia musulmana è l'istituto del matrimonio, il nikah, la cui funzione

principale si sostanzia nella legalizzazione dei rapporti sessuali e nella continuazione

della specie.

Il matrimonio musulmano ha carattere poligamico di tipo monandrico poliginico,

all'uomo è permesso di essere sposato validamente con fino ad un massimo di

quattro donne, ma soltanto a condizione che possa trattarle tutte allo stesso modo

ed assicurare a ognuna dignitose condizioni di vita.

Pur ammettendo la poliginia, è lo stesso Corano 2 a sconsigliarla in quanto

riconosce l'impossibilità di concedere a tutte le mogli un uguale trattamento 3.

1 Corano II,228.
2 Corano IV, 3.
3 Corano IV, 129.

1
Il matrimonio musulmano non ha carattere sacramentale 4, ma piuttosto ha la

funzione di regolare, attraverso un contratto, il fenomeno naturale dell'unione tra

l'uomo e la donna, dando a tale unione stabilità al fine di formare la famiglia legittima,

che costituisce il fondamento ed il nucleo centrale di una società solida e duratura.

L'Islam incoraggia fortemente il matrimonio 5, non c'è spazio per il celibato o per il

monachesimo, come avviene invece per le suore e i sacerdoti cattolici romani, fu lo

stesso Profeta a dire : “Non vi è celibato nell'Islam”6.

Il matrimonio è allo stesso tempo dovere religioso e civile, soprattutto quando

l'uomo possiede i mezzi economici necessari a concluderlo ed anche qualora non

dovesse avere le risorse sufficienti a sposare una donna libera, è comunque esortato

a sposare una schiava7.

Il dovere di contrarre matrimonio è per il musulmano un precetto generico valido

come regola generale, ma non assoluta, in quanto il matrimonio in alcuni casi, anche

se molto limitati, può essere considerato proibito.

Occorre infatti ricordare come anche per il matrimonio, le scuole giuridiche

islamiche, abbiano applicato la quintuplice qualificazione sciaraitica degli atti umani,

valutando lo stesso, a seconda dei casi e delle circostanze, come atto obbligatorio,

raccomandato, lecito, riprovevole o addirittura vietato 8.

In ogni caso il matrimonio agisce come mezzo per regolare la sessualità, che non

può e non deve essere repressa, in quanto luogo dell’amore, della fecondità e

dell’accrescimento della comunità, ma deve essere controllata, così da impedire la

corruzione e gli eccessi sessuali, salvaguardando la serenità morale e spirituale

dell'essere umano.
4 G.Caputo, Introduzione al diritto islamico. Il matrimonio e la famiglia, Giappichelli, Torino,1990,p.81.
5 A. Bausani, Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, Milano, Rizzoli, 1988, p.256.
6 Corano XXIV, 32.
7 Cfr., Santillana, D., Istituzioni di Diritto Musulmano malikita con riguardo anche al sistema sciafiita,
I, Roma, Ipocan, 1938, p.199.
8 G. Vercellin, Tra veli e turbanti. Rituali sociali e vita privata nei mondi dell’islam, cit., p. 139.

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È vietata ogni forma di libertinaggio e di promiscuità sessuale, il Corano stabilisce

l'obbligo sia per l'uomo che per la donna di rimanere casti e puri fino al matrimonio,

poiché i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio e del concubinato 9 costituiscono

peccato/reato di zina, la cui pena può essere costituita dalla fustigazione, dall'esilio e

secondo alcune scuole di pensiero anche dalla lapidazione.

I dottori della legge musulmana non hanno formulato una definizione etica del

matrimonio, ma si sono limitati a metterne in evidenza la natura di contratto di

scambio, assimilabile per molti versi al negozio di compravendita.

Come vedremo nel dettaglio nel paragrafo successivo, le due principali prestazioni

ad essere scambiate con il matrimonio sono il pagamento di una somma, il mahar,

da parte dell'uomo ed il godimento fisico della donna, che costituisce la

controprestazione di quest'ultima.

Quanto detto fin'ora si riferisce alla elaborazione concettuale del matrimonio

propria del diritto musulmano cosiddetto “puro” 10.

Sussistono differenze più o meno profonde a seconda del tempo e dello spazio,

sia nella concezione che nella struttura del matrimonio musulmano, tali da rendere

difficile abbracciare con un'unica definizione un istituto che vanta una storia

plurisecolare ed un vastissimo ambito di applicazione.

Quello che interessa prendere in considerazione in questa sede, è il concetto di

matrimonio che rispecchia più da vicino il diritto musulmano classico, rappresentato

dall'idea esposta poc'anzi, del matrimonio come contratto.

9 Amir-Moezzi, M. A., Dizionario del Corano, a cura di Mohammad Ali Amir-Moezzi, edizione italiana a
cura di Ida Zilio-Grandi, Milano, Mondadori, 2007, p.656.
10 F. Castro, G. Vercellin, Introduzione allo studio delle istituzioni giuridiche dell'Islam classico,
dispensa disponibile presso la cooperativa Nuova Cultura, 2006, p. 41.

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2.2 Il matrimonio come contratto

Come già ricordato, nel diritto islamico tradizionale il matrimonio non ha

carattere sacramentale, ma è un mero contratto civile, nato dalla necessità di

regolare i rapporti tra i sessi assegnando carattere di liceità all'unione sessuale tra

l'uomo e la donna, tramite il pagamento di un corrispettivo 11.

La stessa parola nikah, che designa l'istituto matrimoniale, letteralmente si traduce

in “rapporti sessuali”, ed il matrimonio è considerato la condizione necessaria per

poter vivere il dono della sessualità all'interno della coppia con responsabilità e

consapevolezza verso se stessi, verso Dio e verso l'intera comunità musulmana 12.

Secondo il diritto sharaitico il matrimonio è un contratto formale che non necessita

per il suo perfezionamento né di riti religiosi, né della lettura del testo coranico 13.

Il contratto matrimoniale si caratterizza come contratto bilaterale di diritto, che fa

sorgere diritti e doveri diversi in capo ai coniugi 14.

La sua validità dipende sia dalla presenza degli elementi necessari all'esistenza di

qualsiasi contratto consensuale, quali soggetti, oggetto, formazione ed espressione

del consenso, sia dalla presenza di elementi peculiari del contratto matrimoniale,

vale a dire l'intervento di un curatore matrimoniale, e la presenza obbligatoria del

dono nuziale, il mahr o sadaq.

Proprio la presenza del mahr all'interno del contratto matrimoniale, ha fatto

propendere parte della dottrina musulmana ed occidentale, a classificare il

matrimonio come contratto di compravendita.

11 Matrimonio in Enciclopedia Italiana, Treccani, p. 576.


12 F. Castro, Diritto musulmano e dei paesi musulmani, cit., p. 3.
13 D. Santillana, Istituzioni, Vol. I, p. 168.
14 A. Finocchiaro, Il paradigma contrattuale nel matrimonio islamico. Cenni introduttivi modulistica ed
orizzonti interculturali, Bonfirraro Editore, Barrafranca, 2012.

4
Altra parte della dottrina ritiene invece che il contratto di matrimonio si differenzi da

quello di compravendita, al quale non è assimilabile per cause e scopi, poiché va a

creare innanzitutto un legame di sentimenti ed emozioni tra due persone e per

l'impronta religiosa che lo caratterizza rendendo tale vincolo qualcosa di ben più

profondo di una mera stipula di un accordo di scambio.

Riguardo la determinazione dei soggetti chiamati a prendere parte al contratto di

matrimonio, vi è divergenza tra le diverse scuole giuridiche in particolare circa il ruolo

della donna e la presenza del curatore matrimoniale.

Secondo la costruzione malikita sono soggetti del matrimonio lo sposo, la sposa

ed il curatore matrimoniale, secondo quella šafi‘ita invece, sono soggetti del

contratto solo l'uomo ed il curatore, poiché la donna non è considerata soggetto, ma

mero oggetto del contratto matrimoniale.

Lo sposo deve essere musulmano, in età pubere ed avere le necessarie capacità

fisiche e mentali a contrarre e consumare il matrimonio, deve inoltre essere in grado

di provvedere economicamente al mantenimento della moglie.

Nel diritto musulmano è fatto divieto di contrarre matrimonio all'uomo impotente a

generare, tanto è vero che l'impotenza dello sposo è considerata vizio redibitorio, che

permette alla donna di chiedere l'annullamento del matrimonio 15.

La sposa, deve possedere le stesse qualità dell'uomo, ma non deve essere

necessariamente musulmana, può anche appartenere ad un'altra delle religioni

rivelate, quindi può essere ebrea o cristiana 16, a condizione che sia una donna libera

e che si comporti come una moglie musulmana17.

15 D. Santillana, Istituzioni di Diritto Musulmano malikita con riguardo anche al sistema sciafiita,
Roma, Ipocan, 1938, p.199.
16 A. Bausani, Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, Milano, Rizzoli, 1988, p.75.
17 Corano V,5.

5
Per quanto riguarda la figura del curatore matrimoniale, il wali al-nikah, questa ha

origine in un antico istituto di epoca preislamica, la domanda di matrimonio, che si

rivolgeva all'agnato maschio più prossimo alla sposa.

Nel Corano non si fa un esplicito riferimento al wali, è nella Sunna che viene

sancito il principio secondo il quale la sua presenza è condizione necessaria per

concludere validamente il matrimonio.

La presenza del curatore mette in luce la diseguaglianza giuridica dei coniugi già

nella fase della stipulazione del contratto di matrimonio, se infatti il marito può

concluderlo personalmente, la moglie può farlo solo attraverso la figura del curatore

matrimoniale.

L'unico caso in cui non è necessaria la presenza del wali è quello del matrimonio

della donna non più vergine, in quanto la perdita della verginità rappresenta secondo

la tradizione, un momento di emancipazione 18 della donna, la quale da quel momento

gode di maggiore autonomia decisionale.

Solo la scuola di pensiero hanafita permette alla donna libera, pubere e sana di

mente di poter concludere direttamente il proprio matrimonio.

La rilevanza del curatore matrimoniale è dimostrata dal fatto che tale ruolo è

mantenuto nella quasi totalità dei codici di statuto personale dei paesi musulmani

moderni, gli unici stati ad aver formalmente abolito tale figura sono Somalia, Tunisia

ed Iraq.

I requisiti necessari per svolgere in modo valido la funzione di curatore

matrimoniale sono l'essere musulmano, maschio, in età pubere, sano di mente e di

buona reputazione, è considerato impedimento solo temporaneo a svolgere tale

funzione, il trovarsi in situazioni particolari come lo stato di purità rituale o l'essere in

pellegrinaggio.

18 G. Caputo, Introduzione al diritto islamico I, Torino, Giappichelli, 1990, p.67.

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Il curatore matrimoniale è generalmente il parente maschio più prossimo alla

donna, vi è però anche in questo caso divergenza di opinioni tra malikiti e šafi‘iti

circa l'ordine di chiamata degli agnati.

Secondo i malikiti la chiamata al ruolo di curatore avviene nel seguente ordine:

figlio della donna, padre, fratello germano, fratello consanguineo, figlio del fratello

germano, figlio del fratello consanguineo, avo paterno ed infine gli altri agnati maschi

secondo l'ordine di chiamata alla successione legittima 19.

In mancanza di un qualsiasi agnato, la funzione di curatore viene svolta dal

giudice in veste di rappresentante della comunità musulmana, per impossibilità del

giudice tale funzione può essere svolta da un vicino musulmano, in base al vincolo di

appartenenza che lega tutti i membri della comunità musulmana.

Per la scuola shafi'ita sono esclusi dalla funzione di curatore matrimoniale il figlio e

qualsiasi altro discendente, l'ordine di chiamata per ricoprire il ruolo è: padre, nonno,

bisnonno, fratello germano, fratello consanguineo, figlio del fratello germano, figlio

del fratello consanguineo, zio paterno, figlio dello zio paterno, patrono nel caso della

liberta ed in ultimo autorità giudiziale.

Riguardo l'altro elemento essenziale del contratto matrimoniale, ovvero l'oggetto, è

diverso per i coniugi, per il marito è costituito dai diritti che acquisisce in virtù del

matrimonio sulla moglie, vale a dire l'autorità o potestà maritale, il diritto di poter

avere con lei in modo lecito rapporti sessuali e la potestà legale sui figli, per la moglie

l'oggetto è invece rappresentato dal diritto al mantenimento economico, dal diritto di

custodia sui figli e dal pagamento da parte del marito di un dono nuziale, ovvero la

dote.

19 F. Castro, G. Vercellin, Introduzione allo studio delle istituzioni giuridiche dell'Islam classico,
dispensa disponibile presso la cooperativa Nuova Cultura, 2006, p. 43

7
L'istituto della dote, indicato con i termini arabi maḥr o ṣadāq, esisteva già in

epoca preislamica, con la differenza che consisteva in un dono fatto dallo sposo non

alla sposa personalmente, ma alla sua famiglia, con la concreta possibilità che la

sposa ricevesse nulla o una minima parte dello stesso.

Successivamente il mahr rimase nel diritto della Shari'ah, subendo però un

sostanziale cambiamento, poiché venne stabilito che esso dovesse spettare

interamente alla donna20, con la funzione di sostentarla nel caso di morte del marito o

di ripudio.

Il versamento del dono nuziale è un elemento essenziale del contratto di

matrimonio che incombe sempre sul marito ed in quanto connesso con il concetto di

corrispettivo è stato spesso assimilato al prezzo del contratto di compravendita, ma il

matrimonio musulmano non è un vero e proprio contratto di vendita, anche se con lo

stesso presenta alcune analogie21.

Con il pagamento del mahr il marito non acquista la persona o i beni della moglie,

ma acquista l'‘iṣmah, letteralmente “vincolo, autorità, potestà”, che consiste

nell'autorità e potestà maritale che esercita sulla donna, e la potestà legale sui figli

minori.

Se la donna possiede la necessaria capacità il mahr è pagato a lei direttamente, in

genere una metà all'atto della stipulazione del contratto matrimoniale e l'altra metà in

un termine successivo che po' essere anche molto lontano 22.

Sulla natura del dono nuziale, non occorre che consista necessariamente in

denaro, oro o argento, ma può trattarsi di ogni cosa determinata, che abbia utilità,

valore economico e che possa essere venduta.

20 Corano An-Nisa' 4,4.


21 Al-Buhari, Detti e fatti del Profeta dell'islam, UTET Università, 2003.
22 A. Cilardo (a cura di), Due sistemi a confronto. La famiglia nell’islam e nel diritto canonico, Cedam,
Padova, 2009, p. 35.

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Il mahr costituisce una garanzia per la donna che va in sposa, rappresentando il

simbolo della serietà delle intenzioni dello sposo ed avendo la funzione di tutelare i

suoi interessi, in quanto costituisce il suo patrimonio personale, indisponibile per il

marito, del quale è considerato peccato richiederne la restituzione e di cui ella può

godere e disporre liberamente nel corso del matrimonio, anche con atto di vendita,

donazione o pegno.

L’ammontare del mahr viene fissato nel contratto di matrimonio, ma una questione

molto dibattuta, anche perché non è affrontata chiaramente nel Corano, è quella

relativa alla determinazione di tale ammontare.

Secondo quanto riportato in un versetto Coranico che recita : ”Se volete cambiare

una sposa (…) non riprendetevi nulla, anche se avete dato un qîntar d’oro (...)”23

l'opinione prevalente nelle diverse scuole giuridiche è quella che non si può fissare

un limite massimo alla dote nuziale, anche se è consigliato alla donna di non

eccedere nella richiesta di un donativo troppo alto.

Riguardo il limite minimo, è invece opinione comune che il mahr debba essere

determinato tenendo conto della posizione sociale e delle qualità della sposa.

Altro elemento essenziale per il sorgere del nikah, come previsto per altre forme

contrattuali, è la volontà delle parti.

Mentre è opinione concorde la necessaria manifestazione di volontà dello sposo e

del curatore matrimoniale, altrettanto non avviene riguardo la volontà della donna.

Come già visto in precedenza, per la scuola malikita la donna è soggetto del

contratto matrimoniale e pertanto la sua volontà è elemento essenziale del negozio,

per la scuola shafita che invece considera la donna semplice oggetto del contratto la

manifestazione del suo consenso non è necessaria.

23 Corano IV, 20.

9
La volontà dei soggetti del matrimonio deve formarsi liberamente, senza che vi sia

stata violenza o costrizione fisica o morale, e deve essere esente da vizi inerenti i

promessi sposi e le loro qualità.

In presenza di vizi della volontà, il contratto può ritenersi invalido da un punto di

vista sostanziale e può essere rescisso.

Il consenso va scambiato senza che siano richieste forme solenni, secondo lo

schema generale dei negozi consensuali, che prevede un'offerta, fatta dallo sposo o

dal suo rappresentante ed un'accettazione, al fine di evitare ogni dubbio circa la

manifestazione della volontà, sia i promessi sposi che il curatore, devono usare

espressioni chiare e non ambigue24.

Benché sia ammessa la possibilità che intercorra un certo intervallo di tempo tra

l'offerta e l'accettazione, lo scambio dei consensi deve avvenire sempre tra presenti,

non essendo ammesso il matrimonio tra assenti.

Per la donna, è ritenuto mezzo sufficiente ad esprimere la sua volontà anche il

silenzio che vale come una tacita accettazione, salvo casi particolari, quali ad

esempio se è già stata sposata, se non e più vergine o se è emancipata, in cui è

sempre necessario il consenso esplicito.

Secondo la Legge sacra, una volta che il matrimonio si è perfezionato, sorgono

nei confronti dei coniugi vari obblighi e diritti, sia di natura personale che

patrimoniale.

Dal punto di vista dei rapporti personali, dal matrimonio scaturisce innanzitutto la

potestà maritale, un potere del marito sulla moglie fondato sul concetto di superiorità

naturale, che si esprime anche nel cosiddetto “diritto di correzione”25, che permette al

marito di punire fisicamente la moglie in caso di “mancanze” da parte della stessa.

24 D.Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita con riguardo anche al sistema sciafiita,
Volume I, Istituto per l'Oriente, 1938, p. 168.
25 Corano IV, 34.

10
A partire dalla consumazione del matrimonio, correlato al diritto di preminenza, di

godimento e di correzione, grava sul marito l'obbligo del mantenimento della moglie,

che deve essere commisurato alle sue disponibilità economiche e che si ritiene,

comprenda generalmente, l’alloggio il cibo ed il vestiario 26.

Come corrispettivo al mantenimento, la donna deve prestare obbedienza e

rispettare la potestà del marito, è tenuta ad abitare con lui, a seguirlo ovunque egli

voglia trasferire la dimora, non le è concesso di lavorare, così come le è fatto divieto

di uscire o di mostrarsi pubblicamente senza previo consenso del marito.

Dal punto di vista dei rapporti patrimoniali, tra i coniugi vige il regime della

separazione dei beni, sono dunque possibili fra di loro donazioni e compravendite e

la donna acquisisce in seguito alla consumazione piena capacità di gestire

autonomamente il proprio patrimonio.

I moderni legislatori musulmani hanno riconosciuto la possibilità di attenuare

convenzionalmente il dovere di obbedienza della moglie e l'esercizio della potestà

maritale attraverso l’apposizione di clausole o condizioni accessorie al contratto di

matrimonio, purché tali condizioni non siano vietate dalla Shari`a.

Tali clausole possono riguardare la possibilità per la moglie di svolgere una

professione o di partecipare alla vita pubblica, oppure l’impegno del marito a non

trasferire il domicilio coniugale dalla città d’origine.

La violazione di una condizione accessoria non produce lo scioglimento del

contratto, ma conferisce alla moglie un diritto al risarcimento dei danni.

Completa infine, la disciplina dei rapporti personali, il dovere di fedeltà.

Mentre per la donna è previsto l'obbligo di fedeltà assoluta nei confronti del marito,

manca un dovere di fedeltà in senso stretto in capo al marito.

26 A. Bausani, Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, Milano, Rizzoli, 1988, p.27

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2.3 Gli impedimenti al matrimonio

Secondo il diritto musulmano classico, per contrarre un matrimonio valido, occorre

che fra gli sposi non sussistano impedimenti, è considerato un atto deplorevole,

makruh, e vietato, harām, il matrimonio concluso tra i mahārim, ovvero persone che

non si possono sposare.

Gli impedimenti costituiscono secondo la legge islamica, causa di invalidità del

contratto e si distinguono in permanenti e temporanei.

Tra gli impedimenti permanenti, il diritto musulmano prevede innanzitutto il

cosiddetto impedimento “per natura”, infatti l'unico tipo di matrimonio lecito è quello

tra un uomo ed una donna, non essendo ammessa alcuna forma di matrimonio

omosessuale27.

Rientrano nella categoria degli ostacoli perpetui al matrimonio, anche quelli per

parentela, infatti secondo il Libro Sacro 28 è vietato il matrimonio contratto fra

ascendenti e discendenti di ogni grado, fra fratelli e sorelle, fra zii e nipoti, fra figlio

legittimo e spurio e sorella uterina.

Oltre la parentela di sangue, anche il legame nato dall'allattamento, la cosiddetta

parentela di latte, è considerato impedimento al matrimonio, è infatti proibito il

matrimonio fra colui che è stato allattato e la sua nutrice o certi suoi parenti o affini,

ma tale impedimento si estende anche a tutte le persone che nei primi due anni di

vita sono stati allattati dalla stessa nutrice, i cosiddetti “fratelli di latte” 29.

27 G. Vercellin, Tra veli e turbanti. Rituali sociali e vita privata nei mondi dell’islam, Marsilio, Venezia,
2000.
28 Corano IV, 23.
29 L. Blasi, Istituzioni di diritto musulmano, Casa Editrice S. Lapi, Città di Castello, 1914, p. 2.

12
L'allattamento crea una sorta di parentela artificiale, che ha ai fini dell'impedimento

al matrimonio, gli stessi effetti della parentela di sangue.

Come è stato tramandato dall'esegeta coranico Abdullah ibn 'Abbas fu il Profeta

stesso a dire : “Ciò che è proibito per il sangue è proibito anche per il latte 30”.

Impedimento al matrimonio, come riportato sia nel Corano 31 che nella Sunna, è

anche il vincolo di affinità, essendo vietato il matrimonio con la madre, la figlia, la

figliastra,la sorella, la nipote e la zia della propria moglie.

Non costituisce invece ostacolo alla validità del matrimonio il vincolo di adozione,

in quanto l'adozione nel diritto islamico è proibita e non crea nessun rapporto di

parentela.

Tra gli impedimenti a contrarre matrimonio cosiddetti temporanei, il primo è

rappresentato dalla differenza di culto.

È vietato, per regola indiscussa, il matrimonio fra musulmani ed idolatri, come è

vietato anche il matrimonio fra una donna musulmana ed un uomo ebreo o cristiano,

è invece tollerato, ma visto con sfavore, il matrimonio tra un uomo musulmano ed

una donna appartenente alle religioni del Libro, ebrea o cristiana.

Il divieto assoluto per la donna di sposare un non musulmano nasce dal timore

che il marito non musulmano possa avvalersi della sua autorità per indurre la moglie

credente ad abbandonare la fede islamica, così come possa pretendere che il figlio

segua la sua religione e di conseguenza non sia cresciuto secondo i dettami

dell’Islam.

L'impedimento per differenza di culto può essere superato con la conversione

dell'uomo all'Islam, o della donna idolatra ad una delle religioni Rivelate.

30 Abu Shuga, al-Taqrib, cit, I, 12a.


31 Corano IV,23.

13
Altro elemento di impedimento temporaneo, che assume valenza diversa, a

seconda che lo si consideri dal lato dell'uomo o dal lato della donna, è l'esistenza di

un precedente vincolo matrimoniale.

Per l'uomo è da considerarsi proibito solo il quinto matrimonio, essendogli

consentito il numero massimo di quattro mogli contemporaneamente, come anche gli

è vietato il matrimonio con una donna già sposata.

Non è possibile invece per la donna concludere un nuovo matrimonio se sussiste

un precedente valido vincolo matrimoniale, a meno che essa non sia stata ripudiata

dal precedente marito e che abbia rispettato il periodo di ritiro legale, l''idda,

successivo al ripudio32, in modo da impedire la possibile turbatio o confusio

sanguinis.

Il Corano33 stabilisce che l'uomo non può risposare la donna che ha ripudiato tre

volte, a meno che la stessa non sia passata a nuove nozze, abbia consumato e sia

stata ripudiata anche dall'altro uomo, il quale in rapporto alla funzione che assume

posteriormente prende il nome di muḥallil, ovvero “colui che rende lecito”34.

È invece vietato in modo perpetuo il matrimonio tra una donna e l'uomo che l'ha

ripudiata tramite il li‘ān, letteralmente “giuramento imprecatorio”, vale a dire la

procedura di anatema ripetuto cinque volte in base al quale l’uomo attesta davanti ad

un giudice che la moglie è un’adultera

Il diritto musulmano classico tende a preservare una certa equivalenza sociale,

per questo motivo è molto raro che una donna benestante sia data in sposa ad un

uomo che si trovi in una situazione economica precaria 35.

32 A. Bausani, Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, Milano, Rizzoli, 1988, p.26.


33 Corano II, 230.
34 G. Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano, Piccola Biblioteca Einaudi Ns, 2002.
35 L. Blasi, Istituzioni di diritto musulmano, cit., p. 21.

14
È vietato il matrimonio fra il padrone e la propria schiava, come anche quello fra il

padrone e la schiava del figlio o la padrona e lo schiavo del figlio.

Fra il padrone e la propria schiava non può essere contratto matrimonio, ma può

sussistere un rapporto di concubinato36, considerato dal diritto Islamico un rapporto di

fatto a carattere extragiuridico.

È invece ammesso, anche se visto con sfavore, il matrimonio di un uomo libero

con la schiava altrui, anzi in alcuni casi il Corano 37 considera questo legame

addirittura preferibile, ad esempio se si debba scegliere chi sposare tra una schiava

musulmana e una donna libera non musulmana, oppure nel caso in cui non si

abbiano i mezzi sufficienti per sposare una donna libera.

Sono considerati impedimenti temporanei a concludere matrimonio anche lo stato

di pellegrinaggio o il ritiro religioso poiché, in queste circostanze, è vietato

consumare rapporti sessuali38 e quindi si verrebbe meno ad uno degli obblighi

fondamentali del matrimonio.

Non è possibile contrarre matrimonio in caso di grave malattia, poiché si teme che

tali nozze possano essere un mezzo per perturbare l'ordine successorio.

Infine, secondo alcuni autori può costituire impedimento al matrimonio la

sussistenza tra gli sposi di eccessive differenze nelle caratteristiche fisiche, o nelle

qualità morali.

Il matrimonio che è stato concluso nonostante l'esistenza di un impedimento non

produce effetti, il giudice pronuncia il fash, ovvero una dichiarazione giudiziale di

inefficacia , con il quale ordina all'uomo e alla donna di separarsi.

36 Amir-Moezzi, M. A., Dizionario del Corano, edizione italiana a cura di Ida Zilio-Grandi, Milano,
Mondadori, 2007, p.500.
37 Corano II, 221.
38 A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano, Edizioni scientifiche italiane, 2002, pp.
262-263.

15
2.4 La prova del matrimonio

Dato il carattere consensuale del contratto di matrimonio, in linea generale si


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ritiene che lo stesso si perfezioni al momento dello scambio dei consensi .

Esistono tuttavia alcuni Paesi, in cui si ritiene che il contratto di matrimonio

produca i suoi effetti solo dal momento della consumazione, rispetto al quale lo

scambio dei consensi assume il valore di un atto preliminare, al pari di altre azioni

come l'invio di doni nuziali, la loro accettazione, ecc.

La consumazione del matrimonio assume valenza anche sotto altri aspetti, infatti

la sua prova può risultare decisiva nel caso in cui la donna abbia contratto due

matrimoni diversi, al fine di decidere quale dei due, il primo, debba essere

riconosciuto valido.

Inoltre se la donna viene ripudiata o diventa vedova prima che il matrimonio sia

stato consumato, non entra nel ritiro legale ed ha diritto solo alla metà del dono

nuziale, se invece è stato consumato ha diritto al suo intero ammontare.

In generale, sia la stipula del contratto di matrimonio che la sua consumazione

sono provate dalla presenza dei testimoni, il cui ruolo ha subito una certa evoluzione

storica.

Nei primi tempi del diritto islamico, in conformità con il diritto consuetudinario

preislamico, la presenza dei testimoni non era considerata elemento essenziale, né

condizione per la sua validità, in quanto la pubblicità dell'atto era già assicurata da

mezzi quali il banchetto nuziale o il trasferimento della sposa nel domicilio comune 40.

39 A. Cilardo e F. Mennillo, Due sistemi a confronto. La famiglia nell’Islam e nel diritto canonico,
Cedam, 2009, p. 20.
40 Ivi, pp. 52-53.

16
Successivamente, la presenza dei testimoni iniziò ad essere considerata

raccomandabile, allo scopo di dare pubblicità al contratto, ma non ancora

indispensabile per la perfezione dello stesso.

Da ultimo, le varie scuole giuridiche si sono espresse sulla questione della

obbligatorietà della presenza dei testimoni al fine di dare efficacia al negozio, anche

in considerazione della diversa posizione attribuita alla donna.

La teoria classica malikita raccomanda che alla cerimonia di matrimonio assistano

due testimoni, che per essere considerati idonei al ruolo devono essere maschi,

musulmani, liberi, in età pubere e sani di mente 41.

Secondo la scuola shafi'ita e hanbalita il contratto di matrimonio è valido solo se si

è costituito in presenza del tutore e di due testimoni, che quindi sono elementi

essenziali del contratto e non semplici mezzi di prova.

Per la scuola degli hanafiti, la testimonianza è condizione indispensabile per la

validità del contratto, è necessario che i testimoni siano due, ma non occorre che si

tratti di due uomini, in quanto tale funzione può essere svolta anche da un uomo

musulmano e due donne musulmane.

Non potrà invece mai essere data testimonianza da due donne soltanto 42.

Resta da chiedersi quale ruolo rivesta la testimonianza in collegamento alla

pubblica notorietà dell'atto.

La pubblicità del matrimonio riveste una importanza fondamentale ai fini della

validità in considerazione della sua natura di contratto privato, ma che secondo la

Sharì'ah deve sempre essere reso pubblico, in quanto è proprio la pubblicità a

distinguere l'unione legittima da quella non legittima.

41 F. Castro., Il Modello Islamico, a cura di Piccinelli G. M., Torino, Giappichelli, 2007, p.37.
42 A. Cilardo e F. Mennillo, Due sistemi a confronto. La famiglia nell’Islam e nel diritto canonico,
Cedam, 2009, pp 48-49

17
La testimonianza serve quindi innanzitutto a pubblicizzare l’unione, in modo tale

che la comunità ne sia al corrente e che non possano essere insinuati dubbi sul

carattere lecito del rapporto tra gli sposi .

Altra questione controversa è quella relativa all'utilizzo della prova scritta, per la

pubblicizzazione ufficiale delle nozze.

L'immensa letteratura giuridica islamica anche se si occupa dell'argomento in

numerosi trattati non ha elaborato una teoria generale della prova scritta.

Secondo il diritto musulmano classico, la prova documentale non può

assolutamente sostituirsi alla prova testimoniale, in quanto la sua sola funzione è

quella di costituire una fonte alla quale i testimoni possano attingere per rinfrescare

la propria memoria e per rimediare a proprie dimenticanze.

In accordo con quanto avveniva in epoca preislamica, anche tenendo conto del

fatto che la scrittura era conosciuta solo da un piccolo numero di persone 43, l'atto

registrato non ha nessun valore intrinseco, assumendo valore probatorio solo in

seguito alle testimonianze orali che ad esso sono aggiunte e che ne attestano la

veridicità.

Tuttavia, a partire dal XIX secolo d.C., alcuni paesi hanno riformato le regole

giuridiche relative alla prova, ammettendo di fatto lo scritto, quale mezzo di prova per

eccellenza, anche basandosi sulle parole del Corano a riguardo: “E i testimoni non

rifiutino quando sono chiamati. Non vi stanchi mettere per iscritto il debito (...) Questo

è piú giusto presso Allah, piú saldo per la testimonianza e piú efficace a evitarvi ogni

sospetto”44.

Nei sistemi giuridici moderni sempre più spesso la registrazione del contratto di

matrimonio presso il Tribunale è considerato atto necessario per la sua validità.

43 M. Morand, Ètudes de Droit Musulman Algérien, Typographie Adolphe Jourdan, Alger, 1910, p.
314.
44 Corano II, 282.

18
2.5 Pratiche matrimoniali consuetudinarie

Per la conclusione del matrimonio, l’unico atto considerato dalla legge islamica e

dalla parola di Dio come giuridicamente rilevante, è la stipulazione del contratto

matrimoniale.

Tutti i rituali che precedono o seguono il momento della conclusione del contratto,

non rientrano nei precetti divini, ma trovano la loro origine esclusivamente in pratiche

consuetudinarie.

Tali pratiche consuetudinarie che svolgono una funzione sociale importantissima,

assicurando insieme alla testimonianza, la pubblicità dell’atto, possono differire

anche in modo molto significativo a seconda dei territori presi in considerazione, ma

si possono comunque individuare alcuni momenti comuni alle diverse tradizioni 45.

Il primo rituale ad essere celebrato è il Salatul Ishtikara, letteralmente “chiedere la

guida di Allah”, una cerimonia nella quale l'Imam, su richiesta della famiglia degli

sposi, recita una preghiera rivolta ad Allah affinché accetti e benedica l'unione dei

promessi sposi, alla cerimonia partecipano anche i futuri sposi che attraverso la

preghiera chiedono a Dio di guidarli nel cammino che si accingono a percorrere.

Il rituale del Salatul Ishtikara segna l'annuncio ufficiale del futuro matrimonio alla

comunità.

Dopo l'Ishtikara, la madre dello sposo visita la casa della sposa portando in dono

frutti, profumi, dolci ed anche una moneta d'oro o d'argento avvolta in una sciarpa di

seta che lega intorno ai polsi della futura nuora, questo rituale, chiamato Imam

Zamin, rappresenta l'accettazione formale della sposa nella sua futura famiglia.

45 A. Finocchiaro, Il paradigma contrattuale nel matrimonio islamico. Bonfirraro, Barrafranca, 2012

19
La fase successiva è quella del Mangni, assimilabile ad una cerimonia di

fidanzamento, in cui amici intimi e parenti di entrambe le famiglie dopo aver

scambiato tra di loro doni di dolci, frutti, frutta secca, vestiti e talvolta anche denaro,

assistono allo scambio degli anelli tra gli sposi.

Questa cerimonia sigilla definitivamente l'intenzione del matrimonio tra le due

famiglie, si decide la data delle nozze e la sposa e lo sposo sono considerati

ufficialmente fidanzati agli occhi della società.

Uno o due giorni prima della data fissata per il Nikha, si svolge il rituale della

Manjha, durante il quale gli sposi, ognuno nelle rispettive case, indossano abiti gialli

e vengono ricoperti da un unguento a base di curcuma, legno di sandalo ed acqua di

rosa, la tradizione vuole che gli sposi da questo momento non lascino la casa fino al

giorno del matrimonio.

Per gli sposi non vi sono restrizioni particolari riguardo i colori da poter indossare

nel giorno del matrimonio ad eccezione del nero che viene considerato dalla

tradizione il colore associato al lutto.

L'abbigliamento della sposa questo regolato all'interno del Corano 46, dove è

stabilito che ella sia discretamente coperta e che le mani ed il suo viso siano visibili

in ogni momento allo sposo ed a tutti i presenti.

Il momento centrale di ogni matrimonio musulmano è rappresentato dalla

cerimonia del nikah che tradizionalmente è officiato dal Mawlawi, un dotto islamico

altamente qualificato.

Durante la cerimonia gli uomini e le donne sono seduti in due gruppi separati, le

donne prendono posto intorno alla sposa e gli uomini intorno allo sposo.

In questa fase lo sposo offre il dono nuziale alla sposa, generalmente una

quantità prestabilita di denaro, come corrispettivo per ottenere il suo consenso.

46 Corano VII, 26.

20
A questo punto iIl Mawlawi celebra il nikah leggendo alcuni versi del Corano e

recitando un sermone, successivamente rivolge alla sposa la domanda "Qubool

Hain? (Acconsenti?)” tre volte di seguito, alla quale la sposa deve rispondere

dicendo "Qubool Hain (Acconsento)” in tono assertivo e affermativo tutte e tre le

volte, quindi il Mawlawi ripete la procedura rivolgendosi allo sposo.

Durante questa fase, nota come Ijab-e-Qubool, gli sposi devono rimanere separati

gli uni dagli altri in modo che non possano vedersi.

Segue la fase della stipula del contratto vero e proprio, in cui devono essere

elencati tutti i doveri ed i diritti della sposa e dello sposo, così come previsto dal

Corano

A conclusione della cerimonia il Mawlawi recita alcuni passi del Corano 47

equivalenti ai voti matrimoniali, gli sposi non devono ripetere questi versi ma solo

ascoltarli, a questo punto di fronte gli sposi viene posto uno specchio e sopra di esso

è appoggiato il Libro Sacro, la coppia ha la possibilità di guardarsi per la prima volta

insieme dopo che il matrimonio è stato solennizzato.

Poco dopo la conclusione del matrimonio, la sposa in un momento di grande

emozione chiamato Rukhsat, saluta la sua famiglia, Il padre della sposa dà la mano

a suo marito, chiedendogli di proteggerla sempre.

Quando arriva nella nuova casa, riceve un caloroso benvenuto da parte della

suocera che procederà a poggiare sul suo capo il Corano per simboleggiare i doveri

di moglie a cui dovrà obbedire.

Successivamente alla conclusione del matrimonio viene organizzata una grande

festa, il Walimah, che segna la dichiarazione pubblica del matrimonio, si tratta

essenzialmente del banchetto nuziale, durante il quale gli sposi incontrano e

salutano tutti i membri delle loro famiglie in un'atmosfera di grande gioia e felicità.

47 Corano I, Sura Al-Fātiḥa.

21
A conclusione di tutti gli eventi che compongono un tradizionale matrimonio

musulmano, c'è la cerimona del Chauthi, questa prevede che la sposa quattro giorni

dopo il matrimonio, accompagnata dal suo nuovo marito, visiti la casa dei suoi

genitori dove vengono accolta con un sontuoso pranzo e con ricchi doni

beneauguranti48.

2.6 Rapporti tra genitori e figli

La filiazione, nasab, è il rapporto di sangue che lega tra loro persone che

discendono l'una dall'altra, sia in linea maschile, che in linea femminile.

Si tratta di una di quelle materie in cui la tradizione coranica e la legge della

Shari'ah è più ferrea, essendo essa considerata, insieme al matrimonio e alla

famiglia, tra i capisaldi sui quali si fonda e si regge l'intera società musulmana.

Il rapporto giuridico che lega genitori e figli si fonda necessariamente sulla

generazione biologica, in quanto il diritto musulmano, sulla base di quanto affermato

in due versetti coranici49, vieta espressamente l’istituto della adozione, tabanni.

L’attribuzione dello status genitoriale avviene in maniera diversa per la madre e

per il padre.

Infatti, la generazione biologica è considerata elemento necessario e sufficiente a

stabilire il rapporto tra la madre e il figlio, che le viene riconosciuto come naturale

conseguenza del parto, non è così per il padre, per il quale occorre che il figlio sia

stato concepito nell'ambito di un rapporto lecito.

48 A. Cilardo e F. Mennillo, Due sistemi a confronto. La famiglia nell’Islam e nel diritto canonico,
Cedam, 2009, pp 50-51.
49 Corano, Sura XXXIII, 4-5, 37-40.

22
Oltre al riconoscimento di paternità nell’ambito di un matrimonio valido, la

filiazione legittima può essere stabilita in vari modi: per via giudiziaria nel caso in cui

più persone rivendichino la paternità dello stesso fanciullo, sulla base della

testimonianza di due uomini o di un uomo e due donne, in seguito a rapporti sessuali

illegittimi, ma avuti in buona fede 50 ed infine, in base alla rivendicazione di paternità

del figlio avuto con una schiava.

Ai fini della attribuzione per presunzione della paternità assume un ruolo

fondamentale la consumazione del matrimonio, essa e di conseguenza la paternità,

è legalmente presunta quando i coniugi in età pubere ed idonei ad avere rapporti

sessuali, soggiornano da soli nel domicilio coniugale, o quando alle stesse condizioni

abbiano trascorso più di un anno nello stesso domicilio.

Come appare evidente, nel diritto musulmano si è figli solo a precise condizioni 51,

non esistendo la differenza tra figlio legittimo e figlio naturale.

Sono equiparati ai figli illegittimi quelli nati dal rapporto sessuale tra il padrone e la

propria schiava, ma da lui non riconosciuti o i nati da padre ignoto.

Le conseguenze del mancato riconoscimento di paternità sono così gravi, da

costituire marchio di infamia per il figlio illegittimo, che non partecipa alla

successione ereditaria del padre né degli altri parenti di lui ed è privato di quel

rapporto con gli agnati che garantisce all’individuo tutela e protezione.

Tali conseguenze nascono dalla dura condanna che nel Corano è rivolta alla

fornicazione52, considerata atto immorale, per la quale è prevista oltre la punizione

corporale anche l'impossibilità per l'uomo di trarre dalla stessa alcun profitto, ed in

particolare quello di avere una discendenza.


50 A. Cilardo, Il minore nel diritto islamico. Il nuovo istituto della kafala, in A. Cilardo (a cura di), La
tutela dei minori di cultura islamica nell’area mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e medici, E.S.I.,
Napoli, 2009, p. 225.
51 R. Aluffi Beck Peccoz, Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord-Africa, Edizioni della
Fondazione Giovanni Agnelli, 2004, p. 7.
52 Corano, XXIV, 2 “L’adultera e l’adultero sono puniti con cento colpi di frusta ciascuno”.

23
I giuristi musulmani si sono adoperati al fine di coniugare il rispetto dei principi

coranici in materia di filiazione con la volontà di evitare le conseguenze socialmente

più pregiudizievoli per la prole, attraverso regole operative in grado di mitigarne

l’efficacia, escludendo gli effetti più deleteri e permettendo nella quasi totalità dei casi

di far rientrare il bambino nella rete di parentela agnatizia.

Per la legittimità della filiazione, non occorre che il padre riconosca esplicitamente

la prole, ma è sufficiente che egli non la disconosca.

Partendo da una massima giuridica, secondo la quale “il figlio appartiene al letto”53

si sviluppa un sistema di presunzioni legali che attribuisce legalmente al marito il

figlio nato all'interno della coppia, dopo il termine minimo di gestazione, di sei mesi

o centottanta giorni dalla consumazione del matrimonio.

Tale riconoscimento per presunzione può avvenire anche se il parto avviene dopo

lo scioglimento del matrimonio, purché non sia ancora trascorso il termine massimo

della gestazione54.

Riguardo la determinazione del termine massimo della gravidanza le opinioni delle

diverse scuole giuridiche sono discordi, si va dai due anni riconosciuti dagli hanafiti,

ai quattro previsti dagli shafi’iti e hanbaliti fino ai sette anni indicati da alcuni giuristi

malikiti.

Alla base di tali singolari opinioni c’è la cosiddetta “teoria del feto dormiente”55

elaborata dalla scuola Malikita, in base alla quale nel periodo di gestazione il feto,

per un certo periodo anche molto lungo, vive di vita latente nel grembo della madre.

Durante questo periodo la donna non può essere accusata di zina, e la paternità del

feto è per presunzione del marito, anche fino a sette anni dopo la sua morte.

53 G. Caputo, Introduzione al diritto islamico, Torino, Giappichelli Editore, 1990, p. 119 ss.
54 L. Blasi, Istituzioni di diritto musulmano, Casa Editrice S. Lapi, Città di Castello, 1914, p. 29.
55 F. Castro, Diritto musulmano e dei paesi musulmani, cit., p. 11.

24
Tra gli obiettivi celati dietro la creazione di questa bizzarra teoria, la cui non

scientificità era ben nota già ai giuristi del passato, c’è quello di ridurre la portata

delle conseguenze dell'adulterio, come anche la volontà di tutelare i bambini,

limitando il numero di quelli abbandonati o lasciati a se stessi, permettendo anche ad

i figli nati al di fuori di un'unione coniugale, di essere inserito nella parentela

agnatizia, con la sicurezza e la protezione che ne deriva 56.

La filiazione oltre che per presunzione si può stabilire anche per riconoscimento o

per prova legale, in entrambi i casi da realizzarsi all'interno di un rapporto legittimo.

Può riconoscere un figlio solo l'uomo maggiorenne, sano di mente, che sia in

possesso delle condizioni fisiche e morali per esprimere la propria volontà e che

abbia un'età tale da rendere verosimile tale parentela 57.

Il riconoscimento è previsto nel caso del figlio partorito dalla schiava in seguito

all'unione con il proprio padrone, tale riconoscimento è necessario in quanto seppure

lecito il rapporto di concubinaggio, in mancanza di matrimonio il rapporto di sangue

non può essere stabilito per presunzione.

Il diritto musulmano classico prevede accanto al riconoscimento, la possibilità

della prova legale, cioè la testimonianza di paternità da parte di due soggetti adūl,

che devono essere in possesso di cinque caratteristiche per svolgere tale ruolo:

onorabilità, discernimento, conoscenza dei fatti, assenza di parentela con la persona

a favore della quale depongono ed infine mancanza di cause di inimicizia nei riguardi

della persona verso la quale testimoniano a sfavore.

Non esistono altre ipotesi al di fuori di queste in base alle quali si può essere

riconosciuto figlio legittimo.

56 R. Aluffi Beck Peccoz, Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord-Africa, p. 7 ss.
57 A. Cilardo, Il minore nel diritto islamico. Il nuovo istituto della kafala, cit., p. 227.

25
Tale regola è così radicata nel diritto musulmano, da non essere previsto l'istituto

dell'adozione, tabanni, che è formalmente proibito dal Corano 58, nonostante fosse

invece presente in epoca preislamica quando la persona adottata entrava a far parte

della famiglia dell'adottante, assumendone il cognome e venendo giuridicamente

equiparata ai figli naturali, lo stesso Maometto adottò uno schiavo prima che

l'adozione fosse proibita.

La ragione di tale divieto risiede nella concezione islamica della filiazione quale

espressione diretta della volontà di Dio, che non può essere costituita artificialmente

dall'uomo, è pertanto riconosciuta solo la filiazione collegata ad una modalità

generativa biologica59.

In epoca contemporanea, in molti ordinamenti statali dei Paesi islamici, a tutela dei

minori orfani o abbandonati è stato introdotto l'istituto della kafala, letteralmente

fideiussione, molto simile all'affido, anche se non vi è la totale corrispondenza fra i

due istituti.

L'istituto della kafala non cancella il legame che il minore ha con i suoi genitori

naturali, eventualità non ammessa dai principi dell'Islam, ma stabilisce un

affidamento, da parte di un tribunale preposto, del minore ad un altro soggetto

affidatario, il kafil, che si impegna a prendersene cura fino al raggiungimento della

maggiore età, quando la kafala si estingue automaticamente.

La kafala, non trovando fondamento né all'interno del Corano, né della Sunna, non

può essere considerata un istituto di diritto islamico, tuttavia costituisce oggi il

maggiore strumento a salvaguardia dei diritti dei minori che si trovano in situazioni di

difficoltà60.

58 Corano XXXIII, 4-5, 37-40.


59 J. Long, Adozione e islam. Gli ordinamenti giuridici occidentali e il divieto islamico di adozione, in
Studi urbinati di scienze giuridiche politiche ed economiche, 2/2004, p. 188.
60 A. Cilardo, Il minore nel diritto islamico. Il nuovo istituto della kafāla, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli 2011, pp. 219–263.

26
In ragione della sacralità riconosciuta alla filiazione, sono molto rare le ipotesi

previste nel diritto musulmano, per il disconoscimento del figlio 61.

In linea generale non è permesso all'uomo negare la paternità ad un figlio che sa

per certo essere suo né può disconoscerlo per semplici dubbi o insinuazioni.

Per poter revocare il riconoscimento è necessario che sussistano forti sospetti che

il figlio sia nato da una relazione adulterina della moglie, solo in questo caso potrà

rivolgersi al quadi, il giudice islamico, così da compiere il “giuramento imprecatorio”62,

al termine del quale il matrimonio si ritiene sciolto e il figlio diventa appartenente alla

sola madre e alla sua famiglia, della quale prenderà il cognome 63.

Quali ne siano le modalità, il riconoscimento comporta l'inserimento del figlio

all'interno della famiglia paterna, la persona riconosciuta diviene parente di sangue,

acquista il nome del padre ed è tenuto a seguire la sua religione.

La patria potestà sui figli minori è prerogativa esclusiva dell'uomo, tale potere di

norma spetta al padre o al parente maschio più prossimo, in mancanza, incombe sul

tutore testamentario, in nessun caso la potestà genitoriale può essere esercitata

dalla madre.

Tra i poteri derivanti dalla patria potestà nei confronti dei figli c'è innanzitutto quello

di dirigerne l’educazione, il diritto di esercitare la coazione matrimoniale, il potere di

gestire il patrimonio filiale64, ed anche se non previsto espressamente in nessuna

fonte, è ben radicata nella tradizione la possibilità per il padre di esercitare sui figli un

moderato potere di correzione, che può manifestarsi anche in percosse fisiche in

caso di disobbedienza.

61 A. Rahman Pasquini, Fondamenti della famiglia musulmana, Quaderni islamici, LVIII, Edizioni del
Calamo, Milano, 2009, p. 30.
62 Corano, Sura XXIV, 6-9.
63 R. Aluffi Beck Peccoz, Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord-Africa, p. 6
64 L. Blasi, Istituzioni di diritto musulmano, p. 33.

27
Corrispettivi a questi diritti, ci sono una serie di doveri a cui il padre musulmano è

tenuto, tra questi l'obbligo del mantenimento nei confronti dei figli e quello di

provvedere a garantirne un’adeguata formazione, in entrambi i casi il padre deve

riservare un trattamento uguale a tutti i figli, a prescindere dal sesso, con l'unica

differenza che nei confronti dei figli maschi tali obblighi perdurano fino al

raggiungimento della pubertà, per le figlie fino al momento della consumazione del

matrimonio.

Distinti dai diritti e dai conseguenti doveri che spettano al padre, ci sono quelli

della madre, tra i quali fondamentali sono il diritto di custodia, l'hadana, ed il

diritto/dovere di allattamento.

Anche in questo caso occorre sottolineare come la posizione della donna sia

subordinata a quella dell'uomo perché nell'esercitare il diritto di custodia, che si

esprime fondamentalmente nel diritto di cura e sorveglianza del figlio, la madre non

dovrà mai ostacolare il padre nelle sue funzioni che sono considerate prevalenti, ma

dovrà comunque sempre coadiuvarlo nel mantenimento e nella educazione dei figli.

L'allattamento costituisce per la madre allo stesso tempo un diritto ed un dovere,

che può ed è tenuta a rispettare, per il periodo massimo di due anni.

È lo stesso Corano a disciplinare l'allattamento e la sua durata 65, intendendo con

esso preservare la continuità tra il nutrimento che avviene nel grembo materno

tramite il “sangue” della madre e il nutrimento che avviene una volta nati, attraverso il

“sangue bianco66” ovvero il latte materno.

Qualora la madre fosse lecitamente impossibilitata ad allattare, sarà comunque

tenuta a pagare a proprie spese una nutrice che garantisca l'allattamento 67.

65 Cor XXXI, 14.


66 U. Shaikh - O. Ahmed, “Islam e alimentazione infantile”, in Breastfeeding Medicine, I, 3/200.
67 A. Cilardo e F. Mennillo, Due sistemi a confronto, Cedam, 2009, pp 39-48.

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A conclusione della descrizione delle dinamiche familiari proprie del diritto di

famiglia islamico, va ricordato che anche i figli hanno dei doveri etici e giuridici nei

confronti dei propri genitori.

Nella prima categoria rientra innanzitutto l'obbligo assoluto di rispetto ed

obbedienza che è imposto ai figli, tanto nei confronti del padre quanto della madre.

È considerato invece vero e proprio dovere giuridico per il figlio in grado di

lavorare e che sia abbiente, mantenere economicamente i genitori poveri o inabili al

lavoro.

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