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Corruzione in Portogallo, ecco perché potrebbe esplodere una nuova Tangentopoli

Troppe tangenti, nuovi cartelli di imprese e leggi farraginose: come la corruzione sta
soffocando il Portogallo.

Il Portogallo ha un problema di tangenti. È stato declassato in tutti i ranking


internazionali riguardanti la lotta alla corruzione, raggiungendo il punto più basso del
decennio. Merito della scarsa attenzione della politica verso questo fenomeno e della
mancanza di controlli sul denaro diretto verso il Paese lusitano. È giunto a questa
conclusione l’ultimo report di International IDEA, organizzazione internazionale che
dal 1975 fotografa lo stato di salute di 158 Paesi nel mondo. Secondo i tecnici di IDEA,
le tangenti in Portogallo stanno pregiudicando la qualità della democrazia.
Al centro del mirino vi è proprio il rapporto tra imprese e pubblica amministrazione. Il
15% degli appalti, testimonia l’ultimo report dell’Unione Europea sui contratti pubblici,
sono stati vinti da un’azienda che si è presentata da sola alla gara, un dato che
indicherebbe la presenza di cartelli di imprese portoghesi nel mercato interno. Difatti,
solo il 6% degli appalti in Portogallo sono stati vinti da aziende straniere, alla pari di
Romania e Slovacchia.
Condivide questa tesi anche Trasparency International, che ha segnalato “alto rischio di
corruzione” in diverse aree della pubblica amministrazione portoghese, tra cui
all’interno delle forze armate. A novembre 2021, l’inchiesta della Policia Judiciaria di
Lisbona ha sventato un maxi traffico di diamanti e oro organizzato dai militari
portoghesi facenti parte di una missione ONU nella Repubblica Centrafricana. Secondo
le prime ricostruzioni, le pietre preziose entravano in Portogallo attraverso aerei militari,
che non venivano controllati una volta atterrati in terra lusitana, per essere poi rivendute
in Belgio grazie a broker dell’oro. Il 50% degli utili sarebbero finiti nelle mani dei
soldati, che li avrebbero occultati su conti correnti offshore oppure riciclati acquistando
bitcoin.
Questo è solo l’ultimo scandalo che ha sconvolto il Paese lusitano. Il primo era esploso
a novembre del 2014, quando l’ex primo ministro José Socrates venne arrestato con
l’accusa di corruzione. Pesava contro di lui, l’appartamento di Praça Marques do
Pombal, quartiere centrale di Lisbona, che si sarebbe fatto comprare con denaro
proveniente dalla Svizzera prestatogli da un amico di infanzia. In brevissimo tempo
l’indagine, chiamata appunto Operação Marques, raggiunse l’intero cerchio magico di
Socrates, tra cui Armando Vara (l’ex presidente della seconda banca più grande del
Portogallo) e Ricardo Salgado, Presidente del Banco Espirito Santo (già coinvolto in
opache operazioni finanziarie) conosciuto a Lisbona con il soprannome di ‘O dono disto
tudo’, cioè ‘il proprietario di tutto questo’. I magistrati del Ministério Publico
ipotizzavano che l’ex primo ministro avesse beneficiato di denaro proveniente dal
gruppo LENA, un consorzio di imprese che vanta numerosissimi interessi economici in
Portogallo e che durante il governo Socrates aveva vissuto un molto periodo florido.
L’amicizia tra Socrates e l’ex Presidente del Brasile Lula, unito alla stabile presenza
dell’azienda Odebrecht in Portogallo, portò gli investigatori della Policia Judiciaria a
sospettare che il leader socialista lusitano avesse ricevuto finanziamenti anche dai
gruppi imprenditoriali brasiliani invischiati nell’inchiesta Lava Jato, deflagrata a
Curitiba nel 2014. Il legame tra la Mani Pulite brasiliana e quella portoghese non venne
dimostrato, ma permise agli investigatori di aprire un nuovo filone d’indagine su Pedro
Passos Coelho, successore di Socrates al Palacete de São Bento, al quale sarebbe stata
promessa una tangente se avesse favorito la Odebrecht nell’acquisizione degli appalti
della Empresa Geral de Fomento (EGF), azienda leader della gestione dei residui urbani
che era stata appena privatizzata. Coelho ha smentito la circostanza ma ad agosto del
2020, la Procura portoghese ha aperto un’inchiesta su un presunto finanziamento
versato dalla Odebrecht per la campagna elettorale del 2015 dell’ex primo ministro.
Nella rete degli investigatori è caduto anche Manuel Pinho, ex ministro dell’economia
durante il governo Socrates, finito in manette nel dicembre del 2021 per ordine del
giudice Carlos Alexandre (lo stesso magistrato che aveva fatto arrestare Socrates dando
inizio all’Operação Marques) con l’accusa di corruzione in merito ai contratti di
manutenzione (probabilmente sovrafatturati) stretti dalla Energias de Portugal –EDP,
principale azienda di energia elettrica in Portogallo. Sempre in base agli accertamenti
svolti dal giudice Alexandre, Manuel Pinho avrebbe ricevuto fondi anche dalla
Odebrecht per favorire il gruppo brasiliano nell’aggiudicazione dei lavori per la
costruzione della diga di Baixo Sabor nel nordest del Portogallo. Pinho, ad ogni modo,
ha respinto ogni addebito presentato dai magistrati.
Oltre ai pezzi da novanta del gotha di José Socrates è finita nei guai anche
l’imprenditrice angolana Isabel dos Santos, figlia dell’ex Presidente dell’Angola e
considerata da Forbes come la donna più ricca d’Africa. Proprio lei ha investito grandi
quantità di denaro nel Paese lusitano, ottenendo partecipazione in varie società. Parte
però di questi soldi deriverebbero dagli affari, tutt’ora sotto il riflettore delle autorità
angolane, che la dos Santos ha compiuto in Angola nel mercato dell’oro nero. Secondo
la Procura di Luanda, la dos Santos, nel periodo in cui presiedette il consiglio di
amministrazione Sonangol (società pubblica che si occupa del commercio di petrolio e
gas naturali), avrebbe garantito un trattamento privilegiato alle sue aziende, sottraendo
diverse decine di milioni di dollari dalle casse della compagnia. Motivo per cui la
magistratura portoghese, su richiesta dei giudici angolani, ha congelato i conti correnti e
parte dei beni della dos Santos presenti in Portogallo. A seguito di questi guai giudiziari,
gli Stati Uniti hanno impedito all’imprenditrice angolana (e alla sua famiglia) di entrare
nel Paese data la presenza di indizi di una “corruzione significativa perpetrata attraverso
l’appropriazione indebita di fondi pubblici per benefici personali”. L’ex
europarlamentare portoghese Ana Gomes ha chiesto che vengano presi provvedimenti
analoghi anche in Portogallo, ma l’appello è caduto nel vuoto.
Così come sono cadute le raccomandazioni da parte di varie organizzazioni
internazionali, ad esempio Transparecy International, riguardo all’introduzione di nuove
norme in materia di corruzione nella legislazione portoghese. I quarantacinque miliardi
del Recovery Fund che entreranno nelle casse dello Stato nei prossimi mesi
rappresentano un’occasione d’oro che la cupola affaristico-imprenditoriale portoghese
non si lascerà di certo scappare.
I venti di una nuova Tangentopoli soffiano forti sul Portogallo, resta solo da capire chi
sarà il Mario Chiesa lusitano.

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