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ABBIGLIAMENTO A ROMA

L’abito dei Romani (vestis) è simile a quello dei greci come stoffa e fattura. Il
costume più comune a Roma, la toga, è realizzata come il peplo greco, con la stoffa
lasciata ricadere in pieghe, ma tagliata in semicerchio per avvolgere meglio il corpo e
seguire la forma naturale.
Il modo di portare la toga dipende dai gusti e dalle mode; di solito la si fa passare
sotto l’ascella destra e si getta il lembo opposto sulla spalla sinistra, in modo che
questo braccio risulti coperto, mentre il destro deve rimanere ben visibile.
La toga era di stoffa pesante di lana bianca, tutta di un pezzo, tagliata in forma di
ellisse, perciò mettersela era un’operazione piuttosto complicata: era necessario
l’aiuto del vestiplicus, uno schiavo che ne disponeva le pieghe sin dalla sera prima.
C’era chi perdeva gran tempo ad accomodarsela e chi, come il poeta Orazio, non
arrivava mai a far sì che tornasse a modo.

La toga, fin dai tempi più antichi, è abito nazionale dei popoli latini.
Diventerà l’abbigliamento caratteristico dell’oratore e di chi esercita una professione
forense, obbligatoria nella sua più sontuosa fattura per le cerimonie ufficiali civili e
religiose.
Nella maggior parte dei casi la toga era pura, cioè senza ornamenti.
Praetexta si chiamava la toga ornata di una balza di porpora, abito dei fanciulli (la
toga, infatti, non si vestiva che a 17 anni), dei sommi magistrati e di alcuni sacerdoti;
toga picta quella indossata durante il trionfo.
Sotto la toga gli uomini indossano la tunica indossata in due strati: uno più sottile e
uno più spesso, portata anche come verste da casa. Come biancheria intima essi
portano il subligaculum, un semplice perizoma in lino annodato intorno alla vita.

D’inverno si indossano mantelli di vario tipo, molti dei quali riservati inizialmente ai
soldati e ai barbari: sagum, lucerna. I pantaloni (bracae) sono di origine barbara,
caratteristici in particolare dei popoli nordici.
La tunica è l’abito delle classi inferiori, da cui veniva indossato senza il rivestimento
della toga, come facevano invece i ceti più alti.
L’abbigliamento della matrona, pur abbastanza simile a quello maschile, prevede
vesti più leggere e colorate, ricche nell’ornamento. Si distinguono: la tunica, la stola,
che per la matrona è l’abito nazionale come la toga maschile, le sopravvesti.
Sulla pelle portavano una camicia (tunica interior), sotto o sopra la camicia una
fascia pectoralis per sostenere il petto.
La stola era un lungo vestito che scendeva fino ai piedi ed era stretto alla vita da una
cintura, ornata sul bordo inferiore da una larga banda. Come sopravveste per uscire in
pubblico, nei primi secoli dell’età repubblicana, usava la palla; usava un ventaglio di
piume di pavone (flabellum) e un ombrello per proteggersi dal sole (umbraculum).
L’ombrello e il ventaglio di solito erano portati dalla schiava che accompagnava la
padrona. La donna così vestita (matrona stolata) è riconosciuta come appartenente ad
alto rango sociale.
L’abbigliamento dei bambini è costituito dalla toga praetexta.
Gli schiavi non hanno un abbigliamento distintivo: è loro vietato indossare la toga,
mentre possono portare un semplice abito o una tunica corta.
A Roma vi era una grande varietà di calzature, che cambiavano a seconda della
moda. Il costume più diffuso imponeva la scarpa alta, tipo stivaletto ( calceus);i
sandali sono di origine greca, adottati a Roma a partire dall’età imperiale.

Tutti i tipi di calzature della popolazione romana possono essere così riassunte:
1 - Le ciabattine (socci). Si tratta di una semplice realizzazione con suola e pelle che i
romani usavano in casa. Questo tipo di scarpa era utilizzato anche dagli attori del
teatro.

2- Gli zoccoli (sculponea). Questa parola deriva dal verbo sculpere (intagliare,
scolpire il legno). La suola era realizzata in sughero o legno. Questo tipo di calzatura
era usata dai contadini e dagli schiavi. Son pervenuti da tombe etrusche degli zoccoli
di legno snodati al centro della pianta per mezzo di una cerniera.

3 - I sandali (solae o sandalia). Questi erano


tenuti fermi ai piedi mediante striscioline di
cuoio che partivano direttamente dalla suola
e che, infilandosi tra le dita, salivano sul
collo del piede, mentre nella parte
posteriore o sui fianchi queste striscie
(amenta - habenae - obstragula)
s'infilavano in anelli di cuoio che partivano dalla suola e proseguivano verso l'alto
dove erano fermate alle altre striscie in un collare di cuoio che scendeva dalla
caviglia. Tirando e legando queste striscie come fossero dei lacci stringevano e
avvicinavano il collare con la suola del sandalo, raccogliendo e tenendo fermo il
piede. Questo tipo di calzatura non era adatto nei periodi invernali ed era abbastanza
economico. Per le persone appartenenti ad un certo rango non era prestigioso uscire
in pubblico con i sandali. Essi, infatti, erano usati da gente che non poteva permettersi
altri tipi di scarpe più costose.

4 - La caliga. E' un sandalo militare molto robusto, con suola molto spessa munita di
grossi chiodi alla base. Occorre ricordare che i soldati romani erano sottoposti a
lunghe marce giornaliere, che facilitavano il logoramento delle scarpe. La parte
superiore di questa caliga aveva una realizzazione quasi simile al comune sandalo: le
striscie di cuoio erano per lo più larghe e più robuste.

Esistevano delle caligae che avevano la parte superiore chiusa, simile ad uno stivale
ed adatte per i periodi invernali o per quei militari che operavano in zone non
temperate (Nord Europa). Da sculture, disegni, mosaici e scritti, noi siamo abituati a
vedere il soldato romano con caligae tipo sandalo, con striscie di cuoio e, raramente
con i piedi divisi da calzature tipo stivale, perché, normalmente il soldato romano
operava in climi mediterranei e in periodi non invernali. Le ostilità belliche
iniziavano a marzo (il mese dedicato a Marte dio della guerra) e terminavano in
autunno inoltrato.

5 - Il pero. Si tratta di un tipo rozzo di calzatura costituito da pelle non conciata e


avvolta intorno al piede. Il pero era un tipo di scarpa utilizzata da gente povera.

6 - 1 calcei. Essi rappresentano la vera calzatura del cittadino romano che


accompagnava la toga in tutte le sue diversità sino all'abito nuziale.
Questo tipo di calzatura era di colore rosso per i patrizi e di colore nero per i senatori.
Era formata da cinque striscie di cuoio (corrigiae ) cucite tra loro, che, partivano
dalla suola (due posteriori, due laterali e una frontale a mo di lingua che era spesso
ornata da una fibbia d'avorio) e si portavano sino alle caviglie. Nel costume romano
non vi erano differenze sostanziali tra scarpe maschili e femminili ad eccezioni per
pelli più morbide, per queste ultime e talvolta per vivacità di colore (oro e rosso) e la
ricchezza di ornamenti o di preziosi (come perle, oro, argento, ecc..). Era ritenuto
disdicevole portare in casa le stesse calzature con cui si usciva; i calcei erano
sostituiti con i sandali che erano portati con sé, per esempio, quando si veniva invitati
in casa d'altri.

I materiali usati per la realizzazione di tutti questi tipi di calzature erano


sostanzialmente: cuoio conciato o meno, pelli con o senza il pelo, tessuti dai più
comuni ai più fregiati, tipo la seta, il legno, il sughero e chiodi piccoli, robusti con
testa pronunciata.

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