Sei sulla pagina 1di 50

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Triennale in Banca Finanza e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea Triennale

LA FINANZA COMPORTAMENTALE NELLA CONSULENZA


FINANZIARIA

Relatore Candidata

Prof. Luca Spataro Eleonora Favilla

Anno accademico 2019/2020

1
Indice

Introduzione………………………………………………………………………………..

Capitolo 1. L’evoluzione del pensiero economico…………………………………………

1.1 Il pensiero economico fino al XX secolo……………………………………………….


1.1.1 L’economia classica……………………………………………………………….
1.1.2 Il neoclassicismo e la psicologia…………………………………………………..
1.2 L’economia comportamentale…………………………………………………………..
1.2.1 Come nasce……………………………………………………………………….
1.2.2 La teoria del prospetto…………………………………………………………….

Capitolo 2. L’impatto della finanza comportamentale nella consulenza ………………….

2.1 La finanza comportamentale………………………………………………………….


2.2 Il ruolo del consulente finanziario……………………………………………………..
2.2.2 Il problema delle scelte…………………………………………………………..
2.3 Bias cognitivi…………………………………………………………………………..
2.3.3 Bias nella consulenza………………………………………………………………...

Capitolo 3. La psicologia nelle scelte di investimento…………………………………….

3.1 Le emozioni .…………………………………………………………………………..


3.2 Trappole mentali ……………………………………………………………………….
3.3 L’avversione alle perdite………………………………………………………………..

Conclusioni………………………………………………………………………………….

Bibliografia………………………………………………………………………………….

Sitografia…………………………………………………………………………………….

Ringraziamenti………………………………………………………………………………

2
Introduzione

L’economia comportamentale è una disciplina che studia i comportamenti economici

utilizzando nozioni di psicologia.

Questo approccio appare in forte contrasto con l’economia tradizionale, che vede le

persone come ottimizzatori perfetti e privi di emozioni.

Richard Thaler, economista statunitense conosciuto come uno dei padri fondatori

dell’economia comportamentale, ha dimostrato utilizzando sia teoria che dati, che la

psicologia influenza importanti decisioni individuali, quelle di risparmio, di investimento o

ad esempio le nostre scelte lavorative.

Ed ha dimostrato come influenzando le decisioni individuali, la psicologia umana influenzi

il funzionamento dei mercati ed anche le strategie di marketing seguite dalle imprese per

attrarre i consumatori.

Applicando queste idee ai mercati finanziari, Thaler ha dato vigore allo studio della finanza

comportamentale.

Che studia come i nostri investimenti finanziari e persino le crisi finanziarie possono essere

meglio compresi come prodotto della psicologia umana.

La finanza comportamentale studia i comportamenti degli individui di fronte a scelte di

investimento.

E’ un approccio innovativo e complementare a quello tradizionale che ci spiega come la

psicologia impatta sulle nostre decisioni finanziarie.

E’ un approccio descrittivo che parte dall’ipotesi secondo la quale gli individui non sono

soggetti perfettamente razionali ed onniscienti, ed i mercati non del tutto efficienti, in

3
quanto tali questa disciplina fornisce gli strumenti per risolvere i principali errori in cui

possiamo imbatterci.

Grazie ai lavori di Thaler e di altri economisti e psicologi, gli studi di economia

comportamentale sono oggi in forte crescita, questa ricerca sperabilmente continuerà ad

aiutare gli individui a prendere decisioni migliori, ed anche ai governi per prendere

decisioni pubbliche più efficaci.

Gli eventi verificatisi negli ultimi anni si sono dimostrati pericolosi e inaspettati testimoni.

Il comportamento umano sfugge ormai da quelli che sono i calcoli edonistici delle teorie

classiche, bensì si avvicina sempre di più a un complesso instabile e irrazionale di azioni.

In termini semplicistici, la questione è : a che cosa serve l’economia comportamentale e

che cosa può insegnarci ?

Una risposta approssimativa può essere la seguente : l’economia comportamentale può

servire a difendere gli individui da loro stessi, o meglio difenderli dalle interpretazione

errate circa i loro desideri.

In questo lavoro cercherò di analizzare vari aspetti riguardanti questa nuova disciplina, ma

in particolare parlerò di finanza comportamentale.

In particolare come questa nuova materia si presti per poter essere applicata in vari campi

economici, come ad esempio quello della consulenza finanziaria.

La buona psicologia in campo economico e finanziario può avere molte ricadute sul piano

della formazione di chi gestisce il risparmio e sul tipo di organizzazione e strutture in cui i

consulenti vanno inseriti.

Prima di parlare di quello che sarà il fulcro della tesi, ho ritenuto doveroso dedicare almeno

qualche paragrafo ripercorrendo quello che è stato il pensiero economico fino al XX

4
secolo, in particolare due delle scuole fondamentali, quella classica e quella neoclassica, le

quali hanno portato un contributo vitale alle teorie e al pensiero economico odierno.

Queste hanno rappresentato un apporto fondamentale per il concretizzarsi di nuove

discipline, come appunto l’economia e la finanza comportamentale.

Nei capitoli seguenti, inoltre, mi soffermerò principalmente sulla finanza comportamentale,

e vedremo come quest’ultima possa influenzare, e come questa sia di rilevante importanza

in moltissimi campi economici, uno di questi è appunto la consulenza finanziaria.

Ai giorni d’oggi la figura del consulente risponde alle più svariate esigenze da parte da un

cliente.

Risulta quindi essenziale una buona preparazione in campo economico, ma questa

sicuramente non basta.

Capitolo 1. L’evoluzione del pensiero economico

1.1 Il pensiero economico fino al XX secolo

Si ritiene convenzionalmente che l’economia, ma in particolare l’economia politica abbia

la sua ‘data di nascita’ nel 1776, anno di pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di

Adam Smith.

Smith chiaramente non è stato uno dei primi economisti a parlare di economia e sviluppare

teorie economiche poiché fin dall’antichità (Aristotele, Platone), sono state elaborate

riflessioni teoriche sui fatti economici (si pensi al Mercantilismo, alla Fisiocrazia).

Queste hanno subito mutevoli variazioni nel corso del tempo, soprattutto per quanto

riguarda l’approccio allo studio dei fatti economici.

5
Con l’affermarsi della scuola classica, gli economisti adottano una metodologia di studio

basata sulla convinzione che il fulcro della disciplina debba riguardare i meccanismi di

produzione e distribuzione della ricchezza.

Partendo dal presupposto che l’analisi condotta sia consapevole che la società è strutturata

in classi e che la dimensione storica, sociale e istituzionale non sia separabile dalla

dimensione propriamente economica.

Attraverso questo approccio, ciò che assume particolare rilevanza non è il comportamento

dei singoli agenti, quanto quello delle classi sociali prese nel loro insieme.

Altresì l’analisi marginalista sviluppata dalla scuola neoclassica, si fonda su una duplice

convinzione:

a) gli operatori economici effettuano le proprie scelte indipendentemente da

condizionamenti sociali e istituzionali.

b) le scelte sono razionali.

La razionalità neoclassica, anche definita razionalità strumentale è riconducibile all’idea

che ogni individuo massimizzi una data funzione-obiettivo, dati i costi (monetari e di

tempo).

Nel corso della storia del pensiero economico abbiamo avuto diverse interpretazioni

riguardanti il concetto di razionalità, ed è altresì importante vedere come queste

enunciazioni abbiano contribuito e tuttora contribuiscono a spiegare come e perché si

sviluppano le scelte individuali.

La razionalità strumentale è dunque definita sia come quel set di azioni e di comportamenti

che appagano al meglio gli obiettivi della persona, sia come quell’atto indirizzato a rendere

6
massima la soddisfazione ricavata dal raggiungimento di tali obiettivi, considerati come i

desideri che spingono l’individuo ad agire.

L’economia neoclassica come vedremo in seguito nei prossimi paragrafi, prenderà le

distanze dall’economia comportamentale, in particolare dai primi tentativi di inserire la

psicologia in campo economico.

I neoclassici ribadiscono che non intendono approfondire temi o ambiti dove non vi può

essere una certa osservabilità e misurabilità, mantenendo una certa distanza dalla

psicologia di tutti i tipi, dichiarando che l’economia dovrebbe fare riferimento a teorie e

metodi scientifici, rifiutando l’idea che l’introspezione psicologica sia un mezzo per fare

ciò. Contrariamente ,vedremo come in mezzo all’egemonia del pensiero neoclassico, si

affermerà questo approccio puramente psicologico.

1.1.1 L’economia classica

“Per quanto egoista lo si possa supporre, l’uomo ha evidentemente nella sua natura

alcuni principi che lo inducono a interessarsi alla sorte degli altri e che gli rendono

necessaria la loro felicità” (Adam Smith, “Teoria dei sentimenti morali”).

Adam Smith è uno dei più importanti precursori della scuola classica, nonostante le sue

teorie nascano in un periodo ancora lontano da quello che è il nostro modo di intendere

l’economia oggi. Su molti aspetti da lui trattati soprattutto nella sua opera “Teoria dei

sentimenti morali”, un testo che descrive il meccanismo dei comportamenti psicologici

individuali, sembra voler anticipare quelli che saranno gli studi successivi, da cui poi si

discosterà la scuola neoclassica, prendendo le distanze dalla psicologia con lo sviluppo del

concetto di homo oeconomicus.

7
Adam Smith è uno dei primi sostenitori del liberismo economico ed in particolare del

libero scambio delle merci.

Lo ricordiamo per uno dei contributi più importanti alla storia del pensiero economico, “La

teoria del mercato”.

Difatti il mercato, secondo l’economista, sarebbe in grado autonomamente di raggiungere

l’equilibrio nel modo migliore possibile, senza ricorrere ad alcun intervento pubblico

esterno.

Secondo Smith, ogni operatore economico agisce sul mercato mosso esclusivamente dal

proprio interesse individuale, ma l'influenza di domanda e offerta sui prezzi, e di questi

sulle decisioni degli operatori, agisce come una "mano invisibile" che genera un continuo

adeguamento tra produzione e domanda.

Da un certo punto di vista il contributo di Smith rivoluzionò la concezione economica del

700.

L’economia classica nasce alla fine del 1700 in un periodo di profondi cambiamenti

economici e politici: nell’epoca della rivoluzione industriale, periodo storico che

condizionerà il pensiero di questi economisti, i quali baseranno la propria analisi sulla

crescita e la libertà economica, valorizzate dal sistema capitalistico.

Gli studi economici classici sanciscono la nascita dell’economia moderna oggi

contemplata, e sussegue da un punto di vista cronologico al mercantilismo e alla

fisiocrazia.

La scuola classica è stata una delle prime a caratterizzarsi come una vera e propria dottrina

economica.

Gli economisti classici abbandonano temi quali il diritto, la filosofia e la morale.

8
Similmente a quanto affermato sinora per Smith, per gli economisti classici è necessario

che lo Stato non intervenga nelle decisioni economiche, questi economisti ritengono che lo

Stato debba esercitare la propria sovranità senza intervenire nelle questioni economiche,

quindi che si limiti ad esempio a: rimuovere gli ostacoli al libero scambio, assicurare la

difesa del territorio e la giustizia e occuparsi della gestione delle opere pubbliche.

È bene sottolineare che il sistema economico analizzato da Smith e dagli altri autori

classici si riferisce ad un mercato di concorrenza perfetta.

Gli economisti classici hanno ispirato pensieri economici attuali come la “Scuola

neoclassica” e la “Macroeconomia classica”.

Adam Smith è considerato il padre della scuola classica, ma è stato affiancato dalle idee e

teorie di altri economisti classici; come David Ricardo, Jean-Baptiste Say e Tomas Robert

Malthus.

Jean-Baptiste Say è considerato uno degli economisti smithiani, riprende le teorie di Smith,

pur differenziandosi sotto vari aspetti.

Say adotta un approccio scientifico alla teoria economica, secondo l’economista il sistema

economico si fonda su leggi naturali e comportamenti razionali, sostenendo il liberismo

economico.

Il sistema economico capitalistico tenderebbe automaticamente verso una situazione di

pieno impiego, in quanto l’offerta crea autonomamente la domanda di mercato.

In una tale situazione possono verificarsi recessioni, causate ad esempio dal crollo della

domanda, ma se queste si verificano si ritengono responsabili i fattori esterni, come ad

esempio una guerra.

9
Altro apporto fondamentale alle teorie economiche classiche, lo dobbiamo a David

Ricardo.

Lo ricordiamo per “Principi di economia politica e tassazione” che rappresenta uno

sviluppo dei temi affrontati nell’indagine sulla natura e nella causa della “Ricchezza delle

nazioni” di Smith.

Ricardo svolge le sue analisi partendo dal punto in cui si era interrotto Smith.

Nel complesso gran parte degli autori dell’economia classica sono oggi privi di idee utili

per capire come procedere al fine di risolvere la crisi o elaborare modelli economici, i più

si limitano a suggerire azioni circoscritte e parziali slegate dall’interconnessione dei

mercati. Questo è un altro degli elementi critici dell’economia classica che, a differenza di

altre discipline, rifiuta di accettare la condizione di incertezza che è in qualsiasi scelta e

nella assoluta imprevedibilità dei mercati in quanto Sistema Complesso , le cui

caratteristiche non possono essere previste ma solo “sperimentate” ovvero osservate dopo

che il sistema ha cambiato stato e si sono manifestate condizioni diverse dalle stesse

proprietà dei suoi componenti.

La scuola classica è stata nei vari anni oggetto di molte critiche da parte degli economisti,

soprattutto da parte dell’economista John Maynard Keynes (1883-1946), padre della

macroeconomia moderna e ispiratore del New Deal durante la crisi economica del 1929.

Keynes segue un approccio diverso rispetto a quello adottato dagli economisti finora;

studia il sistema economico nel suo complesso da un punto di vista macroeconomico e non

come somma di comportamenti individuali dei singoli operatori.

Egli ritiene necessario che lo Stato intervenga, in modo tale da aumentare l’occupazione e

riequilibrare il mercato, promuovendo l’efficienza, la crescita e la stabilità economica.

10
Considerato il salvatore del sistema capitalistico, critica la legge degli sbocchi di Say,

secondo la quale la produzione (l’offerta) incontra sempre un uguale livello di domanda.

La teoria keynesiana afferma invece che la domanda aggregata, ossia la spesa complessiva

per l’acquisto di beni e servizi, determina il livello di produzione e quindi dell’offerta

globale.

In altri termini, non è l’offerta che crea la domanda ma viceversa la domanda crea l’offerta.

Secondo i Neoclassici il problema della disoccupazione (l’eccesso di offerta di lavoro)

veniva risolto attraverso la riduzione dei salari e la conseguente assunzione nel mondo del

lavoro dei disoccupati.

Keynes afferma invece che gli imprenditori non assumono nuovi lavoratori se il mercato

presenta scarsità di domanda.

In una situazione di sottoccupazione, con domanda scarsa Keynes ritiene che lo Stato

debba aumentare la spesa pubblica cioè la domanda pubblica di beni e servizi.

L’intervento statale è quindi indispensabile e necessario per il sostenimento della domanda

globale per compensare la carenza della domanda delle famiglie e delle imprese (settore

privato).

Fu uno dei primi a mettere in discussione la teoria tradizionale, la quale assumeva che i

mercati avessero un’efficienza intrinseca.

Altro tema di particolare interesse introdotto da Keynes riguarda i cosiddetti “animal

spirit”, espressione che si può tradurre con “slanci vitali”.

Fu il primo a diffondere questo concetto in ambito economico, che appare molto

innovativo e per certi versi irrompe con il passato.

11
Keynes introduce questo concetto per cercare di spiegare il comportamento che spinge

l’individuo ad intraprendere un’iniziativa imprenditoriale, trovando come giustificazione e

motivazione alla base di ciò, la convinzione di poter aver successo, senza necessariamente

aver effettuato tutte le analisi e indagini economiche che lo porterebbero a prendere una

decisione del tutto razionale.

Egli riferendosi a questa espressione parla di forze e motivazioni, come ad esempio

l’intuizione personale o l’ottimismo, che spingono gli individui a ricercare il successo.

Introduce questo metodo di comportamento, in parte irrazionale, in un periodo storico

particolare: la situazione di pessimismo che si stava abbattendo negli Stati Uniti in

occasione della crisi del 1929.

Le politiche keynesiane sono state applicate in molti paesi dagli anni Trenta ( si pensi al

New Deal del presidente Roosevelt negli Stati Uniti) alla fine degli anni Sessanta del

secolo scorso per favorire la crescita economica e ridurre la disoccupazione.

1.1.2 Il neoclassicismo e la psicologia

La scuola neoclassica, anche detta “scuola marginalista”, nasce e si diffonde alla fine

dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

I principali economisti che vi appartengono sono detti “neoclassici”, dove tale termine

deriva dalle vicinanze e affinità con la precedente scuola classica, di cui i neoclassici si

considerano eredi.

I tre padri fondatori del neoclassicismo – William Stanley Jevons, Carl Menger, e Léon

Walras – segnarono l’inizio di quella che in seguito sarebbe stata chiamata “rivoluzione

marginalista”.

12
Gli economisti neoclassici sono vicini al pensiero classico e anche essi sostengono la

superiorità del mercato, il liberismo economico e il rifiuto dell’intervento statale

nell’economia fatta eccezione per alcune funzioni sociali quali la sicurezza interna , la

giustizia e la difesa militare.

Si discostano invece dagli economisti classici per l’approccio allo studio dei fatti

economici.

Infatti i neoclassici utilizzano prevalentemente grafici e modelli matematici, analizzano

l’equilibrio economico generale (l’equilibrio economico simultaneo di tutti i mercati)

partendo dall’equilibrio economico parziale (equilibrio del singolo mercato).

I principali problemi della vecchia scuola provengono dalle critiche ideologiche avanzate

nel corso dell'Ottocento dalla scuola marxista.

Alcune delle quali mettono in seria crisi l'intero impianto della teoria classica.

Per risolvere il problema, i neoclassici preferiscono rigettare la teoria classica per

ricostruirne una nuova, più moderna e coerente.

I neoclassici elaborano una nuova teoria del profitto, della distribuzione e del valore, del

tutto diverse da quelle classiche, e adottano l'analisi marginalista.

Questa considera le decisioni economiche determinate dalla variazione di una grandezza al

margine e non dal suo valore assoluto.

In tal modo le analisi appaiono più sofisticate nonostante mantengano un limite, sebbene

con questa analisi le misure siano scientificamente più precise, risultano più astratte e

meno verificabili nella realtà economica osservata.

Ciò che maggiormente caratterizza la scuola di pensiero marginalista è lo studio

dell'economia, attraverso un metodo di tipo deduttivo-normativo, attraverso un metodo che

13
prescinde dal considerare aspetti di tipo istituzionale, ma esaminando solo il

comportamento razionale del soggetto economico.

I marginalisti cercano di capire e di dimostrare quanto il comportamento economico di un

soggetto sia prevedibile e regolare, date alcune condizioni.

La validità delle teorie è legata alle condizioni, le quali, essendo caratterizzate da una bassa

probabilità di realizzazione concreta, rendono la teoria valida a livello astratto e quindi

poco applicabile alla realtà.

Infatti le teorie sono tanto più vicine alla realtà, cioè sono in grado di spiegare fenomeni

concreti, quanto più le condizioni sono verificabili nel concreto.

L’aspetto che più ci interessa della scuola neoclassica riguarda la cosiddetta “razionalità

strumentale”.

Secondo i marginalisti, un individuo prende decisioni razionali per soddisfare i propri

bisogni e per massimizzare la propria utilità.

Le decisioni individuali determinano la domanda di mercato.

E’ un’assunzione forte, si parla di razionalità assoluta; l’individuo si configura come un

calcolatore, una macchina perfetta in grado di valutare senza errori le informazioni a sua

disposizione.

Tali informazioni sono complete e totali, a significare, in altre parole, che questo individuo

possiede la “mappa corretta del mondo”.

Quest’idea di razionalità assoluta comincia a essere scardinata a metà del XX secolo.

Il merito degli studi pioneristici di Herbert Simon (1955), o di Jon Elster (1979), è quello

di mettere in discussione, appunto, il concetto stesso di razionalità.

14
Il cervello umano comincia a essere trattato per quello che è: un organo con precisi limiti

di calcolo per quanto attiene alla capacità di elaborare informazioni.

Le persone, nell’atto concreto di prendere una decisione, non rispondono a logiche

ottimizzanti, ma seguono piuttosto euristiche.

L’economia neoclassica prende le distanze dalla psicologia con lo sviluppo del concetto di

homo economicus, sempre razionale ed improntato all’efficienza, il quale trascorre la

maggior parte del tempo a valutare le diverse possibilità esistenti per poi scegliere

infallibilmente quella che gli permette di massimizzare la propria funzione obiettivo.

1.2 L’economia comportamentale

Da un punto di vista razionale, dovremmo essere in grado di prendere le decisioni, nel

nostro migliore interesse, saper scegliere di fronte a tutte le opzioni che ci troviamo di

fronte.

Questo non solo per il presente, ma anche pensando al futuro.

Quando ci troviamo davanti a una decisione, dovremmo essere in grado di valutare le

alternative in maniera obiettiva e scegliere in modo infallibile.

Fortunatamente ciò non sempre accade, ecco perché entra in scena l’economia

comportamentale.

Con questo approccio non si presuppone che le persone siano macchine perfette, ma si

osserva come queste si comportano nella realtà, e queste osservazioni spesso ci portano

alla conclusione che gli essere umani sono irrazionali.

15
L’economia comportamentale, cogliendo quella che è la fragilità umana, cerca di trovare

una maniera più efficace e realistica per aiutare le persone ad evitare le tentazioni,

esercitare un maggior autocontrollo, per raggiungere al meglio i nostri obiettivi.

Meglio comprendiamo ciò che influenza i nostri comportamenti e meglio possiamo gestire

il nostro denaro, le nostre risorse e la nostra sicurezza.

In questo modo potremmo prendere decisioni migliori, anche se non diventeremo mai

perfetti.

Per cercare di spiegare meglio questi concetti, riporto un chiaro esempio.

Esempio. Vi è stato offerto un abbonamento alla vostra rivista preferita, e vi sono state

rivolte alcune delle seguenti opzioni:

1) Abbonamento solo online a www.lamiarivista.it a 59,00 euro

2) Abbonamento online e cartaceo a 125,00 euro

Quale delle due preferite ?

Conducendo un’indagine su un gruppo di studenti è stato riscontrato che il 68% di questi

ha optato per la soluzione più economica, mentre solo il 32% ha preferito la seconda

opzione, quella più completa.

Il test successivamente è stato ripetuto su un gruppo analogo, aggiungendo però una terza

offerta del tutto ininfluente:

3) Abbonamento solo cartaceo a 125,00 euro

Nonostante l’aggiunta di questa opzione il vostro giudizio razionale non dovrebbe

assolutamente cambiare.

16
In realtà quando il test è stato ripetuto su un gruppo analogo i risultati si sono dimostrati

sorprendenti e addirittura le preferenze si sono invertite.

Solo il 16% ha scelto la prima alternativa, nessuno studente la seconda che non aveva

senso,ben l’84% la terza opzione.

Perché ?

Questo fenomeno può essere definito “effetto esca”, l’esca (nel nostro caso la terza

opzione) ci fa sembrare un’alternativa migliore dell’altra, e così influenza il nostro

giudizio.

1.2.1 Come nasce

Nel corso del tempo, le varie teorie economiche si sono servite di regole universalmente

valide, utilizzando schemi tendenzialmente rigidi e non conformi alla complessità della

realtà umana.

La principale critica dei modelli economici tradizionali riguarda la premessa fondamentale

della perfetta razionalità, poiché le evidenze empiriche dimostrano che il comportamento

degli individui è difficilmente riconducibile ad un modello puramente razionale.

L’obiettivo fondamentale che si sono posti gli economisti della teoria decisionale è stato

quello di arricchire il paradigma dell’homo oeconomicus con le nozioni derivanti dalla

psicologia.

Normalmente quando pensiamo alla psicologia, richiamiamo alla nostra mente i

sentimenti, la paura o il bisogno, mentre invece quello che fa l’economia comportamentale

è arricchire la concezione dell’uomo con nozioni che derivano dalla psicologia cognitiva.

17
Detto in termini semplicistici, come noi individui utilizziamo le informazioni a nostra

disposizione per generare giudizi e prendere decisioni.

L’economia comportamentale si afferma negli anni ‘70 del novecento negli Stati Uniti.

Uno dei primi studiosi a prendere le distanze dalle teorie classiche, distaccandosi dalla

teoria economica strettamente legata allo studio dell'individuo come homo oeconomicus,

fu Herbert Simon nel 1978.

Herbert Simon economista psicologo e informatico, per primo coniò il termine “razionalità

limitata”, secondo cui quando un individuo si trova di fronte ad intraprendere una scelta, la

sua razionalità è limitata da diversi fattori, quali: le informazioni che questo possiede, i

limiti cognitivi della sua mente e il tempo di cui dispone nel prendere una decisione.

Gli individui non possono comportarsi come agenti razionali, proprio a causa della loro

limitatezza cognitiva rispetto alla complessità delle informazioni e dell’ambiente nel quale

operano.

Secondo l’economista i “decisori” non hanno le capacità e le risorse per arrivare alla

soluzione ottimale, il decisore viene definito da Simon “satisficer”, ovvero qualcuno che

cerca una soluzione soddisfacente.

La conseguenza è che il decisore spesso giunge a conclusioni che possono essere sbagliate

o incoerenti rispetto alle preferenze, ottenendo così soluzioni che non massimizzano la

propria utilità attesa.

Simon, formulando per primo questo concetto, aprì la strada ad un nuovo approccio alla

razionalità, contrapposta ai modelli matematici delle teorie delle scelte razionali.

18
La nuova disciplina dell’Economia Comportamentale nasce come tentativo di adattamento

della concezione di razionalità limitata agli studi neoclassici, i quali invece prevedono un

agente economico perfettamente razionale.

Uno dei maggiori contributi all’economia comportamentale lo dobbiamo al lavoro dei due

psicologi e ricercatori Daniel Kahneman e Amos Tversky, i cui studi si sono focalizzati sui

principali errori sistematici in cui cade la mente umana di fronte all’incertezza, e

mostrando quanto siamo diversi dall’homo oeconomicus razionale descritto dai classici.

A partire dal 1974, i due psicologi pubblicarono molti lavori scientifici, su una nuova

modalità di studio, come le persone valutano l’incertezza e prendono le decisioni.

Dallo studio emerse che vi sono apparenti anomalie e contraddizioni osservabili nel

comportamento quotidiano delle persone.

Nel 1979 pubblicarono il loro lavoro “ Decision Making Under Risk” che usava tecniche di

psicologia cognitiva per spiegare una serie di anomalie documentate nel processo

decisionale economico razionale.

Secondo questo studio, le persone non ragionano proprio in termini statistici e razionali,

bensì utilizzando le cosiddette “euristiche”.

Le euristiche non sono altro che scorciatoie mentali, che permettono di costruire un’idea su

un argomento senza troppi sforzi cognitivi.

Tuttavia la loro analisi era fortemente incentrata sui processi di decisione in condizione di

rischio e di incertezza. In particolare, durante il loro studio emerse che durante tali processi

19
a quelle condizioni (rischio e incertezza) vi sono spesso errori sistematici e bias cognitivi,

che inevitabilmente violano gli assunti della teoria della scelta razionale.

Sempre nello stesso anno i due psicologi daranno alla vita una nuova teoria , “The Prospect

Theory” teoria fondamentale che segnerà una svolta nell’economia comportamentale, che

verrà esaminata nel prossimo paragrafo.

1.2.2 La teoria del prospetto

Teoria del punto di vista (Prospect theory): anche chiamata “Teoria dell’avversione al

rischio”.

Questa teoria rappresenta il frutto del lavoro dei due ricercatori Daniel Kahneman e Amos

Tversky alla fine degli anni settanta del Novecento, i quali svolsero degli esperimenti

utilizzando degli strumenti presi a prestito dalla psicologia.

Dimostrarono che le scelte e il comportamento degli investitori è differente se si tratta di

fare utili o fare perdite.

Un punto essenziale del modello descrittivo risiede nel fatto che gli individui sono avversi

al rischio e molto propensi alle prospettive di guadagno.

La scelta di un’opzione rischiosa, rispetto ad una non rischiosa dipende dall’atteggiamento

del soggetto nei confronti del rischio e dai guadagni previsti per ciascuna opzione.

In genere, gli individui scelgono l’opzione più rischiosa solo nel caso in cui il valore atteso

corrispondente sia superiore a quello dell’opzione rischio minore.

La teoria del prospetto mostra che le preferenze su due versioni di uno stesso problema

possono essere addirittura rovesciate a seconda della diversa formulazione delle opzioni.

Per cercare di spiegare meglio la Teoria del prospetto, ho riportato un chiaro esempio che

mi ha permesso di comprendere al meglio tale teoria.

20
(“Finanza comportamentale. Psicologia delle scelte”)

Esempio.

Dall’India si sta propagando un focolare di un’epidemia che potenzialmente potrebbe

uccidere 600 abitanti di una città.

Per combattere il contagio le autorità sanitarie hanno proposto due programmi alternativi.

Frame positivo.

- Nel programma A 200 persone saranno salvate.

- Nel programma B c’è una probabilità su tre che 600 persone saranno salvate, mentre due

su tre non sopravviveranno.

Di fronte alla scelta, il 72% delle persone intervistate ha optato per il programma A

(opzione certa), preferendo si salvare con certezza 200 persone piuttosto che rischiare di

non salvarne nessuna.

Supponiamo adesso che le stesse autorità sanitarie abbiano proposto questi altri due

programmi alternativi.

Frame negativo.

- Nel programma C 400 persone moriranno.

- Nel programma D c’è una probabilità su tre che nessuno morirà e due su tre che tutte le

600 persone moriranno.

Di fronte a tale scelta il 78% delle persone intervistate ha optato per il programma D

(opzione a rischio).

21
Le due coppie di opzioni A e B, C o D, salvare 200 vite significa che 400 devono morire, e

sia in B che in D, accettare una probabilità su tre di salvare tutti, significa accettare due

probabilità su tre che tutti muoiano. Qualunque sia la scelta, la logica dovrebbe essere la

stessa. Come mai, allora, tendiamo a preferire A a B ma facciamo la scelta contraria con C

e D. Nel frame positivo le conseguenze sono esposte come vite salvate rispetto alle perdite

previste, e quello negativo le conseguenze vengono esposte in termini di perdite.

Questo esempio chiarisce il fatto che quando ci troviamo di fronte ad una scelta, in

particolare a scelte che implicano delle perdite, come in questo caso, la vita di alcune

persone, tendiamo a rispondere in modo differente rispetto a delle scelte che prevedono dei

guadagni, come ad esempio il numero dei sopravvissuti.

Questo perché la nostra mente, il nostro modo di pensare ritiene che la sofferenza legata ad

una perdita sia indubbiamente più dolorosa rispetto alla gioia di un guadagno.

Noi, come ogni individuo posto di fronte ad una scelta, in particolare una scelta con esiti

positivi, cerchiamo di andare a colpo sicuro (salvare 200 persone), mentre abbiamo la

tendenza ad assumerci rischi quando dobbiamo soppesare le perdite.

E’ chiaro che il modo in cui vengono formulate le domande è fondamentale ai fini di una

scelta, non è detto infatti che due scelte apparentemente uguali, lo siano anche da un punto

di vista psicologico.

In conclusione, i fenomeni che contraddistinguono tale teoria, possono essere riassunti in

tre punti fondamentali:

1) Le persone preferiscono un evento certo ad uno probabile.

22
2) Le persone preferiscono eventi positivi di valore minore e con probabilità maggiore agli

eventi positivi con probabilità minore.

3) Le persone hanno la tendenza a semplificare un processo di scelta, considerano

solamente alcuni elementi e difficilmente il suo complesso.

Capitolo 2. L’impatto della finanza comportamentale nella consulenza

2.1 La finanza comportamentale

“Non c’è nulla di più pericoloso della ricerca di modalità di investimento razionali in un

mondo irrazionale” (John Maynard Keynes).

Sono le parole del grande economista John Maynard Keynes, che abbiamo già citato come

antenato della finanza comportamentale odierna.

La finanza comportamentale è l’analisi dei comportamenti delle persone poste di fronte ad

alcune scelte economiche e finanziarie.

Questa scienza è rivolta a tutti gli individui, riguarda persone comuni, i singoli investitori

ma è anche rivolta a investitori professionali istituzionali.

Le scelte di cui stiamo parlando, vengono normalmente operate da tutti gli individui.

Alcuni le affrontano in modo consapevole, altri senza pensarci.

Sostanzialmente queste scelte riguardano, ad esempio, due questioni fondamentali:

- consumare tutto il reddito disponibile oppure risparmiare (in vista di scopi futuri oppure

senza finalità precise).

- gestire autonomamente il proprio risparmio, oppure decidere se affidarsi ad un esperto.

Ad essere coinvolti non sono solo i singoli risparmiatori e le famiglie ma anche i

professionisti e i grandi operatori del mercato.

23
Tutti sono infatti accomunati da alcune peculiarità che nei momenti di grande difficoltà dei

mercati, ci danno la sensazione che i mercati stessi non si muovano su modalità di tipo

strettamente razionale.

I primi passi di questo approccio di studio furono mossi proprio in uno dei più famosi

momenti di crisi del Novecento, la Grande Depressione che si originò dal crac della borsa

americana del 1929.

Specialmente in momenti di crisi è più effettiva la sensazione che il mercato non si muova

su modalità strettamente razionale.

Già all’epoca della crisi del’29, Keynes mise in difficoltà la teoria classica, quindi l’ipotesi

secondo la quale si credeva che i mercati avessero un efficienza intrinseca, le scelte dei

singoli operatori erano mosse essenzialmente da criteri di pura razionalità.

Keynes fu uno dei primi economisti a ritenere inesatto questo approccio; le scelte che ogni

investitore compie, sono basate su una serie di informazioni subottimali, non sono

complete o meglio “evanescenti”.

Quindi gli investitori “su cosa basano le loro scelte ?”

Le persone scelgono anche in ambito economico e finanziario in base a degli slanci vitali,

al proprio intuito alla propria storia.

“E quali sono quei meccanismi che si muovono dentro di noi quando ci troviamo

a fare delle scelte di investimento ?”

Ci troviamo costretti a semplificare la realtà, la quale ci appare molto complessa,

dovremmo avere un numero infinito di informazioni, sappiamo chiaramente che questo

non è possibile, ne per gli investitori professionali, ne per le persone comuni che si trovano

a voler investire i propri risparmi.

24
Risulta necessario fare delle semplificazioni, cercare di applicare dei filtri, i cosiddetti filtri

cognitivi, cercare di trattenere alcune informazioni, sapendo che non abbiamo tutte le

informazioni possibili per fare una determinata scelta, avremmo un numero limitato di

informazioni.

Questo chiaramente comporta dei rischi, dovuti a scelte legate ad aspetti del nostro modo

di essere, essenzialmente legati quindi a dei limiti, ad esempio limiti che fanno parte della

nostra personalità o legati alla nostra cultura.

Per questi motivi, la finanza comportamentale assume un ruolo fondamentale, cercando di

andare a comprendere i comportamenti dei mercati finanziari e in particolare ponendoli in

relazione con il comportamento dell’individuo.

La finanza comportamentale gioca un ruolo fondamentale nella consulenza finanziaria, non

è solo un approccio tecnico quello che il consulente finanziario deve avere, ma deve

rispondere a quelle che possono essere le esigenze del cliente finale.

Il compito del consulente finanziario è quello di aiutare le persone a fare delle scelte di

investimento che siano più possibile efficienti e corrette. Per riuscirci non basta conoscere

a fondo le regole che muovono i mercati finanziari, ma bisogna soprattutto capire la

dinamica dei processi decisionali e delle emozioni. Interpretare il modo di ragionare e i

tratti caratteriali degli investitori è sicuramente una delle parti più importanti del lavoro del

consulente.

2.2 Il ruolo del consulente finanziario.

Innanzitutto prima di entrare nel vivo dell’argomento occorrono alcune essenziali

premesse.

25
Chi è il consulente finanziario e sopratutto perché riveste un ruolo così importante ai giorni

d’oggi.

Il consulente finanziario è un professionista il cui ruolo comprende una visione globale su

vari argomenti finanziari, tra cui investimenti e consulenza.

E’ una figura professionale nuova, introdotta con la direttiva europea MIFID del 2007.

Più nello specifico nella Direttiva di livello 1 viene definito il servizio di consulenza in

materia di investimenti, che consiste nella prestazione di raccomandazioni personalizzate

ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell'impresa di investimento, riguardo ad

una o più operazioni relative a strumenti finanziari.

E’ chiaro che si tratta di una definizione riduttiva, influenzata da una visione della finanza

come un mercato di prodotti da scegliere e che ha successivamente subito delle modifiche

rilevanti.

All’agente collegato viene riconosciuta la possibilità di prestare il servizio di consulenza se

munito di apposito mandato, a condizione che l’impresa di investimento per la quale opera

abbia ricevuto l’autorizzazione prevista dalla direttiva.

Il promotore finanziario per prestare il servizio di consulenza, dovrà avere i requisiti

richiesti per poter accedere all’Albo dei promotori finanziari, senza ulteriori oneri.

Per poter prestare il servizio di consulenza, la Direttiva prevede una preventiva valutazione

dell’adeguatezza del servizio.

In realtà la figura del consulente esisteva già di fatto prima dell’entrata in vigore della

direttiva, prima si parlava di “promotore finanziario” adesso di “consulente finanziario”.

26
Il cambiamento verificatosi non è stato solamente da un punto di vista terminologico,

bensì più ampio, non è rimasta solamente una modifica nella denominazione, quanto

piuttosto nel modo di operare, fornendo quindi un servizio di consulenza ai clienti.

Per molto tempo il promotore (venditore) finanziario, promuoveva, come dice la parola

stessa, i vari prodotti finanziari forniti dalle mandanti.

Il grado di complessità, però, nel corso del tempo è aumentato e questo modo di operare è

stato superato dal tempo.

Come vedremo più approfonditamente nei prossimi paragrafi di questo capitolo, la finanza

comportamentale è stata una pietra miliare per il promotore finanziario e molto

probabilmente è l’unico aspetto della finanza che può essere trasferito anche al consulente

finanziario.

Il rapporto con il cliente infatti, con le sue reazioni, con i suoi stati d’animo può e deve

generare del valore aggiunto solo se letto ed interpretato da una persona competente.

Ma ciò non basta, perché oltre a questo è sempre più importante una reale conoscenza del

mercato, delle sue dinamiche, degli strumenti ed una diversa velocità di esecuzione.

Siamo nell’era della modernità, dobbiamo mantenere comunque alcuni principi del passato

ma al contempo dobbiamo evolverci verso un futuro volto a mantenere e sviluppare quelli

che sono gli interessi dei clienti.

In questo paragrafo, esaminerò inoltre la natura del triangolo che si forma tra un

consulente, un cliente e la gestione del suo portafoglio ( i suoi risparmi ).

Si prende in considerazione un triangolo per cercare di rappresentare al meglio l’armonia

che intercorre tra il portafoglio del cliente, i suoi bisogni e il rapporto di delega al

consulente.

27
Tale armonia si basa sui seguenti aspetti:

1) il consulente instaura una relazione di fiducia con il cliente, dal momento che ha una

comprensione e conoscenza dei bisogni di quest’ultimo.

2) il consulente costruisce il portafoglio del cliente nel modo più opportuno, attenendosi

alle esigenze del cliente.

3) il cliente capendo la natura del portafoglio, la mette in corrispondenza dell’incertezza

dei mercati, motivo per cui è sempre soddisfatto del suo consulente.

CONSULENTE

CLIENTE PORTAFOGLIO

Figura 1: fonte: elaborazione propria

Il triangolo raffigurato in figura rappresenta un triangolo perfettamente equilatero,

nonostante ciò, nella realtà dei fatti è difficile che ci sia sempre questo equilibrio ideale.

E’ appurato che questa situazione rappresentata in figura, situazione che descrive un

equilibrio armonico tra consulente, cliente e portafoglio, sia puramente ipotetica, nella

realtà è difficile che si instauri.

28
Il buon consulente “defocalizza” il cliente dai costi di gestione del portafoglio e gli illustra

i vantaggi nella gestione del portafoglio stesso.

Questo vuol dire cercare di costruire, insieme al cliente, il portafoglio quanto più equilatero

possibile a partire dalla “scalenità” propria di ciascun cliente.

Lo stesso deve fare il cliente, cercando di “defocalizzarsi” dagli effetti immediati (costi) e

interrogandosi su quello che lui veramente vuole, così da poter rendere esplicite le sue

esigenze specifiche.

Il triangolo, come rappresentazione sintetica del rapporto tra il cliente e il suo consulente,

tra il consulente e il portafoglio del cliente, e tra il portafoglio e modo del cliente di

rappresentarsi il suo portafoglio, rappresenta soltanto uno schema riduttivo che semplifica

situazioni assai più ricche e complesse.

Risulta di fondamentale importanza puntare sul cliente e non sul prodotto, e di

conseguenza il ruolo del consulente diviene il perno e la leva su cui puntare al crescere

della concorrenza tra le banche. (cfr. Rajas e Zingales).

Finora abbiamo parlato della situazione ideale di perfetta armonia tra il consulente, il

cliente e il suo portafoglio.

Nella realtà sarebbe più opportuno rappresentarla con un triangolo scaleno (un triangolo

con lati diversi).

Per quanto concerne ad esempio il rapporto tra consulente e cliente, la relazione (la

lunghezza del lato del triangolo) può essere influenzata da una maggiore o minore delega

al consulente.

Possiamo avere deleghe quasi totali da parte del cliente nei confronti del suo consulente,

che ha quindi carta bianca sulla maggior parte delle scelte.

29
Queste tuttavia, rappresentano il presupposto purché si sia instaurata un’ottima

comprensione reciproca, una sorta di empatia tra i due soggetti.

Viceversa potremmo ipotizzare di avere un altro triangolo con una “base” corta, il

segmento che unisce il consulente al portafoglio del cliente, in questo specifico caso una

maggiore comprensione da parte del cliente, delle scelte fatte dal consulente per il suo

portafoglio.

In conclusione, se il cliente viene seguito nelle sue scelte, è opportuno che chi lo segue

padroneggi tutti i lati del triangolo consulente-cliente-portafoglio.

Non basta una preparazione tecnica esclusivamente sui prodotti.

La figura del consulente, ad oggi, non può ignorare la finanza comportamentale, poiché

correrebbe il rischio da un lato di accollarsi troppa delega e dall’altro di cadere in un

atteggiamento paternalistico nei confronti del cliente.

Il cliente deve essere guidato con tatto, ed in determinati contesti è necessario svelargli la

natura dei suoi stessi meccanismi cognitivi, qualora questi si rivelino controproducenti.

In questo modo il cliente potrà rendersi conto e apprezzare realmente il lavoro svolto dal

consulente, l’importanza di tempi lunghi, i tentativi di battere il mercato con timing

opportuni.

2.2.2 Il problema delle scelte

Dopo aver dato una definizione di consulente finanziario è necessario capire quale sia il

suo ruolo e perché quest’ultimo sta assumendo nel corso del tempo così tanta importanza.

Sostanzialmente il suo compito è quello di aiutare le persone a fare delle scelte di

investimento che siano il più possibile efficienti e corrette.

30
Come abbiamo già accennato la finanza comportamentale gioca un ruolo fondamentale,

per questo un buon consulente non dovrebbe fermarsi alla conoscenza delle regole che

muovono i mercati finanziari, ma risulta indispensabile che interpreti la dinamica dei

processi decisionali e delle emozioni.

Il compito del consulente è quello di aiutare i suoi clienti a superare due sostanziali

difficoltà: la prima è quella di facilitare la conoscenza dei mercati finanziari, che come

sappiamo non seguono delle regole specifiche o matematiche, dall’altro supportare il

proprio cliente nel proprio processo decisionale.

Descritto in questi termini la questione sembra facile, nella realtà non lo è affatto.

La scelta riguardante la soluzione a noi più adatta che risponda concretamente alle nostre

esigenze, coniugata al nostro profilo psicologico risulta complesso.

Durante un percorso di investimento intervengono emozioni e tentazioni che possono

indurci a prendere una decisione sbagliata.

2.3 Bias cognitivi ed emotivi

Come abbiamo visto, la scelta di un consulente finanziario che ci supporti e riesca ad

indirizzarci nel prendere la miglior scelta di investimento è di fondamentale importanza.

Nonostante ciò, un buon consulente deve saper destreggiarsi in mezzo alle principali

distorsioni in cui esso può imbattersi durante il proprio lavoro.

Si parla per lo più di “bias” ed è compito della finanza comportamentale quello di trovare

delle soluzioni a queste distorsioni della realtà.

“bias” letteralmente significa inclinazione , predisposizione o meglio pregiudizio.

31
I “bias” non sono altro che dei costrutti fondati su percezioni errate, basati su pregiudizi o

ideologie, questi errori cognitivi ricorrono nella vita di tutti i giorni, ed impattano sulle

nostre decisioni e sui nostri comportamenti.

Le “euristiche” al contrario dei bias, non sono altro che dei procedimenti mentali intuitivi e

veloci, che permettono di costruire un’idea generica su un determinato argomento, senza

dover effettuare troppi sforzi cognitivi.

I bias sono particolari euristiche, usate per esprimere dei giudizi, su aspetti di cui non

abbiamo esperienza a noi non noti, per tale motivo si traducono in pregiudizi.

I bias sono euristiche inefficaci.

Gli errori comportamentali sono di due tipi: cognitivi, che riguardano essenzialmente il

nostro modo di ragionare, ed emotivi, dettati appunto dalle emozioni.

Di bias cognitivi ve ne sono di innumerevoli tipologie, ad esempio il bias di conferma.

Il bias di conferma rappresenta il pregiudizio secondo il quale, gli individui tenderebbero

più facilmente a soffermarsi su convinzioni proprie acquisite.

Quindi nel caso in cui un soggetto abbia un pensiero preformato su un qualsiasi argomento,

tutte le informazioni che andranno a contrastare questa sua credenza, automaticamente avrà

un peso minore, al contrario quando entrerà in contatto con delle informazioni che

andranno a rafforzare la credenza, automaticamente il cervello umano darà un peso

maggiore a questo tipo di informazioni.

Questo tipo di comportamento avviene in maniera del tutto automatica ed involontaria, ed

inconsapevolmente lo facciamo tutti.

Simile al bias di conferma è il bias di gruppo, ci induce a sopravvalutare le capacità e il

valore del nostro gruppo a scapito di persone che, in realtà, non conosciamo.

32
Troviamo poi il bias di ancoraggio, secondo cui nel prendere una decisione, abbiamo la

tendenza di ancorarci, ovvero di tener conto solamente di un numero limitato di

informazioni, il bias dello status quo, che riguarda in generale la nostra resistenza al

cambiamento, e ci porta a credere ingiustificatamente che un’eventuale cambiamento, una

scelta diversa dalla situazione preesistente peggiori le cose.

Questi bias riguardano situazioni concrete e reali, in cui ci imbattiamo nella vita di tutti i

giorni, senza accorgercene.

La mia analisi vuole rivolgersi ai principali errori in ambito finanziario, ovvero si sofferma

sui principali errori in cui può cadere un investitore.

1) Avversione alla perdita: una perdita pesa circa due volte un guadagno dello stesso

ammontare.

Quindi non è vero come ipotizza la finanza tradizionale, che decidiamo in base

all’ammontare della nostra ricchezza, ma se si tratta di una perdita invece che di un

guadagno, il nostro atteggiamento cambia.

Nell’area dei guadagni siamo tendenzialmente avversi al rischio, mentre invece se stiamo

valutando una perdita, tendiamo ad essere propensi a rischiare, quindi tendiamo ad

azzardare più del dovuto.

2) Home bias: (“l’errore della casa”): e consiste, da come lo si può desumere

letteralmente, nella prediligere l’investimento in titoli domestici.

Quindi se sono un investitore italiano avrò indubbiamente una preferenza maggiore ad

investire in titoli italiani, rispetto agli altri titoli presenti sul mercato.

Questo però rappresenta un problema dal momento in cui investendo, nel nostro caso in

titoli italiani, significa che sto investendo solo nell’1.5% della capitalizzazione mondiale,

33
dal momento che il mercato italiano rappresenta una piccola percentuale rispetto al

mercato mondiale.

Questo errore è dettato dalla cosiddetta “familiarità”, quello che percepiamo come

familiare, lo reputiamo come migliore o più sicuro, e questo ci porta a non diversificare

adeguatamente il nostro portafoglio.

3) Overconfidence: (“eccessiva confidenza”): ci dice essenzialmente che gli investitori

tendono in media ad essere troppo sicuri delle proprie capacità.

Questo bias colpisce la maggior parte dei professionisti, i quali ritenendosi soggetti esperti,

hanno la credenza di sapere e conoscere perfettamente i mercati finanziari.

2.3.3 Bias nella consulenza

Come abbiamo visto, il consulente finanziario ha come compito fondamentale quello di

aiutare e supportare i propri clienti nelle scelte di investimento.

Molto spesso, non serve conoscere le fondamentali regole che muovono i mercati, quanto

un buon consulente, dovrebbe tener di conto e cercare di comprendere al meglio i processi

decisionali ed emotivi del soggetto con cui si trova a trattare.

Elemento saliente per il consulente finanziario è capire il cliente con il quale si relaziona.

L’errore più grave in cui il consulente può cadere è quello di sostituire il proprio profilo di

rischio a quello del cliente.

L’asset allocation, (che rappresenta il modo con il quale si decide in che modo distribuire le

risorse fra diversi i possibili investimenti) viene cioè implementata sulla base delle

credenze, delle aspettative, dei timori, dell’età e della propensione al rischio del

34
consulente, e non del cliente. Anche senza accorgersene, il consulente percepisce l’insieme

dei portafogli dei clienti come un tutt’uno.

Quali sono i principali bias in cui il consulente può cadere ?

1) Herding Behavior (“il comportamento da gregge”): come si evince dal termine, questo

comportamento rappresenta la tendenza da parte dei risparmiatori di imitare scelte di

investimento di altri soggetti.

Per il consulente questa distorsione si manifesta nel momento della scelta di prodotti, come

ad esempio fondi da proporre ai clienti, i quali preferiscono ciò che il consulente gli

propone.

Nonostante questa distorsione sia mitigata dal fatto che ad oggi i portafogli vengono creati

dall’asset management, secondo logiche razionali, rimane il fatto, che la casa di

investimento che rappresenta il leader del gruppo (colui che ha il portafoglio più grande)

all’interno dei portafogli di un gruppo di consulenti vada ad esercitare un peso maggiore in

termini di fondi, all’interno del portafoglio di un gruppo di consulenti a discapito delle

altre società di investimento.

Analogamente l’inclinazione verso certi prodotti da parte delle case di investimento

potrebbe essere influenzato dai propri sellers.

Altre volte invece ciò che influenza le scelte non è altro che la tendenza del momento.

Per contrastare possibili conseguenze negative derivanti da questo bias, il consulente

dovrebbe concentrarsi sul proprio operato senza affezionarsi a singoli prodotti o a società

di investimento, prediligendo le esigenze del cliente.

35
2) Auto-attribuzione: Questo errore è un tratto tipico del cliente e tende ad attribuire a sé

stesso performance positive, e quelle negative le associa all’operato del consulente, o al

mercato, o ancora alla politica.

Questo bias lo ritroviamo anche nella figura del consulente, il quale ha la tendenza ad

addossare ad altri il suo operato negativo, come ad esempio una caduta dei mercati o scelte

politiche.

Mentre per quanto riguarda andamenti positivi del portafoglio derivanti da una sua

gestione tenderà a amplificare la percezione dei risultati attribuendoli a sé stesso, anche se

non lo esternerà mai in modo esplicito.

Anche in questo secondo caso, un buon consulente deve porsi come obiettivo principale le

esigenze del cliente e mantenendo un profilo oggettivo e in linea con la realtà.

3) Ancoraggio: L'ancoraggio è un metodo euristico psicologico che descrive la

propensione a prendere decisioni basandosi sulle prime informazioni trovate. Per esempio,

il primo prezzo di cui si viene a conoscenza in una contrattazione, diventa il prezzo di

riferimento a cui mentalmente ci ancoriamo, anche se esso non rappresenta il vero valore

della cosa oggetto della contrattazione, ed ogni prezzo inferiore ci sembrerà un prezzo più

ragionevole.

Questa euristica colpisce sia i clienti che i consulenti.

Sono comuni frasi del tipo “il mercato è salito troppo… a breve storna!” oppure “siamo ai

minimi...se non si investe ora!”.

Queste affermazioni sono legate ad un errata percezione dei numeri, dei grafici e delle

proprie capacità previsionali.

36
Inoltre i consulenti più anziani, affidandosi troppo alla loro personale esperienza danno per

scontato il ripetersi di andamenti passati, siano questi positivi o negativi.

La soluzione in questo caso non dovrebbe basarsi su singoli cicli o singole fasi di mercato,

ma dovrebbe assumere una visione di più lungo termine.

Un consulente dovrebbe sostenere il proprio cliente, sapendo gestire le proprie emozioni.

Inoltre data la sua posizione dovrebbe intervenire ogni qualvolta il cliente manifesti errori

cognitivi, in modo da mantenere un adeguato rapporto con il cliente e facilitare una

gestione efficiente e ponderata del portafoglio.

In ultima analisi ciò che contraddistingue un “consulente” da un “buon consulente”, non

riguarda tanto la conoscenza dei mercati e del mondo finanziario propri del consulente

stesso, quanto la conoscenza che quest’ultimo possiede nell’ambito della finanza

comportamentale e di tutti quegli aspetti psicologici legati alla finanza in cui un soggetto

investitore può imbattersi, e soprattutto come questa conoscenza, possa fare la differenza

nella gestione sia del portafoglio che del suo proprietario, cioè il cliente, il quale è spesso

sfornito di questo sapere.

Capitolo 3. La psicologia nelle scelte di investimento

3.1 Le emozioni

Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche, a

stimoli interni o esterni, naturali o appresi.

Per molto tempo, quando si prediligeva l’individuo come essere puramente razionale in

senso economico, gli errori in cui il singolo poteva imbattersi, aveva come causa le

emozioni.

37
Le emozioni portavano fuori strada.

In realtà questa assunzione è vera ma pone delle limitazioni, non è vero infatti che

l’emozioni rappresentino necessariamente la causa dei nostri errori.

I principali errori o distorsioni in cui un individuo può cadere possono essere per lo più

cognitivi od emotivi.

Sono molti gli errori emotivi, cioè quelli dettati dalle emozioni.

Le emozioni hanno origine al livello dell’inconscio ed è stato calcolato che quasi il 95%

dei nostri pensieri e delle nostre emozioni sia presidiato dalla materia inconscia, al di fuori

della nostra consapevolezza.

Le emozioni più comuni sono l’ottimismo e l’euforia, che si manifestano ad esempio

quando i mercati sono in crescita.

Al contrario, troviamo emozioni quali la paura o il panico, in una situazione in cui i

mercati sono in calo.

Quando i mercati salgono e i prezzi sono troppo alti, dovremmo essere guardinghi, mentre

le emozioni positive ci portano a comprare di più.

Quando i mercati scendono, e razionalmente dovremmo comprare a un prezzo più basso, la

paura automaticamente ci spinge a vendere.

La paura è un sentimento che ci dissuade dall’avere comportamenti imprudenti.

Di fronte a quest’emozione, si può reagire in due modi distinti: comportarsi in modo

aggressivo, per sembrare più potenti e incutere a loro volta paura, oppure tenere un

comportamento assertivo, prendendo le dovute precauzioni.

38
Per quanto attiene a ciò che stiamo trattando, le spinte evolutive del mercato attuale

possono trasmettere un senso di paura nel contattare un cliente, se il cliente è un cliente

abituale, la paura nasce poiché temono condizioni penalizzanti da parte di altri concorrenti.

Nel caso invece un cliente non sia abituale ma potenziale, la paura può manifestarsi nel

non essere in grado di ottenere un appuntamento con quest’ultimo, oppure non scegliendo

il prodotto adeguato alle sue esigenze.

Infine, il sentimento conseguente alla paura, può sfociare in arroganza o senso di

superiorità, andando sicuramente a inficiare sulla relazione.

La rabbia analogamente alla paura, ha una funzione adattiva che predispone però il

soggetto a difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui si trova.

Possiamo provare rabbia quando ci troviamo costretti ad esempio ad offrire al nostro

cliente, per motivi puramente commerciali, dei prodotti che non riteniamo adatti per

quest’ultimo.

La sofferenza che ci porta indubbiamente a uno stato d’animo della tristezza,

dell’insoddisfazione, viene avvertita in caso di insuccesso, quando ad esempio non

riusciamo a trovare una determinata soluzione per un determinato cliente, o quando una

trattativa ha avuto un esito negativo, o ancora quando non riusciamo a instaurare un buon

rapporto con il nostro cliente.

Tale stato d’animo dovrebbe spronarci nel ricercare nuove strategie, sicuramente più

valide, rivolgendoci ad altri target di mercato.

Un’altra emozione importante è il cosiddetto rammarico o rimpianto, che ci porta a

rimpiangere azioni fatte o decisioni prese, o anche decisioni non prese.

39
Il rammarico agisce non solo a posteriori, quando ci pentiamo, ma addirittura anche ex-

ante prima di prendere una decisione.

Per chiarire questo sentimento riporto un chiaro esempio sviluppato da Clarke, Krase e

Statman (1994):

Avete giocato al lotto gli stessi numeri, ogni settimana per un mese. Non

sorprendentemente, non avete vinto. Un amico vi suggerisce una serie diversa di numeri.

Cambiate numeri ?

In realtà la probabilità di vincita degli altri numeri è uguale a quella iniziale. Nonostante

ciò la nostra decisione può portare a due rimpianti diversi.

Nel caso in cui decida di non cambiare i numeri, continuando quindi a giocare con i vecchi,

e quelli suggeriti dall’amico, siano proprio i numeri che escono, qui saremo in presenza di

un rimpianto da omissione: non abbiamo compiuto un’azione che in realtà volevamo

compiere.

Nel caso contrario in cui decida di cambiare ai nuovi numeri, e in questo caso vincano i

vecchi, qua saremo in presenza di un rimpianto da commissione.

In questo caso il rimpianto è più forte del primo. Abbiamo fatto un investimento cognitivo

nella scelta iniziale, scartandolo ed è finita male.

Il rimpianto tende a concentrarsi sulle cose che non abbiamo fatto, ma che in realtà

avremmo voluto fare.

Soffriamo molto meno con il rimpianto da omissione che con quello da commissione.

Dovremmo cercare di evitare di avere rimpianti troppo dolorosi, andando orgogliosi delle

decisioni prese.

Ma che rapporto intercorre tra i vari tipi di rimpianto e le varie scelte di investimento ?

40
I due studiosi Shefrin e Statman nel 1985 cercando di rispondere a tale quesito, hanno dato

vita a quello che viene chiamato: l’effetto disposizione.

Questo effetto è legato al modo in cui gli investitori tendono a trattare i guadagni e le

perdite realizzate sugli investimenti finanziari.

Gli investitori hanno la tendenza a realizzare guadagni più rapidamente delle perdite.

In altre parole, gli investitori evitano il rimpianto/dolore e cercano invece l’orgoglio.

In particolare svariate ricerche hanno dimostrato come questa strategia risponda a esigenze

psicologiche piuttosto che a una razionalità economica.

Spesso gli individui non sanno decidersi a liquidare un investimento in perdita e senza

prospettive di miglioramento, anche se non sarebbero disposti a investire il valore corrente

dell'investimento nel titolo stesso.

Una possibile soluzione a questi problemi potrebbe essere: quello di usare il prezzo di

acquisto come punto di riferimento, il quale può influenzare negativamente lo stato

d’animo con il quale si effettuano gli investimenti.

In finanza ciò che realmente rileva sono le performance future, non quelle passate. Nel

caso in cui tu non voglia decidere se liquidare un investimento in perdita, domandati se

saresti disposto a investire il valore corrente dell’investimento nel titolo stesso.

Riporto un esperimento per chiarire meglio i concetti.

Esperimento:

Questo esperimento è stato rivolo a cento consulenti, a cui è stato chiesto di provare a

proiettarsi in questo scenario, immaginandosi nei panni di uno dei loro clienti.

41
Siete un consulente, provate ad immaginare una situazione in cui il vostro cliente vuole

investire in un titolo che sembra assai promettente.

Per fare questo deve vendere il titolo A o il titolo B che è già in suo possesso.

Il titolo A ha guadagnato il 20% da quando è stato comprato.

Il titolo B ha perso il 20% da quando è stato comprato. Quali dei due titoli preferite ?

In questo caso l’effetto disposizione è come se producesse il rimpianto, prevedendo che il

cliente venderà più volentieri il titolo A.

Se avessimo scelto B sicuramente proveremo del rimpianto.

Alcune misurazioni hanno mostrato che questo comportamento è psicologicamente

comprensibile ma da un punto di vista razionale non sempre è giustificabile.

I titoli su cui si è guadagnato spesso continuano a salire, mentre non seguiranno la stessa

logica quelli in perdita.

3.2 Trappole mentali

Le “euristiche” di cui abbiamo già parlato, dopo aver esaminato i bias, rappresentano delle

idee, delle scorciatoie mentali, che semplificano un nostro processo decisionale.

Come abbiamo visto queste ricorrono nella vita di tutti i giorni, inconsciamente.

Sono molto utili perché è come se tutte le informazioni disponibili venissero ridotte a

poche.

In realtà queste scorciatoie possono avere delle conseguenze negative se applicate a

decisioni economiche d’investimento.

Sostanzialmente le trappole mentali sono di tre tipi:

- cognitive

42
- euristiche

- di inquadramento o framing

Gli errori d’inquadramento o framing si verificano in base a come il nostro interlocutore ci

presenta verbalmente una determinata decisione.

I principali sono: il framing grafico, il framing edonistico e l’accanimento.

1) Framing grafico: riguarda sostanzialmente l’orizzonte temporale che ci prefiggiamo per

quel determinato investimento.

Si verifica nel caso in cui voglia investire su un determinato strumento in scala giornaliera

o in un mese.

Il problema può insorgere, qualora abbiamo come intenzione quella di compiere

un’operazione speculativa di qualche giorno, o si vuole costruire il portafoglio di

investimento.

2) Framing edonistico: rappresenta per certi versi il nostro modo di costruire una sorta di

contabilità mentale, l’intenzione è quella di non voler vedere cose che potrebbe rattristarci,

tendendo appunto a sviare.

Il framing edonistico rappresenta una sorta di conseguenza alla nostra immane fragilità.

Questo tipo di errore si verifica ad esempio quando dobbiamo distinguere dal denaro che

abbiamo guadagnato con successo e duro lavoro, da quello ad esempio ottenuto con la

speculazione, oppure quello derivante da cedole e capital gain.

3) L’accanimento: “Vendi guadagna e pentiti!” È il detto di Borsa più famoso nel nostro

Paese, si riferisce, infatti, agli stati d'animo spesso contrastanti degli operatori economici.

Il detto è ricollegabile, per esempio, ad un'operazione (rialzista) anzitempo monetizzata, di

cui ci si è pentiti per aver visto poi salire ulteriormente la quotazione.

43
Questo errore solitamente ci porta a rischiare di più di quanto preventivato nella nostra

mente.

Così facendo è come se avessimo un mancato guadagno, non ancora realizzato che ci porta

inevitabilmente a una perdita.

Il nostro modo di essere, molto spesso nasconde aspetti positivi e ci porta a compiere

decisioni errate, poiché il risultato delle nostre azioni non rispecchia ciò che ci eravamo

prefissati.

3.3 L’avversione alle perdite

“A win doesn't feel as good as a loss feels bad,

and the good feeling doesn't last as long as the bad. Not even close”.

(cfr. Andre Agassi)

Questa espressione esprime perfettamente l’essenza dell’avversione alla perdita.

Il concetto di avversione alla perdita venne introdotto da Kahneman e Tversky nel loro

lavoro pionieristico sulla Teoria del prospetto (1979) e si riferisce al valore emotivo più

alto che si associa alle perdite rispetto a quello associato a guadagni di uguale entità

(«losses loom larger than gains»).

Per capire meglio di cosa si tratta possiamo considerare il seguente esperimento di scelta, a

seguito dell’investimento di 1.000 euro:

A.Ho una probabilità del 50% di guadagnare 200 euro e una probabilità del 50% di
perdere 100 euro.
B.Ho una probabilità del 100% di guadagnare 50 euro.

44
In entrambi i casi il rendimento atteso è di 50 euro, ma gran parte delle persone sarà più

attratte dall’opzione B. Inoltre se si volesse diminuire la somma di guadagno del caso B,

molti nonostante ciò continueranno a preferirla rispetto ad A, nonostante il rendimento

atteso sia inferiore.

Questo spiega perché ad esempio molti investimenti vengono mantenuti troppo a lungo

mentre quelli in attivo vengo dismessi troppo prematuramente.

Di fronte a una perdita, l’investitore preferisce assumere un rischio maggiore pur di

compensarla, anche se ciò appare irrazionale.

Questo comportamento è simile a chi nel gioco d’azzardo perde considerevoli somme di

denaro, perché chiaramente non riesce a fermare il gioco subito dopo che si è verificata una

perdita.

L’avversione alla perdita è la principale causa di inerzia del processo decisionale.

In particolare possiamo distinguere due tipologie di inerzia: una correlata a bias di tipo

cognitivo, come ad esempio il bias dello status quo, come abbiamo già detto rappresenta la

tendenza da parte degli individui a preservare lo stato attuale delle cose piuttosto che

esplorare nuove opportunità. Dall’altro possiamo considerare l’avversione miope alle

perdite, la tendenza innaturale a valutare in modo eccessivamente negativo investimenti

rischiosi.

Nei mercati finanziari, gli investitori che detengono asset finanziari rischiosi richiedono un

premio in termini di rendimento atteso.

Dove il rischio degli asset è direttamente proporzionale all’avversione al rischio.

Maggiore è il rischio degli asset, maggiore sarà l’avversione al rischio dell’investitore.

45
Questa porta tendenzialmente a strategie che prevedono un allocazione del portafoglio che

va a penalizzare fortemente investimenti in titoli rischiosi ma redditizi, quindi un

allocazione del portafoglio conservatrice.

In alcuni individui la percezione della perdita è due volte e mezzo più acuta rispetto a

quella di un guadagno di pari entità.

In caso di perdite gli investitori percepiscono un dolore maggiore rispetto al piacere che un

guadagno determina.

Questo effetto segna negativamente l’investitore a tal punto che le perdite vengono vissute

in modo traumatico e condizionano in un momento successivo le scelte dei singoli.

Da un punto di vista umano è razionale che la perdita abbia un peso maggiore rispetto al

guadagno, ma questo non può valere da un punto di vista razionale.

E’ necessario quindi affidarsi a figure esperte, in grado di saper ponderare al meglio e

consigliare il miglior investimento ritagliato a determinate esigenze.

In conclusione una possibile soluzione per migliorare le decisioni degli investitori

dovrebbe consistere nel promuovere la consapevolezza dei bias comportamentali e offrire

programmi di investimento che tengano conto di quest’ultimi.

Conclusioni

Attraverso le varie fasi di questo elaborato, ho potuto ripercorrere, dapprima con un

excursus storico, le teorie che hanno caratterizzato il pensiero economico a partire dalla

scuola classica fino ad arrivare ad epoche recenti per finire con la nascita dell’Economia

Comportamentale.

46
Questa nuova disciplina, come abbiamo visto, presenta diverse applicazioni da un punto di

vista pratico ed ha permesso lo studio di nuovi fenomeni, che in passato erano rimasti

inspiegati o attribuiti ad altre credenze.

Questa scienza ha rappresentato un punto di svolta per la visione economica da sempre

caratterizzata dalla piena razionalità dell’homo oeconomicus.

Gli studi riguardanti “l’Economia Comportamentale” hanno permesso l’affermarsi di una

ulteriore disciplina rappresentata dalla “Finanza Comportamentale”.

Questa può essere applicata ad un’immensità di campi, in particolare, nel mondo della

consulenza finanziaria, dove riveste un ruolo oramai quasi essenziale.

La Finanza Comportamentale è il principale strumento per interagire personalmente con i

clienti, non essendo questi, in molti casi, esperti di finanza, al fine della costruzione di

portafogli ottimali, ponendosi come fine ultimo quello di creare un interconnessione tra

finanza classica e gli individui, siano questi consulenti o clienti, i quali dovrebbero iniziare

a conoscere il mondo dell’incertezza, quello reale.

Vorrei quindi concludere questa mia breve analisi con una frase del famoso economista

Keynes, il quale ha posto, in controtendenza con le teorie dell’epoca, le basi di quella che

ai giorni nostri è stata definita la “Finanza Comportamentale” .

“Non c’è nulla di più pericoloso della ricerca di modalità di investimento

razionali in un mondo irrazionale”. (John Maynard Keynes).

47
Bibliografia

Gian Franco, Sogol Franzosini. “Finanza comportamentale. Psicologia delle scelte.”

(2010)

Richard H.Thaler, Cass R.Sunstein. “La spinta gentile, La nuova strategia per migliorar le nostre

decisioni su denaro, salute, felicità.” (2009)

Francesco Priore “Il mercato…che non c’era, I protagonisti del mercato finanziario italiano dal 1960.”

(2014)

Paolo Legrenzi “Psicologia e investimenti finanziari. Come la finanza comportamentale aiuta a capire

le scelte di investimento.” ( 2006)

Richard H.Thaler “Misbehaving, la nascita dell’economia comportamentale”. (2015)

Daniel Kahneman “Pensieri lenti e veloci” (2011)

Barbara Alemanni “Finanza comportamentale, scoprire gli errori che fanno perdere denaro”. (2015)

Cesare Armellini, Luca Mainò, Giuseppe Romano “La guida del Sole 24 Ore alla

consulenza finanziaria indipendente” (2008)

Barbara Alemanni “L’investitore irrazionale” (2003)

Harry Landreth, David C. Colander “Storia del pensiero economico” (1996)

Mario Salomi “Biases. Errori cognitivi, affettivi e relazionali della vita quotidiana” (2016)

48
Sitografia

https://www.stateofmind.it/tag/economia-comportamentale/

https://www.ilsole24ore.com/

https://www.borsaitaliana.it/homepage/homepage.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/Finanza_comportamentale

https://www.am.pictet/it/blog/articoli/guida-alla-finanza/finanza-comportamentale-come-l-

emotivita-influisce-sugli-investimenti

https://www.economiacomportamentale.it/2017/07/27/cosa-sono-i-bias-cognitivi/

https://www.ted.com/talks/dan_ariely_our_buggy_moral_code

https://it.wikipedia.org/wiki/Finanza_comportamentale

http://www.finanzacomportamentale.it/finanza-comportamentale

http://www.ascosim.it/public/17_Ric.pdf

https://www.lumsa.it/sites/default/files/pdf/Linciano_Consulenza_finanziaria_AGE_2012.p

df

49
Ringraziamenti

Ai miei genitori: vera forza motrice della mia esistenza. Ai loro sacrifici.

Al bene indescrivibile che non vi ho mai dimostrato.

A mia sorella. Alla parte razionale di me. Alla sua forza . Alla sua presenza costante.

A mio nonno. A cui avrei voluto regalare questa piccola soddisfazione.

Alle mie amiche. Alla vostra unicità.

A Giorgio. Alla sua comprensione. Al suo supporto. Al suo esserci, sempre.

Alla mia famiglia. Ad ogni emozione condivisa.

Grazie.

50

Potrebbero piacerti anche